tesi di ricerca

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Abstract

Cognome e nome Ceradini Sara Corso di laurea Design della Moda Sessione di laurea Dicembre 2015

Titolo tesi o elaborato finale Magazzino 7 Relatore (tesi di laurea) prof. Gabriele Monti Supervisore (elaborato finale) Correlatore Saul Marcadent

Abstract in italiano Testo: Magazzino 7 nasce a seguito di una riflessione personale sugli interessi e le capacità maturate nel corso di questi anni universitari. La proposta è di creare una rivista che sia interamente curata dagli studenti del corso di studi di Design della Moda all’interno dell’Università IUAV di Venezia. Il progetto prende ispirazione da alcune riviste universitarie già esistenti che, con aspetti e metodi differenti, mirano a raccontare l’ambiente di formazione della disciplina e le persone che ne prendono parte. Si è posta attenzione a progetti editoriali giovani e a riviste già navigate per ricavarne gli elementi essenziali, le componenti che fossero il punto di partenza di una nuova progettazione: la periodicità, la struttura interna, il formato, i contenuti, l’aspetto grafico, e il target a cui ci si rivolge. La rivista si propone di includere la partecipazione di studenti ed ex-studenti nella gestione di una vera e propria redazione, al fine di promuovere, mostrare e creare collegamenti tra lavori, progetti, illustrazioni, fotografie, mostre e interessi di chi fa parte dell’ambiente formativo. Fulcro di questa ricerca è la comunicazione, elemento che ha sempre ricoperto un ruolo centrale nel corso di questi anni accademici. La tesi si articola in due parti: una teorica di analisi e una pratica di tipo editoriale. Attraverso uno schema fisso che mira a evidenziare alcuni dati specifici (dati tecnici, contesto storicoculturale di nascita, contenuto, intento e direzione artistica/canale di comunicazione), nella parte teorica vengono analizzate e messe a confronto sei riviste di moda. Attraverso interviste agli editori e direttori artistici, articoli di giornale, antologie pubblicate dalle riviste stesse, si sono potute studiare le particolarità che differenziano le une dalle altre, portando alla luce quello che di più interessante potesse costituire una premessa alla successiva creazione della rivista. In seguito un breve testo descrive quattro progetti paralleli a questo: quattro riviste curate da studenti di diverse università di moda e arte tutte con il comune intento di mettere in mostra i loro lavori. La seconda e ultima parte si propone come collegamento diretto e conseguente conclusione dell’analisi sopracitata: il menabò della rivista in sé. Il progetto consiste nella proposta grafico-editoriale del primo numero, particolarmente significativo perché esplicita in un manifesto le intenzioni del progetto stesso, le motivazioni che hanno portato alla sua realizzazione e le caratteristiche che gli hanno dato forma.


Abstract in inglese Testo: The idea for Magazzino 7 sprang from personal considerations upon the interests and abilities developed during the course of study. The project aims at designing a magazine entirely edited by students of the Fashion Design course at IUAV University in Venice. The proposal was inspired by existing university magazines, which, through the use of different methods, aim at portraying the learning environment and the people involved in it. The analysis centres on both young editorial projects and well-established magazines, to outline the essential components for the design of a new proposal: periodicity, internal structure, format, contents, graphic layout, and target readers. The magazine intends to include students and alumni as editorial staff, with the purpose of promoting, displaying and establish connections among different works, projects, illustrations, photographs, expositions and interests of those who operate in the learning environment. The cornerstone of this research is communication, which plays always a central role during the course of study. The thesis will be composed of two main parts: a theoretical analysis and an editorial practice. The object of the former is the analysis and comparison of six fashion magazines, with the intent to highlight specific data –technical data, the original cultural and historical context, the content, the artistic aim and management, and the communication channel– through the use of a fixed schema. The interviews with editors and art directors, and the analysis of articles and collections published by the magazines allowed a comparison between the different publications, outlining the elements which characterise each one of them, in order to lay the foundation for the creation of Magazzino 7. Lastly, a brief text describes four projects which run parallel to this one: four fashion magazines edited by students of different art and fashion universities, all of which aim at displaying their works. The second part of the thesis is directly connected to the first and it represents the natural conclusion of the aforementioned analysis: the magazine dummy. The project consists of a graphic and editorial proposal for the first issue, particularly significant for the presence of a manifesto which outlines the aim of the project itself, the reasons that brought to its creation and the characteristics that shaped it.



MAGAZZINO 7 un progetto di Sara Ceradini


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letter from the editor pag. 9

a magazine pag. 15 acne paper pag. 25 hunter fashion magazine pag. 35 purple fashion pag. 45 six pag. 55 vestoj pag. 65

magazine a confronto pag. 75

students’ magazines pag. 81

conclusione pag. 103

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fashion magazines


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LETTER F R O M T H E EDITOR


Sara Ceradini

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Lo sviluppo di questa tesi nasce da una riflessione personale sull’esperienza di tre anni in questa Università. Quando mi sono iscritta a Design della Moda pensavo che la progettazione di abiti sarebbe stata non solo il mio futuro ma anche il modo migliore per esprimere me stessa; anzi, l’unico che si avvicinasse al mio essere, al mio carattere, alla mia creatività. Iniziavo un percorso, pronta e positiva, per andare incontro a quello che volevo veramente e che ora potevo finalmente fare, sicura che il design industriale, precedente corso di studi, non facesse per me. Tre anni dopo, al contrario di quello che pensavo, per la tesi di laurea scelgo di portare una progettazione che non gravita attorno all’elemento abito. Decido di portare i progetti degli altri. Come? In un magazine. In tutti questi anni ogni progetto, ogni laboratorio, ogni collezione, ha suscitato in me un grande interesse e un grande fascino, ed è stato per me fonte di arricchimento culturale, formativo ed emozionale; mi ha permesso, anche, di cambiare idea rispetto a quelle che inizialmente pensavo fossero le mie aspirazioni. La scoperta è stata accorgermi di quanto fossi più interessata a tutto quello che, nella moda, era comunicazione: uno shooting fotografico, la scelta di immagini per raccontare un progetto, l’editing di un book, le ore passate su Photoshop; questo non mi ha mai dato la paura e la frustrazione che a volte ho provato nel trovarmi di fronte ad un foglio bianco e a una matita quando dovevo disegnare una nuova collezione. Ho capito che il modo in cui viene raccontata una storia mi interessa ancora di più che la storia stessa. Mi pento del percorso intrapreso? No! Se tornassi indietro, non cambierei strada, rifarei esattamente le stesse scelte. Studiare moda mi ha permesso di capire quanto fosse stimolante immaginare un modo per raccontare e comunicare progetti. Ho coltivato un grande interesse per diverse riviste di moda e non; ciò mi ha portato a essere sempre più precisa e attenta alla fase finale di un progetto, curando i dettagli che costituiscono la presentazione piuttosto che la costruzione dell’abito stesso. La fotografia, il colore, la carta, un font, attirano la mia attenzione più della forma di una manica, il revers di una giacca o il taglio di una camicia. Questo è il mio progetto finale: un’analisi di alcune riviste di moda e magazine creati all’interno di Università, sino alla progettazione e realizzazione di una rivista che raccoglie lavori, esperienze e progetti di studenti e persone che ruotano attorno al mio mondo accademico. Per comunicarlo e raccontarlo con uno sguardo intimo, dal suo interno.


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13 menabò di Magazzino 7 screenshot da computer


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F A S H I O N M A G A ZINES


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Di seguito si procede all’analisi di sei fashion magazine attraverso un modulo di quattro filtri: origine/contesto, contenuto, intento, direzione artistica. Le schede mirano alla comprensione degli elementi caratterizzanti di queste riviste come riferimento per la successiva progettazione di Magazzino 7. Successivamente un breve testo mette in comparazione i dati trattati per evidenziare differenze e affinità degli editoriali esaminati.

