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MENSILE DI INFORMAZIONE SU SALUTE E BENESSERE » N.2 - FEBBRAIO 2012

RAVENNA

IN QUESTO NUMERO

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SOMMARIO » Nr. 2 - Febbraio 2012

RIABILITAZIONE

2 LA CERVICALE - Un disturbo comune a tante persone. Dott. Michele Ciani SANITÀ

4 IPOACUSIA - Il problema di non sertirci bene. Dott. Andrea Baldisserri MEDICINA

6 OSTEOPOROSI - Come si manifesta e come prevenirla. Dott. Roberto Salgemini CARDIOLOGIA

11 L’INFARTO - Quale vita ci aspetta. Dott. Flaviano Jacopi TENDENZE

14 BAREFOOTING - Intervista a Paolo Selis. di Tiziano Zaccaria BELLEZZA

16 LIFTING - Cosa si può ottenere e cosa no. Dott. Lauro Di Meo BENESSERE

18 GINNASTICA IN ACQUA - Gli effetti benefici. Marco Mastropasqua ALIMENTAZIONE

20 IL CAVOLFIORE - Nutritivo ma anche terapeutico. Dott.ssa Monica Negosanti SALUTE

22 LA DEPRESSIONE - Sintomi e alterazioni sulle persone. Dott.ssa Cinzia Cesari ODONTOIATRIA

25 TECNICHE MODERNE DI IMPLANTOLOGIA Dott. Fausto Pasqualini Galliani BENESSERE

26 SPORT AMATORIALE

- Le regole da seguire.

Dott. Edmondo Errani I NOSTRI AMICI ANIMALI

28 LEISHMANIOSI

- Colpisce il “nostro migliore amico”.

Dott.ssa Barbara Pallareti MEDICINA

30 DONAZIONE DI ORGANI Dott. Pierpaolo Casalini

SALUTE 10+ N. 2.2012 - Aut. Trib. Ravenna n. 1381 del 23/11/2011. Proprietà, redazione e realizzazione Multiservice sas: via A. Gnani, 4 - 48100 Ravenna - Tel. 0544.501950 - multiredazione@linknet.it

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RIABILITAZIONE

LA CERVICALE La medicina ufficiale la individua e la chiama Cervicalgia, da tutti invece è comunemente chiamata “CERVICALE” o dolore al collo.

Dott. Michele Ciani Osteopata - Fisioterapista Dottore in psicologia presso la clinica Domus Nova di Ravenna e il poliambulatorio Osteolab E-mail: ciani.michele08@gmail.com www.micheleciani.com

E’ un disturbo alquanto comune causato da una serie di fattori tra i quali: una vita piena di stress e tensione, mancanza d’esercizio fisico, postura scorretta, l’uso di cuscini inappropriati e/o di un letto troppo morbido; non ultimo eventi traumatici tra i quali il più comune ed importante il colpo di frusta. Alcune persone sviluppano una rigidità del collo a causa di una scorretta posizione della testa a letto, specialmente se giacciono proni con la testa ruotata da un lato. Talvolta il dolore al collo dura parecchi giorni, spesso ciò viene accompagnato da quel sintomo comune che viene chiamato in maniera popolare torcicollo che solitamente va via da solo, ma quando perdura ed è recidivo e ricorrente è bene farsi visitare da un osteopata qualificato, che vi potrà aiutare a trovare la causa del problema e a trattarla correttamente, utilizzando una serie di manipolazioni e mobilizzazioni osteopatiche ben precise. 2

Prima di approfondire le cause e le terapie è bene spiegare quali sono le parti anatomiche del nostro corpo che interessano questa patologia. Il tratto cervicale (disegno sotto) è costituito da sette vertebre, le prime sette vertebre della nostra colonna vertebrale. Spesso nei referti medici che parlano del problema alla cervicale troverete delle sigle come C1 o C3, di fatto si tratta dell ’ a b b rev i a z i o n e della parola vertebra Cervicale 1 piuttosto che vertebra Cervicale 3. Pertanto da C1 a C7 è in tratto della colonna cervicale o rachide cervicale. Le vertebre cervicali hanno molte peculiarità. Esse proteggono il midollo spinale che trasporta in pratica tutti i nervi del corpo. Una patologia del tratto cervicale può avere più ampi effetti e conseguenze di una stessa patologia lungo il tratto lombare o dorsale. Il collo deve avere un’ampia mobilità e non ha supporti come le coste per il tratto dorsale o la pelvi per quello lombare. Esso deve sopportare il peso della testa ed una tensione maggiore insorge quando i muscoli degli arti superiori devono svolgere un lavoro importante. Fra l’altro nel collo passano dei vasi venosi ed arteriosi importantissimi senza dimenticare i plessi nervosi.

E’ vero che alcuni di questi vasi sono protetti dai processi traversi delle vertebre, ma ciò non li esime dal grosso stress meccanico.

ll disturbo più comune è quello che ha come sintomo principale l’irrigidimento del collo Questo generalmente avviene all’altezza delle ultime 3 vertebre cervicali. I pazienti hanno difficoltà nel ruotare la testa ed un dolore s’irradia posteriormente tra le spalle e nella parte alta della schiena, ma a volte può non esserci dolore al collo. In queste condizioni, può essere presente una degenerazione del disco intervertebrale e anche ai raggi X poco si riesce a vedere. Spesso questi problemi riducono il forame intervertebrale, causando pressione sui nervi cervicali. Possono esservi formicolii, perdita di sensibilità agli arti ed alle mani, punti dolorosi sui muscoli del collo e spesso un rumore come di sabbia nel collo, quando lo si muove.

A seguito del dolore sono necessarie sempre alcune norme comportamentali da rispettare… Rivolgersi al proprio medico, i quale solo e solo lui indicherà se necessario un


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trattamento farmacologico di supporto ed eventualmente se sarà necessario approfondire la causa del vostro dolore con esami di laboratorio, clinici o radiografici ecc. Rivolgersi successivamente al proprio fisiatra di fiducia il quale può impostare un corretto piano di trattamento che può prevedere terapie manuali/osteopatiche, terapie fisiche, igiene posturale Il risultato terapeutico della manipolazione non può essere evidenziato dai raggi x ma sono comunque innegabili i miglioramenti: del tipo guadagno del movimento e riduzione del dolore. Il paziente comunque non può mai essere manipolato in fase acuta e deve essere fatta una distinzione tra il problema meccanico e quello infiammatorio. In condizioni infiammatorie il movimento in qualsiasi direzione sarà doloroso. Casi di artrite reumatoide non vengono manipolati.

Le cervicalgie possono essere divise in tre gruppi Cervicalgia vera e propria (il dolore colpisce soprattutto la regione cervicale);

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RAVENNA - Via Romea, 121 - Tel. 0544.61068 corticosteroidi. Se la cervicalgia è stata provocata da un trauma, come il colpo di frusta, si può ricorrere al collare. Risolta la fase acuta si passa alla fisiote-

rapia, studiata a seconda della situazione. In alcuni casi si utilizzano anche altri tipi di terapie, come l'elettroanalgesia, la massoterapia, la termoterapia, la manipolazione.

Prevenzione sindrome cervico-cefalica (cefalea, vertigini, disturbi della vista e dell'udito, disturbi della deglutizione); sindrome cervico-brachiale (dolore alla nuca e al braccio, a volte anche alla mano). La diagnosi è di fondamentale importanza per un corretto trattamento di questa patologia, soprattutto per la scelta fra l'opzione farmaci/fisioterapia e quella chirurgica. Vi sono casi in cui è necessaria una valutazione neurochirurgica, per verificare la presenza di una compressione della radice nervosa o del midollo spinale. A scopo diagnostico si ricorre solitamente a una serie di radiografie per valutare lo stato della colonna vertebrale, alla Tac o alla Rmn per individuare eventuali compressioni del midollo spinale o la presenza di ernie discali con compressione delle radici nervose. La terapia adottata si basa sul ricorso iniziale, durante la fase acuta, ad analgesici e antiflogistici e, in alcuni casi, a infiltrazioni di anestetici locali o

Per combatter il dolore cervicale abbiamo comunque tutti a disposizione una potentissima arma segreta Quest’arma si chiama prevenzione. Bisogna innanzitutto analizzare il proprio stile di vita e le proprie abitudini e capire quali sono le cause scatenanti della cervicale per intervenire quindi alla radice del problema, magari andando ad intervenire su quelle cattive abitudini cui, spesso senza accorgercene, siamo legati. E’ quindi indispensabile controllare i fattori di rischio; necessita pertanto fare attenzione ad una corretta postura, soprattutto per chi, come gli operatori al computer, tendono ad assumere posizioni fisse per molto tempo, con affaticamento generale dei muscoli di collo, braccia e spalle. Anche l'esercizio fisico e lo stretching sono ottime terapie preventive per evitare l'insorgenza delle cervicalgie. Ma per questo ampio argomento necessita un capitolo a parte ed un interessante approfondimento che rimanFINE diamo alle prossime edizioni. 3


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SANITÀ

IPOACUSIA Siamo sicuri di sentirci bene? La ridotta capacità uditiva è una problematica per milioni di persone, soprattutto over 65. Molti non sanno di essere afflitti da qualche forma di sordità.

Dott.

Andrea Baldisserri

Medico-Chirurgo specialista in otorinolaringoiatria E-mail: abaldisserri@alice.it

Appena abbiamo un calo della capacità visiva, dopo aver finito il braccio e aumentata la luce, giustamente ricorriamo a un aiuto per correggere questo inconveniente. Poi un paio d’occhiali è anche bello. Al contrario, rendersi conto di non sentire bene non è altrettanto facile: se non sento è perchè hai parlato piano, ero distratto, ti mangi le parole... la voce non ha corpo. Se non ho sentito, faccio fatica ad accettare questa situazione. Purtroppo la riduzione della capacità uditiva è un problema molto diffuso, sicuramente sottostimato. In Italia, ogni mille neonati, uno presenta un grave deficit uditivo e se consideriamo l’ipoacusia in senso generale si può stimare che in Europa ne soffrano 70 milioni di individui, di cui circa 7 milioni solo in Italia. Le percentuali di persone con ridotta capacità uditiva sono dell’1 per cento sotto i 3 anni di età, salgono al 10 per cento dai 45 ai 60 anni, arrivano fino al 25 per cento oltre i 60 anni. Considerando che la durata della vita media si sta sempre più allungando, ne consegue che le persone affette da questo problema sono sempre di più. 4

Stime riportano che nel mondo gli ipoacusici da 500 milioni del 2005, diventeranno 700 milioni nel 2015 e oltre 900 milioni nel 2025.

