Libro milton glaser 3

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MILTON GLASER STORIA E DESIGN

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MILTON GLASER STORIA E DESIGN

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Indice

8. Milton Glaser 19. Primi Lavori Pubblicitari 37. Collaborazioni 49. Lavori Personali 97. Ultimi Progetti

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Milton Glaser

Milton Glaser nacque il 26 giugno del 1929 a New York, da una famiglia di origini ungheresi; studiò arte prima nella sua città natale, alla Cooper Union e poi, si reca in Italia con una borsa di studio e precisamente all’Accademia di belle arti di Bologna, dove ha l’opportunità di studiare con il maestro Giorgio Morandi. Come graphic designer era cresciuto in un’era di passaggio tra il razionalismo, che non sposò mai completamente, anche se ne fu influenzato, e la decorazione. Durante la sua lunghissima carriera ha progettato e disegnato di tutto: poster, 8

marchi, copertine di libri e dischi, caratteri tipografici, quotidiani, arredi per ristoranti, oggetti per l’industria. È stato inarrestabile e molti dei suoi lavori sono diventati delle pietre miliari. È tuttora in attività, nonostante abbia superato gli ottant’anni. È sempre rimasto un artigiano, amante delle tecniche manuali, mentre il computer non lo ha mai amato “Non serve come strumento di pensiero, cristallizza un’idea troppo velocemente.”.

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È stato uno dei primi graphic artist, che non ha mai fatto differenza tra grafica e illustrazione: questo perché voleva essere sicuro che un’illustrazione non finisse nel contesto sbagliato, magari con scelte tipografiche inadatte. Ha usato il suo eclettismo come una firma, senza mai rinchiudersi in uno stile ben definito perché ha sempre creduto che lo stile fosse una cosa effimera, come le mode. Crede nell’importanza del disegno come atto creativo, come atto di ricerca e di scoperta, probabilmente come modo di entrare in contatto con la propria ispirazione: il disegnare non trasforma il graphic designer

in illustratore, ma lo rende migliore. “Sono affascinato dal fatto che gli attuali studi di neurobiologia suggeriscono che non può esistere alcuna realtà prima che il cervello la crei. Ciò che è più avvincente per me, circa l’atto del disegnare, è che diventi cosciente di quello che stai guardando solo attraverso il tentativo di disegnarlo”. Una galleria dei suoi lavori non può essere esaustiva, ma a seguire sono presentati alcuni dei più famosi: il poster per Bob Dylan in pieno stile psichedelico. Milton Glaser 1967 Bob Dilan manifesto

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Olivetti

Tornato in USA, nel 1954 fonda i Push Pin Studios[4] e occupa il ruolo di presidente (dirige lo studio con Seymour Chwast e Edward Sorel: agli Studios collaborano alcuni tra i più dotati grafici dell’epoca, provenienti dalla Cooper Union (Paul Davis, John Alcorn, James McMullan...).

ogni stile viene usato per la finalizzazione dei suoi progetti grafici, che spaziano dal manifesto ai logotipi, dalle cinghie per raccogliere libri, alle cover di album musicali, alle pubblicità varie e illustrazioni per riviste. Nel 1970 è autore di un celebre manifesto dell’azienda italiana Olivetti.

Push Pin Style[5] fu il titolo di una grande collettiva del 1970 che i componenti dello studio, con il supporto di Olivetti, realizzarono al Museo parigino del Louvre. L’opera di Glaser è sempre stata caratterizzata dall’immediatezza, originalità e da un’apparente semplicità: ogni mezzo e

Milton Glaser manifesto per la macchina da scrivere Valentina della Olivetti disegnarta da Ettore Sottas

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Valentine Olivetti manifesto, 1968

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Milton Glaser - Olivetti Lexikon 83 D.L. macchine per scrivere - 1977

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Milton Glaser Olivetti vintage

Milton Glaser Poster, Olivetti, 1976

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Milton Glaser 1992 manifesto per Quaderno, computer portatile prodotto dalla Olivetti

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Primi Lavori Pubblicitari

Nel 1983 fonda la WEMG, studio grafico specializzato nell’editoria: il suo apporto anche in questo campo è notevole, con lavori importanti per L’Espresso, The Washington Post, Fortune.

