issue 1 settembre 2015
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dagli studenti di Fashion Design dell’Università IUAV di Venezia
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Contenuti Il numero si apre con un progetto di Valentina Stocco (secondo anno BA), che ci mostra le sue adolescenti fluorescenti. A pagina 10. Gianluca Ferracin (ex-studente) ci racconta di EDITHMARCEL: armonico contrasto tra similarità e differenze. A pagina 20. Alessandro Acciai e Sara Bianchini (secondo anno BA) in due fantascientifici progetti di maglieria. A pagina 30. L’arroganza di una diva dodicenne nel progetto di Xhefri Londo (terzo anno BA). A pagina 40. Marta Franceschini (ex-studente) a Spazio Punch, oggi nel 1914. A pagina 48. Alessandro Carpitella (secondo anno BA) con un progetto (non) serissimo: differanza remicsata. A pagina 52. Simone Rossi (terzo anno BA) nei retroscena di Fashion at Iuav: l’ evento. A pagina 60. Alberto Panozzo (terzo anno BA) e qualcosa di non così divertente. A pagina 68. Marco Rambaldi (ex-studente, vincitore di Next Generation 2013) dai concorsi a Dolce e Gabbana, passando per due capsule collection. A pagina 78. Federico Cassani (primo anno MA) e il nuovo atteggiamento punk: la rivoluzione della verginità. A pagina 86. Alessandro Carpitella (secondo anno BA) sulle conseguenze del purismo ossessivo, in un saggio su Maurizio Altieri. A pagina 92. Sara Trame e Micol Bano (terzo anno BA): accessori tra sport e fantasia. A pagina 98. Marta Franceschini (ex-studente) su Bellissima, l’Italia dell’alta moda. 1945-1968. A pagina 106. Giulio Polverelli, Federico Folladore, Alberto Ruvoletto e Lorenzo Fabbian (secondo anno BA) sulla noia provinciale di qualsiasi adolescenza. A pagina 114. Studio la Città: Venezia e il blu dell’ozio, progetto fotografico di Simone Rossi (terzo anno BA). A pagina 122. Le domande di Sofia Prandoni (terzo anno BA) a Celia Arias: intervista a una stylist. A pagina 132. Il Tratto di Leonardo Cossu (primo anno BA). A pagina 136. Attraverso queste pagine: Vale la pena. Un’incursione tra i pensieri e le immagini degli studenti, un “social paper” in questa uscita a cura di: Sara Peretti (secondo anno BA), Marta Laurenti (terzo anno BA), Giulia Roman (terzo anno BA), Sofia Prandoni (terzo anno BA), Alessio Dalla Villa (primo anno BA). Alle pagine 18-19, 46-47, 76-77, 104-105, 130-131.
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Magazzino 7 founder e art director
contributi di questa edizione
Sara Ceradini
progetti Alessandro Acciai, Sara Bianchini, Micol Bano, Alessandro Carpitella, Federico Cassani, Lorenzo Fabbian, Federico Folladore, Xhefri Londo, Alberto Panozzo, Giulio Polverelli, Alberto Ruvoletto, Valentina Stocco, Sara Trame
in copertina Sofia Prandoni 3° anno BA Design dellla Moda supervisione
testi Alessandro Carpitella, Marta Franceschini, Simone Rossi
Saul Marcadent contatti
fotografia Federico Cassani, Sara Ceradini, Alessio Costantino, Giacomo Cosua, Paolo Colaiocco, Filippo Dalla Tor, Caterina De Zottis, Cristian Dorme, Giulia Fassina, Marco Forlin, Marta Laurenti, Xhefri Londo, Luca Meneghel, Musacchio&Ianniello, Luca Palmer, Sara Peretti, Tobia Piatto, Sofia Prandoni, Giulia Roman, Simone Rossi, Simona Saggion, Sofia Sganzetta, Andrea Torresan, Sara Trame
UniversitĂ IUAV di Venezia Dorsoduro 1827 30123 Venezia portineria 041 257 1267 Magazzino 7 magazine 3491335703 info@magazzino7.com
illustrazioni Diletta Albertini, Gaia Diletta Bottacin, Leonardo Cossu, Alessio Dalla Villa, Sofia Prandoni interviste Sara Ceradini, Sofia Prandoni
uno speciale ringraziamento a: Marco Rambaldi, Gianluca Ferracin, Andrea Masato, Celia Arias
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FLUOR ESCENT ADOLE SCENT di Valentina Stocco
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Design e Styling Valentina Stocco Fotografia Andrea Torresan Modelle Juliet Arianna Lisa
Fluorescent Adolescent
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La collezione riguarda le linee del corpo; l’astrazione e la decostruzione di parti del corpo che cambia durante l’adolescenza. Vestiti e accessori diventano uno studio di nuove linee; il taglio e la forma idealmente seguono specifiche parti del corpo in modo irregolare e asimmetrico.
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I colori luminosi e i volumi riflettono le principali caratteristiche dell’età giovanile. Le ragazze sono sospese tra l’infanzia e l’età adulta: bevono, fumano, sembrano libere e indipendenti, ma la connessione con il passato è forte: rosa, rosa, rosa!!!
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Fluorescent Adolescent
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VALE LA PENA
“Dimenticarsi la città” SARA PERETTI
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EDITH M A R C E L
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Andrea Masato Gianluca Ferracin i due designer di
EDITHMARCEL intervista di Sara Ceradini
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EDITHMARCEL Abbiamo intervistato Gianluca Ferracin, ex-studente IUAV. Ha inaugurato da qualche mese il lancio del suo nuovo brand a Milano, insieme al partner Andrea Masato. Gianluca ci spiega cosa significa oggi provare a essere un giovane designer e riuscirci.
La tua formazione. Prima dello Iuav? In che anno ti sei laureato? Prima dello Iuav ho frequentato il Liceo Artistico Statale di Venezia, indirizzo architettura. Mi sono laureato il 3 Dicembre 2014.
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Andrea, il tuo partner, da che tipo di formazione viene? Dopo il Liceo Scientifico si è iscritto ad Architettura, sempre allo Iuav. Durante il terzo anno ha intrapreso un’esperienza in uno studio di architettura dopo la quale ha preso la decisione di dedicarsi ad altro. Successivamente ha iniziato a lavorare per un’azienda di consulenze in ambito arte, moda e disign. Come ti descrivi in tre parole. Come descrivi Andrea in tre parole. Come descrivi il tuo marchio in tre parole. Io: umile, instancabile, leale Andre: stacanovista, ambizioso, carismatico Edithmarcel: elegante, altero/a, delicato/a. Com’è cominciato tutto? Quando avete deciso che avreste creato il vostro proprio brand? Il brand è nato nel marzo 2015, l’idea però era nell’aria già da un pò. In quel periodo abbiamo deciso di partire, sfruttando il vantaggio di essere giovani e pronti a qualsiasi tipo di sacrificio. E dobbiamo dire che questa esperienza ci sta facendo crescere ogni giorno in maniera incredibile. 22
intervista - Gianluca Ferracin
EDITHMARCEL spring/summer collection 2016
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EDITHMARCEL spring/summer collection 2016 pre-campaign
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intervista - Gianluca Ferracin
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Edith. Marcel. Perché questa allusione? Il nome racchiude in sè il concetto del brand: è l’unione di due nomi, Edith e Marcel, l’uno femminile e l’altro maschile. I nomi sono un omaggio a Edith Piaf e Marcel Cerdan, il pugile amore della sua vita. Ci sembrava che i due nomi insieme rappresentassero un ‘armonico contrasto’, e contenessero i due universi di cui noi sfruttiamo similarità e differenze. Con un sapore senza tempo, che non guasta.
