Report di valutazione finale: l’analisi dei focus groups Guido Antonelli Costaggini1
"Lo scopo secondo me era di farci stare bene a scuola, di avere un luogo dove noi potevamo essere felici" (un bambino intervistato a Crotone)
La raccolta dei dati Per la raccolta e la registrazione delle informazioni valutative si sono svolti 31 focus group e 3 interviste individuali che hanno visto complessivamente coinvolti 318 partecipanti distinti in base allo schema seguente.
Distribuzione intervistati distinti per città 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0
16 10 10 54
8
7 66
2
44
41
39
21 Bari
Crotone
Milano alunni
Napoli
Scalea
Torino
docenti
Come si vede il target degli intervistati è rappresentativo sia dei principali gruppi di beneficiari (alunni/alunne e docenti)2 sia delle scuole partner del progetto3. Tutte le interviste si sono svolte tra il 19 maggio ed il 30 giugno 2016. Obiettivo conoscitivo delle interviste era quello di registrare le opinioni dei beneficiari del programma Fuoriclasse relativamente al raggiungimento dei macro obiettivi del programma che, si ricorda, erano: contrastare la dispersione scolastica; migliorare il benessere in classe e a scuola. 1
Del team di ricerca hanno fatto parte Daniela Abbrescia e Marco Pedretti che hanno svolto il ruolo di facilitatori nella conduzione dei focus groups ed hanno anche fornito indicazioni importanti per la decodifica dei contenuti raccolti. 2 Per Save the Children, da sempre, il rispetto di genere rappresenta una priorità fondamentale. Per questo nel presente documento, per semplificazione e sintesi, ci riferiamo genericamente ai beneficiari utilizzando il termine “bambini, ragazzi, alunni” come falsi neutri e cioè con riferimento sia al femminile che al maschile. 3 Non si tratta comunque di un campione statisticamente rappresentativo ma piuttosto di una rappresentanza rilevante dei diversi beneficiari. A questo proposito si ricorda che nell’anno scolastico 2015-2016, hanno partecipato al programma 11 Istituti Comprensivi (Bari, Crotone, Milano, Napoli, Scalea, Torino) e 34 classi (Bari, Milano, Torino), per un totale di 1940 minori e 235 docenti.
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L’analisi delle interviste Introduzione: le tre dimensioni d’analisi Nei paragrafi seguenti si riportano i risultati delle analisi delle interviste effettuate. Si sono utilizzate 3 dimensioni conoscitive principali per decodificare le informazioni raccolte, nel tentativo di restituire una lettura più agevole della complessità emersa dalle interviste stesse. Prima dimensione: la rappresentazione simbolica del programma Fuoriclasse Durante l’esecuzione dei focus group un primo obiettivo conoscitivo è stato quello di stimolare la memoria emotiva e cognitiva degli intervistati in riferimento alla loro partecipazione al programma Fuoriclasse. A questo scopo è stata utilizzata la tecnica della associazione di idee chiedendo agli intervistati quale fosse il primo pensiero che gli veniva in mente rispetto ad alcune parole stimolo. Questa serie di parole stimolo riguardavano tutti i diversi livelli di esecuzione del programma: dall’organizzazione madre Save the Children, alle singole azioni progettuali, passando per il team di formatori e formatrici. Il risultato di questa operazione è stato quello di ricostruire l’immaginario simbolico a cui i vari soggetti riconducevano l’esperienza della loro partecipazione a Fuoriclasse, producendo una prima fotografia dei risultati (tracce mnemoniche) raggiunti dal programma sui suoi beneficiari. In ottica valutativa ricostruire questa rappresentazione simbolica dell’intervento attraverso un processo deduttivo, ha consentito di arrivare, usando le parole degli intervistati, ad una descrizione sintetica ma efficace del programma Fuoriclasse definendone una cornice generale all’interno della quale riportare le valutazioni dei beneficiari. Attraverso questo processo esplicativo le informazioni raccolte risultano sia maggiormente decodificabili, sia più esaustive, agevolando così una più sensata comprensione delle opinioni espresse dagli intervistati in ottica di apprendimento valutativo e miglioramento del programma. Seconda dimensione: conoscenza e percezione del programma Fuoriclasse Questa seconda dimensione, come la prima, agiva sempre ad un livello generale del programma ed aveva lo scopo di capire quale fosse la percezione dei beneficiari sia rispetto alle modalità dell’intervento sia alle finalità generali dello stesso e quale fosse il loro livello di raggiungimento. Con questa seconda dimensione si entra quindi più nel merito dell’acquisizione di informazioni valutative mirate a misurare l’efficacia del programma in senso stretto, in quanto le informazioni ed opinioni ricondotte a questa dimensione sono direttamente collegate sia all’obbiettivo generale del programma sia alle modalità operative agite per raggiungerlo. All’interno di questa dimensione si collocano quindi le riflessioni degli intervistati relative a se e quale cambiamento abbia apportato o voleva apportare, dal loro punto di vista, il progetto nella vita scolastica degli alunni e nella relazione alunni-scuola4. Sono inoltre presi in considerazione, come indicatori di efficacia generale del programma, quegli aspetti della relazione educativa che caratterizzano l’approccio ai diritti. Questa scelta è dettata dalla considerazione che questi indicatori, misurando il livello interno di coerenza metodologica del progetto, ne misurano anche la sua tendenza all’efficacia generale, data la relazione che dovrebbe esserci tra un approccio educativo centrato sui diritti ed un miglioramento nella condizione generale di benessere scolastico degli alunni5. Infine, è sempre all’interno di questa dimensione che sono anche ricondotte le considerazioni e le opinioni sul sistema progetto così come è stato percepito nella sua totalità generica, come impressione di fondo che ha lasciato nei suoi partecipanti. In questo caso la ricostruzione di questa impressione generale non è più data da stimoli immediati alla memoria, come nel gioco di associazione di idee della dimensione precedente, ma da una narrazione più mediata e ragionata.
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La relazione alunni scuola è qui intesa in senso ampio sia come relazione alunni-mondo adulto, sia come relazione tra pari sia, infine, come relazione con la rappresentazione simbolica che i ragazzi intervistati hanno del loro essere studenti. 5 La logica sottostante a questa affermazione si basa sulla considerazione che far esercitare concretamente i diritti ad alunni ed alunne impatta positivamente sulla loro condizione di vita.
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Terza dimensione: le specifiche attività progettuali Mentre le due prime dimensioni descrivono lo sfondo valutativo del programma, con questa terza dimensione si entra nel merito delle specifiche azioni progettuali, andando a misurarne l’efficacia e fornendo indicazioni migliorative più dettagliate. Si chiude così il percorso di deduzione valutativa dal macro al micro entrando nel dettaglio di come abbiano funzionato le singole attività del programma (consigli consultivi, centro educativo, formazione docenti, etc) nel rispondere alle finalità progettuali. In linea generale sono qui ricondotte tutte le informazioni utili a valutare l’efficacia delle singole azioni progettuali, cercando inoltre di comprendere le motivazioni sottostanti alle valutazioni espresse. Quindi, in altri termini, il cosa è stato realizzato/raggiunto dal progetto, il come mai di questo livello di realizzazione e quanto lo stesso abbia soddisfatto o meno i beneficiari impattando sul loro benessere scolastico. Per questo motivo, avendo le singole città coinvolte nel programma svolto solo una parte delle azioni progettuali in base alle peculiari esigenze di contesto, questa terza dimensione si declina in modo diverso nelle differenti città/scuole. Questa dimensione è quella quantitativamente più ricca di informazioni per la molteplicità di azioni svolte ma, come già scritto in precedenza, le stesse informazioni acquistano un senso più ricco se ricondotte alla valutazione generale delle prime due dimensioni.
