Giuseppe Verdi e il Risorgimento - Boldiszàr

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Giuseppe Verdi e Ferenc Erkel: il melodramma italiano e ungherese nel segno del Risorgimento

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La storia dei melodrammi verdiani in Ungheria prosegue la già lunga storia della presenza del melodramma italiano sulle scene magiare che a partire dal Settecento, attraverso la mediazione viennese, si afferma sui palcoscenici dei castelli dell’aristocrazia magiara, dove le ariette dei melodrammi di Metastasio sono di casa. All’inizio dell’Ottocento i melodrammi italiani cominciano a essere messi in scena da compagnie teatrali italiane e ungheresi girovaghe che diffondono il genere anche nelle contee del grande regno ungherese. Le opere liriche italiane venivano rappresentate in lingua ungherese. Attori, cantanti, tecnici di scena, suggeritori si trasformarono in traduttori volgendo in ungherese i libretti delle opere italiane. Particolare curioso: perfino le compagnie e i cantanti italiani che si esibivano in Ungheria dovevano cantare le opere italiane in lingua ungherese, con le difficoltà che si possono immaginare. Il melodramma comincerà a essere rappresentato insieme agli spettacoli di prosa nei primi teatri di Pest e delle altre città dell’Ungheria che di fatto svolgevano una funzione che con termine moderno definiremmo polifunzionale. Questa doppia funzione continuerà anche con la nascita di un teatro nazionale ungherese, sorto per bilanciare il ruolo del Teatro Tedesco di Pest (Pesti Német Színház, in funzione dal 1812)1 sulla spinta dell’esigenza di una presa di coscienza e di affermazione della lingua e della cultura nazionale ungherese, fortemente sentita nel periodo che gli ungheresi chiamano Reformkor («Epoca delle Riforme», anni ’20-’40). Grazie alla consacrazione popolare dovuta al successo immediato e duraturo conquistato dai grandi compositori lirici italiani del primo Ottocento, in particolare la triade Rossini-Bellini-Donizetti, che fecero furore in tutta l’Ungheria, l’opera, altro nome con cui, com'è noto, il genere è ovunque conosciuto, si afferma definitivamente in Ungheria. La popolarità del melodramma italiano nel xix secolo raggiungerà però il culmine con la diffusione e la messa in scena delle grandi opere liriche di Giuseppe Verdi che furono fin dall’inizio molto popolari presso il pubblico dei melomani ungheresi divenendo un punto fisso nel cartellone. Soprattutto negli 1. La città di Pest (che solo nel 1873 verrà unita con Buda e Óbuda formando Budapest) all’inizio del xix secolo era abitata a stragrande maggioranza da popolazione di lingua tedesca.


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anni Quaranta, il pubblico ungherese imparò a conoscere il nome di Giuseppe Verdi, le cui opere stavano infiammando il desiderio di libertà della nazione italiana. E non è un caso che la produzione verdiana troverà nel compositore ungherese Ferenc Erkel (1810-1893), autore dell’inno nazionale ungherese, l’esponente più prestigioso dell’opera lirica magiara. Grande estimatore e ammiratore di Verdi, Erkel vedrà in lui un punto di riferimento per le proprie opere, anch’esse ispirate a temi patriottici e nazionali, per non parlare, dello sviluppo successivo da lui attuato sul piano musicale e strutturale, come, ad esempio, l’inserimento dei celebri preludi e l’uso dei cori, a cui affianca la musica tradizionale magiara. Ferenc Erkel con la sua attività prima di direttore d’orchestra e poi di compositore si fece, più di qualsiasi altro musicista ungherese, veicolo culturale di scambio fra l’Italia e l’Ungheria. Nel 1836, a soli ventisei anni esordisce nel Teatro Tedesco di Pest come secondo direttore d’orchestra, apprendendo e dirigendo la musica e le opere dei grandi musicisti lirici italiani allora in voga, come Rossini, Donizetti e Bellini, e quelle italofone o «d’ispirazione italiana» di Mozart; già due anni dopo, nel 1838, gli viene affidata la direzione dell’orchestra del Teatro Ungherese di Pest (Pesti Magyar Színház), che verrà poi chiamato Teatro Nazionale (Nemzeti Színház)2. Il 6 e il 26 agosto del 1846, assistendo nel Teatro Nazionale di Pest alle rappresentazioni in lingua originale italiana delle due opere di Verdi Ernani e Nabucco, Ferenc Erkel, già molto noto come compositore e primo direttore d’orchestra ungherese dello stesso teatro, scopre «la nuova stella» dell’opera lirica italiana: Giuseppe Verdi. E ne rimane conquistato. In questa occasione il «Der Spiegel», giornale tedesco di Pest dell’epoca, si sperticò in lodi ritenendo l’Ernani un’opera interamente ben riuscita, piena di spirito e anima, composta con sentimento profondo ma non in modo zuccherato bensì con una melodia armoniosa e ben misurata, atta a far battere più velocemente il cuore del pubblico e priva di luoghi comuni musicali3. E fu anche un grande successo di pubblico. Procurandosi gli spartiti e i libretti delle due opere, Erkel ne fa subito tradurre i libretti in lingua ungherese dal suo librettista di fiducia, Béni Egressy, e nel mese di gennaio 1847 il pubblico magiaro può già assistere alle due opere nel Teatro Nazionale. Il fatto che Erkel dirigesse tutte e due le opere è simbolico: da quel momento ogni anno un’opera di Verdi verrà messa in scena nel Teatro Nazionale e le opere del grande compositore italiano verranno inserite stabilmente da Erkel nella stagione operistica magiara. Il musicista 2. Il Teatro Ungherese di Pest venne inaugurato nel 1837 e assumerà il nome di Teatro Nazionale l’8 agosto 1840, giorno della prima rappresentazione della prima opera di Ferenc Erkel Mária Báthori (Báthori Mária, 1840). 3. Cfr. p. várnai, Verdi Magyarorságon (Verdi in Ungheria), Zenem kiadó, Budapest 1975, p. 8.