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A M A N

A G Z I E


A - M A G A Z I N E

a lato: Dan Thawley, editor-in-chief di A Magazine curated by

art-director Madeleine Wermenbol casa editrice A Publisher BVBA prima pubblicazione N째 A Featuring Dirk Van Saene, 2001 Antwerp, Belgium

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uscita annuale formato 23x29 cm direttore Dirk Van Den Eynden editor-in-chief Dan Thawley


18 tutte le copertine di A magazine curated by. dall’alto in basso: A magazine curated by Delfina Delettrez, n° 14, 2015 A magazine curated by Haider Ackermann, n° 3, 2005 A magazine curated by Martine Sitbon, n° 5, 2007 A magazine curated by Jun Takahashi, n° 4, 2006 A magazine curated by Kris Van Assche, n° 7, 2008 A magazine curated by Iris van Herpen, n° 13, 2014 A magazine curated by Yohji Yamamoto, n° 2, 2005


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dall’alto in basso: A magazine curated by Rodarte, n° 11, 2011 A magazine curated by Maison Martin Margiela, n° 1, 2004 A magazine curated by Proenza Schouler, n° 9, 2009 A magazine curated by Veronique Branquinho, n° 6, 2007 A magazine curated by Giambattista Valli, n° 10, 2010 A magazine curated by Stephen Jones, n° 12, 2013 A magazine curated by Riccardo Tisci, n° 8, 2008


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A magazine nasce come il primo vero fashion magazine belga nel 2001 per il Landed Geland fashion festival di Anversa, sotto la direzione di Walter Van Beirendonck e la direzione artistica di Paul Boudens nell’edizione di Dirk Van Saene. In tutti questi anni, la rivista è riuscita a guadagnare una critica internazionale molto positiva grazie al suo sguardo intimo, riflesso delle più grandi menti creative del nostro tempo. Se pur belga, la redazione di questo magazine può dirsi internazionale, essendo basata su persone provenienti da diversi paesi. Il fatto stesso che ogni guest curator cambi a ogni uscita, e venga scelto soprattutto sulla base di una diversità di provenienza, formazione, linguaggio ed estetica, indica come la rivista voglia effettivamente rinnovarsi celebrando la diversità, più che esprimere una provenienza e un’appartenenza a un unico contesto1.

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In ogni edizione un designer, un gruppo o una casa di moda viene invitato a curare l’edizione per esplorare il suo universo, creando contenuti innovativi e personalizzati. Uno sguardo intimo in ogni uscita per parlare dell’etica e dei valori culturali che ruotano attorno a quel creativo: le persone, le passioni, le storie, il suo fascino, la sua unicità e autenticità. Il processo con cui viene scelto il designer che prenderà parte all’edizione è abbastanza complicato, spiega l’editor in chief Dan Thawley: essendo ogni uscita la celebrazione del lavoro di un designer, spesso la scelta di questo sta nella capacità di catturare l’esatto momento della sua carriera al fine di poter fare qualcosa di commemorativo, qualcosa per ricordarlo in quel preciso istante2.


21 A magazine curated by Riccardo Tisci, n째 8, 2008


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OLIVIERTHEYSKENSYOHJIYA MAMOTOMAISONMARTIN M A R G I E L A I R I S VA N H E R P E N K R I S VA N A S S C H E G I A M B AT T I STAVALLIDIRKVANSAENERIC CARDOTISCIRODARTEJUNTA KAHASHIUNDERCOVERBER NHARDWILLHELMMARTINESI TBONHAIDERACKERMANNVE RONIQUEBRANQUINHOHUSSEIN C H A L AYA N P R O E N Z A S C H O U LERSTEPHENJONESDELFI NADELETTREZVIKTOR&ROLF


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Seguendo il ritmo delle stagioni del fashion system, ogni uscita prendeva inizialmente il nome di una lettera dell’alfabeto, fino all’edizione del 2004 di Maison Martin Margiela, che dà il via agli A magazine curated by. Quello che, anche solo a livello grafico, rende la rivista così evidentemente diversa dalle altre, è il fatto di essere curata da un designer e quindi progettata al suo interno e nell’aspetto esteriore allo stesso modo in cui verrebbe progettata una nuova collezione. Appare così nel suo complesso come un moodboard di ispirazione: un insieme di immagini, parole, progetti che vanno a ricreare l’immaginario, il mondo di quel designer. Nello specifico, la vera e propria progettazione di ogni pagina del magazine, spiega Thawley in un’intervista, dipende da quanto il designer sia disposto ad ascoltare le richieste del team editoriale e del direttore artistico Madeleine Wermenbol2.

“...the designer has the final say on everything and can change things at the last minute sometimes“

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Dan Thawley spiega come quello che cerca sia sempre qualcuno che vive e respira qualcosa di veramente personale, che sia curioso come lui sul mondo e che usi la moda per esprimerlo2. È importante trovare qualcuno che abbia qualcosa da dire e il cui nome suoni come molto più che un marchio di moda. Bisogna trovare una naturale affinità con il curatore, un mutuo rispetto tra i lavori dei designer e il magazine affinchè questo possa avere successo, spiega ancora Thawley3. L’intento, espresso da Gerdi Esch nel manifesto della prima uscita, è quello di creare un fashion magazine che sia fresco e puro, un ritorno alla poetica che sia contro l’omogeneità e celebri l’individualità e la diversità, che rispetti e ami il design e i designer e che possa condividerne i parametri come passione, emozione, fascino, spontaneità, abilità e autenticità4.


curated by STEPHEN JONES curated by VERONIQUE BRANQUINHO

24 curated by RODARTE

curated by MAISON MARTIN MARGIELA


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A C P E

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A C N E - P A P E R

a lato: Thomas Persson, editor-in-chief/creative director di Acne Paper

final print production Elinor Linde Klingstrรถm editore Mikael Schiller prima pubblicazione 2005 ultima pubblicazione 2014

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uscita semestrale formato ISO A3 fondatore / editor-at-large Jonny Johansson editor-in-chief / creative director Thomas Persson


copertina n° 3, “Education”, Autumn 2006

copertina n° 9, “Art/Spirituality”, Winter 2009/10

copertina n° 1, “The City”, Autumn 2005

copertina n° 13, “The Body”, Summer 2012

copertina n° 14, “Manhattan”, Summer 2013

copertina n° 7 ,“Tradition”, Winter 2008/09

copertina n° 15, “The Actress”, 2014

copertina n° 11, “The Artist’s Studio”, Winter 2010/11

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copertina n° 5, “Elegance”, Autumn 2007


29 colophon Acne Paper, n° 13, “The Body”, Summer 2012


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Acne Paper esce per la prima volta nell’agosto 2005 a Stoccolma. Il creative director Thomas Persson racconta in un’intervista per Interview magazine come semplicemente un giorno gli venne chiesto da Jonny Johansson di mettersi alla scrivania e fare quello che pensava sarebbe stato un gran magazine, nell’assoluta libertà5 . E così, in mezzo a una moltitudine di riviste di moda, già da molti anni icone del glamour e delle tendenze del fashion system, nasce una rivista con uno sguardo e un look totalmente differente, profondamente scandinavo (sia per l’aspetto che per l’approccio) caratterizzata dalla ricerca di purezza, sincerità e austerità. Acne Paper sarebbe diventata ben presto invidia delle piu famose riviste patinate, afferma Cathy Horin per il New York Times6.

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Ogni edizione ruota attorno a un’idea che emerge attraverso diversi tipi di processi creativi: filosofia, arte, scienza, giornalismo e altre discipline accademiche diventano un canale per parlare di un unico tema centrale, analizzandolo nella sua storicità o nella sua contemporaneità. Interviste, prose, poesie e saggi, insieme ad articoli di moda, fotografia e opere d’arte, sono la formula con cui Acne Paper comunica all’industria creativa7.


31 pagine da Acne Paper, n° 14, “The Actress”, 2014


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T h e C i t y A r t / S p i r i t u a l i t y E s c a p i s m P l a y f u l n e s s E l e g a n c e T h e a r t i s t ’ s S t u d i o T r a d i t i o n E r o t i c i s m E d u c a t i o n L e g e n d a r y P a r t i e s E x o t i c i s m Y o u t h T h e B o d y M a n h a t t a n T h e A c t r e s s


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“When Jonny Johansson, the founder and creative director of Acne, and I decided to launch the magazine, our plan was to bring out a publication that weaved together people, imagery, history, newness, and the pleasures of inter-generational exchange and learning.”

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Con il suo grande formato ISO A3, un ritratto diverso in ogni copertina e il vistoso titolo in basso, Acne Paper si differenzia dagli altri magazine portando con sè qualcosa di estemporaneo: la sua grafica, come il contenuto, è tra il nostalgico e il moderno. Il suo creative director, Thomas Persson, che ha lavorato anche alle campagne pubblicitarie di Giorgio Armani, a due libri fotografici di Snowdon e a diversi cataloghi per Hermés, spiega come una delle caratteristiche più fondamentali di Acne Paper sia quella di non contenere pubblicità: questo, nonostante vada contro senso, crea ancora più curiosità attorno ad Acne nel lettore5.

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L’ispirazione di Jonny Johannson per Acne Paper venne dalla factory di Andy Warhol: una fucina di diverse discipline artistiche. Allo stesso modo, facendo parte di un collettivo che già operava nel campo della moda, dell’interior design e della comunicazione, la creazione di un magazine in quel momento sembrava come la cosa più naturale da fare. Sicuramente i metodi di comunicazione del marchio svedese hanno sempre attirato l’attenzione per la loro diversità, discostandosi dal tradizionale advertising delle più note case di moda. Tuttavia Acne Paper non ha niente a che vedere con la pubblicità. Nonostante richiami sicuramente attenzione attorno al fashion brand, Thomas Persson spiega come la scelta di usare così poco del brand all’interno della rivista sia un modo per dissuadere il lettore dall’idea che il magazine sia un catalogo, e di avvicinarlo invece più al fashion concept dell’azienda8.


