L’ACCOGLIENZA E MIGRANTI, PRATICHE DI RIPOPOLAMENTO
RIACE
di Chiara Sasso
C’è sempre, in questi paesi meridionali, una tenda bianca ricamata che separa i rumori che provengono da fuori: pomeriggio afoso. Ci sono sempre fichi d’india lungo strade tortuose che salgono dal mare fino alla parte alta del paese. Ci sono piante di limoni, di arance e ginestre, come in tutto il Mediterraneo. È insolita, invece, la storia costruita a Riace, paese medioevale, le case collegate da un labirinto di vicoli, gelsomini e piante grasse. Riace, piccolo centro della Locride, in Calabria, 2.238 abitanti (ISTAT 2016), negli ultimi anni si è imposto ai media grazie alla straordinaria trasformazione che il paese ha saputo vivere. In seguito alle prime grandi emigrazioni del Novecento (in America, Argentina), il paese ha conosciuto l’esodo degli anni Cinquanta, Sessanta verso le grandi fabbriche del nord, destinato dunque come molti altri comuni della zona ad un progressivo spopolamento. La rinascita del paese parte dalla volontà di un gruppo di giovani che rinuncia ad emigrare e fonda un’associazione: “Città Futura” dedicata non a caso a don Giuseppe Puglisi. Sarà l’associazione a recuperare l’anima di Riace e la sua storia, attraverso gli antichi mestieri, le tradizioni, come la raccolta della ginestra, la tessitura. A Riace è stato possibile costruire un ponte, fra antiche pratiche e i giovani che volevano conoscerle. Un'esigenza strana, all’inizio quasi osteggiata dagli anziani del paese che leggevano in quei mestieri povertà e tribolazioni. Un tempo ogni casa aveva un telaio, ora abbandonato, ora diventato supporto per il pollaio. Non c’era una economia sviluppata sulla tessitura della ginestra, nulla che potesse spiegare un interesse. Il tessere, raccontano, porta con sé una dimensione particolare: si tesse con la ginestra, con la canapa, con la lana, si tessono