Ricordati che ti rovineranno le feste.
Bile N/3
Si sa, il Futuro è sopravvalutato, come la terza carta nel Blackjack. E si potrebbe dire che non è colpa sua, perché siamo noi a caricare sulle sue spalle ogni nostra aspettativa, e sogni più o meno campati in aria, il 99% dei quali andrà inevitabilmente deluso. Ma il Futuro sa anche essere come una droga: riponi la tua fiducia in lui, ma sei convinto di poter smettere quando vuoi, perché ti lascia continuamente procrastinare. Hai 15 anni? Hai tutta la vita davanti. 20? Sei in rampa di lancio. 25? Puoi ancora farcela. 30? Non è mai troppo tardi. 40? E’ tempo di iniziare a pensare a come andarsene con un minimo di dignità. Poi man mano che il Futuro diventa Presente, ti viene incontro dando la colpa alla gestione allegra dei futuri che lo hanno preceduto, lasciando voragini di risultati e cataste di delusioni. Anche perché appena qualcosa girava per il verso giusto, tu pensavi subito che fosse solo un punto di partenza verso maggiori soddisfazioni. Le ultime generazioni sono cresciute senza guerre, solo missioni di pace in posti esotici, senza epidemie, solo consigli al tg su quale carne evitare per un paio di mesi, e con genitori e nonni amorevoli che avevano visto di tutto e mentre ci imbottivano di vitamine ci garantivano che il nostro Futuro sarebbe stato oltremodo
florido, perché il progresso era sottinteso, la crescita costante, e i numeri alla tv avevano sempre il segno “+” davanti. Il Futuro entrò in crisi quando si capì che la bufala della crescita perenne non poteva reggere all’infinito, fondata sullo sfruttamento di Paesi del terzo mondo e sulla loro manodopera per cui arrivare a vivere 40 anni era già l’equivalente di un posto da quindici mensilità ministeriali. Forse ho corso troppo, se non ne eravate al corrente sorvolate sullo spoiler, dimenticate di averlo letto e passate al pdf di Quattroruote che starà in qualche link là a destra. A quel punto il giocattolo ha iniziato a rompersi e l’incanto a svanire: improvvisamente una laurea triennale con 103 in scienze politiche con tirocinio in “fotocopie fronte-retro con rilegatura sinistra” presso l’ufficio anagrafe, non appariva più un viatico sicuro verso ruoli dirigenziali in una multinazionale. E cosa restava ora, al pensiero di avere già rinunciato in tenera età alle proprie velleità da astronauta o da principessa? Molti hanno finito per deprimersi, scoprendo che avrebbero finito per guardare con invidia alle condizioni economiche dei propri genitori, vedendo che i due guanciali tra cui dormivano si stavano lentamente trasformando in cartoni, e rimasti orfani delle proprie certezze hanno fi-
nito per fare propria quella secondo la quale il domani dovrà essere per forza tetro e avaro di gioie e soddisfazioni. Questo perché è molto più difficile rinunciare ai dogmi, come ben sanno Bondi, le ragazze che si fanno maltrattare e picchiare da un ragazzo e da quello successivo, e Bondi che si fa maltrattare da un padrone e da quello successivo. Ma tutto questo può ancora cambiare. La soluzione è a portata di mano. Occorre solo prendere definitivamente coscienza di essere stati truffati, e far valere il nostro diritto ad ottenere ciò che sognavamo, o almeno ricevere un adeguato risarcimento. Sono ormai maturi i tempi per avviare una Class Action contro il Futuro. Pensateci: il Futuro dovrà pagare, perché dichiararsi insolvente sarebbe come ammettere che l’umanità si estinguerà a breve. Sarebbe una rivoluzione. Certo una rivoluzione conservatrice, perché se la tua aspettativa erano 80mq in periferia e una Punto 5 porte, non potrai pretendere di più alla luce dell’accordo, e a maggior ragione se stai fuggendo da una guerra civile e da un paese con la speranza di vita di 35 anni, dovrai pagare una tassa per ogni giorno vissuto in più. Questo è l’Occidente, questa è la democrazia. Ed è comunque meglio di quando la esportiamo.
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G. Quando abbiamo deciso che il tema di questo numero sarebbe stato il futuro io ho pacatamente esposto il mio dissenso. Perché parlare di qualcosa che non esiste? Il numero su dio l’abbiamo già fatto. Tuttavia, nella nostra cialtronesca redazione vige quell’ormai obsoleto metodo decisionale che è la democrazia, quindi la mia opinione è stata ascoltata da tutti ma poi si è fatto come voleva la maggioranza. Inutile la mia occupazione di Zuccotti Park via webcam. Non sono riuscito a rimediare né una spruzzata di lacrimogeno né un pistolotto di Saviano, figuriamoci l’attenzione del restante 75% della redazione. Ad ogni modo questa esperienza mi ha dato da pensare. Uno: la democrazia è ancora il migliore dei sistemi possibili? Due: la gente di occupy-wallstreet, quelli del 99%, hanno fatto dei calcoli accurati o sono andati sulla fiducia?
Tre: riuscirò a terminare questo pezzo sul futuro? [ATTENZIONE: da questo momento in poi il pezzo potrebbe risultare insensato, sconclusionato e delirante (più del solito) a causa dell’azione congiunta di alcol e oppiacei] Futuro, futuro. Da bambini ci hanno sempre fatto pensare al futuro come un mondo fighissimo pieno di macchine volanti, tute-pigiama stile Star-Trek, chiavi di casa laser, occhiali laser, armi laser, coltellini multiuso laser e qualunque altra cosa dove si può infilare un laser a laser. Invece ci ritroviamo nel 2011 con le solite obsolete automobili da strada, fucili con proiettili all’uranio impoverito, mutande Dolce & Gabbana stile sono-cool-e-anche-un-po’-culo, e una civiltà
che si basa sullo squilibrio endemico tra una minoranza benestante e la stragrande maggioranza di esseri umani che non arrivano alla fine del mercoledì. Fortuna che è uscito l’i-Phone 4s o sarebbe il medioevo. Ma la fregatura tecnologica più grande credo sia la mancanza di un congegno per il teletrasporto. Gli scienziati continuano a sprecare il loro tempo con i neutrini, il bosone di Higgs, la clonazione delle ninfomani mentre io ancora devo alzarmi presto per prendere un autobus, che mi porterà a prendere un aereo che, se non cade sopra un treno, mi porterà a prendere un altro autobus che, traffico permettendo, mi porterà stanco e incazzato come un pinguino alla mia destinazione finale. Niente teletrasporto e niente automobili volanti ma in compenso stanno cominciando a volare cazzi anche per noi che facciamo parte dell’oc-
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cidente progredito, colto, benestante, avanzato tecnologicamente, e dannatamente attento ai diritti umani. Interessi politico-economici permettendo. Il balordo sistema economico che abbiamo messo ai vertici della nostra esistenza sta finalmente rivelando, anche ai non esperti di finanza internazionale, tutti i suoi difetti. Io non ci capisco un cazzo di spread, mercati finanziari, e roba simile ma non serve certo una cattedra alla facoltà di economia di Oxford per capire che qualunque cosa, anche la più perfetta, data in mano alle persone finisce irrimediabilmente con l’andare a puttane. Siamo dei fottuti bastardi egoisti, nessuno escluso. Non siamo cambiati molto da quando ci coprivamo con le pelli di animale, vivevamo nelle grotte e ci spaccavamo il cranio a vicenda per il pezzo più grosso del