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35 pagine da, Acne Paper, n° 14 “The Actress Issue”, 2014


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H T F I M Z

U E A S O A G I N

N R H N A E


HUNTER-FASHION-MAGAZINE

a lato: Tommaso Garner, art director di Hunter Fashion Magazine

art director Tommaso Garner casa editrice Lafine snc stampa Stampa Sud prima pubblicazione 2011

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uscita semestrale formato 23x30,5 cm editor-in-chief Fabrizio Ferrini senior editor Giuseppe Magistro creative director Antonio Moltoni


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copertine di Hunter Fashion Magazine, nella pagina accanto: n° 18, spring/summer 2011 in questa pagina, dall’alto in basso: n° 22, spring 2013 n° 25, fall/winter 2014/2015 n° 27, winter 2015/2016 n° 23, winter 2013 n° 21, fall/winter 2012/2013 n° 24, spring 2014 n° 20, spring/summer 2012 n° 24, spring/summer 2015


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“Un esperimento editoriale di nicchia e di successo. Nato in un garage da un’idea di un gruppo di giovani editori indipendenti italiani, oggi Hunter è una realtà affermata nel fashion system internazionale”9, così Vogue parla di Hunter Fashion Magazine, la rivista di Fabrizio Ferrini. Nato dalle ceneri di due riviste, Caffelatte e The/End, Hunter si inserisce all’interno della categoria delle nuove riviste patinate italiane. Quando nasce Caffelatte, alle soglie del 2000, in Italia il panorama delle riviste indipendenti ruotava ancora attorno a pochi nomi. Questa rivista si mostra da subito un progetto ambizioso e naïf: molto attaccato alle tematiche socioculturali di quegli anni, cerca di esprimerle in modo forte ed autentico, con una voce (a cui viene dato spesso più peso delle immagini) quasi di ribellione. Lo stesso slancio di indipendenza caratterizzerà anche la successiva rivista The/End che, nata da una redazione più allargata, verrà comunque percepita ancora come qualcosa di anomalo, particolare ed estremamente criptico. Hunter, che arriva nel 2001, rappresenta qualcosa di differente dalle precedenti: ha un taglio più commerciale, una periodicità più lunga, e un appeal meno radicale ma forse più piacevole.

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Un semestrale pionieristico dedicato principalmente al menswear che sposa il lifestyle a 360 gradi. C’è ancora spazio in questa rivista per l’arte contemporanea e una fotografia indipendente (protagoniste nei due precedenti magazine) ma, un’ampia attenzione è data alla moda, che al contrario in precedenza entrava in conflitto con l’arte.

“Questi magazine raccontano molto di loro (il team editoriale), sono cresciuti e si sono trasformati insieme a loro” Fabrizio Ferrini Superficialità, appartenenza agli stereotipi, errore e incoerenza della rappresentazione: queste le caratteristiche con cui il direttore Fabrizio Ferrini definisce il suo linguaggio.

“Il percorso che seguo è libero e poetico, infantile e leggero. Il risultato è formale, rigoroso, definito.”10


41 due copertine di The/End, la rivista diretta da Fabrizio Ferrini prima di Hunter Fashion Magazine


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“Il percorso che seguo è libero e poetico, infantile e leggero. Il risultato è formale, rigoroso, definito” F a b r i z i o F e r r i n i


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Tommaso Garner è un illustratore, graphic designer e art director, che spazia in diverse direzioni nel mondo della comunicazione visiva, dall’editoria alla curatela. Ha realizzato cataloghi, curato varie pubblicazioni d’arte e tra i progetti editoriali realizzati, oltre a Hunter e The/End, c’è anche Kaleidoscope, la rivista d’arte con la quale collabora dal 2008 in veste di art director, oltre a Rivista Studio.

“Il lavoro grafico è un’operazione di editing che consente di ricercare, raccogliere ed elaborare differenti materiali, dando vita a composizioni originali, che si stratificano in un territorio personale ricco di suggestioni.”12 Ha un ruolo centrale nei suoi lavori prima di tutto la fotografia, a cui è dato molto più peso in Hunger che nelle precedenti riviste dove il testo era preminente. Una fotografia però di grande qualità, che mostra un’ampia varietà di stili, dal casual al glossy, riconoscendo il valore della diversità e mostrandolo al lettore sia nell’immagine che nella materia stampata.

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Ispirandosi a riviste come Self Service, Fantastic Man, Purple, Metal, Dutch e Monocle, Fabrizio Ferrini spiega come la cosa per lui più importante per fare un giornale sia sperimentare il più possibile, senza avere una formula fissa, ma piuttosto una ‘piattaforma’ da modificare di volta in volta. La sua rivista nasce come una sfida con un obiettivo: promuovere il talento e mantenere una visione libera e ipercreativa. Ha sempre sentito l’esigenza di raccontare delle storie, anche culturali, e nonostante Hunter sia un prodotto editoriale molto più controllato e commerciale rispetto a Caffelatte, Ferrini non nega di sentire la necessità di conservare e recuperare anche qui degli elementi stranianti, punk, per creare un magazinelaboratorio, riflessione degli umori e delle sensazioni del momento stesso11.


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45 pagine da Hunter Fashion Magazine, nella pagina accanto, dall’alto in basso: n° 18, n° 20, n° 20, n° 22 in questa pagina, dall’alto in basso: n° 21, n° 22, n° 23, n° 23


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P U R P L E FASHI O N


P U R P L E - FA S H I O N

a lato: Olivier Zahm, editor-in-chief / creative director di Purple Fashion

stampa Snel Grafics casa editrice Puple Institute prima pubblicazione 21 Ottobre 1992, MusÊe D’Art Modern, Parigi

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uscita semestrale formato 30x23 cm editor-in-chief / creative director Olivier Zahm graphic system M/M (Paris)


48 copertine di Purple in questa pagina dall’alto in basso: Purple Fashion, n° 18, fall/winter 2012 Purple, n° 6, fall/winter 2000 Purple Sex, n° 8, fall/winter 2001 Purple Prose, n° 1, fall/winter 1992 Purple Travel, n° 1, fall/winter 2014 Purple, n° 1, spring/summer 1998 Purple Fashion, n° 14, fall/winter 2010 Purple, n° 15, spring/summer 2003


49 copertine di Purple in questa pagina dall’alto in basso: Purple, n° 13, fall/winter 2002 Purple, n° 4, fall/winter 1999 Purple Prose, n° 12, spring/summer 1997 Purple Prose, n° 8, fall/winter 1995 Purple Fashion, n° 6, fall/winter 2006 Purple Fashion, n° 2, fall/winter 2004 Purple Fiction, n° 4, 1998 Purple, n° 9, fall/winter 2001


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Il 21 ottobre 1992, la prima edizione stampata e venduta al Musée D’Art Modern a Parigi aveva l’aspetto più simile a quello di una fanzine che di quei magazine già in vendita negli stessi anni. Il contesto sociale di quegli anni ruotava attorno a un’estetica nascosta dietro la finzione commerciale, evoluzione di un sistema capitalistico che sovreccitava moda e arte. Erano gli anni di Richard Avedon per Versace: la moda e l’arte non erano altro che un feticcio capitalista all’interno di un sistema commerciale superficiale, lontano dalle ormai sgretolate pratiche politiche, artistiche e sociali degli anni Settanta. Anche le utopie sociali e le avanguardie artistiche portate dal Postmodernismo degli anni Ottanta si stavano disgregando, per lasciare spazio al trionfo del capitalismo. Serviva una sovversione dall’interno, una rottura: Purple nascerà in questi anni come alternativa13.

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Purple che inizialmente nasce come Purple Prose, si dividerà poi in Purple Fiction, Purple Sexe, Purple Fashion e Purple Journal, facendosi portatrice di un’estetica definita realista, legata a quello che prenderà il nome di anti-fashion. Grazie a fotografi come Juergen Teller, Terry Richardson, Wolfgang Tillmans, Mario Sorrenti, artisti come Felix Gonzalez-Torres, Philippe Parreno, Maurizio Cattelan e filmmaker come Harmony Korine e Larry Clark, Purple inventa una nuova estetica, fatta di contrapposizioni e doppi giochi, ma espressa in modo sofisticatamente delicato. Le domande che si sono posti i due editori in ogni edizione di Purple (Cosa pubblicare? Quali immagini? Quali designer? Quali forme d’arte?) sono le stesse 23 anni dopo. Il cambiamento è avvenuto al di fuori, il contesto è radicalmente cambiato. Il fatto però, che le modalità, lo spirito attraverso il quale la rivista si esprime sia rimasto invariato, incontaminato ma che quello che è il contenuto sia sempre nuovo, sconosciuto e in continua evoluzione, è la ragion d’esser di Purple oggi: questo è il senso che rende la rivista ancora nuova, oltre che d’ispirazione per molti altri magazine in tutto il mondo13.