Come cambia la progettazione da un ambiente universitario a quello vero e proprio del lavoro? (se cambia) Lo sviluppo della collezione praticamente è lo stesso: mood, figurini, cartamodelli e prototipo, l’unica differenza è che quello che all’università era il ruolo svolto dai professori ora è rappresentato dal consumatore finale, che è decisamente più difficile. Diventa obbligatorio gestire la propria creatività in funzione di esigenze quali costi, vendite, produzione e risorse.
Come si fa a lanciare un proprio marchio oggi? Tanta forza di volontà. È un ambiente complesso però da un sacco di soddisfazioni. Inoltre per portare avanti un progetto di questo tipo non si può essere solo designer, bisogna essere anche commercialisti, PR, venditori ecc, e sopratutto saper costruire un buon team.
Progetti futuri? I progetti per il futuro sono molti, sicuramente al primo posto c’è quello di riuscire a costruire un team più completo possibile e magari trovare uno spazio giù adeguato alle nostre esigenze.
Illustrazioni Gaia Diletta Bottacin Pre-campaign Foto: Alessio Costantino Modelli: Giovanni Brini, Elena Calaffati Campaign Foto Luca Meneghel Modelli: Clara Santoro, Martina Nermin De Pretto, Giovanni Brini, Giammarco Pavan, Riccardo Milanesez
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intervista - Gianluca Ferracin
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M L R
A I I
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G E A
Due progetti a cura di
Sara Bianchini Alessandro Acciai
maglieria
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Alien Exsist.
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Sara Bianchini
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Il progetto muove dalla collage art di Jesse Draxler. Gli alieni esistono, alieno come altro, strano, ciò che eccede. Un errore, un’ interruzione - il filo nero che irrompe nella calma, o nella noia, bianca - l’imprevisto come valore.
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Journey to Kepler 442-B
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Alessandro Acciai
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Il Pianeta Terra è ormai vuoto e senza forma. L’oscurità regna sulla superficie e ogni traccia di umanità si sta lentamente trasformando in cenere. Noi - come razza umana - lentamente avvelenati e ammazzati, noi - come individui - eterni artefici dell’arte dell’inquinamento, stiamo facendo il possibile per preservare la vita sulla Terra. La ricerca di un nuovo Pianeta Madre potrebbe continuare lontano, nelle oscure profondità dell’ignoto, come l’unica chiave per la nostra sopravvivenza. Da qualche parte là fuori qualcosa di incredibile attende di essere scoperto.
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SUPER CHOCS di Xhefri Londo
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Pronunci “mon amour� e scruti la mia espressione. Ma quale diva ha dodicianni? Con l’arroganza non ci riempi i vestiti di tua madre. Manca il corpo di una donna. Ingurgiti severe sigarette amare, al cioccolato.
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La storia prende forma tra i ritratti di Elle Fanning scattati da Bill Owens per Rodarte, ss 2012, e i disegni di Horst Antes. Nessun capo aderisce al fianco ma ne esaspera la forma.
Super Chocs
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fotografia Xhefri Londo modella Ludovica Zanetti
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VALE LA PENA
“Fermarsi a guardare da vicino” MARTA LAURENTI
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1914 Now. Four Perspectives on Fashion Curation
parole Marta Franceschini
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1914 Now. Four perspectives on fashion curation è un progetto nato della collaborazione tra curatori di moda e filmmaker. Walter Van Beirendonck, Amy de la Haye, Judith Clark e Kaat Debo sono stati invitati dalla curatrice Alison Moloney (International Exhibitions Programme, London College of Fashion) a riflettere sul tema dell’abito a partire dal 1914.
mostre - 1914 Now
1914 Now Four perspectives on fashion curation 7 novembre – 14 dicembre 2015 Spazio Punch, Venezia Spazio Punch dal 2011 è arte, moda, editoria, architettura, contemporaneità. Un’organizzazione non profit nell’isola della Giudecca, a Venezia, in un ex magazzino di stoccaggio di liquori e birra, che fa ricerca, progetta e realizza mostre, eventi culturali, momenti di incontro.
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La 14° edizione della Biennale Architettura di Venezia, a cura di Rem Koolhaas, si dichiara concentrata su "l’architettura, e non gli architetti". Mira a sottolineare il processo che qualsiasi paese si è impegnato a intraprendere, per cancellare i caratteri dell'architettura nazionale e conformarsi ad un linguaggio universale tra il 1914 e il 2014. La grande esposizione ripercorre la storia dei tempi moderni, pur rilevando le caratteristiche che ciascun paese ha mantenuto e protetto. Il progetto pone l’accento sulla narrazione e il potere dell'architettura di raccontare la propria storia, riflettendo sulle sue forme, sulle caratteristiche, sui suoi fondamenti. Storia della moda e storia dell'architettura hanno molto in comune: si parla di oggetti che sono diventati memorie materiali, ciò che ha acquisito una funzione e un valore nella vita delle persone, e quindi diventa più di una semplice "cosa”. Raccontando la propria storia, questi oggetti testimoniano i cambiamenti nell'uso, mostrano i segni del passato e utilizzano queste
'ferite' come elementi fondamentali per riconsiderare la storia. La mostra "1914 Now. Four Perspectives on Fashion Curation", inaugurata a Spazio Punch, sull’isola della Giudecca, il 6 novembre, riflette sulla storia dal punto di vista del curatore. Alison Moloney, dal London College of Fashion, ha riunito quattro curatori, differenti sia per interessi personali che per campi di ricerca, chiedendo loro di pensare al vestire in relazione all'anno decisivo, il 1914. Sradicando la pratica curatoriale dal suo contesto naturale, i curatori hanno collaborato con dei registi per esplorare il loro lavoro all'interno del frame del video. Amy de la Haye e Katerina Athanasopoulou partono da un abito tè per esaminare agli albori della modernità. Judith Clark e James Norton usano 'il manifesto tecnico futurista' di Giacomo Balla per leggere il 'set' in cui la vita ha avuto luogo; Kaat Debo e Marie Schuller indagano le tensioni tra ornamento e modernità e la necessità della ‘nuovo’; Walter Van Beirendonck collabora con Bart Hess per reinterpretare il tipico elmo
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mostre - 1914 Now
scena del film Inculabuna di Marie Schuller
da guerra, leggendolo nella sua componente ironica. Il video è uno strumento 'creativo', nel senso che permette di creare un nuovo output pur tenendo insieme elementi ed estetiche che spesso vengono dal passato. Questi quattro video, anche se diversi per stile e direzione, sono tutti esempi di narrazione; e dei modi diversi in cui ci si può avvicinare alla curatela, vista come azione creativa. L’operazione curatoriale di Moloney, che mette insieme tutte queste diverse personalità con le loro differenze nelle poetiche e pratiche e le porta a collaborare, dimostra la necessità di trasformare la storia della moda in uno strumento non solo per rileggere la modernità, ma soprattutto per muoversi verso il futuro consci delle sue ragioni, radicate nel passato.