Mammuth alla cacciatora. Solo l’estinzione potrebbe ridarci una qualche dignità. Prendete i dinosauri: appena hanno visto che la loro civiltà aveva raggiunto l’apice del progresso, non potendosi evolvere ulteriormente, hanno avuto il buon gusto di estinguersi. La soluzione è l’estinzione. Del resto anche i Maya la pensavano così. Recenti studi, condotti su alcuni pittogrammi ritrovati nelle più remote cavità nasali di Roberto Giacobbo, hanno rivelato che il famoso calendario Maya non indica affatto la data della fine del mondo. In realtà si tratterebbe di un promemoria. Un appuntamento sul calendario (tipo quello col dentista) per ricordarsi il giorno in cui la razza umana dovrà togliere il disturbo. Si vede che i matematici di questa straordinaria civiltà del passato avevano calcolato tutte le variabili e realizzato modelli previsionali che li
avevano portati a ritenere, con un buon grado di precisione, che il picco evolutivo della civiltà umana sarebbe stato raggiunto il 21 dicembre 2012 e che dopo tale data non si sarebbe potuto solo regredire. Ottimo motivo questo per togliersi educatamente di torno. I Maya dunque la sapevano lunga ed erano anche dei grandissimi esperti di sacrifici umani. Una cosa di cui oggi si sente maledettamente la mancanza. Soprattutto mentre si è in coda alla cassa del supermercato. Se la soluzione uno, ovvero l’estinzione totale, non vi piace (magari perché avete appena ristrutturato casa o comprato l’ultimo Call of Duty e lo volete finire con calma) si può sempre optare per la soluzione due: diminuzione selettiva della popolazione mondiale. Del resto viviamo in una condizione di scarsità delle risorse
e in uno spazio limitato. Siamo dannatamente troppi. Non aggrottate le sopracciglia, non ditemi che almeno una volta nella vita non avete ardentemente desiderato di eliminare fisicamente la fila di persone sedute dietro di voi al cinema o di sterminare la famiglia che abita al piano di sopra. (Anche se non sono vostri parenti). Siamo tutti dei cavernicoli in fondo al cuoricino. Non siete death-friendly? Si potrebbe cominciare con l’evitare ulteriori procreazioni. Non che si debba smettere di fare sesso, ma solo prendere i giusti accorgimenti per evitare di riempire il poco spazio rimasto con delle copie ridotte ma molto più rumorose e fastidiose di voi. Per chi se lo stesse chiedendo: non odio i bambini. E’ solo che già sopporto a malapena gli stupidi adulti, figuriamoci le loro versioni incomplete. Futuro dicevamo. Soluzione uno: estinzione. Soluzione due: drastica diminuzione della popolazione mondiale. Soluzione tre: sostituire il vostro super-io con un governo tecnico e vedere che succede. Ma occorre sbrigarsi! Anni di comodità e televisione ci hanno impigrito. Che senso ha occupare Wall Street per protestare contro le
multinazionali e i gruppi di potere economico che governano il mondo twittando il tutto sul proprio i-Pad? Boicottate tutto. Comprate solo quello che vi serve davvero. Un tetto, acqua, cibo e sesso. Il resto è superfluo e funzionale al sistema. Diocanide non è difficile arrivarci. Volete fare una rivoluzione? Bruciate quei cazzo di cartelli e procuratevi dei forconi o delle armi automatiche. Nel 1789 i francesi non si erano limitati a sbracarsi in piazza e scrivere copiosamente sulla loro pagina facebook. La domanda di ceste per crani era cresciuta esponenzialmente in quel periodo. Non siete dei violenti ma volete comunque rompere i coglioni? Smettete di comprare roba inutile e godetevi il tempo che vi rimane facendo qualcosa che vi appaghi realmente. Spegnete il computer e aprite un buon libro. Dipingete un quadro, mettete su una band o pianificate l’omicidio del vostro vicino di casa ma fatelo con passione. L’unica cosa che ci distingue dalle altre bestie e la nostra capacità di cogliere la bellezza delle cose e trasformarla in arte per poterla condividere. E’ anche l’unico modo per rendere il futuro meno merdoso di quello che ci aspetta.
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Esseredisgustoso Chissà come sarà il mondo senza te, Silvio. Al momento, il presente non va un granchè. Da quando te ne sei andato stanno impazzendo tutti. La gente continua ad incazzarsi come prima ma non ha più un bersaglio. Anni passati a covare rancore ci hanno assuefatto a una rabbia continua e immotivata: la pensionata molisana che abita nel mio palazzo ha cercato di accoltellarmi perchè le avevo parcheggiato troppo vicino. Travaglio, in piena crisi di identità, ha iniziato ad elencare i conflitti d’interessi degli altri uomini di governo, ma non è la stessa cosa: una volta perso il grande amore è inutile cercare la stessa donna in altre. Ed è per questo che, se trovate una ragazza amante del sesso tantrico praticato indossando costumi dell’Ottocento ascoltando musica country, non dovete lasciarvela sfuggire. Di Santoro poi, non ne parliamo neanche: per alzare un patetico polverone su Monti ha invi-
tato in trasmissione un blogger complottista in overdose da scie chimiche credibile quanto un indignato di Wall Street che, appena girato l’angolo, va a comprare una confezione maxi di antidepressivi per il suo pincher nano. Che poi, Silvio, io li odio i complottisti. Ciononostante, su un punto, voglio dar loro ragione. Effettivamente c’è una verità che apparati di potere politico-economici vogliono tenere nascosta: anche se nessun governo lo ammetterà mai e nessun giornalista avrà il coraggio di scriverlo, i complottisti sono un branco di ritardati. Davvero, fonderei un network informativo anticomplottista se solo complottare contro i complottisti non facesse di me un complottista. Ma non è questo il punto. Mi ha sempre fatto paura il futuro, Silvio, sono terrorizzato da ciò che non conosco, da quello
che posso trovare dietro l’angolo: tiro avanti, ma solo perchè non posso spingere indietro. Un terremoto, una catastrofe nucleare, Dio che si manifesta e rivela al mondo quello che nessuno si sarebbe mai aspettato: “Mi faccio la barba tutti i giorni.” Mi sono sempre rifiutato di pensare al domani, almeno sinchè non diventa oggi. E adesso che non ho più neanche le certezze del presente nè qualcuno con cui prendermela è diventato tutto più difficile, Silvio. La paura di non arrivare a fine mese che ci accomuna tutti, esclusi quelli che se ne lamentano su Facebook attraverso il nuovo iPhone, il timore che neanche questo governo possa riprendere in mano la situazione: ci sono così pochi soldi in giro che nell’uscita lancio di “Costruisci il tuo modello in scala del Titanic” regalavano il buco. Il mondo andrà avanti senza te, nessuno potrà
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più urlare al totalitarismo mediatico, alla dittatura televisiva, alla distrazione di massa mediante esposizione continua di forme femminili atta a rendere inoffensiva la popolazione: no. Quando anche dopo di te continueremo a vedere tette e culi in televisione la conclusione sarà finalmente alla portata di tutti, persino di Concita De Gregorio: agli uomini piace guardare tette e culi. Ma non è questo il punto. Mi manchi, Silvio.