51 Terry Richardson by Richard Prince, Purple Magazine, n째 10, F/W 2008


P H O T O G R A P H E D - B Y J e a n n e D u n n i n g D a n i e L l e rn e r Wo l f g a n g Ti l l m a n s H e n r y BondRegisGleva&MichaëlCrottoJackPiersonArminLink e Va n e s s a B e e c r o f t L e a h S i n g e r V i d y a & J e a n - M i c h e l S t e phenShamesCharlesRayAlixLambertBobFlanaganInez v a n L a m s w e e rd e M a r i ko M o r i Yu r i e N a g a s h i m a A n d re s E d strömMarkBorthwickGeorgesStollMichaelBanickiCamil leVivierLaetitiaBenatOlivierZahmMarioSorrentiNathaniel G o l d b e r g Ta k a s h i H o m m a M a u r i c i o G u i l l e n M a r c e l o K r a s i l c i cPeterMuscatoJohnWayneNguyenVinoodhMatadinChika s h i S u z u k i B a n u C e n n e t o g l u Te r r y R i c h a rd s o n C l a u d e L é v ê q u e H o r s t D i e k g e rd e s J o h n M i n h N g u y e n C a m i l l e Vi v i e r DougAitkenJohnLindellAriMarcopoulosKatjaRahlwesMau

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Solo la prima uscita di Purple Prose venne seguita dall’artista Claude Closky perché, già a partire dalla seconda, la direzione artistica passerà in mano a Christophe Brunnquell che se ne occuperà fino al 2006, per lasciare poi il testimone al duo creativo M/M Paris. Brunnquell è riuscito a definire in Purple una precisa estetica e una precisa grafica (soprattutto parlando del posizionamento degli spazi bianchi) grazie in particolar modo alla suo perfetto bilanciamento tra la disciplina artistica e la grafica14. Estetica poi, mantenuta e rinnovata negli anni successivi sotto la direzione artistica degli M/M Paris, che come Brunnquell infatti, lavorano con una filosofia più vicina a quella dell’artista che del grafico.

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La prima edizione di Purple magazine (allora Purple Prose) nasce con l’intento di creare un supporto agli artisti che ruotavano attorno al mondo di Olivier Zahm e Elein Fleiss (al tempo co-editrice), dei quali ancora non si parlava. Lo scopo non era quello di pubblicare teorie o critiche d’arte: Purple doveva essere una spontanea espressione della visione degli artisti ai quali era data parola. La coppia di editori voleva creare un magazine che non parlasse di artisti, ma dove gli artisti potessero parlare. Da qui la necessità di creare un’etichetta indipendente, che non comportasse l’obbligo di dover sottostare alle richieste di pubblicitari e sponsor13.


“ At Purple I was allowed to be experimental and try out all sorts of things. We changed the format, layout, paper - absolutely everything. I normally worked at Elein’s Apartment and we would work very closely, discussing things as we went. We have the same taste in everything: photos, graphics, whatever.” 14 Cristophe Brunnquell

54 “ An image never interests us as such. Its relevance lies in the fact that it contains the sum of preceding dialogues, stories, experiences with various interlocutors, and the fact that it induces a questioning of these preexisting values. This it what makes for us a pertinent image. A good image should be in between two others, a previous one and another to come.” 15 Michael Amzalag, Mathias Augustyniak M/M (Paris)


55 immagine da interno copertina Purple Anthology


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S M A N

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S I X - M A G A Z I N E

a lato: Rei Kawakubo, creative director di Comme Des Garรงons

stampa Dai Nippon Printing Co. produttore Comme Des Garรงons prima pubblicazione 1988, Tokyo ultima pubblicazione 1991

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uscita semestrale formato ISO A3 editor Atsuku Kozasu art director Tsuguya Inoue


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59 tutte le otto edizioni di Six magazine 1988-1991


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La prima edizione di The Sixth Sense (comunemente abbreviato in Six Magazine) nasce nel 1988, in concomitanza con il lancio della collezione di Comme Des Garçons, come avverrà poi anche per le successive sette pubblicazioni. In quel periodo, il concetto di presentare esclusivamente opere d’arte, illustrazioni e fotografie senza alcun testo era nuovo e fresco e, anche se ben presto diventerà un modello per molte altre future pubblicazioni di moda indipendenti, Six era uno dei primi a farlo16. Inoltre Yohji Yamamoto e Comme des Garçons erano tra i primi a usare architetti, musicisti, direttori, scrittori, artisti e graphic designer per esprime il loro mondo, creando qualcosa che si evolvesse simultaneamente attraverso più discipline. Essendo da sempre una particolarità del marchio quella di creare prodotti per lo più non ben definiti, nasce da qui l’idea di progettare un magazine che permettesse al brand di mostrarsi in modo ancora più completo17.

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In un articolo di Dazed & Confused, Billie Brand definisce Six magazine come portatore di un’innegabile allure che accerchia oscurità e mistero18. Preferendo l’illustrazione, la fotografia e qualsiasi tipo di opera d’arte visiva al testo, Six rimarrà un’icona per molti creativi (nonostante la sua breve vita), vantando lavori come, tra i molti, quelli di Peter Lindbergh, Gilbert and George e Bruce Weber18. Combinando design, arte e moda Six diventa l’equivalente del brand Comme des Garçons in forma stampata: ogni pubblicazione coincide sempre con l’uscita di una nuova collezione19. Essendo tuttavia il cambiamento una caratteristica centrale per il marchio giapponese, Rei Kawakubo deciderà nel 1991 di chiudere la rivista e di modernizzarla più avanti con la creazione di un’ applicazione multimediale: Moving Six, che permetterà all’utente di rivivere in modo digitale e interattivo (quasi come un 3D) l’immaginario creato dall’originale rivista cartacea. In un’intervista per Purple magazine, alla domanda sul perché della chiusura della rivista, Rei Kawakubo risponde: “It’s always good to stop something at its height before it becomes thin”20.


61 Immagine da Moving Six


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“High fashion has to have a mystery about it. This is the next step: visual representation of the collection, purely for image� Rei-Kawakubo


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Spostandosi tra una creatività più conservatrice (come il bianco-nero) a una più radicale (il pensiero asimmetrico e decostruito o non-finito), Comme des Garçons è diventato per eccellenza il marchio dell’avanguardia e dell’indipendenza21. Per decenni il brand ha sempre puntato a stupire e interessare il fruitore della sua moda, creando in lui la curiosità verso quella novità e quella sorpresa che Comme des Garçons ha sempre ricercato (sia al livello artistico e concettuale, sia a livello sartoriale) e che ha permesso al marchio di evolversi e rinnovarsi continuamente, stagione dopo stagione. Nel 1988, dopo la prima uscita della rivista, Rei Kawakubo afferma in un’intervista per il New York Times:

Six non era solamente uno dei tanti metodi per affascinare il cliente e creare atmosfera attorno al marchio, ma era anche uno dei primi metodi di condivisione con il pubblico di quello che stava dietro le sfilate e collezioni Comme des Garçons. Il fatto che ogni uscita coincidesse con una collezione sembrava quasi un tentativo di voler svelare anche una sorta di moodboard, una parte della progettazione, quello che si celava dietro agli abiti. Ovviamente la scelta di lasciarlo senza testo permetteva, d’altra parte, di mantenere il mistero, senza svelare troppo, senza che il tutto diventasse esplicito come una spiegazione: si voleva lasciare solo un segno, tuttavia silenzioso.

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Tsuguya Inoue è stato il direttore artistico di Six oltre che di gran parte della comunicazione visiva di Comme des Garçons. Rei Kawakubo diventa sua cliente dopo essere rimasta colpita da una delle sue pubblicità in una metropolitana. La sua palette cruda, standard, non-curata, l’uso dell’Helvetica, lo scarso uso di colore: sono le particolarità che rendono il suo lavoro per Six poetico e allo stesso tempo spontaneo. Una grande attenzione alla fotografia e alla giusta disposizione di pochi elementi che rompono l’immagine nel punto perfetto determinano la precisione del suo lavoro e il gusto giapponese nella tradizione del wabi sabi (definizione giapponese di “bellezza imperfetta, impermanente e incompleta”). L’essenza di questo linguaggio considera lo spazio in relazione agli elementi tra loro stessi, abbraccia il bianco e lo rende capace di comunicare pur rimanendo vuoto: gli da più peso togliendone il contenuto (per esempio eliminando il testo)17.