Fonda un suo proprio studio, il Milton Glaser, Inc, nel 1974: da lì in poi sviluppa ancor di più la sua già vasta mole di progetti, a partire dal design del New York Magazine, di cui era cofondatore: l’enorme pittura murale negli Edifici Federali (New Federal Office Building, 1974) a Indianapolis; il parco di divertimento Sesame Place in Pennsylvania: la grafica dei ristoranti al World Trade Center. Nel 1976 partecipa alla Biennale di Venezia nella collettiva, Autentico ma contraffatto, a cura di Pierluigi Cerri, insieme a Roman Cieslewicz, Paul Davis, Richard Hess e Tadanori Yokoo. 18

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La New York del 1976 non era una città sicura: sempre più cittadini emigravano dai quartieri più pericolosi per andare a vivere nei suburbs, lontano dall’atmosfera post-apocalittica che contagiava anche Manhattan. Per risollevare la reputazione della città, il Department of Commerce commissionò una campagna destinata ad entrare nella storia del turismo americano. Fu così che nacque il logo “I love NY”, che in un cuore e tre caratteri scritti in American Typewriter riassumeva un sentimento che sarebbe poi esploso.

Milton Glaser, l’autore di quel logo, mai si sarebbe aspettato un successo comunicativo di questa portata: un simbolo che dopo quarant’anni è ancora stampato sui souvenir negli aeroporti e sulle magliette dei turisti più ossessionati con l’America.

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sono stati oggetto di mostre personali e ammirati come fossero quadri, anche se Glaser ne ha sempre rimarcato la differenza. «Il design e l’arte hanno obiettivi diversi», ha detto recentemente ad AnOther. Gli ambiti si distinguono per la premeditazione: nel design è condizione necessaria, mentre nell’arte è il più delle volte evitata, subordinata.

Nella sua lunga carriera di designer, Milton Glaser ha realizzato tante collaborazioni con aziende importanti, dalla Olivetti alla Trump Organization. Nei primi anni 2000 conobbe Trump quando era “solo” un magnate americano alle prese con una nuova linea di vodka. Fu uno scambio rapido, lui gli fece uno sketch e ricevette il compenso, e il risultato fu un cuboide d’oro con una grande T al centro. Ma i suoi lavori più famosi sono stati i poster pubblicitari: linee elementari riempite di colori accesi, di forte impatto sul pubblico, che si trattasse di elementi d’arredo o di icone pop. Al MoMA e al Centre Pompidou

Milton Glaser Julliard School Poster

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Milton Glaser The Gallery at Lincoln centre

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Milton Glaser poster per un concerto di Mahalia Jackson ala Philarmonic Hall del Lincon Center, New York

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XIV Olympic winter games Manifesto, 1985

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Milton Glaser 1978 manifesto per il 25°Summer of Jazz per il Newport Jazz Festival, New York

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Milton Glaser manifesto per il “regno di carnivori�allo Zoo di Philadelfia

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Hugh Masakela Manifesto, 1972

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Milton Glaser 1979 manifesto Sony Tape Full Color Sound per la Sony

Milton Glaser manifesto per il “Mostly Mozaert Festival� organizzato al Lincon Cwenter di New Yor

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Milton Glaser manifesto per pubblicizzare i nastri magnetici della Sony

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Milton Glaser manifesto “ Cecin n’est èpas un pipe de Vincent”” per il centenario di Van Gogh

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Milton Glaser manifesto turistico per Rimini

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Milton Glaser 1966 2° versione manifesto per il concerto di Hough Masekela al Philarmonic Hall del Lincon Center

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Milton Glaser 1972 manifesto per il festival Jazz tenutosi al Russian Tea room di Nedwport