Le forme di sordità Vediamo come suddividere i vari tipi di ipoacusia. Innanzitutto sui bambini distinguiamo forme di sordità preverbale e forme postverbali, cioè deficit uditivi che si manifestano prima o dopo che il fanciullo ha la capacità di parlare. Le forme precoci impediscono al bambino di ripetere i suoni, di imparare a parlare. Oggi grazie a tecniche chirurgiche, a interventi di impianto cocleare (orecchio bionico) e grazie a tecniOsso Canale temporale che di logopedia si è uditivo ridotto molto il rischio che questi infanti non sentendo restino anche incapaci di imparare a parlare, i cosiddetti sordomuti. Le ipoacusie si distinguono poi in trasmissive, neurosensoriali e miste. Le forme trasmissive colpiscono l’orecchio ester- Padiglione no o l’orecchio medio e pos-

sono essere dovute ad anomalie della struttura anatomica, tappo di cerume, infezioni, perforazioni della membrana timpanica, patologia della catena ossiculare… Sono problemi che in genere si possono risolvere con terapia farmacologica o chirurgica. La rimozione di un banale tappo di cerume in pochi minuti può far migliorare tanto l’udito. Le forme neurosensoriali colpiscono la coclea (vero “sensore” dell’orecchio, posizionato nella sua parte interna) o il nervo dell’udito e possono essere dovute all’invecchiamento, a motivi genetici, infettivi, tossicità da farmaci, traumi acustici, traumi cranici, forme idiopatiche, neoformazioni. Incudine Martello

Canale semicircolare

Nervo cocleare

Cocleare

Tubo uditivo

Staffa Membrana timpanica

Struttura dell’orecchio


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SANITÀ Questo tipo di deficit purtroppo non è in genere suscettibile di terapia farmacologica o chirurgica: unico rimedio resta la protesi acustica. Le forme miste presentano un calo della capacità uditiva, in parte dovuto alla trasmissione del suono, in parte alla componente neurosensoriale.

L’udito si consuma Il progredire della scienza medica ha portato a tanti risultati nel trattamento dell’ipoacusia, purtroppo la società in cui viviamo ha al contrario esposto sempre più il nostro orecchio a rischi di danni. Noi viviamo in mezzo al rumore, vuoi ascoltando la musica, vuoi passeggiando per strada, vuoi durante l’attività lavorativa o mentre guidiamo l’auto. Questo comporta un precoce “invecchiamento” delle nostre orecchie, tanto più repentino quanto più è elevata l’esposizione e la nostra predisposizione. Cosa vuol dire? Se ho due lavoratori addetti alle stesse mansioni in ambiente rumoroso, uno può non subire perdite uditive, l’altro, più predisposto geneticamente, può rapidamente andare incontro a gravi deficit udi-

tivi. Nell’ambiente di lavoro, grazie a normative che impongono controlli e protezioni, oggi si riesce a limitare i danni e individuare i più “sensibili” al rumore. Ma in discoteca? O facendo footing con l’ipod? Ecco che siamo destinati facilmente a “consumare” le nostre orecchie, anche perché la vita media allungandosi non permette ai nostri organi più sensibili di mantenere sempre la stessa efficienza. La persona che presenta un deficit uditivo progressivo si isola socialmente, mentre il più delle volte basterebbe un’adeguata protesi acustica per migliorarne la qualità della vita e dei rapporti quotidiani. Atteggiamenti tipici, espressioni ansiose per non aver capito, risposte sbagliate, isolamento progressivo sono problemi più vistosi e fastidiosi dell’apparecchio acustico. Nei confronti di questo strumento siamo culturalmente prevenuti, per cui in Italia solo il 10 per cento delle persone che ne avrebbero giovamento si decidono a usarlo, mentre in Usa la percentuale è del 25 per cento, nel Regno Unito oltre il 30 per cento e in Danimarca oltre il 40 per cento. Pensiamoci. FINE

Come si misura l’udito L’esame audiometrico è indicato nello studio delle malattie dell’orecchio e della ipoacusia, ovvero la diminuzione dell’udito. Questo test valuta l’udito del paziente determinando la cosiddetta “soglia di minima udibilità”, cioè il minimo livello di pressione sonora in grado di evocare una sensazione cosciente di percezione del suono. L’esame è ambulatoriale, dura dai cinque ai dieci minuti, viene eseguito in una cabina insonorizzata ed è del tutto indolore. Al paziente viene richiesto di segnalare mediante un pulsante, o un cenno della mano, tutte le volte che percepisce un suono erogato da una cuffia posizionata sulle sue orecchie. L’esame presuppone la collaborazione dei pazienti (si tratta di una tecnica soggettiva) e può essere eseguito dai 5-6 anni sino alla terza età. Fornisce utilissime informazioni sull’udito del paziente, sia dal punto di vista quantitativo (quanto si sente), che dal punto di vista qualitativo (come si sente). Occorre ricordare che l’intensità del suono si misura in decibel. In generale un suono che superi gli 85 decibel – il decollo di un aereo a meno di cento metri di distanza può arrivare a 110 può provocare danni alla membrana timpanica e quindi portare alla sordità.

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MEDICINA

OSTEOPOROSI Ossa fragili, a rischio di fratture

La sua presenza diminuisce l’aspettativa e la qualità di vita, se non adeguatamente trattata. Si previene con l’apporto di calcio ed una corretta attività fisica.

Dott.

Roberto Salgemini

Medico-Chirurgo convenzionato SSN. E-mail: robertosalgemini@alice.it

Che cos’è L’osteoporosi rappresenta una condizione per cui lo scheletro può subire un maggiore rischio di fratture, dovuto a modificazioni sia della microarchitettura trabecolare che della massa ossea. Lo scheletro, costituito da tessuto osseo, è un apparecchio continuamente “vivo e in movimento”. Il collagene, una proteina che forma una struttura morbida, il fosfato di calcio, un minerale che contribuisce ad indurire l’osso, gli osteoblasti, che producono massa ossea, e gli osteoclasti, che invece contribuiscono al suo riassorbimento assieme alla matrice ossea, ne rappresentano i principali componenti. Durante l’infanzia e l’adolescenza in genere fino ai trent’anni vi è una maggiore attività degli osteoblasti, il tessuto osseo è in genere più elastico e raggiunge la sua maturazione. Ciò evita le fratture per cadute banali. Aumentando l’età l’osso si “indurisce”, perde elasticità divenendo più fragile e subendo fratture anche per traumi lievi-moderati. 6

La perdita dell’equilibrio fra osteoblasti e osteoclasti, quando questi ultimi lavorano più velocemente, contribuisce al deterioramento osseo. Ecco perché il “British Medical Journal” inserisce l’osteoporosi in un elenco di non-malattie, considerandolo un processo para-fisiologicolo la cui presenza però predispone a maggior sviluppo di patologie e una conseguente diminuzione della speranza e della qualità di vita se non adeguatamente trattata. Nel 95 per cento dei casi l’Osteoporosi è definita primaria, quando si parla di Osteoporosi idiopatica (rara), post-menopausale e senile, la più frequente, con maggior predisposizione per il sesso femminile, che ha una probabilità di rischio di ammalarsi di osteoporosi quattro volte superiore rispetto al sesso maschile. Nel 5 per cento dei casi è definita secondaria, quando è dovuta a iperparatiroidismo, utilizzo continuativo di farmaci osteopenizzanti (cortisonici, diuretici dell’ansa etc), disordini alimentari (anoressia e bulimia), patologie concorrenti a osteoporosi(menopausa precoce prima dei quarantacinque anni, artrite reumatoide, sarcoidosi, celiachia, malassorbimenti etc.), tabagismo, alcolismo.

Sintomatologia L’osteoporosi rimane per molto tempo del tutto asintomatica (i 2/3 delle persone colpite da osteoporosi severa). L’assenza di sintomi, nella popolazione interessata (anziani etc.) non esclude


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MEDICINA una diminuzione del tono calcico nella massa ossea (osteopenia) delle vertebre dorso-lombari, femore, polso, le ossa maggiormente interessate a frattura. Clinicamente si manifesta con segni e sintomi dovuti a questa: ecco che, a seconda della gravità, chi ha subito un cedimento di un corpo vertebrale dorsolombare può presentare un dolore invalidante con incapacità a mantenere la stazione eretta, ma anche un dolore moderato-severo “alla schiena”, che condiziona ma non esclude le normali attività della vita di relazione. L’esordio del dolore è improvviso e il paziente ricorda con precisione l’esatto momento che è iniziato il sintomo, dovuto peraltro oltre a traumi, ad attività fisi-

ca banale quale il flettersi o sollevarsi dal letto o lo stare eretti. A volte vi possono essere due fratture successive, che si succedono nel tempo con benessere del paziente tra i due eventi. Inappetenza, stipsi e distensione addominale possono accompagnare uno schiacciamento vertebrale da Osteoporosi. Più evidente la frattura di femore con arto leggermente extra ruotato, leggera flessione del ginocchio, dolore ed impotenza funzionale dell’arto interessato, ma ancora più eclatante la frattura spontanea con il paziente che cade a terra apparentemente senza motivo per cedimento osseo osteoporotico. Consolatorio, ma fino a un certo punto, che la massima incidenza della frattura spontanea di femore

intertrocanterica avvenga dopo gli 85 anni. Frequente nei soggetti a rischio la frattura della parte distale del radio per caduta sul polso esteso con dolore ed impotenza funzionale alla flesso-estensione della mano sull’avambraccio interessato.

Diagnosi La diagnosi di osteoporosi è clinica, strumentale e laboratoristica. Una donna in età senile che giunga alla nostra osservazione riferendo la comparsa di dolore improvviso ed apparentemente senza causa in regione dorso-lombare, dove notiamo un aumento della fisiologica » SEGUE cifosi dorsale, va indagata.

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MEDICINA EFFETTI DELL’OSTEOPOROSI NEI PRIMI 4 ANNI

ALTEZZA cm 150

125

100

75

50 FRATTURE 25

0 Anno 0

» Una

radiografia, che serve a fare diagnosi di frattura, può mettere in evidenza anche solo segni radiografici di osteopenia. Il dato non è sufficiente per fare diagnosi di osteoporosi in quanto è “generico” e si riferisce ad un impoverimento qualitativo dell’osso. I segni radiologici di osteopenia infatti compaiono quando vi è un calo del 3050 per cento della massa ossea. L’indagine da eseguire successivamente è la Dexa lombare e femorale (densitometria ossea) che ci da il “T-score”, valore di densità calcolato in DS (deviazione standard) rispetto al valore medio trovato nella popolazione sana al raggiungimento della maturità ossea. Si può parlare di Densitometria ossea normale quando “T-score” è tra +1 e -1 DS; di osteopenia con “Tscore” tra -1 e -2,5, osteoporosi clinica senza fratture quando “T-score” è minore di -2,5 DS, osteoporosi conclamata quando vi sono fratture vertebrali senza traumi rilevanti e “T-score” minore di 2,5 ed osteoporosi severa e progredita quando vi è uno stato di iperfragilità, con fratture senza trauma e spontanee. Successivamente, dopo anamnesi pato8

Anno 2°

Anno 4°

logica remota e prossima sui fattori di rischio, è necessario completare la diagnosi con indagini di laboratorio di base e specifiche per valutare metabolismo del calcio, marcatori di riassorbimento osseo, marcatori di formazione ossea. A completamento delle indagini la biopsia ossea alla cresta iliaca per porre diagnosi differenziale soprattutto tra osteoporosi ed osteomalacia.