L’analisi delle tre dimensioni Prima dimensione: la rappresentazione simbolica del programma Fuoriclasse Come scritto nell’introduzione questa dimensione ricostruisce l’immaginario simbolico che il programma Fuoriclasse ha lasciato nei suoi partecipanti. L’attività con cui si compie questa operazione di ricostruzione è l’associazione di idee. I principali concetti emersi da questa operazione sono sintetizzabili in quattro parole chiave: ascolto, divertimento, aiuto e diritti, le stesse che saranno riprese anche nelle dimensioni successive proprio perché emergono come fili conduttori del processo valutativo. Ognuna di queste parole contiene e rimanda ad un insieme di impressioni mnemoniche individuali sul programma Fuoriclasse che, una volta ricomposte, spiegano in maniera molto chiara alcune rappresentazioni simboliche che i beneficiari hanno sviluppato sul programma stesso. Vediamo le singole parole nella loro ricostruzione: Ascolto: si sottolinea qui una specificità importante emersa da più intervistati perché evidenzia un tratto centrale della Pedagogia dei Diritti6, l’ascolto come esemplificativo di una modalità relazionale caratterizzata da collaborazione, rispetto, libertà d’espressione. Questi sono tutti tratti che esprimono massima coerenza tra il programma e l’approccio ai diritti che è di riferimento per Save the Children (D1, D3, M6, D7, M9, M12, D10)7. Si riscontra quindi, nelle parole degli intervistati, una percezione di un contesto progettuale all’interno del quale è sì possibile trovare ascolto, ma dove ci si sente anche presenti, protagonisti ed attivi e dove si vive anche l’opportunità di potere meglio conoscere i propri compagni e docenti proprio grazie al contesto relazionale creato dal programma. Il programma offre quindi la possibilità/occasione di fare nuove amicizie, di far conoscere e scoprire aspetti nuovi delle altre persone con cui si condivide l’esperienza scolastica. A questi elementi si aggiunge la possibilità che il programma offre di cambiare la scuola, di migliorarla, di viverla insieme ai compagni con modalità più partecipative ed inclusive (M3, D3, D5, D6, D7, M12, D8, D10). Divertimento: nelle parole delle persone intervistate torna spesso nell’associazione di idee il riferimento al divertimento. Questo link sottolinea come nella memoria immediata degli intervistati permanga una sensazione piacevole, un ricordo positivo collegato ad un modo di stare insieme durante il progetto caratterizzato dal sorriso, dal riso, da una leggerezza delle interazioni. Allo stesso tempo però, ed è fondamentale per la misurazione dell’efficacia del progetto, il divertimento è strettamente collegato a qualcosa di fattivo, di attivo, così come era emerso per l’ascolto. Il programma Fuoriclasse consente di agire positivamente nel cambiare la scuola e consente di farlo divertendosi (D3, M6, D5, M9, D8, D11).
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Con questa sigla si fa riferimento all’approccio educativo/formativo utilizzato da Save the Children. Questi codici identificano ognuno la trascrizione di un focus group, quindi rimandano alle informazioni in esso contenute.
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Aiuto: il programma Fuoriclasse determina condizioni di aiuto e sostegno per i ragazzi, le sue varie azioni supportano praticamente i ragazzi nel loro percorso scolastico, sia attraverso il miglioramento delle loro scuole grazie ai consigli consultivi, sia grazie alle attività di sostegno allo studio del centro educativo. Aiuto anche nell’espressione di se stessi con una ricaduta positiva sul rendimento scolastico (M2). Risulta interessante osservare come l’associazione studio-amicizia-divertimento che emerge soprattutto nelle descrizioni del centro educativo, sia un indicatore importante di riuscita nel migliorare il benessere scolastico, in quanto aiuta a creare un circolo virtuoso tra le principali componenti della vita di uno studente (D1, M1). L’aiuto a cui si fa riferimento non è però gratuito, nel senso che ha bisogno dell’impegno personale dei ragazzi, perché il programma offre percorsi che richiedono comunque una presenza fattiva e proattiva da parte degli alunni sia nello studio sia nella ricerca e soluzione dei problemi della scuola. Rimane l’idea di un intervento che ha come obiettivo il miglioramento della vita scolastica declinato anche attraverso l’aiuto che fornisce ai singoli ed alla scuola. Quello che traspare nelle interviste è una fiducia generale nella proposta educativa e formativa del Programma Fuoriclasse soprattutto da parte degli studenti, che evidenziano una volontà e a volte un bisogno di affidarsi alle persone del team (per i ragazzi del centro educativo per quanto riguarda i compiti, per i rappresentanti dei consigli consultivi nelle restituzioni, per i docenti nelle formazioni) (M2, D4, M10, M11, M16). Diritti (CRC): il rimando ai diritti emerge come un contenuto specifico associato in maniera trasversale a tutto il programma Fuoriclasse, ed è un dato interessante e che conforta rispetto al mandato istituzionale che ha Save the Children e quindi, a cascata, hanno anche i progetti che Save sostiene. In più interviste i ragazzi dichiarano che tra ciò che di nuovo hanno appreso vi è la scoperta dei loro diritti, sia come esistenza sia come quantità (“non pensavo di averne così tanti”). È importante anche come sia spesso associato dagli intervistati il concetto di dovere a quello di diritto, a ulteriore conferma di un percorso educativo formativo che collega l’esistenza dei diritti alle responsabilità individuali del loro esercizio e del rispetto dei diritti delle altre persone. (M2, M12, M14, D9, D10, D11).
Da questa prima dimensione emerge una valutazione assolutamente positiva del programma Fuoriclasse. Dalle risposte dei beneficiari si evidenzia come, nella loro memoria, sia rimasta un’immagine e percezione del programma non solo generalmente positiva (programma divertente e che aiuta nel percorso scolastico), ma caratterizzata da una serie di tratti che indicano nello specifico come questa positività sia il risultato del raggiungimento di obiettivi specifici del programma stesso (far sentire i ragazzi accolti, ascoltati e promuovere consapevolezza sui propri diritti e responsabilità). In altri termini l’immagine immediata che i ragazzi conservano del programma descrive una generale pre-condizione ottimale per il determinarsi di un contesto di benessere scolastico.