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“High Fashion has to have a mystery about it. This is the next step: visual representation of the collection, purely for image.“ 22


Six Magazine n째 8, 1991

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65 Six Magazine n째 4, 1989


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uscita annuale formato vario director Anja Aronowsky Cronberg art director Erik Hartin (4 edizioni)

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produttore

Anja Aronowsky Cronberg London College of Fashion

a lato: Anja Aronowsky Cronberg, director di Vestoj

prima pubblicazione

n° 1, “On Material Matters”, 2009


copertine di Vestoj in questa pagina, dall’alto in basso: n° 4, “On Fashion and Power”, 2013 n° 5, “On Slowness”, 2014/15 n° 3, “Fashion Shame”, 2012 n° 2, “On Fashion and Magic”, 2012 nella pagina accanto: la copertina-poster di Vestoj n° 5, “On Slowness”, 2014/15

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Come esplicitato nel manifesto e in varie interviste, Vestoj nasce per creare un ponte tra teoria e pratica, tra accademia e industria, per cercare di aumentare le conoscenze e le collaborazioni tra le due23. Come spiega la fondatrice e direttrice della rivista Anja A. Cronberg in un’intervista, quello che l’ha spinta a creare la rivista sta nel fatto che ci fossero in quel momento sostanzialmente due tipi di riviste di moda: quelle accademiche, che non hanno però un gran impatto sull’industria, e quelle dove la moda viene affiancata a molti aspetti della cultura contemporanea (film, musica, arte, celebrità) e che quindi viene mostrata come parte del lifestyle in generale24. Da qui l’esigenza di unire l’utile al dilettevole, e creare qualcosa che riguardasse solamente la moda, ma che la analizzasse profondamente, in ogni suo singolo aspetto. Il magazine si propone quindi di collegare non solo due mondi diversi ma anche due diversi modi di concepire la moda, che, da una parte è sempre stata accusata di essere frivola e superficiale e di cambiare troppo velocemente, dall’altra (negli studi accademici) è invece privata di qualsiasi ornamento e decorazione, per essere portata ad un livello solo teorico. Vestoj si fa portatrice dei due mondi, cercando di celebrarne l’intelligenza e la bellezza allo stesso tempo per entrambe25.

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Vestoj è una rivista in cui la moda rivendica la sua importanza e serietà, cercando dietro l’appartenenza delle cose, analizzando quello che c’è dietro le quinte, dalla minuzia dell’abito fino ai grandi temi. In Vestoj, le accademie, il mondo curatoriale, i musei e l’industria della moda possono lavorare e comunicare insieme per una comprensione profonda e sfaccettata della disciplina26. Tutti gli articoli sono correlati a ‘questioni sartoriali’, in particolare riguardo la relazione tra le persone e i loro abiti e la relazione degli abiti con l’identità. Ogni uscita ruota attorno a un tema centrale che viene esaminato da varie angolature. Così, unendo articoli scritti da studenti a narrativa, poesia e immagini, ogni argomento viene affrontato in modo critico dall’interno del sistema e allo stesso tempo con una prospettiva esterna.


71 pagine da Vestoy, n° 2, “On Fashion and Magic”, 2012


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l é n J a m e s L a v e r D o n a t i e n G r a u A n n a A r a b i n d a n - K e s s o n , M a r y a H o r n b a c h e r D r J o a n n e E n t w i s t l e D r B r e n daR.WeberHannahSmith-DrelichProfessorReinaLewisA liinaAstrovaZoeBedeauxAdamBilesBrianButlerMona ChooSimonCostinJulieCirelliAlexandraCronbergRoxa n e D a n s e t C a r o l i n e E v a n s S o f i e K r u n e g å r d J a m e s N o r t onAlistairO’NeillEleanorPearceAaronRoseJeffreySpier C l a i re W i l c o x E l i z a b e t h W i l s o n E l s a A h l b o m F i s c h e r N a choAlegreBetsyBloomingdaleDavidByrnePatriziaCal fatoCarolineEvansHaideeFindlay-LevinChristinaJohn s o n K e v i n J o n e s Ly d i a L u n c h C a r l o t t a M a n a i g o Pe t e r M c NeilRorySatranGandaSuthivarakomElizabethWilson


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Quello che è il carattere e lo spirito della rivista è proclamato in modo evidente nel manifesto, e lo si può cogliere in particolare in quattro punti23:

• The tone must be inviting. We must never be excluding in language or approach. We will use humour to draw readers in and themes that many can relate to. • Everything shall be questioned-nothing is holy. We must challenge the status quo. We must always ask why.We must always remain independent in thought and action. We must actively encourage critical thought and never be satisfied until we have examined every theme intrepidly. We will keenly promote criticism and draw attention to the paradoxes within the fashion world. • Advertising is forbidden.

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In un’intervista per Drome magazine, Anja Cronberg spiega che quando lavorava come fashion editor per Acne Paper aveva la sensazione che non ci fosse abbastanza spazio per scrivere nonostante l’alto livello dei contenuti27 . In Vestoj invece, testi e immagini hanno lo stesso peso e la stessa importanza ed è molto evidente come ci sia sempre un dialogo costante tra i due, molto spesso infatti viene adottata la scelta grafica di dare a entrambi lo stesso colore. Oltre a non contenere pubblicità e a non seguire il calendario stagionale della moda, ciò che differenzia Vestoj dagli altri magazine è anche il fatto di avere ad ogni uscita un tema differente, espresso in contenuti e a livello grafico attraverso un logo, uno stile, un formato e un graphic design sempre diversi ogni uscita. Nelle ultime quattro edizioni inoltre, il designer Erik Hartin ha creato qualcosa di innovativo e differente: ogni uscita conteneva al suo interno o nella sua forma un espediente che obbligava il lettore a scoprire o interagire in qualche modo con la rivista, dal dover tagliare le pagine per leggerne il contenuto, al dover girare la rivista per leggere la seconda parte. Anche con queste strategie Vestoj cerca di dimostrare quanto l’intelligenza possa essere meravigliosa e quanto la bellezza possa essere intelligente.

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• The reader’s intellect must be as gratified as her aesthetic sense. We will encourage creativity as well as an intelligent discourse. We will take nothing for granted.


74 pagine da Vestoj dall’alto in basso: editor’s letter da n° 4, “On Fashion and Power”, 2013 colophon da n° 3, “Fashion Shame”, 2012 table of contents da n° 5, “On Slowness”, 2014/15 articolo da n° 2, “On Fashion and Magic”, 2012 intervista da n° 3, “Fashion Shame”, 2012


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pagine da Vestoj dall’alto in basso: articolo da n° 5, “On Slowness”, 2014/15 immagini da n° 2, “On Fashion and Magic”, 2012 intervista da n° 2, “On Fashion and Magic”, 2012 manifesto da n° 4, “On Fashion and Power”, 2013


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M Z A C R

A G A I N E O N F O N T O


77 pagine da Purple Anthology


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All’interno di una lunga lista di riviste di moda, ho scelto di prendere in esame le sei analizzate in precedenza per alcune loro precise caratteristiche. Innanzitutto dovevano essere una sorta di ispirazione e riflessione di un gusto personale, utili quindi nel guidarmi alla successiva progettazione e realizzazione del mio magazine. In questo senso, tutte le riviste in precedenza citate sono, non solo concettualmente ma anche a livello visivo, per me le più interessanti. In secondo luogo, pur avvicinandosi l’una all’altra per qualche somiglianza, nel complesso sono tutte differenti tra loro. Dal loro tipo di comunicazione (teorico, o fatto di sole immagini) al loro contenuto (che si tratti di sola moda o che tratti anche di arte e lifestyle in generale) al formato (talvolta tascabile, talvolta over-size), all’aspetto (per alcune patinato, per altre più crudo e Lo-Fi), fino ad arrivare al Paese di provenienza e al periodo storico in cui nascono, queste sei riviste incarnano sei esempi ben distinti di comunicazione all’interno del fashion system e del mondo dell’editoria. Tuttavia, attraverso le interviste agli editori e agli art director, attraverso le antologie con cui si raccontano, ho potuto comprendere come tutte nascano sostanzialmente con un intento di rottura, che spesso proclama il cambiamento e l’indipendenza. Volendo trasmettere la voce di un preciso momento e contesto (che potrebbe essere sociale, come nel caso di Purple, o lavorativo, come nel caso degli A magazine), si rendono narratori di un qualcosa e di un qualcuno: c’è sempre alla base un certo senso di appartenenza che le accomuna, che sia a un brand (Six, Acne Paper), a una classe sociale (Purple) o a una veste professionale (A magazine, Vestoj). L’antologia di Purple, pubblicata per celebrare i suoi quindici anni di vita, è una pubblicazione in cui la rivista (i fondatori, il gruppo editoriale, i collaboratori che ne hanno preso parte) cerca di rileggersi dall’interno, e lo fa con parole in cui credo si possa ritrovare la stessa volontà e lo spirito anche delle altre riviste, una volta colto il suo contenuto più figurato. Tali parole sono state per me fonte di ispirazione.

