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Prepariamoci alla fioritura ››
from 2013 04 IT
by SoftSecrets
Dopo il solstizio d’estate le giornate cominciano ad accorciarsi e, poco dopo, quando Sirio esce con il Sole, la cannabis, in natura, incomincia a fiorire. La pianta, se abbastanza matura da cambiare fase di sviluppo (deve avere almeno 35-50 giorni, a seconda delle varietà, escluse le autofiorenti), inizierà una serie di cambiamenti nella crescita e nella formazione di nuovo materiale, e inizierà quella che per noi è la fase più interessante: la fioritura. Potremo vedere i primordi fiorali all’incirca quando si sono formati 6-8 palchi di foglie, e corrispondenti rami. di Franco Casalone
A questo punto, allungandosi il periodo quotidiano di buio, la pianta continuerà a fiorire fino alla maturazione e ad un’eventuale senescenza – in caso di coltivazione indoor, dopo la comparsa dei primordi. Se il fotoperiodo continuerà ad essere
superiore alle 15 ore di luce al giorno, i primordi seccheranno e le piante continueranno a crescere. Se il fotoperiodo verrà accorciato a 12-13 ore, le piante continueranno invece a produrre fiori. In fioritura le foglie non cresceranno più a coppie opposte ma singole ed alternate sul fusto, con un angolo di 60° di distanza fra loro, sulla circonferenza del ramo. Le stesse foglie, che prima aumentavano nel numero di foglioline per ciascuna foglia (se in presenza di buona insolazione fino a 13-15), adesso cominceranno a diminuire, fino ad arrivare ad una sola fogliolina per foglia, in mezzo alle nuove formazioni di fiori.
In genere, nella stessa varietà, il maschio inizia a fiorire prima della femmina, ma non è una regola fissa, alcune piante possono ritardare per un’infinità di motivi, ed è sempre necessario un controllo, finché non si è sicuri del sesso di tutte le piante che abbiamo. Personalmente consiglio sempre e comunque piante regolari, e non femminizzate. Per fiorire la cannabis ha bisogno, oltre che di un allungarsi del periodo di buio (almeno 10-12 ore) anche di un cambio nelle frequenze di luce (le piace più rosso nello spettro), nell’intensità della luce stessa. In fioritura la cannabis utilizza nutrimenti diversi rispetto a quando cresce: meno azoto e più fosforo e potassio.
Al momento della differenziazione dei sessi, alcuni fattori favoriscono la formazione di più piante femmina rispetto ai maschi. Qualcuno mi dirà che il sesso della pianta è nel patrimonio genetico. Verissimo, ma diversi fattori ambientali fanno sì che alcune piante scelgano di essere maschio, oppure femmina, oppure ermafrodita. In genere, se una pianta non subisce stress di alcun genere, ha una buona disponibilità di terreno e nutrimenti bilanciati, ha più probabilità di diventare femmina. In condizioni contrarie, soprattutto se lo stress è prolungato (caldo, freddo, siccità, terreno troppo a lungo inzuppato, ph sbagliato, carenza/eccesso o sbilanciamento di nutrimenti, mancan-
za di aria circolante, attacchi di patogeni, rotture, mancanza o eccesso di luce, ritmi giorno/notte non costanti…) si noterà una maggior percentuale di maschi. In caso di problemi all’inizio della fase di fioritura (soprattutto in caso di cambiamenti ripetuti nel fotoperiodo) alcune piante potranno mostrare fiori femminili e maschili contemporaneamente.
Non è possibile, se non con uno screening genetico (fattibile solo in laboratorio) o determinare il sesso delle piante prima della formazione dei primordi fiorali. Per questo motivo sconsiglio, in caso di coltivazione indoor, di cambiare il fotoperiodo per indurre la fioritura prima che i primordi stessi appaiano. Le piante continueranno a crescere fino alla maturità necessaria per fiorire, ma le ridotte ore di luce faranno sì che le piante si allunghino in modo non necessario e spesso eccessivo, rimanendo con rami striminziti e con un metabolismo ridotto.
Per esperienza, posso affermare che un aumento nella disponibilità di azoto appena prima della fioritura allunga la fase di crescita e ritarda l’inizio della formazione di fiori a vantaggio del materiale fogliare, ma favorisce una maggior percentuale di femmine. La pianta “riconosce” che è in un punto con buona disponibilità di nutrimenti e, diventando femmina, potrà lasciar cadere i suoi semi in un posto dove potranno crescere bene. Al contrario, diventando maschio potrà lasciare il suo polline al vento, con la speranza di trovare una femmina che sta bene, da fecondare. Quindi, la fase che precede la fioritura è molto importante per la pianta che, se sarà in buona salute e con un metabolismo rapido, inizierà velocemente la formazione di fiori. Se il metabolismo sarà rallentato per qualsiasi motivo, anche la formazione di fiori sarà più lenta, soprattutto all’inizio, fase in cui i cambiamenti nella morfologia rendono necessario un equilibrio di tutti i fattori.
Da quando cominceranno a formarsi i fiori, la possibilità di intervenire contro eventuali patogeni (insetti, acari, muffe) sarà ridotta, per il rischio di modificare il gusto e la salubrità delle formazioni fiorali. Ogni prodotto spruzzato sulle cime verrà da queste assorbito o trattenuto in superficie, ed anche tracce, di qualunque altra sostanza, potrebbero essere pericolose, o disgustose. Bisognerà dunque pensarci prima. Trattamenti preventivi contro ogni tipo di infestazione dovranno essere fatti durante la crescita, o al massimo all’inizio della fioritura, con le formazioni di fiori ancora piccolissime. Un buon prodotto che può prevenire molti problemi è l’olio di neem, da solo o in aggiunta di olii essenziali (in genere di agrumi). Spruzzato un paio di volte a distanza di 10 giorni allontana la maggior parte degli insetti (anche gli acari) e ha una buona azione preventiva contro le muffe. Un trattamento fogliare pre-fioritura con poltiglia bordolese (solfato di rame e calce) sarà utilissimo contro le muffe, rendendo le foglie più resistenti anche ad altri attacchi (insetti, stress ambientali).
Se le piante sono in vaso, una buona disponibilità di terreno favorirà una maggior formazione di radici e in seguito di fiori, e farà da effetto tampone per ogni sbilanciamento nei fattori di crescita. L’inizio della fioritura in genere è accompagnato da un trapianto, in un vaso più grande: se vogliamo cime grandi e piene, anche più del doppio di quello precedente (in genere una pianta “normale” vuole almeno 5-10 litri di terreno al mese, escluso il primo mese). Anche la qualità del terreno sarà importante: buona capacità di drenaggio, buona ritenzione idrica, ph non superiore a 6,5 (e non infe-
riore a 5,5), alto rapporto azoto/carbonio (inferiore a 40: se superiore c’è troppo carbonio e poco azoto, e i batteri del terreno prelevano azoto per nitrificare, condizione ideale per un semenzaio; se inferiore c’è azoto disponibile per le piante, ideale in crescita e in fioritura).
Sarà molto importante che il terreno sia “vivo”. Ricco di materia organica, di humus, di enzimi e batteri benefici, di nutrimenti disponibili immediatamente e a medio/lungo termine. Ricordo che l’azoto è “mobile” nel terreno (viene dilavato con le piogge, ed evapora nell’aria) mentre il fosforo ed il potassio sono “immobili”, ed una loro concentrazione eccessiva porta a problemi difficilmente risolvibili. È sì importante fornire alla pianta tutto ciò di cui ha bisogno, ma non bisogna esagerare.
Se le piante sono state cimate o piegate per modificarne la forma o per qualunque altro motivo, siate previdenti e fornite loro dei sostegni, per evitare che in seguito si possano spezzare dei rami per il peso delle infiorescenze. Il modificare la forma della pianta spesso è necessario e a volte porta anche a raccolti maggiori. Ma è una cosa da valutare con attenzione, perché potrebbe portare dei problemi: oltre alla possibilità di rotture, ogni tipo di ferita (anche quelle superficiali) può favorire la formazione di muffe, soprattutto botrite, e l’entrata di insetti nei tessuti interni della pianta. Oltre alla poltiglia bordolese, anche il silicato di potassio (silice), spruzzato sulle foglie e sul fusto, contribuisce ad irrobustirli e a renderli meno attaccabili, ma se dato in eccesso fa apparire le piante strane, quasi “plastificate”.
Per le piante in vaso, spesso l’entrata in fioritura coincide con una carenza di magnesio (facilmente rimediabile), che si nota con chiazze di colore più chiaro sulle foglie, fra le venature. Il bilanciamento fra calcio, potassio e magnesio è alla base della fertilità del terreno e non bisogna né far mancare, né introdurre in eccesso questi elementi. Anche il calcio è spesso carente nei terricci da vaso e
nei nutrimenti liquidi: la sua carenza non permette la formazione di cime apprezzabili, e una carenza grave può far morire di colpo la pianta. In fioritura, accanto ad ogni pelo radicale ci dovrebbe essere una molecola di calcio per assicurare un metabolismo perfetto. Una piccola aggiunta ogni tanto di solfato/nitrato di calcio (o l’utilizzo di nutrimenti organici solidi, anche sotto forma di tè) eviterà questo problema.
