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FONDAZIONE GIACOMO MATTEOTTI
Onlus
DISABILITA’ E MEDIA La rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione
RAPPORTO 2012 A cura di Alberto Aghemo
Contributi di Alberto Aghemo, Costanzo Del Vecchio, Paolo De Nardis, Vincenzo Falabella, Simona Galasso, Renata Jiannuzzi, Antonio Leone, Stefania Leone, Gaetano Edoardo Napoli, Salvatore Nasti, Lucy Nicole Papa Caminiti, Chiara Pelaia, Paolo Ribichini, Stefano Trasatti, Angelo G. Sabatini Responsabile scientifico Angelo G. Sabatini Coordinamento ricerca Simona Galasso Coordinamento grafico ed editoriale Salvatore Nasti
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Il progetto Disabilità e media. La rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione del quale il presente Rapporto è parte ha il patrocinio della Commissione italiana dell’UNESCO
Si ringrazia sentitamente la Fondazione Terzo Pilastro - Italia e Mediterraneo che ha cofinanziato il progetto e contribuito alla realizzazione del Rapporto
FONDAZIONE GIACOMO MATTEOTTI Onlus 00197 Roma - Via Alberto Caroncini, 19
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SOMMARIO Premessa 1.1 Il nuovo Rapporto: disabilità e media tre anni dopo 1.2 Dal quanto al come
Il metodo, i fini, le attese 2.1 Come cambia il Rapporto 2012 2.1.1 La selezione di articoli/storie 2.2 Analisi degli articoli di primo livello 2.2.1 Griglia di analisi degli articoli dei quotidiani 2.2.2 Griglia di analisi degli articoli dei siti web specializzati 2.3 Le storie diventano un racconto
Storie di ordinaria e straordinaria disabilità 3.1 Storie di persone, di luoghi, di tempi: un percorso di analisi e di lettura 3.2 Storie di persone 3.2.1 Storia di Samuel 3.2.2 Storia di Alex (Zanardi) 3.2.3 Storia di Manuel 3.2.4 Storia di Paolo 3.2.5 Storia di Laura 3.3 Storie di luoghi 3.3.1 Storia di Riccardo 3.3.2 Storia di Matteo 3.3.3 Storia di Esharef 3.3.4 Una storia di ordinaria follia cittadina: politico buca le gomme a un disabile 3.3.5 Storia di Bernardo (Bertolucci) e di barriere (architettoniche) 3.3.6 Storia di Pierre, autistico scambiato per spacciatore 3.3.7 Storia di protesta: i disabili in piazza 3.3.8 Una storia di strada: i malati di Sla protestano in barella 3.3.9 Storia di una ragazza “carcerata con disabilità” 3.3.10 Una storia dalla rete: si scrive web si legge indipendenza 3
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3.4 Storie di tempi 3.4.1 Una storia del presente: i dati Censis sulla disabilità in Italia 3.4.2 Una storia del (e dal) futuro: O. Ma. R. 3.4.3 Un’altra storia del futuro: come Scott comunica dal coma 3.4.4 Storia di Daniela, che parla con gli occhi 3.4.5 Un altro sguardo dal futuro: Handimatica, la tecnologia al servizio dei disabili
4. Grafici: dati e tavole 5. Hanno collaborato
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6. Atti del Workshop “Rapporto 2012” 6.1 Presentazione di Angelo G. Sabatini 6.2 Alberto Aghemo 6.3 Simona Galasso 6.4 Stefano Trasatti 6.5 Vincenzo Falabella 6.6 Stefania Leone 6.7 Renata Jannuzzi 6.8 Paolo De Nardis 6.9 Costanzo Del Vecchio 6.10 Gaetano Edoardo Napoli 6.11 Antonio Leone
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APPENDICE Rassegna stampa
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7. Conclusioni
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Il nuovo Rapporto
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1. PREMESSA
Il nuovo Rapporto: disabilità e media tre anni dopo
“Disabilità e media. La rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione” torna dopo tre anni con una nuova indagine: il Rapporto 2012. Molte cose sono cambiate in tre anni; troppe non sono cambiate. Ma questo ve lo racconteremo - e documenteremo - in seguito. Per il resto - aggiungendo e togliendo, limando e integrando, modificando e adeguando il metodo di analisi e il range dei soggetti e delle fonti - ci siamo impegnati a riproporre un Rapporto su disabilità e media sempre coerente e sempre diverso. Anche quest’ultimo “Rapporto 2012” intende tenere fede all’impegno proponendo, in un panorama che si conferma comunque mobile ed evolutivo, qualcosa di nuovo, qualcosa di più: uno sguardo più lungo, possibilmente più profondo, sulla realtà della disabilità vista attraverso i media. Abbiamo evocato un panorama mobile ed evolutivo: molte cose, in effetti, sono cambiate da quando, nel 2005, abbiamo iniziato a occuparci del problema e a misurare, contare, monitorare tutto quello che il sistema nazionale della comunicazione faceva (e non faceva) a proposito di disabilità. Erano anni diversi, nei quali ancora si parlava di handicap - parola oramai bandita dal lessico political correct in favore di “disabilità” - al punto che il nostro primo rapporto si intitolava proprio così: Handicap & Media. L’iniziativa ebbe buon successo - almeno tra gli addetti ai lavori - e non si scandalizzò nessuno. Quella ormai lontana ricerca ci diceva cose che già sospettavamo e che ci saremmo ripetuti con crescente fastidio negli anni successivi: la rappresentazione mediatica della disabilità in Italia è inadeguata, modesta, inefficace, parziale, omissiva e, soprattutto, eroica o pietistica. Perché il nodo è proprio questo: il disabile che conquista spazio sui nostri media è, di volta in volta, un eroe - che suscita sussiegosa ammirazione - ovvero un infelice - meritevole della nostra compassione. Superomismo e pietismo sono i punti estremi tra i quali oscilla, da sempre, il pendolo della disabilità a mezzo stampa. 5
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
Ce lo siamo ripetuti, anno dopo anno, Rapporto dopo Rapporto, dal 2005 al 2009, alla costante ricerca di novità che sancissero una nuova cittadinanza della disabilità in Italia, ma la costante discriminazione del “diverso” - a volte eroe, a volte caso pietoso si è consolidata negli anni, come una routine professionale delle redazioni. Eppure le novità non sono mancate, a partire dall’affermazione travolgente, dall’inizio degli anni Duemila, dei new media: internet e social network in primo luogo, che hanno trovato ampio spazio nelle nostre precedenti rilevazioni e che sono significativamente presenti anche in questo ricerca. Ricordiamo - senza spingerci troppo indietro con la memoria e con gli scenari - che il Rapporto 2008 aveva tratteggiato un sistema nazionale della comunicazione che, nel trattare i temi della disabilità, marcava già le tracce di un cambiamento. Si chiudeva, con il 2008, una stagione fortemente innovativa sotto il segno della tragedia di Eluana Englaro e della crescente diffusione dell’informazione in rete. Al di là dell’impatto emozionale, ideale, ideologico - e, quindi, perfettamente mediatico - della vicenda di Eluana, il 2008 aveva segnato, in tutta evidenza, l’emersione di internet quale luogo privilegiato per lo scambio di informazione sulla e per la disabilità. Nel Rapporto 2009, pur terminata l’onda lunga della mobilitazione mediatica (ma anche politica, emotiva, ideologica) sul caso Englaro, abbiamo rilevato con qualche speranza l’emergere di dati nuovi e incoraggianti, pur in un contesto che non si prestava a una lettura univoca ma offriva, comunque, qualche punto di caduta. Tra questi, in primo luogo, un dato quantitativo, di immediata e facile lettura: pur con qualche discontinuità e con diverse indicazioni in controtendenza, il flusso di informazione sulla disabilità sui media era complessivamente cresciuto, ancorché di poco. Si trattava di un dato di particolare interesse per due motivi: in primo luogo, perché era stato rilevato nelle più diverse tipologie di media; in secondo luogo perché seguiva il picco rilevato nel 2008 a traino dell’ “effetto Englaro”. Il secondo elemento che risultava valorizzato dal Rapporto 2009 era il dato “qualitativo”: il trattamento e la collocazione delle notizie sulla disabilità risultavano complessivamente migliorati. Si tratta di un elemento la cui definizione è sempre rischiosa in un’indagine che ambisce al rigore del metodo, alla sistematicità delle rilevazioni e alla confrontabilità 6
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Il nuovo Rapporto
dei dati. Ma l’indicazione fornita dall’analisi “editoriale” delle notizie fu quasi univoca: la collocazione in pagina (per la stampa) ovvero la collocazione in palinsesto (per le emittenti radio-tv) delle notizie sulla disabilità segnava un forte incremento di posizione e di rango. Nell’ultimo Rapporto cambiavano anche, in qualche misura i contenuti, con la netta emersione delle informazioni sul tema “cronaca/famiglia” e con una consistente crescita di un’informazione diffusa sui temi “salute/ricerca”, “scuola” e “normativa”. Restava comunque, sullo sfondo del Rapporto 2009, il senso di un cambiamento avvertibile, ma privo di una direzione. La mappa della disabilità tracciata dai media nell’ultimo trimestre del 2009 risultava incoerente, e ci restituiva della disabilità una fotografia sgranata, un poco “mossa”. E tuttavia il quadro analizzato negli anni appariva complessivamente modificato. Era un segnale, quanto bastava per comprendere il dato complessivo che gli ultimi Rapporti ci hanno consegnato: il segnale che qualcosa è stato fatto. Ma che molto resta ancora da fare. Il punto di fondo, infatti, rimane: i Rapporti realizzati dal nostro Istituto fra il 2005 e il 2009 hanno testimoniato la sostanziale invarianza dell’approccio dei media nazionali al mondo della disabilità, un approccio scandito dal sensazionalismo o dalla pietà, uniti ad una sostanziale insensibilità alle ragioni della “normalità” e della cittadinanza del disabile. Per questo motivo abbiamo battuto, già con il Rapporto 2009, nuove strade euristiche per tentare una lettura originale e prevalentemente qualitativa del fenomeno che sfuggisse alla mera ricognizione dei dati, fossero essi takes di agenzia, articoli di giornale, passaggi radio-televisivi, pagine web. Nell’ultimo Rapporto - lo ricordiamo - fu lasciato ampio spazio ai focus, ovvero ad approfondimenti e a riflessioni critiche “dentro la notizia”. Oggi proponiamo una nuova via e, insieme, un nuovo metodo alla ricerca: la ricerca delle storie - le storie al di là dei fatti e degli eventi della cronaca - storie del mondo e dal mondo della disabilità, lette in sé e, soprattutto, per come i media le evidenziano e ce le raccontano. Poiché, lo ricordiamo, il tema della nostra indagine è sempre “disabilità e media” e oggetto della ricerca continua ad essere la rappresentazione mediatica dell’universo delle persone con disabilità. In quest’ottica, le storie saranno i filtri e le modalità di lettura del Rapporto 2012. Vediamo più avanti come e perché. 7
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
Le altre chiavi di lettura del Rapporto 2012 sono costituite da diversi e fondamentali fattori che segnano e condizionano ogni realtà di disabilità: la famiglia, la scuola, la sensibilità culturale, la politica e le istituzioni, le strutture di servizio, le risorse, sia economiche che umane. Anche quest’anno l’analisi mira a coprire la rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione in un segmento stagionale delimitato, l’ultimo trimestre del 2012, in piena coerenza e continuità con la scelta di metodo fatta per le precedenti edizioni dei Rapporti. Anche quest’anno l’analisi di primo livello delle storie sarà articolata su una griglia tematica che tiene conto dei fattori sopra indicati e li integra con le tradizionali categorie tematiche della nostra ricerca. Anche quest’anno, in conclusione, il Rapporto rileverà sistematicamente, nelle storie di disabilità selezionate dai ricercatori, la presenza di una o più delle “categorie” della rappresentazione dei disabili sui media individuate nei precedenti rapporti, così da permettere un raffronto minimo con essi: scuola (SC); cronaca e famiglia (CF); lavoro (L); risorse economiche (RE); salute e ricerca (SR); mobilità e barriere architettoniche (M); tempo libero e sport (TS); autonomia (A); normativa (N). A queste, come vedremo in modo più approfondito nel prossimo capitolo dedicato all’approccio metodologico, si aggiungerà una categoria inedita, quella della comunicazione (C), che segna un elemento di novità rispetto al passato. Questi, dunque, gli strumenti concettuali, ovvero i fattori attraverso i quali il Rapporto 2012 ha cercato sui media le storie della disabilità e ha analizzato come vengono raccontate. Skill e tools cambiano insomma poco nel Rapporto 2012, ma cambia sostanzialmente l’approccio alla materia, fortemente orientato all’emersione del dato qualitativo delle storie di disabilità, lette attraverso un percorso logico-narrativo che vuole essere anche euristico. Alla luce di questa scelta di metodo l’analisi dei ricercatori risulterà maggiormente orientata - come abbiamo anticipato - alla ricerca di storie di disabili e di disabilità piuttosto che al monitoraggio sistematico dei diversi media che ha prodotto, nel recente passato, risultati ampiamente prevedibili e quindi, in qualche misura, scarsamente significativi. 8
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Dal quanto al come
1.2 Dal quanto al come La direzione del cambiamento offerto dal Rapporto 2012 si può dunque così riassumere: dal quanto al come. Abbiamo scelto di indagare la disabilità sui media in modo inconsueto ma, speriamo maggiormente efficace: avremo meno numeri, meno schede, meno grafici. Rinunciamo ad ogni velleità di dare un carattere sistematico ed esaustivo alle rilevazioni effettuate per il Rapporto. Speriamo, di contro, di avere più storie che ci consentano di cogliere la qualità, lo spirito, la sostanza, la direzione, la novità della rappresentazione mediatica dei disabili. Il campo d’indagine del Rapporto 2012 è dunque prevalentemente orientato sui grandi media, e principalmente sulle vicende esemplari che sono diventate “storie” sulle principali e più seguite testate nazionali. Tra queste abbiamo scelto: Corriere della Sera, la Repubblica, La Stampa, Il Messaggero, Avvenire e pochi altri mezzi, senza escludere siti web specializzati e blog di settore o di portatori di disabilità. Le vie delle storie della disabilità sui grandi media e le tracce parallele delle testimonianze e delle analisi dei ricercatori sono dunque le direttrici del Rapporto 2012. L’analisi quantitativa, pur fortemente ridimensionata, non è tuttavia esclusa dal perimetro della rilevazione. Nelle testate analizzate i riferimenti alla disabilità, gli articoli, le evidenze grafiche ed editoriali e le “storie” sono comunque censiti, contati, “misurati”, anche al fine di consentire una confrontabilità minima dei dati con quelli desunti dai Rapporti precedenti e una valutazione di eventuali trend. Di contro, l’analisi è arricchita da approfondimenti che consentano di tracciare sentieri paralleli alle vicende narrate dai media attraverso il confronto con protagonisti della disabilità, con le loro associazioni, con esperti e con gli operatori sociali. Il progetto “Disabilità e media”, del quale il Rapporto 2012 è soltanto uno step, prevede infatti la presentazione della bozza del Rapporto in un forum aperto agli operatori specializzati e alla stampa - di settore e non - i cui atti confluiranno nella redazione definitiva del Rapporto 2012, arricchendolo ulteriormente di contributi e testimonianze. Tutto questo, va sottolineato, in un contesto che cambia e ad 9
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
elaborare segnali di una mutata sensibilità nei confronti della disabilità. Mentre stiamo licenziando il Rapporto 2012 la televisione - il più efficace ed invasivo del media, appena una poco oggi minacciato, in termini di copertura, dalla rete - ci consegna tracce assai marcate di questo cambiamento: pensiamo alla fortuna di serie televisive quali Braccialetti rossi, che vede protagonisti giovani fortemente segnati dalla malattia e della disabilità, o Hotel 6 stelle, che esalta capacità e impegno di ragazzi affetti dalla sindrome di Down. Non basta: sempre la televisione - forse non a caso la Rai, la tv di Stato, istituzionalmente più sensibile al tema di un’adeguata rappresentazione della disabilità - ci rimanda le “Sfide” sportive raccontate con piglio ed efficacia da Alex Zanardi, che da vera icona della disabilità eroica si è trasformato in testimonial della dimensione “normale” della diversità, in campione della disabilità no limits. E ancora non si spegne l’eco del caso di Giusy Versace, anche lei atleta paralimpica e ballerina, che perde le protesi in carbonio mentre si esibisce in prima serata in una danza scatenata a “Ballando con le stelle”. Proprio per registrare al meglio il senso del cambiamento in atto abbiamo pensato di condividere il Rapporto - e, soprattutto, le sue conclusioni - con gli operatori professionali, con le associazioni, con gli stessi disabili in occasione del Forum che costituisce parte integrante di questo lavoro e di cui troverete ampia testimonianza in queste pagine. Così, nelle nostre intenzioni, il contributo di molti integrerà ed arricchirà il lavoro di base dei nostri esperti e ricercatori lungo un cammino di indagine che si dipana anch’esso come una storia, con un inedito - per noi - passo narrativo. Il Rapporto 2012 vuole essere la storia delle storie di disabilità e vuole marcare una differenza significativa rispetto al passato: la presenza dei diversamente abili sui media di fine 2012 non sarà tanto “contata” quanto “pesata”, ovvero distillata per offrire una traccia sintetica ma altamente rappresentativa del lungo cammino che attende i diversamente abili - anche sui giornali, anche in tv e in rete - verso una diversa normalità. Abbiamo visto che qualcosa sta cambiando: la disabilità sta diventando una presenza che “pesa”. Il processo è lungo, la direzione incerta, gli esiti a volte discutibili ma, comunque, qualcosa sta cambiando. Ed è proprio per intercettare questo cambiamento che abbiamo modificato anche il Rapporto 2012. 10
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Il metodo, i fini, le attese
2. IL METODO, I FINI, LE ATTESE 2.1
Come cambia il Rapporto 2012
Abbiamo anticipato che skill e tools della ricerca sono poco cambiati rispetto al passato: sono piuttosto cambiati l’approccio al tema, la selezione delle fonti, il modo di analizzarle e trattarle, le evidenze euristiche. Del resto, in questo Rapporto si decanta l’esperienza maturata nel corso di un’attività di ricerca che ormai procede dal “lontano” 2005 e che ogni anno si è messa in discussione tentando nuove vie e nuovi strumenti di indagine. Al centro del Rapporto 2012, lo ripetiamo, ci sono le storie: storie di disabilità e di diversità, di conflitto, a volte di lotta, di solitudine e di solidarietà, di scienza e anche di speranza. Un simile approccio non intende – e non può – essere esaustivo o “scientificamente” rigoroso. A noi è sembrato che abbia il pregio dell’evidenza e dell’efficacia espositiva: che riesca, cioè, a tratteggiare -grazie a poche ma qualificate testimonianze- un clima, un orizzonte, un discorso breve ma in qualche misura compiuto. Serve, insomma, a dare un senso e una chiave di lettura ai numeri e ai grafici che costituivano l’ossatura dei precedenti Rapporti. A sottolineare come quest’anno il team di ricercatori abbia condiviso la decisione di un approccio diverso, meno quantitativo e più incisivo, c’è anche la meditata decisione di rinunciare alla consueta analisi dei flussi informativi sulle agenzie di stampa e sui media radiotelevisivi. Le prime sono state escluse, come già nel Rapporto 2009, per una considerazione maturata dall’esperienza della ricerca: nella filiera dell’informazione le agenzie di stampa (“Le macchine dell’informazione” secondo la collaudata ed efficace definizione di Sergio Lepri) fanno sempre -e spesso egregiamente- il loro dovere di cinghia di trasmissione tra la “fonte” e i media. L’entropia del sistema dell’informazione, il progressivo depauperamento dei dati e delle notizie, la perdita di visibilità di temi potenzialmente notiziabili, si manifestano a valle, nel gatekeeping delle redazioni che tagliano, censurano, inesorabilmente cestinano. Quindi: il vero test si fa a valle, a partire dai quotidiani. 11
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
Per quanto riguarda i media radiotelevisivi, dei quali ovviamente non sfuggono l’importanza nel fare opinione e la forte incidenza sulla percezione che della disabilità ha il grande pubblico, non sono presi in considerazione in questo Rapporto 2012 per una questione di ottimizzazione delle risorse e perché si è scelto, per dare pienamente conto della modalità di trattazione della storia, di riprodurre graficamente la fonte: il che è possibile, in un Rapporto che vive soprattutto sotto forma di pubblicazione (il testo avrà anche ampia diffusione on line, in formato Pdf), solo per gli articoli apparsi sulla stampa e per i testi scritti pubblicati sul web, escludendo i documenti audio e video. Delimitato così il campo di indagine, veniamo al metodo ed alla sua applicazione. Il metodo che ci siamo dati prevede che le attività di monitoraggio curate dai ricercatori siano articolate su due livelli: 1) selezione di articoli/storie 2) analisi tematica e semantica Anticipiamo ora, in sintesi, come funziona la ricerca: ecco dunque il backstage del Rapporto 2012. 2.1.1 La selezione di articoli/storie
Sono stati selezionati 20 articoli (inizialmente, in realtà, erano molti di più ma le prime evidenze del monitoraggio sono state ampiamente sottoposte a screening per valorizzare il fattore narrativo), espressione di altrettante “storie”, tratti da testate nazionali e siti web specializzati e blog di settore, così suddivisi: - 16 articoli/storie tratti da alcune delle principali testate nazionali: Corriere della Sera la Repubblica La Stampa Il Messaggero Il Mattino Avvenire Il Fatto Quotidiano L’Unità - 4 articoli/storie tratte da siti web specializzati e blog. Il periodo di riferimento per il monitoraggio è stato il trimestre ottobre-novembre-dicembre 2012, ovvero il medesimo trimestre di riferimento tradizionalmente coperto, per gli anni precedenti, da tutti gli altri Rapporti. 12
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Il metodo, i fini, le attese
Quanto ai criteri per la selezione degli articoli/storie, la cernita è avvenuta sulla base di alcuni criteri di massima predeterminati: • estensione del pezzo; • profili di interesse della storia; • profili di interesse dei protagonisti; • presenza di massima dei fattori individuati dal progetto; • collegamenti con fatti di attualità, rilevanza degli eventi. Un ulteriore affinamento si è imposto, come già nella stesura del Rapporto 2009, ed ha riguardato più strettamente il mezzo giornalistico e la “forma” della rappresentazione. In sostanza, si è trattato di integrare l’utilizzo della griglia tematica con una valutazione analitica di una nuova direttrice lungo le quali distribuire i dati e farli così “parlare”: la rilevanza grafica ed editoriale delle notizie. A queste prime linee di analisi (materia, rilevanza e fonte) se ne è aggiunta un’ulteriore, basata sull’analisi semantico-lessicale, al fine di meglio cogliere il tipo di rappresentazione che del disabile si è realizzata nell’articolo ed è stata quindi offerta alla comprensione del lettore. Si è dunque attribuito rilievo ad un insieme di fattori che possiamo cumulativamente definire “di editing”. La rilevazione e schedatura degli articoli ha quindi tenuto conto, oltre che della griglia tematica e dei fattori di rilevanza, anche di criteri specificatamente editoriali: • natura dell’articolo: articolo firmato; commento; articolo di cronaca; breve; • posizionamento e titolazione: pagina, posizione in pagina, colonne, sommario, sezione del giornale o del sito web (nazionale, cronaca, politica, costume, ed. locale, etc.); • natura della fonte/evento (fatto di cronaca, scoperta scientifica, iniziativa politica, evento sportivo, etc.). 2.2
Analisi degli articoli
Gli articoli così selezionali, lo vedrete già nel prossimo capitolo, sono diventati “storie”. Ma prima che ciò avvenisse è stato necessario, come specificato in precedenza, corredare i singoli articoli di un’analisi quali-quantitativa che rilevasse gli aspetti grafici, giornalistici, iconici, semantici che connotano ciascun “pezzo”. 13
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
Gli articoli selezionati sono stati pertanto analizzati sulla base di due griglie dedicate alle diverse fonti esaminate ovvero, rispettivamente, ai quotidiani e ai siti web. I criteri di definizione delle griglie sono indicati di seguito. 2.2.1 Griglia di analisi degli articoli dei quotidiani
Per ciascuna storia tratta da un quotidiano sono indicati e ordinati: • articolo (titolo, testata, data) • totale battute
A) Variabili quantitative a. sezione in cui compare l’articolo (es. cronaca, commenti, rubrica dedicata o altro); b. posizione nella pagina e rilievo rispetto agli altri articoli (taglio alto, medio, basso; rilievo piccolo, medio, grande); c. spazio dedicato alle immagini (presenza o meno; quante; di che tipo; quale funzione svolgono (descrittiva, evocativa, altro); d. spazio dedicato agli apparati (box, schede, ecc.): presenza o meno, tipologia, ecc.; e. protagonisti dell’articolo (per es. donne/uomini disabili, genitori, amici, figure istituzionali, etc.); f. presenza di una o più delle “categorie” della rappresentazione dei disabili sui media individuate nei precedenti rapporti, così da permettere un raffronto minimo: • scuola (SC); • cronaca e famiglia (CF); • lavoro (L); • risorse economiche (RE); • salute e ricerca (SR); • mobilità e barriere architettoniche (M); • tempo libero e sport (TS); • autonomia (A); • normativa (N). Una novità del Rapporto 2012 è costituita dall’utilizzo, accanto alle nove già elencate, di una nuova categoria: “comunicazione”, ovvero C. Nelle ricerche precedenti il ricorso a tale categoria era sembrato pleonastico, considerato che la comunicazione è, per 14
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Il metodo, i fini, le attese
l’appunto, l’oggetto stesso della ricerca. Ma in alcune delle storie che leggerete il fattore comunicazione si impone in modo autonomo e prepotente, come elemento “soggettivo” della narrazione. Gli articoli in questione, infatti, sono centrati sulle difficoltà di comunicazione del disabile, a volte apparentemente insuperabili, come nel caso del coma. B) Eventuali osservazioni sul lessico: presenza e tipologia di metafore, ecc. 2.2.2 Griglia di analisi degli articoli dei siti web specializzati
Per ciascuna storia tratta da un sito web sono indicati e ordinati • articolo (titolo dell’articolo, denominazione del sito, data di pubblicazione in rete) • totale battute
A) Variabili quantitative a. sezione in cui compare l’articolo (es. home page, commenti, rubrica dedicata o altro); b. posizione nella pagina e rilievo rispetto agli altri articoli (per es. apertura, seconda notizia, terza notizia, colonna, etc; rilievo piccolo, medio, grande); c. spazio dedicato alle immagini (presenza o meno; quante; di che tipo; quale funzione svolgono (descrittiva, evocativa, altro); d. spazio dedicato agli apparati (box, schede, etc.) o a link e/o materiali di approfondimento: presenza o meno, tipologia, etc.; e. protagonisti dell’articolo (per es. donne/uomini disabili, genitori, amici, figure istituzionali, etc.); f. presenza o meno di forme di partecipazione: possibilità di commentare e/o condividere la notizia; forum di discussione; blog, etc.; f. presenza di una o più delle otto “categorie” della rappresentazione dei disabili sui media individuate nei precedenti rapporti, così da permettere un raffronto minimo: • scuola (SC); • cronaca e famiglia (CF); • lavoro (L); • risorse economiche (RE); • salute e ricerca (SR); 15
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
• • • •
mobilità e barriere architettoniche (M); tempo libero e sport (TS); autonomia (A); normativa (N).
Anche in questo caso, ovviamente, si è fatto ricorso alla nuova categoria: “comunicazione”, ovvero C, laddove il fattore comunicazione si impone in modo determinate quale elemento “soggettivo” della narrazione. B) Eventuali osservazioni sul lessico: presenza e tipologia di metafore, ecc..
In conclusione, di ogni articolo/storia vengono presentate nel Rapporto 2012: - una sintesi contenente la descrizione degli eventi raccontati e gli aspetti di interesse; - una riproduzione dell’articolo: - un’analisi sulla base delle griglie precedentemente illustrate. 2.3 Le storie diventano un racconto
In conclusione, anche quest’anno il Rapporto è diverso: abbiamo aggiunto e tolto, modificato e integrato, sempre con l’obiettivo di fare una fotografia il più possibile dettagliata e chiara della “rappresentazione” dei diversamente abili nel sistema mediatico nazionale. Ma alla fotografia abbiamo sostituito una storia, fatta di tante storie, che speriamo risulti chiaramente leggibile nonostante la complessità variegata dell’universo della disabilità e la complessità, non minore, del sistema dei media. Per questo motivo abbiamo cambiato qualcosa nel campione e nel metodo di lavoro e abbiamo contribuito a far emergere elementi di novità che hanno segnato, nel bene e nel male, l’ultimo scorcio del 2012. Per quanto motivo, infine, nel Rapporto le storie sono state ordinate secondo alcuni percorsi coerenti, con la duplice finalità di agevolarne la lettura e di guidarla, evidenziando il senso che è sotteso alle diverse (ma spesso affini) vicende narrate. Il percorso logico diventa così un percorso narrativo, nel quale ogni vicenda è parte di una narrazione corale che dà senso e rafforza 16
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Il metodo, i fini, le attese
sensibilmente il quadro finale, ovvero quella rappresentazione delle persone con nel sistema italiano dell’informazione, la cui analisi è lo scopo di questo Rapporto.