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ungherese, che prima aveva diretto il repertorio del «triumvirato» italiano Rossini-Bellini-Donizetti, divenne ancor più entusiasta della musica di Verdi. Riferendosi alla prima rappresentazione del Nabucco in lingua ungherese la stampa magiara dell’epoca sottolineava come la forza dell’opera si manifestasse nei cori e come il «Va’ pensiero» fosse molto suggestivo, non risparmiando le lodi nemmeno a Ferenc Erkel, che aveva esaltato con la sua direzione tutta la bellezza musicale dei cori4. Ma il vero grande trionfo fu ottenuto dall’opera Ernani che rimase per lungo tempo in cartellone e che per quasi cinquant’anni, fino all’inaugurazione dell’attuale Teatro dell’Opera di Budapest nel 1884, verrà messa in scena nel Teatro Nazionale ben centocinquantasette volte, tanto che non poteva passare un anno senza che quest’opera, molto amata dal pubblico magiaro, venisse rappresentata5. Nel giro di pochi anni Erkel, che era anche il responsabile della programmazione delle opere liriche nel Teatro Nazionale, fa conoscere agli ungheresi, dirigendole personalmente, Nabucco, Ernani e Macbeth, le opere verdiane nelle quali gli ungheresi riconobbero il messaggio patriottico che esse recavano e che alla vigilia delle rivoluzioni patriottiche del 1848 assumeva un significato molto esplicito nella ventata primaverile di lotta all’assolutismo asburgico contro cui gli ungheresi, come gli italiani, erano schierati. E non è un caso il fatto che, per rendere più esplicito e intellegibile al pubblico ungherese quel messaggio, il musicista ungherese aveva fatto tradurre le opere verdiane in lingua ungherese. Significativa in tal senso fu la messa in scena del Macbeth di Verdi nel Teatro Nazionale, meno di un anno dopo la prima assoluta in Italia, alla vigilia della rivoluzione della primavera dei popoli, il 26 febbraio 1848. L’opera, diretta personalmente da Ferenc Erkel, fu accolta bene «per la sua musica poetica e passionale» e il pubblico ungherese poté ascoltarla per ben diciassette volte nello stesso anno. Dopo la sconfitta ungherese nella guerra d’indipendenza contro gli Asburgo, Erkel nell’autunno del 1849 rimise in scena l’opera verdiana con sei repliche, anche se, a causa della censura, dovette essere soppresso o attenuato ogni riferimento alla «patria oppressa» presente soprattutto nella scena del coro dei profughi scozzesi presente nella prima scena del iv atto. Nonostante le limitazioni della censura asburgica il Macbeth di Verdi verrà ancora rappresentato nel periodo più buio della repressione austriaca. Anche in quelli che, riguardo alla sua attività artistica creativa, sono chiamati gli anni del silenzio, il musicista ungherese, nell’ambito della sua attività di direttore d’orchestra e di organizzatore della vita musicale ungherese dentro il 4. Cfr. «Életképek» («Immagini di vita»), 9 gennaio 1847, citato in p. várnai, Verdi Magyarorságon (Verdi in Ungheria), p. 11. 5. Cfr. Ivi, p. 8.