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D R R C
I F F E ANZA E M I SATA di Alessandro Carpitella
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Differanza remicsata è un'insieme confuso di funzioni ed errori, di famiglie e tipologie, di giochi e registri linguistici.
Differanza remicsata è un progetto
serissimo costruito su una
lettura superficiale e parziale di Deleuze e Derrida, Foucault e Baudrillard. A queste quattro linee si intersecano le linee di Topolino e dei Puffi, del modello addittivo RGB e del modello sottrattivo CMYK; e ancora, la lotta operaia italiana e il maggio francese, le armature dei tessuti e gli errori di questi.
Per le seguenti immagini è stato richiesto a Piergiorgio Goglione, Lavinia Nasoni e Giulia Visentin di essere serissimi. Alessio Costantino, da bravo fotografo, ha saputo catturare le loro espressioni peggiori.
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Differanza Remicsata
Differanza remicsata non è un progetto serissimo.
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Differanza Remicsata
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FA S H AT IUAV
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HION 2015 61
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Fashion at IUAV 2015
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FASHION AT IUAV 2015 si presenta come una piattaforma critica e multilingue. Riesce a conciliare ventiquattro ore di discussioni, relazioni, interviste e riflessioni, con una parte prettamente performativa e dimostrativa, mettendo in scena gli abiti degli studenti del corso triennale e magistrale di design della moda. Il tutto, nella cornice d’origine dello IUAV, Venezia. La moda lascia Treviso (Treviso perde la moda) e va a costituire un polo coeso e multidisciplinare che unisce architettura, arti multimediali e design industriale. Il costante tentativo di Maria Luisa Frisa, direttrice del corso di laurea in Design della Moda, di leggere la moda come dispositivo culturale e visuale di valenza storica e contemporanea si esplica, in quest’occasione, nell’iniziativa “L’Italia è di moda” che apre il ciclo di due giornate destinate al progetto FASHION AT IUAV 2015. Con la collaborazione di Rivista Studio, testata d’attualità e cultura con uno sguardo sempre attento alla moda e alle sue declinazioni differenti, e in prima persona del suo direttore Federico Sarica, “L’Italia è di moda” interpella imprenditori, designer, curatori, critici, giornalisti, blogger riuscendo a costruire uno spazio multiforme dove i diversi argomenti e protagonisti si alternano senza storpiare mai. fotografia Filippo Dalla Tor, Cristian Dorme, Caterina De Zottis, Giacomo Cosua, Luca Palmer, Marco Forlin, Tobia Piatto
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Così, con tacita semplicità, s’intervallano editor e giornalisti come Gianluca Cantaro e Angelo Flaccavento e industriali quali Renzo Rosso e Matteo Marzotto. Il tema centrale non può che essere l’Italia e la sua industria creativa, il made in Italy, la cultura della moda (dimenticata, o mai avuta?) del nostro paese, le istituzioni che possono e devono investire sul sistema, il rapporto moda e museo, l’importanza della filiera tessile e dello spazio di archivio come eredità identitaria. La sede in cui si svolge la rassegna è i Tolentini. Tra dibattiti, progetti e immagini si svolge una giornata intera, anche in notturna con un workshop di scrittura tenuto da Simone Sbarbati (fondatore di Frizzifrizzi), con le proiezioni di lungometraggi prodotti dalla Fondazione PITTI, istituto LUCE Cinecittà e IUAV e con un intervento performativo, curato da Maria Bonifacic, insieme con altre due scuole italiane, lo IED moda e L’Accademia del Costume e della Moda di Roma, in cui gli abiti degli studenti fanno da protagonisti. Il secondo giorno culmina con le sfilate degli studenti del corso triennale e magistrale IUAV. Per il decennale del dipartimento di Design della Moda l’Università decide si svelarsi nella sua interezza: ogni anno accademico presenta i suoi progetti più interessanti con il risultato di accompagnare l’osservatore per più
di un’ora di spettacolo continuativo. Nell’atipica cornice dell’area degli ex Magazzini Frigoriferi in una Venezia ancora poco Venezia (è raggiungibile in macchina), zona decentrata e perlopiù militare, tra Santa Marta e San Basilio, in un appezzamento di terreno per l’occasione animato, va in scena una seriale quanto completa successione di collezioni di abiti e accessori curata da Fabio Quaranta, Arthur Arbesser, Veronika AllmayerBeck, Michel Bergamo, Cristina Zamagni e Paulo Andersson.
parole Simone Rossi
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per vedere il video completo e tutte le foto della sfilata collegati al nostro canale YouTube: UniversitĂ Iuav di Venezia o alla nostra pagina facebook: IUAV Design della Moda
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N O T T H A T FUNNY GAMES di Alberto Panozzo
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Not That Funny Games
Design e Styling Alberto Panozzo Fotografia Sara Ceradini Modelli Alberto Groja Alberto Carraro
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Escono di casa per uccidere, in giacca e camicia rigorosamente bianca, non si sporcano, tutto fatto con molta raffinatezza, sobrietà e leggerezza. In modo sottile, si vuole parlare di due realtà opposte, del consapevole e inconsapevole, di precisione e imprecisione.La collezione vuole restituire l’immagine di un ragazzo composto, di una certa sartorialità “sporcata” da elementi come il taglio vivo, l’oversize, accorgimenti portati a volte all’esasperazione, un solo capo macchiato di rosso, il resto impeccabilmente bianco e nero.
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Not That Funny Games
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VALE LA PENA
“Rimanere in segreto adolescenti” GIULIA ROMAN
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Abbiamo parlato con Marco Rambaldi, ex-studente IUAV e vincitore di Next Generation 2013, che rispondendo a poche semplici domande ci racconta come contunua la sua vita da designer dopo l’Università .
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intervista di Sara Ceradini collage di Diletta Albertini
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Marco Rambaldi Come ti descrivi in 3 parole Pigro, curioso, egocentrico.
Cosa vuol dire lanciare il proprio marchio oggi? Oggi molto probabilmente vuol dire fare una cazzata. Ma può voler dire rischiare, crescere, credere nei propri sogni e tentare in tutti i modi di realizzarli per sentirsi realizzati.
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Cos’hai studiato prima di moda? Grafica e Design del Prodotto. Come giudichi questa scelta? Errore o valore aggiunto? La moda si nutre di tutto, attinge sicuramente moltissimo dal mondo dell’arte, del cinema, dell’architettura, ma anche dall’attualità e dalla spazzatura. La moda trasforma, dà spesso nuova vita a ciò che già esiste. Per questo motivo un designer oggi necessita di un’apertura mentale a 360 gradi. Sicuramente valore aggiunto.
La tua moda? La mia moda segue un percorso legato alle esperienze, ai momenti, alla cultura. Sono curioso, attratto da nuovi input, che si riflettono poi sul mio lavoro. Senza una storia, un ragionamento, un messaggio da comunicare, gli abiti restano solo abiti e la moda non esisterebbe. Il design è pragmatico, gli abiti si sviluppano in forme apparentemente semplici, sono poi l’utilizzo dei materiali, dei colori e delle stampe e gli accostamenti contrastanti a caricarli di un valore aggiunto. La mia musa è consapevole del proprio vestire, sofisticata, curiosa e mai scontata.