Seconda dimensione: conoscenza e percezione del programma Fuoriclasse All’interno di questa seconda dimensione sono analizzate le risposte ad una serie di domande finalizzate a comprendere in generale se e come il progetto stava agendo rispetto al raggiungimento del suo macro obiettivo: contrastare la dispersione scolastica attraverso il miglioramento del benessere a scuola. Come si vedrà nei paragrafi seguenti l’azione progettuale e il suo livello di efficacia sono condizionati fortemente in positivo dalle caratteristiche del modello di intervento educativo-formativo utilizzato dal programma Fuoriclasse: la Pedagogia dei Diritti. L’insieme complesso degli interventi, così come questi vengono descritti dalle parole degli intervistati, si caratterizza per essere un’azione centrata intorno ai due assi della CRC: protezione e partecipazione. Sviluppando azioni progettuali coerenti con la finalità di proteggere/curare gli alunni e di agevolare/stimolare una loro partecipazione responsabile e reale (ascolto e potere decisionale) alla vita scolastica, il programma di fatto migliora le condizioni di vita a scuola incrementando il benessere scolastico e quindi agendo indirettamente come deterrente alla dispersione. Non è però tutto e solo positivo il riscontro che proviene dalle interviste, ma si evidenziano anche una serie di criticità legate alla difficoltà di coinvolgere appieno tutti i soggetti della scuola. Sia i docenti verso i loro colleghi, sia gli alunni verso i loro 4
compagni segnalano come in più realtà il progetto sia bello ed efficace ma limitato ad un gruppo ristretto di beneficiari. Allo stesso modo risulta fondamentale curare gli aspetti comunicativi tra scuola e progetto che non sempre risultano efficaci, così come sarebbe importante evitare la ripetitività di alcune attività tra le due annualità del progetto che, a volte, portano a far diminuire interesse e attenzione. Nella prima parte dell’analisi di questa dimensione si useranno i due assi della CRC della partecipazione/ascolto e della protezione/cura come chiavi di decodifica delle informazioni valutative. Partecipazione/ascolto: dalle interviste emerge la percezione di un progetto che nello svolgere le sue attività risulta capace di coinvolgere, di non lasciare nessuno (o quasi nessuno) escluso dalle specifiche attività stesse (micro attività), fuori dai processi partecipativi. La partecipazione come un asse metodologico del progetto non solo all’interno dei consigli consultivi ma in tutte le attività del progetto. Il tema è quello del protagonismo che il progetto assegna, o cerca di assegnare, ai ragazzi e che è riconosciuto in più occasioni come un tratto di qualità del programma Fuoriclasse. In questo senso la partecipazione è intesa come protagonismo attivo sia nelle attività del progetto sia nei processi decisionali su alcuni aspetti della vita scolastica, ma è intesa anche come agente di crescita degli alunni, come modalità per essere più attivi, coinvolti e di conseguenza maturare. Altro aspetto fondamentale di questo protagonismo è l’ascolto, il progetto come luogo che è attento ed accogliente verso le parole dei partecipanti e che, inoltre, crea occasione di comunicazione rispettosa tra pari ma anche tra alunni e insegnanti e così aumenta i livelli percepiti dagli studenti della propria libertà espressiva: “dopo il progetto mi sento più libero di dire anche ai docenti cosa penso” (M3, M5, D7, M21). Il programma FC quando funziona impatta positivamente anche sul senso di responsabilità degli alunni verso la loro gestione della scuola (pulizia, rispetto delle cose, etc), così come sul senso di appartenenza non solo alla scuola ma anche ad una comunità di alunni che grazie al progetto si conosce meglio (in particolare grazie ai campi scuola interclasse mentre per i consigli consultivi la conoscenza è su “sottogruppi” di rappresentanti), ed è anche un percorso che consente un passaggio dall’egoismo individuale all’interesse collettivo, spiegato dai ragazzi come passaggio dal richiedere nei consigli consultivi soluzioni mirate alla singola classe a rispondere ad esigenze più generali e d’istituto (M6, D4, M8, D6). Rispetto alla specificità dell’ascolto per molti intervistati il team del progetto mostra una forte capacità di risultare disponibile, disposto all’ascolto, comunque bravo ed anche, elemento aggiuntivo fondamentale, disposto ad aiutare i ragazzi a far sperimentare e vivere loro un’esperienza di ascolto reciproco. Il team si mostra in grado di accogliere opinioni diverse dalla propria e tra loro, per metterle a confronto e poter costruire un ragionamento comune anche nella diversità. Colpisce, per la sua forza esplicativa, quanto dichiarato da un gruppo classe rispetto all’attenzione e all’ascolto ricevuti dal team di Fuoriclasse e di quanto sia bello che un’organizzazione che “sta in tutto il mondo” ascolti dei ragazzi (M3, M6, D5, M8, D7, M21). Fuoriclasse è quindi un programma che induce anche una riflessione costruttiva negli alunni sul ruolo attivo, propositivo e responsabile che loro possono svolgere all’interno della scuola, partecipando maggiormente alla vita scolastica intesa come parte integrante della loro crescita e non come corpo estraneo (D3, M6, D4). Protezione e cura: il team di educatori si mostra non solo capace di agevolare processi partecipativi ma è anche di cura verso gli alunni, in un atteggiamento protettivo verso alcune problematiche. I formatori mostrano una attenzione verso i ragazzi che porta gli intervistati a definirli quasi “come amici” e che viene tradotta in atteggiamenti di ascolto, di rispetto nella comunicazione e di pronta ricerca delle soluzioni davanti ai problemi che i ragazzi pongono loro, in definitiva un team di formatori e formatrici descritti come amici che aiutano a ragionare, a risolvere problemi e che ascoltano con, in aggiunta, un atteggiamento disponibile e volenteroso verso i ragazzi. Quello che qui traspare è l’aiuto come dimensione relazionale tra team ed alunni, aiuto che poi si declina in supporto fattivo, ascolto, ricerca di soluzioni condivise. Sulla risoluzione dei problemi un ruolo importante è svolto sia dal centro educativo (sostegno allo studio) sia dai consigli consultivi (miglioramento della scuola), come si vedrà più nel dettaglio nella terza dimensione. All’interno di questa dinamica risulta fondamentale per i ragazzi il non sentirsi giudicati, questa assenza di giudizio è in più casi raccontata come esperienza nuova rispetto al mondo degli adulti a scuola e non si 5
riferisce al giudizio/voto scolastico ma più in generale alle interazioni tra alunni e docenti. Il team del programma Fuoriclasse fa sperimentare all’interno della scuola una modalità relazionale rispettosa e di cura che molti alunni indicano come una bella novità nella loro vita da studenti (M2, D3, D7, M9, M10, M12). Interessante osservare come anche il mondo adulto dei docenti, quando si trova nel ruolo di beneficiari delle attività formative del team Fuoriclasse, esprima una valutazione del team indicandolo come competente, esperto e disponibile, evidenziando così come il tratto di cura competente agito dai formatori non sia rivolto solo agli alunni, ma denota un’attenzione generale alle persone in quanto tali (M20). La protezione e cura passa anche attraverso una modalità relazionale centrata sul divertimento, sul piacere nello svolgere insieme un percorso. Le parole degli intervistati evidenziano quindi come sia rilevante, se non addirittura centrale per la costruzione di una relazione educativa significativa, la dimensione del divertimento che di fatto è non solo presente in tutti i racconti fatti dai ragazzi, ma è spesso anche la principale o comunque tra le prime che riportano gli intervistati come aspetto positivo del progetto Fuoriclasse. Divertimento che è in più circostanze associato al gioco come attività che si fa tutti insieme e che può anche avere una valenza formativa/informativa e di apprendimento, la scoperta che si può imparare giocando (M2 D2, M3, D5, M9, M11). L’ultimo macro aspetto che rinforza la capacità di cura e protezione presente nelle attività del programma Fuoriclasse, rimanda ad alcune modalità relazionali dei team attraverso le quali gli alunni possono trovare una migliore condizione di vita scolastica, quali il non litigare, l’essere più amici, dare più spazio alla discussione e al confronto, essere più uniti e collaborativi. Tutte queste indicazioni sono decodifiche più semplici, e non a caso emergono soprattutto tra gli alunni delle primarie, di un’idea di relazione tra pari basata sul rispetto, sulla comprensione e sull’assunzione di responsabilità personali che sono concetti alla base dell’approccio ai diritti (D5, M9, M12). Anche la modalità adottata nella soluzione di un litigio nato da un’offesa/insulto è basata sulla valorizzazione delle qualità che invece l’offeso ha, quindi risposta in positivo e valorizzante in reazione ad una volontà di sminuire e criticare (M2).