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Collaborazioni

Eppure nei suoi lavori il confine è labile. L’intenzione lo ha portato a creare rappresentazioni immaginifiche che sembrano nate da sé, figure nelle quali il pretesto del prodotto si scorge solo dopo la contemplazione delle forme e degli accostamenti cromatici. In un’intervista di due anni fa per It’s Nice That Glaser ha affermato l’importanza della buona fede del designer: dopotutto, anche se si tratta di pubblicità, le intenzioni di chi disegna contano. «I graphic designer sperano che i propri lavori abbiano un qualche impatto futuro», ha spiegato commentando il successo del logo per New York, una sorpresa positiva tra le 36

sue tante commissioni iconiche ma contingenti. «Se avessi fatto qualcosa di così popolare promuovendo l’uso delle sigarette, non ne sarei contento. Dal punto di vista umano, sarebbe stato un disastro».

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La casa editrice Abrams ha raccolto quasi tutte le illustrazioni di Glaser in un ricco volume che esplora il suo lavoro dal 1965 al 2017. Tra le pagine del libro, dal titolo Milton Glaser Posters, si fondono le intenzioni commerciali del design e lo stile di un’artista epocale. Glaser ha prodotto più di 450 poster nel corso della sua carriera, tra i quali uno dei più celebri è forse il tributo a Bob Dylan nel 1966. La tavola – il profilo nero del cantante su sfondo bianco, con onde psichedeliche di colore al posto dei capelli – è ispirata all’autoritratto bicromatico di Marcel Duchamp, che Glaser ammirava per la schietta divisione dello

spazio priva di ogni complicazione. «L’ho reso più Dylan usando l’Art Nouveau. Aveva tutte le caratteristiche che volevo avesse Dylan: complessità, semplicità, potenza», ha raccontato a proposito di quella creazione. Il designer lo progettò nel 1966 sotto la direzione grafica dei Push Pin Studios, il consorzio di grafici e illustratori che fondò insieme a Seymour Chwast, Reynold Ruffins e Edward Sorel. Il collettivo riuniva stili diversi, muovendosi tra sperimentazione e tradizione, ma sempre contrapponendo all’impronta tipografica (di moda in Germania) la pura illustrazione figurativa, spesso venata d’ironia. 38

dal famoso naso adunco. Dal Rinascimento Glaser ha assorbito la bidimensionalità statica utile al design, presente in molti suoi lavori che giocano sull’impatto grafico immediato.

Tra i luoghi di Glaser c’è sempre l’Italia, non solo per il sodalizio storico con Olivetti, ma anche per le contaminazioni artistiche ai tempi della sua borsa di studio a Bologna. Qui, all’Accademia delle belle arti, ha incontrato Giorgio Morandi, dando vita a un rapporto che verrà documentato dalla Galleria d’Arte Moderna della città nel 1989. È stato probabilmente il maestro bolognese a fargli conoscere Piero della Francesca, il pittore rinascimentale da Glaser ammirato per l’intelligenza sublime. Nel suo studio, appesa alle pareti gialle, c’è una riproduzione divisa in quattro parti del ritratto di Federico da Montefeltro, il duca 39


Uno dei suoi poster più efficaci è la pubblicità di una linea di cuscini a forma di pasta, progettati dal marchio Heller. Nell’immagine ci sono due colori, un titolo e una proiezione ortogonale di quello che sembra un raviolo, smentita dalla dimensione indicata sul lato, 60 cm. L’illusione è seconda solo al sarcasmo, a volte la chiave dell’intera interpretazione dei suoi poster. Lo stesso accade nel gioco di parole in Art is… Whatever, una pubblicità per la School of Visual Arts di New York. Secondo la spiegazione che ne fornisce, ogni oggetto – se posto nel giusto contesto – può diventare arte, ma solo se osservato da qualcuno che vi proietti sopra

una qualche interpretazione. Così ha fatto Glaser per tutta la vita, interpretando gli oggetti da pubblicizzare con la sua mentalità da disegnatore, a volte schematica, altre volte onirica, quasi sempre ironica.