Per avere cime grandi e compatte, sarà necessaria una grossa disponibilità di fosforo, che però se sarà in eccesso potrà provocare un anticipo nella maturazione e nanismo nelle piante. Il potassio è un elemento di lusso, se è disponibile alle piante piace molto assimilarlo, perché è anche protettivo. Ma un eccesso, oltre a bloccare l’assorbimento degli altri nutrimenti, può essere tossico. Inoltre se c’è troppo potassio le piante tendono a produrre meno resina. Non fate mai mancare in ogni caso questo elemento, responsabile del turgore delle foglie e della robustezza dei rami e dello stelo. Non togliete mai le foglie grandi, se non quelle ammalate o rinsecchite: l’aspor-
tazione delle foglie porta ad una maturazione precoce e ad un nanismo dei fiori. Se numerose foglie grandi stanno ingiallendo già all’inizio della fioritura è sintomo di carenza di azoto (o, se in vaso, di terreno disponibile). In questo caso sarà bene somministrare ancora per un po’ di tempo un fertilizzante per la crescita, ricco di azoto, che sarà necessario per la formazione di nuovo materiale.
Mentre le piante durante la crescita sono favorite da un clima tropicale umido, durante la fioritura l’ideale sarebbe un clima di montagna, più fresco ma con un’insolazione forte, con cambi di temperatura fra il giorno, più caldo, e la notte, più fresca. Non si forma più THC ma si formano terpeni complessi, che contribuiranno ad un più completo effetto finale. In fioritura la circolazione e il ricambio dell’aria sono importantissimi. Anche in pieno campo, se l’aria è ferma e stagnante l’anidride carbonica intorno alle foglie si consuma rapidamente e la pianta non si sviluppa. In più un accumulo di umidità dato dal ristagno d’aria favorisce la formazione di muffe in mezzo alle cime.
Mentre l’umidità relativa dell’aria durante la crescita ha valori ideali fra il 60% e il 70%, in fioritura non dovrebbe superare il 50%, per favorire la formazione di fiori rispetto a quella di foglie e per evitare la formazione di muffe.
Una maggiore intensità della luce (all’aperto, come detto all’inizio, la luce di Sirio si aggiunge a quella del Sole) permetterà la formazione di cime dure e compatte, mentre una luce “fioca” e non brillante ci farà avere delle cime lunghe, sottili e senza consistenza. All’aperto, in condizioni di “guerrilla”, bisognerà considerare la crescita della vegetazione circostante le piante, e spesso bisognerà intervenire tagliando o spostando le piante che fanno ombra e aumentano l’umidità attorno alle nostre beneamate. Sempre all’aperto, attenzione ai roditori (conigli, topi, minilepri), che d’estate trovano la corteccia delle piante di cannabis l’ideale per pulirsi i denti, e spesso uccidono le piante per niente.
Proprio perché sarebbe bene non spruzzare alcun pesticida (anche se “bio”) sulle piante in fioritura, bisognerebbe iniziare una lotta integrata con i predatori dei parassiti (le coccinelle sono il miglior predatore contro molti parassiti della cannabis, ed anche il bacillum thuringensis ha un’ottima azione, soprattutto contro gli insetti a corpo molle, come i bruchi) e condizioni inidonee per le muffe.
Abbiamo visto come la fase di inizio fioritura è importante e quali e quanti lavori bisogni fare per arrivarci al meglio. Abbiate pazienza. Una fioritura troppo rapida pregiudica il gusto, la qualità e la quantità di raccolto. Sappiate aspettare e siate tempestivi ed efficaci nei trattamenti per ogni problema che si possa presentare. Date alle piante tutto quello di cui hanno bisogno, senza esagerare. E soprattutto date loro tanto amore, ne hanno bisogno e loro vorrebbero poterne dare tanto a voi… Buon lavoro, che sia al più presto un lavoro che si possa fare senza aver paura di pazzi invasati che ancora vivono di menzogne. Bom Bholenat!
Canapa Medica
IL LIBRO DEL NOSTRO FABRIZIO DENTINI
Co-pubblicato dall’olandese Positive Publisher e dalla genovese Chinasky Edizioni, “Canapa Medica”, ispirato, al famoso libro “Marijuana: la medicina proibita”, scritto dall’americano Lester Grinspoon, è un libro coraggioso, disponibile nelle librerie, alle fiere e online, per parlarci sensibilmente dei più sfortunati dal punto di vista della salute. Stiamo parlando di persone colpite da tumore, in chemioterapia, con il dolore cronico neuropatico, agli occhi per il glaucoma, a tutto il corpo per la fibromialgia. O ancora, persone affetta da tetraplegia, sclerosi multipla, epilessia, HIV, epatite C, cefalea e emicrania, artrite reumatoide, disturbi psichiatrici, dipendenti da alcol e eroina, soggetti colpiti da malattie rare come la Sindrome di Sjogren, l’Atassia di Friedreich e la sclerodermia. Ma facciamo qualche domanda all'autore, dato che abbiamo la fortuna di averlo tra i nostri più stimati redattori. di Davide Calabria
SSIT: Di che libro si tratta e perché lo hai scritto?
« È una raccolta di testimonianze italiane sull’uso terapeutico della canapa in malattie importanti, non nell’unghia incarnita. Il suo fine ultimo è la normalizzazione del rapporto tra gli italiani, le leggi e la canapa. Il libro intende far capire come la canapa sia semplicemente una medicina e perché sia assolutamente incivile che tante persone – visto che lo Stato non riesce a garantire loro la continuità terapeutica – debbano coltivarla con il rischio di subire un arresto ».
SSIT: Quante persone hai intervistato? Quanti avevano la possibilità di curarsi legalmente?
« Nel libro ci sono 64 storie. Io ne ho intervistate un centinaio, poi ho messo le più rappresentative. Su cento persone, un decimo aveva la ricetta del Bedrocan (fiori di marijuana importati dall’Olanda) dispensato gratis dall’ALS, un altro 30% aveva la
ricetta del Bedrocan ma non i soldi per poterlo importare, mentre il restante 60% non aveva la ricetta e si arrangiavano tra mercato nero e autocoltivazione ».
Il libro intende far capire come la canapa sia semplicemente una medicina e perché sia assolutamente incivile che tante persone debbano coltivarla con il rischio di subire un arresto
SSIT: Hai ravvisato più sentimenti di speranza o rassegnazione tra le persone che hai intervistato?
« Rassegnazione, per fortuna, poca. Ho trovato più che altro tanta rabbia, in questa gente che già soffre, perché lo Stato ti frega due volte: se vuoi accedere alla terapia attraverso il canale legale, la burocrazia e i costi d’approvvigionamento, ti fanno passare la voglia. Mentre se fai per conto tuo, rischi una denuncia nell’ambito penale. Questo è assolutamente incivile e possibile solo per motivi politici ».
Grazie alla terapia con la canapa, come emerge dai toccanti racconti proposti, i pazienti riescono a mitigare gli effetti collaterali di medicine di sintesi che, letteralmente, fanno sentire il paziente “secco”, sballottato tra un farmaco e l’altro, in alcuni casi sentendo addirittura il peso dell’accanimento terapeutico, capace di generare un senso di inadeguatezza alla quotidianità – quindi tristezza attorno al paziente – innescando depressione e disturbi mentali. Questi pazienti sono costretti ad assumere un numero incredibile di farmaci e lamentano perdita d’appetito e delle emozioni. C’è chi si è sentito addirittura violentato dai trattamenti farmacologici e, come in un film dell’orrore, ha visto il proprio corpo cambiare nella forma e nel colore della pelle, con peli che spuntavano copiosi; quando quella con la pianta
di canapa è invece una terapia dolce, in grado di sostituire i farmaci o di contenerne gli effetti collaterali.
Un libro dove i buoni, quelli veri, sono alcuni medici coscienziosi, i proprietari dei growshop che dispensano consigli ai pazienti e i centri sociali che organizzano l’autoproduzione di canapa, mettendola a disposizione dei pazienti. Perché con la canapa il paziente dorme “divinamente”, “come un angelo”, riuscendo a recuperare le forze per guarire e rendere sopportabile la malattia. In alcuni casi permette d’alzarsi dal letto a chi nemmeno ci pensa, in altri di poter uscire a far due passi, salvando dal dolore e dalla depressione. Addirittura, esistono persone grazie a cui la canapa permette di stare in mezzo alla gente, senza mostrare i sintomi della malattia, in alcuni casi dando pure la forza per combattere l’ignoranza di chi è sordo quando si parla di questa incredibile terapia.
Perché per chi ne ha bisogno, la cannabis è davvero innocua e fa un gran bene. Così c’è chi si domanda: “Il Signore l’ha messa in Terra, non vedo perché dovremmo levarla noi” o perché lo Stato non produca la canapa per i propri cittadini, abbassando i costi delle terapie. Tra di loro, c’è chi a cui il medico l'ha solo consigliata, chi l'ha scoperta su Internet e i suoi social network, iscrivendosi a gruppi come “La cannabis che mi cura”. In Italia, però, spiega Salomone Romano, affetto da tetraparesi, “è molto più facile per un dottore prescriver morfina, rispetto ai fiori di marijuana”. Eppure, come precisa Stefano Balbo, ex poliziotto, nella sclerosi multipla, per esempio, “la canapa è una cura più economica per lo Stato”: la terapia con il Sativex (spray sublinguale estratto dalla pianta) costa mensilmente 540 euro, contro i 3000 dei farmaci di protocollo.