Prevenzione e terapia L’Organizzazione Mondiale per la Sanità, vista la rilevanza del problema, ha messo a punto un algoritmo per il calcolo del rischio di frattura osteoporotica nei due sessi proiettato a 10 anni. Questo tiene conto di tre variabili quali età, indice di massa corporea e densità minerale ossea, oltre a storia familiare di fratture, uso sistematico di corticosteroidei, sedentarietà, tabagismo, alcolismo, artrite reumatoide, alimentazione, etc. Il messaggio è forte e chiaro: bisogna agire anche sulle nostre abitudini di vita. Ottimizzare l’apporto di calcio con la dieta sia nell’età giovanile (800 mg al giorno da 1 a 10 anni; 1200 mg da 11 a 24 anni) che negli adulti (la donna dai 25 ai 50

anni dovrebbe assumere circa 1000 mg di calcio al giorno; oltre ai 60 anni 1500 mg; in gravidanza ed allattamento 1200 mg).

Come fare? Cento grammi di parmigiano contengono circa 1000 mg di calcio, ma il calcio si può assumere favorendo l’assunzione di yogurt, latte e ricotta, oppure mandorle e noci, pesce azzurro, legumi, cavoli, rape e verze, cibi ricchi di questo minerale. E’ raccomandato però di non assumere più di 2500 mg di calcio al giorno. Fondamentale per l’assorbimento del calcio è la vitamina D (circa 1000 UI al giorno). L’80 per cento del fabbisogno di vitamina D è garantito dall’irradiazione solare e viene prodotta a livello della cute esposta. E’ necessario stare all’aperto, esponendosi ai raggi del sole, almeno un’ora al giorno nelle ore diurne. L’attività fisica continua nell’infanzia aumenta la massa ossea, nell’età adulta (passeggiate, bicicletta, ballare 3-4 volte settimana per 30-40 minuti, compatibilmente alle condizioni cardiocircolatorie) oltre a mantenere il grado di massa ossea è fondamentale per mantenere il


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tono muscolare e migliorare l’equilibrio. Riduzione sostanziale del consumo di alcool e sospensione del fumo, poiché questi riducono la massa ossea.

Quando fare la Dexa (Densitometria ossea)? La donna che entra in menopausa dovrebbe effettuare uno studio della massa ossea. A maggior ragione se ha una storia famigliare di fratture o fattori di rischio. Dopo i 65 anni le donne, tutte, ed i pazienti che hanno in anamnesi fattori di rischio (uso di farmaci predisponenti, patologie etc) per osteoporosi. Gli sportivi che vanno incontro a fratture da stress dovrebbero eseguire la Dexa.

Ogni quanto tempo? Se si è in una condizione normale con T-score fino a -1 ogni tre anni; negli altri casi ogni due anni.

DOLCE SALUTE

Terapia farmacologica E’ finalizzata alla prevenzione del rischio di fratture attraverso l’arresto o il rallentamento della progressione della malattia. I Bifosfonati inibiscono il riassorbimento osseo, fare attenzione durante l’assunzione del farmaco bevendo molta acqua e non coricandosi a letto per prevenire disturbi dispeptici. Il ranelato di stronzio per ridurre il rischio di fratture stimolando la fase di formazione ossea. I Peptidi del paratormone stimolano la neoformazione ossea. Sono indicati nelle forme più gravi di osteoporosi con fratture vertebrali multiple o non responsiva alle terapie anti riassorbitive. Gli estrogeni, da soli o in combinazione con i progestinici (terapia ormonale sostitutiva) nelle pazienti che entrano in menopausa precoce sempre per la prevenzione ma sotto stretto controllo specialistico onde valutare con attenzione indicazioni e controindicazioni. Accanto a queste terapie Il più delle volte è necessaria una supplementazione di calcio e vitamina D per favorirne la risposta terapeutica. Sintetizzando, come sempre prevenire è meglio che curare. FINE

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PIACERE MIO

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CARDIOLOGIA

LA VITA dopo l’infarto Si può tornare a vivere bene anche dopo un infarto, a patto di rispettare alcune regole fondamentali: abolizione del fumo, calo di peso, pratica di attività fisica ed eventuale controllo farmacologico. Dott.

Flaviano Jacopi

Specialista in cardiologia e medicina dello sport Direttore sanitario Astrea Medical Center - Faenza E-mail: flaviano.jacopi@fastwebnet.it

L’infarto miocardico, detto anche infarto cardiaco, è la morte di un pezzo di cuore, conseguente all’occlusione completa e persistente di una coronaria. Le coronarie sono le arterie che apportano sangue ossigenato alle strutture cardiache, e sono in grado di assicurare nutrimento in ogni istante, aumentando o riducendo il flusso in relazione alle richieste. Essendo l’unico organo che funziona sempre, il cuore ha un continuo bisogno di apporto di sangue arterioso. L’occlusione della coronaria è dovuta ad un coaugulo (trombo) formatosi su una placca aterosclerotica, che nelle ore precedenti si è rotta. La placca è la tipica lesione aterosclerotica arteriosa, provocata da accumulo di colesterolo nella parete del vaso. La conseguenza del mancato flusso arterioso è la morte ischemica (infarto) delle strutture a valle,

che sono tante di più, quanto più grosso è il ramo coronario occluso. Dopo un’ora inizia la morte del tessuto, il danno completa il suo ciclo dopo circa sei ore Quanto più grande è l’infarto, tanto più grave è il danno della pompa cardiaca e quindi tanto più importanti le sue future disfunzioni.

I sintomi dell’infarto acuto Il più importante sintomo dell’infarto

acuto è il dolore costrittivo, come una morsa, in mezzo al petto, internamente. Generalmente è molto forte, si associa a sudorazione, nausea, vomito, senso di angoscia. Spesso il dolore è irradiato a una o entrambe le spalle, alle braccia, alla schiena, al collo e alle mandibole. Non va dimenticato che in alcune occasioni il dolore è più lieve, oppure presente solo nelle zone di irradiazione. Altro sintomo talvolta presente è l’affaticamento di respiro, a volte molto » SEGUE intenso.

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CARDIOLOGIA » In

qualche caso possono manifestarsi senso di mancamento o perdite di conoscenza, che possono essere molto pericolose se dovute ad aritmie cardiache maggiori. E’ molto importante riconoscere i sintomi di infarto acuto, perché nel caso si sospetti la natura del processo in atto, bisogna immediatamente chiamare il 113, o in alternativa farsi condurre al più vicino Pronto Soccorso. I maggiori pericoli per la vita sono presenti nelle primissime ore dell’infarto: se si riesce a intervenire entro un’ora, si possono scongiurare completamente il rischi di morte dei tessuti; entro sei ore, l’area di infarto può essere ridotta anche di molto. Da alcuni anni ogni pronto soccorso è collegato con centri cardiologici di riferimento, dove può essere praticata l’angioplastica primaria, cioè la disostruzione meccanica con palloncino dell’occlusione coronaria. In pratica si fa con urgenza la procedura che normalmente viene eseguita in tutte le emodinamiche cardiologiche sulle stenosi delle corona-

rie (angioplastica elettiva); in caso si arrivi in ritardo può essere tentata comunque una angioplastica coronaria e/o praticata terapia trombolitica che comunque riduce l’area dell’infarto.

E dopo, che vita ci attende? La vita futura di un infartuato dipende da due ordini di fattori: le dimensioni dell’infarto e la situazione delle coronarie. Per quanto riguarda le dimensioni dell’infarto, quanto più grande è l’area infartuata, tanto più danneggiata sarà la pompa cardiaca, e quindi tanto più compromessa una vita normale. Per questo motivo ogni sforzo della moderna cardiologia è messo in atto, per riuscire a impedire un infarto quando si verifichi una ostruzione coronaria (angioplastica primaria), o per cercare di limitare al massimo l’estensione della necrosi negli interventi più tardivi (angioplastica tardiva e trombolisi). Questo non vuol dire che se non si riescono ad attuare le più moderne procedure, la vita di un

paziente sarà rovinata definitivamente, ma certamente minore è il danno alla pompa cardiaca, migliori saranno le prospettive. Comunque, in ogni caso, anche chi ha subito un infarto miocardico “completo”, con un’adeguata riabilitazione ed eventualmente con le terapie più appropriate, sotto il controllo cardiologico, potrà affrontare con fiducia e buoni risultati la vita futura.

Le buone regole da seguire Una volta superata la primissima fase dell’infarto, è buona regola, a meno che non sia stata fatta una angioplatica primaria, fare una coronarografia. In questo modo si ha una fotografia della situazione delle coronarie, anche di quelle non occluse dall’infarto, e da qui si riparte. Si inizia con una prevenzione secondaria della aterosclerosicoronarica, che è forse la cosa più importante. In pratica, si attuano le terapie e si mettono in atto le norme che sono notoriamente alla base della lotta a tale pato-

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logia: abolizione (non riduzione!) del fumo di sigaretta; calo poderale reale; programmazione di adeguata attività fisica; controllo, se necessario farmacologico, della eventuale ipertensione arteriosa (attenzione: la pressione deve essere realmente controllata, il che significa valori di massima inferiori a 140 e di minima inferiori a 90, stabilmente); controllo del colesterolo (e soprattutto di HDL) riportandolo ai valori normali o più bassi possibile con dieta e, se necessario con i farmaci; controllare un eventuale stato diabetico, con dieta ed eventualmente con farmaci (questa è una cosa importantissima, perché il diabete è probabilmente il peggior nemico delle arterie). Tutte queste norme sono la base della prevenzione

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sia primaria, cioè prima che un fatto ischemico si verifichi, sia secondaria, cioè dopo che un fatto ischemico si è verificato, per impedire nuovi eventi. Queste pratiche di vita e le eventuali terapie associate, come dimostrato da vasti studi clinici, sono realmente fondamentali sia per la prevenzione primaria che per quella secondaria. La mia lunga esperienza mi permette di affermare che il seguire queste norme e praticare le eventuali terapie farmacologiche, rende più piacevole la vita. Tutti i pazienti stanno molto meglio, dopo aver perso peso, smesso di fumare, ripreso a praticare attività fisica anche solo moderata. In ogni modo ritengo fondamentale segnalare che chiunque abbia superato un infarto miocardico, se segue le indicazioni del suo cardiologo potrà riprendere una vita normale. Senza arrivare agli estremi degli infartuati che vanno a correre le maratone, posso assicurare che moltissimi, dopo qualche tempo, mi hanno detto: “Dottore, lo sa che la mia vita ora è molto meglio di prima... e sotto tutti i punti di vista!”. FINE