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3. STORIE DI ORDINARIA E DI STRAORDINARIA DISABILITÀ
3.1 Storie di persone, di luoghi e di tempi: un percorso di analisi e di lettura
Eccoci dunque alle storie oggetto del Rapporto 2012. Sono fatti e misfatti di cronaca, testimonianze, vicende, racconti, proiezioni, proteste e speranze che abbiamo voluto ordinare seguendo un filo logico, per renderne più agevole la lettura e per dare un senso al nostro viaggio nella disabilità a mezzo stampa secondo alcuni percorsi coerenti. Sono, in sostanza, storie di persone, di luoghi e di tempi. Storie di persone: al centro di ogni storia c’è la persona, un individuo che diventa simbolo di un cambiamento, della possibilità di una vita nuova, in alcuni casi migliore della precedente (in questo caso le storie diventano exempla); la disabilità come confine tra un prima e un dopo, come un gioco di specchi in cui ogni singola storia ne contiene e ne riflette di nuove, una dentro l’altra. Sono, nell’ordine, le cinque storie di - Samuel (Corriere della Sera del 12 dicembre 2012); - Alex (La Stampa del 30 dicembre) - Manuel (Avvenire del 27 dicembre) - Paolo (Avvenire del 19 dicembre) - Laura (l’Unità, 30 dicembre) Storie di luoghi: al centro di ciascuna storia c’è il luogo, il contesto in cui si sviluppa; i luoghi possono essere fisici e reali (scuola, città, piazza, carcere) o virtuali (il web); l’idea è quella di tracciare una “mappa”, una rappresentazione della disabilità non attraverso le vite delle persone (come nella prima parte) ma nei luoghi in cui queste si manifestano in alcuni momenti. In un certo senso, se nella prima parte facciamo un “campo lungo” (la storia-vita di una persona nella sua totalità), qui facciamo un “primo piano” su una singola scena, su un luogo specifico. Sono, nell’ordine, le dieci storie che parlano di - SCUOLA: la storia di Riccardo (Corriere della Sera del 23 dicembre) e quella di Matteo (la Repubblica del primo dicembre) che raccontano i problemi dei disabili nel mondo della scuola; - CITTA’: dalla storia di Esharef alle prese con un trasporto 18
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Storie di ordinaria e di straordinaria disabilità
pubblico inadeguato (Il Messaggero del 28 dicembre) alla storia di ordinaria follia del politico che buca le gomme dell’auto di un disabile (la Repubblica del 4 ottobre), dalle barriere architettoniche raccontate da Bernardo Bertolucci (la Repubblica del 16 ottobre) alla surreale e drammatica vicenda di Pierre, ragazzo autistico scambiato per uno spacciatore (la Repubblica del 13 ottobre); - PIAZZA: dalla protesta dei disabili in piazza (Il Mattino del primo novembre) alla clamorosa dimostrazione dei malati di Sla (la Repubblica del 22 novembre); - CARCERE: la storia di una ragazza disabile dietro le sbarre (Superando.it del 18 ottobre); - WEB: la rete che diventa opportunità e luogo d’incontro (Il Fatto quotidiano del 15 novembre). Storie di tempi: al centro di queste storie c’è idealmente un diverso orizzonte ovvero l’oggi (la situazione drammatica rappresentata dai dati Censis) e il domani (la speranza data dalla ricerca nel campo della salute e delle nuove tecnologie). Ci è sembrato opportuno (e bello) chiudere il percorso con un rimando al futuro, a un domani in evoluzione positiva. Sono dunque cinque le storie che guardano al presente e al futuro: - PRESENTE: I dati del Censis: l’inquietante fotografia della disabilità in Italia (Quotidiano Sanità del 17 ottobre 2012); - FUTURO: La ricerca scientifica, i ritrovati della tecnica, nuovi orizzonti, nuove speranze (Osservatorio per le malattie rare del 16 ottobre; La Stampa del 14 novembre; Avvenire del 16 dicembre; Redattore Sociale 13 novembre). Per ciascuna storia sono indicati: - la vicenda (abstract dell’articolo); - la fonte, ovvero l’articolo selezionato (riprodotto integralmente per dare conto dell’evidenza grafica); - l’analisi delle variabili quantitative; - le osservazioni sul lessico utilizzato.
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3.2 STORIE DI PERSONE 3.2.1 Storia di Samuel
Un malore improvviso: Samuel perde il controllo della moto, cade, entra in coma. Sei mesi in stato vegetativo, poi il risveglio, la riabilitazione, il ritorno alla vita. Ma è una vita completamente diversa da quella di prima, una storia i cui personaggi sono totalmente cambiati. Samuel non è più il ragazzo che tutti conoscevano; passando dal letto alla sedia a rotelle, è riuscito a rimettersi in piedi ma è diventato un disabile bisognoso di assistenza continua, fisica e psicologica. Il padre non è più un impiegato statale con una vita scandita dai ritmi del lavoro; per assistere il figlio a tempo pieno è stato costretto a licenziarsi, ritrovandosi spesso solo ad affrontare le difficoltà. “A tutte le famiglie di disabili - racconta - succede di essere lasciate sole dallo Stato, ma anche dagli amici, dalle fidanzate, da padri o fratelli che non reggono la situazione e fuggono.” Con il tempo, però, la storia cambia ancora. Samuel ha ancora gravi problemi fisici ma comincia a viaggiare e fare sport. Il padre ha fondato un’associazione per disabili, scrive libri, gira cortometraggi, organizza attività nelle scuole. E’ riuscito a trasformare una storia di solitudine in una storia di relazioni, anche se completamente diverse da quelle di prima. Relazioni estese ad altri ragazzi, disabili come Samuel e, come lui, bisognosi comunque di divertirsi, viaggiare, conoscere. Per il padre del ragazzo arrivano anche riconoscimenti ufficiali, il suo paese natale gli consegna il “Cuore d’oro”. Ma il suo, di cuore, è ancora arrabbiato: “Cosa ti danno se hai un figlio disabile al 100%? – si sfoga. “Ti regalano 10 sedute di fisioterapia da 25 minuti l’anno, 261 euro al mese di pensione e un assegno di accompagnamento, che nel nostro caso è di 480 euro al mese. Lo Stato quasi ogni anno prova a toglierci anche questi.”
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3.2.2 Storia di Alex Amputazione traumatica delle gambe, cinque arresti cardiaci, l’estrema unzione. Ma invece della fine, per Alex Zanardi, campione di F3 e F3000 coinvolto nel terribile incidente sul circuito tedesco del Lausitziring, arriva una seconda vita. E’ il 15 settembre 2001 quando il pilota, come racconta lui stesso in questa lunga intervista, si ritrova all’improvviso “alto poco più di un metro, da un metro e 75 che ero”, ed è tutta un’altra storia. La ripresa non è facile ma possibile, Alex scopre che ci si può rialzare anche se i piedi non li hai più. “A cosa mi servono i piedi se ho ali per volare”, scriveva la pittrice Frida Khalo nel suo diario. E lui torna a volare, in pista, in una vita diversa ma con le stesse passioni di prima. Nel 2005 vince il campionato mondiale turismo, nel 2012 arrivano le medaglie d’oro alle Paralimpiadi di Londra e Alex diventa atleta dell’anno. Il segreto? “Scegliersi un orizzonte e decidere che è quello che vuoi raggiungere”, spiega lui con tranquillità. E senza mai perdere l’ironia, anche davanti alle situazioni più difficili: “Sono un po’ pigro, disorganizzato – risponde quando gli chiedono dei suoi difetti – del resto in famiglia la testa è mia moglie Daniela, io sono le gambe.” Ma non basta, davanti ci sono ancora tanti obiettivi da raggiungere, tante cose da realizzare: “Il Mondiale, qualche gara internazionale, la folle idea di partecipare di nuovo alla Maratona delle Dolomiti, la più bella gara italiana. Il percorso da 55 chilometri l’ho già fatto, ora vorrei buttarmi sui 138.” E poi ci sono l’impegno e la solidarietà, il lavoro in favore dell’associazione “Bimbi in gamba” che il pilota ha contribuito a fondare. Nelle parole di Alex, il passato, il presente, i sogni di ragazzo e le gioie di padre, tutte le immagini della sua vita, quella di prima e quella di adesso, scorrono come le scene di un film, di cui il pilota non vorrebbe cambiare neanche quella più dura: “Se potessi cambiare solo l’esito di quel giorno non lo farei, non credo che accetterei il rischio di essere molto più infelice di quanto sono oggi.”
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3.2.3 Storia di Manuel Manuel De March, 17 anni, affetto dalla sindrome di Down, è un atleta di successo: oltre a praticare nuoto a livello agonistico, gareggia con ottimi risultati nel tiro con l’arco con ragazzi normodotati. Tuttavia, dopo le prime 7 gare disputate nella Federazione italiana di tiro con l’arco, una delibera federale lo esclude da tutte le competizioni perché, secondo il regolamento, solo i disabili fisici possono tesserarsi, norma che esclude le persone con sindrome di Down. La famiglia di Manuel si rivolge, dunque, al Tribunale di Pesaro lamentando una discriminazione, ma neanche in questo modo il ragazzo riesce a trovare giustizia, nonostante le relazioni molto positive dell’allenatrice e della neuropsichiatra della ASL. Secondo il Tribunale, infatti, i regolamenti Fitarco risultano conformi ai criteri del Comitato italiano paralimpico, per cui le persone con sindrome di Down possono gareggiare solo tra di loro, all’interno delle loro federazioni. Dopo la sentenza, tuttavia, la Federazione organizza un torneo riservato ai disabili intellettivi nella città di Manuel, Fano, al quale, fuori concorso, partecipano anche atleti normodotati provenienti da tutta Italia. Un primo evento che fa sperare alla famiglia di Manuel che la battaglia per le pari opportunità sia ancora aperta.
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3.2.4 Storia di Paolo Paolo Guerriero è un ragazzo ventottenne nato con la sindrome di Down, che ha esposto le sue opere d’arte presso la Libreria Rizzoli nella Galleria Vittorio Emanuele di Milano. La mostra s’intitola “Cinque velocissime zampe” ed ha ricevuto commenti positivi da parte di critici come Roberto Mutti e Timothy Verdon, nonché dal Ministro Riccardi, che ha firmato la presentazione del catalogo della mostra. Il fratello Jacopo spiega che, oltre ad avere l’affetto e l’appoggio di tutta la famiglia, Paolo è sostenuto anche da Dario Brivio, che gli ha insegnato a lavorare il legno e nel cui laboratorio Paolo crea le sue opere, dal violinista Michele Gazich, dal batterista Max Varotto, dal cantante Alessio Corini. Il ragazzo, infatti, oltre a creare opere d’arte, canta, suona la batteria e scrive i testi delle sue canzoni, essendo anche un grande ammiratore di Bruce Springsteen. Jacopo racconta, inoltre, che la famiglia da sempre trascorre le vacanze in Toscana, a Bolgheri, dove tutti conoscono Paolo, tanto che il Bar del Paese ha esposto i suoi quadri e lui suona nella banda musicale, oltre a dare il nome all’olio prodotto con le olive raccolte da lui stesso.
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3.2.5 Storia di Laura Laura Coccia è una ragazza di 26 anni, è primatista italiana dei 400 metri, categoria T35 (paralisi grave e spasticità di I grado), ha una laurea in storia contemporanea e parla 4 lingue. Da bambina le avevano detto che non avrebbe potuto camminare, ma grazie ad un insegnante di scuola media è riuscita a scendere dalla sedia a rotelle ed ha iniziato a correre. Laura è anche impegnata in politica, nel circolo del PD del suo quartiere, il Quadraro; voleva candidarsi alle primarie, con l’aiuto del marito e degli amici ha raccolto 14 firme, non abbastanza per la candidatura. Ma lei non si è persa d’animo e si è messa a disposizione della sede provinciale del PD. Inoltre, Laura collabora con il Coni provinciale, andando in giro nelle scuole a promuovere il progetto “il valore dello sport” e l’atletica leggera. Instancabile, ha anche un blog (oltregliostacoli.blogspot.it) in cui chi la conosce (tra gli altri, Andrew Howe, Fabrizio Donato, Pietro Mennea, Marzia Caravelli) racconta chi è Laura e la sostiene. Le avevano proposto di partecipare alle olimpiadi di Pechino in carrozzella, ma lei ha rifiutato e, siccome sarebbe stata l’unica nella sua categoria, è stata esclusa. A Laura avevano anche proposto di trasferirsi in Germania, ma lei, che ama l’Italia, ha rifiutato perché, dice, “qui vale la pena di combattere per un futuro migliore”.
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STORIE DI LUOGHI
3.3.1 Storia di Riccardo
Abbassare il tono della voce, parlare lentamente, non spalancare le finestre, piccole regole di convivenza quotidiana scritte su un foglio e distribuite in decine di copie ai ragazzi di una scuola superiore. E’ il piccolo decalogo preparato dalla madre di un ragazzo autistico per i compagni di classe di suo figlio Riccardo, che ha quindici anni e tanta voglia di comunicare con i suoi amici. E allora l’idea, quella di comunicare come comunicare, partendo dalla consapevolezza che i problemi di convivenza dei ragazzi autistici non nascono solo dalla diffidenza degli “altri”, ma anche dalla loro difficoltà a capire quale sia il modo migliore di comportarsi. Per questo la prima regola è una sorta di presentazione, di carta di identità: “Sono un bimbo solo, perché il mio autismo mi impedisce di comunicare e sono molto triste perché anche io vorrei giocare e parlare con te”. Mentre la seconda spiega qual è il “problema”: “Per me è impossibile guardarti negli occhi e non riesco a rispondere ad una tua domanda. Le mie risposte sono dei movimenti impercettibili.” Da qui le regole, o meglio piccoli suggerimenti su come parlare, muoversi, comportarsi, per entrare in relazione con quel compagno che ha la tua stessa voglia di comunicare ma la può esprimere in un modo molto diverso dal tuo: “Parlami lentamente con frasi brevi e con parole facili, tutto mi arriva rallentato e, se non capisco, aiutami. Trasformati in un mimo che racconta le storie con le mani e con la faccia.” E ora i ragazzi ci pensano prima di gridare o di spalancare all’improvviso una finestra. Ed era quello l’obiettivo, farli “pensare”, sviluppare in loro attenzione e sensibilità, non solo verso le lezioni, ma verso gli altri, “per migliorare la scuola – dice la madre di Riccardo – ma anche per incoraggiare le famiglie che si sentono sole”. 37
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3.3.2 Storia di Matteo Annamaria è la mamma di Matteo, un ragazzino dodicenne gravemente disabile. Spesso riceve chiamate dalla scuola e viene fermata per strada dai genitori dei compagni di classe del figlio, i quali minacciano di non mandare più i bambini a scuola finché Matteo sarà in classe con loro. Il problema è che, quando manca l’insegnante di sostegno, il bambino urla, canta, ride in aula e distrae i compagni. Inoltre, il pullman che dovrebbe accompagnare e riportare a casa Matteo c’è solo 3 giorni a settimana, gli altri giorni è Annamaria che provvede. Sono tanti i ragazzi disabili che, come lui, sono penalizzati dai tagli indiscriminati degli ultimi anni, che hanno inciso sui servizi e sulla presenza degli insegnanti di sostegno. Tuttavia, i compagni di classe di Matteo raccontano un’altra versione della storia, sostenendo di essersi ormai abituati alla sua presenza in classe e di ritenere giusto che lui resti in classe con loro tutto il tempo; in realtà, dicono questi ragazzi, sono i genitori a lamentarsi della situazione e, in alcuni casi, anche gli insegnanti. Secondo alcuni docenti, infatti, non sarebbe compito loro occuparsi dei ragazzi disabili e far loro da “insegnanti di sostegno” . Questi ragazzi, sostiene un dirigente scolastico, dovrebbero fare dei percorsi specifici in posti dedicati solo a loro; ciò significa, nella realtà italiana, che gli studenti disabili si ritrovano a far lezione con i loro insegnanti di sostegno negli scantinati, nelle palestre e persino nei bagni. Annamaria dice che suo figlio è “arretrato”, ma forse, invece, lo è questo mondo che lo rifiuta.
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3.3.3 Storia di Esharef Si arriva alla stazione degli autobus, si individua il mezzo che va a destinazione, si sale, si parte. Comincia così, ogni mattina, il viaggio di centinaia di pendolari che da Roma devono recarsi a Genazzano, quasi sempre per lavoro. Di centinaia di pendolari tranne uno, Esharef, cittadino italiano di origini libiche, costretto su una sedia a rotelle da una invalidità totale del 100%. Lui, a Genazzano, non può andare, perché, come gli comunica al telefono l’operatore dell’azienda Cotral che gestisce il trasporto pubblico extraurbano della regione Lazio, “Non sono disponibili mezzi idonei ai disabili non deambulanti.” Non sono disponibili ma dovrebbero esserlo, deve aver pensato Esharef, che ha così cominciato una battaglia per la messa a norma dei mezzi del trasporto pubblico. Una battaglia finita in tribunale, durata un anno e mezzo e vinta dal disabile. Il giudice ordina a Cotral di montare le apposite pedane che rendono gli autobus accessibili anche a chi è costretto a muoversi su una sedia a rotelle; pedane la cui mancanza, secondo il ricorso presentato dai legali di Esharef, aveva leso la sua autostima, costringendolo “ad umiliarsi mendicando l’aiuto dei passanti per salire sul mezzo.” Ma neanche la sentenza della prima sezione civile del tribunale di Roma – poi confermata in secondo grado – compie il miracolo. Le pedane non sono state ancora montate e soltanto un autobus extraurbano su dieci è equipaggiato per i tanti Esharef della regione Lazio. “Ci stiamo attrezzando” dice il Presidente del Cotral. E il fatto che i mezzi avrebbero dovuto già essere omologati in base alla legge numero 104 del 1992 e con la ratifica del 2009 della Convenzione Onu sui diritti dei disabili, sembra essere un dettaglio trascurabile.
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3.3.4 Una storia di ordinaria follia cittadina: politico buca le gomme a un disabile Antonio Piazza è Presidente dell’Aler di Lecco, dimissionario perché ha tagliato le gomme all’auto di un disabile. Lui si giustifica dicendo che è stata solo “un’incazzatura”, che poi ha chiesto scusa ed ha anche provveduto a pagare il cambio delle gomme. Costretto alle dimissioni ed espulso dal PdL, Piazza continua a sostenere di essersi sempre comportato correttamente. In realtà, lui stesso ammette di aver parcheggiato per tre anni in un posto riservato ai disabili, sotto il suo ufficio; il 28 agosto, però, dopo di lui arriva Giuseppe Scuderi, un invalido inquilino dell’Aler, il quale, trovando il posto occupato, chiama i vigili urbani. Mentre questi provvedono a fargli la multa, Piazza si precipita in strada ed inveisce contro di loro, ma alla fine è comunque costretto a spostare la macchina. A quel punto Scuderi può parcheggiare. Trascorsa mezz’ora, Piazza si vendica, non sapendo di essere ripreso da una telecamera di sorveglianza: estrae un coltello e taglia le due ruote all’auto del disabile. Non contento, l’ex Presidente fa anche ricorso contro la multa, sostenendo che stava accompagnando un disabile e allegando un pass per il trasporto disabili scaduto; le prove delle sue affermazioni non ci sono e il ricorso viene respinto prima facie.
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3.3.5 Storia di Bernardo (Bertolucci) e delle barriere (architettoniche) Il regista Bernardo Bertolucci, disabile in sedia a rotelle, si rivolge al sindaco di Roma Gianni Alemanno dal blog “Diversamente affabile”, denunciando la non accessibilità ai disabili del Campidoglio come una mancanza di rispetto e una porta sbattuta in faccia a turisti e romani. Dal canto suo, il sindaco respinge le accuse, sostenendo che in realtà gli accessi ci sono e scusandosi per la mancata informazione; le vie accessibili a cui fa riferimento Alemanno, tuttavia, si trovano dal lato della Terrazza della Caffarella, lontano dalla piazza, in quanto le pedane in legno (che sarebbero la soluzione più semplice) non sono consentite per vincoli storico-architettonici. Il regista riferisce di essersi recato in Campidoglio per un matrimonio e, alla vista dei due gradini d’ingresso alla Sala Rossa, di aver chiesto se ci fosse una rampa; il personale, chiarito che l’attrezzatura non c’era, hanno sollevato di peso Bertolucci, davanti agli altri invitati. Bertolucci racconta che, pur viaggiando in tutto il mondo, in altre città come Londra e New York non ha mai avuto i problemi di mobilità che si verificano a Roma e che costringono molti disabili a dover restare chiusi in casa. La condizione di disabilità è stata un’esperienza nuova e difficile per il regista, anche se, dopo un primo periodo di “clausura”, ha ritrovato la normalità ed ha firmato un nuovo film. Lo sfogo verso Alemanno, dice Bertolucci, serve anche a dare voce a chi vive la sua stessa condizione, ma non ha la possibilità di farsi sentire. A queste persone il regista raccomanda di non arrendersi né vergognarsi, ma di trovare il coraggio di denunciare la mancanza di sensibilità e lottare per i propri diritti.
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3.3.6 Storia di Pierre, autistico scambiato per spacciatore Pierre è un ragazzo autistico, nato in Italia da genitori originari della Costa D’Avorio e del Camerun. Il 22 settembre esce con la madre per fare la spesa ma, sulla via del ritorno, si allontana e la madre lo perde di vista. Allarmata, la signora chiama il marito e la polizia: Pierre viene ritrovato in ospedale, in cui è stato sedato e, in quanto sospetto spacciatore, sottoposto a radiografia del torace e dell’addome in cerca di eventuali ovuli di stupefacenti. Lo stesso medico di guardia del Pronto Soccorso, nel redigere il referto, esprime perplessità sui sospetti dei poliziotti che lo hanno portato in ospedale (tanto che aggiunge alla frase quattro punti interrogativi). I genitori, una volta arrivati, lo trovano sedato e con la flebo ancora nel braccio; il giorno dopo, Pierre ha una reazione allergica ai farmaci che gli sono stati somministrati e si rifiutava di uscire di casa, spaventato e confuso. Il medico che lo ha in cura sostiene che il rischio sia di perdere tutto il lavoro ed i progressi fatti in anni di terapie e pone un interrogativo: Pierre è stato sospettato di essere uno spacciatore perché non sa comunicare o per il colore della sua pelle? La famiglia ora prepara la denuncia contro i poliziotti ed i medici, ma non può far altro che prendere atto del fatto che Pierre, spaventato, si rifiuta di uscire di casa ed ha perso le capacità relazionali faticosamente acquisite.
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3.3.7 Storia di protesta: i disabili in piazza Marco, Toni, Gennaro sono solo alcuni dei tanti rappresentanti di associazioni di disabili e di istituzioni locali che dalla Campania si sono riuniti davanti a Montecitorio in un sit-in di protesta contro i tagli ai servizi sociali. Spesso sono anche padri di quei ragazzi portatori di handicap che ogni giorno devono sostenere e aiutare ad affrontare i mille problemi di una vita quotidiana resa ancora più difficile dalla mancanza di fondi e dall’indifferenza della politica. E davanti a questa politica che ha deciso di azzerare il fondo per la non autosufficienza, i tanti Marco, Toni e Gennaro vogliono far sentire la propria voce, far ascoltare le proprie storie, rappresentare un mondo che per loro si riduce in una quotidiana condanna. E così, mentre al suono dei tamburi montano una finta ghigliottina, e mentre un finto boia cala una finta scure, loro raccontano le vere storie di una quotidianità che ogni giorno li condanna al patibolo. Come quella di una ragazzo autistico che è riuscito ad avere un insegnante di sostegno solo dopo un provvedimento della magistratura, o quella di un bambino epilettico al quale la scuola non è in grado di assicurare personale autorizzato a somministrare farmaci specifici. “E’ la politica che condanna i disabili”, accusa il presidente di una delle associazioni presenti. Il problema, infatti, è sempre lo stesso, mancano i fondi. Secondo la Federazione italiana per il superamento dell’handicap, tra il 2008 e il 2013 il fondo per le politiche sociali è passato da 2526 a 200 milioni di euro, mentre quello per la non autosufficienza risulta azzerato dal 2010. “Uno stato sociale povero per i più deboli”, attaccano le associazioni, “una condizione inaccettabile” che i manifestanti ricordano indossando t-shirt con la scritta: “Basta rovesci sui nostri diritti”.
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3.3.8 Una storia di strada: i malati di Sla protestano in barella Il Governo Monti, che ha risollevato l’immagine dell’Italia, dovrebbe riflettere sul danno d’immagine che deriverà dalla protesta che ha visto malati di SLA in barella scendere in piazza per chiedere di non tagliare il finanziamento del Fondo per la non autosufficienza, che dà un supporto economico alle famiglie che assistono queste persone. Si trattava di trovare circa 200 milioni di Euro e le rassicurazioni di un rappresentante del Governo sul fatto che i soldi sarebbero arrivati giungono solo dopo la manifestazione in piazza degli stessi malati, lo sciopero della fame e le minacce di suicidio. In un momento di crisi, infatti, se c’è qualcosa a cui bisogna rinunciare non si tratta certo dell’assistenza, che riesce a dare un minimo si supporto al malato ed alla famiglia. A fronte di tali considerazioni, viene da pensare a chi, come Welby, non può scegliere di mettere fine alle proprie sofferenze, dovendo continuare a vivere con un’assistenza che diventa sempre più precaria.