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Teatro Nazionale, continuerà a favorire la diffusione e le rappresentazioni delle opere di Giuseppe Verdi. Così, anche negli anni Cinquanta dell’Ottocento le opere verdiane (Rigoletto, nel 1852, Trovatore, nel 1854, un grande successo a un anno dal debutto in Italia, e Traviata, nel 1857) saranno messe in scena con la sua direzione. Sempre diretta da Erkel, l’opera I vespri siciliani, con il titolo cambiato dallo stesso Verdi in Giovanna de Guzman a causa della censura già nella prima rappresentazione in Italia (Parma, 26 dicembre 1855)6, verrà messa in scena a Pest nel 1856, nel pieno del periodo della resistenza passiva degli ungheresi all’Austria. In occasione della rappresentazione nel Teatro Nazionale gli spettatori ungheresi poterono emotivamente attualizzare la situazione narrata nel melodramma verdiano, pronti ad accogliere il messaggio dello scontro fra oppressi e oppressori. Con la messa in scena di questo intenso melodramma verdiano Erkel, tramite Verdi, fece capire chiaramente quale fosse la sua opinione in merito al dominio dell’Austria. Per Erkel le opere italiane riflettevano anche le aspirazioni della nazione magiara alla libertà. Questa considerazione lo accompagnò sempre sia nella veste di compositore di opere proprie, sia come patrocinatore e promotore dell’opera lirica italiana in Ungheria. È nota la definizione di «Seguace del bel canto con il cuore e con l’anima» («Szivvel-lelekkel a bel canto hive»)7, che ne hanno sempre dato di lui ammiratori e detrattori. Questo spiega perché le opere di Giuseppe Verdi troveranno sempre posto nel cartellone lirico del Teatro Nazionale. Così dopo le citate Rigoletto, Trovatore e Traviata, verranno messe in scena a Pest il Don Carlos, subito dopo il debutto di Parigi, e nel 1875, dichiarato anno verdiano, dirette dal figlio di Erkel, Sándor, La forza del destino e l’Aida, per arrivare al 1884, anno dell’inaugurazione del nuovo Teatro dell’Opera di Budapest, dove verranno rappresentate Otello e Falstaff con il permesso esclusivo di Giuseppe Verdi subito dopo il debutto a Milano. Il successo della presenza di Giuseppe Verdi in Ungheria è oscurato soltanto da un episodio particolarmente curioso legato alla storia della rappresentazione della sua opera Attila, su libretto di Temistocle Solera ispirato al dramma Il re degli Unni («König der Hunnen», 1809) di Zacharias Werner, messa in scena in italiano nel Teatro Nazionale di Pest il 17 luglio 1852. L’Attila di Verdi aveva ottenuto il 17 marzo 1846 nella prima rappresentazione italiana dell’opera nel teatro La Fenice di Venezia un bel successo di pubblico dovuto al fatto che gli spettatori italiani ravvisarono nella figura del re unno co6. Come noto, Verdi fu costretto dalla censura austriaca non solo a cambiare il titolo originale Les Vêpres siciliennes dell’opera nata in lingua francese ma anche ad alterarne l’ambientazione e l’epoca originali che verranno recuperate nella definitiva versione italiana. 7. l. eősze, Verdi és Wagner világa («Il mondo di Verdi e di Wagner»), in «Hitel», dicembre 2012, xxv/12, pp. 61-78.


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struita dal librettista Solera il potere tirannico e dispotico dell’Austria in Italia. In Ungheria invece l’opera non riscosse analogo successo perché viceversa nell’epoca risorgimentale la figura di Attila per gli ungheresi simboleggeva proprio l’eroe nazionale legata com’è al mito dell’origine del popolo magiaro, avallato anche sul piano artistico e letterario, sebbene notoriamente dal punto di vista storico si tratta di un falso. La tradizione leggendaria magiara vede nel re unno un simbolo altamente nobile e dignitoso della potenza e dell’eroismo. Il pubblico ungherese non poteva prescindere da questo mito e perciò non riuscì a identificare il proprio desiderio patriottico con quello, sottinteso nell’opera, degli italiani oppressi, al pari degli ungheresi dal dominio austriaco. Da qui il contrasto stridente fra l’accoglienza entusiastica suscitata in Italia dalle parole messe in bocca nell’opera al personaggio di Ezio nei confronti di Attila «Avrai tu l’universo, resti l’Italia a me»8 e la mancata recezione del messaggio patriottico da parte del pubblico ungherese, che non riusciva assolutamente a vedere in Attila un personaggio negativo ovvero, come per gli italiani, un austriaco oppressore. Così, per venire incontro alle attese del pubblico magiaro, nella rappresentazione dell’Attila, messa in scena nel Teatro Nazionale di Pest dalla compagnia teatrale italiana Merelli, il finale dell’opera venne modificato e ne scomparirà l’uccisione di Attila per mano di Odabella di Aquileia prevista dal libretto originario ma al contrario sarà Attila a uccidere quest’ultima nella foresta. La tematica di Attila e degli unni, che (sia pure in modo astorico) aveva fatto parte dell’epoca «ancestrale» della storia nazionale dei magiari, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento passò dalla «storia» alla mitologia nazionale dell’origine degli ungheresi trovando ampio spazio nella letteratura e nelle diverse arti figurative. Vittima dell’«ideologia» legata a questa mitologia sarà l’opera Attila di Giuseppe Verdi. Pubblico e critica ungherese finirono con l’accusare Verdi di far apparire nel suo melodramma il re degli unni come un modesto podestà d’un paesino piuttosto che il mitico grande condottiere. La figura di Attila, che per gli ungheresi era una figura positiva, appariva loro confusa e basata su una leggenda italica che falsificava la storia…9. 8. Attila di Giuseppe Verdi su libretto di Temistocle Solera, Prologo, scena v. 9. L’Attila di Verdi non verrà più rappresentata in Ungheria fino al 1972, centoventi anni dopo la prima rappresentazione ma anche in quell’occasione con il finale modificato (Attila uccide Odabella di Aquileia). Bisognerà aspettare il 2013 perché in Ungheria l’Attila di Verdi venga eseguito, ma solo in forma cantata, con il finale originale (Odabella di Aquileia uccide Attila). Il curioso ostracismo alla messa in scena di quest’opera di Verdi viene tutt’oggi mantenuto dal Teatro dell’Opera di Stato di Budapest. Sul curioso episodio legato alle mancate rappresentazioni dell’Attila di Verdi, vedasi: «Budapesti Viszhang» («Eco di Budapest»), iv, 24 luglio 1852, p. 240; «Hölgyfutár» («Corriere delle signore»), iii/163, 19 luglio 1852, p. 660.