“A magazine is a dream. (…) with an extreme economic fragility, and a lifespan lasting only a few weeks, a magazine is capable of action that deeply affects the propagation of ideas, beauty, and their explosive power. It’s the dream of a group of people who share, and experiment with, a singular vision and desire for change and escape-without necessarily knowing how to articulate it. (…) A magazine is not exactly media, in the sense of information; it is a visual, textual space that can shape a generation. In its pages, a generation invents itself, finds itself, and deceive itself.” 13 Olivier Zahm, Purple Anthology, prefazione p. 10-11


Sono parole senza tempo quelle di Zahm, nel senso che, pur nascendo e incarnando Purple un momento storico e un contesto sociale ben preciso, lontano o diverso da quello delle altre riviste, le sue parole sono universali e non molto lontane, per esempio, da quelle di un molto più giovane Acne Paper, che Jonny Johansson descrive come un intreccio di persone, immaginari, storie e innovazione, in un libero scambio inter-generazionale.

“Our plan was to bring out a publication that weaved together people, imagery, history, newness, and the pleasures of inter-generational exchange and learning.” 6 Jonny Johansson, intervista New York Times Allo stesso modo ho ritrovato molto di tutte le riviste analizzate nelle parole di Elein Fleiss (altra fondatrice di Purple), che usando parole ancor più intime spiega come Purple sia il riflesso di due persone prima di tutto e di come questa rivista sia diventata, mano a mano che cresceva, il ritratto dei pensieri, delle idee, dello stile di vita e dell’estetica dei due.

Olivier Zahm, Purple Anthology, prefazione p. 10-11 Lo stesso tipo di trasmissione, se vogliamo esagerare “auto-celebrazione”, l’ho ritrovata anche negli altri magazine. È lo stesso per Fabrizio Ferrini che diversi anni dopo definisce le sue riviste come una “progettazione sentimentale”, che racconta degli editori e con loro si trasforma. E non può che essere lo stesso per Acne, che crea una rivista come estensione del brand per incarnarne il concept, l’estetica, lo stile; o per A magazine dove quello di creare uno specchio dell’editore (in questo caso del guest curator) sia il motore stesso che muove la rivista.

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“If a magazine doesn’t reflect its creators, it has no real reason to exist.” 13


1

http://www.amagazinecuratedby.com

Julia van Ijken, “Breakfast with 1 GRANARY: Dan Thawley”, in 1 Granary, 12 luglio 2015 http://1granary.com/series/breakfast-with/breakfast-with-1-granary-dan-thawley, ultima visita 10/11/2015 2

Alice Cavanagh, ”Interview: Dan Thawley of A Magazine Curated by”, in Oyster Magazine, 15 aprile 2013 http://www.oystermag.com/interview-dan-thawley-of-a-magazine-curated-by?page=91, ultima visita 10/11/2015 3

Gerdi Esch, “Manifesto”, in A magazine N° A featuring Dirk van Saene, 2001, Antwerp 4

Alice Pfeiffer, “Northern Discretion: Thomas Persson of Acne Paper”, Inerview Magazine, 12 Novembre 2011 http://www.interviewmagazine.com/art/acne-paper-thomas-persson, ultima visita 12/11/2015 5

Cathy Horyn, “Bikini Mowing”, in On the Runway, New York Times, 12 Novembre 2011 http://runway.blogs.nytimes.com/2009/06/01/bikini-mowing/?_r=0, ultima visita 12/11/2015 6

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7

http://www.acnepaper.com/about

Eric Wilson, “The Chic That Began With Jeans”, in New York Times,15 Ottobre 2009 8

Alessandra Pellegrino, “Hunter magazine”, in Vogue, 9 Marzo 2012 http://www.vogue.it/talents/news/2012/03/hunter-20-cocktail-party-nuovo-numero, ultima visita 13/11/2015 9

Roberto Milani, “Arte in Sarpi”, in La stanza privata dell’arte http://lastanzaprivatadellarte.blogspot.it, ultima visita 13/11/2015 10

_ “Editoria indipendente: regole, password e codici segreti”, in La Repubblica Velvet, 14 Novembre 2007 http://velvet.repubblica.it/dettaglio/Editoria-indipendente/27361?page=2, ultima visita 13/11/2015 11

12

13

http://www.naba.it/portfolio/tommaso-garner Elein Fleiss, Olivier Zahm (a cura di), Purple Anthology, Rizzoli, New York, 2008

Yasushi Fujimoto, The 10 influential creators for magazine design, Pie Book, Tokyo, 2007 14


15

http://www.mmparis.com/bio/bibliorgraphy

Michael Costa, “Comme des Garcons revives Six magazine for iPad”, in Twelv magazine, 17 Ottobre 2012 http://twelvmag.com/fashion/comme-des-garçons-revives-six-magazine-ipad, ultima visita 13/11/2015 16

Marc Hohmann, “Japanese Graphic Design Highlights, in Lippincott, 8 Novembre 2013 http://www.lippincott.com/en/insights/japanese-graphic-design-highlights, ultima visita 14/11/2015 17

Billie Brand, “The Sixth Sense”, in Dazed&Confused, 2013 http://www.dazeddigital.com/fashion/article/16645/1/the-sixth-sense, visita 14/11/2015 18

ultima

http://www.harpersbooks.com/pages/books/19783/comme-des-garaons-rei-kawakubo/six-magazine-volume-1 19

Olivier Zahm, “Rei Kawakubo”, in Purple Fashion, F/W 2012, n° 18, http://purple.fr/article/rei-kawakubo, ultima visita 2 nov 2015. 20

Ronnie Cooke Newhouse, “Rei Kawakubo”, in Interview magazine, 26 Settembre 2008 http://www.interviewmagazine.com/fashion/rei-kawakubo/#_, ultima visita 14/11/2015 _ “Moving Six by Comme des Garcons”, in Luerzers Archive magazine http://www.luerzersarchive.com/en/features/digital/moving-six-by-commede-garons-204.html, ultima visita 14/11/2015 22

23

http://vestoj.com/manifesto

AnOther editorial team, “Anja Anorowsky Cronberg in Fashion and Beauty / An Intellectual Fashion”, in Another Magazine, 28 Settembre 2011 http://www.anothermag.com/fashion-beauty/1384/anja-aronowsky-cronberg, ultima visita 14/11/2015 24

Jeremy Leslie, “Vestoj #5”, in Mag Culture, 12 Marzo 2015 http://magculture.com/magazine-of-the-week-vestoj-5, 14/11/2015 25

26

ultima

visita

http://vestoj.com/about

Camilla Ginevra Bo’, “Vestoj :: On Fashion and Power”, in Drome magazine, 30 Gennaio 2014 http://www.dromemagazine.com/it/vestoj-on-fashion-and-power, ultima visita 14/10/2015 27

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Di seguito si procede all’analisi di quattro magazine creati dagli studenti di alcune tra le migliori scuole d’arte del mondo (London Royal College of Art, London College of Fashion, Universität der Künste Berlin, Central Saint Martins). Ci si è serviti degli elementi analizzati per comprendere il funzionamento delle “riviste universitarie”. Tale studio è stato di riferimento alla progettazione di Magazzino 7, che si ispira alle caratteristiche dei seguenti magazine per quanto riguarda: periodicità, formato, titolo, organizzazione interna, target.

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La vera ispirazione per questo progetto, in realtà, non è nata dalle grandi riviste precedentemente analizzate, ma da qualcosa di molto più vicino al mio ambiente. Nelle migliori scuole d’arte e di moda del mondo esistono riviste curate dagli studenti. Pur avendo modelli, formati, uscite, durate e contenuti differenti, ognuna di esse nasce sostanzialmente per lo stesso motivo: comunicare, comparare, raccogliere il lavoro di studenti ed ex-studenti, ponendoli a confronto e creando collegamenti tra di essi e l’industria. Una narrazione, testuale e visiva, in cui si intrecciano vita, lavori, ispirazioni, interessi, visioni, paure e successi degli studenti. Un bacino di novità e freschezza, fruibile dagli studenti e dalle imprese, come da chi ne volge semplicemente uno sguardo disinteressato (ma affascinato) dall’esterno. Essenzialmente un canale di comunicazione per parlare e per mostrarsi.