Le note critiche, perché non è tutto loro quello che luccica, ossia non è di tutti e per tutti l’effetto positivo del progetto. Infatti, se appare chiaro l’obiettivo finale del progetto di migliorare l’esperienza scolastica degli alunni impattando positivamente sul loro benessere scolastico, emerge altrettanto chiaramente che questa finalità non è pensata ed agita per tutti. Di fronte a questo obiettivo del programma se è vero che in molti casi si riconosce un più o meno parziale raggiungimento dello stesso (miglioramento di alcuni aspetti della vita scolastica), è evidente che un impatto risolutivo è ancora lontano perché necessita di un coinvolgimento e di una partecipazione che dovrebbe essere generale tra alunni e docenti, condizione che è non è ancora stata raggiunta (M3, D4, M8, M9, M11, M14, D9). Questa criticità trova poi esempi concreti nelle evidenze segnalate da alcuni studenti e relative alla necessità di coinvolgere più ragazzi nel progetto, altrimenti accade che i pochi che vivono l’esperienza, facendo un percorso di crescita e responsabilizzazione, vedano frustrati i loro risultati e le loro aspettative nel momento in cui, per esempio, la pulizia di un bagno o di una parete dura meno di un giorno, perché sporcata nuovamente da chi non ha partecipato al progetto e non ha quindi compreso appieno il senso di quell’azione. O comunque come percezione generale del progetto così come questo si è strutturato negli ultimi anni in contesti specifici, dove sono prevalse attività che coinvolgevano fondamentalmente solo una parte del gruppo classe (D3, M4). Il tema del coinvolgimento o della sua assenza non riguarda solo gli alunni ma anche il corpo docente. In più occasioni nelle interviste con gli insegnanti torna la difficoltà (prevalentemente per le scuole secondarie) che loro trovano a coinvolgere nel suo insieme il consiglio di classe, per cui spesso tutto il carico di lavoro che il progetto implica rimane su uno o due colleghi, che da soli seguono le attività progettuali della classe. Sarebbe quindi utile, se non necessario, costruire insieme alla dirigenza scolastica delle modalità per rendere più partecipata e trasversale alle varie discipline la presenza dei docenti, in modo particolare per le secondarie di primo grado dove il problema emerge con più frequenza e forza. Il tutto per evitare il rischio di “diventare setta, quelli di Fuoriclasse e quelli no”, in quest’ottica può essere funzionale anche solo la condivisione dell’approccio, della cornice 6
pedagogica di Fuoriclasse tra tutti i docenti, come terreno comune di condivisione e di possibilità di confronto e crescita. In tutte queste considerazioni è compresa una riflessione sul ruolo del dirigente, che può essere un elemento in positivo quando trova anche lui una modalità più coerente con il suo contesto scuola per aumentare tra i docenti sia la conoscenza del programma Fuoriclasse, sia il loro livello di partecipazione allo stesso (M5, M12, M19, M21). Un’altra azione importante per affrontare questa criticità è collegata alla comunicazione tra il progetto (team) e la scuola (i docenti) che dovrebbe essere la più efficace possibile, così da agevolare nei docenti la percezione di essere parte di un progetto, percezione che non deve restare o essere solo del referente ma espandersi il più possibile a tutti i colleghi (M21). Sempre sul tema del docente referente, la sua assenza come figura codificata e istituzionale è evidenziata come una criticità rispetto soprattutto alla venuta meno di un anello di collegamento comunicativo scuola-progetto-corpo docente, che se anche poteva funzionare meglio era comunque un canale, una possibilità che invece è stata tolta (M1). Il tema della ripetitività. In alcune esperienze di scuole con alunni e docenti che hanno partecipato al progetto su 2 o più anni, torna una criticità rispetto alla ripetitività delle attività e dei prodotti, anche con una certa stanchezza conseguente a questa mancanza di novità. All’opposto sullo stesso tema quando da un anno all’altro il progetto risultava capace di cambiarsi e innovarsi risultava vincente (M8, M9). Sono presenti anche affermazioni, seppure sporadiche, che evidenziano come la presenza del progetto non abbia impattato in alcun modo sulla loro esperienza scolastica. Seppure sottolineano che partecipare al progetto sia stato migliorativo per alcuni aspetti, seppure abbiano appreso cose nuove (i diritti), poi fondamentalmente la loro vita scolastica non è di fatto cambiata. Una sorta di impossibilità di cambiamento dettata proprio dalla struttura della scuola come tale (M14).
Terza dimensione: le specifiche attività progettuali Si entra ora più nel merito della valutazione delle singole azioni progettuali così come queste sono state implementate dal programma nelle diverse città. I consigli consultivi: questa pratica di partecipazione è stata implementata in tutte e 6 le città in cui il programma ha operato e si tratta quindi dell’attività portante del sistema di intervento Fuoriclasse. Nelle intenzioni del programma i consigli consultivi costituiscono uno dei principali, se non il prioritario, strumenti per impattare sul livello di partecipazione degli alunni nella vita scolastica, all’interno di una logica che vede questa partecipazione tradursi in interventi per migliorare concretamente l’esperienza scolastica degli alunni (e quindi aumentarne il benessere scolastico). Per meglio comprendere come hanno funzionato i consigli consultivi si può scomporre la loro caratteristica fondante (essere agenti di partecipazione/ascolto e presa in seria considerazione degli alunni) in una serie di sotto caratteristiche: l’azione di cambiamento realizzata nelle scuole; le modalità relazionali e di intervento dei e tra i diversi soggetti coinvolti; la partecipazione e democrazia portate dal programma. L’azione di cambiamento: evidenziando le positività emerse nelle interviste si sottolinea come i consigli consultivi siano riconosciuti realmente come uno strumento che può produrre un cambiamento migliorativo nella scuola, agendo in maniera concreta, fattiva, visibile sul contesto scolastico (es la biblioteca a Bari, i bagni a Napoli, l’intervallo a Torino) attivando un processo che fa sentire gli alunni utili rispetto a questo cambiamento positivo. Nel momento in cui i consigli consultivi fanno sentire gli alunni utili, gli stessi sviluppano anche un senso di appartenenza che fa esperire loro la possibilità di sentirsi realmente soggetti attivi e partecipi della vita scolastica, anche rivedendo quel senso di impotenza e impossibilità al cambiamento che a volte la scuola come istituzione comunica. Centrale in questo processo è il sentirsi ascoltati, presi in seria considerazione (anche con citazione dell’art. 12 della CRC) da quel mondo adulto che nella scuola ricopre un ruolo decisionale. Si registra anche, in alcune esperienze, il senso della storia del percorso dei consigli consultivi, inteso come il progressivo miglioramento negli anni delle proposte presentate dagli alunni ed accolte ed agite dal mondo adulto. Infatti, nei contesti dove i consigli consultivi sono uno strumento di 7
partecipazione attivo da più anni, viene spesso indicato questo trend di miglioramento dell’efficacia e concretezza delle proposte. Rimane la domanda di quanto gli alunni che non partecipano ai consigli consultivi colleghino i cambiamenti in positivo della loro scuola ai consigli consultivi stessi e, quindi, di quanto si approprino di questi cambiamenti in maniera positiva sentendosi rappresentati anche loro dai consigli consultivi (D2, M3, D3, D4, D5, M8, D7, M9, M11, D9, M19, M20, M21, M17). Per questo motivo all’interno di una valutazione positiva dell’esperienza dei consigli consultivi, un valore aggiunto è riconosciuto alla possibilità di integrare ed arricchire la platea dei partecipanti attraverso il coinvolgimento anche di classi che non sono direttamente nel progetto ma che possono portare nuovi stimoli ed idee (D2, D5, M20). I consigli consultivi incontrano però anche la difficoltà di una relazione con un corpo docente non sempre interno ed in linea con il progetto e che, per esempio, rispetto alla mozione proposta dai consigli consultivi della loro scuola, non solo può mostrarsi indifferente ma anche diventare ostativo. Si presenta quindi nuovamente il tema del coinvolgimento di tutto il corpo docente, della sua sensibilizzazione e informazione sul progetto, perché poi comunque l’atteggiamento dei docenti, anche non direttamente coinvolti in Fuoriclasse, può impattare negativamente su progetto stesso. Un esempio riportato durante un’intervista descrive i consigli consultivi come un processo potenzialmente democratico o meglio ancora democratico in divenire, che necessiterebbe non solo del coinvolgimento di tutti gli alunni, ma anche di un ruolo più collaborativo da parte del corpo docente che è invece troppo spesso catturato e fermo nell’esigenza di completare i programmi ministeriali e non riesce, o non è capace, di guardare oltre, di integrare, di allargare pensieri e prospettive (M6, D7, M12). Le modalità relazionali alunni docenti/dirigente: i soggetti coinvolti nei consigli consultivi sono fondamentalmente tre, gli alunni, i docenti e il dirigente8. Questi soggetti, grazie ai consigli consultivi, si trovano a rapportarsi tra loro in una modalità nuova rispetto ai classici ruoli scolastici e per questo a sviluppare interazioni che altrimenti non avrebbero, con risvolti sia positivi sia critici in rapporto alle finalità del programma. I consigli consultivi sono un luogo di partecipazione dove alunni e docenti si dovrebbero confrontare alla pari per selezionare e risolvere alcuni problemi della scuola, ma non sempre questo percorso si sviluppa in modo coerente con gli obiettivi del programma. In alcune esperienze i consigli consultivi invece che un luogo di confronto tra alunni sono stati vissuti come un luogo decisionale dedicato solo agli alunni, senza un confronto ed una comunicazione con i docenti, per cui le proposte emerse dai consigli consultivi sono state vissute come imposte ai docenti, quindi con valenza opposta a quella che si vuole proporre della partecipazione come scambio reciproco tra i soggetti che vivono la scuola. In altre esperienze sono i docenti ad evidenziare una difficoltà relazionale sui temi del progetto (diritti/doveri), difficoltà che viene definita una sorta di sfida tra alunni e insegnanti su questi aspetti ma che non è solo legata ai consigli consultivi quanto piuttosto relativa a tutta la vita scolastica. A livello più generale la presenza del docente, soprattutto se è il proprio, può risultare condizionante e non lasciare esprimere in maniera pienamente libera i ragazzi, ma la variabile fondamentale rimane comunque sempre l’atteggiamento dell’insegnante e la modalità relazionale che ha instaurato con i suoi alunni (M1, M14, D9). Sono presenti anche esperienze costruttive di confronto tra alunni e docenti nei consigli consultivi dove, stando alle parole dei ragazzi, si può vivere reale confronto tra pari anche con punti di vista diversi, dove gli adulti aiutano i ragazzi a leggere la realtà scuola in maniera più realistica facilitando una scelta di interventi più efficaci e realizzabili. Comunque, più in generale, i consigli consultivi sono un contesto dove si vive un’esperienza di ascolto da parte degli alunni verso i professori e viceversa, esperienza che non sempre si verifica invece in classe (D2, M6, D4, D5, M8, D7, M9, D9, D10, M20). I consigli consultivi diventano quindi un luogo dove è possibile conoscere l’altro ad un livello più personale, infatti sia gli adulti che i ragazzi affermano di avere conosciuto aspetti reciproci prima sconosciuti (D2, M6, M12, D9). Interessante sottolineare come la partecipazione ai consigli consultivi (inteso come percorso in senso lato) da parte dei docenti acquisti anche una valenza formativa per gli stessi, in quanto è
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Si sottolinea l’assenza di riferimento nelle interviste alle famiglie anche nei contesti in cui queste erano state coinvolte. Nello specifico i genitori hanno partecipato ad attività loro dedicate a Torino. Su Milano e Bari sono stati coinvolti in alcuni consigli consultivi (consultazione e realizzazione proposte).
