M90S Angelo G. Sabatini, Perché ricordare Giacomo Matteotti

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Angelo G. Sabatini

Professore di Filosofia politica, presso Unitelma Roma “Sapienza” Presidente della Fondazione Giacomo Matteotti

Perché ricordare Giacomo Matteotti

Commemorazione di Giacomo Matteotti a 90 anni dalla morte Camera dei Deputati Palazzo Montecitorio - Sala della Regina Roma, 10 giugno 2014

Il testo che segue riproduce la prolusione tenuta alla Camera dei deputati in occasione del novantesimo anniversario dell’assassinio di Giacomo Matteotti. La cerimonia si è svolta sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il patrocinio della Presidenza del Senato, della Presidenza della Camera dei deputati e della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

L’intero programma delle celebrazioni matteottiane promosse dalla Fondazione Giacomo Matteotti e dalla Fondazione di Studi Storici Filippo Turati, comprese le iniziative per le scuole, si avvale dell’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica e del patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri.


Ricordare Matteotti in occasione della ricorrenza del novantesimo anno dalla morte è un dovere per chi crede alla democrazia, specialmente quando essa è sottoposta ad attacchi critici fino a mettere in dubbio che possa ancora valere come ancora di salvezza di fronte alla marea montante del relativismo politico. Così come vi credono gli amici che qui in occasione dei 90 anni dalla morte offrono qualche riflessione sul significato del sacrificio che il Martire antifascista offrì alle generazioni successive. E’ un dovere ricordare, specialmente alle nuove generazioni, che 90 anni fa Giacomo Matteotti veniva barbaramente ucciso dai nemici della democrazia e del socialismo. La logica della dittatura nascente, attraverso lo squadrismo, spingeva i nuovi barbari a compiere sull'altare della forza e della violenza il rito sacrificale di un nemico considerato un ostacolo all’affermazione piena di un regime che allo strumento della ragione ha preferito quello della violenza. Per questa via, che è estranea allo spirito della civiltà moderna ma che è dura a morire nella prassi istitutiva delle dittature di ogni tempo, si compiva il destino di uno degli uomini più puri e rappresentativi della democrazia, in generale, e del socialismo riformista, in particolare. Il suo martirio, il cui significato per la storia politica italiana va oltre ogni ambito più strettamente ideologico, è posto al crocevia delle diverse strade da cui è stato attraversato un Paese, come l'Italia, proiettato alla realizzazione, in chiave moderna, del compito civile e politico che il Risorgimento aveva affidato alle nuove generazioni. Un crocevia difficile, dove i problemi e le anomalie di un Paese, fortemente caratterizzato da spinte politiche contrastanti e da consistenti spinte anarcoidi, venivano ingigantiti ed esasperati dal clima di inconciliabile e incomprensibile diversità di cui si nutriva anche il socialismo italiano che si trovava a rappresentare la speranza e lo strumento di una trasformazione che si sarebbe forse potuta guidare e promuovere costruttivamente, qualora sulla differenza avesse prevalso l’affermazione dell'unità e all'immagine di un socialismo tutto occupato a trovare nel proprio seno le motivazioni di conflitto ideologico e strategico si fosse sostituita quella di una forza politica organicamente strutturata e armonicamente proiettata verso la realizzazione di uno Stato moderno. Entro la vita di questo socialismo tormentato, matrice e sostegno dell’impegno del socialista Matteotti, si è consumata in Italia gran parte della vitalità pratica insita in una idea cosi carica di promesse, ma anche la più estrema scommessa tra due dei suoi figli diversi: Benito Mussolini e Giacomo Matteotti. Ironia della sorte: la storia della democrazia italiana trovava nel 1924 schierati in campo e combattenti a loro modo vigorosi, l'un contro l'altro armati, due figli del socialismo. A noi spetta il dovere di intendere appieno il significato politico della 2