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TENDENZE

A PIEDI SCALZI Nel mondo si chiamano Barefooters. In Italia sono i gimnopodisti: persone che scelgono di vivere a piedi nudi, anche fuori dalle mura domestiche. Scopriamo perché. di Tiziano Zaccaria Per migliaia di anni gli esseri umani hanno vissuto scalzi. In effetti il piede umano, per sua struttura naturale, è un organo idoneo ad affrontare la varietà di terreni esistenti. Fino agli anni Cinquanta, nelle campagne, d’estate si poteIL BAREFOOTING vano vedere persone senza scarpe, ma NEL MONDO andare scalzi oggi sembra una stravaganE’ nato in Nuova Zelanda za fuori dai tempi e dalle mode. Invece In Nuova Zelanda andare scalzi è pratic’è proprio un gruppo di persone, semca comune e la filosofia del Barefooting pre più ampio, che ha abiurato dalla vuole che il contatto con Madre Natura giovi propria vita le scarpe, non per qualche ai frenetici stili di vita contemporanei, mentre particolare avversione verso Geox o l’ortopedia conferma il fatto che a volte le scarpe costringono i piedi in forme e posizioni innaturali. Tods, ma per il semplice piacere di D’altronde, camminare scalzi sui ciotoli è una camminare sentendosi sé stesso, per pratica che si usa anche nelle moderne SPA e nei quelle che definiscono “semplici, centri benessere, perché riattiva la circolazione. buoni e salutari motivi”. Paolo Selis In Europa la tendenza del Barefooting è diffusa (foto sopra) è il Presidente del Club dei Nati Scalzi, un’associazione nata nel soprattutto nei paesi nordici e in Germania. Si sa 2010 - dopo la creazione del sito di riferimento in Italia sul Web, nel 1999 - sulche i tedeschi sono attenti all’ecosostenibilità e pionieri di nuove tendenze, infatti passeggiando l’onda del movimento internazionale dei “Barefooters”. nei parchi di Berlino o delle altre principali città tedesche, è sempre più facile incontrare Presidente Selis, chi sono gli scalzisti? persone che corrono o camminano scalze. «Siamo persone che amano stare a piedi nudi, perciò abbiamo scelto di colEsistono perfino veri e propri parchi tematici per il Barefooting, come a Dornstetten tivare questa passione, accettando di superare qualche difficoltà iniziale che nel nord della Foresta Nera ed a Bad questa scelta comporta, presentandoci scalzi anche in luoghi e contesti non conWunnenberg in Vestfalia, dove chiunque venzionali, ovvero non solo in casa, in spiaggia o nelle aree di piscine e palestre. può provare il piacere di calpestare Alcuni di noi alternano performance calzate e scalze, mentre altri adottano il terriccio, prati, aghi di pino, sassolini barefooting come vero e proprio stile di vita, andando scalzi sempre e dovunque». e legno in percorsi prestabiliti. Ma non serve per forza un parco a tema: i più arditi dello scalzismo lo Quali sono i motivi che suggeriscono praticano dovunque, anche sui di “appendere le scarpe al chiodo”? marciapiedi cittadini. Per avere informazioni sullo scalzis«Possono essere motivi diversi. Il denominatore comune è comunque il semplice piamo in Italia, dove il cere di camminare secondo “madre Natura”, provando le sensazioni tattili diverse ad fenomeno non è ancora diffuso ogni passo che le molte superfici della terra ci offrono. Non ci importa se le piante dei come in Germania, visitate il sito www.nati-scalzi.org o nostri piedi sono colorate a seconda dei fondi sui quali ci siamo mossi e risultano di inviare una email a

cuoio robusto ed elastico, anzi ne siamo fieri. In certe circostanze detestiamo portare scarpe e alcuni di noi non le metterebbero mai, considerandole un’inutile fastidio, e comunque si limitano a portarle quando per motivi di lavoro non possono farne a meno». 14

segreteria@nati-scalzi.org


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Il passo diventa esente da scosse e la colonna vertebrale guadagna mobilità, cosicché i dischi intervertebrali non perdono le loro qualità elastiche. Contro le vene varicose e altri problemi viene raccomandato di camminare scalzi, poiché il giusto movimento dei piedi non stretti nelle scarpe lascia attivare il muscolo surale quale pompa del sangue in direzione del cuore. Posture scorrette dei piedi in scarpe strette e dal tacco alto ostacolano invece la circolazione sanguigna».

E alla guida di un’auto?

E’ sicuramente piacevole camminare scalzi sull'erba o sulla sabbia. Ma è meno usuale farlo su altre superfici… «Ecco: a molti di noi è piaciuto talmente tanto camminare a piedi nudi su un prato o su una spiaggia, da volere prolungare questa gradevole sensazione tattile. Abbiamo affrontato con forza di volontà le difficoltà che vivere a piedi nudi inevitabilmente comporta, estendendo gradatamente il nostro raggio d'azione fino ad abbattere ogni remora, “laureandoci” barefooter, alcuni solo in determinate stagioni e occasioni, altri addirittura a 360°, ovvero scalzi ogni giorno e in ogni situazione, nei limiti delle convenzioni sociali. Se la cosa vi ispira ma siete spaventati dalle difficoltà iniziali, contattateci: vi aiuteremo con qualche suggerimento».

Non ci sono controindicazioni dal punto di vista igienico e sanitario? «I piedi nudi sono estremamente adatti ad ogni superficie e ogni circostanza. Contrariamente alle scarpe, con le quali bisogna evitare erba e fango, con i piedi nudi si può andare dove si vuole. Le scarpe impiegano molto tempo ad asciugarsi e spesso si induriscono. Per pulire i piedi basta invece una sciacquata. Inoltre, se si entra al chiuso dopo aver camminato sotto la pioggia, i piedi nudi si asciugano in un minuto per effetto dello sbalzo di temperatura e nel contempo si riscaldano, mentre il cuoio impiega almeno un’ora ad asciugare, formando una serra d’umidità che mantiene il piede bloccato in un “ambiente” sgradevolmente freddo e bagnaticcio. Inoltre, i piedi nudi si mantengono sempre asciutti e non sono esposti all’attacco dei funghi e degli altri parassiti che prolificano nell’ambiente umido creato nelle calzature dal piede sudato».

Vuol dire che è sempre più salutare camminare a piedi scalzi? «In questo modo i piedi ritrovano la postura naturale, tutti i muscoli sono allenati uniformemente, le convessità prendono forza e sostegno; ciò si trasmette con effetto rilassante per tutto il corpo. Si appoggia il piede a terra cautamente, si smorzano tutti i colpi e si compensano le asperità del terreno.

«In Italia si può guidare scalzi. Dal 1993 non esiste più alcun divieto circa l'uso di calzature aperte come ciabatte, zoccoli e infradito durante la guida di un veicolo, né è vietato guidare a piedi nudi. Il conducente deve semplicemente autodisciplinarsi nella scelta dell'abbigliamento e degli accessori, al fine di garantire un'efficace azione di guida con i piedi». FINE

BAREFOOTING E TENDENZE Al bando i tacchi, è il momento di mettere in mostra uno dei lati più fetish del corpo femminile. Che si arrivi dall’Isola o si cammini per strada, tra le star impazza la voglia di camminare a piedi nudi. E se a Hollywood le dive vengono fotografate a passeggio per strada, in Italia solo le più coraggiose lasciano che le telecamere immortalino i loro piedini. L’ultima ad Giorgia Palmas apparire a piedi nudi sul palco è stata la vincitrice dell’Isola dei Famosi 2011, Giorgia Palmas, preceduta da un’esuberante Nina Moric. Ma se per loro un Shakira ritorno graduale alla normalità è comprensibile, un po’ meno lo è per Antonella Cleri o Claudia Mori che hanno messo al banco le scarpe in diretta tv. Cantare a piedi nudi è ormai un segno distintivo per Shakira, così come fare la spesa o prendere il giornale a Los Angeles come fanno la Lily Allen (cantautrice inglese), Naomi Watts Elle Macpherson (attrice nata in Inghilterra ma ntaturalizzata australiana), Elle Mcpherson (modella australiana) o Gwen Stefani (canNaomi Watts tante e stilista americana). 15


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BELLEZZA

LIFTING

La prima operazione di ringiovanimento del viso è preferibile farla attorno ai cinquant’anni, non prima. E non aspettatevi la chiave dell’eterna giovinezza, ma soltanto di arrestare temporaneamente l’effetto del tempo.

Dott.

Lauro Di Meo

Chirurgia Plastica, ricostruttiva ed estetica Ravenna Medical Center E-mail: laurodimeo@libero.it

Nella nostra società il ringiovanimento del volto sta acquistando un’importanza sempre maggiore e ciò rispecchia il desiderio generale di riuscire in qualche modo a “fermare il tempo”. Conoscere perciò qualcosa sulla composizione dei tessuti del volto, aiuta a capire cosa si può e cosa invece non si può ottenere con il lifting.

I tre strati del tessuto Il tessuto che ricopre l’impalcatura ossea del volto e del collo è composto da tre strati, ognuno suscettibile degli effetti dell’età. Lo strato più superficiale è costituito dalla pelle. Qui le pieghe che si formano per i movimenti della muscolatura sottostante sono normali nelle persone giovani e spariscono nei momenti di riposo quando il tessuto elastico torna a posto. Con gli anni, invece, la pelle perde gradualmente la propria elasticità (il tutto acuito dall’eccessiva esposizione al sole) e le pieghe diventano fisse sotto forma di rughe nelle aree 16

di maggiore movimento. Il secondo strato, appena sotto la pelle, è il grasso. Sebbene nel giovane questo è distribuito uniformemente, negli anni successivi, anche per l’effetto della gravità, tende a spostarsi in basso provocando l’infossamento delle guance e il deposito di grasso ai lati del mento. Il terzo strato è costituito invece dai muscoli del volto, che producono le intricate variazioni della mimica facciale. Il più importante di questi è il platisma, muscolo sottile ed esteso, sospeso tra mandibola e clavicola, che fa da supporto al collo, dando al giovane individuo un mento piatto e ben teso, oltre ad un angolo ben definito alla giunzione tra collo e mandibola. Con l’età questo muscolo perde invece il suo tono, l’effetto della gravità aumenta e stira la pelle in basso, provocando gli accumuli di pelle e grasso ai lati del mento oltre alla riduzione del normale angolo tra collo e mandibola. Un’ulteriore perdita di tono, insieme alla pelle anelastica, producono pieghe verticali molto marcate, che sono spesso visibili al centro del collo.

ottimale per questo intervento si aggira intorno ai 50 anni, sebbene la tendenza attuale sia invece di sottoporsi all’intervento molto prima, intorno ai 40 anni, cioè prima che gli effetti della gravità diventino piuttosto evidenti. Il paziente che si sottopone all’intervento credendo che questo gli darà la chiave della felicità, dell’eterna giovinezza e il successo istantaneo, difficilmente ne trarrà beneficio. E’ opportuno invece ricordare che l’intento di questo intervento è di arrestare temporaneamente l’effetto della gravità, che però continuerà in maniera progressiva con il tempo.

Il minilift I pazienti che vogliono avere un risultato importante e duraturo, inoltre, non dovrebbero dare importanza al cosiddetto “minilift”, perché ciò impli-

Nessuna eterna giovinezza Da quanto sopra esposto si evince che un lifting del volto richiede un’asportazione parziale e il rimodellamento del grasso del collo e della parte inferiore del volto, nonché lo stiramento del platisma. L’età

Prima e dopo un trattamento anti-età


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ca solo un minimo stiramento di pelle, senza migliorare il platisma o la ridistribuzione del grasso del volto. Un “minilift” dà un “minirisultato”, in quanto anche se si ha un buon risultato immediato, ciò durerà solo mesi invece che anni. Il miglioramento più eclatante con questo intervento lo si ottiene sui tessuti del collo e del volto. Esso invece ha poco effetto sulla fronte e sull’area intorno agli occhi, che sono meglio trattati direttamente con il lifting della fronte e delle sopracciglia o con la riduzione delle palpebre (blefaroplastica). L’intento del chirurgo è quindi di ricreare una linea mandibolare con curve naturali, eliminando gli eccessi di pelle, grasso e muscolo, e di accentuare il normale angolo tra collo e mandibola.