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occasione per sperimentare ed osservare diverse metodologie didattiche, relazionali e di gestione del gruppo classe (M21). Valore specifico acquista l’incontro con il preside, figura vissuta dagli alunni generalmente in modo diverso rispetto a quella dei propri docenti, in quanto percepita più distante se non assente nella loro vita di studenti. In questo senso i consigli consultivi offrono una possibilità innovativa, costituiscono occasione di incontro e confronto con il dirigente, esperienza che nella maggior parte dei casi risulta positiva per la disponibilità all’ascolto ed alla volontà di trovare soluzioni ai problemi sottolineati nelle mozioni. Si registra anche un’esperienza particolarmente critica come traspare sia dalle parole degli alunni sia da quelle dei docenti, un incontro finale con il dirigente che non ha svolto quella funzione di incontro, comunicazione e scambio per cui è pensato, ma si è trasformato piuttosto in un momento di scontro, di tensione e non ascolto (M8, D7, M9, M11, M14). Partecipazione, rappresentanza e democrazia: per come sono oggi strutturati i consigli consultivi funzionano sul concetto di rappresentanza quindi di delega come esercizio anche di democrazia. Questo sistema ha delle conseguenze ed è condizionato sia dalle modalità relazionali che si instaurano tra rappresentanti e rappresentati, sia dalle condizioni operative in cui si concretizzano ed in cui si traducono queste relazioni. Dentro questo processo democratico gli alunni sentono di essere realmente soggetti attivi e decisionali all’interno della scuola grazie ai consigli consultivi stessi. In molte interviste i ragazzi riconoscono come sia risultata importante la possibilità che hanno avuto di esprimere le proprie opinioni grazie ai consigli consultivi, non solo di esprimerle ma anche che venissero accolte, ascoltate e che, comunque, si facesse esperienza di una modalità relazionale all’interno della quale si imparava ad ascoltarsi. I consigli consultivi vengono descritti nelle interviste come luogo democratico e partecipativo di scambio di idee, di aiuto e sostegno reciproco nel trovare le soluzioni ai problemi della scuola (D2, M6, M11, M14, D9). Tutto il processo attivato dai consigli consultivi, dalla preparazione di un programma, alle elezioni, al concetto di rappresentanza e, come valore aggiunto fondamentale, la percezione di potere realmente agire un cambiamento nelle proprie scuole, sono tutti aspetti centrali e positivi di questa esperienza di partecipazione e democrazia (e in quanto tale aiuta a meglio comprendere ed esercitare anche una materia curriculare quale cittadinanza e costituzione) (M5, M19, D11, M18). I consigli consultivi risultano quindi essere un luogo liberante, nel senso che libera dalla costrizione del contesto classe dove si parla solo delle materie per aprirsi ad uno spazio di confronto più ampio su come si sta a scuola, su come si viva la scuola (M3). Le modalità relazionali tra alunni: all’interno di questa relazione tra alunni che, ricordiamolo, è soprattutto una relazione di delega democratica, risulta delicato proprio il momento deputato alla gestione della rappresentanza, quando i rappresentanti si incontrano con il resto della classe per aggiornare sui consigli consultivi e decidere insieme come procedere. In questa fase risulta centrale la capacità di coinvolgere e rendere realmente partecipi i compagni da parte dei rappresentanti anche grazie al ruolo dei docenti, ma è comunque difficile per loro trovare il modo per trasmettere ai compagni di classe l’importanza che attribuiscono al lavoro che svolgono nei consigli consultivi. Come fotografia sintetica di questo elemento critico si possono riportare le parole di una docente di Scalea: “è come se ci fosse una linea di demarcazione tra l'entusiasmo dei rappresentanti e il resto della classe”. Centrale sarebbe far aumentare il senso di appartenenza al progetto, altrimenti il rischio è appunto quello della divisione tra chi partecipa (che sono sempre gli stessi) e che “fanno le cose” e gli altri che in definitiva si sentono di avere un ruolo più passivo. Si possono ipotizzare soluzioni migliorative così come proposte dai ragazzi, per esempio l’uso del resoconto video o la presenza della facilitatrice Save, tutte modalità che dovrebbero agevolare la partecipazione del gruppo classe nel suo insieme evidenziando anche il ruolo dei rappresentanti che non vanno ai consigli consultivi solo per “perdere l’ora” di lezione. In funzione preventiva e preparatoria sarebbe molto utile una attività di esercizio al ruolo di rappresentante, con l’obiettivo di far comprendere quale funzione si va a ricoprire, cosa implica, l’importanza che ha e come può realmente impattare nella vita della classe, della scuola e del ragazzo stesso. Una docente propone di presentare case history alla classe come modalità che agevola la comprensione sia del processo che si attiva con i consigli consultivi sia di cosa implichi esercitare i diversi ruoli (rappresentanti e rappresentati) (D2, 9
M3, M6, D4, M8, D6, D7, M11, M12, M14, M19, M20, M21). A ulteriore conferma del forte rischio del crearsi di questa distanza tra rappresentanti e rappresentati, gli alunni che non partecipavano ai consigli consultivi raccontano di una non comprensione e una non chiarezza di quello che si fa nei consigli consultivi, quindi di una condizione che non aiuta ed agevola la loro partecipazione e che alimenta un generale disinteresse nel gruppo classe verso il racconto dei rappresentati (D3, M8). Esistono anche esperienze positive di confronto classe-rappresentanti in cui c’è la possibilità di raccontare e di esprimere le proprie opinioni da parte di tutti (D5, M8, D9, D10, M20, M21). Sulle modalità di elezione/selezione dei rappresentanti si registrano esperienze diverse, ognuna con i suoi pro e contro, per cui è difficile evidenziarne solo una come buona prassi, se non l’indicazione generica del lasciare sempre una parte di rappresentanza in qualche maniera elettiva piuttosto che di selezione da parte del corpo docente (che può avere una funzione di integrazione ma non sostitutiva) (D7, M20, M18). Ricoprire il ruolo di rappresentanti del gruppo classe nei consigli consultivi si conferma un’esperienza importante sia in positivo sia in negativo. Nei casi positivi contribuisce a rafforzare l’autostima attraverso un percorso di assunzione di responsabilità dato dalla necessità di raccogliere e riportare nei consigli consultivi anche le idee degli altri compagni. Partecipare come rappresentanti ai consigli consultivi può far crescere la sicurezza in se stessi nella comunicazione in quanto questa esperienza rende (può rendere) gli alunni più liberi e sicuri di esprimersi superando il timore della brutta figura, della soggezione o del giudizio da parte del mondo adulto, ma qui la variabile determinante è sempre data dalla sensibilità del corpo docente a cogliere e valorizzare questa opportunità offerta dai consigli consultivi (D2, D7, M12, D10, M21. D11, M18, M17). Il ruolo del docente risulta condizionante in positivo o in negativo non solo nel momento della restituzione, ma anche in altre fasi del processo partecipativo in classe, come ad esempio nel momento in cui il gruppo classe doveva decidere i problemi da portare in consiglio. In