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3.3.9 Storia di una ragazza “carcerata con disabilità”
Una ragazza viene fermata dalla polizia con alcune dosi di cannabis, arrestata per detenzione di stupefacenti, chiusa in cella per due notti e processata per direttissima. Succede a Roma, in una serata come tante. Lei, però, non è una ragazza come tante. Ha 25 anni e una malattia che le compromette seriamente l’uso delle gambe, una neoplasia scheletrica, l’emimelia bilaterale agli arti inferiori (lo stesso problema di Oscar Pistorius), costringendola a camminare sempre con le stampelle tra dolori che spesso i farmaci tradizionali non riescono ad alleviare. Da qui la scelta della cannabis, “la sostanza con cui mi sono trovata meglio nel rapporto benefici-effetti collaterali”, racconta lei stessa in una lettera ai media in cui riferisce la sua storia. “Non voglio nascondermi dietro la disabilità per evitare di essere sanzionata – scrive la ragazza - ma avrei voluto che si tenesse conto delle mie condizioni, cosa che non è stata fatta.” I problemi cominciano non appena varcata la soglia della caserma in cui viene portata. La cella in cui passa la prima notte è sporca e maleodorante, nonostante sia evidente a tutti che la gamba è ingabbiata da un fissatore esterno circolare e abbia delle ferite aperte. Deve discutere non poco per non farsi portare via le stampelle e per il “lusso” di poter utilizzare il bagno con il water anziché quello alla turca. E la seconda notte in cella di sicurezza è anche peggiore della prima, lontana dal gabbiotto dei piantoni che, se chiamati per qualche necessità, ridono fingendo di non sentire le sue grida. E alle sue rimostranze, come la mancanza di bagni per disabili, le viene risposto che è lei ad essere in torto, che è solo colpa sua se si è ritrovata in quella situazione. “È vero, ho sbagliato e devo pagare – scrive la ragazza - ma a questo punto mi pongo il problema del trattamento dei disabili in carcere, che c’è, è estremamente sommerso e non viene mai preso in considerazione da nessuno.” Per scrivere la sua storia, la giovane disabile ha dovuto superare una barriera ben più grande di quelle architettoniche di cui la sua strada è ogni giorno costellata, quella del pudore. “Mi vergogno un po’ a raccontare questa cosa, ma è un problema serio e non penso che vada sottovalutato, anche se mi rendo conto della sua estrema complessità». 62
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Una notte da “carcerata con disabilità” a cura di Simone Fanti
«È vero – scrive una giovane con disabilità, detenuta per una notte in un carcere ben lontano da qualsiasi concetto di accessibilità – ho sbagliato e devo pagare, ma il problema del trattamento dei disabili in carcere c’è, e non viene mai preso in considerazione da nessuno. Si tratta pur sempre di esseri umani e di persone con specifiche necessità, che non possono essere “prese e buttate” in strutture non adeguate, solo perché hanno commesso dei reati» Carceri italiane sovraffollate, vecchie, carenti… non è una novità. E tra gli oltre 66.000 ospiti delle strutture penitenziarie ci sono anche 78 persone con disabilità (fonte: Ministero della Giustizia, aggiornamento al 15 ottobre 2012). Solo due le donne. Sempre stando ai dati del Ministero, la disponibilità di celle attrezzate copre fino a 98 persone (compresi i non autosufficienti), suddivise in 19 istituti di detenzione. Detto così, sembra che il modello italiano funzioni. Ma solo sulla carta. Perché, ad esempio, non tutti i commissariati delle forze dell’ordine sono accessibili. Difficile accedervi per fare qualche denuncia, difficile trascorrervi la notte se si delinque. La vicenda che raccontiamo è accaduta a Roma qualche settimana fa. Anzi, la racconta direttamente una ragazza con disabilità arrestata qualche settimana fa. Niente nomi, ovviamente, d’intesa con la ragazza, solo la storia. E qualche riflessione preventiva. Il tema non è quello della cannabis terapeutica, che in qualche Regione è in fase di sperimentazione, ma proprio quello riguardante le 63
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Rapporto 2012 - Disabilità e media carceri e la disabilità. «Ho 25 anni e sono nata disabile: sono nata con una neoplasia scheletrica, l’emimelia bilaterale agli arti inferiori (per intenderci lo stesso problema di Oscar Pistorius). Fortunatamente, sia per il buonsenso dei miei familiari, sia per la competenza di certi medici, sono riuscita, attraverso molti dolorosi interventi (il primo a 14 mesi), a recuperare le mie “zampette” e a poter camminare. Dopo una pausa nella fase adolescenziale, da circa due anni ho cominciato nuovamente un ciclo di interventi e quindi mi sono ritrovata a dover stampellare. Scrivo perché sono indignata e arrabbiata e vorrei che questo fatto venisse alla luce, perché è davvero una vergogna. Si parla di carceri sporche, sovraffollate, ma non del fatto che siano inaccessibili. Ebbene sì, sono stata, per una notte, una “carcerata con disabilità”. Sono stata arrestata per detenzione di stupefacenti. Il medico per i dolori mi dava Tachidol e Valium e io tra i due farmaci ho scelto la cannabis… può non essere una posizione condivisa, ovviamente, però è la sostanza con cui mi sono trovata meglio nel rapporto benefici-effetti collaterali. Non voglio nascondermi dietro la disabilità per evitare di essere sanzionata, ma avrei voluto che si tenesse conto delle mie condizioni, cosa che non è stata fatta. Ho passato una notte in una cella sporca e maleodorante, e questo nonostante la gamba fosse ingabbiata da un fissatore esterno circolare Ilizarov: avevo delle ferite aperte. La situazione igienica era tale che la mattina dopo il Maresciallo mi ha detto di ringraziarlo di non avermi mandato nelle infermerie del carcere, perché sono molto più sporche. Mi sono state tolte le scarpe, per via dei lacci, e mi avrebbero portato via anche le stampelle e l’elastico della tuta se non avessi protestato. L’unico bagno disponibile era quello alla turca e ho dovuto discutere non poco per poter utilizzare l’unico con il water di tutta la caserma, sempre diligentemente accompagnata da tre piantoni, casomai decidessi di mettermi a correre per scappare. Ovviamente con le stampelle… Il giorno dopo mi hanno rimesso in cella di sicurezza in attesa del processo, lontana dal gabbiotto dei piantoni e quando li chiamavo per qualche necessità, sentivo che ridevano e mi ignoravano, fingendo di non sentire le mie grida. Come se non bastasse, la mattina dopo – durante il processo per direttissima – sono stata umiliata fortemente per la mia disabilità… dal giudice e dal pubblico ministero, che mi hanno denigrato perché in queste condizioni non mi è possibile lavorare (o meglio, non trovo lavoro da nessuna parte, anche se lo desidero molto). Figurarsi se hanno prestato attenzione alle mie rimostranze, come il fatto che non esistevano bagni per disabili nelle strutture in cui mi hanno detenuta. Mi è stato detto che sono in torto e che se mi sono ritrovata in quella situazione è solo colpa mia. È vero, ho sbagliato e devo pagare, ma a questo punto mi pongo il problema del trattamento dei disabili in carcere, che c’è, è estremamente sommerso e non viene mai preso in considerazione da nessuno. Si tratta pur sempre di esseri umani e di persone con specifiche necessità che non possono essere “prese e buttate” in strutture non adeguate, solo perché hanno commesso dei reati. Mi vergogno un po’ a raccontare questa cosa, ma è un 64
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Storie di luoghi problema serio e non penso che vada sottovalutato, anche se mi rendo conto della sua estrema complessità».
Il testo, riproposto da superando.it con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, è stato pubblicato da “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Sono finita in un carcere… inaccessibile”. Viene qui ripreso per gentile concessione dell’Autore e del blog. 18 ottobre 2012
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3.3.10 Una storia dalla rete: si scrive web, si legge indipendenza Internet e le associazioni dei diritti dei disabili sono gli unici mezzi grazie ai quali molte persone con disabilità, che al momento vivono in strutture private o a carico delle loro famiglie, possono conoscere la possibilità di vivere una vita indipendente. Proprio questo – vita indipendente – è il nome di una forma di assistenza che consente alla persona disabile di ricevere direttamente i sussidi e gestirli in modo autonomo. Mentre questo tipo di progetti è molto diffuso in altri Paesi e nonostante sia previsto nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, in Italia le iniziative al momento attive sono meno di mille. Eppure l’attivazione dei progetti di vita indipendente consentirebbe allo Stato di risparmiare rispetto all’attuale sistema di Rsa, cliniche e strutture convenzionate. Lo conferma il racconto di Claudio Savoldi, che grazie al sito dell’European Network on Indipendent Living ha scoperto questa possibilità ed è riuscito ad organizzare un progetto di vita indipendente, uscendo dalla struttura in cui si trovava ed andando a vivere da solo. A fronte di un costo per lo Stato di 6700 euro al mese quando si trovava ricoverato, oggi Claudio riesce a gestire la sua casa e l’assistenza di cui ha bisogno con 2300 euro. Nella struttura in cui era ricoverato, spiega Claudio, almeno dieci persone su trenta avrebbero potuto intraprendere una vita indipendente, se solo qualcuno li avesse informati della possibilità.
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Storie di tempi
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STORIE DI TEMPI
3.4.1 Una storia del presente: i dati Censis sulla disabilità in Italia
Secondo i dati di una ricerca effettuata dal Censis sui bisogni delle persone con disabilità, l’Italia spende solo 438 euro pro-capite annui, a fronte di una media europea di 531 euro (in Francia si arriva a 547 euro, in Germania a 703, nel Regno Unito a 754; solo la Spagna fa registrare una cifra inferiore a quella italiana, con 395 euro per abitante all’anno). Sulla base degli ultimi dati disponibili, il modello italiano rimane fondamentalmente assistenzialistico, con la maggior parte delle responsabilità di cura assegnate alle famiglie; il nostro Paese, inoltre, è ancora molto indietro in materia di inserimento lavorativo dei disabili: ad esempio, meno di una persona Down su 3 lavora dopo i 24 anni e il dato scende al 10% tra gli autistici con più di 20 anni. A fronte di ciò, bisogna considerare che l’INPS eroga complessivamente circa 26 miliardi di euro all’anno sotto forma di misure di sostegno a chi ha capacità lavorative limitate. Anche sul fronte dell’inclusione scolastica le risorse messe in campo dall’Italia appaiono inadeguate: se, da un lato, le scuole speciali dedicate ad alunni con problematiche sanitarie complesse sono poche, le ore di sostegno garantite ad ogni alunno con disabilità diminuiscono con l’aumentare dei tagli alla spesa pubblica. Basti pensare che, nell’anno scolastico 2012/2011, il 10% delle famiglie dei ragazzi disabili si è rivolto alla magistratura per chiedere un aumento delle ore scolastiche di sostegno.
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17 OTT - La protezione sociale delle persone con disabilità nel nostro Paese segna il passo: con 438 euro pro-capite annui, le risorse italiane sono molto al di sotto della media dei Paesi dell’Unione europea pari a 531 euro. In Francia si arriva a 547 euro per abitante all’anno, in Germania a 703 euro, nel Regno Unito a 754 euro, e solo la Spagna (395 euro) si colloca più in basso del nostro Paese. Ancora più grande è la sproporzione tra le misure erogate sotto forma di benefici cash, ossia di prestazioni economiche, e quelle in natura, ossia sotto forma di beni e servizi. In quest’ultimo caso il valore pro-capite annuo in Italia non raggiunge i 23 euro, cioè meno di un quinto della spesa media europea (125 euro), un importo lontanissimo dai 251 euro della Germania e pari a meno della metà perfino della spesa rilevata in Spagna (55 euro). È questa la fotografia scattata da una ricerca promossa dalla Fondazione Cesare Serono e realizzata dal Censis sui bisogni delle persone con disabilità che ha confrontato l’offerta di servizi per cronici e disabili della sanità italiana con quella degli altri Paesi europei. Il modello italiano rimane assistenzialistico. Secondo gli ultimi dati disponibili, in Italia le misure economiche erogate dall’Inps in favore di persone che hanno una limitata o nessuna capacità lavorativa sono pari a circa 4,6 milioni di prestazioni pensionistiche, di cui 1,5 milioni tra assegni ordinari di invalidità e pensioni di inabilità e 3,1 milioni per pensioni di invalidità civile, incluse le indennità di accompagnamento, per una spesa complessiva di circa 26 miliardi di euro all’anno. Ma il modello italiano rimane fondamentalmente assistenzialistico e incentrato sulla delega alle famiglie, che ricevono il mandato implicito di provvedere autonomamente ai bisogni delle persone con disabilità, di fatto senza avere l’opportunità di rivolgersi a strutture e servizi che, sulla base di competenze professionali e risorse adeguate, potrebbero garantire non solo livelli di assistenza migliori, ma anche la valorizzazione delle capacità e la promozione dell’autonomia delle persone con disabilità. Ritardi nell’inserimento lavorativo. L’Italia è ancora molto indietro sul fronte dell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, come dimostrano i dati sui tassi di occupazione. Le differenti definizioni di disabilità in uso nei diversi Paesi europei rendono difficile il confronto. Ma ad esempio in Francia, dove il 4,6% della popolazione (una quota simile a quella italiana) ha un riconoscimento amministrativo della propria condizione di disabilità, si arriva al 36% di occupati tra i 45-64enni disabili, mentre in Italia il tasso si ferma al 18,4% tra i 15-44enni e al 17% tra i 45-64enni. Anche i dati prodotti dalle ricerche della Fondazione Cesare Serono e del Censis evidenziano le enormi difficoltà che queste persone incontrano, sia a trovare un lavoro una volta completato il percorso formativo (è il caso delle persone con
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Storie di tempi sindrome di Down e degli autistici), sia a mantenere l’impiego a fronte di una malattia cronica che causa una progressiva disabilità (è il caso delle persone con sclerosi multipla). Meno di una persona Down su 3 lavora dopo i 24 anni, e il dato scende al 10% tra gli autistici con più di 20 anni. Meno della metà delle persone con sclerosi multipla tra i 45 e i 54 anni è occupata, a fronte del 12,9% di disoccupati e del 23,5% di pensionati. Per fornire una mappa dell’offerta sanitaria e socio-sanitaria su cui possono contare i disabili italiani è stata realizzata un’indagine nazionale che ha coinvolto tutte le 147 Asl e che si basa sulle risposte di 35 di esse. Con riferimento ai servizi disponibili per le persone Down, 19 Asl su 24 indicano la presenza di servizi di neuro e psico-motricità dell’età evolutiva e di logopedia, 16 segnalano l’attivazione di progetti di educazione all’autonomia e 17 di altri servizi. Per quel che riguarda i pazienti affetti da disturbi dello spettro autistico, 21 Asl su 24 segnalano l’offerta di servizi di logoterapia e 18 su 24 garantiscono la terapia per la psicomotricità. Per quanto riguarda i servizi per i pazienti affetti da sclerosi multipla, l’offerta delle Asl si concretizza soprattutto in riabilitazione motoria e logopedia, la prima garantita praticamente dalla totalità delle Asl, la seconda dalla la riabilitazione motoria, la metà quella del linguaggio, un terzo la terapia occupazionale. Poche risorse per la scuola. L’inclusione scolastica occupa un posto centrale nel panorama delle politiche di inserimento sociale delle persone con disabilità. In Italia però sono poche le scuole speciali dedicate ad alunni con problematiche sanitarie complesse. Ma la legge obbliga tutte le scuole pubbliche e private ad accettare l’iscrizione degli alunni con disabilità. Se è vero che l’esperienza italiana rappresenta un’eccellenza, le risorse dedicate alle attività di sostegno e di integrazione degli alunni con disabilità nella scuola appaiono spesso inadeguate. Nell’anno scolastico 2010-2011 circa il 10% delle famiglie degli alunni con disabilità ha presentato un ricorso al Tribunale civile o al Tribunale amministrativo regionale per ottenere un aumento delle ore di sostegno 17 ottobre 2012
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3.4.2 Una storia del (e dal) futuro: O.Ma.R. Le nuove tecnologie al servizio di vecchi dilemmi: quanto la disabilità psichica è frutto di malattie diffuse e quanto, invece, di una malattia rara? Se lo sono chiesto i giovani ricercatori di un team canadese che, guidati dal Prof. Van Karnebeek, della University of British Columbia di Vancouver, hanno realizzato una App in grado di aiutare gli specialisti a capire se la causa della disabilità intellettiva è una malattia rara. Questo strumento digitale, semplice e gratuito, si chiama Treatable e raccoglie i sintomi neurologici e non neurologici di 81 patologie metaboliche che causano disabilità intellettiva, di cui molte sono malattie rare. L’applicazione raccoglie anche tutte le possibile indagini diagnostiche e gli esami di laboratorio che, insieme ai sintomi, possono condurre lo specialista alla diagnosi di una malattia rara. Le ricadute positive potrebbero essere notevoli, visto che la disabilità intellettiva colpisce quasi il tre per cento della popolazione mondiale, e il riconoscimento precoce delle sue cause potrebbe migliorare sensibilmente le condizioni dei giovanissimi pazienti e delle loro famiglie.
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3.4.3 Un’altra storia del futuro: come Scott comunica dal coma Brevi risposte a semplici domande e un “caso clinico” diventa una persona. E’ la storia di Scott, un uomo canadese in coma vegetativo da 12 anni che, grazie alle ricerche e alla perseveranza del neuroscienziato inglese Adrian Owen, è riuscito a dimostrare che la sua mente, nonostante la condizione in cui si trova, è in grado di pensare e di esprimersi. Tutto era cominciato alla fine degli anni Novanta, quando il dottor Owen, monitorando l’attività cerebrale di una ragazza in coma vegetativo, aveva dimostrato che, alla vista di alcune fotografie di volti familiari, una specifica area del suo cervello si attivava, a dimostrazione che la ragazza era consapevole. La prova definitiva fu quando la giovane donna, risvegliatasi dal coma dopo sei mesi, raccontò di quanto fosse stato terribile essere consapevoli e non poter comunicare. “Mi sentivo intrappolata nel mio corpo” spiegò poi la ragazza. “Capire e non poterlo dire era spaventoso.” E ora le ricerche continuano su Scott, un uomo di 39 anni entrato in coma dopo un incidente stradale. Anche in questo caso, quando il medico gli pone una domanda molto semplice che prevede una risposta affermativa o negativa, la risonanza magnetica mostra la presenza di un’attività cerebrale specifica, a dimostrazione non solo della comprensione della domanda ma anche della elaborazione di una risposta. “Hai male?” domanda Owen. “No”, “risponde” Scott. Con queste tre semplici parole un “caso clinico”, fino ad ora considerato incosciente, è diventato una persona, le cui sensazioni, benché difficilmente comunicabili all’esterno, possono comunque essere monitorate nei loro aspetti fondamentali – fame, dolore, ecc. – e migliorare così la qualità della sua vita.
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3.4.4 Storia di Daniela, che parla con gli occhi La neuroscienziata tedesca Andrea Kübler riesce a far comunicare la signora Daniela Gazzano, a cui era stato diagnosticato uno stato vegetativo permanente, grazie ad un sistema a raggi infrarossi collegato ad un monitor: ogni volta che il raggio viene interrotto dal movimento del dito della signora, un cursore sul monitor indica la lettera scelta. In qualche minuto, lettera per lettera, Daniela risponde alle domande che le vengono poste. La storia comincia quando Daniela Gazzano, nell’agosto del 2005, dopo aver partorito la seconda figlia, entra in coma a causa di un’emorragia cerebrale e i medici le diagnosticano uno stato vegetativo irreversibile. Tuttavia, circa un anno dopo, grazie alle attenzioni e agli sforzi del marito Luigi, si scopre che in realtà si tratta di un caso di “locked-in syndrom”, ovvero la signora è perfettamente cosciente e lucida, ma il suo corpo non può muoversi. Ad accorgersene è proprio il marito, che, nel giorno del compleanno di Daniela, le chiede: “Se mi senti, chiudi le palpebre quando dico la lettera giusta” ed inizia a recitare l’alfabeto. L’esperimento riesce e Luigi, ormai sicuro che Daniela sia perfettamente cosciente, la porta da uno specialista che riconosce la sindrome “locked-in”. Il marito, dunque, inizia le pratiche per portare a casa Daniela e, nonostante la Asl garantisca solo un’ora di settimana di fisioterapia, una fitta rete di volontari riesce ad aiutare la signora a fare grandi progressi, compreso il recupero della mobilità di quel dito che oggi le consente di comunicare con l’esterno.
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Storie di tempi
3.4.5 Un altro sguardo al futuro: Handimatica, la tecnologia al servizio dei disabili La Fondazione Asphi organizza, a Bologna, la nona edizione di Handimatica, la mostra-convegno dedicata alle nuove tecnologie per le persone disabili. I responsabili spiegano di aver scelto di ambientarla in una scuola (l’Istituto superiore Aldini Valeriani) perché ritengono che rappresenti un buon punto di partenza per instillare la cultura dell’integrazione nelle giovani generazioni. L’edizione 2012, infatti, si concentra, in particolare, sugli ambiti della scuola, del lavoro e dell’intrattenimento, con testimonianza di persone disabili che hanno avuto successo: in quest’ottica, testimonial d’eccezione è Alex Zanardi, esempio eccellente di come la forza di volontà e le nuove tecnologie possano superare ogni ostacolo. La visione di Handimatica è che le nuove tecnologie, messe in relazione con la disabilità, possono diventare strumenti di inclusione e integrazione sociale, soprattutto per quanto riguarda il mondo del lavoro e della formazione. L’area espositiva 2012 (che ospita aziende, centri di ricerca e organizzazioni) è strutturata secondo 8 percorsi tematici (che comprendono: abilità, accessibilità, apprendimento, comunicabilità, diritti, impiegabilità, mobilità e partecipazione), che caratterizzeranno anche gli oltre 50 convegni, seminari e laboratori.
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Rapporto 2012 - DisabilitĂ e media
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Storie di tempi
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Grafici - Dati e Tavole
4. GRAFICI
DATI E TAVOLE
Quelle che seguono sono 15 tavole che riassumono, in forma di istogrammi, i dati salienti emersi dall’analisi quali-quantitativa tematica, semantica e grafica - degli articoli che raccontano le “storie” che costituiscono il cuore del Rapporto 2012. Nelle prime tavole, che evidenziano graficamente l’emergere dei dati ordinati per testata quotidiana (nell’ordine: Avvenire, Il Mattino, Il Fatto Quotidiano, Corriere della Sera, Il Messaggero, la Repubblica, La Stampa, l’Unità, per un totale di 8 grafici) sono riportate principalmente le ricorrenze degli argomenti presenti nella griglia tematica utilizzata per l’analisi: • scuola (SC); • cronaca e famiglia (CF); • lavoro (L); • risorse economiche (RE); • salute e ricerca (SR); • mobilità e barriere architettoniche (M); • tempo libero e sport (TS); • autonomia (A); • normativa (N); • comunicazione (C) Le tavole da 9 a 12 sono dedicate agli articoli pubblicati sui siti web specializzati che abbiamo preso in esame: O.Ma.ROsservatorio malattie rare; quotidianosanità.it; redattoresociale.it; superando.it. In questi casi l’analisi quali-quantitativa applicata ai temi è integrata dai dati sullo sharing con riferimento ai principali social network: twitter, google +, facebook e linkedin. 87
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Rapporto 2012 - DisabilitĂ e media
La tavola 13 offre una sintesi riassuntiva delle ricorrenze tematiche complessive, ossia riferite a tutte le storie analizzate, pubblicate sia sulla stampa quotidiana, sia sulle testate online. La tavola 14 espone graficamente i dati relativi ai fattori di rilevanza editoriale dei singoli articoli apparsi sulla stampa quotidiana: titolazione, taglio e collocazione in pagina, presenza di immagini a corredo dell’articolo. La tavola 15, infine, evidenza graficamente l’unica categoria analoga rilevabile sulle pagine web, ovvero la presenza o meno di immagini a corredo degli articoli pubblicati online.
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Grafici - Dati e Tavole
Tavola 1
Rappresentazione grafica delle ricorrenze tematiche nei tre articoli pubblicati su “Avvenire” paragrafi 3.2.3, 3.2.4 e 3.4.4
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
Tavola 2
Rappresentazione grafica delle ricorrenze tematiche nell’articolo pubblicato su “Il Mattino” paragrafo 3.3.7
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Grafici - Dati e Tavole
Tavola 3
Rappresentazione grafica delle ricorrenze tematiche nell’articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” paragrafo 3.3.10
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
Tavola 4
Rappresentazione grafica delle ricorrenze tematiche negli articoli pubblicati sul “Corriere della Sera” paragrafi 3.2.1 e 3.3.1
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Grafici - Dati e Tavole
Tavola 5
Rappresentazione grafica delle ricorrenze tematiche nell’articolo pubblicato su “Il Messaggero” paragrafo 3.3.3
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
Tavola 6
Rappresentazione grafica delle ricorrenze tematiche negli articoli pubblicati su “la Repubblica” paragrafi 3.3.2, 3.3.4, 3.3.5 e 3.3.6
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Grafici - Dati e Tavole
Tavola 7
Rappresentazione grafica delle ricorrenze tematiche negli articoli pubblicati su “La Stampa” paragrafi 3.2.2 e 3.4.3
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
Tavola 8
Rappresentazione grafica delle ricorrenze tematiche nell’articolo pubblicato su “l’Unità” paragrafo 3.2.5
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Grafici - Dati e Tavole
Tavola 9
Rappresentazione grafica delle ricorrenze tematiche nell’articolo pubblicato su “O.Ma.R. - www.osservatoriomalattierare.it” paragrafo 3.4.2
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
Tavola 10
Rappresentazione grafica delle ricorrenze tematiche nell’articolo pubblicato su “quotidianosanità.it” paragrafo 3.4.1
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Grafici - Dati e Tavole
Tavola 11
Rappresentazione grafica delle ricorrenze tematiche nell’articolo pubblicato su “redattoresociale.it” paragrafo 3.4.5
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Rapporto 2012 - DisabilitĂ e media
Tavola 13
Rappresentazione grafica riassuntiva delle ricorrenze tematiche riferita a tutte le storie analizzate, pubblicate sia sulla stampa quotidiana, sia sulle testate online
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Grafici - Dati e Tavole
Tavola 14
Rappresentazione grafica dei dati relativi ai fattori di rilevanza editoriale dei singoli articoli apparsi sulla stampa quotidiana: titolazione, taglio e collocazione in pagina, presenza di immagini a corredo dell’articolo
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Rapporto 2012 - DisabilitĂ e media
Tavola 15
Rappresentazione grafica della rilevazione relativa alla presenza di immagini a corredo degli articoli pubblicati online
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Hanno collaborato
5. HANNO COLLABORATO
Angelo G. Sabatini Il Rapporto 2012 è stato realizzato sotto la guida del Prof. Angelo G. Sabatini, presidente della Fondazione Giacomo Matteotti Onlus e responsabile dell’intero progetto. E’ autore, tra l’altro, di numerose pubblicazioni scientifiche sui temi della comunicazione. Alberto Aghemo La premessa, la nota metodologica, e le conclusioni del Rapporto sono dovuti ad Alberto Aghemo. Giornalista professionista e segretario generale della Fondazione Giacomo Matteotti Onlus, si occupa da tempo di problemi della comunicazione, sui quali ha scritto alcuni saggi. Ha curato le ricerche della Fondazione Giacomo Matteotti su “Disabilità e Media” a partire dalla redazione del primo “Rapporto 2005”. Le rilevazioni e le analisi oggetto del Rapporto 2012 Disabilità e Media - La rappresentazione dei diversamente abili nel sistema italiano dell’informazione sono state effettuate da un gruppo di ricercatori, alcuni dei quali giornalisti professionisti, con significative e qualificate esperienze nel mondo della comunicazione. Quelli che seguono sono i profili di quanti hanno collaborato alla realizzazione del Rapporto. 103
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
Simona Galasso Si è laureata in Filosofia presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” con la votazione di 110/110 con lode e ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento in materie letterarie nella scuola secondaria di primo e secondo grado. Ha frequentato la Scuola biennale di specializzazione in Analisi e gestione della comunicazione, indirizzo Giornalismo, presso la stessa Università di “Tor Vergata”, diventando giornalista professionista nel 2002. Ha conseguito un Dottorato di ricerca in Scienze bioetico-giuridiche presso l’Università degli Studi di Lecce nel 2005. Ha collaborato con periodici e quotidiani su temi sociali, ambientali, culturali; ha insegnato teorie e tecniche della comunicazione presso la Scuola IaD dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e ha curato progetti di comunicazione per un’ associazione no profit. Attualmente insegna materie letterarie nella scuola secondaria e collabora alla realizzazione di progetti legati al mondo della cultura e della comunicazione. Salvatore Nasti Si è laureato in Lettere nel 1977 presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” con la votazione di 110/110 con lode. Ha lavorato per oltre venti anni presso la stessa Università a vari livelli, da collaboratore amministrativo a Segretario amministrativo di Dipartimento oltre che in qualità di assistente volontario presso la cattedra di Lingua e letteratura turca. Ha collaborato per circa quindici anni al settore Verifica dei programmi trasmessi della RAI Radiotelevisione italiana alle dirette dipendenze del Consiglio di Amministrazione. Ha fatto esperienze a vari livelli in settori culturali e commerciali in Italia e all’estero. Dal 2011 collabora con la Fondazione Giacomo Matteotti Onlus con la quale partecipa alla realizzazione di progetti culturali e sui temi della comunicazione; è coordinatore della redazione della rivista di cultura “Tempo Presente” per la quale ha scritto articoli e recensioni. Ha conseguito una vasta esperienza del mondo digitale nelle sue varie forme. Per il Rapporto 2012 ha partecipato alla ricerca ed ha curato, oltre all’organizzazione generale della ricerca, la grafica e l’impaginazione. 104
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Hanno collaborato
Lucy Nicole Papa Caminiti E attualmente iscritta al III° anno del corso di Laurea in Medicina Veterinaria a ciclo unico ed in lingua Inglese presso USAMVBT “Banat University of Agricultural Sciences and Veterinary Medicine” di Timisoara (RO). Nel 2012 ha conseguito il diploma di Maturità Classica presso il Liceo Classico Statale “Ennio Quirino Visconti” di Roma e ha ottenuto l’attestato di Apprendimento e Comunicazione della Memoria “Vivi Felice” presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. Ha ottenuto lo IELTS “International English Language Testing System” presso la CQUniversity Australia di Rockhampton, Queensland. Ha inoltre curato la crossvalidazione per la valutazione di RCT in un sottogruppo campione nell’ambito della tesi sperimentale sul tema "Why research on effectiveness of intervention in veterinary medicine is deficient", Università di Oxford, Inghilterra. Possiede specifiche competenze di informatica correlate in particolare all’analisi dei dati per fini statistici e di ricerca nel campo delle scienze mediche umane ed animali. Ha curato la realizzazione delle tavole statistiche a corredo della ricerca.
Chiara Pelaia E’ laureata con lode in Giurisprudenza, indirizzo internazionale e comunitario, presso l’Università LUISS “Guido Carli” di Roma, ha frequentato il Master in Tutela internazionale dei diritti umani presso la Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia e Comunicazione dell’Università La Sapienza di Roma ed ha svolto la pratica forense presso l'Avvocatura Generale dello Stato, conseguendo l’abilitazione alla professione forense presso il Distretto di Corte d’Appello di Roma. Nel dicembre 2014 consegue il titolo di Dottore di ricerca in “Ordine internazionale e diritti umani” presso l’Università La Sapienza di Roma, con una tesi dal titolo Il mainstreaming di genere e la tutela dei diritti delle donne. Collabora con le cattedre di Diritto internazionale e di Organizzazione internazionale del Prof. Sergio Marchisio ed è Tutor del Master in Tutela internazionale dei diritti umani “Maria Rita Saulle” e del Corso multidisciplinare di formazione su rifugiati e migranti presso la Facoltà di Scienze politiche, Sociologia e Comunicazione dell'Università La Sapienza di Roma. Da novembre 2014 è membro UNHCR della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Crotone. 105
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
Paolo Ribichini Giornalista professionista e Tutor presso la Scuola di Giornalismo della Lumsa. Ha conseguito la laurea magistrale nel 2007 in Relazioni Internazionali presso l'Università degli Studi “Roma Tre” con una tesi sul processo di italianizzazione dell'Alto Adige. E’ condirettore del periodico online Diritto di critica. È inoltre collaboratore di Repubblica.it e scrive occasionalmente per Narcomafie. In passato ha collaborato con Salute 24 – Il Sole 24 Ore e Kataweb e ha svolto un tirocinio presso l’agenzia stampa ANSA. Attualmente è vice presidente della 4MEDIA s.c.a.r.l., società di servizi giornalistici e comunicazione. È autore del libro "Da Sudtirolo ad Alto Adige, arrivano gli italiani".