Milton Glaser manifesto per pubblicizzare l’ Allan Heller Pasta Furniture

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Glaser ha rinnovato il progetto grafico di numerose riviste, tra cui Paris Match, Cur, New West, L’Espresso, L’Europeo, Alma, The Washington Post, La Vanguardia, Fortune, The Nation, Jardin des Modes, Village Voice e Esquire. Nel 1974 gli è stato affidato l’incarico di disegnare un murale di circa 183 metri sull’edificio del Nuovo Ufficio Federale di Indianapolis. Riguardo agli incarichi di grafica architettonica, sono degni di essere menzionati i programmi di decorazione dei ristoranti e la progettazione del Ponte di Osservazione delle due Torri Gemelle del World Trade

Center di New York. Glaser ha progettato inoltre gli interni e la struttura architettonica del Childcraft Store di New York e gli interni del Sesame Place, un parco-giochi pedagogico in Pennsylvania e Texas (1981-1983). Ha riprogettato la grafica di una delle principali catene di supermercati americani, la Grand Union Company e ha realizzato tra il 1983 e il 1985 il design grafico del Golden Tulip Barbizon Hotel.

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Per incarico dalla World Health Organization, Glaser ha disegnato nel 1987 il simbolo e i poster internazionali per la lotta contro l’AIDS. È stato designer scenografico per la Mostra Internazionale della Triennale di Milano svoltasi negli anni 1987 e 1988, designer grafico e presidente del comitato di selezione per lo sviluppo del Rainbow Room per il Rockfeller Center Management Corporation. Milton Glaser ha esposto il suo lavoro artistico e grafico in ogni parte del mondo; sono da ricordare le esposizioni al Museum of Modern Art di New York (1975), al Cen-

tre Georges Pompidou di Parigi (1977), al Lincoln Center Gallery di New York (1981). Nel 1989 a Glaser sono state dedicate due mostre importanti in Italia: una personale di manifesti a Vicenza e una mostra dal titolo Giorgio Morandi/Milton Glaser alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna. Nel 1991 è stato incaricato dal Governo italiano di preparare una mostra in occasione del 500° anniversario della morte di Piero della Francesca. La mostra è stata presentata ad Arezzo e successivamente esposta a Milano e a New York 43


Campari Manifesto, 1992

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Numerosissimi sono i lavori di Glaser nel campo della pubblicità affidatigli da grandi aziende di tutto il mondo: per limitarsi all’Italia, gli hanno affidato la realizzazione di manifesti pubblicitari l’Olivetti e la Campari. Sempre in Italia Glaser ha realizzato manifesti nel 1980 per la Biennale di Venezia e nel 2000 per il Carnevale della stessa città. Glaser inoltre è l’inventore del marchio Krizia. Nel 1992 Glaser ha realizzato un lavoro composto da 80 pastelli originali sulla vita di Claude Monet, presentato a Milano dalla galleria Nuages e successivamente in Giap-

pone. Sempre in Giappone, nel 1997, il Suntory Museum ha allestito una grande retrospettiva del Push Pin Studios.

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Su Milton Glaser e sul suo lavoro artistico esistono molte pubblicazioni e articoli. Alcune sue opere fanno già parte di collezioni permanenti, tra cui quelle del Museum of Modern Art di New York, dell’Israel Museum di Gerusalemme, dello Smithsonian Institute di Washington e del National Archive di New York. Nel 2009 Milton glaser viene insignito dal presidente degli USA Barrak Obama della National Medal of Art. “I Love NY” è forse il logo più famoso del mondo associato a una città: a New York lo si può vedere praticamente dappertutto, è stato copiato da moltissime altre città e

celebrato per la sua essenzialità, efficacia e universalità. Ed è anche esposto al MoMA, uno dei più importanti musei di arte moderna al mondo. Fu inventato su un taxi nel 1977 da Milton Glaser, uno dei grafici più famosi di sempre, per promuovere il turismo a New York, che negli anni Settanta stava attraversando un periodo difficile, caratterizzato da una diffusa criminalità.

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Oggi i diritti del logo appartengono all’Empire State Development Corporation, un’organizzazione governativa che promuove lo sviluppo economico nello stato di New York, e genera oltre 1 milione di dollari di profitti annui. Glaser lo disegnò praticamente gratis, ricevendo un compenso di appena 2000 dollari: meno di quanto spese per produrre i modelli dimostrativi.