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scuola London Royal College of Art uscita semestrale formato vario prima pubblicazione 1950 (Ark) 2004 (Arc)

“The elusive but necessary relationships between the arts and the social context are the real objects of our enquiry through the pages of ARK and our policy will be to set a subjects, give our answers as students of the arts and ask a selection of those who will see the same subjects from other and different viewpoints. We shall serve this mixture up to you with the firm belief that it is best to be serious without being solemn.” 28 La rivista, che chiude nel 1978, verrà ripresa poi nel 2004 dagli studenti del RCA e ribattezzata Arc. Ogni uscita si sviluppa attorno a un tema centrale ed è progettata, concepita ed editata da un team editoriale ogni volta differente per mostrare, anche attraverso la voce di alcuni artisti e collaboratori esterni, cosa e chi influenza gli studenti, nel modo in cui si vedono e vogliono essere visti29.

a lato: editoriale da Arc magazine n° 18, “Accent issue” nelle pagine successive: a sinistra, copertine da Ark magazine a destra, copertine da Arc magazine

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La più vecchia, Arc del London Royal College of Art, nasce come Ark magazine nel 1950 dallo studente Jack Stafford, che nel primo editoriale di dicembre scrive:


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Pigeons & Peacocks nasce nel 2008 dagli studenti del London College of Fashion. Si proclama come una piattaforma indipendente di talenti emergenti, il nuovo volto e la futura voce dell’industria della moda. Ogni edizione vede la collaborazione di studenti (ed ex-studenti) sempre diversi, nel vero e proprio ruolo di editori, giornalisti, fotografi, make-up artist e designer, a seconda dei loro corsi di studio. Ogni uscita (una all’anno) presenta una formula diversa, ma si intrecciano sempre al suo interno shooting e interviste, articoli e progetti fotografici, ritratti e illustrazioni in uno schema libero che cambia volta per volta.

“So here’s to all the pigeons and the peacocks out there, and everything in between… Pigeons & Peacocks A Celebration of the Independent” 30

a lato: colophon da Pigeons&Peacocks n° 2, 2009

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scuola London College of Fashion uscita annuale formato 29x23 cm prima pubblicazione 2008


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93 nella pagina accanto: pagine da Pigeons&Peacocks, n° 2, 2009 in questa pagina, dall’alto in basso: copertine di Pegeons&Peacocks n° 2, 2009 n° 7, 2014 n° 6, 2013 n° 4, 2011 n° 5, 2012 n° 3, 2010 n° 1, 2008


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scuola Universität der Künste Berlin uscita semestrale formato vario prima uscita 1991

“Wir veröffentlichen Projekte, Gedanken, Spielereien – Kultur im weitesten Sinne. Was die Studierenden umtreibt, gilt es lesbar und sichtbar zu machen; Verknüpfungen zu schaffen, Wissen festzuhalten, in Bildern zu denken.” 31 “Pubblichiamo progetti, idee, espedienti - la cultura nel senso più ampio. Cosa è importante per gli studenti è leggibile e li rende visibili; È un modo per creare conoscenze e collegamenti, pensare per immagini, acquisire nuove compenze.” Attraverso l’espediente tipico di dare a ogni uscita un tema centrale, la rivista volge lo sguardo a personalità ispiratrici, all’ambiente quotidiano e agli avvenimenti più importanti all’interno della facoltà. La rivista ha già una tiratura di 2500 copie cartacee ed è disponibile anche online in formato pdf.

a lato: copertina di Eigenart n° 81, “Ähnlichkeit”, febbraio 2012

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Anche l’Università di Belle Arti di Berlino gode (da molto più tempo ancora) della sua rivista: Eigenart, ovvero ‘arte di noi stessi/peculiarità’. Ogni edizione è abbinata a un semestre, ma non presenta né una formula né una redazione fisse. Si presenta come un forum indipendente che pubblica idee, progetti, e interessi degli studenti, nel senso più ampio di cultura.


in questa pagina, dall’alto in basso: Arc 82, “Suppe”, ottobre 2012 pagine da Arc 82, “Suppe”, ottobre 2012 pagine da Arc 83, “Ping Pong”, luglio 2013

nella pagina accanto, dall’alto in basso: copertine di Arc magazine, n° 74, “Hauptsache”, febbraio 2010 n° 75, “Zugang”, luglio 2010 n° 76-80, “Zurück in die Vergangenheit”, luglio 2011 n° 68, “Verfürung”, luglio 2007 n° 69, “Das Monster denkt nach”, febbraio 2008 n° 70, “Fucker”, luglio 2008 n°65, “Netzwerke”, gennaio 2006 n° 67, “Lebensert”, febbraio 2007 n° 72, “Utopie”, febbraio 2009

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scuola Central Saint Martins uscita semestrale formato 24x32 cm prima uscita 2013

“Why do we do it? To be able to have a graduate collection seen and shot by Nick Knight, and styled by Simon Foxton; to have up-and-coming Central Saint Martins designers sit alongside Christopher Kane; to be able to talk to the creatives whose work we respect. (…) We realise there’s no such thing as one route to success. Here, we would like to share the journeys of our generation, and learn from the many roads that those who came before us have taken.” 32 Dal formato grande alla carta patinata, 1 Granary non ha niente da invidiare alle grandi riviste di moda, tanto meno le collaborazioni, che in solo 3 uscite sono già notevoli, con interviste a Thomas Persson, Adrian Joffe, Raf Simons, Meadham Kirchhoff, Simone Rocha, Thomas Tait (e molti altri). Al suo interno l’indice è ben articolato e si divide in Fine Art, Fashion, Jewellery, Features, Photography e Business. All’esterno invece, sul retro della copertina, si animano le voci degli studenti che in 10 punti, al posto di scrivere un manifesto come molte altre riviste, palesano una richiesta a tutti i fruitori del magazine, in particolare alle industrie e a chi ha potere all’interno del fashion system. Esplicitando le difficoltà alle quali viene incontro un qualsiasi giovane creativo in questi tempi, invocano supporto, rispetto e attenzione al loro lavoro e al loro futuro.

“If you teach a student to fish, chances are you’re having fish for supper”. 33 a lato: pagine e lettera allegata di 1 Granary magazine, n° 3, 2014 nelle pagine successive: pagine da 1 Granary, n° 3, 2014

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La più recente, ma forte della fama che precede la scuola, è la rivista degli studenti della Central Saint Martins di Londra: 1 Granary, che nasce nel 2013 e prende il nome dalla piazza in cui in cui alloggia la sede. In una delle pagine online del magazine, gli studenti di 1 Granary spiegano come non sia facile, al contrario di quello che si potrebbe pensare, emergere all’interno di una scuola che ha vantato il lancio di alcuni tra i più grandi designer, quali Phoebe Philo, Galliano e McQueen. Dalla necessità di avere un nuovo spazio di comunicazione, la rivista nasce per aprire un dialogo con le migliori menti creative del momento, e per dare la possibilità agli studenti di essere notati e di poter collaborare con loro.


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Jack Stafford, “Editorial”, in Ark, n° 1, Autunno 1950, p.2

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The editors (Somerset and Essex), “Editorial”, in Arc, n°18, 2014, p. 1

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http://www.pigeonsandpeacocks.com/about-us

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http://www.eigenart-magazin.de

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http://1granary.com/about

Central Saint Martens students, “Manifesto” in 1 Granary, n° 1, 2013, retro copertina 33


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La tesi si conclude con un elaborato progettuale. La parte di ricerca finora affrontata è servita per avere una visione rappresentativa di quello che già esiste nel mondo dell’editoria di moda, anche a livello universitario. Da qui sono nati gli spunti di riflessione e le ispirazioni che hanno influenzato la progettazione del magazine. Magazzino 7, la rivista degli studenti di Design della Moda dell’Università IUAV di Venezia, nasce per dare corpo a idee, progetti, interessi ed esercizi di studenti ed ex-studenti, raccogliendoli in uno strumento fruibile da un pubblico esterno.