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Intervento e post-operazione L’intervento si esegue in anestesia generale con uno o due giorni di ricovero. Attraverso delle incisioni che passano all’interno del cuoio capelluto e subito dietro all’orecchio, la pelle del volto viene stirata per eliminare le rughe, l’eccesso di grasso viene asportato e il platisma viene sollevato e posto sotto tensione, in modo da fornire un supporto e un contorno migliori. Rimangono delle cicatrici poco visibili, in quanto i 4/5 di esse sono nascoste nel cuoio capelluto o dietro l’orecchio. La prima volta che la paziente si guarderà allo specchio dopo l’intervento sarà sorpresa di vedere un volto giovane, da cui saranno sparite tutte le pieghe principali. Purtroppo questo aspetto molto giovanile dipende in gran parte dal gonfiore postoperatorio e con gradualità le rughe si ripresenteranno, sebbene meno visibilmente. Subito dopo l’intervento è preferibile stare seduti il più possibile durante il giorno e dormire con quanti più cuscini possibile durante la notte. Ciò serve a ridurre il gonfiore più in fretta. Bisogna anche evitare di dormire su di un lato durante i primi 7 – 10 giorni in modo da evitare che un lato del volto sia più gonfio dell’altro. Nei primi due giorni dopo l’intervento i capelli saranno necessariamente poco puliti e ciò provocherà una certa irri-

tazione. Dopo due giorni i bendaggi verranno sostituiti con una guaina apposita, i capelli verranno lavati e si potrà essere dimessi. Si può tornare ad una attività normale a casa fino a quando i punti e la guaina verranno tolti intorno al decimo giorno postoperatorio. Molti pazienti preferiscono rimanere in casa, oppure abbinare l’intervento con una vacanza. A dispetto di un’attenta emostasi (controllo del sanguinamento), c’è sempre una certa quantità di ecchimosi soprattutto al collo, che tende comunque a sparire entro le prime due settimane.

Durante questo periodo è preferibile che i pazienti stiano lontani da un’intensa attività sociale, non solo per dare al volto abbastanza tempo per riprendersi, ma anche per riacquistare sufficienti energie per tornare ad una vita ed occupazioni normali.

Quanto “tiene” un lifting? E’ impossibile dare una risposta precisa, in quanto dipende da vari fattori quali la struttura del volto, lo spessore e l’elasticità della pelle, il grado di esposizione al FINE sole.

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BENESSERE

GINNASTICA

IN ACQUA Fa bene al corpo e alla mente Gli effetti benefici dell'Aquagym, attività fisica piacevole che tonifica la muscolatura ed è un utile rimedio contro stanchezza e stress. Le regole dell’Aquagym

Marco Mastropasqua Responsabile tecnico attività acquatiche Cosmoss Fitness Club Faenza

Nuotare fa bene: lo dicono tutti i medici. Ma è altrettanto salutare muoversi ed eseguire degli esercizi fisici in acqua: lo si può fare a qualsiasi età e anche in presenza di handicap. La ginnastica in acqua, chiamata comunemente Aquagym, disciplina strettamente collegata alla fisioterapia, è spesso utilizzata in molti centri per la riabilitazione con ottimi risultati. E’ proprio dai movimenti della fisioterapia che si é arrivati a una ginnastica in grado di incontrare Ie esigenze di chi desidera curare bene il proprio corpo. Questa attività fisica, piacevole e insolita, ha effetto tonico sulla muscolatura, grazie allo scioglimento di grasso in eccesso, ma e anche un rimedio utile contro affaticamento e stress. 18

La ginnastica in acqua è un insieme di esercizi che, uniti tra loro, portano a risultati soddisfacenti in termini di rassodamento muscolare nei punti più critici del fisico. Questa disciplina si basa sulla resistenza dell’acqua contro le masse muscolari e lipidiche in movimento: grazie allo sfruttamento della sua forza provoca, a contatto con il nostro corpo, benefici massaggi con effetti stimolanti, migliorando la circolazione sanguigna e favorendo Ia riduzione dei depositi di Iipidi e di ritenzione idrica. Per quanto riguarda la prevenzione, questa ginnastica é efficace per contrastare l’insorgere di artrosi, artriti, discopatie e scoliosi. L'Aquagym é adatta per tutte le età e praticabile sia in piscina che al mare. Queste alcune regole fondamentali: durante gli esercizi cercare di mantenere una posizione particolarmente equilibrata; non eseguire con fretta ed approssimazione i movimenti; contrarre sempre gli addominali, in modo da mantenere Ia schiena sempre in una posizione corretta; rallentare il ritmo dei movimenti se comincia ad emergere Ia stanchezza. In media la durata degli esercizi non deve superare i 30 minuti. E' consigliabile iniziare con una leggera marcia in acqua per circa 5 minuti, per praticare l'allenamento già “caldi”, fondamentale per preparare il fisico a un lavoro molto più faticoso. La resistenza che l'acqua esercita sul corpo comporta vantaggi simili a quelli del massaggio. Bastano circa 30 minuti di lavoro, tre volte a settimana, per avere ottimi risultati, e non occorre saper nuotare, in quanto sono previsti anche esercizi in acqua bassa ed a bordo vasca accessibili a tutti.


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BENESSERE In sostanza l’acquagym migliora il tono e l'elasticità muscolare; sviluppa la forza ma senza incorrere nell'ipertrofia muscolare, non sempre gradita soprattutto dalle donne; allunga e modella i muscoli, combatte cellulite e soprappeso, soprattutto grazie all'effetto “idromassaggio” indotto dagli spostamenti dell'acqua durante i movimenti; elimina i gonfiori e rassoda i tessuti; stimola i vasi sanguigni e linfatici, con conseguente miglioramento della circolazione, dell'ipertensione e della ritenzione idrica; cura l'artrosi, grazie alla possibilità di movimenti dolci e non traumatici; e terapeutico per stanchezza e stress.

sioni, l’intensità dell’allenamento. Il risultato è una lezione aerobica mirata ad un consistente consumo di grassi, alla bonificazione di glutei ed arti inferiori, ad un efficace massaggio linfodrenante e ad un salutare lavoro cardiocircolatorio.

Aquabike: attività che coniuga i “prin-

Water Trekking: è un’attività praticata utilizzando un vero e proprio tapis roulant meccanico, creato appositamente per l’ambiente acquatico. La lezione, della durata di 45’, prevede una serie di andature, che si evolvono dalla camminata alla corsa, unite ad esercizi “ereditati” dall’aquagym e dall’aquastep. Le diverse andature su questo attrezzo, cadenzate dal ritmo della musica, determinano, attraverso il gesto tecnico della camminata, e le successive progres-

cipi” dell’indoorcycling con i benefici effetti del massaggio dell’acqua, garantendo miglioramenti sia a livello cardiovascolare, che di dimagrimento. La lezione viene praticata su una bike “statica”, completamente immersa in acqua. Particolari “flap” posti sui pedali, consentono di esercitare una resistenza continua, durante tutto il gesto della pedalata, la cui intensità varia in base alla velocità della musica proposta durante la lezione. Tale variazione comporta un impegno cardiaco e muscolare fondamentale, ai fini dell’allenamento, ed un continuo e costante massaggio benefico sugli arti inferiori aiutando a combattere gli inestetismi della cellulite e della ritenzione idrica. E’ ideale anche inserita in programmi di riabilitazione post trauma o intervento alle articolazioni di anca,

ginocchio e caviglia, poiché consente loro, un lavoro in totale “scarico”, con movimenti guidati e sicuri.

Cross Training: (letteralmente “allenamento incrociato”) è un corso dinamico e divertente, nel quale si incrociano, appunto, diverse attività al fine di raggiungere obiettivi significativi. La continua ricerca di nuove modalità di esercizi, che interagiscono tra loro, consente stimoli allenanti sempre diversi, migliorando le proprie capacità coordinative e condizionali, mediante il reclutamento di catene muscolari sempre diverse.L’obiettivo primario è il raggiungimento di una corretta percentuale di grasso corporeo, il miglioramento della capacità aerobica e del livello di tonicità muscolare. In genere la classe viene divisa in gruppi che si alternano in un “circuito a stazioni”, dove si eseguono esercizi diversi, con attrezzi diversi per un periodo di tempo stabilito dall’istruttore. Questa modalità garantisce il coinvolgimento di una ben definita parte del corpo, andando a costruire, di volta in FINE volta, un allenamento “ad hoc”.

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ALIMENTAZIONE

IL CAVOLFIORE Ortaggio ricco di fibra, ha diverse proprietà nutritive e terapeutiche. E’ un utile antinfiammatorio e antiossidante. E diversi studi hanno dimostrato che può ridurre l’insorgenza di vari tumori.

Valori nutrizionali per 100 gr. di parte edibile di cavolfiore

Dott.ssa

Monica Negosanti

Parte edibile Acqua Proteine Grassi - Lipidi Zuccheri - Glucidi totali Amido Zuccheri solubili Fibra alimentare Calorie Kilojoule

66% 90.5 g 3.2 g 0.2 g 2.7 g 0.3 g 2.4 g 2.4 g 25 Kcal 105 Kj

Sodio Potassio Ferro Calcio Fosforo Vitamina Vitamina Vitamina Vitamina Vitamina

8 mg 350 mg 0.8 mg 44 mg 69 mg B1 (Tiamina) 0.10 mg B2 (Riboflavina) 0.10 mg PP o B3 (Niacina) 1.20 mg A (Retinolo) tracce µg C (Acido L-ascorbico) 59 mg

Dietista Maria Cecilia Hospital Cotignola E-mail: mnegosanti@gvm-vmc.it

Il cavolfiore appartiene alla famiglia delle crucifere, varietà Brassica oleracea. La parte commestibile di queste piante è rappresentata dalle inflorescenze (dette anche rosette) ancora immature denominate pomo, cespo, capolino, corimbo. È un ortaggio tipico dei mesi invernali-primaverili (la produzione si concentra da ottobre a maggio), la cui forma primitiva si suppone originaria dell’Asia Minore, diffusasi poi in Europa a partire dal XV secolo. Sin dai tempi antichi il cavolfiore è conosciuto per le sue qualità sia nutritive che officinali: gli antichi lo usavano come panacea per curare qualsiasi tipo di malattia. Era considerato sacro dai Greci, mentre i Romani lo mangiavano crudo prima dei banchetti per aiutare l’organismo ad assorbire meglio l’alcool. La parte edule del cavolfiore è infatti ricchissima di potassio, vitamina C, A, B2, K e acido folico, oltre che un notevole quantitativo di fibra alimentare.

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Le azioni benefiche L’elevata presenza di fibre rende purtroppo questo ortaggio mal tollerato da soggetti con patologie gastro-enteriche (per esempio la colite, il colonirritabile, ecc) in quanto grandi quantità di cavolfiore possono provocare gonfiore e patologie gastro-intestinali (per esempio la diarrea), anche se, tra tutti i componenti della famiglia dei cavoli, il cavolfiore, per la presenza di acido citrico e acido malico, è il più digeribile. Inoltre è sconsigliato in caso di ipotiroidismo, perché contengono sostanze che rallentano il lavoro della tiroide.