Nicola lotta ai limiti di una precarieta’ lavorativa, fisica e mentale: cercando di salvare la sua fabbrica dalla chiusura scopre i trucchi piu’ loschi con cui i padroni fregano le classi medio-basse. Contro di lui un padrone senza scrupoli e una famiglia senza vergogna, incarognita dalle mode piu’ devastanti del momento. ottanta pagine di sopravvivenza a colori con raccomandazione di Altan e Cipputi.
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Daniele Fabbri
[...]Esistono altre testimonianze sui fatti relativi alla Depressione Austera di quegli anni in Italia. Scrive il regista anglotedesco Tim G.S.Fund nei suoi diari: «L’ultimo ricordo che ho di Berlusconi è del 2026, un ricordino edificante, da libro Kuore. Stavo facendo il doppiaggio del mio film “Achtung!Schpread!”, proiettato nelle sale italiane col titolo “La Morté”, o “Li Morté”, non mi ricordo; era l’ora della pausa e nell’hangar corazzato della GoldmanSachs stavano tutti seduti chi qua chi là, a defecare nel sacchetto riciclapranzo. Vedo DiPietro, un vecchio attore molisano, che guida l’anziano Berlusconi verso il recinto dove c’è un pò di sole, lo portava per mano, un passo alla volta, come si usava all’epoca con una vecchia rinsecchita o un leghista cieco. Berlusconi aveva il volto color fard sopra un collo bianco
ceramica, era completamente pelato ed era nascosto dietro i grandi occhiali neri che ormai portava sempre. DiPietro mi si avvicina, gli chiedo come sta Berlusconi: «Mo ch’ bbo dich’ affar’, ten ‘a prostatizzàt’ e nivved’ enent! Oramà nivved’ enent!». Poi a gran voce rivolgendosi a Berlusconi: «Cavalié,ch’ ssapet’ chi stà qquiddevicin’? C’sto ureggist’ Tinfund chevva salùt’t!». Berlusconi solleva la testa guardando verso il cielo, fa per stringermi la mano ma con una finta si dirige a strizzarmi il pacco, tutto però alla velocità di una tartaruga col parkinson, mentre le sue ossa scricchiolano e cigolano come le porte di certe scene nei miei film. Di colpo spara una tosse polmonare che spiaccica sul soprabito di DiPietro macchie di saliva, muco e sangue. Mentre quest’ultimo si pulisce Berlusconi si riprende, scambiamo due parole,
poi lui inizia a ricordare di quando faceva le crociere e io rimango lì a guardarlo. Era impalpabile, sorrideva con quel sorriso inerte che hanno i ciechi, avrei detto di stare sognando se non fosse stato per la puzza di bigattini che si portava dietro. Adesso vengono a prenderlo due uomini, uno lo regge per le spalle, l’altro lo solleva dai piedi e se lo caricano a spalla rigido e orizzontale come un sarcofago, diretti verso il set. Spinto dal cazzo che non avevo da fare li seguo, voglio proprio vedere come fa a lavorare in quelle condizioni. Da quando era stato rieletto per la quarta volta nel 2013 era davvero invecchiato. Nello studio tutto è pronto; facendogli evitare i cavi come in un labirinto lo conducono al cen-
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tro del set potentemente illuminato, lo aiutano ad indossare le scarpe coi tacchi, posa i capelli finti sulla testa, ma ha ancora gli occhiali neri sugli occhi. Il set era pieno di finanzieri, ministri, cardinali, giravano un videogiornale per conto della TBC, Trilateral Bank Comunication; il regista era il nipote di Monti, Gohan Monti; questi gli spiega la scena, sento che gli dice: «Fai così Silvio, arrivi fin là, dici ‘mi consenta’ e ‘comunisti’, e stringi la mano a Massimo mentre guardi le tette della sua segretaria». D’Alema si fa sentire: «Silvio sto quà, le tette sono alla mia sinistra!», facendogli il gesto delle poppe che però cade nel vuoto. Tutto a posto? Si accendono altre luci. Motore! Ciak! Solo a questo punto Berlusconi si toglie gli occhiali ed è il miracolo. Il miracolo di Silvio che improvvisamente ci vede, vede le cose, le persone, le tette, non due occhi ma cento, che vedono tutto perfettamente. E sorride, stringe mani, saluta le telecamere, bacia D’Alema, si strizza il pacco: robottino fantastico che saltella e risponde fulmineamente alle domande di un tale Floris, dice cose e le smentisce, e la gente della
troupe tutta attorno, gli elettricisti sui ponti si mordono le labbra per non ridere, si nascondono la faccia tra le mani. Berlusconi li rassicurava. Berlusconi rassicurava tutti. Spread, debito, deficit, Btp, erano cose che gli italiani non capivano, si sentivano tristi e disorientati; con lui stavano meglio perché capivano con chi prendersela. Capire a chi dare la colpa fa girare l’economia, per questo l’Economia l’aveva fatto rieleggere. Stop, la scena è finita, si cambia inquadratura. I tecnici smontano con nervosa fretta, la TBC li paga 8 centesimi a inquadratura. Nel caos che segue ogni fine ciak Silvio si rimette lentamente gli occhiali e tende le braccia in attesa che qualcuno venga a prenderlo; a telecamere spente, tornava un piccoletto curvo, semiparalizzato e disinteressato ai culi, un fantasma che si dissolveva nel buio, nella solitudine, nell’oscurità. (cit. F.F.)
Michele Incollu
Tre giorni fa, mentre mi tagliavo le unghie dei piedi, una scheggia impazzita si è conficcata nel mio cranio. I medici hanno ritenuto meno pericoloso lasciarla lì che intervenire, ma a partire da quel giorno ho iniziato ad avere delle visioni sul futuro. Per questo, posso dirvi con certezza che nel 2013 il governo Monti sarà considerato un grandioso successo. Ho visto che nessuna banca è fallita e sono stati creati migliaia di posti di lavoro, semplicemente liberalizzando la scelta di pagare o meno uno stipendio. In nemmeno due anni, i Tecnici hanno preso un paese sull’orlo del fallimento e l’hanno trasformato in una società ideale, dove a ognuno viene dato secondo quello che si può comprare. Ma la cosa più importante è che i nostri programmi televisivi preferiti saranno ancora trasmessi, sebbene adattati alla nuova realtà del paese. Per rassicurarvi, durante l’ultima visione sono riuscito a copiare parte di una guida tivù:
Italia 1 - C.S.I Milano Una squadra speciale composta da ex-ricercatori universitari ed ex-investigatori di polizia, si trova a lavorare unita per affrontare una nuova vita da baraccati. In ogni puntata, i protagonisti devono fondere le loro abilità per scoprire se le cose mollicce trovate durante il quotidiano giro dei cassonetti sono cibo oppure i soliti rifiuti tossici. (Serie TV è co-finanziata dal Ministero dell’Istruzione per il suo contributo a ricordare l’utilità di un’istruzione universitaria in Italia). Rai 3 - Chi l’ha visto? Programma quanto mai necessario da quando i commissariati si autofinanziano con pesche di beneficenza, Chi l’ha visto alza il tiro e da la caccia a un pericoloso serial killer. Secondo i criminologi, l’assassino uccide per mancanza d’affetto. Da bambino infatti, la madre gli spegneva le sigarette di cioccolato sulla pelle come
punizione perché si masturbava talmente tanto che a casa avevano bussato gli esperti dell’Osservatorio Sismico. Grazie ai laboratori genetici Rai, la troupe scova l’assassino e mette fine alla sua furia, clonando la madre ormai defunta e lasciando che la uccida. Canale 5 - La Corrida milionaria Diventare milionari è diventato talmente facile che solo degli idioti possono ancora protestare contro i privilegi dei super-ricchi. Lo storico format della Corrida si arricchisce di due entusiasmanti novità: 1) I concorrenti sono tutti aspiranti toreri. Per rendere lo spettacolo più avvincente niente spade o lance. Al concorrente, prima di liberare il toro, vengono dati cinque minuti di tempo e un kit per costruirsi una balestra con i propri tendini di Achille. 2) Il sopravvissuto più applaudito riceverà 1 mi-
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lione di euro, da spendere nella nuova Sanità Cattolica. Rai 1 - Porta a Porta, Speciale eutanasia Nello storico programma d’attualità, si torna a parlare di eutanasia dopo la nuova proposta di legge sul “Bio-testamento alla Dell’Utri”. Se sarà approvata, ogni cittadino, compiuti i diciott’anni, potrà decidere se assoldare un sicario della mafia per essere fatto fuori nell’eventualità che un giorno non desideri più le cure ospedaliere. La scelta degli ospiti è come sempre garanzia di uguale spazio per tutti i punti di vista. Da una parte ci sarà tutta la redazione di Famiglia Cristiana e dall’altra gli ospiti di un’intero reparto per pazienti in stato vegetativo.