Come descrivi gli anni allo Iuav in 3 parole Intensi, divertenti, indimenticabili. Hai cominciato due anni fa vincendo un concorso che ti ha “aperto la strada” (Next Generation 2013), com’è adesso due anni dopo? Molto normale rispetto a quanto ci si possa immaginare dall’esterno. Lanciare una o due capsule collection non significa essere avviato. Ho deciso quindi di aspettare a lanciare il mio brand per darmi tempo e imparare ciò che mi serve. Sto quindi facendo esperienza nell’ufficio stile di Dolce & Gabbana, un brand per il quale non avrei mai pensato di lavorare. Ma per ora va bene così.
Giovani Avi, collezione A/W 2015 foto Sofia Sganzetta modella Carlotta Racchetti Oui, collezione S/S 2015 foto Paolo Colaiocco modella Ilaria Casalini
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intervista - Marco Rambaldi
Giovani Avi AW 2015 collection
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intervista - Marco Rambaldi
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La tua progettazione è cambiata una volta uscito dall’ambiente universitario? Se si, come? L’università ti offre le basi che ti servono per iniziare a capire quello che puoi fare. Ti spiega le strade che puoi prendere, che è molto importante. Tutto quello che viene dopo spetta a te, di conseguenza anche il modo di pensare e di progettare cambiano, si sviluppano e migliorano. Crescono con te. Progetti futuri? Sogno di costruire intorno a me un nucleo di persone con cui lavorare e condividere una visione, facendo in modo che le mie collezioni diventino un piccolo trait-d’union tra vari ambiti artistici.
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Oui SS 2015 collection
intervista - Marco Rambaldi
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PUNK ETTE WE
ARE
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PROSTITUTES di Federico Cassani
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Design e Styling Federico Cassani Fotografia Federico Cassani Modelli Denis Micheli
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Punkette - We are all prostitutes
È una riflessione sul punk. È un nuovo immaginario. Nel ‘77 nasce una rivoluzione che è un diorama, in anticipo di dieci anni. Si scardina questo vincolo, i ragazzi incazzati hanno i volumi degli anni Settanta. E se i ragazzi incazzati prendevano il brutto e lo trasformavano nel loro bello, qui si ha la volontà di una ricerca di tessuti “cheap” che si cerca di far diventare elemento forte. La fisicità ha avuto un ruolo fondamentale nella progettazione della capsule collection; è il ragazzo magro, magro da incutere timore, il destinatario. Punk non è quello che pensiamo e ricordiamo, è un atteggiamento. La verginità come valore. La verginità come rivoluzione.
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Punkette - We are all prostitutes
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L’esperienza di Maurizio Altieri e il problema della comunicazione
parole Alessandro Carpitella
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IL PROBLEMA DELL’ARCHIVIO Frammenti di shooting nelle riviste che passano da VOGUE a riviste indipendenti; inserti con interviste al designer; mostre temporanee dislocate in musei e gallerie; immagini e videoregistrazioni di passerelle più o meno importanti. E poi testi, autobiografie autentiche o fasulle, monografie, studi economici fino ad anche sociologici. Solitamente questi sono i riferimenti che formano l’Archivio di chi ha deciso di studiare un pezzo che riguarda il settore moda, soprattutto se vuole studiare il percorso di un designer o lo sviluppo di un brand. Anche di Carol Christian Poell, uno dei più enigmatici designer contemporanei assente dal 2010, è possibile oggi reperire online numerose interviste dei primi anni 2000. Michel Foucault ci ha insegnato che la composizione di un Archivio per arrivare almeno ad un Sapere parziale può essere molteplice, a volte anche contraddittoria. Solitamente è utile seguire l’asse del Significante e l’asse del Significato. In questo caso le dimensioni del Significato e del Significante, quindi di ciò che viene detto e di ciò che si vede, sono quasi assenti se la si vuole circoscrivere ad una fonte ufficiale diretta di Maurizio Altieri. È vero però che negli ultimi anni ci sono state due apparizioni su due riviste indipendenti, SOME / THINGS Magazine Chapter 04 e Style Zeitgeist Magazine, le quali, come è possibile intuire, ci hanno detto troppo poco. L’Archivio che è necessario costruire per parlare di Maurizio Altieri è quindi molto diverso da quello che solitamente viene usato. Le informazioni che si possono reperire online sono fotografie amatoriali e testimonianze di una nuova tipologia di testimone, l’utente anonimo contraddistinto da un nickname. Va da sé che la testimonianza è un post su una piattaforma virtuale, il forum. Chiunque può scrivere qualsiasi cosa, non c’è un controllo se non da parte degli altri utenti che possono notare contraddizioni o imprecisioni e quindi correggere l’utente. Questo tipo di informazione si inserisce dunque nella tipologia di informazione che caratterizza la parte dell’Archivio indicata alla dimensione del dire. È un tipo di informazione fugace, con un controllo relativo e con un’autenticità molto dubbia. É necessario quindi filtrare
a lato: Carpe Diem scarpa pelle/linoa laccio frontale
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Rifiutare le presentazioni rumorose. Rifiutare shooting, sfilate, interviste. Agli inizi del 2000 i designer di Carpe Diem, il collettivo fondato da Maurizio Altieri, hanno lavorato scegliendo la riservatezza come parola chiave, ai limiti della segretezza. Dalla zona industriale di Perugia, avvolti da un fascino esoterico, i prodotti di Altieri venivano appesi a ganci in un garage di Parigi e da qui partivano gli ordini internazionali dei buyer. Esclusivamente manodopera artigianale, nuove costruzioni che sembravano seguire l’eco di Mies van der Rohe e il suo « Less is more! ». Nessuna immagine, nessuna intervista, nessun comunicato stampa che precedesse il prodotto. Nessuna sovrapposizione, il tempo non veniva anticipato, l’immagine non sostituiva il reale. Cosa Carpe Diem abbia significato, un’immagine costruita da testimonianze come frammenti. Quali di questi sparsi nella rete sono però veri? Quali invece sono falsi? Che relazione c’è stata fra il lavoro di Altieri e le immagini e in che modo queste hanno iniziato a circolare dopo l’esplosione di internet (quindi ad esperienza Carpe Diem conclusa) ? E inoltre, è ripetibile un’esperienza del genere? In una realtà in scacco matto con la moltitudine del virtuale è possibile mantenere la riservatezza ed essere a modo nella moda evitando Instagram e Twitter? E ancora, che rapporto c’è fra la scomparsa dell’autore messa in atto da Maison Martin Margiela e quella forse ancora più radicale di Altieri? Si sono alimentati a vicenda o sono due focolai di resistenza indipendenti e autonomi? Un fenomeno di cui si parla ancora molto ma di cui non si è scritto ancora nulla.