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Questi appena citati sono gli unici aspetti negativi del cavolfiore, mentre le azioni benefiche sono innumerevoli Grazie al suo bassissimo contenuto calorico (25 kcal per etto) e all’abbondante quantità di fibra con potere saziante è molto indicato nelle diete dimagranti. Proprio per l’elevata quantità di fibra, il cavolfiore è indicato anche in caso di diabete, in quanto la fibra aiuta a ridurre l’assorbimento di grassi e zuccheri introdotti con l’alimentazione. L’enorme disponibilità vitaminica aiuta a rinforzare le difese immunitarie ed ha potere antinfiammatorio, antiossidante, antibatterico e antiscorbuto. L’acido folico presente nell’ortaggio, favorisce la produzione di emoglobina quindi è molto utile per chi soffre di anemia.

Il cavolfiore, come anche tutti gli ortaggi appartenenti alla famiglia delle crucifere, ha ben note e sperimentate proprietà antitumorali. Diversi studi hanno infatti dimostrato come un consumo costante e frequente di crucifere sia in grado di ridurre l’insorgenza del cancro alla vescica, al seno, ai polmoni, alla prostata, allo stomaco e al colon-retto. Questa particola-

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rità è dovuta alla presenza in queste piante dei composti isotiocianati, ampiamente accreditati per le loro proprietà antitumorali e alla presenza di antiossidanti (flavoni) e indoli, in grado di contrastare l'azione degenerativa dei radicali liberi. Si tratta di osservazioni particolarmente rilevanti nel contesto dell’alimentazione occidentale, dove il consumo di crucifere è ancora particolarmente ridotto.

Consumatelo crudo Il cavolfiore è un ortaggio delicato, che si deteriora facilmente e perde gran parte dei suoi contenuti con la cottura, per questo è preferibile consumarlo crudo. Si conserva bene in frigorifero fino a cinque-sei giorni, mentre, se lo si vuole congelare, va prima lessato appena (max 2-3 minuti) in acqua bollente con l’aggiunta di qualche goccia di limone. Per evitare che durante la cottura sprigioni tutto il suo odore, dovuto ai composti di zolfo in esso contenuti, è consigliabile mettere all'interno della pentola una fetta di pane con tanta mollica imbevuta di aceto o limone. Piccole curiosità: sembra che il succo di cavolo crudo abbia degli effetti benefici contro: afonia, affaticamento, anemia, influenza, gastrite, ulcera gastrica, rossore degli occhi. Il succo si prepara sminuzzando e frullando con un po’ d’acqua le foglie FINE del cavolo fresco e crudo.

LA RICETTA DEL MESE

PASTA CON cafolfiori e broccoli Leggera e salutare Ingredienti per una persona: 70 gr. di pasta di semola, 60 gr. di cavolfiore lesso, 60 gr. di broccoli lessi, 50 gr. di pomodori maturi, 5 gr. di olio d’oliva (un cucchiaino), 1 peperoncino. Preparazione: lessare le verdure insieme per circa 40 minuti, se avete la pentola a pressione bastano 20 minuti; una volte cotte, schiacciate e amalgamate bene cavolfiori e broccoli, aggiungendo un pizzico di sale. Se volete lasciate qualche broccolo e cavolo intero. Lessate la pasta e, una volta cotta, unite il tutto, aggiungete un pomodoro tagliato a quadretti, il peperoncino piccante fresco e il cucchiaino di olio extra vergine di oliva.

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SALUTE

DEPRESSIONE I sintomi della patologia I segnali che possono rilevare una situazione depressiva sono numerosi, diversificati e talvolta divergenti tra loro. Le alterazioni dell’umore, del sonno, dell’alimentazione e del sesso.

Dott.ssa

Cinzia Cesari

Psicologa e psicoterapeuta Maria Cecilia Hospital Cotignola

Sul piano della valutazione psichiatrica, la depressione è una patologia psichica che rientra nell’ambito di quei disturbi che interessano, alterandoli, il tono dell’umore e dell’affettività. Non esiste un unico disturbo depressivo, ma vari sottotipi classificati a seconda dell’esordio temporale, della ricorrenza delle crisi, della “qualità delle crisi stesse” e dell’associazione con sintomi di tipo maniacale. Può essere diagnosticato come disturbo isolato, come nel caso della depressione maggiore, ma non di rado presentarsi nel contesto di un altro disturbo mentale, ad esempio in concomitanza di un disturbo di ansia, o essere correlato a una patologia organica o ad abuso di sostanze. Può insorgere nelle varie fasi evolutive dell’individuo, anche se i sintomi possono presentare peculiarità specifiche dell’età. Ad esempio, è più facile che la depressione in un bambino si presenti sottoforma di 22

irritabilità, ritiro sociale o lamentele somatiche, piuttosto che di rallentamento psicomotorio o, nell’età anziana, evidenziarsi con alterazioni cognitive riferibili a perdita di memoria, scarsa concentrazione e distraibilità. Può colpire indifferentemente sia le donne che gli uomini, anche se questi ultimi possono tendere a minimizzare i sintomi e non dichiararne la presenza. Le donne, per la maggiore attenzione ai contenuti emotivi e affettivi, e la propensione a riconoscere le proprie fragilità, possono rivelarsi più vulnerabili alla depressione e/o accedere più frequentemente alla richiesta di aiuto specialistico. Di pertinenza esclusivamente femminile è ovviamente la depressione postpartum, riferibile alla condizione patologica, e non fisiologica, che può presentarsi a seguito di questo evento.

La depressione comporta una trasformazione tale che la persona interessata viene descritta come molto diversa da quella conosciuta I segnali che possono rilevare una situazione depressiva sono numerosi, diversificati e talvolta divergenti tra loro. A seconda delle caratteristiche quantitative e qualitative dei sintomi, della loro durata e dell’impatto che determinano nella vita della persona, possono rap-

presentare una normale reazione depressiva a situazioni di stress quotidiano o evidenziare un disturbo sottostante più preoccupante. L’immagine personale, il senso di identità della persona che si ammala di depressione e la percezione che gli altri hanno di lei, può subire una vera e propria trasformazione, tanto che la persona stessa si percepisce o viene descritta come molto diversa da quella che si era soliti conoscere. Con la depressione compaiono, palesi, sentimenti di autosvalutazione e di colpa. La persona tende ad amplificare il significato di eventuali problemi, sentendoli come qualcosa di insormontabile e causa di una propria personale responsabilità; l’individuo comincia a sentirsi incapace di fronteggiare adeguatamente le situazioni, colpevole delle conseguenza che queste possono determinare nei confronti dei familiari. Pessimista verso il futuro, che diventa privo di speranza, si dimostra sempre più incerto nelle azioni e incapace di prendere qualsiasi decisione.


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Senso di inadeguatezza e di vergogna determinano riduzione delle relazioni sociali e ricerca di isolamento L’alterazione dell’umore è la caratteristica fondamentale della depressione, che nelle fasi più acute può manifestarsi come sensazione di un dolore profondo e inesorabile, che può non trovare espressione perché “non si riesce a piangere”. Facilmente il depresso viene descritto o riferisce di essere giù di corda, triste, scoraggiato fino ad arrivare a sentirsi angosciato, disperato, senza speranza. Viene meno ogni slancio vitale e la persona entra in uno stato di anedonia, perdendo la capacità di provare piacere verso le attività che precedentemente lo appassionavano. Il senso di inadeguatezza e vergogna provocato dal proprio stato depressivo e il minor interesse verso l’esterno determinano una significativa riduzione delle relazioni sociali e la ricerca di uno stato di isolamento. Gli stessi familiari possono subire forti frustrazioni per l’inefficacia degli sforzi volti ad aiutare il proprio caro, stimolandolo al contatto con le persone e in attività pratiche. In alcune forme depressive la prevalenza di forti emozioni negative può lasciare il posto ad un vero e proprio appiattimento affettivo e l’alterazione dell’umore presentarsi con indifferenza, impassibilità, incapacità di provare emozioni e sentimenti. Avvenimenti che possono suscitare una certa risonanza nell’ascoltatore, sono raccontati dal depresso in modo neutro e distaccato; le reazioni emotive appaiono inadeguate alla situazione e la persona di fronte a stimoli di vario genere appare apatico, estraneo e distante. L’aspetto del depresso, soprattutto nelle forme più gravi, è abbastanza tipico. Egli può apparire trascurato nell’aspetto e nell’igiene personale, trasandato nell’abbigliamento che privilegia il grigio o i colori scuri. L’individuo appare rallentato nella mimica e nel movimento e più rigido nell’espressione facciale; la voce si affievolisce e il linguaggio diventa monotono, lento, povero di contenuti e scarsa-

mente fluido. Il rallentamento psicomotorio tocca anche i processi di pensiero, determinando difficoltà di memoria, ragionamento e nel mantenere la concentrazione e l’attenzione. Queste stesse difficoltà si possono notare anche in situazioni diverse e nelle quali la depressione si presenta con forte agitazione psicomotoria, che determina nell’individuo irrequietezza, insofferenza, impossibilità a stare seduti, necessità di muoversi in continuazione e di contorcere le mani.

La depressione altera attività importanti come il sonno, l’alimentazione e il sesso Con facilità, un quadro depressivo è connotato da alterazioni del sonno, dell’alimentazione e nell’attività sessuale. L’insonnia, tipica della depressione, è di tipo terminale. Al contrario dell’ansioso, che fatica ad addormentarsi la sera, il depresso ha continui risvegli soprattutto al mattino; incapace di riaddormentarsi, si alza molto presto, con la sensazione di essersi scarsamente riposato. L’utilizzo di sedativi e alcolici con lo scopo di favorire il sonno rappresenta una soluzione solo apparente, poiché tali sostanze alterano il normale ritmo del sonno e degli stadi più profondi. In modo diametralmente opposto si presenta come sintomo depressivo anche l’ipersonnia, per la quale il paziente è incapace di alzarsi e tende a trascorrere a letto molte ore del giorno. In molte situazioni il paziente si sente più depresso e angosciato al risveglio e nelle prime ore del mattino, mentre avverte un lieve miglioramento della sintomatologia col trascor-

rere delle ore; una certa variabilità si può notare nell’alternanza delle stagioni.

Nella depressione è frequente la riduzione dell’appetito Anche il cibo perde di interesse e diventa privo di sapore, tanto che la persona deve sforzarsi per mangiare. Si può verificare un marcato e rapido dimagrimento, fino a raggiungere un vero stato di malnutrizione, che richiede una seria attenzione medica.

In alcuni quadri depressivi, si può verificare l’iperfagia L’aumentata ricerca del cibo e di specifici alimenti, quali dolci e carboidrati, e la riduzione di attività fisica, comporta un eccessivo innalzamento del peso corporeo con comparsa dei disturbi solitamente correlati (ipercolesterolemia, diabete, ipertensione, ecc.).

La riduzione della libido si può presentare nel depresso… …in una fase precoce della malattia; talvolta è la causa originaria della reazione depressiva, piuttosto che l’effetto del disturbo di umore.