Qualcuno è addirittura costretto a contrarre debiti per curarsi, perché quando l’ASL non può permettersi di pagarla al paziente, 500 euro al mese solo per la cannabis sono decisamente un lusso. Così, c’è chi auto-coltiva, ma a suo rischio e pericolo e si finisce che i benefici della canapa hanno spesso come “controaltare” i rischi per ottenerla. C’è chi fuma o mangia canapa tutto il giorno, a intervalli regolari di qualche ora, chi solo la sera, ma sempre senza intaccare la quotidianità, permettendo
quindi di vivere dignitosamente, con un lavoro, hobby e rapporti sentimentali.
L’accesso istituzionale tramite il canale burocratico dall’Olanda, suggerisce Dentini, è farraginoso e non garantisce la continuità terapeutica ai pazienti, pur garantendo una qualità della canapa controllata e la disponibilità in più 4-5 varietà per le differenti patologie. Il fatto di rivolgersi al mercato nero è la soluzione più semplice per chi non ha esperienza, ma qualità del farmaco è spesso scadente o molto cara e c’è il rischio di incorrere in procedimenti penali. Gli stessi problemi con la legge potrebbero sorgere auto-producendo la canapa medica, che inizialmente non garantisce la continuità della terapia, ma permette di contenerne i costi, anche se sarebbero necessari dei consulenti alla produzione. L’ideale, aggiunge l'autore, sarebbe integrare l’autoproduzione e l’importazione, fino a quando non sarà possibile produrre la medicina in Italia, valorizzando il sapere diffuso tra i pazienti come auto-medicamento.
Come cresce la vostra coltivazione Parte III
Nella coltura in serra, le piante sono rimaste al buio dal 1° luglio e le prime cime delle due varietà sono state pronte il 27 agosto. I 10-15 centimetri finali della maggior parte dei rami sia della Hash Bubble che della Shark Shock hanno raggiunto il culmine. Sono stati raccolti, lasciando invece la parte inferiore. Il tempo di maturazione dall’inizio della rimozione della luce è stato di soli 58 giorni.
Senza le cime superiori che bloccavano la luce e con i primi tagli nella pianta, le cime interne hanno ricevuto più luce. Questo ha garantito loro l’energia necessaria per crescere un po’ di più e, cosa più importante, per maturare.
Il gruppo seguente è stato quello di due piante di Kandy Kush e dii una Master Bubble. I primi tagli sono stati fatti l’11 settembre, due settimane dopo le prime piante. Ci sono voluti 73 giorni per maturare. Allo stesso tempo, le due piante precedenti sono state potate definitivamente. Le cime non mature rimaste sulle piante non sarebbero mai maturate come richiesto, quindi sono state raccolte e utilizzate per altro. Le cime inferiori del secondo gruppo sono maturate un po’ e sono state raccolte una settimana dopo.
La coltura sotto coperta. Sono state usate delle persiane da finestra per tenere la stanza al buio. Venivano chiuse ogni notte dopo che diventava buio e riaperte ogni mattina alle 9. Durante l’intera fase di privazione di luce, l’alba avveniva molto prima delle 9, quindi la coltura è rimasta protetta dalla luce del mattino. Quando abbiamo iniziato questo regime, il tramonto avveniva alle 20.30 e le piante ricevevano un po’ meno luce, ma negli ultimi due mesi il sole è cominciato a tramontare più di mezzo minuto prima ogni giorno. All’inizio del regime le piante ricevevano circa 11,5 ore di luce. Al raccolto, ricevevano 11 ore di luce al giorno. Le luci sono state impostate per partire esattamente alle 9 di mattina per alcune ore, per illuminare la coltura. Questo ha anche alleviato l’esigenza di essere precisi nell’apertura delle tende. La coltura prima. Scattata il 24 agosto, tre giorni prima che le piante venissero potate. Stavano crescendo in contenitori General Hydro Mega con nutrienti House and Garden in percentuale più bassa di quella consigliata dal produttore, 680 PPM, dopo aver regolato l’acqua della zona della Baia di San Francisco da 68 a 125 PPM utilizzando Cal-Mag. Il pH è stato mantenuto a 6.0-6.1. Dapprima i livelli di nutrienti sono stati impostati a 800 PPM, ma le piante hanno cominciato a bruciare.
Il 10 agosto sono stati installati il serbatoio e il regolatore di CO2. Il sistema è stato dotato di timer, in modo tale che l’aria venisse arricchita solo durante le 12 ore in cui la pianta riceveva luce. Il regolatore è stato settato affinché mantenesse un livello di CO2 di 550 PPM, del 50% circa superiore al livello ambiente di 380 PPM e di gran lunga superiore rispetto alla serra ventilata, anche con i ventilatori sparati al massimo. Prima che venisse installato il serbatoio, quando il sole risplendeva direttamente sulle piante o veniva riflesso dalle pareti bianche e le fluorescenti a induzione Inda-Grow e il sistema T-5 somministrassero la luce, il livello di CO2 è diminuito fino a 250 PPM. Questo livello più basso ha portato le piante a “minare” il gas presente nell’aria in modo inefficiente, il che ha comportato una fotosintesi e una crescita lenta.
La CO2 è stata somministrata mediante un piccolo tubo che partiva dal serbatoio e finiva nella parte posteriore di un ventilatore oscillante indipendente. Anziché usare la ventilazione, la coltura è stata raffrescata mediante l’utilizzo di un condizionatore d’aria portatile, che ha garantito un raffrescamento di 25.000 BTU, mantenendo la temperatura al di sotto dei 30 grandi centigradi. Il sistema di ventilazione è stato posto in modo tale che quando la temperatura della sera raggiungeva i 35 gradi centigradi, il termostato posizionato vicino alla parte superiore della parete faceva partire la ventola, dove l’aria era più calda. È successo comunque di rado.
Primo piano di una cima di Shark Shock.
Cima di Hash Bubble. Il Triangolo dello Smeraldo, ossia le contee di Humboldt, Mendocino e Trinity, vanta le migliori aree per la produzione della miglior marijuana. Ciononostante, la loro fama e il motivo per cui i coltivatori di marijuana hanno colonizzato queste aree non è stato il clima o la qualità di campi e terreno, bensì la posizione appartata e le minori probabilità di essere scoperti su queste colline rurali color ruggine. Una volta risolti i vincoli legali, quando i coltivatori saranno liberi di coltivare in California, i vantaggi agricoli della Valle Centrale saranno evidenti.
La coltura che abbiamo seguito e stiamo rivisitando si trova vicino a Fresno, nel cuore della Valle Centrale, la cornucopia di frutta e verdura della California. Questa area ha il vantaggio di godere di sole, clima caldo e umidità relativamente bassa, anche se c’è molta rugiada che si forma in seguito al calo della temperatura di 6-12 grandi centigradi. Le immagini del campo presentate in questo articolo sono state scattate il 15 ottobre, dopo che sono state raccolte le piante a inizio e mezza stagione.
Le piante erano tutte pronte per il raccolto. C’erano quattro varietà che spiccavano: “Ed Rosenthal Superbud,” “Foothill,” “Lavender Kush,” e “Strawberry Cough.” Da lontano la Strawberry Cough era quella che spiccava maggiormente. Le piante erano sative alte 3-3,5 metri con lunghi rami ricoperti di cime lunghe e moderatamente spesse. Ciononostante, camminando verso le piante ho notato che le foglie erano ricoperte di malbianco. Quando le foglie sono ricoperte di malbianco, è probabile che anche le cime siano infette. Le altre varietà invece non presentavano muffe.
Nessuno vuole fumare o ingerire muffa, quindi non serve utilizzare questa erba per le cime o l’hashish. Cosa interessante, non sono stato in grado di trovare patologie o sintomi connessi con il fumo o l’ingestione di malbianco. Ciononostante, non ho intenzione di usarla. D’altro canto, fare un concentrato usando alcol, butano, CO2 o estrazione con acqua permette di eliminare la muffa e i cannabinoidi e i terpeni vengono filtrati o si sciolgono e sono raccolti.
Da lontano, le piante alte di Strawberry Cough spiccavano notevolmente. I rami erano maturati producendo lunghe cime di Sativa su piante alte 3-3,6 metri. Erano pronte per il raccolto. Il problema è stato più evidente quando mi sono avvicinato maggiormente alle piante.
Cima di Ed Rosenthal Superbud. Ed Rosenthal Superbud ritratta in dimensioni reali.
Ed Rosenthal Superbud con zoom 5x.
Ed Rosenthal Superbud con zoom 10x. Cima Foothill.
Cima di Foothill con zoom 5x.
Cima di Lavender Kush ritratta in dimensioni reali. Cima di Lavender con zoom 10x.
RISULTATI DEI TEST
Sono stati analizzati dei campioni presso i Laboratori Steep Hill, di Oakland, CA per verificare il contenuto di THC e CBD. I test sono stati condotti mediante utilizzo di una pipa d’argento piccola con serbatoio e senza carburatore. Questi test sono stati condotti da me e Leonardo D’Jardin. Ogni gruppo veniva analizzato con un nuovo serbatoio.