partecipazione di Matteotti alle vicende del movimento socialista e dei suoi contributi alla vita e ai problemi del nostro paese. Perciò noi dobbiamo restituire alla sua figura di combattente per la democrazia la dimensione storica che gli compete, facendo convergere il nostro sentimento di venerazione verso una puntuale ricostruzione del suo pensiero e delle sue azioni politiche. Ciò servirà a diffondere lo spirito etico della politica e il peso che lui ha avuto, in sede politica, nell’identificare lucidamente la natura reale del fascismo. Le vicende legate a questa lotta sono ormai note. Gli storici ci hanno fornito risultati soddisfacenti anche se ancora bisognosi di ulteriori approfondimenti. Risultati che ci consentono di superare il gusto pernicioso del revisionismo per accentrare l’attenzione sul valore simbolico di una vita dedita alla politica per depurarla di tutte le scorie che un presente tumultuoso ne inficiava il pregio gettandola nella palude di una confusa e tendenziosa corsa verso un nazionalismo sterile e conflittuale. Quel lavoro storiografico ha anche dato frutti preziosi nella comprensione della figura del più autorevole martire della violenza fascista. Cosicché l'immagine eroica di un Matteotti sacrificato e nobilitato dal martirio è andata acquistando contorni ben definiti, estendendosi il terreno della sua ricchezza morale, politica e intellettuale in un'ampiezza che va oltre il ritratto agiografico che il lavoro storico dominato dalla passione politica tende a favorire. Forzati dalla tragedia della sua morte gli estimatori, politici o cittadini qualunque, hanno trasferito la orgogliosa personalità in un'aura di mito che ne offusca i contorni precisi, facendo, talora, dimenticare che Giacomo Matteotti era un uomo vissuto da uomo e morto da uomo. Oggi quel ritratto è più asciutto, purificato da quella elaborazione simbolica, il cui autentico valore sta nel contributo fornito a noi posteri per cogliere lo stato d’animo di un’opinione pubblica travolta dall’evento della morte del deputato polesano e propensa a trasferite la vita di lui nella regione del mito. Oggi la ricerca storica ha restituito a Matteotti l’identità di un “operaio” della politica, di un attivista intransigente destinatosi alla costruzione di una società equa e giusta, governata dal diritto contro le tentazioni autoritarie che ormai dominavano nei progetti e nell’opera un Paese disorientato e prostrato dopo il conflitto mondiale. Un Matteotti 3


più vero ed abbiamo l’immagine di un uomo che, sospinto dall’ideale riformista, quell’ideale ha cercato di incarnarlo negli scritti e nell’azione. Alla politica indirizzò il suo interesse e la sua attività giovanissimo. attiratovi dalla viva sensibilità umana e dal fervido entusiasmo delle prospettive di rinnovamento dell'arretrata società contadina del suo Polesine, che agli inizi del secolo era afflitta da povertà estrema, con disoccupazione, analfabetismo e malattie carenziali a livelli oggi inimmaginabili. Organizzatore instancabile, ricco di fermenti e di idee, apostolo sempre a fianco dei poveri e degli sfruttati, traduceva in esperienza concreta gli ideali che il suo socialismo gli offriva. Temperamento battagliero (i suoi compagni lo chiamavano "Tempesta"), non si arrendeva mai non solo nel dibattito politico ma anche di fronte alla violenza allora alimento consistente dell’idea dalle mille teste del fascismo. Particolarmente coraggioso, intuì il grave pericolo dell'ascesa fascista e non esitò a combattere il partito di Mussolini a viso aperto, in Parlamento e nelle piazze, affrontando dimostrazioni ostili e violenze, la dialettica degli squadristi, con animo indomito e senza tentennamenti. La sua morte fu il punto d’arrivo di un percorso costruito nel temperamento umano del politico integerrimo che sembrava con la sua azione volersi costruire un destino inevitabile, conseguenza di un sentimento morale che nella fedeltà a principi prescelti sublimava l’avversa sorta. La sua uccisione fu la conseguenza di un comportamento ispirato alla costanza con cui gestiva la sua missione e al martellamento degli interventi contro il fascismo dilagante. La sua azione non aveva tregua. Egli rappresentava quella categoria di politici che dedicavano la propria vita a individuare i problemi del Paese e a indicarne le soluzioni. L’impressione che si ricava dalla lettura e dall’analisi dei discorsi parlamentari di Matteotti è prima di tutto quella di un deputato fagocitato dalla conoscenza e da una mole imponente di attività. Appare perciò del tutto convincente l'immagine che di Matteotti ha tracciato Oddino Morgari su «Rinascita socialista» (Parigi 1-15 Maggio 1930): “Era un analizzatore ed un documentatore: specie rara in Italia... Passava ore ed ore nella biblioteca della Camera a sfogliare libri, relazioni, statistiche, da cui attingeva i dati che gli occorrevano per 4