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i commenti uno ad uno per costruire un puzzle più o meno esaustivo con le informazioni raccolte. Le testimonianze sotto forma di immagine che hanno iniziato a diffondersi sui vari blog e soprattutto sul forum di StyleZeitgeist, dal 2007, e su unwoven.org, dal 2012, sono da considerarsi come la seconda parte fondamentale della costituzione dell’Archivio. Queste formano la dimensione del vedere. Che tipo di immagini si possono incontrare in questi siti? Sono tutte autentiche? Ci sono falsi? La maggior parte sono fotografie agli oggetti, di conseguenza il controllo è immediato e c’è poco interesse a falsificare la fonte in quanto su queste piattaforme non c’è l’interesse della vendita. Gli oggetti fotografati sono quindi la testimonianza del lavoro prodotto e sono fondamenti per capire lo sviluppo del lavoro in base alla loro datazione. Un’altra categoria di immagini è quella che ritrae i designer del collettivo. Qui c’è poco spazio per i collaboratori, sono pressoché assenti Mariavittoria Sargentini, Luca Laurini, Maurizio Amadei, Alessia Righi Amante, Issey Fujita, Hiro Ito e gli altri che sono passati fra le file del collettivo. L’unico di cui si hanno la maggior parte delle immagini di quel periodo è Maurizio Altieri, catturato e pubblicato anche in foto che non riguardano il lavoro. Ascoltare e leggere le testimonianze, di qualsiasi tipo esse siano, è sempre un atto di fede. Così come ci fidiamo dalle parole scritte in un’intervista o delle immagini che troviamo nelle più autorevoli riviste di moda, così dobbiamo fidarci di queste fonti diverse in cui dire e vedere sono presenti sotto forma diversa. È lo stesso atto religioso ma con un feticcio diverso.
costruzioni diverse e composizioni diverse con la maglieria e col tessuto. È probabile che di questa sezione si occupasse soprattutto Luca Laurini, figlio di Adriano Ragni noto per la produzione di maglieria di altissima qualità per diversi marchi a Perugia. Intorno al 2002 è la volta di Linea e Sartoria introdotte per la prima volta a Colette, Parigi. Linea era basato su un sistema modulare 3x3: leggero/medio/ pesante, bianco/grigio/nero, sopra/centro/ sotto. Composto soprattutto da giacche tagliate a laser, pantaloni di cotone e studi sulla t-shirts. Sartoria invece seguiva maggiormente l’eco di Carpe Diem, un’estetica da Arte Povera di cose rotte, lavate e trattate. Per questa collezione però il cliente doveva viaggiare verso un garage di Parigi o a Perugia per essere fotografato digitalmente e misurato in modo da avere degli oggetti fatti a misura costruiti con pelli sepolte nel deserto dell’Afghanistan. Carpe Diem, L’MaltIERI, Linea e Sartoria erano le 4 collezioni collettivamente note come Continous Collections come ci fa sapere Waleed Khairzada in un intervento su Jcreport. Solitamente lo spazio principe in cui vengono esposti i prodotti della moda sono le passerelle in cui i capi vengono fatti sfilare sulle modelle. Come già anticipato, il collettivo di Maurizio Altieri ha da sempre rifiutato di esporre in questo modo. Nel 2001 viene scelto un garage in una via vicino al canale St-Martin nell’est di Parigi. Dietro ad un’anonima porta metallica il garage trova nuova reincarnazione in uno showroom chiamato X18 - una combinazione tra l’arrondissement parigino e il numero della via. Uno spazio non troppo pulito, con capi appesi a dei ganci - cosa che diverrà un leitmotiv -, in cui era possibile trovare oggetti vari oltre a quelli di moda, da macchine da cucire ad ombrelli, quasi ad escludere la centralità e l’ossessione verso gli oggetti di moda. È questo inoltre uno dei due spazi in cui il cliente di Sartoria doveva recarsi. L’altro spazio di cui si hanno informazioni è lo show-room di Perugia, vicino al laboratorio. Questo spazio veniva chiamato Stanza nera. Nella Stanza nera l’unica fonte di illuminazione erano dei neon disposti in fila, la luce di questi veniva riflessa sul pavimento lucido. Qui i capi di Linea venivano disposti in piatto per terra.
CHE COSA Maurizio Altieri fonda Carpe Diem a Perugia nel 1996, dopo un’esperienza da Chrome Hearts. I primi oggetti prodotti sono di pelle, calzature, capispalla e camicie. È grazie a queste ultime che a Parigi si inizia a parlare di Carpe Diem, camicie di pelle lavabili in lavatrice grazie agli intensi lavaggi e trattamenti a cui erano sottoposti gli oggetti prodotti. Intorno al 2000 il collettivo inizia a produrre L’MaltIERI, dedicata alla maglieria e all’abbigliamento. Qui si sono sperimentate
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Oltre a questi spazi che hanno avuto la funzione di essere gli showroom per gli oggetti delle Continous Collections, Maurizio Altieri ne ha usati di altri dopo la fine di Carpe Diem e delle altre linee. È controversa la data precisa in cui l’esperienza del collettivo sia finita, si può dire che essa sia avvenuta intorno al 2006. Negli anni successivi molti dei designer che hanno lavorato per Maurizio Altieri hanno fondato i propri brand. Luca Laurini ad esempio nel 2007 ha presentato Label Under Construction, Maurizio Amadei il suo m.a+ e Mariavittoria Sargentini il suo Marvielab. Dopo un periodo di pausa Maurizio Altieri presenta Avantindietro. Questo nuovo progetto è utile per capire ancora una volta l’utilizzo che Maurizio Altieri fa degli spazi. Rosy Lazzari, buyer e proprietaria del negozio Lazzari di Treviso, racconta infatti di come sia stata una delle presentazioni che più l’hanno colpita. Un furgone sotto ad un ponte di Parigi, con gli oggetti appesi lì e i cartamodelli stesi per terra. L’unica forma di invito, un messaggio al cellulare di Maurizio Altieri ai buyer afficionados. Dopo due collezioni di Avantindietro Maurizio Altieri decide di interrompere il progetto per continuare a lavorare su di uno di cui giravano solo voci di corridoio tra i compratori e gli addetti ai lavoratori. Nel 2012 presenta prima a Tokyo e poi al Dover Street Market di Londra il progetto m_moriabc. m_moriabc è una serie di scarpe, costruite con Horween cordovan e cucitura norvegese Goodyear in Italia da un piccolo gruppo di artigiani. La collezione è formata da 3 stili di forma nominate A, B e C come suggerisce il nome. Il packaging anche questa volta è curatissimo, una scatola ad incastro senza nessuna cucitura o colla in cui un laccio passa attorno per tenerla chiusa. Al di là del prodotto ciò che è interessante è un’altra volta in modo in cui è presentata la serie. A Dover Street Market Altieri crea un’installazione che va dal tetto del negozio fino al basamento, dove si trovava la serie. Utilizza degli spazi inusuali, scomodi in cui solitamente non viene esposta la merce. Forse un sentimento di disagio nel vendere il proprio prodotto? O forse l’utilizzo di spazi affini al corpo umano può ricordare la ricerca fatta con Sartoria e Anatomica - progetto breve sullo studio del corpo umano -? Tutte le volte che Maurizio Altieri ha dovuto presentare un progetto, una collezione o una
serie ha deciso di deterritorializzare dallo spazio canonico usato nel sistema moda. Ha deciso di adattarlo, modificarlo o addirittura crearlo per fare in modo di renderlo parte del progetto stesso e non di trattarlo come una cosa a parte in modo asettico. SULL’IMMAGINE È singolare il rapporto che c’è stato fra la dimensione dell’immagine e il lavoro prodotto da Maurizio Altieri.
“Il signor Maurizio Altieri, titolare di Carpe Diem, non voleva nemmeno che le persone facessero le fotografie [nello showroom ndr.]”