STEEP HILL POTENCY RESULTS (Courtesy of Steep Hill Labs) THC% CBD% Strawberry Cough 16.98 <2 Ed’s Super Bud 14.45 <2 Kandy Kush 14.2 <2 Lavendar Kush 15.9 <2 Foothill 5.46 5.69 Shark Shock* 10.69 <2
*Sample was too moist. Higher probable potency after properly cured.
Coltivare e fumare erano le sue passioni
Soft Secrets Polonia era la sua figlioccia
SPINELLI PRESENTI… FUOCO!
Nato sotto il comunismo, ma che non l’ha ostacolato per niente
IL SALUTO DEI DIECI SPINELLI
Stiamo a casa, se il tempo
non aiuta di CBG
Purtroppo sinora non è stato un bel periodo per l’agricoltura: gelate tardive e meteo instabile stanno ancora flagellando l’Europa. Ero quindi molto preoccupato accendendo a Skype per salutare i miei amici dai paesi più illuminati dove è consentito il nostro hobby. “Chissà – mi chiedevo tra me e me – quanti secchielli di lamentele riempirò quest’oggi…”. Per fortuna i miei amici sono persone in gamba e non si sono lasciati scoraggiare dal poco sole, per cui hanno allestito dei growbox interni.
Con un growbox chiunque ha uno spazio di – mediamente – un metro quadro dove poter sperimentare e coltivare indoor. Non sempre è facile passare dall’outdoor all’indoor, specialmente d’improvviso quando la stagione non è stata delle migliori. Quante volte capita di sentire scarsissime rese, oppure invece rese alte ma non per l’investimento fatto, oppure ancora si sente spessissimo di giovani con ottimi setup e rese qualitativamente pessime.
Solitamente il grower medio ragiona in base alla grandezza dello spazio o al numero di piante coltivate ma se, come risaputo, non è il numero che conta, perché ostinarsi a voler far le cose male? L’approccio alla coltivazione indoor, il più tecnico possibile, è basato sul fattore limitante. Niente di nuovo, ogni cosa rende al massimo del suo fattore limitante, cioè nel caso dei vegetali stiamo parlando di quel parametro ambientale (chimico o fisico) la cui carenza o la cui abbondanza risulta determinante per lo sviluppo biologico della popolazione di un ecosistema. Ecco, per farmi capire dai più farò un esempio: se integro con anidride carbonica il mio growbox, ma la quantità di luce rimane la medesima non avrò nette differenze rispetto a prima, in quanto la luce risulta scarsa, ergo funge da fattore limitante dell’utilizzo della CO2 da parte delle piante che si troveranno tanta CO2 ma poca energia per fare la fotosintesi. I fattori limitanti sono fondamentalmente tre. La disponibilità di luce, cioè quale lampada si usa, di quale potenza la si sceglie e di che tipologia di spettro. Lo spazio, se si coltiva in un case da computer difficilmente ci staranno trenta piante. Ed infine il tempo: sceglierei una indica se dovessi raccogliere entro due mesi, una sativona se invece posso prendermela comoda e darle anche 3 mesi di fioritura abbondanti.
Nel mercato dei growshops si trovano lampade HPS dai 50 Watt ai 1000, e le più comuni sono 250 400 e 600. Una lampada, più consuma e più lumen rende. Quindi se servono tanti lumen per far fiorire questa pianta sarà bene adeguare una giusta fonte luminosa al giusto spazio perché ricordo che i lumen sono correlati alla distanza dal bulbo sorgente. Una lampada da 250 Watt HPS copre adeguatamente e a giusta distanza dalle piante un’area di circa 60x60 centimetri. Una da 400 Watt è perfetta dagli 80 centimetri al metro per un metro mentre una 600 Watt si usa dal metro ai 120x120 centimetri. Ecco spiegato perché i growboxes più venduti sono il modello medio 1m x 1 m o il large da 1,2m x 1,2m di lato.
Scegliete lo spazio in relazione alla giusta intensità luminosa che potete dare e viceversa scegliete la luce in base al vostro spazio. E’ inutile e decisamente stupido uscire dalle proporzioni consigliate. Se si dispone di un armadio o di una stanzetta o di un bugigattolo di dimensioni e forma strane sarà bene prendere in considerazione di comprare un growbox in tela smontabile così da ottimizzare la resa.
Senza mai dimenticare che esistono in commercio degli strumenti particolari detti Cooltube. Il cooltube è un tubo o spesso un riflettore chiuso da vetro pirex resistente alle alte temperature. Con uno di questi aggeggi collegato ad un estrattore è possibile raffreddare la temperatura nell’ambiente di coltivazione, anche di parecchi gradi centigradi, in quanto l’aria in transito porta il calore al di fuori dell’ambiente di lavoro e le piante, sebbene sotto una 600 Watt, non cuociono! Ho visto usare cooltube in armadi minuscoli con lampade da 250 Watt, che sono comunque bulbi HPS ad alta emissione di energia foto sintetica ed ottenere risultati fantastici. Bisogna ricordarsi che una lampada da 250 Watt HPS in un growbox chiuso di 60x60 centimetri è una fonte di calore eccessivamente calda che obbliga ad allontanarla troppo dalle piante e soprattutto rischia di portare la temperatura interna oltre i 30 gradi centigradi.
Vista la sorgente luminosa corretta in relazione al corretto spazio si passa alla scelta del metodo di coltivazione che poi porterà alla scelta della genetica più adatta. L’approccio migliore è decidere come coltivare dopo aver preso lampada adatta allo spazio scelto. Poi si posso valutare i vari metodi, a parità di efficienza luminosa si possono mettere tante piante quante ce ne stanno, in vasetti piccoli ed adiacenti, magari dei cloni e si ottiene il Sea Of Green, altrimenti conosciuto come S.O.G. e qui rimando ai forum online con tanto di guide molto ben fatte sul S.O.G. Altrimenti si può decidere di coprire l’intera area con una o pochissime piante a formare una rete, un SCR.O.G. acronimo di Screen Of Green. Una pianta, ad esempio, ben legata a coprire lo spazio interessato ma anche in questo caso i forum online sapranno aiutarmi nel delucidare le idee a chi non ha mai sentito parlare di ciò. La terza scelta è quella di fare una specie di S.O.G. con piante da seme, ben distanziate, ma col risultato di coprire omogeneamente lo spazio illuminato.
Qualsiasi altra scelta pare decisamente azzardata: se son troppo fitte in uno spazio angusto c’è il grave pericolo che si sviluppino muffe per via dell’umidità eccessiva, mentre se son troppo poche la resa non sarà equiparata alla fatica e al rischio. Non si mettono quattro piante a caso sotto una 400 Watt pensando di fare un buon lavoro. Intelligentemente si mettono tante piante quante ce ne stanno fisicamente, sempre contando che lo spazio dev’esser scelto in base alla potenza luminosa. Buona fioritura, che sia outdoor o in un comodino e se dovesse servirvi l’ispirazione basta aprire il pc e andare su Facebook: alla pagina Metrop France, si possono vedere degli esempi made in France di coltivazioni in vasi da 3,5 litri.
12 raccolti immensi
Ganja Selecta
Industrial Plant di Dinafem. Versione di Northern Light che nelle ultime stagioni si è guadagnata la fama di essere produttiva e semplice, per cui è una scelta eccellente per i coltivatori funzionali. Tende a formare piante con una cima centrale, un’altezza media e poche foglie da curare.
Buddha Seeds, la banca che ha superato il limite della produzione delle autofiorenti, torna a superarsi con la Magnum, autofiorente che richiama l’attenzione per l’impressionante produzione in tempi record. Pianta con altezza, molti rami e potenza.
Se si parla di piante produttive, la Chronic di Serious Seeds è un classico della categoria, il cui rendimento è incredibile. In outdoor riesce a produrre cime grosse come due braccia. Oltre a ciò è potente e saporita.
Jack Attack di Venus Seeds. Ha la grande produttività delle Jack, con un grande vigore e molta ramificazione, il che porta a raccolti molto abbondanti. Le piace l’outdoor in zone con un sole generoso. Effetto intenso e un sapore squisito d’incenso.
The Ultimate. Una delle genetiche più produttive di Dutch Passion, vigorosa e dall’elevata potenza, con risultati impressionanti in indoor e nei sistemi idroponici.
Kalashnikova di Green House Seed Company. Potente incrocio di Ak47 e White Widow, in cui si è ottenuta una buona produzione di cime molto potenti. Varietà robusta e dalle cime compatte.
Monster di Eva Seeds. Leggenda della produzione, poiché la produzione in outdoor può superare i due chili, oltre a essere semplice da coltivare. Odore forte ed effetto sativo.
Blue Mistery di Seed Bank Low Cost. Robusta e dai grossi rami, in grado di sostenere le cime enormi. Effetto narcotico e sedativo. Sapore di spezie e frutti di bosco. Cotton Candy di Delicious Seeds. Una vera prodezza, conserva lo squisito sapore della Lavender, ma con un incremento della produzione e semplificandone la coltivazione, il che si raggiunge grazie a un apporto di Power Plant. Incrocio di prima qualità che vale la pena provare.
Amnesia di Superstrains. Ereda diretta della leggenda della Amnesia Haze, pianta che ha guadagnato sostenitori fra i coltivatori spagnoli, dall’effetto intenso, il sapore dolce d’incenso e l’elevato rendimento.