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Grande organizzatore della vita musicale ungherese nell’Ottocento, Ferenc Erkel, grazie allo spirito veramente singolare e alle sue capacità, oltre a rendere popolare la musica lirica nel Teatro Nazionale di Pest, sviluppandone l’orchestra, allora l’unica orchestra stabile d’Ungheria, fondò nel 1853 l’Orchestra Filarmonica, che divenne un bastione della musica sinfonica della capitale, nel 1875, assieme al grande pianista e compositore Ferenc Liszt, internazionalmente conosciuto come Franz Liszt, il Conservatorio musicale. Per quasi trent’anni il compositore magiaro fu il protagonista dello sviluppo della musica lirica in Ungheria dirigendo la politica musicale operistica all’insegna della musica italiana, favorendo in particolare le opere di Giuseppe Verdi. Ferenc Erkel non fu soltanto un «importatore» della musica lirica italiana in Ungheria, ma fu soprattutto – sulla scia di questa ma allo stesso tempo autonomamente da questa – il creatore dell’opera nazionale magiara. Questa nasce infatti dall’incontro di due culture, quella italiana e quella ungherese, dall’incrocio dell’opera lirica italiana con la tradizione musicale e culturale ungherese sapientemente armonizzate da Erkel. Il compositore magiaro amalgama lo stile verdiano della drammaturgia operistica italiana caratterizzato da melodicità, passioni, cori e scene di massa con gli elementi strumentali e di canto propri del verbunkos10, uno stile musicale tipicamente ungherese dal carattere focoso che accompagna la maschia «danza dell’arruolamento», detta verbunkos (da cui la denominazione della stessa musica), una tipica danza ungherese del xviii secolo ballata da soli uomini nel corso del reclutamento militare, non disdegnando di ricorrere, per la prima volta nella storia del melodramma, anche all’uso del cimbalom (o cembalo ungherese), uno strumento a percussione appartenente alla tradizione musicale ungherese. La sintesi che ne deriva è particolarmente originale. È indubbio che grande ispiratore del compositore ungherese può essere considerato Giuseppe Verdi. Erkel nella strutturazione delle proprie opere ricalca in modo evidente la drammaturgia di quelle verdiane. Come nelle opere di Verdi, anche in quelle del compositore ungherese è la voce dei cantanti, in una parola il «canto», ad assumere un ruolo preminente rispetto a quello dell’orchestra, in contrapposizione netta con la struttura del-

10. Il compositore gitano János Bihari è il più noto autore di verbunkos dell’inizio del xix secolo. Rimangono 84 sue composizioni di questo genere di danza. Bihari fu un eccellente violinista e nel suo gruppo musicale di cinque membri erano usati i violini e il cimbalom ungherese. Qualche critico musicale suppone, anche se la cosa è discussa, che sia l’autore del canto di Rákóczi e della famosa Marcia Rákóczi, la cui ultima variante sarà trascritta anche da due grandi musicisti, il francese Hector Louis Berlioz (1803-1869) e l’ungherese Ferenc Liszt (18111886). Queste musiche riecheggiano i sentimenti pattriottici ungheresi legati all’epoca di Ferenc Rákóczi ii, principe di Transilvania, il glorioso condottiere magiaro della guerra per la libertà nazionale ungherese (1703-1711) contro gli Asburgo.