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Testo Dott. Barbie* illustrazione Perrotta
“Dicci chi è stato.” Il vecchio si cagò addosso, gli occhi sbarrati dal terrore e i denti che battevano come se la polizia egiziana gli avesse sparato dei lacrimogeni sulle gengive. Il mio aiutante – un ragazzo-soldato congolese di 11 anni che avevo “liberato” dalla sua famiglia per due kg di pane raffermo e il capitolo mancante sull’ENI di Petrolio di Pasolini – continuava a fargli ingurgitare acqua e sale. “Su, avanti. Sono già tre ore che andiamo avanti. Non ti va di tornare a casa e ascoltare un bel 33 giri?” Il vecchio scuoteva la testa. Piangeva. Non so nulla, ripeteva ossessivamente. Davvero, io non
c’entro, sono solo un pensionato. Era già il sesto che “interrogavamo” durante quella giornata. Alle 7 di mattina Little T., lo Splendente Generalissimo di San Marino, si era alzato come al suo solito, aveva fatto partire la filodiffusione e stava per bere la consueta razione di latte quando un certo torbidume nel bicchiere lo aveva insospettito. Le analisi avevano rivelato che la bevanda era piena di tetracloroetano. “Hai cercato tu di avvelenare il Generalissimo, vero? Se confessi e ci riveli chi ti ha mandato, ti garantisco personalmente che mi attiverò presso le strutture di comando per farti deportare in Italia. Sano e salvo”.
Niente. Il vecchio era più muto di Andreotti davanti alla Commissione stragi. Ordinai all’aiutante di abbassargli i pantaloni, rimuovere la merda e scappellarlo. Dissi di aspettare un minuto in quella posizione. Il vecchio cominciò a mugugnare e dimenarsi sulla sedia. Tornai con un sottile pezzo di ferro arroventato ed un ultimatum: fuori i nomi, o l’attempata uretra diventerà la riedizione di Mogadiscio ’94 in formato anatomico. Il vecchio urlò: “CASINI. È STATO CASINI. SU MANDATO DELLA CEI E DEI CARDINALI.” Come sospettavo. Pierferdinando Casini, il nuovo premier italiano e leader di Democratura Cristiana-
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Sesto Polo. E il Vaticano. Chi altri poteva aver ordito una cosa del genere? Rassicurai il vegliardo: sei libero, ora. Hai fatto la cosa giusta. Sarai premiato per queste informazioni. Il ragazzino congolese lo rivestì, slegò le manette e la corda e gli fece tracannare il resto della caraffa. “Non è che devi andare in bagno, per caso?” mi rivolsi al vecchio. Lui annuì con forza, asciugandosi le lacrime con la manica della giubba. Indicai una porta: “Il bagno è lì”. Il vecchio corse verso la meta, si sfilò repentinamente le mutande e afferrò il raggrinzito arnese per compiere l’agognata minzione all’interno del pissoir in porcellana. Non appena il getto d’urina raggiunse la piccola grata metallica necessaria a far defluire i liquidi, il vecchio venne raggiunto da una scarica fulminante e stramazzò a terra attraversato da atroci convulsioni. La grata era collegata all’impianto elettrico. Entrai nel cesso e sorrisi. Il “Vespasiano à la Barbie” funzionava a meraviglia.
All’inizio, nell’estate del 2011, tutti l’avevano buttata sul ridere. Little T. presidente di San Marino? Certo, come no. E perché non mettiamo i Giganti agli Esteri e Bobby Solo alla Difesa? I democristiani e i socialisti della piccola repubblica indipendente avevano accolto la sua candidatura sia con enorme ilarità che con malcelato fastidio. “Questa freddezza fra i politici proprio non la capisco ed è ora di rimettere a posto le cose. Così non si può andare avanti e anche in questo senso potrei dare il mio contributo” aveva detto all’epoca Little T. I primi sondaggi lo avevano dato ad un inquietante 60% di preferenze. Le forze sanmarinesi, tramite un accordo sottobanco, avevano fatto sì che il Consiglio
Grande e Generale lo escludesse dalla corsa alla presidenza con una leggina ad personam.
suno ci aveva creduto fino in fondo. Avrebbero pagato carissimo quell’errore.
Ma Little T. non si era dato per vinto. Sapeva che la popolazione era con lui. Che i vecchi, soprattutto, erano con lui. E quando un popolo non è messo nelle condizioni di scegliersi il leader che vuole, allora è il leader che deve raggiungere il potere (in qualsiasi modo) per servire il suo popolo.
Il 9 febbraio, giorno del compleanno di T., sferrammo l’attacco. Mentre il Consiglio Grande e Generale si riuniva in sessione straordinaria, tutti gli edifici strategici erano già stati occupati dai nostri uomini. La polizia era impotente: lo sparare contro malati, donne e paraplegici avrebbe comportato una reazione internazionale durissima. Verso le quattro di pomeriggio io e Little T., con tanto di banda armata di bambini congolesi al seguito, salimmo a Palazzo Pubblico per incontrare i Capitani Reggenti e tutti i vari Segretari di Stato. Erano sconvolti. Non gli era mai capitato nulla di simile nella loro placida e lanuginosa vita. Intimammo loro di rassegnare immediatamente le dimissioni e di consegnare tutti i poteri al nuovo Generalissimo di San Marino. Demmo loro 12 ore per esiliare e non mettere mai più piede nella Repubblica. Non batterono ciglio.