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così racconta Orlando Milan, proprietario dello storico negozio di Padova Ivo Milan. Per comprendere più chiaramente i meccanismi che hanno portato Altieri in questa direzione occorra chiedere a chi ha potuto lavorare con lui. Mariavittoria Sargentini, designer di Marvielab ed attiva in Carpe Diem dal 2003 al 2006, ci dice che probabilmente non è stato premeditato il discorso sull’immagine, né è stato pensato a tavolino come strategia di marketing. Sempre Sargentini ci spiega come Maurizio Altieri non sia un designer che ha in mente l’intero progetto dall’inizio alla fine. Non considera l’intero percorso. Non può farlo perché fissa solamente un punto di partenza indicativo. Così allora si siede con l’artigiano e rimane con lui ore suggerendogli modi diversi di lavorare, modi diversi da tentare e direzioni in cui sperimentare. Solo alla fine dell’intero processo è possibile percorre i vari passaggi di questo divenire per trovare il filo rosso che li lega. La stessa indole è stata applicata alla dimensione della comunicazione. Maurizio Altieri non è mai riuscito a fissare un modo per comunicare il proprio lavoro, un modo per fotografarlo ed anche un modo univoco in cui presentarlo, come abbiamo visto. Ovviamente riviste patinate come Vogue non sono mai state prese in considerazione, Maurizio Altieri è consapevole di fare un lavoro lontano dal territorio comune della moda. È importante ricordarsi però che tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio riviste indipendenti a cui Altieri avrebbe potuto affacciarsi come A Magazine erano già sature di pubblicazioni su Helmut Lang o Maison Martin Margiela; il fenomeno Carpe Diem
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era ancora una realtà troppo piccola. Altre piattaforme più personali e private come Facebook, Twitter o Instagram sono un mezzo recente ma è facile immaginare che Maurizio Altieri sarebbe stato alla larga anche da esse visto l’uso che ne viene fatto, nettamente in contrasto coi suoi modi espressivi. Jean Baudrillard ci ha mostrato quanto pericolose possono essere le immagini dalle quali siamo circondati, nelle quali siamo continuamente immersi. Per Baudrillard il reale diventa una somma di finzioni la caverna platonica - e l’immagine, in modo paradossale, diventa autonoma e autoreferenziale e non più l’immagine di qualcosa. Va da sé che non si verifica solamente un dominio dell’immagine o della messa in scena sulla realtà, si verifica la scomparsa stessa della reale o, come dice Baudrillard in Il delitto perfetto, “l’uccisione della realtà”. Omicidio messo in atto tanto dalle immagini quanto dalla televisione e gli altri media. In questa direzione è possibile quindi affermare che il lavoro prodotto da Maurizio Altieri, passando da Carpe Diem fino a m_moriabc, non ha permesso alle immagini di sovrapporsi al prodotto in sé, non ha permesso alle immagini di sovrapporsi al reale. Oggi a noi è indifferente che ciò non sia stato premeditato e che non ci sia stata una consapevolezza, noi raccogliamo i frutti di questo lavoro e il risultato di esso è una tensione in direzione contraria rispetto al mondo moda. Forse per Maurizio Altieri allora è giusto e non grossolano parlare di anti-moda, un anti- moda che neppure Carol Christian Poell o i giapponesi sono riusciti a mettere in atto con il loro lavoro. C’è da considerare che fissare come concetto il binomio “anti-moda” significa escludere il lavoro di Maurizio Altieri dai territori anche limitrofi alla moda. I suoi prodotti sono stati venduti negli stessi spazi che ospitano ed hanno ospitato brand che appartengono a pieno titolo all’universo “moda”. Un universo in cui è possibile riconoscere un lavoro che tende sempre a lavorare sui propri limiti. Forse sarebbe più appropriato quindi parlare del lavoro di Maurizio Altieri come di un lavoro di confine, un lavoro che ha e ha cercato di svolgersi sul perimetro di ciò che è definito come moda, un lavoro sui limiti del sistema con soluzioni al di là e al di qua di questa.
DELLE INVISIBILITÀ Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 Maison Martin Margiela ha introdotto un approccio da semiologo nel discorso della moda. Così come per Maurizio Altieri, anche per MMM l’immagine e i modi di espressione sono stati punto fondamentale di riflessione. In questa sezione cercherò di capire quali linee dei due brand sono passate sullo stesso percorso e quali invece sono passate in direzione addirittura opposta. Nicoletta Giusti nel saggio Appunti su moda e creatività: Il caso di Maison Martin Margiela parla di culto dell’invisibilità come filosofia di vita per Martin Margiela e per tutto il suo staff. Ane Lynge-Jorlén aggiunge, in un intervento su Vestoj, che già dalla prima collezione del 1988 Martin Margiela ha evitato tanto la pubblicità quanto farsi fotografare. Il branding di MMM, dunque la produzione di un valore narrativo al di là di quello materiale, è inestricabilmente legato alla chiusura verso i media. Fino a qui si può affermare che MMM e Maurizio Altieri abbiano percorso una strada simile, cosa li differenzia sta però nel modo di presentare il lavoro. MMM ha accettato di partecipare a quei rituali, che come ci ricorda Bourdieu, permettono ad un brand di creare il mito ed instaurare un patto di partecipazione col pubblico. Maurizio Altieri ha preparato il garage X18 a Parigi e le installazioni a San Martino in campo, fuori Perugia - come ricorda Orlando Milan - in luoghi probabilmente nemmeno abitabili, escludendo il più possibile i curiosi; MMM ha usato manichini grandezza uomo (A/W 98-99), modelli amatoriali, la strada come passerella (“Semi- couture” S/S 97), abiti per coprire i volti (A/W 95/96). Ed ancora, ha rilasciato interviste - sebbene non abbia mai parlato in prima persona ma sempre al plurale - ha prodotto spazi monomarca, accessori e più tardi anche fragranze. Se per Maurizio Altieri è possibile parlare di anti-moda o di una moda sul limite è anche grazie alla definizione di Chris Dercon in Fasion like the dark side of the moon: the Moon ray in cui definisce il lavoro di Margiela come meta-moda, trattandosi infatti di moda sulla moda - sia sul prodotto che sul sistema. Anche Ane Lynge-Jorlén sositene che MMM non sia anti-moda in quanto non si oppone alla moda. MMM rende la costruzione dei capi esplicita e attraverso la decostruzione
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pur sempre di oggetti di consumo, anche l’eccessiva purezza non è la strada migliore da inseguire perché per essere diffusa essa ha bisogno di canali in cui essere comunicata.