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Atti del Workshop
6. ATTI
del Workshop di presentazione del RAPPORTO 2012 DISABILITA’ E MEDIA La rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione Sala del Refettorio, Biblioteca della Camera dei Deputati Via del Seminario, 76 - Roma martedì 10 marzo 2015
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
Workshop di presentazione del RAPPORTO 2012 DISABILITA’ E MEDIA La rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione PROGRAMMA
ore 15:30 - registrazione dei partecipanti ore 16:00
Saluto e introduzione dei lavori Prof. Angelo G. Sabatini
Presentazione del “Rapporto 2012 Disabilità e media” Dott. Alberto Aghemo, Dott.ssa Simona Galasso
Relazioni: Dott. Stefano Trasatti, Direttore del “Redattore Sociale” e di “Superabile” “La disabilità attraverso la lente dei media”
Dott. Vincenzo Falabella, Presidente Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap-FISH “La Convenzione Onu e il diritto all’informazione e alla cultura per le persone con disabilità”
ore 17:30
Panel di esperti: “Alla ricerca di una diversa (e difficile) normalità”
Partecipano: Dott. Avv. Costanzo Del Vecchio, Segretario Nazionale Ente Nazionale Sordi - Onlus; Prof. Paolo De Nardis, sociologo, Università di Roma La Sapienza; Dott.ssa Stefania Leone, Associazione Disabili visivi; Prof. Gaetano Edoardo Napoli, giurista, Università Unitelma Sapienza; Dott. Antonio Leone, giornalista; Dott.ssa Renata Jannuzzi, responsabile Pari opportunità Assoforum. 108
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Atti del Workshop 6.1 Presentazione del Prof. Angelo G. Sabatini
Presidente Fondazione Giacomo Matteotti Onlus e responsabile scientifico del progetto “Disabilità e media”
Desidero in primo luogo esprimere un sentimento di gratitudine a tutti voi che avete aderito al nostro invito e mandare un messaggio di attenzione e riconoscenza anche ai numerosi enti e associazioni che, pur non presenti oggi a questo Workshop, ci hanno inviato espressioni di interesse e apprezzamento. Molti dei presenti e degli assenti ci trasmetteranno le loro osservazioni in merito al “Rapporto Disabilità e media” che oggi presentiamo nella sua forma di prima bozza e che, come già avvenuto nelle precedenti edizioni, sarà integrato dai contributi che verranno dagli operatori della comunicazione e del Terzo Settore e dagli enti e associazioni che rappresentano le persone disabili. Devo iniziare con un’osservazione amara: quando abbiamo organizzato incontri di sapore strettamente politico la sala è stata piena, ridondante. Evidentemente ci si dimentica che anche la disabilità è un problema politico, in quanto si colloca all’interno di quei problemi della realtà sociale entro cui ciascun cittadino ha un rapporto di benevola o di difficile accoglienza. Oggi non siamo - in questa splendida sala del Refettorio della Biblioteca della Camera dei deputati - quanti vorremmo e dovremmo essere. Tuttavia, stando al detto “pochi ma buoni”, sono certo della qualità degli interventi di oggi sul “Rapporto” che la Fondazione Matteotti vi propone e che ha costruito attraverso schemi e tecniche di rilevazione particolarmente interessanti e innovativi. Spero inoltre che riusciremo a consegnare presto al pubblico, dopo le riflessioni di oggi, il volume completo del “Rapporto”, del quale gli interventi di oggi costituiranno la seconda parte. Un criterio, credo, molto utile perché gli interventi della seconda parte avranno una connessione diretta con quello che è il contenuto della prima parte, cioè il Rapporto. Abbiamo pensato - e credo sia un metodo molto utile ed efficace - che invece di chiedere a degli specialisti della materia una riflessione sul volume già ultimato, fosse più stimolante stampare adesso una bozza che costituisce comunque il risultato della ricerca per poterlo poi integrare con le vostre riflessioni. Come accennavo all’inizio, a me spetta un compito molto semplice: ringraziare prima di tutto la Presidenza della Camera che ci ha concesso l’uso di questa bellissima sala e il Direttore della Biblioteca, il Dott. Antonio Casu, che con amore e interesse segue le nostre attività e si adopera perché i nostri incontri possano avere il successo che meritano. Ma un ringraziamento certamente va a coloro che oggi interverranno con la loro esperienza sia professionale che di gestione umana e sociale di un tema come quello della disabilità. E un ulteriore ringraziamento rivolgo poi a voi che qui siete presenti per verificare e testimoniare qual è il pregio di questa operazione di ricerca che presenta, come dicevo, caratteristiche affatto particolari. Un ultimo ma importante ringraziamento va alla Fondazione Terzo Pilastro 109
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Rapporto 2012 - Disabilità e media - Italia e Mediterraneo e in particolare al Presidente Emanuele che con spiccato interesse ai problemi del Terso Settore ha accolto e sostenuto l’iniziativa del “Rapporto Disabilità e media”. A illustrare la struttura del “Rapporto Disabilità e media” saranno il Dott. Alberto Aghemo, che è il segretario generale della Fondazione Matteotti, e alla Prof.ssa Simona Galasso, esperta ricercatrice e insegnante, titolare di un dottorato di ricerca sui temi cosiddetti sensibili. A seguire avremo poi le riflessioni di alcuni operatori particolarmente qualificati, che porteranno il contributo di un’esperienza maturata all’interno della vita concreta di questo problema. Ringrazio dunque per le loro relazioni il Dott. Stefano Trasatti, direttore del “Redattore Sociale” e di “Superabile” che ci intratterrà sul tema “La disabilità attraverso la lente dei media”, e il Dott. Vincenzo Falabella, presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap-FISH, la cui relazione porta il titolo “La Convenzione Onu e il diritto all’informazione e alla cultura per le persone con disabilità”. Seguirà poi un panel di esperti, focalizzato sul tema “Alla ricerca di una diversa (e difficile) normalità”, al quale partecipano: l’Avv. Costanzo Del Vecchio, Segretario Nazionale Ente Nazionale Sordi - Onlus; il Prof. Paolo De Nardis, sociologo, dell’Università di Roma La Sapienza; la Dott.ssa Stefania Leone, per l’Associazione Disabili Visivi; il Prof. Gaetano Edoardo Napoli, giurista, dell’Università telematica Unitelma Sapienza; il Dott. Antonio Leone, giornalista; la Dott.ssa Renata Jannuzzi, responsabile Pari opportunità di Assoforum. Al Prof. Emmanuele F. M. Emanuele, infine, è affidata la conclusione dei lavori. Li ringrazio tutti. Terminati i doverosi ringraziamenti, mi preme ora ricordare che la Fondazione Matteotti, che mi onoro di rappresentare come presidente, ha da sempre una particolare sensibilità verso i problemi che si possono dire, in modo molto generale, “problemi sociali”, all’interno dei quali il rapporto del singolo con la comunità è il tema centrale, che la politica dovrebbe assumere come oggetto fondamentale di attenzione e di intervento, ma che spesso viene considerato ai margini della cultura e della società civile, così come per molti anni la disabilità è stata considerata un fenomeno marginale della vita sociale. Nell’arco di un decennio abbiamo portato a termine finora quattro “Rapporti”: nel 2005, nel 2008, nel 2009 e, infine, quello del 2012 che oggi presentiamo. Quello che emerge da questa ricerca è la sua particolarità: le indagini di carattere sociale finiscono col porre l’attenzione fondamentalmente sul dato quantitativo, lasciando invece agli operatori e ai commentatori di quei dati il compito di individuare il carattere e l’aspetto qualitativo, che in qualche modo diventa il contenuto e lo strumento per poter operare poi con efficacia sulla realtà che emerge dalle indagini. Anche se, forse, nel primo e nel secondo dei Rapporti abbiamo insistito di più sul dato quantitativo, in questa ricerca prevale l’interesse per quello qualitativo affinché i risultati possano essere di illuminazione per gli interventi legislativi e di prassi politica a favore delle persone con disabilità. Del resto la Fondazione Matteotti, che ha come riferimento un personaggio che alla questione sociale ha guardato sempre con interesse, difendendola con il 110
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Atti del Workshop sacrificio della propria vita, utilizza la ricerca quale supporto alla comprensione dei fenomeni sociali per suggerire strumenti ideali e operativi idonei ai tempi complessi che ci troviamo a vivere. Questa è la Fondazione Giacomo Matteotti, attenta a cogliere gli aspetti complessi e problematici della modernità utilizzando gli strumenti offerti dalla ricerca. La mission di questo Istituto è quella di guardare al Paese nella sua componente di socialità e di solidarietà, e inevitabilmente non potevamo trascurare un tema come quello della disabilità, un tema di rilevanza nazionale, che emerge nei media in modo significativo e urgente. Questo è lo schema orientativo della ricerca che qui poniamo alla vostra attenzione: un lavoro frutto del qualificato contributo uno staff di ricercatori esperti, in buona parte giornalisti professionisti, coordinati dal nostro segretario generale, Alberto Aghemo che insieme a Simona Galasso vi illustrerà ora, sia pure sinteticamente, l’articolazione e gli esiti del “Rapporto Disabilità e media”. Esiti aperti e non definitivi perché, come ho detto in premessa, le conclusioni del “Rapporto” saranno condivise con tutti voi e le riflessioni degli esperti presenti a questo tavolo faranno parte integrante della pubblicazione in preparazione.
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
6.2 Presentazione del “Rapporto 2012 Disabilità e media”: la storia
Dott. Alberto Aghemo Segretario generale Fondazione Giacomo Matteotti Onlus giornalista e coordinatore del progetto “Disabilità e media”
Mi unisco volentieri ai saluti ed ai ringraziamenti formulati dal Prof. Sabatini e mi rivolgo, in particolare, ai nuovi ospiti che abbiamo oggi qui, nella Sala del Refettorio della Biblioteca della Camera, e che rappresentano tante sensibili ed operose realtà del mondo della disabilità e della comunicazione. Ma mi rivolgo anche, a nome di tutti coloro che hanno redatto il “Rapporto” che oggi vi presentiamo, a quanti, partecipando oggi a questo Workshop, testimoniano la continuità con il passato, ossia agli amici che erano con noi quando abbiamo presentato e discusso insieme il primo “Rapporto 2005” e che con noi hanno condiviso un percorso di ricerca e di relazioni umane che si protrae ormai da un decennio. In questo ringraziamento collettivo si ritrova e si sintetizza con efficacia il senso più autentico dell’esperienza del Workshop: raccogliere contributi, testimonianze e spunti - anche critici - che integrino il “Rapporto”, nello spirito di inclusione che da sempre anima il nostro progetto. Perché il “Rapporto” non è soltanto un’esperienza di ricerca, ma è anche un momento di incontro e confronto con chi la dimensione della disabilità la vive in chiave operativa, solidaristica, associativa, assistenziale, politica. Dovendo riferire sinteticamente della nostra ricerca, devo esordire sottolineando che questo “Rapporto Disabilità e media” racconta delle storie: è, soprattutto, un percorso narrativo che ragiona intorno a “storie di disabilità” raccontate dai media nazionali, su carta e sul web. Se dunque abbiamo scelto di raccontarvi delle storie, dobbiamo cominciare, sia pure in breve, con la storia dei vari “Rapporti” che si sono succeduti dal 2005 al 2015, simili tra loro - il tema è lo stesso - ma diversi, perché ogni ricerca ha il suo particolare approccio e porta elementi euristici e metodologici di novità. E dieci anni hanno fatto registrare, attraverso le pagine dei quattro “Rapporti” sinora usciti, spiacevoli continuità ma anche significative e positive discontinuità. Il nostro è un lungo percorso, che parte nel 2005: una ricerca di dieci anni che registra il lungo cammino, non ancora compiuto, verso una difficile “normalità”, verso il riconoscimento - civile, sociale, economico - della piena “cittadinanza” della disabilità. Possiamo dire, sintetizzando il senso di questo percorso, che nella rappresentazione mediatica delle persone con disabilità non molto è cambiato, ma qualcosa sta cambiando: il nostro compito, la nostra ambizione è cogliere il senso e intercettare la direzione della discontinuità. Cominciamo dunque col ricordare, in sintesi estrema, il “Rapporto 2005”, una ricerca fondata sull’analisi complessiva della filiera dell’informazione, che aveva l’ambizione di seguire la notizia sulla disabilità dalla sua genesi fino alla 112
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Atti del Workshop rappresentazione mediatica finale, ossia nel percorso dalle agenzie di informazione alla grande stampa. Uno degli esiti più originali di quella indagine era costituito dall’analisi dell’entropia del sistema dell’informazione, ovvero della progressiva perdita di rilievo e di evidenza mediatica della notizia sulla disabilità man mano che si registrava un passaggio dalla fonte alle agenzie di stampa e da queste ai grandi media. Il “Rapporto 2005” indagava anche i fenomeni di filtro (gatekeeping) all’origine delle notizie sulla disabilità e il peso delle routines professionali da parte degli operatori dell’informazione nella rappresentazione mediatica delle persone disabili e delle loro storie. L’analisi quantitativa era allora integrata dal ricorso ad una griglia tematica, più volte integrata nelle edizioni successive ed affinata in base all’esperienza, che consentiva di evidenziare i contesti di disabilità che affioravano con maggiore evidenza: famiglia, scuola, sanità, sport, lavoro, cronaca, autonomia, normativa, ambiente. Il risultato del “Rapporto 2015” è ampiamente documentato e non stupisce: allora come oggi la rappresentazione oscilla quasi sempre tra eroismo e pietismo, racconta il superuomo (superdonna) disabile che vince le avversità del suo triste destino ovvero la lacrimevole storia dell’infelice che fa appello alla pubblica solidarietà o alla benevolenza delle istituzioni. In conclusione: un’informazione pietistica, sensazionalistica, di colore, in un contesto di sostanziale marginalità e irrilevanza. Il successivo “Rapporto 2008” vede la luce mentre un evento segna la sensibilità collettiva: il caso Englaro, un caso che accomuna e divide, che alimenta emozioni e radicalizza prese di posizione etiche non meno che politiche. Nella ricerca sul 2008 il campione si allarga a televisione, radio e, soprattutto, a Internet. La grande novità è proprio questa: la disabilità approda in rete - nascono centinaia di siti - e… “resta” nella rete. Internet si manifesta infatti come una straordinaria opportunità per il mondo della disabilità: enti, associazioni, gruppi si affacciano all’universo web attivando un efficace circuito “di servizio”, un grande “sportello” per le persone disabili attivo, presente, ma sostanzialmente autoreferenziale. Per quanto riguarda poi la disabilità sui media radio-televisivi, la rappresentazione è ancora marginale e marginalizzata. In conclusione: ci sono timidi segnali positivi, ma la “disabilità normale” è ancora lontana dai grandi media. Con il “Rapporto 2009” arrivano i focus - ovvero le analisi “dentro” i problemi - sulla scuola, sulle malattie rare, sulla SLA, sulla grande mobilitazione mediatica di Telethon. Si spegne l’eco del caso Englaro e il 24 febbraio 2009 il Parlamento italiano ratifica la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con disabilità. Tra i principi generali, enunciati all’art. 3, figurano dignità, autonomia, indipendenza, non discriminazione, partecipazione e inclusione, rispetto per la differenza, pari opportunità, accessibilità, parità, diritti dei minori con disabilità. I media danno risalto (invero non eccessivo) all’evento, ma non si adeguano. Emergono, tuttavia, nel “Rapporto 2009” elementi di novità: cresce il peso della disabilità in rete, migliora la qualità e la quantità dell’informazione sulla stampa, non altrettanto quella sui mezzi radiotelevisivi. Dati contraddittori che 113
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Rapporto 2012 - Disabilità e media ci rimandano una fotografia “mossa”, perché la percezione e la rappresentazione della disabilità stanno cambiando, sia pure con un moto incerto che non consente una lettura univoca del fenomeno. Del “Rapporto 2012”, del quale oggi ragioniamo, vi parlerà più diffusamente Simona Galasso. Vi propongo tuttavia una sintesi e un’anticipazione: l’ultimo “Rapporto” propone un nuovo approccio, narrativo - arrivano le «storie” di disabilità e il percorso di lettura -, più orientato verso l’analisi qualitativa per cogliere il senso - più che i numeri - della rappresentazione. La nostra ricerca accentua i caratteri che gli sono propri in una direzione che potremmo semplificare così: dal quanto al come. Si consolida la percezione che, nel sentiment collettivo e sui media, il cambiamento - in qualità e quantità della rappresentazione - inizia ad essere avvertibile. Ma il trend positivo, paradossalmente, fa pesare di più le omissioni, l’esclusione, certe cadute (ri-cadute) nel pietismo e nel sensazionalismo che dieci anni fa avremmo giudicato con indulgenza e che oggi appaiono intollerabili. Le conclusioni mancano, nelle Bozze di stampa che abbiamo diffuso e che costituiscono il materiale di lavoro per questo Workshop, per due motivi. Il primo è che in questo “Rapporto 2012” i numeri sono meramente indicativi, la ricerca non aspira all’esaustività. Il secondo motivo è che le conclusioni le scriveremo “insieme”, anche all’esito di un confronto aperto e inclusivo: come tale questo Workshop intende proporsi. Ma una prima conclusione la possiamo anticipare: non molto è cambiato, ma qualcosa sta cambiando. Sta cambiando sulle grandi testate a stampa, sulle pubblicazioni on-line, sui media redio-televisivi, grazie anche al Web 2.0, alla formidabile innovazione socio-culturale portata dai social media. In questo contesto evolutivo il nostro compito, il fine del “Rapporto Disabilità e media”, è quello di cogliere il senso e la direzione della novità, dell’evoluzione del lessico e del costume, della sensibilità collettiva. E’, come dicevamo all’inizio, cogliere nel sistema mediatico nazionale quella discontinuità che deve segnare il riconoscimento alla disabilità di una nuova dignità e di una piena cittadinanza, di quella difficile “normalità” alla quale noi tutti miriamo.
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Atti del Workshop 6.3 Presentazione del “Rapporto 2012 Disabilità e media”: storie e linguaggi della disabilità
Prof.ssa Simona Galasso Docente, giornalista e tutor dei ricercatori del progetto “Disabilità e media”
Questo contributo è una breve presentazione del rapporto “Disabilità e media - la rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione”. Partiamo, in primo luogo, dalla metodologia. La ricerca ha interessato le maggiori testate nazionali di informazione su carta stampata (Corriere della sera, Repubblica, la Stampa, l’Unità, Il fatto quotidiano, Il Mattino, Avvenire, Il Messaggero) e alcune testate on line, tra agenzie di informazione e siti web di interesse (Redattore sociale, Superando, Quotidiano Sanità, Osservatorio malattie rare). Le testate sono state monitorate negli articoli riguardanti il tema della disabilità pubblicati negli ultimi tre mesi del 2012, periodo di riferimento della ricerca. L’obiettivo non era un rilevamento completo di tutti i pezzi usciti nel trimestre e la realizzazione di una analisi quantitativa dettagliata, ma la selezione di venti storie attraverso cui proporre una analisi soprattutto qualitativa del rapporto tra disabilità e media. Le storie sono state scelte sulla base dell’estensione del pezzo e del loro grado di approfondimento del tema, in quanto affrontavano l’argomento disabilità non solo come notizia ma come un’occasione di approfondimento e di riflessione. A titolo puramente esemplificativo, ne ricordiamo due: la storia di Samuel, dal Corriere della sera, e quella di Scott, da La Stampa. La prima è la storia di un ragazzo diventato disabile dopo un incidente in moto. Grazie al coraggio e alla costanza del padre, che fonda un’associazione per disabili, scrive libri, gira cortometraggi, organizza attività nelle scuole, la vita di Samuel si trasforma da una storia di solitudine a una di relazioni, belle ed intense. Viaggia, si diverte, conosce, instaura legami forti e duraturi. La seconda storia è quella di Scott, un canadese in coma vegetativo da 12 anni che, grazie alle ricerche e alla perseveranza di un neuroscienziato inglese, è riuscito a dimostrare che la sua mente, nonostante la condizione in cui si trova, è in grado di pensare e di esprimersi. La risonanza magnetica mostra la presenza di un’attività cerebrale specifica, brevi risposte a semplici domande. E un “caso clinico” diventa una persona. Oltre a quella di Samuel e di Scott, sono tante e diverse le storie emerse dal flusso delle notizie. Dall’odissea di Esharef, alle prese con un trasporto pubblico inadeguato (Il Messaggero) al coraggio di Manuel, ragazzo down diventato atleta di successo (Avvenire), fino ad arrivare alla surreale vicenda di Pierre, ragazzo autistico scambiato per uno spacciatore (la Repubblica). Non solo storie di persone ma anche di luoghi, dalla piazza che ha visto le proteste dei disabili contro il taglio dei fondi (Il Mattino) al carcere, dove la condizione 115
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Rapporto 2012 - Disabilità e media di disabile diventa ancora più drammatica (Superando.it); e poi storie di tempi, dal presente dell’inquietante fotografia del Censis sulla disabilità in Italia (Quotidianosanità.it) al futuro della ricerca che apre orizzonti di cambiamento (La Stampa, Redattore Sociale). Persone, luoghi, tempi, sono le tappe attraverso cui abbiamo voluto raccontare queste storie per ordinarle in un percorso coerente, come singole parti di una storia più grande che tutte le ricomprende, di ordinaria e straordinaria disabilità. Di ogni storia è stata realizzata una analisi di tipo quantitativo e qualitativo. Nel primo caso è stata considerata la sezione in cui l’articolo compariva (cronaca, rubrica dedicata, ecc), il suo posizionamento in pagina (taglio alto, medio o basso), il rilievo (piccolo, medio, grande), la presenza di immagini e la loro funzione (descrittiva o evocativa), l’identità dei protagonisti, le ricorrenze tematiche. L’analisi qualitativa si è invece concentrata sull’aspetto linguistico e lessicale, con brevi osservazioni sull’utilizzo di metafore e sulla tipologia dei campi semantici scelti dai giornalisti. Analisi delle variabili quantitative e osservazioni sul lessico sono confluite in singole schede di analisi di primo livello, realizzate per ogni articolo. A completamento del Rapporto è presente una serie di tavole riassuntive che rappresentano graficamente i dati emersi. Citiamo a titolo esemplificativo quella che riporta il posizionamento in pagina, da cui emerge che la maggioranza dei pezzi sono stati collocati come taglio alto. Le prime osservazioni che si possono trarre dal Rapporto ci portano a concludere che quando la stampa si occupa dell’argomento disabilità lo fa soprattutto attraverso la voce di genitori o familiari (protagonisti del maggior numero di articoli); nel 65% dei casi posizionando l’articolo come taglio alto della sezione Cronaca e corredandolo con un’immagine dalla funzione evocativa. Tra i temi affrontati, il più frequente è quello dell’Autonomia (in 13 articoli su 20), seguito dall’argomento Famiglia (8 articoli) e Risorse economiche (6). Un’ultima osservazione riguarda il linguaggio, spesso enfatico: ricorrono i “padri coraggio” e i “figli eroi”, con il ricorso prevalente ad un lessico che attinge alla sfera delle emozioni (frequenti i “cuori”, “sogni”, “emozioni”) o del conflitto (“disperazione”, “guerra”, “lotta”).
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Atti del Workshop 6.4 La disabilità attraverso la lente dei media
Dott. Stefano Trasatti Direttore del “Redattore Sociale” e di “Superabile”
Vorrei cominciare con un ricordo: se siamo qui a parlare di media e disabilità, se questo tema è diventato rilevante lo dobbiamo molto a Franco Bomprezzi. È scomparso a dicembre e ci manca molto, mi manca molto: quello che ha fatto lui su questo tema, i cambiamenti che ha ingenerato sono fondamentali e ce li ritroveremo per i prossimi vent’anni. Il Rapporto 2009, come anche quello del 2005, parlava di oscillazione tra l’eroe e l’infelice. Che cosa è successo oggi? Nella illustrazione sintetica dei 4 Rapporti che si sono succeduti nel tempo venivano fuori anche alcuni eventi che hanno influito su ciò di cui stiamo parlando. Ne vorrei citare alcuni altri, che analizzeremo tra un po’, ma che sono successi in questi ultimi due anni, due anni e mezzo e che stanno cambiando, perché qualcosa sta cambiando e continuerà a cambiare, la “fotografia” della disabilità sarà sempre mossa. Cambia in meglio e non saremo mai contenti perché poi cambiamo anche noi, cambiano le nostre sensibilità. In ogni caso, quello che è successo in questi anni è stato importante e come primo evento metterei le Paralimpiadi di Londra, che sono state rivoluzionarie per la sensibilità, per come hanno colpito la sensibilità di tutti, forse anche di Paolo Villaggio che, ricorderete, aveva fatto quella famosa dichiarazione “queste cose mi fanno pena, non devono essere trasmesse”. Dopo le Paralimpiadi credo sia stato colpito anche lui. L’altra cosa che è successa è stato l’attivismo riguardo l’autismo; l’attivismo dei genitori, che poi si è sviluppato sul web in particolare, grazie anche a personaggi importanti che sono usciti e intervenuti sul tema. Penso a Gianluca Nicoletti, ad esempio. È stato davvero dirompente, portando all’attenzione, facendo diventare oggetto dell’informazione sempre di più un tema che fino ad allora era veramente sconosciuto. E poi c’è stato Hotel 6 stelle, è stato citato dal Rapporto anche se è successo dopo. Saremo tra poco alla seconda edizione, l’episodio più importante di una comunicazione sulla sindrome di Down particolarmente efficace, che ha contribuito moltissimo, insieme all’autismo, a riequilibrare la visione della disabilità perché altrimenti si ha sempre in mente la carrozzina e la disabilità fisica, motoria e sul resto c’è come un’ombra. Poi, ancora, c’è stato Papa Francesco, che ha fatto tante cose, però molto influisce la sua insistenza sulla disabilità, influisce sul linguaggio, su tutto. Penso a un altro tema, l’immigrazione. Quando Papa Francesco è stato a Lampedusa nessun giornale, tranne forse qualcuno, ha usato e continuato a usare la parola clandestino. Il dibattito era in corso da molto tempo, ma lì si è verificata proprio come una scossa. E poi un’altra cosa molto più piccola è un’auto citazione, se me lo permettete: 117
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Rapporto 2012 - Disabilità e media in questi ultimi due anni è uscito questo progetto “Parlare civile” che è un libro ed è un sito, parlare civile.it, che è diretto ai comunicatori, ai giornalisti, ai pubblicitari e ai comunicatori pubblici ed è tutto centrato sulle parole che potrebbero, se usate male, danneggiare temi a rischio di discriminazione, tra cui la disabilità. Queste sono alcune delle cose positive che sono successe e che hanno contribuito, a mio parere, a migliorare, a cambiare. Dal mio punto di vista il tema dei disabili era nella lente dei media; ancora oggi, guardando a volo d’uccello, quello che noto sono cinque cose: intanto, in primo luogo, che sono ancora molto presenti gli eroi e anche i fenomeni da baraccone, a volte; così come i disperati e gli sfigatissimi, quelli che proprio ci consolano per quanto sono sfortunati. Seconda cosa: permane lo stereotipo del disabile che è sempre buono, sempre un portatore di valori positivi, non c’è mai un disabile un po’ antipatico. E come tale deve essere trattato con molto paternalismo, come un inferiore. Notate che è ancora molto frequente l’intervistatore che quando intervista un disabile gli dà del tu. Terza cosa che osservo: i disabili non sono ancora quasi mai raccontati o mostrati in situazioni normali. Rarissimamente in tv, nelle fiction li abbiamo visti negli ultimi anni; anche lì abbiamo fatto passi da gigante. Ma non sono mai intervistati per strada. Nei TG, quando fanno le interviste per strada, non viene mai intervistato un disabile. La quarta è che la disabilità continua a essere prevalentemente trattata in negativo, anche se in questo sta molto cambiando. Questo lo rilevava con efficacia Bomprezzi. Si usano le parole peso, carico, tragedia, problema, costrizione e la disabilità non è quasi mai trattata come una delle possibili condizioni umane (su questo Vincenzo Falabella sarà più esaustivo), come una condizione che rende semplicemente (se così si può dire) impossibile vivere in completa autonomia, a patto che qualcuno riesca a vivere in completa autonomia, poiché tutti dipendiamo da qualcuno o da qualcosa. Questo è il quadro. Lo conosciamo, lo conoscete tutti, si può essere più o meno ottimisti. Io sono relativamente ottimista però bisogna essere un po’ laici, e parlo da giornalista. I media, per mandato istituzionale, raccontano ciò che è insolito, ciò che è eccezionale, nuovo. La notizia significa novità, qualcosa che colpisce, che emoziona. Questa è la natura del giornalismo e l’eccezionalità continuerà sempre a essere centrale nel racconto dei media. E allora qual è il problema? Sono più di uno dal mio osservatorio, sono cinque, o quattro e mezzo, come vedrete, e sono tutti intrecciati. Il primo è l’approccio: direi che se ci si avvicinasse un po’ meno alla disabilità sempre come se fosse qualcosa di oscuro e drammatico, qualcosa altro da noi “normali”, se ci fosse meno emozionalità, coinvolgimento, se ci fosse più freddezza, sarebbe meglio: bisognerebbe essere molto freddi quando ci si rapporta con persone disabili e si deve parlare con loro per il proprio lavoro di giornalismo, ma deve essere così, come lo è per tutta l’attività giornalistica. Il coinvolgimento deve esserci, ma deve arrivare fino a un certo punto. E se ci fosse anche un po’ più di umiltà, riguardo al paternalismo e al dare del tu… L’approccio è un problema. 118
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Atti del Workshop Il secondo è l’equilibrio nella selezione delle notizie che si scelgono e che riguardano la disabilità, quindi non solo gli eroi, i disperati, che ci sono fanno notizia e devono essere raccontati, ma anche storie un po’ più normali, sempre degne di essere raccontate, ma che siano semplicemente belle, che siano esemplificative di problemi che esistono, di diritti negati, anche di denunce. Questo equilibrio si misura sui tempi lunghi, nessun monitoraggio ci riuscirà mai, per lo meno perché costerebbe molti soldi fare un monitoraggio su un arco così lungo di anni, ma si potrebbe giudicare una testata in base all’equilibrio, cioè se ha privilegiato solo le storie di disperati e degli eroi che ci devono stare, o se parla di disabilità a tutto campo. Il terzo è la conoscenza: tutti possono parlare di disabilità; invece no, il tema bisogna studiarlo e conoscerlo con continuità, anche quello cambia, altrimenti si va per cliché, per stereotipi, si è superficiali inevitabilmente, si incorre in errori e anche in infortuni. Bisogna conoscere il dibattito, ad esempio sull’autismo. Ci sono due o tre cose da sapere prima di parlare di autismo che se non si sanno qualsiasi articolo, anche basilare, non è completo, e non ci vuole molto a saperle queste cose. Bisogna conoscere le cifre, altrimenti si rischia di diventare semplicemente dei megafoni di campagne un po’ strumentali, in gran parte, come quella sui falsi invalidi. Se si sapessero alcune cose, certi resoconti sarebbero un po’ meno allarmistici, un po’ meno convinti. Bisogna conoscere le caratteristiche delle varie disabilità e ognuna ha una sua particolarità che va conosciuta. Il quarto problema è il linguaggio: abbiamo detto di “Parlare civile”, un’esperienza che viene dalla conoscenza, fa parte della conoscenza che dicevo prima. Intanto, bisogna ascoltare chi è coinvolto in questo tema per usare un certo linguaggio. Pper questo come per tutti: lavorando a “Parlare civile”, che contiene 200 schede tra immigrazione, disabilità, rom, salute mentale e così via abbiamo ascoltato quanto più possibile le persone coinvolte. Abbiamo letto testi, ascoltato giornalisti, studiosi; se non si fa così, non si può andare per imitazione perché il linguaggio cambia continuamente. Io sono tra quelli che non apprezzano l’espressione “diversamente abile”. In primo luogo per la radice “diverso”: stiamo a dire che il disabile è trattato sempre come diverso, e questo è un primo dettaglio, ma è un eccesso di politically correct, è il frutto di una certa ipocrisia, è pieno di paternalismo, di pietismo e anche di autoassoluzione, ad esempio per delle barriere che non possono essere superate e che sono anche nostra responsabilità; tanto “lui” ha un’altra abilità e si consolerà. Infatti è molto usato dai politici, se ci fate caso. Poi ci sono altri termini, sarebbe lungo l’elenco, ma continuare a dire “costretto su una sedia a rotelle” è sbagliato perché, diceva sempre Bomprezzi, se non ce l’avessi la carrozzina, non mi potrei muovere. E poi l’etichettamento: scambiare la disabilità per la persona, per cui si oggettivizza, si dice il cieco, l’autistico, il paraplegico, non la persona. Sembrano sottigliezze, ma sono importanti; l’obiezione che mi viene fatta più spesso quando mi occupo di questo tema è “ma mica possiamo ogni volta stare a scegliere la parola”; infatti dovrebbe essere interiorizzata così come hai interiorizzato altre nozioni che ti aiutano a fare il mestiere. 119
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Rapporto 2012 - Disabilità e media Il quinto, o quattro il mezzo, si rifà alla questione dell’approccio ed è il lessico. Il Rapporto lo mostra nelle schede; prima parlavo di linguaggio proprio legato direttamente alla disabilità, qui parlo di lessico in generale. A seconda della storia, lo abbiamo visto, si va sull’eroico, sul paternalistico, sul vezzeggiativo, sull’epico, sull’enfatico, sull’emozionale, sull’iperbolico, sul drammatico, sui temi della sofferenza. Anche qui un po’ di equilibrio non farebbe male, anche nell’uso delle congiunzioni. Ricordo, in conclusione, quello che ci segnalava Matteo Schianchi, che è uno storico della disabilità: “È disabile ma scala il Kilimangiaro” era il titolo di una notizia. Sarebbe stato assai meglio “È disabile e scala il Kilimangiaro”. Sembrano finezze, ma se si tenesse conto di tutto questo, in ogni storia che ha dentro una persona disabile, quella storia non sarebbe nient’altro che una storia.