I pensieri di morte e l’ideazione suicidiaria Nei quadri depressivi, infine, sono considerati con grande attenzione partendo da un sentimento per il quale la vita viene sentita come un peso e che non vale la pena vivere, il soggetto può arrivare alla messa in atto di vere e proprie condotte autolesive, nel desiderio di porre fine uno stato doloroso percepito FINE come interminabile. 23


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I NOSTRI COLLABORATORI Dott. Andrea Baldisserri Medico-Chirurgo specialista in otorinolaringoiatria E-mail: abaldisserri@alice.it Flaminia Buttazzi Istruttrice Cosmos Fitness Club Faenza Titolare brevetti FIF e FBI per insegnare pilates

Dott.ssa Monica Negosanti Dietista Maria Cecilia Hospital Cotignola

Dott. Pierpaolo Casalini Medico-Chirurgo U.O. Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale di Faenza E-mail: pierpaolo.casalini@gmail.com Dott.ssa Cinzia Cesari Psicologa e psicoterapeuta Maria Cecilia Hospital Cotignola

Claudia Serena Monghini Educatore cinofilo, Ravenna

Dott. Michele Ciani - Osteopata - Fisioterapista Dottore in psicologia presso la clinica Domus Nova di Ravenna e il poliambulatorio Osteolab E-mail: ciani.michele08@gmail.com - www.micheleciani.com Dott. Stefano Costa Eco Istituto Ecologia Scienza e società Via Castellani, 7 - Faenza E-mail: costaest@hotmail.com Dott. Lauro Di Meo Chirurgia Plastica, ricostruttiva ed estetica Ravenna Medical Center E-mail: laurodimeo@libero.it Dott. Edmondo Errani Medico sociale del C.A. Pallacanestro Faenza Terapia antalgica - Studio professionale, via Laghi, 69 - Faenza - Tel. 0546.25010 Dott. Flaviano Jacopi - Specialista in cardiologia e medicina dello sport Direttore sanitario Astrea Medical Center - Faenza E-mail: flaviano.jacopi@fastwebnet.it

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E-mail: mnegosanti@gvm-vmc.it Marco Mastropasqua Responsabile tecnico attività acquatiche Cosmoss Fitness Club Faenza

E-mail: c.serenamonghini@gmail.com Dott.ssa Barbara Pallareti Medico Veterinario specialista in patologia e clinica degli animali d’affezione E-mail: barbara.pallareti@gmail.com Dott. Fausto Pasqualini Galliani Responsbile clinico “Dental Unit” Maria Cecilia Hospital Cotignola Dott. Roberto Salgemini Medico-Chirurgo convenzionato SSN. E-mail: robertosalgemini@alice.it Dott. Maurizio Santarini Medico Veterinario, Ravenna E-mail: maurizio.santarini@gmail.com Dott. Giuseppe Visani Direttore Ematologia e Centro Trapianti Ospedale di Pesaro E-mail: pesarohematology@yahoo.it

LAVORA CON NOI Hai una formazione in ambito medico scientifico e vorresti collaborare con SALUTE 10+? Contatta Multiservice sas - Via A. Gnani, 4 48124 Ravenna - Fax 0544.502495. E-mail: multiredazione@linknet.it


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ODONTOIATRIA

Le moderne tecniche di IMPLANTOLOGIA “Il computer può progettare i vostri nuovi denti con precisione millimetrica, evitando addirittura l’utilizzo del bisturi”

Dott.

Fausto Pasqualini Galliani

Responsabile clinico “Dental Unit” Maria Cecilia Hospital Cotignola

La mancanza dei denti è uno dei problemi odontoiatrici più sentiti nelle persone over 45, sia inteso come handicap nella capacità di masticare, sia dal punto di vista estetico. Grazie all’utilizzo delle tecniche implantologiche più innovative, oggi è possibile eliminare la scomodità della dentiera mobile o la semplice mancanza di un dente. L’obiettivo dell’implantologia è l’inserimento nell’osso mascellare, dove manca il dente, di una radice artificiale chiamata impianto dentale. E’ una piccola vite in titanio che, grazie alle proprietà di biocompatibilità (il titanio non dà alcun rigetto), si fonde con l’osso e diventa un ottimo punto di ancoraggio su cui applicare una corona o un ponte in ceramica. L’utilizzo di un particolare software studiato “ad hoc” consente di progettare l’intervento al computer prima di effettuarlo.

I vantaggi sono importanti sia per il dentista che per il paziente. Con il software è possibile posizionare gli impianti con la massima precisione ed il risultato è ottimale: è come quando si progetta una casa con un software tridimensionale. Dal lato del paziente, nella maggior parte dei casi non ci sono punti di sutura, non si utilizza il bisturi, eliminando così anche il gonfiore e i dolori post-intervento. I tempi di guarigione, inoltre, sono molto ridotti. Infine, a fine intervento è già possibile posizionare i denti “nuovi”, per cui il paziente esce dalla seduta chirurgica che può sorridere. Non bisogna dimenticare che ogni dente svolge un ruolo importante per rafforzare la qualità della mascella e quelli mancanti possono provocare una perdita di densità ossea,

poiché l’osso non viene più stimolato con la masticazione. Inoltre, quando manca un dente, quelli sani tendono a spostarsi verso lo spazio vuoto, a causa della perdita ossea, e ciò influisce sul contatto tra i denti superiori ed inferiori. Pertanto qualsiasi dente svolge un ruolo importante e preserva la salute della mascella. Dunque con l’implantologia, che non ha controindicazioni legate all’età, oggi è possibile programmare un restauro con una protesi fissa, ma possiamo anche stabilizzare protesi removibili preesistenti, opportunità questa, soprattutto per gli anziani, spesso insofferenti alle protesi mobili. In questo modo, rifacendoci alle considerazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che definisce disabilità ed handicap anche la mancanza di denti, si possono offrire molteplici protocolli di intervento anche a persone in età avanzata, che possono riacquistare una buona funzionalità masticatoria e quindi una migliore qualità della vita. FINE

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BENESSERE

Le buone regole per fare sport amatoriale Lo sport è salute, una verità sacrosanta, a patto però che sia praticato correttamente.

Dott.

Edmondo Errani

Medico sociale del C.A. Pallacanestro Faenza Terapia antalgica - Studio professionale, via Laghi, 69 - Faenza - Tel. 0546.25010

Attenzione agli sforzi eccessivi Intanto, se avrete osservato bene questi gruppi, il più delle volte sono molto eterogenei: si va dal giovane di vent'anni più o meno, dal fisico asciutto e dalla muscolatura ben sviluppata, al maturo con pancetta, fino all'anziano di oltre 70 anni. Ora, in questi gruppi si può osservare che di solito i giovani, allenati e scattanti, tirano il gruppo a una velocità sostenuta, mentre in coda arrancano, ma non mollano la ruota, i più anziani, i più pesanti, i meno allenati: costoro sbuffano, si impegnano allo spasimo, ma non mollano, probabilmente perché li spinge l'orgoglio e la voglia di ben figurare, o il timore dello “sfottò” al bar la sera, o anche un agonismo innato che fa loro avvertire meno lo sforzo. E' chiaro che in questi gruppi ci sono persone che “soffrono”, cioè eccedono nello sforzo per 26

restare al passo dei più allenati, ed è evidente che ciò può essere pericoloso. Altro sport amatoriale molto praticato è il podismo, disciplina pure molto faticosa ma che, se praticata correttamente, può solamente arrecare vantaggi al fisico e alla mente. Purtroppo anche qui c'è chi eccede per i soliti motivi, oppure chi partecipa, portandole a compimento, a gare veramente massacranti come può essere per esempio una maratona o una 50 km senza adeguato allenamento e con preparazione fisica approssimativa. Oltre ai danni generali dovuti allo sforzo eccessivo (specie cardiaci), ci sono anche danni specifici di un dato sport: per esempio il ciclismo sembra provochi danni alla prostata, mentre con il podismo è facile incorrere in atriti e artrosi degli arti inferiori e della colonna lombare, tendiniti, contratture; ma questi danni saranno evidenti soprattutto in chi eccede nello sforzo oppure non lo fa in modo corretto (scarso allenamento, alimentazione errata ecc.).

Ognuno vada del proprio passo Dunque questi sport faticosi sono da evitare? Assolutamente no! Bisogna semplicemente capire quali sono i nostri limiti, in base alla corporatura e alla forma fisica, e con una particolare attenzione all'età.

Un atleta anziano deve sapere che anche il suo cuore, i suoi polmoni, i suoi reni, hanno la stessa età anagrafica e quindi non possono sopportare gli stress che potevano tollerare agevolmente qualche anno prima: la muscolatura non è più la stessa perchè le fibre muscolari si assottigliano e si diradano, il recupero dopo lo sforzo è sempre più lungo col passare degli anni, le articolazioni sono meno mobili e i tendini e legamenti meno elastici, e non dimentichiamo mai che come i muscoli e le articolazioni, anche il cuore invecchia, come tutti gli organi.


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BENESSERE Una particolare attenzione poi va riservata all'alimentazione e a un corretto stile di vita: niente fumo e alcool, ritmi regolari sonno-veglia, pasti leggeri e qualitativamente bilanciati.

Le buone regole Quindi, quali sono le regole da osservare nello sport amatoriale? Prima di tutto, calibrare lo sforzo a seconda delle nostre possibilità: come fare? Il cuore è la spia principale dell'efficienza del nostro organismo, per cui occorre sapere di avere un cuore sano (visita cardiologica più elettrocardiogramma); sarebbe bene che ogni praticante sport di un certo impegno fisico si sottoponesse ogni anno a una visita medico-sportiva, con la quale si accerta dell'efficienza del sistema cardio-vascolare e respiratorio. Inoltre sarebbe raccomandabile anche una serie di esami del sangue per valutare l'efficienza dei vari organi, fegato e reni in particolare. Una volta che questi esami e visite ci dicono che siamo “sani”, dobbiamo tener conto di diversi fattori quando ci accingiamo a praticare lo sport: iniziare sempre “piano”, cioè permettere ai muscoli di riscaldarsi prima di sottoporli allo sforzo; non andare mai in affanno, la “fame d'aria” è un segno che abbiamo oltrepassato i nostri limiti; se abbiamo un cardiofrequenzimetro, attenti a non oltrepassare la frequenza-limite,

oltre la quale il rendimento cala e la fatica è eccessiva; se si pratica sport in gruppo, cercare sempre compagni della stessa fascia di età, per non essere spinti ad emulare le prestazioni di chi è molto più giovane; cercare sempre di bere prima di avvertire la sete, perchè quando si ha sete si è già abbastanza disidratati; se la durata della prestazione è notevole, cercare di integrare a intervalli regolari il consumo di energia con l'introduzione di proteine e zuccheri (esistono “barrette” molto utili a tal proposito); gli indumenti debbono essere adeguati alla stagione e alle condizioni meteo, in modo da evitare un eccessivo riscaldamento corporeo, una disidratazione, un’eccessiva perdita di calore ecc.; tener sempre presente che l'agonismo eccessivo non

è salutare, in quanto è uno stimolo alla produzione di adrenalina, che fa male al cuore e fa avvertire in ritardo la fatica, fatto particolarmente dannoso nelle persone di età avanzata. Dunque, sport amatoriale non significa dover andare sempre al limite: quello che serve veramente alla salute è la regolarità, quindi molto bene sarebbe praticare almeno tre volte la settimana, e fare preferibilmente sport aerobico, come appunto podismo e ciclismo, ma dosando sempre lo sforzo a seconda delle proprie possibilità. Ecco, seguendo queste semplici regole, o meglio consigli pratici, si può tranquillamente e a qualsiasi età fare sport, o comunque attività motoria, che mantiene il fisico in buona efficienza, purché lo si faccia con la dovuta correttezza. FINE

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I NOSTRI AMICI ANIMALI

Come affrontare la

leishmaniosi Questa malattia colpisce i cani, portandoli nella maggior parte dei casi alla morte. Ma la trasmissione all’uomo può avvenire soltanto attraverso la puntura di un pappatacio.