Il titolo vuole essere un omaggio alla nuova sede universitaria: un edificio originariamente utilizzato come magazzino portuale (Magazzino 7) che è stato di recente ristrutturato per ospitare gli atelier e i laboratori dei corsi di studio di design e arti. Un suggestivo luogo affacciato sulla Giudecca, che dà il nome a questo magazine diventando simbolo degli studenti passati, presenti e futuri. Lo stesso principio è stato usato anche dagli studenti della Central Saint Martins, che battezzano la rivista con il nome dell’edificio della sede universitaria Granary Square, building 1. Il formato (19,5 x 26,5 cm) è vicino a quello di molte riviste nuove (tra quelle citate per esempio Vestoj), che preferiscono un prodotto comodo e maneggevole, nonché vicino alla vita di ogni studente, dove la praticità gioca un ruolo centrale. In copertina, dietro il grande titolo in Helvetica che occupa tutta la pagina, appaiono dei ritratti fotografici. La scelta di usare dei portrait è una tecnica che alcune tra le più grandi riviste adottano per colpire l’occhio del lettore, incuriosirlo, invogliarlo all’acquisto. Per citarne solo alcune tra quelle che hanno ispirato la progettazione di Magazzino 7: Shoppinghour Magazine, Fantastic Man, The Gentlewoman, The Travel Almanac, Hunter Fashion Magazine; tutte queste riviste usano un ritratto, che rappresenta quasi sempre una persona famosa, discussa, o un personaggio che sarà al centro della rivista nel suo interno. Per Magazzino 7 è stata fatta la stessa scelta: ogni copertina porta il volto di uno studente.

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Il magazine ha una periodicità semestrale (settembre/febbraio). Legata al ciclo dei laboratori e alle scadenze dei corsi, la semestralità permette di mostrare in modo continuo e ragionato i progetti degli studenti; scelta adottata dalla maggior parte dei magazine che raccontano le scuole di moda. Allo stesso modo, la quasi totalità dell’editoria indipendente oggi si affida (o si è convertita) a questa periodicità, necessaria per progettare una rivista dai contenuti più curati e approfonditi.


Questo espediente è stato adottato, oltre che per gusto grafico, anche in maniera simbolica: dedicare a uno studente la prima facciata di una rivista significa affidarne a lui l’identità, metterlo al centro dandogli importanza. Colui che dovrebbe stare dietro alle quinte viene invece mostrato, esposto. Lo studente viene trattato come un personaggio importante, quasi fosse un modello o un attore (e il tipo di fotoritocco stesso lo preannuncia). A differenza di quanto sopra, la scelta di quale studente ritrarre in ogni copertina avviene a prescindere dalla presenza o meno di un capitolo a lui dedicato all’interno; è una strategia per valorizzarne l’identità. Questo fil rouge diventa un modello di impostazione fisso, contribuendo così a creare anche l’identità del magazine stesso.

106 copertine di Magazzino 7 n°2, febbraio 2016; n° 5, settembre 2017; n° 6, febbraio 2018 n° 3, settembre 2016; n° 4, febbraio 2017; n° 8, febbraio 2019


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issue 1 settembre 2015

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copertina di Magazzino 7 n째 1, settembre 2015


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L’elemento grafico che connette l’interno della rivista alla sua copertina è l’uso della cromia. Ogni copertina avrà un colore di cornice diverso che si ripeterà all’interno in vari dettagli: testi, filtri fotografici, sfondi di pagina, ecc. L’indice che apre la rivista, appare diverso da quello tradizionale. Ispirato a quello di Odisseo magazine, si articola come un “indice discorsivo”, libero quindi di cambiare a ogni uscita, senza essere legato a una serie di rubriche sempre uguali. Ovviamente la struttura presenta dei punti fissi: i progetti che vengono inseriti fanno parte dei laboratori del semestre precedente all’edizione, c’è una parte dedicata alle mostre e agli eventi, una parte dedicata alle interviste e ai saggi, una alla fotografia e una all’illustrazione. Una suddivisione non del tutto limitante permette di giustificare gli eventuali cambiamenti che vengono apportati in corso d’opera; infatti essendo un progetto di un corso di studi, la natura stessa della rivista è legata all’evoluzione. In una prospettiva a lungo termine, all’interno dell’Università potrebbero cambiare i laboratori, i professori o il programma di studio e soprattutto cambieranno gli studenti; perciò è necessario che la struttura della rivista permetta e rifletta il circolo non solo dei contenuti ma anche delle persone che prendono parte al team editoriale. Il progetto richiede che una persona rimanga in veste di art director per un certo numero di edizioni (prima di poter “passare il testimone”), ma la rivista è stata progettata e organizzata al suo interno per permettere un ricambio editoriale. È un progetto di cui si sono volute gettare le fondamenta ma che nasce libero, aperto al cambiamento; un progetto che vuole includere e accogliere quante più idee e quante più persone possibili nella sua creazione. Ciò che permette di preservare l’identità e la continuità del magazine è una salda divisione dei ruoli all’interno della redazione. Oltre alla figura cardine dell’art director, non meno importante è la partecipazione di studenti nei ruoli di cool hunter, addetto/i alla fotografia, addetto/i ai testi, addetto/i al recupero dei materiali.


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Questa edizione, che funge da modello per le successive uscite, contiene un numero superiore di articoli, perché unisce due semestri. Ciò ha permesso di poter mostrare un tipo di contenuto come le interviste fatte dagli studenti ai designer per cui lavorano nel periodo di tirocinio (primo semestre del terzo anno) insieme a un evento come Fashion at IUAV, che invece si svolge sempre nel secondo semestre. Inoltre la prima edizione contiene, a differenza delle successive, il manifesto, che con il suo formato poster spiega l’intento e presenta l’identità della rivista. A seguire i contenuti progettuali dei laboratori, le recensioni di due mostre, un saggio teorico, altre interviste (questa volta fatte da studenti a ex-studenti), Il Tratto (parte dedicata all’illustrazione) e una parte dedicata alla fotografia. Per quanto riguarda quest’ultima, “Vale la pena” è una rubrica che irrompe frequentemente all’interno del magazine. Una doppia pagina dalla carica emotiva, che spezza i contenuti moda, dove uno studente abbina una fotografia o un’illustrazione a una frase che spiega appunto cosa per lui vale la pena essere mostrato. L’idea di questo espediente prende ispirazione dai social network: Instagram, Tumblr, Facebook, Pinterest sono i moderni muri su cui appiccicare fotografie, esprimere concetti, palesare impressioni. Il meccanismo è lo stesso, ma quello che nello scorrere in una bacheca online può essere perduto, qui vuole rimanere immortalato. È un “social paper”, la parte di più immediata comunicazione all’interno della rivista. L’altro progetto fotografico in questa edizione è dedicato all’architettura, e per inaugurare il magazine è stato scelto come tema Venezia, città della sede universitaria. Ho realizzato questo primo editoriale con l’intento che il lavoro possa essere per gli studenti non solo un’ispirazione ma anche uno stimolo alla crescita del progetto stesso.


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1 Granary Magazine, n° 3, 2015. A Magazine, Dirk Van Saene-Bernhard Willhelm-Hussein Chalayan-Viktor & Rolf, n° A-B-C-E, 2001-2004. A magazine curated by, Maison Martin Margiela-Yohji Yamamoto-Jun Takahashi-Martine Sitbon-Veronique Branquinho-Kris Van Assche-Riccardo Tisci-Proenza Schouler-Giambattista Valli-Rodarte-Stephen Jones-Iris van Herpen-Delfina Delettrez, n° 1-2-4-5-6-7-8-9-10-11-12-13-14, 2004-2005-2006-2007-2007-20082008-2009-2010-2011-2013-2014-2015. Acne Paper, “Legendary Parties”-“The Artist’s Studio”-“The Body”-“The Actress”, n° 10-11-13-15, summer 2010-winter 2010/11-spring 2012-2014. AnOther Magazine, n° 24, spring/summer 2013. Arc, “Accent Issue”, n° 18, 2014. COS magazine, “Expedition”, autumn/winter 2015.

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Fantastic Man, n° 19, spring/summer 2014. Fucking Young !, “Museum”, n°4, spring/summer 2014. Hunger, n° 4-5, spring 2013, autumn/winter 2013. Hunter Fashion Magazine, n° 22, spring 2013. I-D magazine, n° 117-123-320, giugno 1993-febbraio 1994-pre/fall 2012. New York Times, 15 Ottobre 2009. Odisseo, n° 4, luglio 2014. Perdiz, n° 4, 2014. Pigeons&Peacocks, n° 2-3-8, 2009-2010-2015. Pizza magazine, n° 5-6, febbraio 2013-marzo 2014. Pop magazine, n° 29-31, autumn/winter 2013-autumn/winter 2014. Purple Fashion, n° 5-6-11-16-18-21-22-24, S/S 2006-F/W 2006-S/S 2009-F/W 2011-F/W 2012-S/S 2014-F/W 2014-F/W 2015.


Shoppinghour Magazine, “The Critique of Science”, n° 8, spring 2012. Six, n°4, 1989. The/End, n° 8, anno n.p. The Face, n° 24, gennaio 1999. The Gentlewoman, n° 6, autumn/winter 2012. The Travel Almanac, n° 8-9, 2014-2015 Vestoj, “On Fashion and Magic”-“Fashion Shame”-“On Fashion and Power”-“On Slowness”, n° 2-3-4-5, 2012-2012-2013-2014/15.

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