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Atti del Workshop
6.5 La Convenzione Onu e il diritto all’informazione e alla cultura per le persone con disabilità
Avv. Vincenzo Falabella Presidente Nazionale FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) Presidente FAIP - Federazione Associazioni Italiane Paratetraplegici
Grazie per l’invito, se non altro perché, parlando della Convenzione Onu sui Diritti delle persone con disabilità, di media e informazione abbiamo anche l’occasione per ricordare l’amico Franco Bomprezzi, giornalista che ha dato molto al nostro movimento e a cui ero particolarmente legato da un vincolo di amicizia: lo ricordo veramente con grande affetto. Parlando del dettato normativo più comunemente noto come “Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità” non si può non ricordare in questa sede lo slogan posto alla base del confronto internazionale che ha visto partecipe l’intero movimento delle persone con disabilità: “nulla su di noi senza di noi”, che non vuole rappresentare solo una rivendicazione ma vuole invece costruire un nuovo e più ampio consenso. Oggi qui in questa prestigiosa sede, la presenza della Federazione e soprattutto la presenza delle persone che compongono panel di esperti, il “nulla su di noi senza di noi” trova piena e concreta affermazione. La Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, infatti, non riconosce nuovi diritti ma vuole assicurare che le persone con disabilità godano al pari di ogni altra persona degli stessi diritti e delle stesse opportunità. Parlando di media e comunicazione credo che il confronto oggi debba essere incentrato su due aspetti fondamentali: il modo di comunicare e il linguaggio utilizzato. Abbiamo più volte insistito sulla necessità di una comunicazione appropriata, veritiera e responsabile quando si affrontano temi che riguardano le aspettative di chi vive una condizione di disabilità; abbiamo nello stesso tempo più volte sottolineato, apprezzato e sostenuto ogni azione in termini di ricerca scientifica mirante a migliorare la qualità di vita delle persone con disabilità; ma con altrettanta forza e decisione abbiamo sempre stigmatizzato ogni tentativo di trasformare un’innovazione o una “scoperta” in materia di ricerca scientifica in clamorosi quanto fuorvianti annunci propagandistici. Ho seguito con grande attenzione gli interventi precedenti e mi riallaccio a un’espressione che il Prof. Sabatini ha evidenziato in apertura dei lavori allorquando ha sottolineato che la disabilità è un problema politico. Vorrei ricordare che affrontare il tema della disabilità o dei rapporti con le persone con disabilità comporta comunque un’assunzione di responsabilità anche e soprattutto politica, in atti politici che sono rivolti a migliorare la qualità di vita. Nell’intervento della Dott.ssa Galasso abbiamo potuto costatare quali siano effettivamente le problematiche che emergono ogni qual volta si da risalto a 121
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Rapporto 2012 - Disabilità e media temi riguardanti la disabilità, problematiche che riguardano la vita quotidiana delle tante persone con disabilità. Vorrei anche ricordare, in riferimento della Convenzione Onu, che è stata ratificata dallo Stato italiano con la legge n. 18 del 2009: nonostante siano trascorsi ben sei anni dal suo recepimento, ancor oggi assistiamo, nella comunicazione, nei media, nelle testate giornalistiche un costante modo improprio di affrontare la realtà delle persone con disabilità. O si è super eroi o “poveri sfigati”, si insegue più la notizia che le reali condizioni di quella persona. Ci troviamo di fronte a strategie di comunicazione che prediligono ricercare la sensazione piuttosto che un misurato ma più appropriato significato della notizia. In questo modo non si fa altro che alimentare quello stigma verso la disabilità che con tanta fatica da decenni i movimenti associativi rifiutano e combattono. Tutte le persone con disabilità sono persone prima di tutto, con un proprio vissuto, un proprio volto, una propria esperienza, al pari di ogni altra persona. Il linguaggio è cambiato nel corso degli anni ed oggi, grazie anche alla Convenzione Onu, alla “classificazione funzionale” del concetto di disabilità, è cambiato sostanzialmente. La disabilità non è più una condizione fisica come emergeva da un retaggio culturale di derivazione medicocentrica: una persona con disabilità doveva essere considerata malata e di conseguenza curata, se non c’era guarigione la malattia era permanente, malattia equivaleva a non produttività ed allora scattava l’emarginazione. Oggi non è più così perché il dettato internazionale lo ha evidenziato. Del resto, paradossalmente, il sistema legislativo italiano è uno dei sistemi normativi all’avanguardia e quindi ha riconosciuto una tutela, diritti esigibili nei confronti delle persone con disabilità, e quindi abbiamo spostato completamente l’attenzione su quello che è oggi il concetto di disabilità, cioè l’interazione con l’ambiente esterno: vengo considerato disabile se l’ambiente esterno mi pone nelle condizioni di non poter usufruire al meglio dell’ambiente che mi circonda. In parole molto semplici: se venendo qui su questo palco non avessi avuto la pedana per potervi accedere sarei stato privato di uno dei miei diritti sacrosanti, la libertà di movimento. Così non è stato, io non sono una persona con disabilità, nonostante, come diceva l’amico Franco Bomprezzi, “per fortuna” ho una sedia a rotelle che mi permette comunque di muovermi e vivere dignitosamente la mia vita. Vedete come la rappresentazione il concetto stesso di disabilità si sono evoluti nel corso degli anni e dal primo “Rapporto” del 2005 all’attuale “Rapporto” del 2012. Ebbene anche il linguaggio si è progressivamente modificato. Quello che non è stato modificato, purtroppo, e lo dico con sommo dispiacere, è l’aspetto fondamentale del cosiddetto diritto all’informazione. Il Dott. Aghemo ha posto l’attenzione su normalità e su piena dignità perché sono questi i pilastri su cui poggiano la Convenzione Onu e il cambiamento culturale che in atto nel corso degli anni. In un linguaggio purtroppo a volte non pienamente conforme, poco fa lo stesso Stefano parlava di “diversamente 122
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Atti del Workshop abili”: è un’espressione usata molte volte da quelle persone che il più delle volte credono di poter parlare di disabilità quando non hanno la conoscenza e soprattutto non hanno l’umiltà di acquisire informazioni sui temi specifici. E tuttavia, in un contesto di “normalità” stona questo modo di espressione, mentre invece non stona se viene identificata una persona con disabilità “diversamente abile”, in quanto effettivamente più abile rispetto ad altri su una materia anziché un’altra o in un campo anziché in un altro. Credo che la Convenzione Onu ci offra ora la possibilità di essere più attenti, nel linguaggio, a quelli che sono anche i rapporti con la comunicazione, ma soprattutto con l’informazione. Oggi stiamo facendo informazione, una giusta informazione e contestualmente stiamo facendo formazione nel linguaggio. In questa consapevolezza ascolterò gli interventi dei panel di esperti perché poi con loro, credo in piena sintonia, possiamo fornire documenti, riflessioni e testimonianze che possano entrare di diritto in questo “Rapporto” e renderlo utile in un’ottica sempre di collaborazione: in una prospettiva che vede comunque come elemento fondamentale quanto è sancito nella legge 18 del 2009 che recepisce appieno il dettato internazionale e lo spirito della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle persone con disabilità.
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
6.6 I media: strumento di inclusione e di esclusione sociale per le persone con disabilità visiva.
Dott.ssa Stefania Leone Associazione Disabili Visivi Onlus esperta di accessibilità del web, rappresentante di ADV e FISH presso i tavoli CNU e AGCOM, e presso la sede permanente del segretariato sociale della Rai e la Commissione di Vigilanza Rai
L’analisi condotta dalla Fondazione Matteotti sul rapporto tra media e disabilità, ha scelto come esempi alcuni articoli che riportano storie pubblicate sui quotidiani più diffusi e specializzati, anche on line, in cui sono trattati approfonditamente alcuni tra i temi più significativi ed emblematici raccontati direttamente dalle persone disabili, in maniera corretta e senza pietismi o sensazionalismi. Resta poco approfondita, tuttavia, l’analisi di come e quanto la disabilità e le storie personali, vengano trattate a livello radiotelevisivo e sui siti web istituzionali, pubblici e sui social network più diffusi. La televisione e la radio ancor’oggi risultano i canali di informazione più seguiti e diffusi capillarmente sul territorio nazionale, e ciò accade sia per ragioni propriamente tecniche, che per il cosiddetto “digital divide”, ovvero fondamentalmente il profondo gap che sussiste tra i tecnologicamente scolarizzati e gli altri - tra cui molti disabili - e anche gli anziani che sono oggi una parte rilevante della popolazione, grazie al miglioramento della qualità della vita e della prevenzione sanitaria. Il tema della disabilità purtroppo non è ancora trattato del tutto con competenza. Spesso le storie proposte sono relative a supereroi dello sport o, al contrario, a casi di disagio sociale che suscitano pietà e compassione negli ascoltatori; spesso anche la modalità di conduzione delle trasmissioni televisive su argomenti delicati riguardo il tema della disabilità, non è propriamente corretta e all’altezza delle problematiche che si vogliono presentare. A causa di alcune superficialità infatti passano messaggi non condivisibili. La normalità della condizione di disabilità, con le sfaccettature sia positive che negative, la quotidianità - che viene affrontata con forza ma anche con spirito di ottimismo e naturalezza - sono ancora un aspetto che non fa audience, e quindi raramente affrontato in radio, televisione e web. Partendo da un esempio pratico cerchiamo di riflettere sulla responsabilità che hanno i media nella comprensione delle reali capacità di una persona disabile. Se una persona non vedente viaggia da sola su un treno o un autobus, magari con un iPad su cui legge, scrive e interagisce, chi osserva può non comprendere che le cuffie non servono a sentire la musica, ma ad ascoltare ciò che legge o scrive e che dunque non si trova di fronte ad un falso cieco. Ma quanti conoscono la differenza tra cecità ed ipovisione? L’ipovisione è anche detta cecità parziale o con residuo, ed è tale quando si abbia un decimo di vista al massimo, compresa l’eventuale correzione con lenti; un cieco parziale 124
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Atti del Workshop può essere in grado di fare molte cose anche impensabili, ma la comunicazione ufficiale mostra poco o nulla quali siano queste semplici capacità, o piuttosto le demonizza. Oltre ai contenuti sulla disabilità, è necessario approfondire anche la modalità di fruizione di questi da parte delle persone con disabilità, essendo l’accesso all’informazione e alla comunicazione un diritto sancito sia dalla legge 67/2006 contro le discriminazioni che dall’art. 30 della Convenzione delle Nazioni Unite, secondo cui “ gli Stati riconoscono il diritto delle persone con disabilità a prendere parte su base di uguaglianza con gli altri alla vita culturale e adottano tutte le misure adeguate a garantire alle persone con disabilità l’accesso a programmi televisivi, film, spettacoli teatrali e altre attività culturali, in formati accessibili”. I suddetti “formati accessibili” sono relativi sia all’aspetto tecnico dei dispositivi per la fruizione, quindi televisione, radio, dispositivi mobili come smarthphone e tablet e tecnologie web, sia relativi ai contenuti ed i servizi erogati, come contenuti web, contenuti televisivi e radiofonici, cinematografici ed altro. Nel caso particolare della disabilità visiva, è sottinteso che la mancanza della vista è compensata da tatto e udito, e quest’ultimo è fondamentale nel caso specifico nell’utilizzo di strumenti visivi come la tv e i dispositivi elettronici e digitali. Per fruire dei contenuti televisivi è importante che ci sia un riscontro sonoro esaustivo, cosa che si risolve con le audiodescrizioni, purché siano di facile accesso. Lo “switch off ” - il passaggio del segnale televisivo da analogico a digitale se da un lato ha offerto la possibilità di istituire il secondo canale audio dedicato alle audiodescrizioni, ha però aperto nuove barriere legate alla completa ingestibilità del decoder, in particolare dei menù a video e dei telecomandi che sono pieni di pulsanti incomprensibili da parte di chi non vede, ma anche dalle persone anziane e poco tecnologiche. Peccato che proprio nel menù per la selezione “lingua” del digitale terrestre e satellitare, sia nascosto il secondo canale audio dedicato alle audio descrizioni per non vedenti, difficile da scovare dipendendo da marca e modello di televisore e telecomando. Abbiamo chiesto ai principali operatori televisivi del settore privato e pubblico, invitati in audizioni tenute presso il tavolo del CNU - Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, se tra le iniziative adottate a favore di ciechi e ipovedenti ci fossero trasmissioni audio descritte. A nessun operatore privato risulta che la propria emittente eroghi un tale servizio, prerogativa unica della Rai, che in quanto rete pubblica è vincolata dal Contratto di Servizio ad un numero non ben definito di trasmissioni audiodescritte che attualmente non supera le 10 a settimana (di cui 7 per una sola fiction) nella intera programmazione tra film, telefilm e fiction, talvolta di qualità tecnica discutibile. Per i sottotitoli la cosa è più sentita, sebbene risultino sicuramente pochi in assoluto e scarsi per i diretti interessati, ovvero le persone sorde. Si ricorda che, sempre da Contratto di Servizio, da parte della Rai è prevista la garanzia dell'accessibilità dei decoder, fin dal momento della progettazione, cosa mai realizzata. A tale proposito comunichiamo con soddisfazione che siamo stati ricevuti a metà gennaio 2015 dai responsabili per le tecnologie della 125
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Rapporto 2012 - Disabilità e media Rai e del Centro Ricerche Rai, ai quali abbiamo sottoposto il problema richiedendo una soluzione tecnica, ovvero un decoder supportato da un sistema di tts-text to speech, che risolverebbe il silenzio tra la digitazione dei tasti del telecomando e ciò che appare a video. Il protocollo del tts fu proposto da European Disability Forum (EDF) nel 2009 e ci risulta che sia Regno Unito che Spagna si siano attivate per la progettazione e realizzazione di decoder parlanti. Non si tratta di una soluzione fantascientifica, sia i computer che i dispositivi mobili come smartphone e tablet (o per lo meno alcune marche) sono forniti di tecnologie assistive vocalizzanti che permettono alle persone non vedenti e ipovedenti di utilizzarli. Ma l’accessibilità e l’usabilità di questi strumenti non è sempre garantita, pur essendo operative sia le sopracitate leggi che la legge 4/2004, nota come legge Stanca, che definisce regole tecniche per la corretta interazione di tali strumenti con le tecnologie assistive, e i contenuti del web. Il percorso è lungo e c’è, purtroppo, ancora tanto da fare. E’ tanto importante diffondere, sensibilizzare ed io non finisco di stupirmi di quanti vedenti non sappiano nemmeno che noi siamo in grado di usare un pc, uno smartphone o un tablet. La corretta comunicazione di tali argomenti a livello istituzionale è certamente fondamentale, ma molto efficace è la pubblicazione ampia delle problematiche sui media più diffusi. Ho avuto prova diretta che quando si porta un documento ad un tavolo tecnico, esso viene letto dai membri del gruppo di lavoro e da pochi altri, e le cose restano ferme per molto tempo. Mentre quando una notizia viene data in televisione, in radio o esce su un quotidiano molto diffuso può accadere che qualcuno si senta punto nel vivo delle proprie competenze ed il problema venga affrontato a livello generale una volta per tutte. Consentitemi una riflessione finale sulla responsabilità dei media nelle comunicazioni in merito alle informazioni riguardanti le persone disabili, e su quale sia il messaggio che passa nelle case degli italiani. Mi riferisco al modo in cui vengono trattate le notizie riguardanti i falsi invalidi. Tale campagna se mal condotta rischia di danneggiare i veri invalidi, accusati spesso di essere falsi semplicemente perché hanno raggiunto un livello di autonomia tale da riuscire ad attraversare la strada, inserire la chiave nella serratura, mandare e-mail, avere un account facebook, vivere da soli, prepararsi da mangiare o riuscire ad innaffiare un piccolo giardino di casa. Spesso si tratta di ciechi con residuo visivo, anche minimo o laterale, che comunque permette loro di fare delle piccole attività con tanta fatica e coraggio, costrette ad andare in tribunale a dimostrare la loro innocenza. La notizia dell’eventuale loro assoluzione "perché il fatto non sussiste" però non viene mai resa pubblica nei TG e neppure sui giornali e, tanto meno, con i titoli ad effetto con cui sono stati sbattuti in prima pagina. Perché? Un’ultima provocazione con cui concludo: i "veri" falsi invalidi hanno ottenuto certificati falsi e benefici economici grazie all’appoggio di commissioni medico-legali corrotte presso ASL ed INPS: perché allora non vengono mai menzionati i nomi dei medici e dei funzionari che hanno firmato e sono stati complici di malefatte? 126
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Atti del Workshop
6.7 Disabilità e comunicazione: riflessioni sulle pari opportunità e testimonianza di una madre
Dott.ssa Renata Jannuzzi Responsabile Pari opportunità di Assoforum
Per la verità sono qui più che come “esperta”, come mamma di una ragazzo down: mio figlio ha 19 anni e mi piace dire che è down; detesto le etichettature “diversamente abile”, “handicappato”. Non è che se diciamo “diversamente abile”, “ipovedente”, “ha una disabilità intellettiva” si è meno down, meno cieco, meno sordo. Tornando al lessico, mi veniva in mente che quando è nato Tommaso, se incontravo qualcuno un po’ anziano mi diceva “poverino, è un infelice”, perché un tempo le persone con disabilità venivano chiamate “povero infelice”. Ma se c’è un emblema della felicità, quello è mio figlio. Gli “infelici”, grazie Dio, oramai li abbiamo ormai archiviati (linguisticamente), abbiamo archiviato anche gli handicappati e sui “diversamente abili” siamo aperti a infinite altre soluzioni linguistiche. Tornando all’oggetto di questo convegno, che ho trovato interessantissimo perché in effetti sulla disabilità e comunicazione si parla troppo poco, vorrei fare un breve cenno e poi porre l’attenzione su alcuni punti. Il cenno è questo: fino a poco tempo fa, quando i media parlavano di disabilità, vuoi in termini di barriere architettoniche e vuoi in altri termini, come per esempio il tema dei diritti, solitamente ci si riferiva alle disabilità fisiche e quasi mai a quelle intellettive. Il grande lavoro delle associazioni di disabilità intellettive ed alcuni programmi, come ad esempio il reality “Hotel 6 stelle”, hanno posto l’attenzione sulla disabilità intellettiva, che non crea meno problemi di quella fisica. Per tornare all’esempio di mio figlio, con sindrome di Down (ma potrei citare altri casi di disabilità intellettiva), lui cammina, vede e sente, non sa però leggere, per cui lui ha lo stesso problema a prendere un autobus di una persona non vedente. Lui ha una barriera intellettiva. Al contrario di mio figlio, c’è il ragazzo down che legge e prende l’autobus tranquillamente, come ci sarà la persona ipovedente che riesce a salire su un mezzo di trasporto senza ausilio. Quindi bisogna anche ragionare sul fatto che nell’ambito della disabilità, e dello stesso genere di disabilità, il divario tra persona e persona è enorme. Generalizzare la comunicazione, dunque, è complesso. Io però volevo portare l’attenzione sui social network. Prima si è evocato internet e in genere quando si parla di internet si parla dei blog delle associazioni di riferimento che sono, per noi utenti, fondamentali perché ci danno la dimensione dei nostri diritti, delle nostre possibilità di intervento nei casi trattati. Il vero amplificatore della notizia, tuttavia, sono i social network perché con l’informazione libera le varie associazioni, ma anche i genitori, i disabili stessi o le persone vicine al mondo della disabilità hanno potuto trovare un terreno di divulgazione della notizia, di confronto fra gli stessi portatori di handicap e, soprattutto, di condivisione con 127
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Rapporto 2012 - Disabilità e media la società che li circonda; di conseguenza, i singoli problemi, laddove non venivano in qualche modo divulgati dai grandi media, hanno trovato un terreno di condivisione infinito nei social network. Queste piattaforme sono importanti dunque nella veicolazione delle informazioni e nella loro condivisione fra gli utenti, pur nella consapevolezza che esiste il rischio di strumentalizzazioni, della diffusione di false notizie ed addirittura di attacchi e vilipendio, ma ciò detto i social network restano una delle fonti primarie per la comunicazione del mondo dei disabili. Dunque, se la comunicazione sui social network è gestita, e va assolutamente gestita, è un ottimo terreno di comunicazione. La seconda riflessione è questa: avete mai seguito i talk show politici nei vari canali televisivi? Prendo come riferimento la fascia mattutina delle seguenti reti: Rai1 (Uno Mattina), Rai3 (Agorà) e La7 (Omnibus, Coffee Break, L’Aria che tira). Ogni dibattito politico, in cui intervengono giornalisti e politici tratta delle riforme e le riforme su cui si dibatte assiduamente sono jobs act, riforma della legge elettorale, riforma del Titolo V, riforma del Senato, ecc. Se si deve invece dibattere su riforme che implicano l’abrogazione parziale o totale di alcuni diritti acquisiti dai disabili o l’abrogazione di alcuni fondi stanziati dallo Stato verso la disabilità, in genere questi dibattiti vengono circoscritti in una piccola parte del programma televisivo. Inoltre, in questo caso non c’è un dibattito tra politici e giornalisti, come per qualsiasi altro tema, che si confrontano sul tema, ma vengono chiamati i genitori ed i rappresentanti delle varie associazioni che, in forma più o meno appassionata, dibattono sull’argomento tema. Questo crea ghettizzazione. Come cittadina italiana, e non solo come madre di un disabile o come responsabile per le pari opportunità di un Forum di associazioni del terzo settore, ma appunto come cittadina contribuente mi farebbe piacere sapere come il mio Stato destina i suoi fondi. Come cittadina, aggiungo, vorrei sapere come lo Stato e la politica pensano di provvedere a chi ha dei problemi di disabilità, vorrei essere informata sul dibattito politico che genera una decisione piuttosto che un’altra. Io mi occupo anche di politica e mi chiedo: perché i palinsesti televisivi evitano questo genere di dibattito tra politici? Dibattono animatamente sull’abrogazione del Senato o sul Titolo V, che sono riforme per noi piuttosto importanti, o sul famoso articolo 18, ma non li vedo mai confrontarsi pubblicamente sul perché lo Stato ha tagliato dai fondi per le pari opportunità molti milioni di euro. Vorrei un dibattito di questo tipo. Infine, vorrei prendere ad esempio un case history recentissimo: in Francia un ragazzo down che ha fatto la scuola alberghiera, si è specializzato presso uno chef ed è stato assunto dall’Eliseo. Titolo del giornale: “Da quando è all’Eliseo, abbiamo imparato ad abbracciarci”. Francamente, data l’importanza di essere assunto all’Eliseo, mi sarei aspettata un titolo del genere: “Da quando Pierre, che ha studiato con un grande chef e si è diplomato in una scuola prestigiosa, è arrivato all’Eliseo, ha introdotto una nuova specialità”. Sono felice che venga citata anche la peculiarità umana di Pierre e che sia apprezzata dai suoi colleghi , ma non è questo l’oggetto dell’argomento, bensì la capacità professionale di Pierre: anche in questo caso rientriamo dunque nei cliché che circoscrivono i disabili. I down sono simpatici e carini. Vi farei vedere mio figlio quando si 128
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Atti del Workshop arrabbia non è né simpatico, né carino; i ciechi sentono bene, ma a volte non è vero; il disabile sulla sedia a rotelle è limitato, magari invece fa le paraolimpiadi. Ridiamo all’informazione la giusta proprietà dell’informazione. L’informazione corretta è che questo ragazzo down ha studiato per fare lo chef, è entrato all’Eliseo e cucina bene, magari eccelle in una determinata specialità, questa è la notizia! Evitiamo i cliché. Mi riallaccio, ad un’altra notizia legata alla Francia, visto che viviamo in un’era di globalizzazione dell’informazione: il 21 marzo si celebra la giornata mondiale della sindrome di Down ed ogni anno esce uno spot creato per l’occasione. L’anno scorso fu lanciato uno spot, “The future mom”, nel quale una serie di bambini e ragazzi down si mostravano nelle loro normalissime attività quotidiane: scuola, gioco, lavoro, rivolgendosi idealmente a delle donne in gravidanza. Era ovviamente rivolto a quelle mamme che sapevano di essere potenzialmente in attesa di un figlio disabile, in particolare con sindrome di Down, e quindi si poneva loro la scelta di praticare o meno l’aborto terapeutico. La Francia ha negato la diffusione di questo video perché poteva in qualche modo influenzare le mamme che volevano avvalersi dell’aborto terapeutico e quindi non era etico rappresentarlo. Qui mi riallaccio al discorso su Eluana Englaro, che fu un grande caso dibattuto in politica, perché si parlava del fine vita. Era un tema etico. Quindi se un problema è di ordine etico, il dibattito politico, riportato ampiamente dai media, esiste. Purtroppo, se dei ragazzi con disabilità intellettiva o fisica non hanno l’insegnante di sostegno a scuola, non è un problema etico e quindi non c’è dibattito politico, con conseguente diffusione sui media. I leader dei vari partiti dunque, non hanno interesse a dibattere pubblicamente sulla disabilità, perché questo è giudicato tema minoritario, e per i media è un argomento di scarso interesse per un pubblico vasto, a meno che non si presenti con tratti di sensazionalismo, pietismo o come problema etico (aborto o non aborto terapeutico, fine vita ecc.). Un’altra cosa che andrebbe posta all’attenzione di tutti è la veridicità delle notizie. Cito brevemente due casi: giorni fa ad un ragazzo down è stato negato un panino da Mc Donald, così veniva presentata la notizia. In realtà al ragazzo mancavano 20 centesimi per pagare quel panino. Il cassiere ha fatto il suo dovere e l’ha trattato da persona normale, non glielo ha dato. I media hanno ovviamente trattato la notizia facendo leva sul pietismo, quando invece finalmente è prevalsa la normalità: il ragazzo down è stato trattato da ragazzo normale, ma questo non faceva notizia! Altro caso: un prete rifiuta di dare la prima comunione a un ragazzo disabile. In realtà questo ragazzo disabile era stato molto malato, non aveva potuto partecipare ai corsi di preparazione della prima comunione e volendo fare di lui una persona senziente nel momento in cui riceveva un sacramento, il parroco ha detto no, rimandando l’evento all’anno successivo. Il religioso è stato trattato malissimo sui media, come un aguzzino. Anche in questo caso invece è prevalso un atteggiamento cosciente, di gran rispetto verso il sacramento e verso il ragazzo disabile. Ma anche in questo caso, una corretta informazione non avrebbe fatto notizia. 129
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Rapporto 2012 - Disabilità e media Il sensazionalismo è facile, però credo che il giornalista debba presentare la notizia correttamente ed il lettore deve poterne verificarne la correttezza. Per concludere, la disabilità offre tanti spunti ai media: diritti, progressi della ricerca, conquista della normalità, politiche di investimento, risorse. Si deve definitivamente abbandonare una comunicazione sensazionalista e/o pietistica, e trattare finalmente l’argomento con dignità pari a quella riservata a qualsiasi altro argomento che riguardi la vita di questo Paese e dei suoi cittadini.