Meditation di Jah Seeds. Altra opera d’arte della selezione, mantiene il sapore e l’effetto intenso della Widow e al contempo aumenta notevolmente la produzione, con un buon raccolto di cime grandi, dolci e saporite. Si nota inoltre un incremento di CBD.
Produzione
Industrial Plant - Dinafem Magnum - Buddha Seeds Chronic - Serious Seeds Jack Attack - Venus Seeds The Ultimate - Dutch Passion Kalashnikova - Green House Seed Company Monster - Eva Seeds Blue Mistery - Seed Bank Low Cost Cotton Candy - Delicious Seeds Amnesia - Superstrains Meditation - Jah Seeds Tank - Vip Seeds
Tank di Vip Seeds. Incrocio di Sative selezionate che cresce in modo smisurato, con eccellenti risultati in outdoor, dove le piace il sole. È stato condotto un test in outdoor con una sola pianta in un vaso da 250 litri e il risultato è stato di 1.800 g di fiori secchi e ricoperti di resina con un odore intenso e un buon effetto.
Cotton Candy di Delicious Seeds Industrial Plant di Dinafem Blue Mistery di Seed Bank Low Cost
Magnum di Buddha Seeds Chronic di Serious Seeds
Jack Attack di Venus Seeds
I PRO E I CONTRO DELLA PIANTA PIÙ VELOCE DEL MONDO, PAROLA DI GROWER Missione autofiorente
il gusto si salvava o era da buttare anche quello?
O le ami o le odi. Le piante autofiorenti sono ormai una realtà affermata nel mondo del commercio dei semi di cannabis e, al giorno d'oggi, non esiste seed bank che non abbia almeno una varietà autofiorente nel suo catalogo. Qualche mese fa, proprio su queste pagine, il collega Little Lebowski si chiedeva se quella delle “piante miracolose” – che passano dalla fase vegetativa alla fase di fioritura in funzione dell'età della pianta, anziché in base alla quantità di luce che ricevono – fosse una meteora nel campo della botanica o fosse invece un'innovazione destinata a prendere sempre più piede tra i growers di tutto il mondo. Il tempo e i consumi sembrano dare ragione alla seconda ipotesi, nonostante tra molti serpeggi ancora la diffidenza verso un prodotto che, in buona sostanza, pare cerchi di aggirare i tempi e i modi della natura. di Giovanna Dark
testate in condizioni di forte stress e di quasi abbandono da parte mia. Sai, parlandone con qualcuno era venuta fuori questa cosa che crescevano molto più in fretta rispetto alle altre e ho detto: “proviamo!”. Allora si avvicinava anche l'inverno quindi ho scelto questa varietà, anche perché avevo effettivamente fretta.
SSIT: Andiamo avanti, dicevi che con le autofiorenti ci hai lavorato solo due volte. Raccontaci com'è andato il tuo primo tentativo.
Ti dirò, non era male alla fine quella lì. Ma non riesco proprio a ricordarmi che varietà era. Era molto agrumata, decisamente buona. Infatti il problema maggiore con quelle piante è stato l'odore. C'era un odore incontrollabile. Non sapevo davvero come fare perché nonostante il posto che avevo scelto era davvero lontano dalla zona di passaggio del palazzo, il profumo si sentiva di brutto. Preso dalla disperazione ho riempito il sottoscala di Arbre Magic, quelli verdi a forma di pino. Ce ne saranno stati una trentina... magari non coprivano ma sicuramente confondevano!
Queste ruderalis potenziate, infatti, necessitano di un tempo molto minore per fiorire rispetto alle cugine indiche e sative: coltivate a partire dal seme, le piante inizieranno a sviluppare cime una volta raggiunte le 3-4 settimane. E non è nemmeno necessario ridurre la quantità di ore di luce che ricevono. In una situazione di outdoor le normali varietà di cannabis sativa e indica possono impiegare sei mesi per arrivare dalla semina al raccolto, mentre in indoor, per il raccolto, possono volerci anche tre mesi. Al contrario, le varietà autofiorenti crescono dal seme e arrivano al raccolto in 8, massimo 10 settimane. Un bel risparmio di tempo, soprattutto per quanti – come gli sfortunati italiani – sono costretti a coltivare in regime di semi-clandestinità o di guerrilla pur di evitare di incappare nelle angherie della Fini-Giovanardi.
Ma cosa significa crescere una pianta di cannabis autofiorente? È davvero quel gioco da ragazzi che ci vogliono far credere oppure, anche in questo caso, il detto “presto e bene non vanno insieme” ha un suo fondamento? Per chiarirci – soprattutto per chiarirmi, a dire il vero – ne abbiamo parlato con A. un grower esperto che da quasi 15 anni si dedica con amorevole cura e una passione spiccatamente bio alla nostra pianta preferita.
Ci racconterà com'è stata la sua esperienza con la Lowrider – che passa direttamente alla fase di fioritura, dopo circa
17/20 giorni a partire dal seme, saltando la fase vegetativa – sia in indoor che in oudoor. Con i suoi 30 cm di altezza questa varietà di cannabis è ad oggi la più piccola e “veloce” pianta esistente. Unica, inoltre, perché non necessità variazioni del fotoperiodo, fiorendo indifferentemente con 24, 16 o 12 ore di luce e maturando in sessanta giorni. Questa innovativa varietà discende da ibridi di ruderalis derivanti dalla “mexican ruderalis”, che le conferiscono le caratteristiche doti di compattezza, e da parenti famosi tra cui William’s Wonder e Northern Lights No.2 Indica, che garantiscono resinosità e potenza. Necessita di poco spazio e di minime dosi di fertilizzanti e, maturando in 8 settimane, permette più di un raccolto a stagione. Un piccolo miracolo insomma. E alla portata di tutti, anche dei grower alle primissime armi.
Ad A. mi premeva chiedere se davvero è tutto oro quello che luccica attorno a questo nuovo prodotto, soprattutto in termini di resa finale, e quali sono le problematiche che riguardano questo tipo di coltivazione. Per capire se il gioco vale davvero la candela, sentiamo dalle sue parole com'è andata.
SSIT: Come grower hai un'esperienza più che decennale. Hai lavorato sia in indoor che in regime di guerrila outdoor. Cosa ti ha spinto a coltivare la varietà autofiorente? Anche tu hai ceduto alla pubblicità?
Guarda io in realtà con le autofiorenti c'ho lavorato due volte. Che poi alla fine io sta cosa non l'ho capita, non è che fai tanto poi prima a farle...
SSIT: Me la servi subito su un piatto
d'argento e quindi te lo devo chiedere: se dovessi scegliere, nella diatriba quasi accademica “autofiorenti si/autofiorenti no” tu ti metteresti dalla parte degli entusiasti o degli scettici?
La prima volta l'ho fatta in un sottoscala, al freddo, senza riscaldamento e lì con l'odore l'ho rischiata davvero tanto perché non c'era ventilazione, non c'erano filtri. Una roba molto alla carlona: una lampada nel sottoscala e via. Volevo provare a vedere com'erano queste autofiorenti tanto famose. Erano delle Lowrider White Dwarf o Red Dwarf, non mi ricordo, una cosa del genere. Avevo messo una lampadina da 400 watt – che non era neanche la mia, era in prestito –, ma alla fine dei conti per raccogliere c'avrò messo 10 giorni in meno rispetto a quelle normali.
SSIT: Insomma tutto sto guadagno di tempo tu non lo hai ravvisato. E per quanto riguarda il prodotto finale invece?
CRESCERE UNA PIANTA AUTOFIORENTE È DAVVERO QUEL GIOCO DA RAGAZZI CHE CI VOGLIONO FAR CREDERE OPPURE, ANCHE QUI, “PRESTO E BENE NON VANNO INSIEME”?
SSIT: Una scena meravigliosa! Una growroom piena di Arbre Magic è davvero un colpo d'occhio esilarante!
Cos'era in Seven (NDR. il film di David Fincher del 1995) che c'era la scena col tipo con le cose appese? (Ride) Si comunque adesso ci rido, ma allora credevo davvero di rischiarla grossa. Meno male che è finito tutto bene poi.
SSIT: Invece com'è andata con il secondo tentativo?
Il secondo approccio è stato outdoor. Le ho fatte in balcone questa estate, ho piantato i semi a inizio agosto calcolando che avrei dovuto raccogliere al massimo tre mesi più tardi, quindi ottobre al massimo. Erano sei semi di Low Lemon Skunk della Dna Genetics femminizzati e anche in questo caso mi ero orientato su un'autofiorente perché il tempo era il fattore primario che mancava.
Anche li, io devo dire che è stata comunque meno produttiva rispetto alle piante che cresco di solito. Pianta più piccola e decisamente meno grammi di raccolto.
SSIT: Una curiosità: ma i semi li compri online o preferisci appoggiarti agli smart-shop?
Quasi sempre vado negli smart-shop. Mi trovo meglio. Alla fine sarai anche più “attenzionabile” ma almeno in negozio puoi parlare col commesso, farti consiglia-
re su cosa è meglio. Scambi comunque delle opinioni dal vivo. Comprare su internet è un'azione fredda: scegli, paghi e via.
SSIT: Che tipo di difficoltà hai avuto nel coltivare un'autofiorente in outdoor?