La scelta su come conquistare quel potere ricadde ovviamente su di me. Del resto, il mio curriculum di coup d’état parla chiaro. Guinea Equatoriale, 1972. Repubblica di Zangaro, 1974. Isole Comore, 1999. Thailandia, 2006. E infine Honduras, 2008. L’idea di fare un golpe a San Marino – e l’opportunità di rimanere in un paese che non concedesse l’estradizione alla Corte Penale Internazionale – mi eccitava alquanto. Diedi subito la mia disponibilità. Il gennaio del 2015 lo impiegai a reclutare e addestrare i miei catilinari. Scelsi dei vegliardi con l’Alzheimer in stadio iniziale: certo, era una scelta rischiosa, ma se le cose fossero andate male nessuno si sarebbe ricordato un cazzo. Per circa 10 giorni feci loro compiere una serie di “esercitazioni invisibili” sul modello trotzkista della rivoluzione d’ottobre: nuclei scelti di 3-4 vecchi entravano ed uscivano quotidianamente da banche, poste, stazioni ferroviarie, uffici pubblici, supermercati, caserme e centrali telefoniche. La stampa socialista e democristiana aveva ridicolizzato Little T. e la sua banda di consulenti militari e ottuagenari. I maggiori quotidiani avevano titolato: “E sarebbero questi i golpisti?” Anche questa volta, nes-
Il primo atto esecutivo del Generalissimo fu quello di abolire il Consiglio e di nominare i Giganti al Segretariato di Stato e Bobby Solo a quello della Vecchiaia & Cantautorato. Con un decreto (“L’Atto Del Rientro E Del Giradischi”) vennero espulsi tutti i residenti sotto i 70 anni e favorito lo spostamento forzato di moltissimi vecchi fans di T. a San Marino. “Finalmente il tempo di squallidi concerti a sagre friulane e case di cura molisane è finito”, declamò dalla sommità di Palazzo Pubblico il Generalissimo. Era il giorno della proclamazione dell’Impero Politico-Discografico, e quelle parole vennero accolte da
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una ventata di entusiasmo, infarti e guasti fatali ai peacemaker. Già, erano davvero finiti quei tempi cupi fatti di rimborsi spese in nero e depressione da nostalgia del boom. La vita a San Marino era scandita dal ritmo dello swing dei vecchi successi anni ’60. I vecchi scoppiavano di felicità, si sentivano giovani e concludevano ottimi affari con commercialisti e imprenditori di mezzo mondo, attratti dal nuovo regime di off-shore totale imposto dal nuovo presidente. Nemmeno io me la passavo male. Stavo tutto il giorno a scegliere puttane minorenni su siti russi sfuggiti alla censura del Cremlino e a spedire missive all’Interpol, descrivendo con dovizia di particolari tutti i crimini commessi in passato e vergando commoventi esegesi anatomiche di adolescenti ucraine, tagike e tatare. Un giorno Little T. mi convocò nel suo ufficio. Doveva informarmi di un’importante decisione che aveva intenzione di prendere al più presto. “Voglio tornare a Sanremo.” La sua voce era ferma, risoluta. Io riuscivo a pensare ad una sola cosa: merda. Era il classico “Doomsday scenario”. Se mi avesse ordinato di bombardare a tappeto Tel Aviv avrei avuto meno problemi – e meno conseguenze. Ne ero certo: con questa storia di Sanremo avremmo passato tutti quanti guai seri. “Hai capito? Voglio tornare a Sanremo, e non come semplice concorrente, voglio proprio condurlo e vincerlo, tutto nella stessa edizione”. “Generalissimo – gli risposi – mi permetto di ricordarle che abbiamo stipulato un trattato bi-
laterale ben preciso con la Repubblica Italiana e con il ministro della Cultura Fiorello. Sanremo non si può toccare. È dominio esclusivo di Fiorello e Vincenzo Mollica. Rischiamo un contraccolpo militare devastante”. Little T. non mi stava ascoltando: “E voglio anche tornare al Cantagiro. Voglio che si rifaccia il Cantagiro!” Cazzo, il Cantagiro no. Il Cantagiro era la fine. Il Cantagiro significava guerra termonucleare. Cercai di oppormi, ma il Presidente si sfilò un lucidissimo stivaletto bianco, lo poggiò sulla scrivania, estrasse la pistola dalla fondina bianca e cominciò a sparare sulla calzatura, cantando a squarciagola. Era il segnale inequivocabile che sul punto non erano ammesse discussioni. La risposta di Fiorello e del governo italiano fu impietosa. Arrivò sull’account Twitter del ministro della cultura: “Non se ne parla. STOP. Non azzardatevi più a chiedere una cosa del genere. STOP. Ritorsione militare. STOP. Abbiamo allertato milizie di confine. STOP. ROSICOOONIII”. Per rappresaglia, Little T. fece congelare tutti i conti bancari appartenenti a imprenditori e mafiosi italiani, e contestualmente minacciò di rendere pubblici i nomi dei politici di DC-Sesto Polo che si erano rivolti segretamente agli istituti di credito sanmarinesi per evadere le tasse e riciclare le mazzette. La mossa era al limite del suicidio. La guerra diplomatica: ormai totale. L’embargo fiaccò la popolazione, e le sacche del malcontento incominciarono ad essere infiltrate dagli agenti provocatori del Vaticano e dei servizi
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italiani. Riuscì a sventare una prima congiura di palazzo. Poi una seconda ed una terza. La quarta, probabilmente, sarebbe stata fatale. Nel frattempo l’Italia danzava sull’orlo del baratro. Gli imprenditori falliti si moltiplicavano esponenzialmente e a leggere i giornali pareva di essere ogni giorno a Jonestown. Little T. dava evidenti segni di squilibrio. Dopo aver visto una puntata de “Il più grande spettacolo dopo il weekend siamo noi – 8° edizione”, in cui Fiorello lo accusava di crimini contro l’umanità e di aver distrutto la musica italiana, il Generalissimo elaborò la sua Endlösung. Mi buttò giù dal letto alle 5 di mattina. “Dott. Barbie, prepari le sue squadre. Assaltiamo il Vaticano”.
“Moriresti per me?” Sì, mio adorato, sì sì sì, è da 50 anni che muoio per te, e tu non te ne sei mai accorto, ma come potevi, del resto?, eri famoso, e impegnato, non te faccio una colpa, e chissà quante sgualdrine ti avranno avuto, quante donnacce avranno affondato le loro unghie affilate nei tuoi preziosi e bellissimi capelli, oh sì, voglio morire per te, ora. Il Generalissimo aveva accarezzato Clara, e a lei per poco non era scoppiato il cuore. “Allora sai come devi morire”. Sì amore mio, sì, lo so. Clara era arrossita in volto, e aveva chiesto a Little T. se poteva portarla nella “Balera 66” del Palazzo e cantarle un’ultima canzone – l’ultima canzone della sua vita. Davanti San Pietro la folla è assiepata, in silenzio. Stanno aspettando il Papa. Clara è seduta su una sedia imbottita di esplosivo militare e non fa altro che pensare alla formidabile estate del ’63, quando a Spoleto si strusciava pudicamen-
te su aitanti giovinastri della buona borghesia. Non fa altro che pensare a Lui. Ma ecco la sedia gestatoria ergersi nel cielo, il vestito bianco svolazzare e la benedizione scendere su tutti. Un lunghissimo corridoio si forma al centro della piazza, tagliandola in due, e Clara usa il suo handicap per farsi strada e raggiungere le prime file. “Ora.” La voce del Dott. Barbie gracchia nell’auricolare. È il momento. Clara piega il polso in avanti e il motorino della sedia emette il suo ronzio elettrico. Guardami, amore mio, guardami morire per te. Il boato è terrificante. La confusione indescrivibile. La folla ondeggia, cozza dappertutto, rotola avanti e indietro con degli urli selvaggi, si infrange come un’onda schiumosa sulle colonne, si disperde impazzita nelle vie limitrofe. Il clamore è assordante. È il clamore di un massacro. Dentro al Palazzo Pubblico, invece, il silenzio è tombale. Non appena arriva la conferma via radio, il dott. Barbie si precipita nella stanza presidenziale per comunicare al Generalissimo il buon esito della missione. Da Little T. non proviene alcuna reazione. Sembra semplicemente sprofondato nella sua poltrona regale. Lo sguardo è fisso e vitreo. Sta mormorando qualcosa. O forse sta cantando. Barbie si avvicina. È una canzone. L’ultima canzone composta dal Generalissimo. I mastini della balera. “La vittoria vada a coloro che hanno fatto la guerra senza amarla”, diceva Malraux. Fanculo Malraux, pensa Barbie. Io la guerra l’ho sempre amata.