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Atti del Workshop
6.8 Il sensazionalismo, malattia infantile del giornalismo. Antifunzionalismo, disabilità e informazione
Prof. Paolo De Nardis Ordinario di Sociologia Università La Sapienza di Roma
Ringrazio il Prof. Sabatini e Alberto Aghemo, che conosco da una vita. Ricordo perfettamente la presentazione, nella primavera del 2006, del primo “Rapporto”, ricordo l’atmosfera nell’allora Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, che dava il segno e il senso di essere ai primordi di un discorso particolarmente sentito in quegli anni, in cui le scienze della comunicazione anche a livello universitario cominciavano ad affacciarsi con una certa aggressività, come era accaduto per le scienze sociali tanti anni prima. C’era tuttavia una iniziale timidezza, non di tipo comunicativo ma professionale, ad affrontare il problema dei disabili. Teniamo presente che erano ancora gli anni in cui il passaggio da “handicap” a “disabilità” era in fieri ed è vero quanto ha scritto e detto Alberto Aghemo sin dall’inizio: c’era già allora questo dilemma, questo “corno” che per propria natura ha due punti di riferimento, eroismo e pietismo. Ricordo che citai - è l’unica citazione che ricordo di quel mio intervento - un vecchio bel saggio di Umberto Bosco, uno storico della letteratura italiana che fa parte anche lui della schiera dei miei maestri, intitolato, a proposito di Giacomo Leopardi, “Titanismo e pietà”. Questo doppio polo, personificato dallo stesso Leopardi, in effetti era il doppio binario che si costruiva in quegli anni e che abbiamo visto emergere dalla puntuale analisi di Alberto Aghemo e di Simona Galasso. Noi abbiamo sempre trattato il problema delle persone con disabilità, una volta che lo abbiamo affrontato dal punto di vista della comunicazione e della problematica sociale, purtroppo sempre come un problema e non come una tematica. Questo è tipico di una certa ideologia che ha permeato di sé un po’ tutta la nostra cultura dal dopoguerra ad oggi, che è una cultura funzionalistica. Per cui non soltanto la disabilità, ma qualunque tipo di patologia non fosse in linea con quella che era una normalità della salute, era non solo una malattia dal punto di vista medico, ma una “devianza” da un punto di vista dell’analisi sociale. Essere malati, anche avere un raffreddore, era già in qualche modo analogicamente trattato come un comportamento deviante, che non adeguava la propria condotta a un contenuto normativo; figuriamoci tutte le volte che si doveva parlare di qualcosa che fosse più di una semplice emicrania. Questa ideologia non detta, che ha permeato un po’ tutte le analisi, ha fatto sì che di fatto si considerasse poi la disabilità come una differenza, ovvero una diversità. Anche a me ha dato sempre molto fastidio l’idea del “diversamente” qualche cosa. Oggi qualcuno tende a chiamarmi “diversamente giovane”, eppure la vecchiaia non è una malattia, è uno stato, una condizione. Il che rimanda alla riflessione su quella condizione fondamentale che è poi la cittadinanza e su come essere cittadini comunque. 131
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Rapporto 2012 - Disabilità e media Tornando al “Rapporto”, ho trovato molto interessante anche questa metodologia che segna e timbra questo antifunzionalismo della ricerca, vale a dire correlare l’analisi quantitativa, quella che noi in sociologia chiamiamo l’analisi del contenuto - e in particolare quella della stampa mainstream, i quotidiani più importanti - con l’analisi qualitativa, ossia quelle che vengono tecnicamente chiamate le “storie di vita”. Il mix tra quantità e qualità finalmente uccide la prospettiva metodologicamente funzionalistica della quantità contrapposta alla qualità, del quanto contrapposto al quale. Se io dico ho tanta febbre oppure ho 38 e mezzo di febbre, che differenza c’è rispetto poi al contenuto? La prima l’ho espressa in maniera qualitativa, la seconda l’ho numerata, quantificata e quindi c’è stata una traduzione nella quantità. Il quanto e il quale si possono integrare. Il quanto, però, spesso si afferma nella sua intrinseca violenza della quantità: il numero è di per sé violento. Lo possiamo ben dire noi, che forse siamo un Paese più di parole che non di numeri, e forse dovremmo essere spesso più di numeri che non di parole, un Paese nel quale il dato quantitativo viene temperato dalla storia di vita, dalla qualità. Perché nella storia di vita possono emergere situazioni, questioni che i numeri non ci possono dare e non soltanto per quanto riguarda quell’emotività, quell’espressività, quell’affettività che solo il “quale” ci può dare, ma anche per altri aspetti meno importanti dell’emotività, dell’espressività, dell’affettività, che sono ad esempio le armi dell’ironia, dell’autoironia, dell’umorismo, che sono armi potenti. Pensiamo alla storia di vita di Alex Zanardi e, conoscendo anche il personaggio, sappiamo bene come ha fatto dell’ironia la propria arma vincente per smitizzare non solo la sua situazione, ma anche “quanto gli altri possono valutare una situazione”. L’ironia da parte di qualcuno, in ogni caso, è un grosso riferimento, è considerazione dell’alterità degli altri perché significa porgere agli altri un elemento su cui poter serenamente parlare. Man mano che si avanza nell’antifunzionalismo - se non si pensa a una società in cui tutto è coordinato, funzionale, efficiente e ottimale secondo un certo parametro che non è detto che sia condiviso anche da chi ha altri tipi di sensibilità - tanto l’analisi del contenuto tanto il mix con le storie di vita possono superare sempre più questa situazione di carenza ed omissione dell’informazione. Ed è vero che, oggi, carenze ed omissioni si notano di più. Se 10 anni potevamo essere più tolleranti nei riguardi di certe ingenuità del modo di raccontare determinate tematiche e situazioni, oggi non lo siamo più. E’ il discorso della metafora e dell’analogia: la metafora è qualcosa che in effetti distrugge l’analogia, per fortuna, e distrugge il funzionalismo. La metafora si pone come, nella storia dell’arte contemporanea, Man Ray si poneva nei confronti dell’arte ufficiale. C’è stata, a lui dedicata, una bella mostra che uscì proprio negli anni Settanta: quello che mi rimase molto impresso era un ferro da stiro con degli aculei. Era un modo per provocare e dire “siamo contro il funzionalismo in maniera pedissequa, inquisitoria e piatta”. Soprattutto nel superamento del funzionalismo, lo diceva Trasatti prima, c’è, o ci dovrebbe essere, anche il superamento del sensazionalismo, che è un po’ la malattia infantile del giornalismo. Purtroppo non si dà la notizia se il fatto non 132
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Atti del Workshop è sensazionale, se il fatto non è all’interno di qualcosa che trascenda la semplice normalità. Ecco la differenza tra il problema, che è qualcosa che emerge (la dottrina dell’emergenza del sensazionalismo) e l’evento. Se noi raccontassimo soltanto gli eventi, forse non avremmo notizie. Gli eventi facciamoli raccontare alla pubblicità del Mulino Bianco, che racconta l’evento del breakfast familiare, che poi in quella forma non esiste, almeno nella sua quotidianità. Negli ultimi due anni assistiamo anche, nella comunicazione, all’effetto Bergoglio, grazie al quale il problema della disabilità dal punto di vista comunicativo acquisisce nuove prospettive. Con Bergoglio si afferma una nuova pietà, ovviamente, declinata nel senso di tenerezza che può trascendere, superare sé stessa nei riguardi dell’umanità in quanto tale. È tutta l’umanità che in qualche modo chiede tenerezza, non soltanto in determinate situazioni che possono apparire esemplari di quel momento di tenerezza. Del resto, il fenomeno da baraccone di cui parlava Trasatti è qualcosa che in effetti è nelle viscere di una coscienza anteriore. C’era un vecchio film, che si intitolava Freaks, che segnò il passaggio dal muto al sonoro, fatto soltanto con fenomeni da baraccone che in effetti però oggi nessuno più riproporrebbe. I “fenomeni da baraccone” hanno in realtà una connotazione di carattere sociale e politico ben diversa e più tragica. La tragedia sta nel come la diversità veniva valutata all’interno di un’impostazione ideologica fortemente funzionalistica, fondata sull’efficientismo e sul profitto. Evidentemente proprio il passaggio dirompente della narrazione di situazioni particolari non più dal punto di vista dell’efficienza e del profitto può in qualche modo segnare una rivoluzione forte rispetto al vecchio modo di narrare. Mi sembra che molta acqua sia passata sotto i ponti rispetto ad appena due lustri fa: non sembra che siano passati, parlando di media e disabilità, dieci anni ma addirittura ere geologiche. Pensiamo all’evoluzione radicale della situazione mondiale e italiana, pensiamo a dieci anni fa e pensiamo ad oggi e capiamo bene come forse proprio la crisi di un modello funzionalistico, di produzione, di sfruttamento delle risorse naturali possa aver prodotto una maturazione anche nella narrazione della disabilità, una maturazione che noi, col bisturi dell’analisi e grazie ai “Rapporti Disabilità e media” abbiamo cercato di portare avanti. Di questo ringrazio la Fondazione Matteotti, il suo presidente e il suo segretario generale e tutta l’équipe di ricerca che con tanto coraggio in questi 10 anni hanno saputo segnare le date di questo lavoro fondamentale e appassionante.
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
6.9 Disabilità, media, accesso all’informazione e diritto dell’inclusione
Avv. Costanzo Del Vecchio Segretario nazionale E.N.S. - Ente Nazionale Sordi
Ringrazio la Fondazione Matteotti, il suo Presidente Prof. Sabatini e il Segretario generale Dott. Aghemo per avermi invitato alla presentazione del “Rapporto” e per aver dato spazio e voce all’Ente Nazionale Sordi che oggi mi onoro di rappresentare. I dati del “Rapporto” descrivono in che modo è stata “fotografata” la disabilità dai media e come, loro tramite, verosimilmente sia stata percepita dal grande pubblico, dai fruitori dei media stessi. Impossibile avventurarsi in un valutazione su quale impatto abbia suscitato nei lettori, forse questo potrebbe essere un dato da sottoporre all’attenzione di un prossimo studio. L’esperienza personale nell’utilizzo dei social network mi induce a considerare che quando vengono dai media rappresentati e descritti disagi, difficoltà o ingiustizie nei confronti dei disabili queste rappresentazioni, questi articoli, girano quasi in maniera virale sui social e ciò segnala l’indignazione dell’opinione pubblica per l’ingiustizia descritta nell’articolo. Osservare questo fenomeno, che non ha certo l’ambizione di avere la forza di un dato statistico o scientifico, permette di rilevare che vi è nella società e nella coscienza delle persone un’attenzione reale alle problematiche della disabilità e dei disabili, un’attenzione che va spesso risvegliata ed alimentata e i mass media svolgono in ciò un ruolo fondamentale. Il tema di oggi è strettamente correlato però ad un’altra problematica quella dell’accesso ai media da parte dei disabili, ovvero alla questione dell’accessibilità della fruizione dei contenuti sia video che web, soprattutto per le news: è un problema, questo, in Italia particolarmente attuale che meriterebbe una maggiore attenzione da parte delle istituzioni anche sulla scorta di ciò che avviene, rectius, è avvenuto in altri Paesi. Vista la sede istituzionale nella quale oggi siamo riuniti, l’occasione è troppo ghiotta per non tentare di aprire una parentesi sull’accessibilità dei contenuti dei programmi RAI soprattutto in questi giorni in cui si paventa la possibilità di cambiare la governance del servizio pubblico radiotelevisivo. Non è il caso di avventurarsi in una digressione circa l’opportunità o meno di riformare la governance della RAI; certo è che, qualora si decidesse di riformare l’attuale assetto del servizio pubblico radiotelevisivo, sarebbe opportuno introdurre con forza il tema dell’accessibilità in maniera chiara e inequivocabile tentando una volta per tutte di abbattere le barriere della comunicazione e di rendere il servizio realmente accessibile. Se guardiamo alle esperienze di altri Paesi come Francia, Spagna e Inghilterra, per fare alcuni esempi, l’Italia è parecchio indietro. Abbiamo la consapevolezza 134
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Atti del Workshop che questo divario è assolutamente colmabile e con costi anche relativamente contenuti: ciò che è mancato è una più decisa volontà politica di imprimere una svolta su questa problematica che affligge i disabili sensoriali. L’accesso ai media deve essere consentito con le audio descrizioni, la sottotitolazione e la traduzione in Lingua dei Segni nel rispetto del principio del “diritto alla libertà di scelta della comunicazione” solo così si garantisce pienamente l’accesso ai media e l’abbattimento delle barriere della comunicazione. Vi è una stretta correlazione tra i due temi, quello della rappresentazione della disabilità attraverso i media e quello dell’accessibilità ai mezzi di comunicazione da parte dei disabili stessi, cui era impossibile non fare esplicito riferimento. Sarebbe interessante anche uno studio che indagasse, con metodo scientifico, lo spazio che i media dedicano alla questione dei c.d. “falsi invalidi” che sarebbe più corretto chiamare semplicemente con il termine che sarebbe più appropriato usare, cioè truffatori. E’ un tema spinoso perché dietro il riassunto, necessariamente stringato, di un titolo di giornale purtroppo si trasmette un sentimento di diffidenza generalizzata e indiscriminata nei confronti dei disabili gettando discredito su chi invece vive la sofferenza e le difficoltà della disabilità e quotidianamente lotta per difendere quei diritti che ha faticosamente conquistato. E’ una battaglia, questa, che ci vede impegnati da tempo affinché questi malfattori siano emarginati e non vengano accostati al tema della disabilità. Registriamo una maggiore sensibilità alle tematiche della disabilità, un aumento dell’attenzione da parte delle istituzioni e dei media ma si può e si deve fare ancora di più: ancora oggi ci interfacciamo con funzionari e dirigenti della Pubblica Amministrazione che hanno una conoscenza superficiale delle problematiche che sono chiamati a risolvere in ragione del loro ufficio. Le istituzioni spesso percepiscono i problemi della disabilità come un “costo sociale” senza avvedersi del fatto che il disabile messo in condizioni di godere dell’accessibilità necessaria poter superare le proprie barriere è una grande risorsa. In questa filosofia si racchiude il senso stesso della democrazia e del Patto Sociale laddove lo Stato deve tutelare la Comunità garantendo una piena inclusione sociale a tutti i cittadini e i componenti di questa Comunità. Non è utopia questa ma è un fine, il senso cui deve tendere lo Stato e se questo è vero, ed è vero, allora non si può considerare la disabilità come un “costo sociale”: l’assistenza, l’attenzione a chi è più svantaggiato non può essere una graziosa concessione ma il vero e proprio obiettivo dello Stato. Siamo indubbiamente consapevoli delle difficoltà che vive il Paese, del peso della crisi economica nazionale e internazionale ma questo non autorizza né giustifica il tentativo, più volte paventato, a volte realizzato, di colpire la spesa sociale in particolare la spesa sanitaria. E’ indubbio che le spese sanitarie e sociali sono quella che maggiormente influiscono sui conti della P.A., ma rimodulare e ridurre giustamente gli sprechi non può essere la scusa per dare meno servizi alle fasce più deboli della popolazione. 135
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Rapporto 2012 - Disabilità e media L’inclusione sociale non può essere rivista e corretta ogni anno, e sempre al ribasso, riducendo i servizi a chi è più debole. Le associazioni dei disabili hanno spesso dato indicazioni su come rivedere, rimodulare, gestire i servizi: insomma, su come meglio spendere i soldi pubblici senza necessariamente dover ricorrere alla mannaia della riduzione dei costi. Se si sono definiti diritti acquisiti e inviolabili per le c.d. “pensioni d’oro”, altrettanto acquisiti ed inviolabili dovrebbero essere i diritti, che d’oro non sono, delle persone con disabilità. Dunque, quello che il “Rapporto” presentato oggi fotografa è un Paese che, al di là di quelle che sono “gli episodi” che finiscono sui giornali, è incline ad una crescente attenzione, sebbene ancora non sufficiente, sulle problematiche della disabilità; con l’approccio giusto e consentendo ai disabili di abbattere le barriere che li colpiscono potendo così non solo vivere meglio la propria vita ma diventando anche una risorsa preziosa per il Paese. L’auspicio è che in un futuro prossimo possa realizzarsi pienamente l’inclusione sociale delle persone con disabilità che, come per tutti i cittadini, si realizza con il diritto al lavoro, problema questo che meriterebbe un approfondimento a parte, e con la partecipazione in ogni aspetto della vita democratica del Paese. C’è ancora molta strada da fare quindi l’attenzione dei media deve essere alta per segnalare non solo discriminazioni ma un’attenzione maggiore nell’operato della P.A., innescando un circolo virtuoso che consenta davvero a tutti una reale partecipazione allo vita e allo sviluppo del Paese.
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Atti del Workshop
6.10 Mancanza di adeguata diffusione delle potenzialità dell'amministrazione di sostegno
Prof. Avv. Gaetano Edoardo Napoli Università Unitelma Sapienza
Dopo aver ringraziato per l'invito la Fondazione Matteotti, quindi il Prof. Angelo Sabatini e il Dott. Alberto Aghemo, intendo collegare questo intervento con quanto detto dalla dott.ssa Stefania Leone, che ha rilevato come i mezzi di comunicazione non forniscano adeguata informazione in ordine ad alcuni strumenti in grado di eliminare (o, in alcuni casi, di ridurre) gli ostacoli che impediscono al soggetto, le cui capacità fisiche sono compromesse, di svolgere una vita, o una professione, al pari degli altri. Poca diffusione si è avuta, infatti, nei mass media, con riguardo a importanti strumenti giuridici di protezione delle persone bisognose. Mi riferisco, in particolare, alla legge 9 gennaio 2004 n. 6, cioè alla Legge di Riforma di quella che tradizionalmente viene definita come la “incapacità giudizialmente dichiarata”. In virtù della Riforma del 2004, un nuovo nome ha preso lo stesso Titolo XII del Libro Primo del codice civile, il quale adesso è testualmente dedicato a “Le misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia”. Con la legge indicata è mutato il quadro di riferimento. Alle tradizionali categorie di “incapaci di agire” (minorenne; interdetto per grave infermità di mente; inabilitato per meno grave infermità di mente; inabilitato per prodigalità o abuso di alcool o droghe, in caso di pericolo di grave pregiudizio economico per il soggetto stesso o per la sua famiglia; inabilitato per cecità o sordità dalla nascita o dalla prima infanzia quando manchi un'educazione sufficiente) si accosta adesso quella del “beneficiario” dell'amministrazione di sostegno, soggetto per il quale è disposta una forma di aiuto istituzionalizzata – appunto l'amministrazione di sostegno – ritagliata sugli specifici bisogni della persona. In relazione alle tradizionali figure di “incapaci di agire” si è da sempre assistito a una privazione generalizzante delle facoltà (e quindi anche della dignità) del soggetto. Con l'interdizione, conosciuta anche come “morte civile”, il soggetto viene privato di ogni facoltà di disporre dei propri diritti e ogni esercizio di essi viene demandato al tutore (quando non si tratti di atti personalissimi, il cui compimento diventa addirittura assolutamente precluso: non può compierli l'interdetto né, a maggior ragione, il tutore). Con l'inabilitazione si ha una generale incapacità che riguarda gli atti di straordinaria amministrazione, per i quali è necessario l'intervento congiunto del diretto interessato e del curatore (che non rappresenta l'interessato, bensì lo assiste). Con l'istituto dell'amministrazione di sostegno, invece, si ha una svolta epocale: vengono infatti individuati gli specifici atti che può compiere l'amministratore di sostegno, in sostituzione dell'interessato, o come assistente dello (quindi congiuntamente allo) stesso. Per tutti gli atti non specificamente 137
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Rapporto 2012 - Disabilità e media indicati permane la capacità di agire, piena, del beneficiario, il quale può in ogni caso compiere sempre gli atti della propria vita quotidiana. Ai sensi del nuovo art. 404 cod. civ., la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio. L'istanza, da effettuare con ricorso, può essere presentata dallo stesso soggetto interessato, dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado, dal tutore o curatore ovvero dal pubblico ministero. Il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno, secondo quanto già anticipato, ai sensi dell'art. 405 cod. civ. deve essere emesso entro sessanta giorni dalla data di presentazione della richiesta: si tratta un decreto motivato immediatamente esecutivo. Qualora ne sussista la necessità, il giudice tutelare adotta anche d'ufficio i provvedimenti urgenti per la cura della persona interessata e per la conservazione e l'amministrazione del suo patrimonio. Può procedere alla nomina di un amministratore di sostegno provvisorio indicando gli atti che è autorizzato a compiere. In ogni caso, la nomina dell'amministratore di sostegno deve essere strettamente collegata all'indicazione, nel citato decreto, dello specifico oggetto dell'incarico: devono essere indicati, in modo dettagliato, gli eventuali atti che l'amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario e gli eventuali atti che il beneficiario può compiere solo con l'assistenza dell'amministratore di sostegno (atti che, quindi, devono essere compiuti congiuntamente, dall'amministratore e dal beneficiario, come avviene nel caso dell'inabilitazione, per gli atti di straordinaria amministrazione). Ha assunto rilievo, con l'introduzione di questo nuovo istituto, la necessità che tra il beneficiario e l'amministratore di sostegno corra un rapporto di fiducia. Nel decreto di nomina deve essere data indicazione, a tal fine, della periodicità con cui l'amministratore di sostegno deve riferire al giudice circa l'attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario. Nel caso di amministrazione di sostegno disposta a favore di beneficiari affetti da menomazioni fisiche non si deve considerare applicabile l'art. 412 cod. civ. che dispone che possono essere annullati, su istanza dell'amministratore di sostegno, del beneficiario, o dei suoi eredi e aventi causa, gli atti compiuti personalmente dal beneficiario in violazione di quanto indicato nel decreto che istituisce l'amministrazione di sostegno. La norma va interpretata secondo lo spirito della nuova normativa, che intende lasciare ampie facoltà di azione in capo all'interessato. In caso di nomina di un amministratore per un beneficiario in condizioni fisiche compromesse, ma pienamente in grado d'intendere e di volere, gli atti che il decreto dovesse eventualmente attribuire alla competenza dell'amministratore di sostegno potrebbero quindi essere validamente compiuti anche dal beneficiario, che non potrebbe mai perdere (per via delle condizioni fisiche) la propria capacità di agire. Ciò varrebbe anche qualora il decreto non 138
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Atti del Workshop prevedesse espressamente tale duplice legittimazione al compimento degli atti, in capo all'amministratore di sostegno e allo stesso beneficiario. Certamente, si auspica che i giudici siano talmente sensibili - all'esigenza di non privare di capacità un soggetto in piene facoltà mentali - da indicare espressamente, nei loro decreti, che il soggetto con menomazioni fisiche non perde la capacità in relazione a nessun atto. In ogni caso gli atti c.d. “personalissimi” (matrimonio, riconoscimento di un figlio, separazione personale, donazione, comodato) possono essere compiuti esclusivamente dal beneficiario. Si deve segnalare, in materia, l'espansione applicativa che ha avuto la norma contenuta nell'art. 408 cod. civ., secondo la quale l'amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata. La designazione può essere revocata dall'autore con le stesse forme. In alcuni casi non più recenti, la giurisprudenza di merito ha ritenuto che una tale designazione consentisse di nominare un amministratore di sostegno con il compito, per il caso di futura irreversibile incapacità assoluta dell'interessato, di manifestare, in sostituzione del beneficiario, il rifiuto al trattamento sanitario (o alla permanenza del trattamento sanitario) consistente nel collegamento a macchinari in grado di tenere in vita il soggetto privo di ogni capacità. Considerata la necessità che il consenso (come anche il rifiuto) al trattamento sanitario sia attuale e personalissimo – non è quindi possibile, al riguardo, far operare la rappresentanza – gli orientamenti espansivi, come quello della giurisprudenza indicata, devono essere criticati e ritenuti non in linea con l'intenzione del nostro legislatore, cioè vietati. La migliore dottrina è diretta a percorrere quest’ultima via interpretativa, evitando che l'amministrazione di sostegno possa risolversi in una esagerata delega, all'amministratore, di compiti non demandabili a nessuno. Il nuovo istituto, dunque, mantiene così integro il carattere connesso alla protezione della persona bisognosa e deve esserne incentivata l'applicazione.
