Nuovi modelli di consumo e bisogno di comunità

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Nuovi modelli di consumo e bisogno di comunità di Salvatore Colazzo in: Maria Grazia Simone, Consumo e crisi economica. Risvolti esistenziali e prospettive educative, Guida, Napoli, 2013, pp. 47-76. ISBN 9788866661993. Doi: 104443/sc80

1. L'incertezza del presente e il rimpianto della comunità Certamente l'Ottocento è stato il secolo che ha celebrato l'individuo, ma agli inizi del Novecento le ideologie forti del fascismo e del comunismohanno sottomesso la spinta autorealizzativa del soggetto alle esigenze di entità collettive: la Nazione, il Partito, lo Stato, a cui è stata demandata la possibilità di irregimentare i singoli alle superiori ragioni di un 'noi', incarnate nella personalità del capo, emblematica sintesi di quelle entità collettive. La lotta alle ideologie e ai regimi da esse derivati è stata condotta in nome della libertà individuale, salvo poi, con la erosione dei vincoli comunitari, quale conseguenza dell'enfasi sulle istanze di autorealizzazione, pervenire alla denuncia dell'ideologicità della rappresentazione degli individui come atomi che facilmente possono legarsi e slegarsi, senza obblighi di alcun genere, è un modo ideologico di guardare al problema dell'io e del noi. Da qui si è innestato un tentativo di riabilitare la comunità. Tra il finire del secolo scorso e l'inizio di questo, non a caso, si sono moltiplicati gli studi relativi alla comunità, gli appelli, talvolta venati di nostalgia, per la vita comunitaria, i tentativi di recuperare forme di relazionalità in qualche modo riconducibili ai modi di vita che la modernità aveva provveduto a soppiantare. Esiste una correlazione fra questa richiesta di maggiore comunità e la percezione che abbiamo di vivere in un mondo molto più complesso e difficile, con meno garanzie di sicurezza del passato. Ognuno in solitudine si trova ad affrontare problemi che prevedono più probabilità di fallimento che di successo. Si prenda ad esempio la questione del lavoro. È chiaramente un problema sistemico, ma, a fronte della svogliatezza delle istituzioni ad affrontarlo, ricade unicamente sul singolo individuo, e si qualifica come sfida che il contesto pone all'individuo: bravo è chi riesce a risolvere il problema della sussistenza e della realizzazione personale. Siamo indotti a cercare, come Ulrich Beck ha causticamente osservato, soluzioni 'personali' a contraddizioni 'sistemiche', cerchiamo la salvezza 'individuale' da problemi 'comuni'1.

Di fronte all'incapacità delle istituzioni di governare la globalizzazione2, i problemi dell'individuo, emancipato dalla modernità, si traduce in disorientamento, in angoscia, in spaesamento3 e crisi della presenza4. 1Z. Bauman, cit., p. VI. 2Delle difficoltà che odiernamente le nostre società hanno a governare la globalizzazione e della necessità invece di farlo parla ampiamente il testo di D. Held, Governare la globalizzazione. Un'alternativa democratica al mondo unipolare, Il Mulino, Bologna, 2004. 3Lo spaesamento è una condizione psicologica nella quale l'individuo vive il proprio contesto di vita come estraneo. Quando noi siamo nel nostro usuale contesto di vita, ognuno di noi è in grado di riconoscere se stesso e gli altri entro una cornice comunitaria fatta di linguaggi, riti, valori, artefatti, simboli, memorie condivise; quando questo cambia troppo rapidamente perdiamo i punti di riferimento essenziali: lo spaesato non è più in grado di scorgere una dimensione progettuale nella quale spiegare, dare un senso e proiettare le proprie esperienze di vita reale. Spaesante è ciò che scardina dal senso comune. (Cfr. M. Pesare, Spaesamento e riconoscimento, "Quaderno di comunicazione", n. 4, pp. 23-31). 4Crisi della presenza è espressione dell'antropologo Ernesto De Martino, il quale, ispirandosi a Heidegger, qualifica la presenza come competenza a rispondere, aprtecipandovi attivamente, ad una determinata condizione storica, esprimendo iniziativa. La presenza è l'esserci (da-sein) Il soggetto è in stato di ben-essere ogni qualvolta è nelle

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