* Esperto in colpi di stato, rovesciamenti di regimi democratici e traffico d’armi in cambio di minorenni, il dott. Barbie è il consulente militare del Bile nonché l’uomo che tutti vorremmo essere.
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Testo Silvio Di Giorgio Illustrazione Ste
Frammenti del diario di una banconota di 100 euro datati novembre 2011. In quegli anni, prima che le transazioni fossero concluse con i tappi di coca cola (dal 2032) e poi con i tappi di coca cola light (dal 2098, a causa dell’obesità mondiale), la moneta corrente si chiamava Euro, in onore dell’Europa, quell’antica regione che oggi occupa circa 2/3 del territorio del Vaticano. Sono una banconota. Ho vissuto mesi interi in un caveau di Milano insieme a migliaia di miei simili. Quando la Guardia di Finanza veniva a cercarci non dovevamo fare altro che fischiettare e guardare da un’altra parte per fargli credere che non eravamo lì ma in qualche paradiso fiscale. E loro ci cascavano. Un biglietto da 500 euro, uno che la sa lunga, mi ha detto che era
merito di un giochino chiamato scatole cinesi. Era strano fare quella vita; prima di stabilirmi a Milano passavo di mano in mano, giravo il mondo, vedevo posti sempre nuovi e facevo muovere l’economia. Poi il letargo. Forse il nuovo tizio che mi possedeva aveva così tanti soldi da non sapere neppure di avermi. Oppure semplicemente non pagava in contanti ma regalando ministeri. Una mattina di dicembre dell’anno scorso, però, mi sono risvegliata in un’altra casa: ora mi trovavo sul conto corrente di un onorevole che aveva barattato la sua fedeltà per me e per una manciata di mie sorelle. Mi vergognavo a stare con lui; per fortuna quella stessa sera è andato
a puttane per festeggiare la sua “promozione” e mi ha ceduto ad un altro padrone. Da una puttana ad un’altra puttana. Qualche giorno dopo mi sono svegliata tutta intorpidita, come se mi avessero arrotolato su me stessa; ero ricoperta di una polverina bianca ed avevo tracce di muco sui bordi. Non capivo dove mi trovavo; quando ho ripreso conoscenza ho capito di essere in Grecia perché un tizio stava per pulirsi il culo su di me: diceva che non valevo più niente. Anche se a pensarci bene poteva tranquillamente essere l’Italia... Mi ha risparmiata perché anche lui alla fine mi ha barattato con una scopata. Non so come, ma poi finisco in Vaticano. Bene,
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mi dico, adesso potrò fare del bene a chi ne ha bisogno. E invece mi ritrovo coinvolta in una speculazione segreta dello Ior. Armi, riciclaggio...Pensavo che il Vaticano fosse cambiato da quella volta che ho passato 3 ore nella cassetta delle offerte accanto alla tomba di Renatino De Pedis nella chiesa di S. Apollinare. Mi sbagliavo. Sono di nuovo accalcata in una pila di banconote. Sento che sono già stata in quel posto, l’odore è lo stesso. Sì, è il caveau di Milano. L’unica differenza è che ora ci sono più banconote. Una sera esco insieme ad altre compagne, ci infilano nel cassetto di una villa dal cui scantinato arrivano urla sguaiate di una festa. Sicuramente si tratta di una cena per bene. La busta in cui mi infilano viene prelevata a tarda notte e consegnata ad una ragazza. Capisco solo queste parole: “Mi raccomando, per tutti sei la nipote di Mubarak, non fare cazzate!”. Adesso dove mi trovo? Non so come mai, ma dopo tanti giri sono di nuovo ritornata nello stesso caveau. Gira e rigira ritorno sempre qui. Ritorniamo tutte sempre qui. A novembre ero destinata a partire per una compravendita di parlamentari in vista di non so quale votazione, ma stavolta mi hanno rifiutato. Pare che il mio padrone non sia in tiro come una volta... Domani dove sarò? Non so...l’unica voce che gira è che da domani anche il mio padrone dovrà ricominciare a pagare con le banconote: i ministeri sarà qualcun altro a regalarli.
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Testo Volpe illustrazione Ste&Perrotta
Una distesa bianca e lucida come un foglio, ma dura come un diamante, sulla quale non possiamo incidere nulla con la sola forza delle nostre unghie rotte. Io e Adam Smith stiamo morendo di freddo. Ci siamo imbattuti in una tribù di soloni in giacca e cravatta che vomitavano pezzi di carte costituzionali e neoliberismo sulle loro camicie confezionate su misura. Abbiamo lasciato dietro di noi un esercito di gruppi famelici ed eterogenei in una sorta di Wacky Races il cui aspetto più difficile è trovare la bandiera a scacchi. Nascosta da qualche parte in quest’Artide dell’economia, come un elisir di immortalità per un capitalismo asfittico e sordo, condannato a rotolare verso il basso come una slavina. Mentre tutti sperano che si tratti solo di un Sisifo che riuscirà a riportarci a galla prima di vedere il masso cadere di nuovo. Magari consentendo a qualcuno di riempirsi le tasche. Il futuro è questa landa deserta, e nessuno sa dove sta andando né perché. Basterebbe un
nemico, magari, un nemico vivo, da disegnare con caricature di nasi aquilini o bombette della city, o con l’ombrello pronto a spalancarsi nel nostro culo abusato. Ma la verità è che il nemico siamo noi, noi tutti: da Christine Lagarde e Paul Bernanke, giù giù fino a tutti noi che ancora crediamo – in Dio, in un complotto mondiale delle banche, nel primato della politica sana, in Beppe Grillo, nella democrazia partecipativa o rappresentativa, nei vantaggi di un regime liberale in economia. Appare chiara una cosa, in tutto questo caos, in questo brulicare di formiche: nessuno ha la più pallida idea di cosa stia succedendo o di come salvare le cose. I politici e gli economisti, sotto una facciata sempre più labile di serenità, si comportano esattamente come le massaie del dopo-11 settembre: una corsa frenetica ad accattare qualsiasi cosa ci sia in un supermercato, strappandola dalle mani della vicina. Calze di nylon, bond italiani o spagnoli, lampadine da 40 watt, Finmeccanica, scatolette di tonno sott’olio
che durano fino al 2017, e che forse sopravviveranno alla fine dell’euro o al default dei fondi triennali del Portogallo. Non c’è una perfida Albione che tenga, e credere che gli squali di Bildenberg o Goldman Sachs si possano appoggiare ai loro discepoli in giro nei governi tecnici e nelle istituzioni europee è come credere che Ibrahimovic si rifiuterebbe di segnare al Barca o all’Inter perché ci ha giocato prima. Sarebbe interessante capire per quale motivo un mercenario allevato per rubare a tutti dovrebbe mostrare qualche forma di simpatia per un istituto di credito in difficoltà nel quale ha imparato a uccidere il proprio boss per prenderne il posto. Si fa così anche nella mafia, ispiratrice ideale di ogni forma di istituzione economica efficiente.