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l’opera lirica tedesca, in particolare wagneriana. Questa sua scelta gli attirò gli strali polemici di una parte della stampa e dei critici ungheresi, che già a partire dagli anni Cinquanta e poi negli anni Sessanta avrebbero voluto dare maggiore, se non esclusivo spazio alle opere di Wagner, come noto fondate sulla preminenza della parte orchestrale. Gli attacchi contro di lui si faranno via via sempre più forti. Nel 1864 la rivista di critica musicale «Zenészeti Lapok» («Pagine di critica musicale»), schierandosi apertamente a favore della musica di Wagner, rivolge un attacco frontale a Ferenc Erkel criticandone duramente la politica musicale-teatrale rimproverandogli di essere Verdi-centrico e di non lasciare alcuno spazio alla novità e alla musica teatrale wagneriana ostacolando la diffusione della linea tedesca a favore di quella italiana. In questo attacco la rivista non risparmierà da critiche negative nemmeno le opere di Verdi. Insensibile a queste critiche, il compositore magiaro proseguirà diritto per la sua strada temendo che una forte preminenza della musica wagneriana avrebbe potuto soffocare l’affermazione e la stessa esistenza della musica lirica magiara, al punto che, pur essendo stato il primo direttore d’orchestra ungherese a dirigere la musica di Wagner, farà di tutto per non far eseguire le opere wagneriane nel Teatro Nazionale. Personalmente ritengo che in questa posizione intransigente del compositore magiaro ci fosse una non troppo velata forma di resistenza di tipo patriottico-risorgimentale nei confronti del predominio culturale tedesco nella Mitteleuropa e in Ungheria in particolare. Non va infatti dimenticato il rapporto conflittuale tra l’Ungheria e l’Austria nel periodo 1848-1849 e poi degli anni Cinquanta, chiamati della «resistenza passiva», dopo la sconfitta degli ungheresi nella guerra antiaustriaca del 1849, e che non si scioglierà neppure con il contraddittorio Compromesso austro-ungarico del 1867. Ma sicuramente si può affermare che in Erkel vi fu la piena adesione alla linea del bel canto italiano e, in particolare, verdiano che fa dire al critico musicale Bence Szabolcsi «finché nell’uomo albergherà la passione per la melodia e per l’umanità, fino ad allora l’arte di Verdi continuerà a vivere e a fiorire»11. Per quanto riguarda i temi storici ispiratori, anche Erkel, al pari di Verdi, guarderà al passato, con l’unica differenza che, mentre Verdi spesso si ispira, sia pure in modo simbolico e in un’ottica potrei dire a più ampio raggio, cosmopolita ed europea, a situazioni, eroi e personaggi appartenenti alla storia di altri Paesi o realtà culturali differenti da quelle italiane con un patriottismo più allegorico e figurativo, il compositore magiaro si ispira a un patriottismo 11. b. szabolcsi, A romantikus zenedráma kettős útja: Wagner és Verdi («I due percorsi del melodramma romantico: Wagner e Verdi»), in b. szabolcsi, Válogatott írásai, a cura di A. Wilheim, Rózsavölgyi és Társa, Budapest 2003, p. 495.


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più diretto ed esplicito, direi senza veli. Nel caso di Erkel infatti i temi sono strettamente legati al passato nazionale dell’Ungheria e ispirati direttamente alla storia ungherese, ai suoi aspetti tragici ma anche a quelli gloriosi: gli «eroi» delle opere di Erkel sono tutti ungheresi. A onor del vero va pur detto che in Verdi il ricorso ad ambientazioni storiche non italiane o, se italiane, appartenenti ad altre epoche, quantunque solo apparentemente lontane dalla contemporaneità, ebbe una funzione difensiva e si rese necessario per via della censura che nel pieno dei moti risorgimentali italiani non avrebbe sicuramente ammesso ambientazioni legate apertamente alle problematiche riguardanti l’unità e l’indipendenza dell’Italia. Il compositore italiano però sopperiva a questa «mancanza di contemporaneità» nell’ambientazione storica (fatta eccezione per i melodrammi, come la Traviata, considerati dalla censura innocui da questo punto di vista) con il ritmo, le arie e la drammaturgia che contribuivano senza ombra alcuna di dubbio a dare una coloratura «rivoluzionaria» alle sue opere. Bisognerà aspettare la fine della prima fase del Risorgimento italiano per poter ascoltare in un’opera di Verdi come La forza del destino, che è già del 1862, espressioni esplicitamente riferite agli avvenimenti contemporanei italiani come «Già fuggono i tedeschi... I nostri han vinto! Viva l’Italia!... È nostra la vittoria!»12. L’elemento nazionale ungherese così fortemente presente nei melodrammi di Erkel non viene da lui utilizzato come ambientazione particolare ma costituisce il senso e lo spirito della musica e quindi dell’opera stessa. L’assenza di quel grande respiro cosmopolita presente in Verdi costituisce, se vogliamo, da un lato una inevitabile necessità in funzione del fine patriottico e nazionale, e dall’altro lato il limite delle opere del compositore ungherese che non hanno così potuto trovare una platea a livello internazionale, nonostante i tentativi promozionali fatti, ad esempio, dal suo connazionale Ferenc Liszt, il grande musicista assai conosciuto internazionalmente13. Il riferimento storico-tematico costituisce forse la differenza principale fra i melodrammi verdiani e quelli di Erkel, laddove nelle opere di quest’ultimo non solo gli autori dei libretti ma anche gli autori delle opere letterarie alle quali i librettisti si ispirano sono ungheresi. Ferenc Erkel, l’estimatore di Verdi, al pari di Verdi, sulla scia di Verdi divenne il simbolo nazionale della rinascita della nazione magiara. Come Giuseppe Verdi assunse il ruolo di vate musicale del Risorgimento italiano, Erkel 12. La forza del destino, musica di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, atto iii scena iii. Cfr. c. sorba, Teatri. L’Italia del melodramma nell’età del Risorgimento, il Mulino, Bologna, 2001, p. 209. 13. a. németh, Erkel Ferenc életének krónikája («Cronaca della vita di Ferenc Erkel»), Zenem kiadó, Budapest 1973, pp. 159-160.