particolare nel racconto di un caso specifico gli alunni riportavano di una maestra particolarmente invasiva e poco propensa a lasciare libera espressione alle idee dei ragazzi, ma si registrano anche esperienze diverse dove il docente, magari anche per risolvere difficoltà di orario nella gestione delle classi, unisce non solo i rappresentanti con il loro gruppo classe ma li pone in relazione anche con le altre classi del progetto, creando così i presupposti per uno scambio comunicativo più ricco anche se più complicato da gestire. Allo stesso modo un’altra proposta di soluzione che emerge dalle interviste è quella di costruire dei consigli consultivi di classe, ossia che vedano tutta la classe direttamente coinvolta senza mediazione dei rappresentanti (M3, M5, D4, D7). Aspetti tecnici: una criticità tecnica dei consigli consultivi è data dalla troppa distanza temporale tra un incontro e l’altro. Quando passa un mese e più tra due consigli consultivi successivi il rischio di perdere il filo ed il senso del percorso è alto. Allo stesso modo, ma su aspetti diversi, impatta la possibilità che hanno gli alunni di vivere in prima persona il cambiamento per cui si lavora nei consigli consultivi, nel senso che se iniziano a metà anno scolastico gli alunni che frequentano le ultime classi risultano meno coinvolti e partecipi proprio perché non possono misurare e vivere l’efficacia della loro partecipazione (D4, M19, M18). Si registrano alcune considerazioni sulla ripetitività del progetto da parte di alunni e docenti che lo seguono da più anni, nello specifico gli intervistati citano la ripetitività di singole attività, gli “stessi giochi, gli stessi cartelloni”. Non è tanto un problema dei contenuti trattati, che potrebbero anche essere gli stessi, quanto delle modalità che vengono adottate per affrontare questi temi, che dovrebbero essere diverse, innovative per stimolare maggiore partecipazione e dare l’idea di un percorso che procede, che va avanti e non che si riproduce meccanicamente. In contrapposizione quando si registra un cambio in positivo da un anno al seguente, anche grazie ad un maggiore impegno profuso sia dai ragazzi sia dalla scuola, le mozioni e le richieste risultano maggiormente dotate di senso e quindi anche più facilmente realizzabili (M8, M11).
Il centro educativo Fuoriclasse: il centro educativo è un intervento presente nelle città di Bari, Torino e Milano e costituisce un altro asse portante del programma Fuoriclasse. Il centro educativo è pensato per effettuare un’azione di sostegno all’esperienza scolastica degli alunni, agendo prevalentemente come supporto allo 10
studio ma con finalità più generali atte ad impattare positivamente anche su aspetti relazionali e personali degli alunni. Proprio per questo si possono utilizzare queste due macro categorie per semplificare la decodifica delle informazioni valutative raccolte con, in aggiunta, una nota specifica sulla relazione/comunicazione scuola centro educativo. L’aiuto nello studio: il centro educativo è riconosciuto da quasi tutti gli intervistati (per entrambi i gruppi di adulti e ragazzi) come un luogo utile ed efficace per il percorso scolastico degli alunni, aiuta e sostiene nell’apprendimento, contribuendo ad un miglioramento del rendimento scolastico (M1, D8). La frequenza al centro educativo produce quindi degli esiti positivi sulla vita scolastica degli alunni, che loro declinano in un aumento del livello di autonomia legato sia ad una scoperta del piacere di studiare alcune materie che prima presentavano maggiori difficoltà, sia all’apprendimento di un metodo di studio, di alcuni trucchetti che rendono più efficace il tempo passato sui libri. Questo miglioramento nello studio (come esiti e come metodo) aumenta la sicurezza in se stessi e la tranquillità nell’affrontare lo studio e la vita scolastica (D1, M2). Gli stessi ragazzi durante le interviste affermano come l’utilità del centro educativo nel sostenerli nello studio non sia data solo dal fatto che gli agevola la comprensione delle varie materie, ma è anche conseguenza dell’avere trovato un luogo dove è possibile studiare divertendosi, dandosi una mano a vicenda, incrociando le diverse competenze. In questo senso i centri educativi svolgono un ruolo di supporto pratico nella soluzione dei problemi di studio anche grazie ad un gioco di squadra a cui prendono parte in primis i pari, ma dove hanno un ruolo anche volontari ed operatori. Il centro educativo rappresenta la possibilità, per chi a casa non trova il necessario sostegno di ricevere un supporto nello svolgimento dei compiti da parte di adulti significativi, di confrontarsi con figure di adulti che spiegano, aiutano a comprendere, agevolano l’apprendimento facendo superare un senso di solitudine nello studio. La frequentazione del centro educativo per alcuni intervistati ha una valenza che è anche strategica perché, proprio per il sostegno che vi trovano, gli consente di pianificare lo svolgimento dei compiti ottimizzando i risultati e aumentando così il loro tempo libero, per esempio durante il fine settimana (D1, M2, D8, M16). Un lavoro importante svolto dallo staff dei centri educativi è quello relativo alla motivazione allo studio, non solo sostegno concreto ma anche un impatto sulla motivazione e sul livello di concentrazione che riescono a far mantenere agli studenti. In alcuni casi si indica come migliorata la motivazione ma non il rendimento degli alunni, che non sempre hanno beneficiato in questo senso della loro frequenza al centro educativo (M2, D11). Una annotazione su una scelta metodologica vincente dei centri educativi, quella di proporre l’alternanza studio-attività pratiche/uscite, anche se presenta delle criticità (questione di equilibri dei diversi tempi) come si vedrà in seguito (M2, M16). Le ricadute relazionali: andare al centro educativo impatta sulla serenità e sulla sicurezza che i ragazzi hanno non solo nello studio, ma anche sulla loro capacità relazionali o comunque sulla loro rete sociale. Questo impatto positivo è possibile perché il centro educativo diventa un luogo dove frequentare, in modi e tempi diversi, dei compagni di classe/scuola che magari si conoscevano di meno, con cui ci si trova a condividere tempo, studio ed attività, migliorando la conoscenza reciproca e agevolando il determinarsi o il rafforzarsi di legami amicali e questo ha una conseguenza positiva sul benessere relazionale vissuto in classe/scuola. Oltre ad avere un impatto sulla relazione, o forse proprio grazie a questo, i docenti riscontrano anche una ricaduta positiva sull’atteggiamento a scuola dei ragazzi che frequentano il centro educativo, in alcuni casi quell’area migliora anche in maniera più forte ed evidente rispetto al rendimento scolastico (M1, D11, M18). Anche la storia di come si arriva al centro educativo aiuta a comprendere i processi relazionali e di sostegno che in quel luogo si attivano. Infatti sono presenti i racconti di chi parla di un inizio forzato da parte di famiglia e scuola che poi si trasforma in scelta personale nel momento in cui si scopre il piacere, il divertimento e l’utilità della frequenza del centro educativo. Allo stesso modo la costruzione di una rete relazionale sia con gli adulti di riferimento (team) sia con i pari, risulta motivante per la prosecuzione della frequenza al centro educativo. È l’esempio che riporta una docente di Torino che afferma come il centro educativo abbia agevolato l’abitudine a fare squadra, quindi agendo positivamente sulle relazioni, le stesse che venivano poi riportate in classe a beneficio di tutto il sistema. Sono anche