è offerta un’astrazione della moda come sistema. D’altro canto invece i prodotti di Maurizio Altieri sono e sono stati contraddistinti da una complessità poco apparente e per comprenderne i passaggi occorre tutt’ora chiedere a qualcuno che ha avuto contatti direttamente con lui. Analizzato il lavoro di queste due figure centrali nel discorso della moda recente, è necessario chiedersi quale dei due percorsi sia stato quello più virtuoso, quale dei due approcci abbia ottenuto risultati migliori e incisivi. Nel 2002 MMM viene venduta al gruppo Only The Brave di Renzo Rosso, e intorno al 2007 MMM rimane orfana del proprio padre fantasma. Oggi le collezioni di MMM ricevono critiche contrastanti, non vi è più lo stesso entusiasmo di quando Martin Margiela era presente e si ha sempre più l’impressione che tutta la narrativa del marchio sia solo una strategia di marketing diversa, lontana dalla purezza e dall’onestà del primi anni. Sembra che ciò discrediti l’operato di Martin Margiela ma io credo che invece sia stato un passaggio obbligato. Quanto tempo serve perché la mancanza di identità diventi un’identità stessa? È stato necessario per Martin Margiela vendere la propria Masion, vendere quel modo espressivo che è diventato nel tempo ciò che metteva in discussione. Il risultato è che oggi si parla e ci si continua ad interrogare su MMM. Ci sono pubblicazioni di continuo, esiste un archivio ricco su cui lavorare. Su Maurizio Altieri niente. Non se ne è mai parlato, neppure in pubblicazioni che riguardano il lavoro artigianale dei nuovi designer italiani - in cui viene citata invece la collaboratrice Mariavittoria Sargentini -. L’unico territorio in cui si sente la necessità di parlarne è quello dei vecchi ammiratori che cercano di ricostruire indipendentemente il suo lavoro. Non siamo ancora in grado di definire l’importanza di Carpe Diem all’interno della moda italiana, non siamo ancora in grado di riconoscerlo come forse l’ultima rivoluzione della moda italiana ed anche europea - molti sono i brand che hanno imitato il suo atteggiamento -. Questo perché Maurizio Altieri stesso non l’ha permesso sia sparendo e tagliano i contatti anche coi buyer storici, sia perché non è stato in grado di capire quello che egli stesso stava facendo. Forse, trattandosi
EREDITÀ O CONSEGUENZE
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Pensando a quello che è stato Carpe Diem e al significato che ha avuto il lavoro di Maurizio Altieri, i designer contemporanei dovrebbero porsi delle domande sul proprio operato. Oggi le nuove piattaforme di comunicazione istantanea nate con la diffusione di internet permettono sia alle grandi case di moda sia ai designer indipendenti di pubblicare e diffondere il proprio lavoro appena è pronto. Quasi ogni casa di moda e designer singoli oggi ha un profilo su Instagram, Twitter e ovviamente Facebook. È possibile ancora cercare di seguire una via silenziosa, immersi come siamo in questo strato di iperrealtà? Come dare però allo stesso tempo valore ed eco al proprio operato senza rischiare l’ostracismo dal territorio moda? Deterritorializzarsi è una via ma essere allontanati non funziona allo stesso modo come abbiamo visto col caso di Altieri. I nuovi progettisti dovrebbero urlare. Stare zitti sull’ web 2.0 non permette di avere visibilità, non permette di avere un riconoscimento. È doveroso un compromesso fra la purezza ed il mercato. È necessario filtrare le offerte che vengono fatte, capire quando essere presenti e quando invece è preferibile un’assenza. Maurizio Altieri ci ha mostrato quali sono le conseguenze di un purismo ossessivo e noi da eredi di questo messaggio dobbiamo capirne i limiti. Ciò non vuol dire mancare di purezza, vuol dire distendersi su di un territorio più ampio per poter regalare il tempo al nostro lavoro
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A C C E S S O R I
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Due progetti a cura di
Sara Trame Micol Bano
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In-mischiare Sara Trame
Design e Styling Sara Trame Fotografia Sara Trame
accessori
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Modella Martina Cavalet
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accessori - In - mischiare
Due mondi apparentemente così lontani, il grezzo gioco del rugby ed il raffinato immaginario dei film di Was Anderson. Essi però non presentano solo divergenze ma anche punti in comune, come le regole, l’ironia e la simmetria. Un analisi delle protezioni prevalentemente morbide usate per questo sport sono messe a confronto con quelle rigide utilizzate nel football americano portando ad un utilizzo di materiali opposti, strutture tridimensionali in tubi di rame alle quali le “pareti” di pelle sono legate a mano. 101
Dino Loves Cake
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Micol Bano
A sessantacinque milioni di anni dalla loro estinzione, i dinosauri, ritornano famelici per una festa di compleanno e divorano tutti i dolci che trovano. Come in “Un viaggio al centro della terra� di Jules Verne sono rimasti in vita in un mondo sotterraneo a noi sconosciuto sono stati riportati in vita da frammenti di dna per qualche pericoloso parco divertimenti. In questa collezione ho reinterpretato forme e texture dei dinosauri in chiave ironica. Denti, squame, artigli e creste diventano si trasformano in ricami di paiette, texture colorate, code di plastica e perline. Design Micol Bano Fotografia Simona Saggion Modello Dino
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accessori - Dino Loves Cake
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VALE LA PENA
“Stare da soli” SOFIA PRANDONI
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Bellissima L’Italia dell’alta moda. 1945-1968
parole Marta Franceschini fotografia Musacchio&Ianniello Luca Palmer
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Bellissima. Un’espressione, un’esclamazione: chiara e puntuale, ma che ancora nasconde qualche significato nascosto dietro questa apparente comprensibilità. Luchino Visconti ha usato questa parola come titolo per uno dei suoi film interpretati dalla bellezza tutt’altroche-chiara e complessa di Anna Magnani. Nessun dubbio che sia il titolo giusto per una mostra che celebra la moda italiana tra il 1945 e il 1968, tenendo insieme la complessità di un periodo e di una pratica. La mostra ‘Bellissima. L’Italia dell’Alta Moda 1945-1968‘ è centrale per molte ragioni: mette in mostra circa 80 pezzi citando tutti i nomi delle firme che hanno fatto la storia della moda in Italia; dà un assaggio dello stile di un periodo, con video originali e riviste accanto
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mostre - Bellissima
agli abiti e agli accessori; riesce a portare la moda in un tempio dell’arte contemporanea, mettendo i due in un dialogo maturo; serve come occasione per la cultura italiana di affermare - o forse finalmente di capire - che la moda merita di essere analizzata più a fondo, sottolineando la necessità di celebrare la moda non come arte applicata, ma come disciplina per se. Il percorso è suddiviso in otto sezioni, e raccoglie dagli abiti da cocktail a ensemble da giorno, dal bianco e nero a stampe grafiche e psichedeliche, dai costumi cinematografici alle collaborazioni sperimentali tra artisti e designer, e definisce il ventennio in tutte la sue principali caratteristiche. L’operazione curatoriale realizzata da Maria Luisa Frisa, Stefano Tonchi e Anna Mattirolo può essere definita ‘narrazione critica’; raccontando la storia del periodo che fissa l’identità sociale e culturale italiana, quello che succede nella seconda guerra mondiale, i curatori sono riusciti a trovare e spiegare le vere radici della moda italiana: una sintesi raffinata di design intelligente, grande gusto e sensibilità, tecnica impeccabile e
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superbo savoir-faire: un momento in cui l’italiano ha iniziato a diventare uno dei linguaggi della moda. L’allestimento della mostra ricrea una sorta di nastro trasportatore, che funge da ‘passerella’ per i vestiti esposti. L’effetto è straniante: mentre sia il setting sia il museo stesso ricordano il topos della fabbrica, i vestiti ci trasportano in un passato fatto di scintillio, esclusività, lusso. Il divario tra queste due sensazioni può essere spiegato guardando direttamente alla storia della moda italiana: una storia fortemente legata - per non dire dipendente - alle realtà industriali locali, sinonimi di eccellenza sia nella produzione che nella comprensione del ritmo veloce dei cambiamenti, spesso inspiegabili, che occorrono nella pratica del design. Il concetto di lusso si basa più sulla precisione della fabbricazione che sull’immagine, che nel complesso è ordinata e pulita, a volte anche pudica, lontana dagli eccessi frivoli dell’Haute Couture francese. Questa idea di lusso impeccabilmente modesto è sintetizzata da alcuni dei capi principali della mostra: i pezzi di Mila Schon nel suo famoso tessuto ‘double’, sviluppato in collaborazione con Agnona; pezzi ‘solidi’, dal design basico, la cui semplicità moderna li rende senza tempo.