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rese «nazionale» la sua musica alla vigilia della rivoluzione del 1848 e della guerra per la libertà del 1849 combattuta dall’Ungheria ribelle e fiera contro l’Austria. Così, sulla scia del famoso coro verdiano «Va’ pensiero…» del Nabucco, che in passato e in tempi recenti spesso ha assunto, sia pure non ufficialmente, il ruolo di inno nazionale italiano, l’inno nazionale ungherese (che ha per base il testo di un grande poeta ungherese del xix secolo, Ferenc Kölcsey) reca la musica di Ferenc Erkel. Nel caso di questi due grandi musicisti si può parlare di esperienze artistiche e musicali parallele o, meglio, di similitudini. Non a caso, come Verdi, il compositore magiaro darà ampio spazio nelle sue opere al canto corale. Così, se le rappresentazioni delle opere verdiane in Italia divengono l’occasione per manifestare da parte degli italiani l’amor di patria e l’aspirazione alla rinascita nazionale, similmente in Ungheria il 15 marzo 1848 i giovani entusiasti per la rivoluzione antiasburgica e antiassolutista appena scoppiata, penetrano nel Teatro Nazionale di Pest cantando il celebre coro «È morto il cospirator, tace l’orribil trama» («Meghalt a cselszövő, eltűnt a rút viszály») del finale del i atto dell’opera László Hunyadi («Hunyadi László»), composta da Erkel nel 1844, sulla base del dramma ungherese I due László («A két László», 1842) di Lőrinc Tóth, e ispirata alla congiura ordita da Ulrich Cillei, un feudatario ungherese, contro il primogenito del grande condottiere ungherese János Hunyadi, il vincitore della battaglia di Belgrado contro i turchi ottomani (1456). Il pubblico ungherese poteva attualizzare la situazione vedendo nella figura del debole re straniero László d’Asburgo (conosciuto come Ladislaus Postumus), pupazzo dei feudatari, quella del contemporaneo imperatore Ferdinando i d’Asburgo-Lorena (Ferdinando v come re d’Ungheria), pupazzo nelle mani del noto principe Metternich: È morto il cospirator, tace l’orribil trama, viva a lungo la patria, viva, viva re László! È morto il cospirator, ecc. È morto il sanguinario, la patria è salva alfin, è morto l’orrendo mostro, la patria è salva alfin. Viva, viva re László! È morto il cospirator, ecc.

Meghalt a cselszövő, eltűnt a rút viszály, éljen soká a hon, éljen László király! Meghalt a cselszövő stb. Meghalt a vérszopó, megmentve a haza, meghalt a szörnyeteg, megmentve a haza. Éljen László király! Meghalt a cselszövő stb.14

14. Il re d’Ungheria László v d’Asburgo (Ladislaus Postumus), che nel coro del melodramma all’inizio viene acclamato, non manterrà la parola data di non vendicare l’uccisione del cospira-


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Per sottolineare l’elemento nazionale del melodramma László Hunyadi Erkel vi inserisce la danza chiamata palotás, una danza ungherese che la nobiltà magiara ballava nei castelli e nei palazzi (da cui il nome palotás, cioè «di palazzo») ugualmente basata sulla musica della danza verbunkos però, a differenza di questa, più raffinata e ballata non da soli uomini ma in coppia mista uomodonna. Il compositore ungherese si muove come Giuseppe Verdi nel solco della tradizione romantica. In particolare Erkel unisce l’aspirazione alla libertà nazionale con il sentimento individuale dell’amore restando fedele al principio proprio della poesia romantica ungherese sintetizzato nei celebri versi petőfiani della poesia La libertà, l'amore! («Szabadság, szerelem!», 1847): Szabadság, szerelem! E kettő kell nekem. Szerelmemért föláldozom Az életet, Szabadságért föláldozom Szerelmemet 15.