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presenti esperienze di alunni che da subito, dal momento dell’informativa sul centro educativo decidono di frequentarlo e quindi iniziano già con un atteggiamento positivo (M2, M10, D8, M19). La relazione/comunicazione scuola-centro educativo: il centro educativo è l’unica attività che non vede la diretta presenza/partecipazione dei docenti delle scuole coinvolte, se non nella loro funzione informativa sul centro e di invio/segnalazione degli alunni. Al di là di questi momenti operativi gli insegnanti non si trovano a partecipare ed essere costantemente presenti al centro educativo. Proprio per questo motivo la variabile comunicativa diventa un perno centrale: tanto maggiore risulta lo scambio di informazioni (in quantità e qualità) e la costruzione condivisa di percorsi didattico-educativi, quanto maggiori sono le probabilità di successo dell’intervento. In questo senso si riscontra trasversalmente in quasi tutti i centri educativi di Fuoriclasse una buona capacità di creare canali comunicativi con i docenti e con la scuola. Fa eccezione in questo l’esperienza di una parte delle docenti di Bari, che invece segnala come la comunicazione poteva essere gestita in maniera più funzionale in considerazione del fatto che alcuni passaggi informativi non si sono svolti nei tempi necessari per intervenire (es. abbandono del centro educativo da parte di alcuni alunni). Questa criticità non riguarda le modalità di lavoro o le caratteristiche delle persone ma sono imputate dalle docenti più ad una carenza del sistema centro educativo (M19, D11). All’interno di questa tematica, una buona prassi indicata dai docenti sono i taccuini di cui è sottolineata l’utilità come strumento che ha consentito di conoscere aspetti nuovi degli alunni e di avere quindi potuto esprimere una valutazione partendo da una base informativa più completa (D11). Infine interessante il riferimento al centro educativo come luogo che non è scuola ma che con la scuola è collegato, quindi vissuto dai ragazzi come momento di vita diverso dalla scuola ma anche con un canale comunicativo forte con la stessa per cui i due momenti non sono a compartimenti stagni ma anzi sono uniti da un filo conduttore forte (M1). Alcuni elementi critici: non tutte le esperienze dei centri educativi risultano così positive, per esempio nel caso del centro educativo di Torino si evidenziano alcune criticità sia rispetto alla ripetitività delle attività, sia alla distribuzione dei giorni di frequenza, sia all’equilibrio tra ore dedicate allo studio che a quelle ai laboratori. Tutte queste criticità impattano anche nei risultati che i ragazzi riconoscono alla loro frequenza al centro educativo, che non produce gli esiti che potenzialmente potrebbe avere. Dal racconto di alcuni di loro sembra che frequentino un centro aggregativo che svolge più attività tra le quali lo studio è solo una delle tante, non la più rilevante, tanto che lo stimolo a continuare a frequentare il centro educativo è dato dal divertimento e dal gioco più che dall’apprendimento. Sempre su Torino da parte dei docenti c’è sì un riscontro positivo sull’attività nel suo insieme, ma all’interno di una diminuzione della qualità del sostegno allo studio e della precisione nello stesso rispetto all’anno precedente. Se è su Torino che questi elementi critici si evidenziano maggiormente, sono però presenti anche negli altri centri educativi seppure con minore rilievo (M10, M15, M19, M20). Altra criticità è data dal numero dei volontari che non sempre risulta adeguato. Se fosse per i ragazzi chiederebbero una maggiore presenza così da potere avere un sostengo più costante e presente nello studio. Ci sono esperienze di volontari che vengono solo una volta e poi spariscono, generando timore rispetto alla creazione di relazioni di sostegno importanti, producendo diffidenza e timore al lasciarsi andare. In quest’ottica anche la possibilità di potere frequentare il centro educativo in giornate con particolari esigenze (esempio preparare una verifica o una interrogazione), cosa che ad oggi un calendario strutturato non consente, è indicativo di una maggiore richiesta da parte dei ragazzi di risposte e sostegno allo studio. In questo senso va letta anche la richiesta da parte dei ragazzi di equilibrare al meglio le ore dedicate allo studio e quelle dedicate alle attività laboratoriali, queste ultime a volte sono troppo dominanti rispetto ad una maggiore esigenza di svolgere i compiti (su questo si veda quanto scritto ad inizio paragrafo) (M2, M10, M20). Rispetto a Bari si è già sottolineato in precedenza come le docenti avanzassero la richiesta di migliorare la comunicazione scuola-centro educativo, a questo aspetto è legata una certa confusione su quella che dovrebbe essere la principale finalità del centro, che non sempre risulta chiara alle intervistate tanto da generare in alcune di queste delle aspettative collegate all’idea che il centro sia un doposcuola piuttosto che un centro di aggregazione più ricco e complesso. Un’altra criticità è più 12
legata ad una condizione logistica nello specifico del centro educativo di Milano, che risulta essere (stato?) un luogo di passaggio per ragazzi più grandi che frequentavano un altro servizio e che nel passaggio fisico distribuivano distrazione e rispetto a questa situazione anche i volontari/staff non riuscivano ad intervenire con efficacia. Sempre all’interno di problemi legati alla logistica si pone la situazione del centro educativo di Torino che, almeno per gli alunni di uno dei plessi coinvolti, risulta lontano dal plesso scolastico e questa distanza impatta negativamente non solo sugli spostamenti, ma anche sulla dimensione relazionale amicale, nel senso che erano poche le alunne di quella scuola che frequentavano il centro e il non trovare gli amici della scuola e del proprio quartiere ha fatto diminuire quella parte della motivazione che è invece un punto di forza del centro educativo: la continuità della rete amicale. Nota critica simile per una scuola primaria di Milano che sempre per la distanza tra centro educativo e zona di residenza dei bambini ha riscontrato difficoltà nella frequenza (M2, M19). Nel centro educativo ricopre un ruolo importante anche il mantenimento di una condizione di studio tranquilla, in questo senso quando all’interno si sovrappongono disturbo (di chi ha finito o non vuole studiare) e studio quest’ultimo evidentemente ne paga il prezzo (M15). La ripetitività di alcune attività come il loro essere percepite non adeguate dai ragazzi alla loro età, costituiscono un’altra criticità (questa vale per il centro educativo così come per i laboratori e le altre attività del progetto) (M10). La logistica: rispetto allo spazio di centri educativi ed ai loro arredi i riscontri dei ragazzi son positivi, il posto è descritto come bello, colorato e pulito. Le criticità sono piuttosto rivolte alla carenza di supporti materiali che vanno dalle grandi cose come i pochi computer a disposizione alle piccole cose come la mancanza di matite (M2).