Allora prima di tutto gli acari maledet-
ti. C'era pieno. E poi una muffa bianca che sembrava oidio. Questa soprattutto ha cerato problemi nell'ultimo periodo, quando la mattina la pianta faceva rugiada, perché erano venute su delle piante davvero molto compatte. Quindi toccava controllarla manualmente in continuazione: le foglie compromesse le tagliavo via e le altre le pulivo con cura. Gli acari invece li vedi sempre dalle foglie perché queste si riempiono di puntini gialli: sono dei ragnetti che in realtà stanno sotto la foglia, che se non li conosci non ti accorgi minimamente che ci sono. E sono davvero infestanti perché hanno una velocità di riproduzione pazzesca. Quando li ho visti ero già pronto a comprare un'arsenale ma alla fine è bastato dell'olio di neem.
SSIT: Quindi tu non sei uno che è costretto a spacciare?
SSIT: Giusto, dimenticavo, il biologico prima di tutto!
Ma si dai, obiettivamente fare le piante così è più semplice, più sano e il prodotto finale è decisamente migliore rispetto, per esempio, a quei mostri che vengono fuori con l'idroponica. Poi per uno che ha poca esperienza io consiglio sempre di partire col terriccio biologico. Perché si trova dell'ottimo terriccio anche al supermercato. Certo non è quello da gerani, in sacconi a 7 euro al kilo, costa molto di più... Secondo me così ti togli il pensiero del concimare – dove uno che ha poca esperienza rischia 99 volte su 100 di sbagliare. Su terra buona hai sempre molti meno sbattimenti.
SSIT: Cambiamo registro. Di solito il mio compito per questo giornale è quello di intervistare persone che hanno a che fare con la distribuzione, più che con la produzione perciò la domanda che ti sto per fare è pura deformazione professionale e sei liberissimo di non rispondermi. So che sei di base un autarchico, che coltivi per il gusto di poter fumare qualcosa che hai cresciuto e curato tu stesso ma la mia domanda è questa: ti ha mai accarezzato l'idea di arrotondare vendendo parte della
marijuana che producevi? Oppure, nel caso in cui decidessi di metterti dalla parte dei venditori, sarebbe meglio non mettere in giro roba propria?
Ti rispondo tranquillamente e ti dico, le pochissime volte che l'ho fatto, io ho spacciato solo la mia. Ne ho comprata ovviamente per me – anche se è davvero tanto che non ne compro per fumarla – ma mai per rivenderla. Della mia ne ho venduta un po' ma mai roba grossa. Solo una volta ne ho piazzato un etto a uno che conoscevo bene e il resto amici. Una cerchia molto ristretta.
Beh, in certi casi ho arrotondato. Anzi, mi è stato fondamentale in quei periodi. Certo i periodi in cui dici “me la sfango coltivando dell'erba” non sono periodi felici... per niente!
SSIT: Te lo chiedo perché in questi anni ho sentito delle storie davvero assurde. Persone che devono mettersi a smazzare perché non arrivano alla fine del mese pur avendo un lavoro...
È un rischio che puoi correre solo se il gioco vale la candela. Ti spiego, non è che puoi metterti a fare delle serre per poi vendere la 10 euro o i 50 euro. Se ti calcoli che invece hai il giro per fare mosse più importanti, piazzare delle robe grosse – che magari gliele dai anche in blocco – allora è un'altra cosa. Ma secondo me comunque non vale la pena, perché alla fine ci guadagni comunque meno che non vendendo dei 10-20 euro. Ma non puoi certo coltivare con la gente che ti fa avanti e indietro da casa!
SSIT: Parole sante! Grazie per i tuoi consigli. Ora sta ai lettori trarre le conclusioni dal tuo racconto ma su una cosa direi possiamo convenire: se hai poco tempo a disposizione, l'unica soluzione plausibile è l'autofiorente.
Per forza!
Cannabis e cancro al seno
Ho accennato negli scorsi articoli a come, nel corso della storia, i fiori della pianta femmina di marijuana siano stati particolarmente indicati alla donna. Soprattutto per questioni ginecologiche di vario tipo, dall’alleviare i dolori mestruali, a quelli del parto. La cannabis è stata però favorevolmente usata anche per dissipare il dolore e il gonfiore al seno delle donne. E di questa cosa ne parlava, per esempio, un libro antico di medicina intitolato Codex Vindobonensis 93, scritto in Italia nel tredicesimo secolo, ora conservato nella Libreria Nazionale Austriaca. di Davide Calabria
A quanto pare, però, il beneficio della cannabis sul seno delle donne non si ferma al gonfiore e al dolore – che non è poco – ma riesce anche a fare di più. Fin dal 1975, grazie allo studio di A. Munson, intitolato “Antineoplastic Activity of Cannabinoids”, è risaputo che la marijuana è in grado di rallentare la crescita dei tumori al seno, del polmone e della leucemia. È evidente che ciò non ha mai scalfito l’insensibile animo di chi è a digiuno da cannabinoidi da troppo tempo, come i proibizionisti. L’impassibilità del proibizionista non ha confini e questo è il suo limite. Eppure rallentare la crescita di un tumore non è poco e difficilmente esistono in circolazione rimedi naturali alle erbe o farmaci di sintesi privi di cannabinoidi, di cotanta bontà per l’organismo bisognoso di qualche paziente. Ai tempi non si conosceva neppure poi molto della cannabis in termini scientifici. Il THC era stato appena scoperto, nel 1964, eppure dopo soli nove anni si era già scoperta la sua capacità di rallentare la crescita di tre tipi di tumore. A quanto pare, però, il THC non è l’unico elemento della cannabis capace di contrastare il tumore al seno. Secondo uno studio del 2007, svolto dal California Pacific Medical Center Research Institute e pubblicato su Molecolar Cancer Terapheutics, titolato “Cannabidiol as a novel inhibitor of Id-1
gene expression in aggressive breast cancer cells”, il non psicoattivo CBD (cannabidiolo) potrebbe bloccare anche la metastasi del cancro al seno, la capacità cioè delle cellule maligne di staccarsi dal tumore originario per diffondersi ad altri organi.
Addirittura oggi s’ipotizza che il CBD possa diventare un’alternativa alla chemioterapia, ma, come nell’esperimento sopra, si tratta di quantità non inalabili attraverso il fumo di spinello, ma ben maggiori, che potrebbero essere utilizzate da tutti, in quanto il cannabidiolo non è fuori legge a livello internazionale come il THC. Dunque, il THC rallenta la crescita del tumore, mentre il CBD impedisce che si diffonda nel corpo, ma questo non è ancora sufficiente a far partire immediatamente un piano di cura gestito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), in grado di salvare la vita a molte persone o alleviare loro i dolori della malattia.
Non è nemmeno tutto, perché la cannabis contiene anche terpeni (oli essenziali), flavonoidi (antiossidanti, antiradicali liberi che mantengono il cuore sano) e almeno un altra sessantina di cannabinoidi, oltre al THC e al CBD, che le conferiscono, in generale sul tumore, oltre alle qualità antimetastasi e antiproliferanti, anche capacità apoptopiche, d’indurre
cioè le cellule tumorali a cercare la propria morte, senza intaccare quelle sane. La capacità della marijuana di mandare le cellule cancerogene del cancro al seno in apoptosi è stata dimostrata nelle prove in vitro, in una ricerca dello spagnolo Manuel Guzman, pubblicata nel 2003 su Nature e intitolata “Cannabinoids: potential anticancer agents”. La cannabis insomma funziona nel cancro al seno e un suo consumo, qualora non cronico e pesante, non è nemmeno associabile a problemi di salute di qualsiasi natura.
Secondo i dati di italiasalute.it, in Italia sono ben 300.000 le donne che stanno combattendo contro il cancro al seno, con 30.000 nuovi casi ogni anno. Le donne del Sud e delle isole hanno quasi la metà di probabilità in meno d’ammalarsi di questo male, rispetto all’industrializzato Nord, dove l’inquinamento, dovuto alla sfruttamento del petrolio, anziché della canapa, la fa da padrone.
Secondo i dati dell’oncologo Umberto Veronesi, da sempre sostenitore della legalità della cannabis, il tasso di guarigione dal tumore al seno s’aggira oggi comunque attorno al 70%, con stime attorno all’85% per i prossimi 10 anni. Potrebbero però essere molto meno i malati, perché la cannabis può essere usata nella cura, ma è anche nella prevenzione. Ad esempio il dottor Franco Berrino, oncologo al lavoro presso l’Istituto dei Tumori di Milano nella
direzione del Dipartimento di Medicina Preventiva, suggerisce alle donne recidive del tumore al seno d’abbandonare il latte vaccino, un alimento in grado di far crescere un vitello, quindi troppo nutriente per l’essere umano se preso quotidianamente. Un eccesso di latte potrebbe trasformarsi in un nutrimento per le cellule maligne, secondo alcuni, secondo altri no, ma in caso di tumore al seno sarebbe opportuno consumare latti differenti come, secondo l’oncologo, quello all’avena. Al posto del latte di mucca si potrebbe introdurre, molto probabilmente con ottimi risultati in termini preventivi e curativi, anche l’eccezionale latte di semi di canapa, difficile da trovare sul mercato, ma di facile realizzazione una volta scovati i semi. I semi di canapa sono i più ricchi i natura di proteine, carboidrati, vitamine, omega 3 e omega 6, e basta frullarli nell’acqua (2 etti in mezzo litro), farli bollire (aggiungendo un litro e mezzo d’acqua, 20 minuti) e scolarli per ottenere un latte ottimo nel gusto e dal punto di vista nutrizionale.