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
6.11 Tra indifferenza e sofferenza. La scuola dei disabili.
Dott. Antonio Leone Giornalista
Vorrei partire dalla prima pagina del quotidiano La Stampa di sabato 7 marzo. Il problema disabili occupa una posizione di rilievo grazie ad un articolo firmato da Giovanni Orsina, dal titolo “La falsa integrazione dei disabili”. Da una parte, dati alla mano, viene sottolineato il fatto che siamo in cima alle classifiche mondiali quanto a integrazione dei disabili nelle scuole italiane: il 100%. Dall'altra si propone un’attenta valutazione di un caso singolo, non diverso comunque da tanti altri, circa una esperienza di integrazione lungo un intero ciclo di scuola elementare. Una serie di problemi che non vengono risolti e non perché manchino i soldi, ma perché piuttosto quello che si spende viene speso male. Da qui un elenco di incongruenze, a cominciare da quello che accade in prima elementare, quando al piccolo disabile viene assegnato un insegnante di sostegno per poche ore, troppo poche. Cito testualmente.” il sostegno era stato distribuito in una riunione nella quale i genitori dei disabili della scuola, gravi e meno gravi, avevano giocato a lungo a “chi ce l'ha più handicappato?” . Un gioco che approda alla decisione della scuola di suggerire ai genitori di rivolgersi al Tar. Contro chi? Contro le decisioni della scuola stessa”. Paradossale, ma è quanto avviene. Poi, nell'articolo citato si passa agli anni successivi. Arriva il sostegno: dapprima assicurato da figure precarie che cambieranno molto presto e ogni volta il piccolo disabile che vedrà passare le sue aspettative, le sue esigenze, in secondo piano. Contano le graduatorie, non le specializzazioni, conta la burocrazia non la qualità del servizio reso. Contano tutti meno che loro. Da che parte stare? La risposta sembra scontata. Stiamo dalla parte di chi chiede un servizio che la legge gli consente di pretendere. Ma chi, questo servizio, dovrebbe garantirlo, come si rapporta al proprio senso di responsabilità, come si interroga sulla propria formazione, sulla propria capacità di interagire e assecondare i percorsi di crescita del disabile che gli viene affidato? Le molte storie che la scuola consegna alla cronaca ci descrivono da un lato persone sofferenti e, dall'altro, persone indifferenti. Le persone sofferenti sono i disabili e le madri e i padri dei disabili. Ecco la piccola aula in cui viene confinato Christian, autistico. E' solo con l'insegnante di sostegno, perché in classe non lo fanno stare. ”Disturberebbe troppo”, dicono, ”impedendo alla maestra di fare lezione”. Il problema sembra essere, prioritariamente, quello del contenimento. Ecco Matteo che i genitori vogliono ritirare dalla scuola perché sballottato da un'aula all'altra o da un insegnante all'altro. Ecco i bambini ai quali viene diagnosticata con ritardo una dislessia che ne pregiudica l'apprendimento e che 140
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Atti del Workshop andrebbero invece affrontati con didattiche che non sempre gli insegnanti padroneggiano. Insomma, accanto a situazioni che certamente evolvono positivamente, una molteplicità di altri casi nei quali i dolori dei piccoli e delle famiglie non trova ascolto. La scuola dell'integrazione rischia di diventare così un luogo dal quale il disabile non viene certo respinto, ma nel quale rischia di vivere isolato, messo nella condizione di non creare problemi agli altri. “Da che parte stiamo?”, chiedevo prima. Credo che si debba stare non dalla parte di chi si accontenta, di chi tira avanti, di chi opta per un quieto vivere, senza interrogarsi quanto alla propria competenza, alla propria capacità di impostare correttamente la soluzione dei problemi di apprendimento dei propri alunni. Tanto minore è l'ascolto e tanto maggiore il tasso di sofferenza di chi non trova la strada di una vera integrazione. E veniamo allora al ruolo dei mezzi di comunicazione. Sono partito da un articolo di prima pagina del quotidiano La Stampa. Ne dovremmo leggere molti, di articoli che ci mettono di fronte alla realtà, nella maniera più obiettiva. Viviamo in un Paese singolare, che reagisce con sorpresa, quasi dubbioso, alla decisione presa in una scuola del Nord di mandare a casa, licenziare, un docente che non faceva il suo mestiere. Il destino di una persona messa alla porta ci tocca, mentre il cumulo di occasioni buttate nella scuola, a danno dei giovani, a danno (per stare ad uno slogan del momento) della “buona scuola”, ci lascia quasi indifferenti. Ecco perché l'atto di accusa letto su un quotidiano ci sembra importante. Quell'articolo concludeva: “Se però l'Italia, dopo aver fatto l'umanissima scelta del 100%, quel 100% non riesce a organizzarlo, a dargli priorità, a rivedere i meccanismi di una burocrazia macchinosa e inefficiente per farlo funzionare davvero; se un servizio di buona qualità si alterna troppo spesso a uno di qualità scadente, o in qualche caso del tutto insufficiente – allora la scelta umanissima smette di essere una soluzione e per il disabile e la sua famiglia diventa un problema. E viene allora da pensare, senza volerlo pensare, che se la civiltà praticata del Paese proprio non riesce a adeguarsi alla sua civiltà pensata, allora tanto vale che ci rassegniamo e lasciamo che la civiltà pensata si adegui a quella praticata. Con tanti saluti a quel 100%”.
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
7. CONCLUSIONI
E’ ora di tirare le somme: metaforicamente, s’intende, poiché, come abbiamo più volte ripetuto, questo è un “Rapporto” nel quale i numeri contano poco e l’analisi quantitativa cede il passo a quella qualitativa. A valle della ricerca della quale si dà conto nelle pagine precedenti, dopo le tabelle e le rappresentazioni grafiche che sintetizzano i valori e i dati rilevati e a conclusione del Workshop nel quale sono confluiti i contributi di tanti qualificati esperti che hanno dato voce agli operatori della comunicazione sociale e alle associazioni delle persone con disabilità dobbiamo finalmente rivedere insieme quella fotografia mossa ed un poco sfocata che i media ci hanno consegnato. Ci è parso che tutti concordino nel cogliere segnali, timidi ma avvertibili, di un cambiamento: una discontinuità che marca un differente approccio alle persone con disabilità e alle loro storie, un approccio più cauto, più corretto nel lessico, più attento ai valori ed alla dignità della persona che al sensazionalismo superomistico o pietistico che ha segnato per anni la rappresentazione dell’altro, del “diverso”, nel sistema mediatico nazionale. Abbiamo ricordato che il nostro è un lungo percorso, che parte nel 2005: una ricerca aperta, un work in progress di dieci anni che registra il lungo percorso, non ancora ultimato, verso una difficile “normalità”, verso il riconoscimento civile, sociale, economico - della piena cittadinanza della disabilità. Abbiano anche detto, sintetizzando il senso di questo cammino, che nella rappresentazione mediatica delle persone con disabilità qualcosa sta cambiando da quando il “Rapporto 2005” ci restituiva il quadro di una rappresentazione quasi sempre oscillante tra eroismo e pietà, che raccontava il superuomo disabile che vince le avversità del suo triste destino ovvero la triste storia dell’infelice che fa appello alla pubblica solidarietà o alla benevolenza delle istituzioni. In sintesi: un’informazione pietistica, sensazionalistica, di colore, in un contesto di sostanziale marginalizzazione. Nel successivo “Rapporto 2008” il campione si è allargato a televisione, radio e, soprattutto, a internet. La grande novità è stata proprio questa: la disabilità è approdata in rete - sono nati siti a centinaia - ma è rimasta nella rete. Internet si è manifesta infatti come una straordinaria opportunità per il mondo della disabilità, ma sostanzialmente autoreferenziale. Per quanto riguarda poi la disabilità sui media radio-televisivi, la rappresentazione appariva ancora marginale e marginalizzata. A dispetto di timidi segnali positivi, la “disabilità normale” appariva ancora lontana dai grandi media. Anche nel “Rapporto 2009” sono emersi elementi di novità: è cresciuto il peso della disabilità in rete, sono migliorate la qualità e la quantità dell’informazione sulla stampa, non altrettanto quella sui mezzi radiotelevisivi. Dati contraddittori che rimandano una fotografia “mossa”, perché la percezione e la rappresentazione della disabilità stanno cambiando, ma con un moto incerto che non consente una lettura univoca del fenomeno. 142
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Conclusioni Del presente “Rapporto 2012” abbiamo ampiamente parlato: l’indagine propone un nuovo approccio, narrativo - arrivano le “storie” di disabilità e il percorso di lettura - più orientato verso l’analisi qualitativa per cogliere il senso, più che i numeri, della rappresentazione. La nostra ricerca accentua i caratteri che gli sono propri in una direzione che abbiamo semplificato con la formula “dal quanto al come”. E il “come” (o il “quale”, come ci suggerisce Paolo De Nardis nel suo intervento al panel del Workshop) consolida la percezione che, nel sentiment collettivo e sui media, il cambiamento - in qualità e quantità della rappresentazione - inizia ad essere avvertibile. Insomma, non molto è cambiato, ma qualcosa sta cambiando sulle grandi testate a stampa, sulle pubblicazioni on-line, sui media redio-televisivi, grazie anche al Web 2.0, alla formidabile innovazione socio-culturale portata dai social media. Come siamo arrivati a questa conclusione? Partiamo dalla metodologia. La ricerca ha interessato le maggiori testate nazionali di informazione su carta stampata (“Corriere della Sera”, “la Repubblica”, “La Stampa”, “l’Unità”, “Il fatto quotidiano”, “Il Mattino”, “Avvenire”, “Il Messaggero”) e alcune testate on line, tra agenzie di informazione e siti web di settore (Redattore sociale, Superando, Quotidiano Sanità, Osservatorio malattie rare). Le testate sono state monitorate - nel periodo di riferimento della ricerca, ossia nell’ultimo trimestre del 2012 - non tanto per perseguire l’obiettivo di un rilevamento completo di tutti i pezzi usciti nel trimestre e la realizzazione di una analisi quantitativa dettagliata, ma piuttosto per realizzare una selezione “significativa” di venti storie attraverso cui proporre una analisi prevalentemente qualitativa del rapporto tra disabilità e media. Di conseguenza, le storie sono state scelte sulla base dell’estensione del pezzo e del loro grado di approfondimento del tema, in quanto affrontavano l’argomento disabilità non solo come notizia ma come un’occasione di analisi e di riflessione. La narrazione delle storie è diventata essa stessa “storia”, attraverso la proposta di un percorso di lettura: persone, luoghi, tempi, sono le tappe attraverso cui abbiamo voluto raccontare queste storie per ordinarle in un percorso coerente, come singole parti di una storia - di ordinaria e straordinaria disabilità - più grande, che tutte le ricomprende. A questo punto, di ogni storia è stata realizzata una analisi di tipo quantitativo e qualitativo. Nel primo caso è stata considerata la sezione in cui l’articolo compariva (cronaca, rubrica dedicata, ecc.), il suo posizionamento in pagina (taglio alto, medio o basso), il rilievo tipografico (piccolo, medio, grande), la presenza di immagini e la loro funzione (descrittiva o evocativa), l’identità dei protagonisti, le ricorrenze tematiche. L’analisi qualitativa si è invece concentrata sull’aspetto linguistico e lessicale, con brevi osservazioni sull’utilizzo di metafore e sulla tipologia dei campi semantici scelti dai giornalisti. Analisi delle variabili quantitative e osservazioni sul lessico sono confluite in singole schede di analisi di primo livello, realizzate per ogni articolo. A integrazione e completamento del Rapporto compare, infine, una serie di tavole riassuntive che, nel capitolo IV, rappresentano graficamente i dati emersi. Citiamo a titolo esemplificativo quella che riporta il posizionamento in pagina, 143
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Rapporto 2012 - Disabilità e media da cui emerge che la maggioranza dei pezzi sono stati collocati in taglio alto, o gli istogrammi che evidenziano le ricorrenze tematiche dei singoli articoli, analizzate storia per storia, testata per testata e quindi “pesate” complessivamente e comparativamente. Giunti al termine di questo percorso euristico possiamo ora trarre le prime conclusioni. Le evidenze quali-quantitative che emergono dal “Rapporto” sono significative: quando la stampa si occupa dell’argomento disabilità lo fa soprattutto attraverso la voce di genitori o familiari (protagonisti del maggior numero di pezzi); nel 65% dei casi posizionando l’articolo come taglio alto della sezione Cronaca e corredandolo con un’immagine dalla funzione evocativa. Tra i temi affrontati, il più frequente è quello dell’Autonomia (in 13 articoli su 20), seguito dall’argomento Famiglia (8 articoli) e Risorse economiche (6). Insomma, la “storia” di disabilità esce dalla marginalità informativa, dalla cronaca minuta, dalla collocazione tipica del “pezzo di colore”. La disabilità, sulla grande stampa nazionale, acquisisce nuova dignità e peso, attestati dal rilievo giornalistico e dal taglio editoriale. Diverso e più complesso è il discorso che emerge dall’analisi del linguaggio adottato. L’analisi semantica, che di questo Rapporto è uno degli elementi fondamentali, evidenzia come il linguaggio applicato alle storie di disabilità sia ancora prevalentemente enfatico ed emozionale, non privo di stereotipi e di abusati stilemi. Abbondano i “padri coraggio” e i “figli eroi”, molto si attinge alla sfera delle emozioni - sono frequenti i “cuori”, i “sogni”, le “emozioni” - o del conflitto, con insistiti richiami alla “disperazione”, alla “guerra”, alla “lotta”. Su questo punto ci illuminano le considerazioni di Stefano Trasatti che, con la sua grande esperienza di comunicatore sociale, per un verso ci conforta sull’esito delle nostre ricerche - il quadro della rappresentazione della disabilità sui media è cambiato in meglio - per altro verso ci ricorda che non possiamo ancora essere soddisfatti, perché la nostra sensibilità collettiva si è negli anni affinata ed evoluta. È cambiata anche grazie all’eco mediatica di eventi come le Paralimpiadi di Londra, le campagne di informazione sull’autismo, la trasmissione di fiction televisive di grande successo come Hotel 6 stelle, ma anche grazie al carismatico apostolato di Papa Francesco e ad esperienze di formazione ed informazione come “Parlare civile”. Ciò nonostante - ci ricorda Trasatti, in piena sintonia con gli esiti della nostra ricerca - stereotipi, immagini preconfezionate e routines professionali continuano a consegnarci l’immagine prevalente di un disabile eroe o “sfigato”, e comunque sempre buono, sempre portatore di valori positivi, ma quasi mai “persona”, quasi mai “normale”. La disabilità continua infatti a essere prevalentemente trattata in negativo: si usano parole come “peso”, “carico”, “tragedia”, “costrizione” e raramente la condizione del disabile è trattata come una delle possibili condizioni umane. Domina dunque ancora la logica costrittiva della notiziabilità, che richiede al giornalista un approccio comunque “drammatico” alla persona disabile e alla sua storia: vince ancora quel sensazionalismo che, per ricordare l’efficace espressione consegnataci da Paolo De Nardis, è “la malattia infantile del giornalismo”. 144
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Conclusioni Come se ne esce? Condividiamo la ricetta in quattro punti proposta da Trasatti: servono un approccio meno emozionale e più umile, un maggiore equilibrio nella selezione delle notizie, una migliore conoscenza delle realtà legate alla disabilità, un linguaggio corretto ed adeguato che rifugga etichette e stereotipi. Proprio al tema del linguaggio ci ha riportato il contributo di Vincenzo Falabella dedicato alla Convenzione Onu sui Diritti delle persone con disabilità. Il Presidente della FISH ci ha ricordato la profonda valenza etica, lessicale, ma anche politica dello slogan che è stato alla base di una campagna mondiale di opinione: “nulla su di noi senza di noi”. La Convenzione Onu si colloca in questa prospettiva: non riconosce nuovi diritti alle persone con disabilità, ma vuole assicurare che queste possano godere delle stesse opportunità di cui godono tutti. E tuttavia, nonostante la Convenzione sia stata ratificato in Italia nel 2009, ancora oggi assistiamo, nella comunicazione, nei media, nelle testate giornalistiche ad un modo improprio di affrontare la realtà delle persone con disabilità. Un modo che continua a riflettere il rapporto che si innesca nei confronti della disabilità. Eppure, grazie anche alla Convenzione Onu e alla cosiddetta “classificazione funzionale” del concetto di disabilità, sono cambiate le parole e le sensibilità. Le persone con disabilità vogliono essere considerate delle persone perché la disabilità non è più una condizione fisica come emergeva dal retaggio culturale medicocentrico: una persona con disabilità doveva essere considerata malata e di conseguenza curata e, in assenza di guarigione, emarginata. Ma il quadro negativo, come ci ha ricordato Falabella, non si esaurisce con la denuncia di errori, carenze e omissioni nella rappresentazione mediatica delle persone disabili: quello che non è stato adeguatamente modificato è anche l’aspetto fondamentale del cosiddetto diritto all’informazione - e alla cultura esplicitamente richiamato dagli articoli 21 e 30 della Convenzione Onu. Il problema dell’accesso ai media e all’informazione da parte delle persone con disabilità visive e auditive è l’altra faccia del binomio disabilità e media: una faccia ancora in buona misura in ombra. Rimandiamo alle considerazioni puntuali che sul tema sono state formulate da Stefania Leone, per i ciechi e gli ipovedenti, e da Costanzo del Vecchio, segretario nazionale dell’Ente nazionale sordi: oltre che i contenuti delle rappresentazioni mediatiche della disabilità, è necessario approfondire le modalità di fruizione dei media da parte delle persone con disabilità, essendo l’accesso all’informazione e alla comunicazione un diritto sancito sia dalla legge 67/2006 contro le discriminazioni che dall’art. 30 della Convenzione delle Nazioni Unite, secondo cui “gli Stati riconoscono il diritto delle persone con disabilità a prendere parte su base di uguaglianza con gli altri alla vita culturale e adottano tutte le misure adeguate a garantire alle persone con disabilità l’accesso a programmi televisivi, film, spettacoli teatrali e altre attività culturali, in formati accessibili”. Ma anche in tema di sottotitolature, lingua dei segni e audiodescrizioni siamo - come sistema Paese e come servizio pubblico radiotelevisivo - terribilmente indietro, così come nel campo più generale delle applicazioni delle tecnologie assistive. 145
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Rapporto 2012 - Disabilità e media Come prescrive anche la legge Stanca, largamente inapplicata, l’accesso ai media deve essere consentito con le audiodescrizioni, con la sottotitolazione e con la traduzione nella Lingua dei Segni nel rispetto del principio del “diritto alla libertà di scelta della comunicazione”: solo così si garantisce l’abbattimento della barriera della comunicazione che penalizza le persone con disabilità non meno di una rappresentazione non corretta. Perché, vale ribadirlo, vi è una stretta correlazione tra i due temi, quello della rappresentazione della disabilità attraverso i media e quello dell’accessibilità ai mezzi di comunicazione da parte delle persone disabili. Esiste poi il problema ulteriore, evocato da Renata Jannuzzi, rappresentato dalle barrire intellettive, che introducono altri elementi di esclusione e di discriminazione che rendono manifeste l’inadeguatezza, anche culturale, delle istituzioni ed il sostanziale disinteresse della politica. Qualora tutto ciò non bastasse, ci scontriamo - lo ha evidenziato con efficacia Gaetano Napoli - con la mancanza di adeguata diffusione delle potenzialità dell'amministrazione di sostegno: scarsa o nulla attenzione si è registrata sui media riguardo a importanti strumenti giuridici di protezione delle persone bisognose o con disabilità, come la legge 9 gennaio 2004 n. 6, la norma che ha riformato quella che tradizionalmente viene definita come la “incapacità giudizialmente dichiarata”. In virtù di tale riforma un intero titolo del codice civile è, da oltre dieci anni, testualmente dedicato alle “misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia”. Ma l’applicazione della norma deve essere adeguatamente incentivata e anche in questo caso il sistema dell’informazione mostra la sua sostanziale inadeguatezza ad occuparsi della disabilità in modo concreto e fattivo, a svolgere la sua naturale funzione di advocacy, ad affrontate il tema in termini di diritti e di cittadinanza. Della scuola, al contrario, sui media si parla, e il “Rapporto” lo ha puntualmente registrato raccontando tante storie di istruzione negata, di ostilità ambientale, di genitori di ragazzi disabili chiamati a una lunga, difficile supplenza. Anzi, forse il problema è questo: dei ragazzi con disabilità nella scuola si parla e si scrive da decenni, si parla e si scrive e basta. Se si entra nel mondo dell’istruzione dalla porta stretta - strettissima - delle disabilità, la “buona scuola” sembra una prospettiva quanto mai lontana. La scuola dei disabili sopravvive così “tra indifferenza e sofferenza”, come ci racconta Antonio Leone nel suo intenso contributo che evidenzia una realtà antica: quella dei disabili nella scuola è una “falsa integrazione”, un’integrazione proclamata nelle disposizioni e nei programmi, ma negata, nei fatti, dalla carenza delle strutture, dai tagli all’istruzione, dalla scarsa sensibilità collettiva. Perché, in fondo, quello che ancora manca, per mutuare una frase dal contributo di Paolo De Nardis, è “la considerazione dell’alterità degli altri”. O, per ricordare quanto hanno sottolineato Sabatini e Falabella, manca ancora la piena consapevolezza che il problema della disabilità se è sociale, civile, culturale allora è, di necessità e per elezione, “politico”. Eppure, in conclusione, registriamo che, nonostante tutto, siamo andati avanti, che qualcosa è cambiato, e non in peggio. Guardando al cammino percorso negli ultimi dieci anni nell’evoluzione della rappresentazione 146
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Conclusioni mediatica della disabilità - un cammino che i “Rapporti” hanno monitorato e documentato dal 2005 ad oggi - resta il segno di una percezione diversa, più consapevole, più avvertita, più civile. Questo “Rapporto”, pur nella sua non esaustività, registra una progressiva maturazione, una nuova coscienza, una sensibilità più consapevole nella narrazione delle storie di disabilità, che sempre più spesso diventano, anche sui giornali, storie di “persone” con disabilità. Se dunque, in questo contesto evolutivo, il fine del “Rapporto Disabilità e media” è quello di cogliere il senso e la direzione della novità, dell’evoluzione del lessico, del costume, della sensibilità collettiva allora, forse, non è più molto lontano il riconoscimento alla disabilità di una nuova dignità e di una piena cittadinanza, nel segno di una difficile ma possibile“.
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
agi.it
APPENDICE
Rassegna stampa
Salute: fond. Matteotti, riflessione su "Disabilità e media" 13:10 11 MAR 2015
(AGI) - Roma, 11 mar. - "Storie di ordinaria e straordinaria disabilità". E' questo il filo conduttore di "Disabilità e media", Rapporto della Fondazione Matteotti sulla rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell'informazione, presentato a Roma, nella biblioteca della Camera dei Deputati, con diversi esperti del mondo della comunicazione, della ricerca e delle associazioni impegnate sul tema della disabilità. Il rapporto e' stato realizzato con il contributo della Fondazione Terzo Pilastro - Italia e Mediterraneo ed ha monitorato alcune delle maggiori testate nazionali di informazione di carta stampata e siti web di interesse in cerca di "storie di disabilità" pubblicate nell'ultimo trimestre del 2012. Il risultato e' stato un percorso di venti storie di ordinaria e straordinaria disabilità, da cui emerge che quando la stampa si occupa di questo argomento, lo fa soprattutto attraverso la voce di genitori o familiari, nel 65% dei casi posizionando l'articolo come taglio alto della sezione Cronaca e corredandolo con un'immagine dalla funzione evocativa. Tra i temi affrontati, il più frequente e' quello dell'autonomia (in 13 articoli su 20), seguito dall'argomento famiglia (8 articoli) e risorse economiche (6). Spesso enfatico il linguaggio, con "padri coraggio" e "figli eroi" e un lessico che attinge alla sfera delle emozioni (frequenti i "cuori", "sogni", "emozioni") o del conflitto ("disperazione", "guerra", "lotta"). Varie le storie emerse dal flusso delle notizie. Dall'odissea di Esharef, alle prese con un trasporto pubblico inadeguato (Il Messaggero) al coraggio di Manuel, ragazzo down diventato atleta di successo (Avvenire); dalla seconda vita di Samuel, disabile dopo un incidente in moto che torna alla vita sociale grazie all'aiuto del padre (Corriere della sera) alla surreale vicenda di Pierre, ragazzo autistico scambiato per uno spacciatore (la Repubblica). Non solo storie di persone ma anche di luoghi, dalla piazza che ha visto le proteste dei disabili contro il taglio dei fondi (Il Mattino) al carcere, dove la condizione di disabile diventa ancora più drammatica (Superando.it); e poi storie di tempi, dal presente dell'inquietante fotografia del Censis sulla disabilità in Italia (Quotidianosanita.it) al futuro della ricerca che apre orizzonti di cambiamento (La Stampa, Redattore Sociale). (AGI)
Blog Ufficiale di Giovanni Cupidi Studio dei Problemi – Ricerca delle Soluzioni https://giovannicupidi.wordpress.com/2015/03/11/disabilita-emedia-rapporto-2012/
Disabilità e media. Rapporto 2012 Il 10 marzo 2015 è stato presentato a Roma il Rapporto 2012 “Disabilità e media. La rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione”, curato dalla Fondazione Giacomo Matteotti, con il contributo della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo. Dopo quelli del 2005, 2008 e 2009, il Rapporto 2012 prosegue il viaggio del team di ricercatori
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Rassegna stampa nell’analisi della rappresentazione della disabilità all’interno del sistema italiano dell’informazione. Un viaggio che ha fatto emergere, negli anni, una rappresentazione mediatica della disabilità inadeguata, modesta, inefficace, parziale, omissiva e, soprattutto, eroica o pietistica. La persona con disabilità che trova spazio nei media italiani è, di volta in volta, “un eroe – che suscita sussiegosa ammirazione – ovvero un infelice – meritevole della nostra compassione. Superomismo e pietismo sono i punti estremi tra i quali oscilla, da sempre, il pendolo della disabilità a mezzo stampa”. In virtù dei risultati raggiunti dai precedenti Rapporti, realizzati fra il 2005 e il 2009, che hanno testimoniato la sostanziale invarianza dell’approccio dei media nazionali al mondo della disabilità, con il Rapporto 2012 è stato adottato un nuovo metodo di indagine, che, pur permettendo il confronto con quanto prodotto in passato, si concentra ora sulla raccolta di storie. Storie di disabilità, per come i media italiani le evidenziano e le raccontano. La direzione del cambiamento intrapreso dal Rapporto 2012 viene riassunta, dagli estensori, con l’espressione: dal quanto al come. Un tentativo di andare al di là della dimensione quantitativa, per soffermarsi sull’emersione del dato qualitativo delle storie di disabilità. Nello specifico, sono stati selezionati e analizzati 20 articoli, espressione di altrettante storie, tratti dalle principali e più seguite testate nazionali e dai siti web specializzati e blog di settore. Tutti relativi al all’ultimo trimestre del 2012, ossia lo stesso trimestre di riferimento coperto dal monitoraggio per tutti i Rapporti realizzati. Peraltro, come si legge nel testo, il Rapporto Disabilità e media 2012 nella versione presentata e resa disponibile sul web rappresenta una sorta di “bozza”, aperta ai contributi e alle testimonianze degli operatori specializzati e della stampa. Apporti che andranno a confluire nella redazione definitiva del Rapporto 2012. Anche in quest’ottica di apertura, ci permettiamo quindi di evidenziare delle criticità e proporre dei suggerimenti. Il primo riguarda innanzitutto la modalità espressiva, che oltretutto riveste una valenza particolare in un Rapporto incentrato ad analizzare quantitativamente e qualitativamente la rappresentazione della disabilità nel sistema dei media italiani. Ci riferiamo all’adozione da parte degli autori dell’espressione “diversamente abile”. Tale locuzione è in contrasto con il linguaggio adottato dalla specifica Convenzione ONU: essa usa i termini condivisi a livello internazionale di “persone con disabilità”. E fornisce la definizione di disabilità quale risultato dell’interazione tra persone con menomazioni permanenti e barriere ambientali, culturali, comportamentali che ne impediscono una piena partecipazione alla vita sociale in condizione di parità con tutti gli altri cittadini. Il secondo elemento di criticità, strettamente connesso al primo, riguarda invece la parziale inaccessibilità del Rapporto 2012; scannerizzazioni e tabelle sono rese con modalità grafiche inaccessibili ai non vedenti e agli ipovedenti. La mancata considerazione di tale standard (internazionale e recepito in Italia), ancora più marcata nelle precedenti edizioni, restringe di fatto l’accesso all’informazione da parte delle stesse persone con disabilità.
Comune di Torino »Informa disAbile» Archivio Notizie
Disabilità e comunicazione: a che punto siamo? Il nuovo Rapporto 2012 della Fondazione Giacomo Matteotti di Roma fotografa con puntualità la rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione, in
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Rapporto 2012 - Disabilità e media riferimento all’ultimo trimestre del 2012, proseguendo un percorso avviato già nel 2005. Il documento verrà presentato il 10 marzo, presso la Biblioteca della camera dei Deputati Dopo quelli del 2005, 2008 e 2009, è ora disponibile il Rapporto 2012 Disabilità e media. La rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione, documento curato dalla Fondazione Giacomo Matteotti di Roma, con il contributo della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo, grazie al lavoro di uno staff di ricercatori specializzati, allo scopo di sottoporre all’attenzione degli operatori sociali e dei professionisti della comunicazione una serie di rilevazioni e di riflessioni emergenti dal monitoraggio del sistema dell’informazione, effettuato appunto nell’ultimo trimestre del 2012. «L’analisi proposta dal Rapporto 2012 – spiegano dalla Fondazione Matteotti – muove, con una significativa innovazione di metodo rispetto alle edizioni precedenti, dalla rilevazione di una serie di storie di disabilità che emergono, nel periodo di riferimento, dalla stampa quotidiana nazionale e da alcuni siti internet specializzati, cogliendo peculiarità, dati emergenti e tendenze nelle modalità di rappresentazione delle persone con disabilità da parte dei media». La presentazione del nuovo Rapporto è in programma per martedì 10 marzo a Roma, presso la Sala del Refettorio della Biblioteca della Camera (ore 16), con l’introduzione affidata ad Angelo G. Sabatini, presidente della Fondazione Matteotti, mentre a spiegare le caratteristiche del nuovo documento saranno due degli esperti che hanno contribuito a elaborarlo, vale a dire Alberto Aghemo, giornalista e segretario generale della Fondazione Matteotti e Simona Galasso, giornalista e insegnante. Interverranno poi Stefano Trasatti, direttore dell’agenzia «Redattore Sociale» e del portale «SuperAbile.it» (La disabilità attraverso la lente dei media) e Vincenzo Falabella, presidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), mentre a un successivo panel di esperti parteciperanno Costanzo Del Vecchio, segretario nazionale dell’ENS (Ente Nazionale dei Sordi), Paolo De Nardis, sociologo dell’Università La Sapienza di Roma, Stefania Leone dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), Gaetano Edoardo Napoli, giurista dell’Università Telematica Unitelma Sapienza, Antonio Leone, giornalista e Renata Jannuzzi, responsabile di Pari Opportunità Assoforum. Le conclusioni saranno tratte da Emmanuele Emanuele, presidente della Fondazione Roma. (S.B.) Come già accaduto per le precedenti ricerche, la Fondazione Matteotti propone il Rapporto 2012 Disabilità e media in bozza all’attenzione e alla valutazione di quanti (operatori sociali, persone con disabilità e loro associazioni, comunicatori) vorranno arricchire la ricerca con una testimonianza diretta o con un proprio contributo di approfondimento. Per ulteriori informazioni e approfondimenti: info@fondazionematteottiroma.org. Disabilità e media. Rapporto 2012 10 marzo 2015 Il 10 marzo 2015 è stato presentato a Roma il Rapporto 2012 “Disabilità e media. La rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione”, curato dalla Fondazione Giacomo Matteotti, con il contributo della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo.