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Lavori Personali

In una recente intervista al New York Times, Glaser ha detto che vorrebbe che la gente dimenticasse il logo “I Love NY”, perché intanto ha fatto molte altre cose. Già prima del 1977, infatti, Glaser era molto famoso: nel 1967 aveva realizzato quello che sarebbe diventato il suo secondo lavoro più famoso, per la copertina originale del disco Greatest Hits di Bob Dylan, che consisteva in una silhouette del cantante con i capelli colorati. La copertina era in parte una citazione di un famoso autoritratto di Marcel Duchamp, influenzata dai temi psichedelici molto diffusi negli anni Sessanta. Nel 1968, poi, aveva fondato insieme 48

al giornalista Clay Felker il New York Magazine, una delle più famose e apprezzate riviste americane, che diventò un modello in tutto il mondo per come trattava i temi legati alla città, e per le sue attenzioni alle esigenze e ai gusti dei lettori.

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La Guardia Flowers Manifesto, 1995

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I Love NY Catskills Manifesto, 1994

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Matisse and His Model Monotipi, 1999

The Night of the Snow Leopard Manifesto, 1983

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Matisse and His Model Monotipi, 1999

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Che Guevara for PlayBoy Acquerello, 1978

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Milton Glaser Es eos adit aliquis es asim Manifesto

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Milton Glaser Es eos adit aliquis es asim Manifesto

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Milton Glaser manifesto per il concerto di Joao Carlos Martin per un concerto di musiche di Bach

Milton Glaser manifesto del Metropolitan Opera per il 200 anni di Mozart

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Milton Glaser Conemquae inci bea se verspere asperch illandis Manifesto

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Milton Glaser illustrazione per J’irai cracher sur vos tombesâ€? sputerò sulle vostre tombe) di Boris Vian

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The Shadowlight Theatre Manifesto, 1969

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Milton Glaser Es eos adit aliquis es asim Manifesto

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Milton Glaser Es eos adit aliquis es asim Manifesto

Milton Glaser Es eos adit aliquis es asim Manifesto

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Milton Glaser Es eos adit aliquis es asim Manifesto

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Milton Glaser Es eos adit aliquis es asim Manifesto

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Albert King Manifesto, 1976

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For the love of Louis Manifesto, 1988

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Milton Glaser Arum conemolum aliqui Manifesto

Milton Glaser Arum conemolum aliqui Manifesto

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Milton Glaser 1967 manifesto From Poppy With Love

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Milton Glaser Tomato: something unusual is going here Manifesto, 1978

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Milton Glaser Es eos adit aliquis es asim Manifesto

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Milton Glaser Antem que quat et et, sapisque Manifesto

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Milton Glaser Arum conemolum aliqui Manifesto

Milton Glaser Arum conemolum aliqui Manifesto

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Milton Glaser 1986 manifesto per il 1°congesso di violoncello tenutosi all’ Indiana School of Music di Bloowington

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Milton Glaser manifesto per il II° Julliard per pianistki della scuola di mususica a New York

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Milton Glaser Antem que quat et et, sapisque Manifesto

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Milton Glaser copertina per una pubblicazione su Elvis Presley pubbblicato dalla Mac Graw Hill Boook Company

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Milton Glaser Arum conemolum aliqui Manifesto

Milton Glaser Arum conemolum aliqui Manifesto

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Milton Glaser Antem que quat et et, sapisque Manifesto

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Milton Glaser Inferno illustrazione per la Divina Commedia di Dante per la galleria Nugade di Milano

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Ultimi Progetti

Glaser nacque a New York nel 1929, da genitori ungheresi ed ebrei. Crebbe in un condominio chiamato United Workers Cooperative Colony, e conosciuto come Coops: una specie di roccaforte comunista, dove gli anziani insegnavano la politica ai giovani in Yiddish. L’idea e la percezione che Glaser si costruì di New York negli anni successivi ebbe molto a che fare con quell’ambiente: «senza essere troppo esibizionisti, il carattere di New York è così intrinsecamente ebraico. Quell’attitudine verso la vita, verso il cibo, verso la musica, verso la ricerca intellettuale». Alla United Workers Cooperative Colony Glaser capì di 96

essere appassionato di disegno, e di poterci guadagnare: i suoi ritratti di donne nude erano molto richiesti dagli altri ragazzi. Si iscrisse alla High School of Music & Art e si laureò all’università Cooper Union, per poi fondare i Push Pin Studios con i suoi compagni di corso Seymour Chwast e Edward Sorel.