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Vladimir Stepanovič Bakunin
Quelli del Bile mi hanno chiesto un articolo sul complottismo, ma io non sono mica tanto sicuro che esista davvero il complottismo. Secondo me è solo un modo con cui i blogger più influenti del mondo occidentale instupidiscono le giovani menti più pronte a scandalizzarsi e a guardare il mondo con occhi nuovi per distrarli dai veri problemi. E il fatto che quelli del Bile (il Bilerberg, che lo spirito di George Carlin mi perdoni!) mi abbiano chiesto di sprecare un sabato pomeriggio scrivendo del complottismo mi insospettisce parecchio. Stanno evidentemente cercando di distogliermi da qualcosa di più importante, tipo connettermi a youporn per le mie trentacinque ore settimanali contrattuali. Un compito fondamentale, sapete, perché ho recentemente scoperto che all’interno di filmati apparentemente innocui come “teen analyzed by teacher” o “thank you sir may I have another?” sono occultati messaggi in codice inquie-
tanti. Per esempio: quanti di voi si sono accorti che i video porno contengono spesso nascosti riferimenti al sesso? Ma c’è di più: ho scoperto che analizzando per mezzo del codice Morse le goccioline di sperma che si collocano tra un getto e l’altro delle eiaculazioni si ottengono sequenze di caratteri. In un film con Rocco Siffredi ho potuto scorgere il messaggio “d3fkdo45?kdkaa32011fff(u”, e non vi è chi non veda che adoperando un banale metodo di decrittazione di mia invenzione (che consiste nel sostituire a lettere uguali uguali farneticazioni) si ottiene il messaggio “Berlusconi annuncerà le proprie dimissioni nel novembre 2011”. Inquietante, se pensate che il film in questione era “Scusa ma ti voglio battere” del 2010. È dunque per impedire scoperte del genere che si diffondono le ridicole teorie dei complottisti, per impedirci di indagare il futuro nei segni che
l’Onnipotente sparge copiosamente intorno a noi come Rocco nel citato film. Pensateci: i blogger vorrebbero convincerci che esiste davvero gente convinta che le Torri Gemelle sono state tirate giù dagli americani e dai giudei perché il calore sprigionato dalla combustione del carburante non sarebbe bastato a fondere il metallo dei sostegni. E la combustione di quella roba che produrrebbe le scie chimiche? Come trascurarla? Nessuno può essere così incoerente. Vorrebbero convincerci che c’è qualcuno che pensa che l’economia mondiale va a puttane perché ogni anno 130 persone si accordano sul farla andare male per guadagnarci. Come se ancora qualcuno non avesse capito l’economia è in crisi perché il capitalismo non può che essere in crisi prima o poi. Ergo, i complottisti non esistono: è un trucco
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per distrarci da qualcosa di più importante. Le teorie sull’esistenza di complottisti non sono che un modo ingenuo, fin troppo scoperto, per affossare la necessità di una svolta radicale. Libertà di informazione per tutti, la scienza sottratta al controllo delle università, guardare il mondo con occhi nuovi. Chi potrebbe volere qualcosa di diverso? Ma ecco che un ipotetico complottista salta fuori a dire che prima di ottenere queste cose occorrerà disfarsi dei rettiliani. E i pochi che ci cascano restano basiti dall’enormità del compito. Gli altri se ne ritraggono con disgusto. Niente libertà di informazione, niente scienza libera, niente mondo nuovo. E i blogger avranno vinto.
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MelissaP2
Se il futuro politico e sociale vi preoccupa ma pensate una soluzione si possa trovare, vorrei approfittare dei vostri quasi-pensieri quasi-felici per farvi notare che quella vostra corta, cortissima copertina chiamata “speranza” ha lasciato scoperti oltre i piedi (e il cazzo se siete Lexington Steel), la questione “ambiente”. Per la Terra e l’uomo credo sia un po’ come la storia de La prostituta e lo scorpione (che no, non è una canzone di Zarrillo). Volendo possiamo anche in questo caso dar retta a certa dietrologia secondo cui uno strumento di ricerca statunitense quale l’HAARP (noto come il Moby-Dick o il magnete dei complottisti), sia in grado di provocare a piacimento siccità, alluvioni, tempeste, uragani, terremoti, tsunami e cambi di governo. Il tutto ad opera dei potenti della Terra col fine di determinare l’andamento dell’economia mondiale.
Diciamo che ci crediamo ma nel caso, perché ad esempio colpire il Giappone? Ok forse sono il popolo eletto del dio USA ma io come voi, avrei affondato il colpo sulla Cina (se non sull’India). Che i potenti della Terra siano razzisti e non distinguano un asiatico da un altro? Se così fosse e ne foste in cerca, quest’errore sarebbe un buon motivo per abituarsi a riconoscere tratti somatici con markers identificativi differenti. (A proposito, ecco come la vedo per la catastrofe nucleare in Giappone: ora avranno cazzi grossissimi. Anche se al posto di un arto a caso). Dicevo, o ci si dà anche qui al complottismo oppure ci si rende conto che i mutamenti climatici continuano ad esistere anche dopo una mozione a loro sfavore. Abbiamo raggiunto quota 7 miliardi e ci riproduciamo con una foga tale che persino un fan di Star Wars ha la sensazione di scopare. (Trivia:
dire a mo’ di battuta “usa la forza” non è vero sia sempre consigliato. Ad esempio in replica ad un fan che dica: “stasera pedino quella tipa che non me la vuole dare”). Ci sono voluti 250.000 anni per toccare quota un miliardo nel 1804. Solo 11 anni per passare dai 6 miliardi del ‘99 agli attuali 7. Secondo le Nazioni Unite potremo toccare quota 9,3 miliardi entro il 2050. Indizio: a 10 si va in game over. Dopo ere che il maschio medio ne ha sempre sostenuto l’importanza, tutta l’umanità - tutta - dovrà rivalutare masturbazione, coito anale e rapporti orali. Fors’anche l’omosessualità. Incredibilmente finiremo persino a schierarci con la Chiesa in merito al preservativo. Sì perché più una società è povera, più figli tende a fare, andando incontro ad un aumento de-
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mografico incontrollato che acuirà uno scenario già drammatico dal punto di vista alimentare ed igienico-sanitario. E chi siamo noi per impedire tutto ciò se può andare a nostro beneficio? Ovviamente gli sconvolgimenti non sono diretta conseguenza della crescita demografica ma degli eccessivi consumi. Tra l’altro mentre la popolazione cresce, la produzione agricola continua a decelerare in modo netto dagli anni ‘60, il consumo del suolo aumenta e così la cementificazione. Come se ti smettesse di tirare il cazzo proprio nell’epoca dell’assediamente da stimoli sessuali e infiniti youporn. E qui arriviamo all’Italia. Perché 486mila frane italiane su 712mila europee, non son frutto di fortunate coincidenze. Non stiamo venendo sorpresi dai cambiamenti climatici: stiamo pagando il prezzo di una gestione socialista dell’ambiente. Gli alvei di fiumi e di torrenti son stati murati tenendo conto delle loro dimensioni nei periodi di magra. Come voler realizzare una pocket pussy per tutti e non tenere conto dei cavalli. Si è edificato sopra e a pochi metri dai corsi d’acqua: non si tratta dell’imprevedibilità della natura, si tratta dell’equivalente naturale del “non potevate stare qui” che non guarda in faccia ai condoni. Oppure nonostante tutto, abbiamo ragione noi ed è normale voler rendere strade carrabili le porzioni dei torrenti che ancora non lo sono: perché alleggerire il traffico cittadino incentivando l’uso dei trasporti pubblici se puoi contribuire a rendere un enorme passato di verdure detritiche il pianeta? Come avrete già capito a questo punto, il fatto è che lo scorpione punge la prostituta perché è nella sua natura; lei soffre fino a che non s’inietta l’antidoto, lui non la paga, va avanti tronfio e dopo qualche tempo si accorge di avere l’aids. In definitiva, tutto bene quel che finirà bene: prima o poi si muore tutti. Consolatevi pensando che saremo la prossima prova che un dio avrà messo sulla terra per testare la fede verso di lui. Amen.