Bellissima si è svolta al museo Maxxi di Roma dal 2 dicembre 2014 al 3 maggio 2015. Si sposterà nella Villa Reale di Monza dal 24 ottobre 2015 al 10 gennaio 2016.
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mostre - Bellissima
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F L AW LESS un progetto a cura di Giulio Polverelli Federico Folladore Lorenzo Fabbian Alberto Ruvoletto 114
Design e Styling Giulio Polverelli Federico Folladore Lorenzo Fabbian Alberto Ruvoletto Fotografia Giulia Fassina Modelli Giulia Visentin Arianna Spada gelmelli Rios Morgan Andreatta
Flawless
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Flawless è un progetto fotografico che nasce più che da un’idea da un’esigenza comune, quella di concretizzare e tentare di unificare una realtà di provincia americana, dandogli forma attraverso la noia ed il tedio di un gruppo di ragazzi in fase adolescenziale che passano le loro giornate a bordo piscina e nei locali dei boulevard di Los Angeles senza un fine ultimo, dimensione che prende forma attraverso i loro sguardi che si vanificano nel vuoto e la totale incomunicabilità con l’ambiente circostante che li rende “beckettianamente” asettici. In “Palo Alto Stories” Gia Coppola racconta le vicende di un gruppo di ragazzi nella città americana di Palo Alto e la loro continua lotta contro il fluire del tempo a colpi di bravate, di sesso o ciò che ne deriva, di malinconia e di droghe leggere. L’intuizione storica è quella di attualizzare una realtà che può benissimo traslare sé stessa in qualsiasi cittadina campagnola ed isolata nel mondo, questo fil rouge che accomuna la noia provinciale di qualsiasi adolescenza
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vissuta in un paese rurale ci ha tanto affascinato quanto ispirato. La scelta di collocare il servizio e le relative operazioni di styling e di postproduzione fotografica nei ’70 ci ha permesso di avere una libertà maggiore in termini di storytelling poiché quello che a noi è interessato è la ripresa di un iconografia visiva data da volti giovani, scavati e da fisici asciutti di adolescenti. La scenografia e la fotografia volevano essere il connubio virtuale dalle fotografie di Mark Bortwick , il lavoro “A period of juvenile prosperity” di Mike Brodie “Polaroid Kidd” e dai servizi di Another Man “Some lost bliss” creditato da Alastair McLellan alla fotografia e Alister Mackie styling e Another Man issue 17: Ezra Miller’s Playlist, creditato da Willy Vanderperre alla fotografia e Alister Mackie styling. Da qui deriva la scelta di creare uno scenario visivo che si divida in ambienti interni ed esterni con l’utilizzo di macchine digitali e analogiche.
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Un progetto fotografico di
Simone Rossi
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Si ritraggono degli anziani, si mettono vicino a dei giovani, anzi a dei giovanissimi. Li si immortala nei momenti di gioco, che presto diventano pomeriggi di riposo. Nelle ore di ozio, tendenti al blu, di calma azione, a Venezia.
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fotografia - VENEZIA
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“Liberare la mente” ALESSIO DALLA VILLA
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CELIA ARIAS Intervista a una stylist intervista e illustrazione di Sofia Prandoni
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Nome Lady G
Cosa vuoi dire con il tuo proprio stile? Hai qualche messaggio? Mi piace che l’outfit mi metta a mio agio. Suppongo sia per la maggior parte del tempo felice, divertente e sexy. Mi piace tradurre differenti epoche o tradizioni e folklori, ma solo con qualche piccolo tocco. Non credo di seguire uno stile specifico e non mi piace essere catalogata tra un gruppo di stereotipi. Chiedo in prestito da qualsiasi cosa veda e mi piaccia. Non voglio fermare in alcun modo la mia voglia di provare qualsiasi cosa, quindi se mi piace lo provo.
Nome anagrafico Celia Arias Età 31 Come stai? Sono una “iperpensatrice”, perciò nella mia testa c’è sempre qualcosa. Non c’è tempo per la noia. Dove sei? Bristol, UK. A Londra nel resto del tempo.
Amore o desiderio Le due insieme. È più divertente.
Cosa fai nella vita? Sono una designer/stylist. Ho lanciato un pop-up shop a Bristol con altri designer locali. Sono anche un’artista, quando trovo il tempo mi piace creare opere d’arte provocative, e quando posso faccio ridere la gente con le mie installazioni multimediali.
Immagine o testo Entrambi. Parole-chiave Libertà, sovversione, pensiero, gioco, risveglio, alba, cambiamento, spirito, potere, condivisione, amore, credere, esplorare.
Qual è la tua routine Ogni giorno è diverso ma questo è quello che farò domani: sveglia, frullato, e-mail, doccia, mi vesto, ufficio, cucire, ufficio postale, commissioni, ancora e-mail, abbracci, letto.
Le tue muse Qualsiasi donna con potere, giovane o vecchia, libera, che fa quello che vuole. Mia madre. Il tuo posto preferito per passare il tempo Non è dove. È con chi.
La tua personalità Penso di essere una donna forte e impetuosa… Una sognatrice, severa ma giusta. Ragazzi o ragazze Entrambi ma selezionati :)
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la mia musa “Qualsiasi donna con potere, giovane o vecchia, libera, che fa quello che vuole. Mia madre.”
Il tuo colore Li uso tutti. Ma se devo scegliere: Ciliegia-Magenta. Canzone preferita SBTRKT _ Wildfire. Cosa ti spaventa La solitudine, il fallimento. Si tratta solo di… Estate con gli amici, outfit ben scelti, cibo salutare fatto da mani amorevoli, folklore, carnevali pagani, un grande sound system, relazioni, sexy jungle music, il vero amore.
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intervista - Celia Arias
Il tuo pezzo preferito del guardaroba Troppi per scegliere. O una tuta di Jeremy Scott, o un kimono o un tutù scintillante.
Il Tratto
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Il Tratto - Leonardo Cossu
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issue 1 settembre 2015
In copertina: Sofia Prandoni. In questa edizione: Valentina Stocco / Sara Peretti Gianluca Ferracin / Sara Bianchini / Alessandro Acciai Xheffri Londo / Marta Laurenti / Marta Franceschini Alessandro Carpitella / Simone Rossi / Alberto Panozzo Giulia Roman / Marco Rambaldi / Federico Cassani / Sara Trame Micol Bano / Sofia Prandoni / Giulio Polverelli / Lorenzo Fabbian Alberto Ruvoletto / Federico Folladore / Alessio Dalla Villa Leonardo Cossu