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La libertà, l’amore! M’occorrono entrambi. Per l’amore sacrifico la vita, per la libertà l’amore.

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Come in Verdi nel libretto dei melodrammi di Ferenc Erkel l’atmosfera generale di rinascita nazionale si manifesta nel sentimento individuale tipicamente romantico del personaggio principale dell’opera con il supporto dei cori inseriti da entrambi i compositori nelle loro opere. La fedeltà a questa ispirazione da parte del musicista magiaro si concretizza in opere liriche quali la citata László Hunyadi e Il bano Bánk (Bánk bán, 1861) che divennero parte integrante del progetto della rinascita nazionale ungherese. Emblematica in tal senso l’aria più famosa di quest’ultima opera in cui il sentimento individuale del protagonista, il bano Bánk, verso la patria rappresenta quello dell’intera nazione, sebbene nel tormento della scelta fra l’amore per la sua donna e l’amore per la patria non esita petőfianamente a scegliere la patria:

tore Cillei portata a termine dai sostenitori del figlio dell’eroe nazionale László Hunyadi e fa decapitare quest’ultimo, stroncando momentaneamente le aspirazioni nazionali ungheresi, che verranno da lì a poco realizzate dal più grande re della storia d’Ungheria, Mattia Corvino Hunyadi. 15. s. petőfi, La libertà, l’amore («Szabadság, szerelem!», 1847), versione italiana di Roberto Ruspanti, in r. ruspanti, Lungo il Danubio e nel mio cuore (Antologia della lirica d’amore ungherese), Rubbettino, Soveria Mannelli 1996, p. 38.


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Miként vándor, ki tévedez viharzó éjjelen, o come la nave nel mare che l’uragan flagella… Avagy hajós a szélvésztől korbácsolt tengeren... la mia anima tormentata senza tregua oscilla Úgy ingadoz felzaklatott lelkem határtalan e nel deserto selvaggio del mio dubbio non mi guida stella. S vezércsillag nincs kétségem vad pusztaságiban. Là s’ode l’orribil gemito della mia patria oppressa, Amott hangzik kipusztított hazám rémes jaja, qua s’ode il morente sospiro del mio infranto onore. Itt elgázolt becsületem haldokló sóhaja. Oh, entrambi attendono il balsamo guaritor Oh, mind a kettő orvosra vár e nel mentre me ne sto qui a rimuginare S míg itt töprenkedem; la coltre mortuaria avvolge la mia patria ed il mio Hazámra szemfödél borul, onor si perde! elvész becsületem!

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Come l’errante, che si perde nella notte tempestosa,

Hazám, hazám, te mindenem! Hisz mindenem neked köszönhetem. Hazám, hazám, te mindenem! Rajtad előbb kell, előbb segítenem. Szegény hazám, te mindenem! Rajtad előbb kell, előbb segítenem. Magyar hazám, te mindenem! Rajtad előbb segítenem, Előbb kell segítenem16!

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Oh mia patria, mia patria, tu sei tutto per me! È a te che io debbo ogni cosa. Oh mia patria, mia patria, tu sei tutto per me! Debbo dapprima a te dare il mio aiuto, povera patria mia, tu sei tutto per me! Debbo dapprima a te dare il mio aiuto, Oh mia patria magiara, tu sei tutto per me! Debbo dapprima a te dare il mio aiuto, Debbo dapprima a te dare il mio aiuto!

Il libretto di questo melodramma fondamentale nella storia dell’opera lirica ungherese è quello, dove forse più di altre opere erkeliane, sono presenti i motivi classici dei melodrammi verdiani ispirati, nel segno del romanticismo, alle aspettative risorgimentali. Il bano Bánk di Ferenc Erkel che si rifà al dramma dall’omonimo titolo del drammaturgo ungherese József Katona (17911830) vede infatti al centro dell’azione drammaturgica l’uccisione dell’odiata regina d’Ungheria d’origine tedesca Gertrude di Merania (Gertrud von Ande-

16. Il bano Bánk (Bánk bán, 1861), musica di Ferenc Erkel su libretto di Béni Egressy, atto ii scena i. La versione italiana (inedita) è stata realizzata amichevolmente da Roberto Ruspanti, docente di Letteratura ungherese nell’Università di Udine. 17. Árpád fu il condottiero che nell’anno 896 d.C. guidò i magiari alla conquista del territorio che poi costituirà l’Ungheria.