lottare, con la parola e con la penna, badando a restare sempre «fondato sulle cose». Credeva che il fare così fosse un debito di probità intellettuale verso se stesso ed anche verso le masse, le quali hanno diritto di pretendere che i loro condottieri non le illudano... Era un lavoratore instancabile onnipresente... Compulsava e sforbiciava libri, giornali, pubblicazioni ufficiali per ricavare il materiale da far servire alla lotta; scriveva lettere ed articoli, correggeva bozze di stampa. Diramava circolari; accorreva nascostamente nei luoghi dove più imperversava il fascismo; alla Camera parlava in riunioni, in commissioni e nell'aula...”. In Parlamento si impose dunque subito: forse ancor più che ai compagni, agli avversari nel Governo. I suoi discorsi erano sempre ascoltati e suscitavano contrasti e polemiche. Nelle questioni di finanza, di economia, di politica interna il suo impegno sembrava operare all'interno dello stato «borghese» liberale, perché la gestione della cosa pubblica fosse ispirata da criteri di rettitudine, di efficienza, di tutela dell'interesse della collettività contro gli assalti avidi dei gruppi privati. Ma, in mezzo alle argomentazioni rigorosamente logiche e documentate fondate sullo studio e sulla padronanza della materia trattata, viene sempre allo scoperto l'animo del socialista, il senso profondo della lotta di classe, la sollecitudine, l'amore per le masse, per i contadini nel suo Polesine, il grido di ribellione contro la sopraffazione e l'ingiustizia. Il ritratto di un Matteotti più pragmatico che ideologo, grazie proprio agli approfondimenti e alle analisi degli orientamenti critici degli ultimi anni, si è arricchito di spessore e di consistenza. Nella storia della democrazia italiana e del socialismo riformista, nel bene e nel male, Matteotti si colloca come un preciso riferimento: per il socialismo rappresenta l'assertore costante, anche se a volte con qualche oscurità, della linea riformista; una collocazione che non abbandonerà mai, anche quando alcune situazioni particolari (per esempio l'esplodere della esasperazione delle masse popolari nell'immediato conflitto mondiale) lo avrebbero spinto in tale direzione. Per la democrazia italiana ha rappresentato di fatto, per una specie di felice paradosso, il punto critico del valore delle istituzioni democratiche. Queste sopportava-no l'attacco maggiore in coincidenza con la morte di Matteotti; ma questo atto decisivo era anche l'emergere di un riferimento ideale insopprimibile. Entro il peso e la scorza di una 5


realtà repressiva che mortificava le istituzioni democratiche quell'evento circolò come una tacita maledizione nel cuore del fascismo e come una implicita forza morale in quanti, nell'esilio e in patria, attendevano l'ora della ripresa. La morte di Matteotti diede vigore interiore a molti che la prepotenza del fascismo andava fiaccando. Si comprende, allora, la verità contenuta nelle affermazioni più volte riportate dagli studiosi di Matteotti, che furono di Roberto Bracco: “Il suo martirio ha salvato l'Italia“, e di Michele Saponaro: “La morte di un uomo che restituirà la vita spirituale ad una nazione”. Al di là dello spirito misticheggiante e forse retorico di tali affermazioni c'è la verità della fede in un valore supremo. Ricordare Matteotti oggi serve non solo per capire la statura politica del personaggio, ma anche per fornire incitamento a coloro che ancora credono al riformismo come ad una formula di corretta organizzazione e di soddisfazione dei bisogni e dei diritti umani. Cosa possiamo oggi fare perché la memoria di questo grande antifascista non venga offuscata o offesa da atti poco nobili, come quello espresso da un sindaco fascista, di volergli togliere il nome da una piazza? Se si pensa a quale triste condizione di crisi ideale la politica oggi versa, guardare a Matteotti può significare la ripresa di un impegno forte verso la costruzione di una società autenticamente democratica. L’entusiasmo con cui oggi lo ricordiamo è il segnale di una disposizione palese in molti di noi a ricercare esempi nobili di uomini che agendo in Parlamento per la libertà e la democrazia hanno affrontato difficoltà e persecuzioni fino al martirio. E Matteotti è il capostipite di un gruppo molto ampio di coloro che offrendo la propria vita hanno contribuito a fare dell’Italia un Paese moderno e civile. Ad essi va la riconoscenza di tutti coloro che alla indifferenza per la politica e alla barbarie della dittatura preferiscono il progresso della civiltà nella libertà.

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