Dott.ssa

Barbara Pallareti

Medico Veterinario specialista in patologia e clinica degli animali d’affezione E-mail: barbara.pallareti@gmail.com

La leishmaniosi viscerale canina è una grave malattia sistemica ad evoluzione cronica, dovuta ad un protozoo parassita, la leishmania infantum; è una zoonosi, cioè può trasmettersi dal cane all’uomo, ma non è una malattia contagiosa (la trasmissione non avviene per contatto fra malato e sano). Conduce solitamente gli animali alla morte, dopo una più o meno lunga fase debilitante. Per la trasmissione è necessaria la puntura di un piccolo insetto notturno, il phlebotomus perniciosus, volgarmente detto pappatacio, attivo Pappataci nel periodo estivo, un 28

tempo segnalato in Centro Italia, Sud Italia, isole e Liguria, alle basse altitudini, sotto i 400 metri sul livello del mare. Nel Nord Italia i pappataci sono stati segnalati con una distribuzione a macchia di leopardo in regioni ritenute tradizionalmente indenni come Trentino, Piemonte, Friuli Venezia Giulia e nelle zone collinari dell’Emilia Romagna.

La diagnosi Il periodo di incubazione può variare da un mese a sette anni. Dopo l’ingresso del parassita, il sistema immunitario del cane si può attivare e fermare la leishmania o raggiungere la quiescenza temporanea. Il 25 per cento dei casi è costituito da soggetti asintomatici, la metà risulta avere pochi sintomi quali ingrossamento dei linfonodi associato a dimagramento, astenia (indebolimento) e lesioni della pelle, e un 25 per cento è plurisintomatico, con dermatite furfuracea, ulcere, problemi oculari, onicogrifo-

si (crescita abnorme delle unghie), adenomegalia, dimagramento, anemia, epistassi( sangue dal naso), insufficienza renale, patologie epatiche, ecc. La grande variabilità nelle manifestazioni cliniche è una conseguenza del coinvolgimento del sistema immunitario in risposta al parassita o per danni diretti da parte dello stesso. La diagnosi viene effettuata sulla base del sospetto clinico associata ad indagini di laboratorio. I cani infetti vanno protetti dalle punture dei pappataci, per impedire che trasmettano loro la leishmania attraverso l’uso di repellenti in commercio come collari o fiale spot-on, specificatamente efficaci contro questo particolare insetto.

Le terapie Mentre in campo umano la terapia porta ad una guarigione completa di circa il 96 per cento dei casi, nei cani la percentuale scende drasticamente. Si giunge solo ad una guarigione clinica (regressione di tutti i sintomi, in cui il parassita rimane latente nell’organismo), ma non a guarigione completa e


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costanti sono le ricadute della malattia in forme sempre più gravi e refrattarie ai trattamenti. Se la malattia è diagnosticata all’inizio, quando non sussiste una sintomatologia conclamata e il soggetto ha meno di due anni, con un’opportuna cura a base di composti pentavalenti dell’Antimonio in associazione con allopurinolo, o farmaci alternativi come la Miltefosina, la percentuale di guarigione può anche essere intorno al 40 per cento. Con l’avanzare dell’età, ma soprattutto con la leishmaniosi in stato avanzato, questa percentuale scende variabilmente, secondo i soggetti, dal 5 al 15 per cento.

Non sopprimete il vostro amico fedele A volte il proprietario, dopo che al suo cane è stata diagnosticata la leishmaniosi, messo al corrente della trasmissibilità della malattia all’uomo, soprattutto se l’animale vive in stretto ambito familiare, chiede al medico veterinario come drastico epilogo di compiere l’eutanasia del soggetto ammalato. Per il veterinario questa richiesta non è deontologicamente accettabile, se non ci sono determinate condizioni cliniche, quando la malattia ad uno stadio avanzato conduce ad una grave stato di sofferenza. Dal punto di vista della Salute Pubblica si tratta di una zoonosi, e in Emilia Romagna è una malattia “sorvegliata” con un Piano apposito. Il regolamento di Polizia Veterinaria sancisce che il detentore del cane è obbligato ad adottare le misure precauzionali richieste in caso di malattia infettiva, anche se non esiste un rapporto diretto di contagio tra animale ammalato e uomo. Oggi al nostro amico fedele viene riservato sempre più un importante e giusto posto nell’ambito famigliare. La sensibilità, l’amore e la cultura esigono il massimo rispetto verso gli animali, definiti dalla normativa europea “esseri senzienti” (intelligenti), quindi la massima diligenza e impegno nelle loro cure con le necessarie precauzioni, ma senza morbose ossessioni, seguendo buone pratiche igieniche per la tutela FINE della nostra salute.

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MEDICINA

DONAZIONE degli ORGANI Una terapia insostituibile Il trapianto (di reni, fegato, cuore, pancreas, polmone, ecc.) fa dell’evento morte, vissuto dai parenti del defunto come inaccettabile, un dono pieno d’umanità verso individui sofferenti. Dott.

Pierpaolo Casalini

Medico-Chirurgo U.O. Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale di Faenza E-mail: pierpaolo.casalini@gmail.com

“Senza donazione non ci può essere alcun trapianto! Queste parole fissano un principio scontato, ma l’esperienza di chi, come me, si confronta con la morte di un paziente con tutto il carico umano, professionale e istintivo che questo evento porta con sé, trasforma queste stesse parole in un obiettivo a volte difficile da raggiungere. Molti motivi ostacolano la donazione di organi e tessuti: motivi tecnici, perché la donazione, specialmente di organi, è realizzabile in una limitata percentuale di pazienti che muoiono in Rianimazione; motivi organizzativi, perchè la donazione si inserisce improvvisamente e inaspettatamente con il suo carico aggiuntivo di lavoro in una routine già avviata, che non consente “concessioni” di ulteriori impegni.” 30

Il trapianto, storia e organizzazione Il trapianto di organi inizia sperimentalmente negli anni Cinquanta, progredisce lentamente per alcuni decenni solo in alcuni centri, poi si diffonde rapidamente in tutto il mondo, sorretto dalla scoperta dei farmaci immunosoppressori, che sono in grado di regolare il rigetto e quindi la “accoglienza” nel proprio corpo di un organo proveniente da un altro corpo. Diventa una terapia praticabile ed efficace, che dura nel tempo, sostenibile dalla maggior parte dei pazienti a cui viene proposta. Oggi il Servizio Sanitario Nazionale è in grado, con la rete dei Centri di Coordinamento guidati dal Centro Nazionale Trapianti, di identificare i potenziali donatori presenti nei nostri ospedali, di formare e gestire le lista di attesa, di seguire le procedure di donazione attivate in ogni ospedale ove sia presente un centro di Rianimazione e di coordinare il lavoro nei centri dove si effettuano i trapianti.

Un farmaco senza uguali La donazione è una terapia attualmente insostituibile. Il candidato al trapianto per le malattie di interesse (reni, fegato, cuore, pancreas, polmone, ecc.) non può fare a meno del trapianto stesso, a volte urgentemente. La donazione è l’atto libero con cui si dispone che parti del corpo di un individuo, dopo averne accertata la morte, vengano asportate per essere donate. In poche ore si trasformano quelle parti di corpo (organo o più organi, o tessuti come la pelle, le cornee, le parti di ossa) in un farmaco insostituibile per altre persone. In poche ore si concentrano dal punto di vista tecnico la valutazione di idoneità, di sicurezza, di migliore efficacia possibile di quel farmaco-organo per un ricevente specifico: si realizza cioè quello che per i comuni farmaci avviene in anni di


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studio e test da parte delle ditte farmaceutiche. Ma in poche ore avviene anche un altro formidabile passaggio a carico dei familiari della persona deceduta: la trasformazione dell’evento morte, vissuto come inaccettabile, nel dono pieno d’umanità dell’organo di un congiunto ad altri individui sofferenti che non si conosceranno mai. Tutto ciò avviene con l’accompagnamento di un medico, il coordinatore locale alle donazioni o il curante stesso della persona deceduta, che assume il compito umano, prima ancora che professionale, di dare la cattiva notizia ai familiari e di accompagnarli nelle prime fasi drammatiche del lutto proponendo la disponibilità della donazione. E’ un impegno attivo da parte dei familiari, che potrebbe essere alleggerito se il deceduto avesse già manifestato in vita, anche solo parlandone in casa, o ancora di più manifestando per iscritto la propria volontà al riguardo nelle sedi dell’Ausl o delle associazioni di volontariato come l’Aido: si tratterebbe solo di realizzare questa volontà, e non anche FINE di interpretarla.

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Trapianti, in distribuzione il nuovo opuscolo informativo della Regione Emilia Romagna Come si esprime la volontà a donare? Tutte le persone possono donare gli organi? Quali organi possono essere trapiantati? Come vivono le persone che hanno ricevuto un trapianto? Che cosa sono le liste di attesa per trapianto? Sono alcune delle domande a cui risponde l’opuscolo “Donazione e trapianto di organi, tessuti e cellule... ecco cosa occorre sapere”, diffuso in Emilia Romagna. Realizzato da Regione e Centro Riferimento Trapianti dell’Emilia Romagna, l’opuscolo contiene in allegato il tesserino per esprimere la propria volontà a donare, da conservare tra i propri documenti. Il proprio assenso alla donazione si esprime anche iscrivendosi all'Aido (Associazione Italiana Donatori Organi) o recandosi nelle sedi delle Aziende Usl e delle Aziende Sanitarie autorizzate a raccogliere le manifestazioni di volontà. Per informazioni sulle sedi più vicine

alla propria abitazione, consultare il numero verde gratuito del Servizio Sanitario Regionale 800.033.033, dal lunedì al venerdì ore 8.30-17.30, il sabato ore 8.30-13.30. La struttura dell’opuscolo in domande e risposte è stata scelta per favorire una comunicazione più agevole: la pubblicazione fornisce tutte le informazioni relative alle diverse modalità di esprimere la propria volontà a donare, ai punti informativi, all’attività e all’organizzazione della rete regionale trapianti, alle rigorose procedure di sicurezza. Obiettivo finale è quello informare i cittadini anche sugli aspetti più delicati di questa materia, per esempio sulla differenza tra morte encefalica e coma, favorendo “una scelta consapevole” come quella di donare gli organi. L’opuscolo è reperibile in tutti gli Uffici Relazioni con il Pubblico delle Aziende sanitarie e negli ambulatori dei medici di famiglia.

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Ecomuseo della CiviltĂ Palustre

Comune di Bagnacavallo

MERCATINO DI PRIMAVERA Antiquariato - Modernariato - Collezionismo - Arte - Natura

La soffitta in piazza 2012 Villanova di Bagnacavallo (RA)

Domenica4 MARZO Domenica 1 APRILE Domenica6 MAGGIO Giornata di recupero in caso di maltempo DOMENICA 20 MAGGIO.

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PER INFORMAZIONI Tel. e fax 0545.47122 Gli espositori dovranno presentare domanda entro il mese di gennaio. barangani@racine.ra.it

www.erbepalustri.it


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