La marijuana può poi tranquillamente essere affiancata ai farmaci di sintesi perché alleggerisce gli effetti collaterali delle medicine e perché il suo potere d’indebolire le cellule del cancro rende i medicinali convenzionali più efficienti. Il suo beneficio è poi di tipo olistico e il fatto che si tratti di un’erba adatta ai polmoni, quando assunta pura, per esempio, aiuta la respirazione con il diaframma, quindi l’ossigenazione delle cellule. Respirando bene si muove tutto il corpo, petto incluso, e ciò porta beneficio, in termini di circolazione, di vibrazione del fisico, quindi di salute.
SECONDA PARTE: L'ARRESTO, IL PROCESSO, IL CARCERE. Il vero volto del narcotraffico
Nello scorso numero abbiamo cominciato a raccontarvi la parabola di E., un ragazzo di ventisei anni che ha vissuto e bruciato il suo romanzo criminale nel giro di pochi anni. Giovanissimo – appena 13 anni – comincia a spacciare erba e fumo, pochi anni dopo il giro si allarga e le amicizie si fanno più redditizie, oltre che pericolose. E. entra in contatto con la Camorra e diventa uno dei contatti che permettono di far scendere la marijuana dall'Olanda fino alla nostra penisola. Non è certo un pesce piccolo, né uno che lo fa per svoltare il mese. Ad E. piace quello che fa e altrettanto gli piace la piega che ha preso la sua vita. Ma quando si gioca a così alti livelli basta un passo falso per perdere tutto. E così quando E. incontra il suo personale Giuda la festa inevitabilmente finisce. di Giovanna Dark
Trovato in possesso di 4 kili di marijuana, 3,5 kili di hashish e 250 grammi di MDMA, E. viene arrestato dopo 4 mesi di latitanza. Non è la prima volta che succede. Il processo lo vede protagonista di 7 capi d'accusa specifici: 75 casi documentati di cessione, un numero imprecisato di intercettazioni telefoniche, due testimoni contro e la recidiva infra-quinquennale lo fanno condannare in prima istanza a 6 anni per detenzione, acquisto e spaccio di sostanze stupefacenti. Il carcere, la comunità e poi gli arresti domiciliari in cui lo incontriamo. Un curriculum di tutto rispetto che avrebbe potuto allungarsi ulteriormente se la bravura degli avvocati e le innumerevoli falle interpretative della legge vigente non avessero giocato così a suo favore. Le sue imputazioni rappresentano infatti una minima parte del giro vero e proprio che sorreggeva gli investimenti di E. e i
suoi affari, e il fatto di essere uno tra quelli che – volgarmente si dice – “contano” ha fatto sì che la sue esperienza dietro le sbarre non fosse traumatica come quella di molti che non si possono permettere avvocati miracolosi. E, in un senso che di certo non ci si aspetta, anche la legge stessa ha aiutato. Vediamo in che modo
SSIT: Vuoi dire che i capi d'imputazione erano diversi da quelli che tu aspettavi?
Allora, hanno scritto che io avevo un'arsenale con della polvere da sparo nella cantina di uno, che lì c'erano 16 kili di armi. Mi hanno accusato di una rapina a un portavalori però il kilo di taglio che avevo assieme alla roba non l'hanno neanche contato. In pratica io mi sono trovato in carcere senza sapere il perché. Cioè, ovviamente presumevo... ma non avendo parlato per niente non potevo sapere bene. L'interrogatorio con la polizia è durato 7 minuti. A leggere gli atti ho visto che hanno chia-
mato dentro tante di quelle persone inutili, gente che non c'entrava niente, tipe con cui ero magari andato un paio di volte e che mi chiamavano.
SSIT: Assurdo! Tu che al massimo ti facevi qualche canna e qualche pasticca ti prestato a farti di eroina pur di avere uno sconto di pena. Certamente un gesto coraggioso ma a che prezzo?
SSIT: Come hai vissuto il tuo arresto?
Non era mica la prima volta che mi capitava ma a sto giro almeno ho avuto un po' più di margine. Quando ho saputo che quello là mi aveva cantato, sono uscito così com'ero e sono scappato. Mi sono fatto 4 mesi di latitanza allucinanti. Poi alla fine mi han beccato perché non è che puoi scappare in eterno. Anche se stavolta ero arrivato al punto che ho detto “ok adesso mi faccio 15 anni”. Perché a me m'hanno accusato delle armi che non avevo... Quando ho cominciato a leggere i fascicoli sono rimasto interdetto!
SSIT: Anch'io mentre scorrevo gli atti e vedevo tutti quei nomi femminili ho avuto questa impressione... I nomi maschili avevano il cognome, le femmine solo il nome. Ah le forze dell'ordine! Sempre così fedeli a sé stesse... Come l'hai sfangata alla fine? Mi spiego, con tutte le accuse che ti hanno mosso contro, come hai fatto a farti dare solo 6 anni e ad uscire coi domiciliari dopo appena un anno?
cadute subito perché era palese che io non ero un pesce così grosso da fare ste robe. Per la questione dello spaccio alla fine mi sono fatto dare il massimo del minimo. Ho fatto quello che mi ha detto di fare l'avvocato: mi sono caricato delle cose che effettivamente avevo fatto e ho fatto chiedere il rito abbreviato perché almeno te la cavi in fretta e gli sconti di pena arrivano più facilmente...
SSIT: Leggo dalla sentenza: “Quanto all'entità della pena da comminare all'imputato (…) si ritengono concedibili le attenuanti generiche in considerazione della giovane età, della 'quasi' totale ammissione dei reati e del fatto che comunque E. era tossicodipendente e quindi soggetto indotto al crimine anche per procurarsi il denaro necessario per acquistare lo stupefacente”. Posto che non mi sembri un tossicomane, queste attenuanti sono un compendio della peggior sociologia della devianza...
Che poi la vuoi sapere la roba assurda? Mi hanno fatto l'esame delle urine ed ero pulito. In carcere mi hanno fatto quello del capello e per risultare sporco ho dovuto per la prima volta in vita mia farmi di eroina. Dentro la galera! Fumarla eh! I buchi non me li faccio neanche a morire! Ma è stata una botta allucinante lo stesso, ho vomitato l'anima.
Guarda, quando sai che puoi levarti in fretta da li, fai tutto quello che puoi. Se la legge dice che un tossicomane deve essere trattato diversamente perché è tossicomane allora perché non far finta di esserlo? Invece che darti 10 anni te ne danno 5! Insomma dopo 8 mesi che ero dentro l'avvocato manda sta dottoressa da Milano – che pago di tasca mia 1000 euro (NDA. per fare l'esame) –, mi lascia un buco in testa e dopo 20 giorni il risultato delle analisi è ancora negativo. Quindi vado col secondo tentativo e mi faccio fuori 10 grammi, che oltre a puzzare di morto pago anche un casino. Ho avuto i brividi di freddo, il mal di schiena, cioè alla fine era pur sempre roba!
SSIT: Come hai fatto a procurarti l'eroina in carcere?
il mangiare dalle finestre e si riempiva di uccelli, scarafaggi, topi, robe da ufo! Quello che la vendeva stava un piano sotto di me e per fare la storia dovevi prendere un cordone della tuta o un laccio lungo di una scarpa. Ci attaccavi una pila mini-stilo e la calavi bussando alla finestra di sotto. Il tipo con una graffetta tirava il filo, ci attaccava il sacchettino e tu tiravi su. O te li fai dare ai colloqui sottobanco, oppure fai un vaglia a qualcuno, oppure fai incontrare sua moglie con tua moglie. Per me venivano mia madre e la mia ragazza, che poverina non si era neanche mai accesa una sigaretta in vita sua. L'amore più grande e più breve della mia vita, perché poi m'ha mollato.
SSIT: Con che frequenza sono i permessi i colloqui?
Sei colloqui al mese. Uno ogni 5 giorni praticamente. Ma è comunque uno schifo. Gli sbirri ti smanazzano i parenti davanti e te non puoi fare un cazzo. Mettono le mani dappertutto poi per niente, perché se uno vuole si mette 50
euro di fumo nelle mutande e va. A me le avran fatte togliere tre volte in tutto e le altre due volte che mi sono rifiutato mi hanno fatto andare su lo stesso.
SSIT: Un gioco da ragazzi insomma. Allora la leggenda che vuole ci sia più droga in carcere che fuori è vera?
No ti assicuro. In carcere c'è solo la disperazione. Dicono che c'è ma quella che c'è è per pochissimi. Prima di tutto
SSIT: Mi spiace. Comunque la cosa che tutt'ora fatica a non impressionarmi è la corruttibilità intrinseca del sistema carcerario. Immagino che per i detenuti sia effettivamente un vantaggio.
Ah beh, con 150 euro io mi facevo portar
dentro una bottiglia di sambuca dalla guardia. Con 500 euro sono riuscito a far sesso con la mia ragazza. Certo è una questione di corruttibilità ma anche della persona che sei. Devi avere i maroni perché se fai saltare uno di loro non esci più. E devi anche stare attento agli altri che stanno dentro, devi avere rispetto di quelli più in alto di te perché poi devi rendere conto di quello che fai.
devi essere qualcuno, devi avere i soldi. Ma non è che devi averli e basta...