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Rassegna stampa Dopo quelli del 2005, 2008 e 2009, il Rapporto 2012 prosegue il viaggio del team di ricercatori nell’analisi della rappresentazione della disabilità all’interno del sistema italiano dell’informazione. Un viaggio che ha fatto emergere, negli anni, una rappresentazione mediatica della disabilità inadeguata, modesta, inefficace, parziale, omissiva e, soprattutto, eroica o pietistica. La persona con disabilità che trova spazio nei media italiani è, di volta in volta, “un eroe – che suscita sussiegosa ammirazione – ovvero un infelice – meritevole della nostra compassione. Superomismo e pietismo sono i punti estremi tra i quali oscilla, da sempre, il pendolo della disabilità a mezzo stampa”. In virtù dei risultati raggiunti dai precedenti Rapporti, realizzati fra il 2005 e il 2009, che hanno testimoniato la sostanziale invarianza dell’approccio dei media nazionali al mondo della disabilità, con il Rapporto 2012 è stato adottato un nuovo metodo di indagine, che, pur permettendo il confronto con quanto prodotto in passato, si concentra ora sulla raccolta di storie. Storie di disabilità, per come i media italiani le evidenziano e le raccontano. La direzione del cambiamento intrapreso dal Rapporto 2012 viene riassunta, dagli estensori, con l’espressione: dal quanto al come. Un tentativo di andare al di là della dimensione quantitativa, per soffermarsi sull’emersione del dato qualitativo delle storie di disabilità. Nello specifico, sono stati selezionati e analizzati 20 articoli, espressione di altrettante storie, tratti dalle principali e più seguite testate nazionali e dai siti web specializzati e blog di settore. Tutti relativi all’ultimo trimestre del 2012, ossia lo stesso trimestre di riferimento coperto dal monitoraggio per tutti i Rapporti realizzati. Peraltro, come si legge nel testo, il Rapporto Disabilità e media 2012 nella versione presentata e resa disponibile sul web rappresenta una sorta di “bozza”, aperta ai contributi e alle testimonianze degli operatori specializzati e della stampa. Apporti che andranno a confluire nella redazione definitiva del Rapporto 2012. Anche in quest’ottica di apertura, ci permettiamo quindi di evidenziare delle criticità e proporre dei suggerimenti. Il primo riguarda innanzitutto la modalità espressiva, che oltretutto riveste una valenza particolare in un Rapporto incentrato ad analizzare quantitativamente e qualitativamente la rappresentazione della disabilità nel sistema dei media italiani. Ci riferiamo all’adozione da parte degli autori dell’espressione “diversamente abile”. Tale locuzione è in contrasto con il linguaggio adottato dalla specifica Convenzione ONU: essa usa i termini condivisi a livello internazionale di “persone con disabilità”. E fornisce la definizione di disabilità quale risultato dell’interazione tra persone con menomazioni permanenti e barriere ambientali, culturali, comportamentali che ne impediscono una piena partecipazione alla vita sociale in condizione di parità con tutti gli altri cittadini. Il secondo elemento di criticità, strettamente connesso al primo, riguarda invece la parziale inaccessibilità del Rapporto 2012; scannerizzazioni e tabelle sono rese con modalità grafiche inaccessibili ai non vedenti e agli ipovedenti. La mancata considerazione di tale standard (internazionale e recepito in Italia), ancora più marcata nelle precedenti edizioni, restringe di fatto l’accesso all’informazione da parte delle stesse persone con disabilità. Daniela Bucci - Direttore responsabile di Condicio.it
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Rapporto 2012 - Disabilità e media CORRIERE DELLA SERA CORRIEREsociale 3 marzo 2015 http://sociale.corriere.it/
Rapporto “Disabilità e media” ROMA - La Fondazione Giacomo Matteotti - Onlus, il prossimo 10 marzo presenterà presso la Biblioteca della Camera, la bozza del Rapporto 2012, risultato del progetto di ricerca “Disabilità e Media. La rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione”. Il Rapporto 2012 si inserisce in un programma che ha preso avvio nel 2005 e che prosegue nel tempo con il sostegno della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo. Il draft sottopone all’attenzione degli operatori sociali e dei professionisti della comunicazione una serie di rilevazioni e di riflessioni che emergono dal monitoraggio del sistema dell’informazione effettuato nell’ultimo trimestre del 2012. Il Rapporto è disponibile in formato Pdf sul sito della Fondazione (fondazionematteottiroma.org) dove è consultabile e scaricabile. di Matteo Benedetti @jaspersjoke ROMA | Rapporto "Disabilità e media" FNOMCeO Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri http://www.fnomceo.it/fnomceo/home.2puntOT 11 marzo 2015
Media e disabilità: un rapporto che cambia? Cinque storie di persone. Dieci storie di luoghi. Cinque storie di tempi. Compaiono nel Rapporto “Disabilità e media”, realizzato dalla Fondazione “Giacomo Matteotti” Onlus e presentato martedì 10 marzo a Roma nella Biblioteca della Camera dei Deputati. Questo Rapporto analizza il passaggio dal quanto al come si comunica la disabilità sui mezzi di comunicazione, sui giornali e sul web. La situazione è in miglioramento rispetto al primo Rapporto che era del 2005 ed era titolato “Handicap e media”. Già il passaggio da Handicap a Disabilità è indicativo di come ci sia un’evoluzione nel trattare i casi singoli o collettivi del mondo della disabilità. Lo ha ricordato Paolo De Nardis, sociologo alla “Sapienza” e protagonista fin dal primo Rapporto. Il Presidente della Fondazione Matteotti Angelo G. Sabatini (Presidente onorario è il prof. F. M. Emanuele) ha detto che “la disabilità è un fatto umano ed è un problema politico” ed ha ricordato la figura di Matteotti, assassinato dai fascisti il 10 giugno 1924. Hanno illustrato il Rapporto, realizzato con il contributo della Fondazione Terzo Pilastro Italia-Mediterrraneo, Alberto Aghemo, segretario della Fondazione Matteotti e Simona Galasso, insegnante e giornalista. Aghemo ha parlato di “Rapporto narrativo, una sorta di storia delle storie”, mentre Galasso si è soffermata sulla metodologia seguita nell’esame di giornali e web. Il direttore di “Redattore sociale” e “Superabile" Stefano Trasatti hanno spiegato come vada migliorando la rappresentazione della disabilità sui media, nonostante permanga l’oscillazione tra il rappresentare il disabile o come un eroe o come un infelice. Per il Presidente della Federazione italiana per il superamento dell’handicap Vincenzo Falabella “è il momento di
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Rassegna stampa considerare la convenzione ONU al pari della Carta costituzionale”. Spiega la Fondazione Matteotti:“L’analisi proposta dal Rapporto 2012 muove, con una significativa innovazione di metodo rispetto alle edizioni precedenti, dalla rilevazione di una serie di storie di disabilità che emergono, nel periodo di riferimento, dalla stampa quotidiana nazionale e da alcuni siti internet specializzati, cogliendo peculiarità, dati emergenti e tendenze nelle modalità di rappresentazione delle persone con disabilità da parte dei media”. E poi: “Abbiamo visto che qualcosa sta cambiando: la disabilità sta diventando una presenza che 'pesa'. Il processo è lungo, la direzione incerta, gli esiti a volte discutibili ma, comunque,qualcosa sta cambiando”. La conclusione è che “nel Rapporto le storie sono state ordinate secondo alcuni percorsi coerenti, con la duplice finalità di agevolarne la lettura e di guidarla, evidenziando il senso che è sotteso alle diverse (ma spesso affini) vicende narrate. Il percorso logico diventa così un percorso narrativo, nel quale ogni vicenda è parte di una narrazione corale che dà senso e rafforza sensibilmente il quadro finale, ovvero quella rappresentazione dei diversamente abili nel sistema italiano dell’informazione”. Orfeo Notaristefano Disabilità e Media. La rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione - 4 marzo 2015 Biblioteca della Camera – Sala del Refettorio, 10 marzo 2015 – ore 16:00, Via del Seminario n. 76, Roma
La Fondazione Giacomo Matteotti - Onlus presenta la bozza del Rapporto 2012, risultato del progetto di ricerca “Disabilità e Media. La rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione”. Il Rapporto 2012 si inserisce in un programma che ha preso avvio nel 2005 e che prosegue nel tempo con il sostegno della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo. Il draft, che propone i primi risultati dell’ormai tradizionale indagine condotta da uno staff di ricercatori specializzati, sottopone all’attenzione degli operatori sociali e dei professionisti della comunicazione una serie di rilevazioni e di riflessioni che emergono dal monitoraggio del sistema dell’informazione effettuato nell’ultimo trimestre del 2012. L’analisi proposta dal Rapporto 2012 muove dalla rilevazione di una serie di storie di disabilità che emergono, nel periodo di riferimento, dalla stampa quotidiana nazionale e da alcuni siti internet specializzati, cogliendo peculiarità, dati emergenti e trend nelle modalità di rappresentazione dei diversamente abili da parte dei media. La presentazione delle storie di disabilità selezionate nel Rapporto è corredata da un’analisti semantica dei testi, da una rilevazione delle ricorrenze tematiche e da un esame degli elementi grafico-editoriali propri di ciascun articolo. Il Rapporto, in forma di “bozza di stampa” – per quanti vorranno arricchire la ricerca con una testimonianza diretta o con un proprio un contributo di approfondimento – è Disabilità-emedia-2012_Rapporto Fondazione Matteotti. Per maggiori informazioni e per confermare la partecipazione: Fondazione – 06 8078113, fax 06 94379578, info@fondazionematteottiroma.org - www.fondazionematteottiroma.org
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
10 Marzo 2015, Roma. Disabilità e media, la rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell'informazione - di Benedetta Morbelli
Il 10 marzo alle ore 16, presso la Sala del Refettorio della Biblioteca della Camera dei Deputati (via del Seminario 76) a Roma, si terrà il Workshop di presentazione del Rapporto "Disabilità e media- la rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell'informazione". Prenderà parte all'evento un panel di esperti del mondo della comunicazione, della ricerca, delle associazioni impegnate sul tema della disabilità. Come viene affrontato il tema della disabilità sulle maggiori testate nazionali di informazione? E come vengono presentate le persone disabili tra cronaca, politica, attualità? A fare il punto è l'ultimo rapporto "Disabilità e media" della Fondazione Giacomo Matteotti, una analisi quanti-qualitativa delle storie di disabilità apparse sulle maggiori testate di carta stampata e online. Realizzato con il contributo della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo, il Rapporto sarà presentato nel corso dell'evento. Accrediti e informazioni: Fondazione Giacomo Matteotti – info@fondazionematteottiroma.org
QUANDO LA DISABILITÀ FA NOTIZIA: DAI MEDIA UN RITRATTO DEI DISABILI “EROI” Posted by Samantha De Martin / marzo 11, 2015 / Posted in Attualità
Un filo sottile fatto di storie che hanno per protagonisti “disabili eroi” e “padri coraggio”, corre attraverso il sistema dell’informazione che, dalla carta stampata al web, offre racconti di ordinaria e straordinaria disabilità. Si tratta di episodi che vengono assorbiti dalla stampa molto spesso attraverso la voce dei genitori della persona disabile, e diffusi sotto forma di articoli corredati da immagini dalla f unzione quasi sempre evocativa, caratterizzati da un lessico che attinge alla sfera delle emozioni e da un linguaggio talvolta enfatico. Sono alcuni dei dati che emergono dal rapporto 2012 della Fondazione Giacomo Matteotti, dal titolo “Disabilità e media”, presentato a Roma nella Biblioteca della Camera dei Deputati. Realizzata con il contributo della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo, la ricerca ha monitorato alcune delle maggiori testate nazionali (Corriere della Sera, la Repubblica, La Stampa, Il Messaggero, Il Mattino, Avvenire, Il Fatto Quotidiano, L’Unità, Redattore sociale, Superando.it, Quotidianosanità.it) fornendo una rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione.
Si tratta del quarto rapporto realizzato dalla Fondazione Matteotti, diverso dai precedenti del
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Rassegna stampa 2005, del 2008 e del 2009, per l’utilizzo di un approccio di tipo qualitativo e per un tipo di informazione meno pietistica, sensazionalistica e autoreferenziale rispetto a quella offerta dai media negli anni precedenti. “È dal 2005 che indaghiamo sul tema della disabilità raccontata dalla stampa per denunciare carenze, esclusioni, omissioni – ha dichiarato Angelo Sabatini, presidente della Fondazione Matteotti -. Con questo Rapporto cerchiamo di intercettare e interpretare i segnali di novità registrati sulla stampa nazioanale nel lungo e talvolta difficile cammino verso una rappresentazione della disabilità normale, senza stereotipi, che sappia riconoscere alle persone disabili piena dignità e cittadinanza”.
Quando i quotidiani si occupano di queste storie, nel 65% dei casi posizionano l’aticolo come taglio alto nella sezione di cronaca. Tra i temi più affrontati, il più frequente è quello relativo all’autonomia, seguito dall’argomento famiglia e risorse economiche.
Dal flusso di notizie esaminate dalla Fondazione sono emerse diverse storie: dall’odissea di Esharef, alle prese con un trasporto pubblico inadeguato, resa nota dal Messaggero, al coraggio di Manuel, ragazzo down diventato atleta di successo, la cui storia è riportata da Avvenire. “Non si tratta solo di storie di persone – ha spiegato Simona Galasso nel presentare il Rapporto – ma anche di luoghi, dalla piazza che ha assistito alle proteste dei disabili contro il taglio dei fondi, al carcere, dove la condizione di disabile diventa ancora più drammatica. Ma esistono anche storie relative ai tempi, dal presente, ritratto dalla fotografia del Censis sulla disabilità in Italia, al futuro della ricerca che inaugura orizzonti di cambiamento”.
Eppure il ritratto delle persone con disabilità nel sistema dell’informazione resta ancora una fotografia mossa, i cui protagonisti oscillano tra una condizione di “eroi” ed “infelici”, come ha spiegato Stefano Trasatti, direttore del “Redattore sociale” e di “Superabile”. Trasatti ha anche ribadito la necessità da parte del giornalista di utilizzare una maggiore freddezza nell’approccio ai racconti dei disabili, per non cadere in stereotipi o pietismi diffusi.
quotidianosanità.it
Quotidiano on line di informazione sanitaria Venerdì 13 MARZO 2015
Tra autonomia e famiglia. Venti storie su come i media raccontano la disabilità. Il rapporto della Fondazione Matteotti Venti storie di ordinaria e straordinaria disabilità, raccontate da alcuni dei maggiori quotidiani nazionali di carta stampata e siti web, da cui emerge come i media affrontano l'argomento delle disabilità. Tra i temi più frequenti quello dell’autonomia, seguito dall’argomento famiglia e dalle risorse economiche.
12 MAR - La disabilità sta diventando una presenza che “pesa”. Il processo è lungo, la direzione incerta, gli esiti a volte discutibili ma, comunque, qualcosa sta cambiando. È questa la diagnosi emersa da “Disabilità e media”, il Rapporto della Fondazione Matteotti 2012 presentato a Roma, nella biblioteca della Camera dei Deputati che ha monitorato una serie di storie di disabilità raccontate da alcune delle maggiori testate nazionali di informazione di carta stampata e siti internet specializzati, cogliendo peculiarità, dati emergenti e trend nelle modalità di rappresentazione dei diversamente abili da parte dei media. Al centro del Rapporto 2012 - realizzato con il contributo della Fondazione Terzo Pilastro Italia e Mediterraneo - ci sono le storie: disabilità e diversità, di conflitto, a volte di lotta, di solitudine e di solidarietà di scienza e anche di speranza, storie di ordinaria e straordinaria disabilità. “Un approccio che non intende, e non può, essere esaustivo o “scientificamente” rigoroso – si legge nel Rapporto – ma che è sembrato abbia il pregio dell’evidenza e dell’efficacia espositiva: che riesca, cioè a tratteggiare, grazie a poche ma qualificate testimonianze, un clima, un orizzonte, un discorso breve ma in qualche misura compiuto”. Il risultato è stato un percorso di venti storie di ordinaria e straordinaria disabilità, da cui emerge
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Rapporto 2012 - Disabilità e media che quando i media si occupano di questo argomento, lo fanno soprattutto attraverso la voce di genitori o familiari, nel 65% dei casi posizionando l’articolo come taglio alto della sezione Cronaca e corredandolo con un’immagine dalla funzione evocativa. Sono varie le storie di ordinaria e straordinaria disabilità emerse dal monitoraggio delle notizie. Si va dall’odissea di Esharef, alle prese con un trasporto pubblico inadeguato (Il Messaggero) alla storia di ordinaria follia del politico che buca le gomme dell’auto di un disabile (la Repubblica), dal coraggio di Manuel, ragazzo down diventato atleta di successo (Avvenire) alla seconda vita di Samuel, disabile dopo un incidente in moto che torna alla vita sociale grazie all’aiuto del padre (Corriere della sera). Ma c’è anche la storia del regista Bernardo Bertolucci, disabile in sedia a rotelle che si rivolge al sindaco di Roma Gianni Alemanno dal blog “Diversamente affabile”, denunciando la non accessibilità ai disabili del Campidoglio come una mancanza di rispetto e una porta sbattuta in faccia a turisti e romani. Non solo storie di persone ma anche di luoghi, dalla piazza che ha visto le proteste dei disabili contro il taglio dei fondi (Il Mattino) al carcere, dove la condizione di disabile diventa ancora più drammatica (Superando.it). E poi ci sono le storie tracciate dalla fotografia del Censis sulla disabilità in Italia (Quotidiano Sanità.it). Tra i temi affrontati, il più frequente è quello dell’autonomia (in 13 articoli su 20), seguito dall’argomento famiglia (8 articoli) e risorse economiche (6). Spesso enfatico il linguaggio, con “padri coraggio” e “figli eroi” e un lessico che attinge alla sfera delle emozioni (frequenti i “cuori”, “sogni”, “emozioni”) o del conflitto (“disperazione”, “guerra”, “lotta”). 12 marzo 2015 © Riproduzione riservata
Rapporto su disabilità e media: criticità e suggerimenti di Daniela Bucci
L’uso dell’espressione “diversamente abile”, locuzione in contrasto con il linguaggio adottato dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, e alcune parti inaccessibili alle persone non vedenti e ipovedenti, sono i “punti deboli” individuati da Daniela Bucci nel Rapporto 2012 “Disabilità e media. La rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione”, presentato in questi giorni dalla Fondazione Giacomo Matteotti È stato presentato in questi giorni a Roma il Rapporto 2012 Disabilità e media. La rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione, curato dalla Fondazione Giacomo Matteotti, con il contributo della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo [se ne legga già anche nel nostro giornale, N.d.R.]. Dopo quelli del 2005, 2008 e 2009, questo documento prosegue il viaggio di quel medesimo team di ricercatori nell’analisi della rappresentazione della disabilità all’interno del sistema italiano dell’informazione, un viaggio che ha fatto emergere, negli anni, una rappresentazione mediatica della disabilità «inadeguata, modesta, inefficace, parziale, omissiva e, soprattutto, eroica o pietistica». Infatti, la persona con disabilità che trova spazio nei media italiani è, di volta in volta, «un eroe – che suscita sussiegosa ammirazione – ovvero un infelice – meritevole della nostra compassione. Superomismo e pietismo sono i punti estremi tra i quali oscilla, da sempre, il pendolo della disabilità a mezzo stampa». In virtù dei risultati raggiunti dai precedenti Rapporti – realizzati, come detto, fra il 2005 e il 2009 -, che hanno testimoniato la sostanziale invarianza dell’approccio dei media nazionali al
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Rassegna stampa mondo della disabilità, con il Rapporto 2012 è stato adottato un nuovo metodo di indagine che, pur permettendo il confronto con quanto prodotto in passato, si concentra ora sulla raccolta di storie. Storie di disabilità, per come i media italiani le evidenziano e le raccontano. La direzione del cambiamento intrapreso dal Rapporto 2012 viene riassunta, dagli estensori, con l’espressione «dal quanto al come», un tentativo, cioè, di andare al di là della dimensione quantitativa, per soffermarsi sull’emersione del dato qualitativo delle storie di disabilità. Nello specifico, sono stati selezionati e analizzati venti articoli, espressione di altrettante storie, tratti dalle principali e più seguite testate nazionali e dai siti web specializzati e blog di settore. Tutti relativi all’ultimo trimestre del 2012, ossia lo stesso trimestre di riferimento coperto dal monitoraggio per tutti i Rapporti realizzati. Per altro, come si legge nel testo, il Rapporto Disabilità e media 2012, nella versione presentata e resa disponibile sul web, rappresenta una sorta di “bozza”, aperta ai contributi e alle testimonianze degli operatori specializzati e della stampa. Apporti che andranno a confluire nella redazione definitiva del Rapporto 2012. Anche in quest’ottica di apertura, dunque, ci permettiamo di evidenziare delle criticità e di proporre dei suggerimenti. Il primo riguarda innanzitutto la modalità espressiva, che oltretutto riveste una valenza particolare in un Rapporto incentrato sull’analisi quantitativa e qualitativa della rappresentazione della disabilità nel sistema dei media italiani. Ci riferiamo all’adozione da parte degli autori dell’espressione “diversamente abile”, locuzione che è in contrasto con il linguaggio adottato dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità: quest’ultima, infatti, usa i termini condivisi a livello internazionale di “persone con disabilità” e fornisce la definizione di disabilità quale risultato dell’interazione tra persone con menomazioni permanenti e barriere ambientali, culturali, comportamentali che ne impediscono una piena partecipazione alla vita sociale in condizione di parità con tutti gli altri cittadini. Il secondo elemento di criticità, strettamente connesso al primo, riguarda invece la parziale inaccessibilità del Rapporto 2012; scannerizzazioni e tabelle, infatti, sono rese con modalità grafiche inaccessibili alle persone non vedenti e ipovedenti e in tal senso la mancata considerazione di tale standard (internazionale e recepito in Italia), ancora più marcata nelle precedenti edizioni, restringe di fatto l’accesso all’informazione da parte delle stesse persone con disabilità.
Direttore responsabile di «Condicio.it», testata in cui la presente analisi – qui ripresa per gentile concessione, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore – è già apparsa. 11 marzo 2015 © Riproduzione riservata
La rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano della comunicazione. Rapporto 2012 "Disabilità e media" Data: 10 marzo 2015 Luogo: Biblioteca della Camera dei Deputati - Via del Seminario, 76 - Ore: 16 Organizzatore: Fondazione Matteotti Comune: Roma
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Rapporto 2012 - Disabilità e media
DISABILITÀ. UN’INFORMAZIONE FATTA DI CUORI ED EROI È stata presentata la nuova indagine della Fondazione Giacomo Matteotti: raccontare i disabili è ancora difficile - 11-03-2015 - Ilaria Dioguardi Storie di ordinaria e straordinaria disabilità. È questo il filo conduttore del Rapporto 2012 “Disabilità e media. La rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione”, della Fondazione Matteotti. Realizzato con il contributo della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo, il Rapporto ha monitorato alcune tra le principali testate nazionali di informazione – carta stampata e siti web – di interesse in cerca di “storie di disabilità” pubblicate nell’ultimo trimestre del 2012. 10 anni di inadeguatezza «È dal 2005 che indaghiamo sul tema della disabilità raccontata dai media, per denunciare carenze, esclusioni, omissioni», ha affermato Angelo G. Sabatini, presidente della Fondazione Molte cose sono cambiate da quando, nel 2005, la Fondazione ha iniziato a occuparsi del problema e a misurare, contare, monitorare tutto quello che il sistema nazionale della comunicazione faceva (e non faceva) a proposito di disabilità. Erano anni diversi, nei quali ancora si parlava di handicap – parola ormai bandita in favore di “disabilità” – al punto che il primo rapporto si intitolava “Handicap & Media”. La ricerca del 2005 portava alla luce aspetti che si sarebbero ripetuti con crescente fastidio negli anni successivi: la rappresentazione mediatica della disabilità in Italia è inadeguata, inefficace, parziale, modesta, omissiva e, soprattutto, eroica o pietistica. Il punto è proprio questo: il disabile che conquista spazio sui media è, di volta in volta, un eroe o un infelice – meritevole di ammirazione o di compassione. Tra questi due estremi oscilla, da sempre, il pendolo della disabilità a mezzo stampa. «Con questo Rapporto facciamo il punto a dieci anni di distanza dalla prima indagine sul campo, e cerchiamo di intercettare e interpretare i segnali di novità registrati sulla stampa nazionale nel lungo e spesso difficile cammino verso una rappresentazione della disabilità “normale”, senza stereotipi, che sappia riconoscere alle persone disabili piena dignità e cittadinanza”, ha detto Sabatini.
Cuori ed eroi Il campo d’indagine del Rapporto 2012 è prevalentemente orientato sui grandi media, soprattutto sulle vicende esemplari pubblicate dalle principali e più seguite testate nazionali. Sono stati selezionati 20 articoli espressione di altrettante “storie”, tra questi 16 tratti dai quotidiani: “Corriere della Sera”, la “Repubblica”, “La Stampa”, “Il Messaggero”, “Avvenire”, “Il Fatto Quotidiano”, “L’Unità”. Gli altri 4 articoli/storie sono state scelte da siti web specializzati e blog di settore o di portatori di disabilità: Redattore sociale, Superando.it, Quotidianosanità.it, Osservatoriomalattierare.it. Emerge che quando la stampa si occupa di questo argomento lo fa soprattutto attraverso la voce di genitori o familiari (65% dei casi), posizionando l’articolo come taglio alto della sezione “cronaca” e con un’immagine dalla funzione evocativa. Tra i temi affrontati: autonomia (in 13 articoli su 20), famiglia (8 articoli) e risorse economiche (6). Il linguaggio è spesso ricco di enfasi, con largo uso di espressioni quali “padri coraggio” e “figli eroi” e un lessico che attinge alla sfera delle emozioni (frequenti i “cuori”, “sogni”, “emozioni”) o del conflitto (“disperazione”, “guerra”, “lotta”).
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Rassegna stampa Storie di persone, luoghi e tempi Nell’analisi quanti-qualitativa delle storie di disabilità apparse sulle testate di carta stampata e online è delineato un percorso di analisi e di lettura. In cinque storie al centro c’è la persona, un individuo che diventa simbolo di un cambiamento, della possibilità di una vita nuova, in alcuni casi migliore della precedente: la disabilità in questi casi diventa il confine tra un prima e un dopo. Dalla seconda vita di Samuel – disabile dopo un incidente in moto, che torna alla vita sociale grazie all’aiuto del padre – al coraggio di Manuel, ragazzo down diventato atleta di successo; dalla storia di Paolo, ragazzo ventottenne nato con la sindrome di Down, che ha esposto le sue opere d’arte a Milano, al racconto dell’atleta paralimpica Laura, che si batte per promuovere il valore dello sport e “per un futuro migliore”. Esemplare la storia dell’atleta Alex Zanardi, che a seguito del terribile incidente del 2001 si ritrova all’improvviso “alto poco più di un metro, da un metro e 75 che ero”. Ma dopo l’amputazione traumatica delle gambe inizia per lui una seconda vita: non perde l’ironia e la grinta neanche davanti le situazioni più difficili. Il segreto? “Scegliersi un orizzonte e decidere che è quello che vuoi raggiungere”. Non solo storie di persone ma anche di luoghi, dalla piazza che ha visto le proteste dei disabili contro il taglio dei fondi al carcere, dove la condizione di diversamente abile diventa ancora più drammatica; poi storie di tempi, dal presente dell’inquietante fotografia del Censis sulla disabilità in Italia al futuro della ricerca che apre orizzonti di cambiamento. Il Rapporto sarà integrato con gli atti del convegno e con gli interventi e la versione definitiva sarà pubblicata ad aprile. Per continuare a percorrere la strada, ancora lunga, ma possibile ed ormai improrogabile di una rappresentazione della disabilità non stereotipata. Contatti: www.fondazionematteottiroma.org
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Stampato in Italia per conto della Fondazione Giacomo Matteotti Onlus nel mese di aprile 2015 da Pittini Digital Print Viale Ippocrate, 65 00161 Roma www.pittini.biz