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Lo stile di Glaser si discostava dal realismo che caratterizzava le illustrazioni e la grafica degli anni Cinquanta, e intorno alla fine degli anni Sessanta, soprattutto dopo il ritratto di Dylan, divenne molto famoso e richiesto. Nel 1957 Glaser aveva sposato Shirley Girton, una fotografa sua compagna di corso alla Cooper Union. Avevano trovato casa vicino a St. Marks Place, nell’East Village di Manhattan, una zona abbastanza economica dove vivevano molti artisti con pochi soldi. Verso la fine degli anni Sessanta però si spostarono sulla West 67th Street, nell’Upper West Side, perché il Village non

era più sicuro: in quegli anni la criminalità per le strade di New York stava aumentando molto, e le rapine e gli omicidi erano molto frequenti. Anche nella nuova zona, però, le cose non erano molto tranquille: «Dico questa cosa, e la gente non ci può credere. Eravamo seduti a cena sulla 67esima strada e io proponevo di uscire a fare una passeggiata, e Shirley diceva: “Ho paura. Ci sono state troppe rapine nel quartiere”. Le persone avevano letteralmente paura di camminare per le strade». Ciononostante, Glaser continuava ad amare New York: «Non mi sono mai separato dalla città. Penso di essere la città. Sono 98

quello che è la città. Questa è la mia città, la mia vita, la mia visione». Fu in questo contesto di declino che l’ufficio del turismo dello stato di New York lanciò una vasta campagna pubblicitaria per rivalutare la città, spendendo 4 milioni di dollari. Prima lo slogan “I love New York” venne trasformato in un jingle da un compositore del Bronx di nome Steve Karmen, poi fu chiesto a Glaser di tirarne fuori un logo. A Glaser lo slogan piaceva perché non era un tentativo di vendere qualcosa, ma una specie di giuramento, o di dichiarazione di intenti. Glaser provò a fare stare la scritta per esteso dentro due losanghe, e lo propo-

se così. Un giorno, mentre stava andando in taxi al suo studio, ebbe però un’altra idea, e fece uno schizzò con un pennarello rosso, riducendo il logo a soli quattro caratteri. «È un po’ complicato. “I” è una parola. “LOVE” è il simbolo di un’emozione. “NY” sono le iniziali di un posto.

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Quindi ci sono tre trasformazioni. Devi usare un po’ il cervello per tradurlo, anche se una volta che lo fai, è ovvio, e non c’è nessuno che non riesca a capirlo. Ma l’attività del cervello è in parte responsabile per la sua resistenza nel tempo». Al New York Times, Glase ha spiegato: «Sapevo che quello che stavamo comunicando era qualcosa che teneva insieme le persone, che stabiliva per loro un modo di comunicare, che in molti contesti non è così facile trovare». Dopo gli attacchi alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, Glaser ridisegnò il logo, aggiungendo una bruciatura al cuore e le

parole “More Than Ever” (più che mai) dopo NY.

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Milton Glaser Antem que quat et et, sapisque Manifesto

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Milton Glaser Evellore ratam, sentis audigni milibea Manifesto

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Milton Glaser Arum conemolum aliqui Manifesto

Milton Glaser Arum conemolum aliqui Manifesto

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Milton Glaser Evellore ratam, sentis audigni milibea Manifesto

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Milton Glaser Evellore ratam, sentis audigni milibea Manifesto

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Milton Glaser On repernam iurit Manifesto

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Milton Glaser Arum conemolum aliqui Manifesto

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Milton Glaser Arum conemolum aliqui Manifesto

Milton Glaser Arum conemolum aliqui Manifesto

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