SSIT: Il problema è darglieli immagino. In regime carcerario i detenuti hanno a disposizione solo una diaria minima e se ti beccano con più di quello che dovresti avere sono problemi. Come hai fatto? SSIT: Passando alla mera statistica: secondo quanto hai potuto vedere, quanta gente era in carcere a causa della Fini-Giovanardi?
L'85% almeno. Anche per delle cazzate. Per 10-20 grammi di fumo o 5 grammi di coca. Il 90% di questi sono marocchini, tunisini e algerini. Ci sono gli albanesi che il 70% è dentro per droga e il 30% per furti. Degli italiani io ero uno dei pochi che aveva dei carichi grossi. Tra gli spacciatori ce n'erano 7 più grossi di me su 400 detenuti. 150 di questi poi non si capiva neanche perché erano in galera: gente che aveva venduto due canne all'amico o quello che avevano beccato con 10 grammi mentre andava al mare con la morosa, che poi se ne lava le mani...
SSIT: Che le carceri siano piene lo sapevamo, che strabordino a causa di leggi inique ce lo stai confermando con le tue percentuali. Ma com'è la vita in carcere? Intendo la quotidianità, come si vive in cella?
Le celle sono 7 metri quadrati per tre/ quattro persone. Tu stai nel tuo lettino, con le gambe incrociate a leggere il tuo libro a testa bassa – a me era capitato il letto di sotto, ma anche quello sopra non è che stava bene: i soffitti erano bassissimi. Di notte ogni tre ore ti vengono a svegliare con la torcia, per vedere se sei vivo, se sei evaso. Con la torcia led in faccia e ti devi muovere quando ti chiamano perché se no ti smuovono loro col manganello.
SSIT: Personalmente, dire che non ho una buona opinione delle forze dell'ordine è un pallido eufemismo. Tu che idea ti sei fatto di loro vivendoci così a stretto contatto?
È facile dire “devono morire tutti”. Alla fine ci sono anche brave persone li in mezzo, ne ho trovati pochi a dir la verità. Però gli abusi di potere ci sono, i gesti di sfida e di stizza ci sono da parte loro. Poi ti arrivano sempre a gruppi di 4 o 5, prelevano la gente così e magari la ammazzano di botte. Prendono quelli disperati, che tanto sanno che non hanno nessuno che può venirgli a chiedere conto. Anche perché la maggior parte di sti disperati una volta che le ha prese non dice niente, perché questi poi si vendicano: ti mettono in isolamento o ti fanno trasferire nelle carceri speciali e li davvero devono essere cazzi...
Anche questa volta siamo costretti ad interrompere il racconto di E. per motivi di spazio. Nel prossimo numero concluderemo la sua parabola, continuando a parlare del sistema carcerario italiano, delle sue ingiustizie e di come molto più di quanto si pensi è lasciato al caso o alla buona volontà dei pochissimi che hanno preso il lavoro della penitenziaria come una vera missione. Alla prossima puntata.
Ciò che molti grower non sanno è che la Santa Maria in origine era una vera varietà outdoor, ecco perché spesso mostra l’esuberanza e il vigore di crescita di un’erbaccia. Certi coltivatori giurano pure che la Santa Maria è una delle varietà di marijuana dalla crescita più rapida mai selezionate!
In Italia, di nuovo in fiera
La fiera IndicaSativa Trade, nuovo appuntamento italiano nel settore canapa, si è appena conclusa e Soft Secrets era presente con il suo team di giornalisti e redattori. La fiera si è svolta a Fermo, nelle Marche, da venerdì 7 giugno a domenica 9 giugno ed è stata voluta e messa in atto grazie alla passione di Bioteca Picena. di CBG
ultime merci direttamente sui montacarichi. Inoltre, va detto, gli organizzatori sono stati disponibilissimi sino a domenica sera a fiera chiusa tenuto conto che l’amministratore delegato della fiera era in stampelle con un piede ingessato!
Qualche piccolo difetto è però stato riscontrato anche a Fermo, ma siamo tutti fiduciosi negli organizzatori affinché possano far tesoro di questa prima e bellissima esperienza per migliorare le prossime, già attese, edizioni. Purtroppo Fermo rimane distante da tante infrastrutture comode per raggiungerla: gli aeroporti sono lontani e le ferrovie non arrivano sino a Fermo città, dove per di più la rete di trasporti locali fa pena. Il risultato è stato doverci scambiare strappi e passaggi tra visitatori business ed espositori anche se personalmente devo dire molti si sono rivelate ottime occasioni per scambiare due parole con altri professionisti.
Un altro dato da riportare è la scarsa pubblicità effettuata all’evento, che di sicuro non ha giovato alle presenze. L’anno prossimo sapranno fare sicuramente meglio. Per i professionisti quindi si può dire che è stata una buona fiera dove tutti hanno stretto diversi accordi commerciali e dove s’è potuto fare un sunto della situazione del mercato italiano: tantissimo grow, tanti semi ma soprattutto tantissimi nuovi growshop in tutta la penisola, segnale che sempre più imprenditori cominciano a credere nel nostro mercato.
Per i privati invece posso solo riportare pareri raccolti durante la mia attività di promozione svolta in fiera. Molti lamentavano la difficoltà a raggiungere il posto, anche in macchina, a causa della segnaletica comunale veramente scarsa e spesso in condizioni di degrado degne delle migliori periferie ita-
liane. Oltre a questo però i commenti erano tutti positivi, chi beveva birra alla canapa mentre mangiava pagnottelle fatte con farina di semi di canapa, insieme a chi ha avuto occasione di comprare oggetti che non avrebbe mai trovato se non all’estero. Ancora è piaciuta molto l’adesione dei forum di appassionati, tanto che molti visitatori si sono intrattenuti agli stand dei forum per prendere informazioni sui vari movimenti antipro presenti in Italia.
Devo anche segnalare la presenza dei guru di casa nostra, uno tra tutti l’Avvocato ufficiale dell’ASCIA Lorenzo Simonetti che in soli 30 anni condensa l’intelligenza di dieci veterani o ancora il noto Mefisto (organizzatore della Million Marijuana March). La fiera quindi nel complesso è andata bene sia per i privati sia per i professionisti, senza arresti né perquisizioni ingiustificate, nella normalità tanto agognata in un settore borderline come il cannabusiness. La fiera in realtà è andata alla grande, ma saranno le successive fiere (e il fatto che ci saranno altre edizioni) a decretarne il successo. Step by step verso un futuro più verde ed illuminato.
Gli espositori – una sessanttina, soprattutto divisi tra i settori grow e seeds – hanno fatto del loro meglio per una prima edizione di una fiera della quale in Italia sentivamo la mancanza da tanti anni. Come ha ricordato in più riprese l’editore di enjoint.info, era dal 2008 che mancava una fiera in Italia e IndicaSativa Trade si è presentata come il nuovo appuntamento italiano per i professionisti del settore. Tutti, o quasi, i più noti e grandi marchi del cannabusiness hanno deciso di investire in questo evento nuovo e perciò pieno di dubbi. Una fiera alla sua prima edizione, specialmente in paesi mediamente bigotti come l’Italia, difficilmente raduna molti visitatori, perciò chi ha voluto presenziare come espositore ha deciso di esserci dando così il via a (si spera) una serie di fortunati appuntamenti tutti italiani.
Oltre ai settori seeds e grow sono stati rappresentati anche i settori industriale ed alimentare, purtroppo in minoranza, ma in linea con le altre fiere europee. Solitamente le destinazioni d’utilizzo industriale ed alimentare sono rappresentate da associazioni o piccolissime imprese, fortunatamente in Italia pullulano le associazioni di canapicoltori come Ascia, Assocanapa (coordinamento nazionale canapicoltori), Canapuglia, Biocannabis per citare le prime che mi vengono in mente. Unica volta in una fiera – devo dire – in cui abbiamo assistito alla presenza di due forum di appassionati della Canapa e sto parlando di overgrow.it e di enjoint.info, segnale che qualcosa in Italia sta cambiando.
I visitatori nell’arco di tre giorni sono stati circa 2500 di cui un terzo accrediti di professionisti venuti per stringere relazioni commerciali in Italia. Per essere la prima edizione, in una città piccola, sono numeri coerenti e in linea con tutte le altre prime edizioni di fiere del settore. Gli organizzatori, a fiera conclusa, non hanno rilasciato dichiarazioni in quanto hanno voluto aspettare di raccogliere più feedback possibili da parte degli espositori e dei visitatori. Gli espositori sono rimasti molto soddisfatti, da mercoledì già erano pronti gli spazi espositivi con allaccio corrente e pareti mobili già montate. Il reparto logistico della fiera è stato molto celere e già giovedì mattina tutti i bancali riservati agli espositori erano negli spazi concordati,
insieme agli arredamenti richiesti e a tutti i servizi aggiunti per i professionisti. Un particolare nota di merito va fatta agli organizzatori per l’aver scelto un posto pulito che ancora profumava di nuovo e per aver scelto dei collaboratori più che validi.
Per tutti i visitatori professionisti era riservato un parcheggio sul tetto della fiera, accessibile solo previa presentazione di un pass per automezzi, così da permettere di scaricare le