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Testo Demerzelev
Quelli che vennero la chiamarono Atlantide, ma la sostanza in cui sprofondò il Paese non era certo la leggenda. Tutto cominciò all’improvviso, anche se molti anziani e qualche folle cominciarono da molto prima ad avvisare l’arrivo del disastro. Vennero sedati con la speranza, ansiolitici, cronaca nera e gattini. Anche alcuni giovani si accorsero di ciò che stava per accadere. Ma prima che i canti suadenti dei culi delle veline li portassero a schiantarsi sugli scogli imbottiti dei loro salotti, abbandonarono il paese. Come unico ricordo della loro terra portarono un carillon triband, su cui era inciso un motivetto estrapolato da una canzone dei White Stripes.
Li chiamarono cervelli in fuga, ma non tutte le loro menti riuscirono a raggiungere le rive desiderate. Molti infatti vennero dichiarati dispersi durante le perigliose navigazioni solitarie. Alcuni pescatori dicono infatti di aver visto con i propri occhi i loro spiriti pubblicare status radical chick nei pressi delle correnti dei social network. Altri ancora presagirono il funesto evento interpretando le interiora di alcune specie prese a campione. Il fegato degli operai, la milza degli insegnanti, lo stomaco dei poliziotti, i polmoni delle partite iva, il cuore dei pastori, il pancreas dei commercianti... le viscere vennero analizzate attentamente dagli auruspici e dagli statistici. I responsi espressi in grafici a torta furono pessimi.
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Ma nonostante questi segnali la catastrofe raggiunse il Paese trovandolo impreparato. Non furono le onde di chissà quale tsunami da record a provocarla, nessuna spettacolare massa d’acqua da rivedere in maniera ossessiva nei telegiornali mentre distrugge qualcosa di lontano. No, il Paese non venne toccato dal sublime quando, in maniera inesorabile e semplice, la terra si defilò. Da quel momento i tassi del suo rendimento annuale si misurarono con la scala Richter. Allora la globalità liquida sopraffece ogni cosa, trovandola sprofondata sotto il proprio livello. Il tutto comunque avvenne in maniera lenta, annunciata, considerata, discussa, documentata, sindacalizzata, legiferata, protestata, condivisa. Il Paese venne sommerso e si fece sommergere nello stesso fatale movimento, dopo il quale tutto si ritrovò ad essere semplicemente inabissato. E se prima la superficie era qualcosa su cui camminare con disattenzione, salvo non calpestare i senzatetto e il popolo viola, in quel momento divenne cielo, sede di ogni sogno, mistico aldilà di una respirazione ultracquea. Tutto venne a mano a mano sommerso. Per prima cosa il lavoro, poi il commercio in senso lato, e perfino il profitto. Ogni spiritualità ovviamente discendeva la stessa china, così la cultura, la memoria, le arti, i mass media. Poi le istituzioni, le chiese, i sindacati, le burocrazie, le associazioni di categoria, le caste, le comunità, le famiglie, i centri sociali, i forum, i fanclub dell’ortofrutta. Seguirono le convenzioni, i collegamenti, i simboli, le parole, le immagini, le faccine. Fino all’individuo, la singola persona, la singola idea, il singolo momento, la singola relazione, l’onanismo. Tutto precipitò sul fondo, lontano da quel cielo sempre più full hd, sempre più all led. Non fu facile abituarsi alla vita sottomarina, ma dopo un po’ di tempo già si potevano notare dei curiosi fenomeni evoluzionistici. Specie nelle nuove generazioni, cominciarono ad apparire dei mutamenti genetici adattivi: branchie, pinne, tentacoli, squame... pur di sopravvivere in quell’ambiente ostile gli esseri umani svilup-
parono ogni tipo di upgrade, risultando via via sempre più performanti, flessibili, multitasking e all’occorrenza indignati, violenti e attention whores. Ogni nuova versione dell’umano veniva annunciata dagli opinion leader del mondo liquido ai loro followers con entusiasmo e/o sarcasmo. Ma tutto questo per qualcuno era troppo. Molti si suicidarono attaccandosi a bombole d’inchiostro, altri con un’iniezione di ipnotossina, altri ancora ingoiando una dose eccessiva di perle. Il numero complessivo comunque non era preoccupante e in generale le morti si susseguivano come prima. Solo il rito dell’estremo saluto era cambiato. I corpi non venivano più seppelliti. Il funerale si svolgeva con la salma sospesa a un metro dal fondo. Rimaneva così per un giorno. Poi le veniva insufflato ossigeno nei polmoni che assieme ai gas di decomposizione la faceva decollare nell’acqua come una cadaverico razzo di mortaio. I cari del defunto lo potevano così veder ascendere, letteralmente, vettore a stadi della sua anima. Almeno così citavano i testi sacri opportunamente modificati dopo lo sprofondamento. Non più semplicemente peninsulato, nemmeno isolato, il Paese era diventato un residuo fisso, una precipitazione inerte. Solo i documentari marini realizzati dagli altri Paesi poterono continuare a raccontarlo. Fu proprio allora, forse per esigenze di posizionamento del prodotto, che scelsero di ribattezzarlo Atlantide, quando nella terza fascia serale di una domenica estera scorrevano le immagini: dal loggiato di un anfiteatro millenario, ormai impero di coralli, occhieggia un pesce lanterna, mentre alcuni metri sopra, pinneggiando, sorvola la Capitale una chimera striata di blu. FINE
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BILE Non è satira è peggio. E’ una rivista satirica gratuita creata da © Ste - MelissaP2 - G - Jonathan Grass. Tutti gli scrittori e i disegnatori collaborano in forma totalmente gratuita. © Copertina Marco Tonus Seguici su FACEBOOK Per ricevere i prossimi numeri di BILE direttamente nella tua posta elettronica iscriviti alla newsletter. Manda un messaggio dalla tua mail a staff.scaricabile@gmail.com con oggetto: NEWSLETTER
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Hanno collaborato a questo numero: Mario Perrotta, Fricca, Bakunin, Andy Ventura, Silvio Di Giorgio, Marco Tonus, Daniele Fabbri, Alessio Spataro, Boscarol, Michele Incollu, Blicero, Marco Pinna, Volpe, Demerzelev, Esseredisgustoso, Frago, Kanjano, Ciaci Kinder, Giacomo Cardelli, Sergio Riccardi, Manlio Truscia. Concept grafico: Stefano Antonucci
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