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chs-Meran), moglie del re d’Ungheria Andrea ii della dinastia nazionale árpádiana17, da parte del bano (viceré) Bánk fedele al suo re ma anche offeso nei suoi sentimenti personali dal fratello della regina che in modo complice gli aveva posto tra le sue braccia la moglie (evidente qui il parallelismo con il celebre rapimento di Gilda da parte dei cortigiani del duca di Mantova con la conseguente perdita dell’onore della figlia di Rigoletto, nella famosissima opera verdiana che da quest’ultimo prende titolo). Gertrude, circondata da cortigiani corrotti dediti a orge e baccanali e invisa parimenti ai nobili quanto al popolo, che soffre nell’indigenza e nella miseria, approfittando dell’assenza del re che sta partecipando alle crociate, soffoca la libertà degli ungheresi. Nel comportamento della regina straniera Gertrude s’intravvede neppure troppo velatamente il motivo dell’oppressione austriaca nei confronti dell’Ungheria e la sua uccisione a scena aperta simboleggia in modo evidente la ribellione del popolo magiaro al dominio straniero, nel segno della libertà. Per sottolinearne il carattere nazionale anche in questo melodramma il compositore ungherese ricorre al ritmo della musica tradizionale magiara che accompagna la danza verbunkos pur mantenendosi fedele allo stile melodico «all’italiana». A causa della trama basata sul motivo dell’odio verso lo straniero oppressore, questa importante opera di Ferenc Erkel poté andare in scena in Ungheria soltanto nel 1861, nelle mutate condizioni politiche, resesi necessarie da parte austriaca in seguito all’unità d’Italia che si era nel frattempo realizzata e che portarono alla distensione dei rapporti fra l’Austria e l’Ungheria. Nello spirito del romanticismo e del Risorgimento comune a Verdi e ad Erkel, il tema storico permette ai due compositori di dare rilievo all’elemento patriottico e nazionale nelle loro opere. Oltre allo spirito generale tipico del romanticismo, nel caso di Erkel vi è però un interesse particolare per il Medioevo, che si manifesta nella prevalenza dei temi storici legati a questo periodo. Ciò è dovuto a un aspetto ben preciso proprio del concetto storico ungherese dell’Ottocento secondo cui la storia nazionale ungherese cessa di esistere con la battaglia di Mohács (1526)18, dove venne interrotta la continuità del grande regno ungherese del Medioevo e dove venne seppellita definitivamente la stessa storia nazionale ungherese, aprendo la strada alla divisione e alla dominazione straniera dell’Ungheria. Anche nei melodrammi di Erkel il riferi18. Nella battaglia di Mohács l’esercito ottomano al comando del sultano Solimano i il Magnifico sconfisse l’esercito ungherese. Nella battaglia perì anche il re d’Ungheria Luigi ii (ii. Lajos). Nella storia ungherese la battaglia di Mohács viene considerata una vera e propria tragedia che portò in seguito alla divisione del Paese in tre parti: l’Ungheria settentrionale, come Regno d’Ungheria, sotto gli Asburgo, l’Ungheria centrale (in gran parte corrispondente all’odierno territorio dell’Ungheria) sotto il controllo dei turchi ottomani, e la Transilvania, eretta a Principato indipendente come stato cuscinetto fra i due potenti imperi, quello asburgico e quello ottomano.


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mento agli eventi e alla situazione storico-politica contemporanea vi appare comunque sempre facilmente intuibile dallo spettatore. A conclusione di queste brevi righe si può affermare che negli anni dell’Ottocento che segnarono il risveglio della coscienza nazionale sia in Italia che in Ungheria, l’opera lirica divenne sia nell’italiano Giuseppe Verdi come nel magiaro Ferenc Erkel uno degli strumenti più efficaci a sostegno della causa e della riscossa patriottica, nazionale e collettiva di due interi popoli. E se Giuseppe Verdi non andò mai a Budapest né prima né dopo l’epoca del Risorgimento, di cui con la sua musica fu uno dei massimi protagonisti, è come se vi fosse sempre vissuto per via delle centinaia di rappresentazioni delle sue opere prima nel Teatro Nazionale e poi dal 1884 nel nuovo Teatro Reale dell’Opera. A sua volta Ferenc Erkel non venne mai in Italia, ma come organizzatore musicale e direttore d’orchestra può essere definito l’ambasciatore della musica verdiana e, in genere, italiana in Ungheria, mentre con le sue opere, pur ispirate a tematiche squisitamente ungheresi, ha coniugato nella musica e nella struttura drammaturgica la verve ungherese del verbunkos con la tipica passione e melodia dell’opera lirica verdiana.


stampato in italia nel mese di dicembre 2014 da Rubbettino print per conto di Rubbettino Editore srl 88049 Soveria Mannelli (Catanzaro) www.rubbettinoprint.it


ERRATA CORRIGE Fondazione Giacomo Matteotti Onlus AA.VV., Verdi e il Risorgimento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2014 4. di copertina Krisztina Boldizsàr è studiosa di Storia e cultura ungherese e Lettore di madre lingua ungherese presso l’Università Orientale di Napoli.



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