I laboratori: durante l’ultimo anno scolastico i laboratori hanno svolto un ruolo diverso all’interno del programma Fuoriclasse risultando meno presenti quantitativamente (non si sono svolti in tutte le città ma solo a Milano e Torino) e con una funzione meno centrale rispetto ai consigli consultivi o al centro educativo. Per questo motivo si parla in poche interviste di questa attività come percorso a se stante e già questa è un’informazione sul ruolo che hanno svolto durante lo scorso anno scolastico: di supporto ai consigli consultivi. In aggiunta quando ci si riferisce nello specifico a questo percorso laboratoriale, come nel caso di Torino, emerge una criticità legata all’essere i laboratori un percorso staccato dalla didattica, vissuto come momento ludico e senza un contenitore di riferimento chiaro e definito. Anche il video come prodotto finale, a detta dei docenti, non ha avuto ricadute in sé, ma è indicato come un prodotto “più utile a Save che ai ragazzi” proprio perché agli alunni (sempre a detta dei docenti) il percorso ha dato poco, mentre Save può usare il video per promuovere il programma Fuoriclasse. Per migliorare questo aspetto i docenti propongono un maggiore scambio comunicativo tra loro ed i formatori, proprio per capire come rendere i laboratori parte integrante o integrativa/di supporto alla didattica. In un passaggio più specifico sui laboratori un docente di Torino sottolinea come questi risultassero con finalità meno chiare agli studenti rispetto ai consigli consultivi e, allo stesso tempo, segnala come andasse gestito in maniera diversa il monte orario dedicato ai laboratori sia come quantità (troppe ore) sia come distribuzione (troppe ore concentrate su un unico docente) (M19). Importante sottolineare anche il diverso vissuto degli alunni delle primarie di Torino, che collegano i laboratori ad una esperienza piacevole grazie alla possibilità che questa attività ha fornito loro di potere giocare insieme (M9). Per le primarie di Milano i laboratori sono stati descritti come attività coinvolgenti e piacevoli per i bambini con il grosso valore aggiunto che, grazie all’esperienza del team che traspare nel lavoro, oltre ad impattare positivamente sui livelli di partecipazione di tutti, si ottengono anche dei risultati pratici, dei prodotti belli e seri che restituiscono una grossa gratificazione sia per i bambini sia per i docenti, che portano a pensare ed esclamare “ma allora è possibile!”. Una nota specifica sul coinvolgimento dei bambini delle primarie di Milano, che ha riguardato anche i bambini a rischio di dispersione che magari durante le attività didattiche non partecipano mentre sono molto attivi durante i laboratori di Save the Children (M18, M20). Ultima generale considerazione positiva, i laboratori continuano a garantire la piena partecipazione di tutto il gruppo classe (si veda quanto scritto nella prima dimensione) alle attività e per questo svolgono una funzione ricoperta nello scorso anno solo dai campi scuola. 13
I campi scuola: come per i laboratori anche i campi scuola hanno visto il loro ruolo modificarsi all’interno del programma Fuoriclasse, riducendosi come frequenza e diversificandosi nelle finalità essendo stati concepiti più come momenti integrativi e di supporto ai consigli consultivi piuttosto che come luogo e tempo dedicati al più generale tema del benessere scolastico. Questi cambiamenti ritornano nelle considerazioni degli intervistati più come elementi critici che come tratti positivi. Nonostante questi cambiamenti i campi scuola mantengono un valore aggiunto importante in termini di condivisione, determinazione di un clima di benessere tra i ragazzi, maggiore conoscenza nel gruppo classe e interclasse, e come una delle poche attività che coinvolge la quasi totalità dei ragazzi e non una loro parte o rappresentanza che, abbiamo visto, sono criticità forte dei consigli consultivi e del centro educativo. Un’esperienza positiva: i campi scuola sono importanti perché consentono al gruppo classe di potere stare insieme e quindi di conoscersi meglio. Il campo scuola è un contesto dove è possibile conoscere gli altri ma anche se stessi, o quanto meno potere esprimere e mostrare parti di sé che nel contesto classe non emergono. Viene riconosciuto l’enorme potenziale del campo scuola rispetto al fare gruppo inteso non solo come maggiore conoscenza, ma anche come occasione per esperire concretamente alcune delle indicazioni e suggestioni fornite dal progetto e relative alla qualità della relazione e all’esercizio dei diritti: il campo scuola rende concrete le idee. È anche un’esperienza che può risultare divertente, un modo diverso ma piacevole di stare insieme e conoscersi. Infine, in una proposta proveniente da un gruppo classe, il campo scuola potrebbe anche essere un’occasione di incontro e confronto tra rappresentati dei consigli consultivi di diverse scuole e città (D2, M6, M14, D8, D9, D10, D11, M17, M24). Dove il campo scuola era stato effettuato l’anno precedente e non l’anno in corso, dagli studenti è stato chiesto come mai non sia stato mantenuto considerando che era stata un’esperienza molto bella, evidenziando come sia la memoria che più immediatamente torna in mente nel momento in cui si chiede di paragonare le esperienze dei due anni, sempre in termini di rimpianto per non essere stato replicato nell’anno in corso (M3, D4, M8, M21). Campi scuola e consigli consultivi: l’esperienza del campo scuola come momento di produzione legato ai consigli consultivi presenta luci ed ombre. Il passaggio da campi scuola dedicati prevalentemente alla cura della conoscenza e della relazione interpersonale, a campi scuola con una più marcata valenza di produzione di compiti legati ai consigli consultivi, sembra portare ad una ulteriore contrazione di tempi già ridotti, con una perdita di efficacia sulla cura relazionale ed una sensazione più diffusa di corsa e fretta (disorganizzazione) pur restando un luogo ed un tempo dove è più agevole potersi esprimere liberamente ed aumentare/migliorare la conoscenza degli altri. Quello che emerge è il desiderio e la tensione del gruppo classe a stare insieme più che a seguire attività che non trova coinvolgenti (M14, D9). Le criticità: poco il tempo libero a disposizione, oltre alle attività strutturate va costruito di volta in volta un dosaggio di tempi liberi che rispondano all’esigenza dei ragazzi di avere un tempo proprio dove decidere liberamente cosa potere fare, come potere impiegarlo. La compressione dei tempi comporta il rischio di una costrizione nell’esecuzione delle attività, che implica una perdita di efficacia delle stesse, svolte come obbligo e non con interesse e piacere (D2, M14). Alcune docenti di Bari sottolineano come per le primarie il campo scuola di tre giorni possa risultare troppo lungo, non tanto per i bambini (anche se qualcuno non ancora completamente autonomo potrebbe giovare di uscite giornaliere) quanto per le famiglie e per le docenti stesse sulle quali ricade una grande responsabilità nella gestione e nel controllo del gruppo classe (D11). La formazione docenti: le attività formative rivolte ai docenti nell’ultimo anno scolastico si sono tradotte nella partecipazione ai due seminari nazionali di Napoli e Milano, ad eccezione dei percorsi svoltisi a Torino. Questo cambio di modalità è ancora all’inizio per cui risulta complicato definirne l’efficacia perché se da una parte è sicuramente un momento motivante e che agevola lo scambio tra città ed esperienze simili, dall’altra non impatta positivamente sul confronto tra i docenti all’interno di ogni singola scuola e quindi non agisce proprio su una delle criticità del progetto (il non riuscire a coinvolgere/informare molti o tutti i docenti di una scuola).
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Il seminario nazionale costituisce quindi occasione per confrontarsi con colleghi di altre città ma che lavorano in situazioni simili e questo ha una ricaduta in termini positivi sulla motivazione perché si incontrano altri insegnanti che hanno anche loro dedicato del tempo gratuito alla causa scuola. Inoltre anche da un punto di vista organizzativo un sabato è più facile da gestire piuttosto che una serie di incontri pomeridiani. Il prezzo che si paga è quello di perdere l’occasione di confrontarsi con i colleghi della propria scuola, si rimane circoscritti al ristretto gruppo con cui si lavora sempre e si segue il progetto (M2, M19, D11). Gli incontri di formazione: nel caso del progetto di Torino vengono indicati come utili gli incontri di formazione con gli esperti, citati come esperienze positive sia quello sull’uso sicuro dei nuovi media per la ricaduta concreta e pratica che ha avuto, sia l’incontro sulla gestione dei conflitti soprattutto come momento di confronto e scambio tra colleghi (M19). Oltre la formazione: esiste un aspetto formativo dei docenti che non passa attraverso i momenti formali ed istituzionali da cronogramma progetto (incontri, seminari, tavoli, etc) ma che è invece il risultato dell’essere osservatori partecipi delle diverse attività svolte dai team di Fuoriclasse. Nella progettazione dell’intervento questa possibilità è presa non solo in considerazione ma indicata come solco da seguire (coinvolgere i docenti, condividere una metodologia diversa e trasmettergliela per quanto possibile con l’esempio) ed è importante trovarne riscontro nelle parole di alcuni insegnanti (M21).
La sperimentazione: questa attività si è svolta in un’unica scuola primaria di Milano e come parte di un’intervista più ampia non ha fornito particolari informazioni. Si tratta piuttosto di una riflessione di carattere generico. Positiva la sperimentazione, magari una maggior presenza delle formatrici nelle fasi di progettazione, con maggiore comunicazione in presenza, sarebbe meglio. Sempre all’interno di una valutazione positiva per il risultato raggiunto con la classe, si sottolinea il grosso impegno che porta al docente seguire questo percorso, che non sempre è compatibile con il resto del carico lavorativo e per questo chiederebbe oltre che una maggiore presenza dello staff anche una calendarizzazione maggiormente in linea con i tempi della scuola. Il grosso valore aggiunto della sperimentazione è dato dalla scoperta delle risorse interne al corpo docente, anche partendo dall’esempio formativo ed educativo del team (il rito, l’accoglienza, il non giudizio, etc) erano poi i docenti a tradurlo in base alle proprie risorse, proponendo e “scoprendo” loro le attività da proporre (M20).
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