Scolpire in Piazza - Catalogo 2005 2006

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Comune di Sant’Ippolito

MUSEO

DEL TERRITORIO ARTE DEGLI SCALPELLINI OPERE 2005_2006

SCOLPIRE IN PIAZZA ARTE DELLA SU SCULTURA PIETRA ARENARIA

www.vallediculture.it


I colori della terra, dal giallo paglierino all’ocre, dal rosa ferroso al grigio perla delle argille, dal bruno dorato al rosso ematite, si accendono alla luce del tramonto nelle mura castellane di Sant’Ippolito, che con le loro tarsie cromatiche circondano imponenti il centro storico, dove l’arenaria costituisce l’elemento caratterizzante e qualificante. Con questa pietra, che veniva estratta da cave ormai scomparse, sono state edificate case, realizzati portali ed elementi architettonici, lastricate vie e piazze e soprattutto create tante opere artistiche, come bassorilievi, stemmi, altari, statue, camini che, disseminate sul territorio o custodite all’interno degli edifici, rappresentano la peculiarità di questo paese; la testimonianza di un percorso storico ed artistico unico; la memoria di “un’opera industre, di una gradazione di artefici e di operai, per cui dal marmorario e dallo scalpellino, aventi senso di arte, si scendeva fino al segatore inconscio e all’umile tagliapietre”, come scriveva Augusto Vernarecci nel suo trattato sugli scalpellini di Sant’Ippolito. Un contesto ambientale così ricco e particolare sarebbe stato più che sufficiente per giustificare la costituzione di un museo demoantropologico del territorio rivolto alla riscoperta e alla valorizzazione dell’arte degli scalpellini, un percorso che avrebbe portato il visitatore a scoprire la storia e le testimonianze di un antico passato e gli abitanti del luogo a soffermarsi sulle proprie radici. Da alcuni decenni l’Amministrazione Comunale di Sant’Ippolito, in collaborazione con la Pro Loco, ha intrapreso un percorso più complesso ed articolato, volto non solo a valorizzare le opere presenti sul territorio e le vicende storiche di questa comunità, ma finalizzato anche a creare nuove opportunità per far rinascere, dal punto di vista culturale ed economico, l’arte della scultura su pietra arenaria.

Sono nati così: corsi di formazione, attività di ricerca e documentazione, proposte didattiche e collaborazioni con la locale Scuola Media, nuovi laboratori artigianali, il Centro di documentazione – Museo del territorio “Arte degli scalpellini” e la manifestazione “Scolpire in piazza”, che ha portato il paese ad incontrarsi intorno al lavoro e alle esperienze di artisti provenienti da diverse località italiane e straniere, restituendogli una memoria sbiadita dal tempo e una propria identità, oggi ampiamente riconosciuta. Le numerose sculture realizzate nel corso degli anni, poste negli spazi urbani e negli angoli caratteristici dei centri storici del Comune, costituiscono oggi sul territorio un interessante e significativo itinerario di arte contemporanea che affianca l’originario percorso museale; una esposizione a cielo aperto che mette a confronto opere moderne, espressione di esperienze artistiche e ricerche personali degli autori, con quelle antiche, valorizzando e rendendo organica una proposta culturale che trova le sue radici nella storia del paese e nasce dalla volontà di recuperare ed attualizzare l’arte della lavorazione della pietra, che ha da sempre caratterizzato questo centro. Un ringraziamento va a coloro che in questi anni si sono dedicati con passione, impegno, determinazione e lungimiranza alla riscoperta e al rinnovamento di questa antica tradizione, contribuendo in vario modo alla realizzazione di un importante progetto, di cui questo catalogo rappresenta un significativo tassello.

Massimo Bucchi Assessore alla Cultura del Comune di Sant’Ippolito

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I colori della terra, dal giallo paglierino all’ocre, dal rosa ferroso al grigio perla delle argille, dal bruno dorato al rosso ematite, si accendono alla luce del tramonto nelle mura castellane di Sant’Ippolito, che con le loro tarsie cromatiche circondano imponenti il centro storico, dove l’arenaria costituisce l’elemento caratterizzante e qualificante. Con questa pietra, che veniva estratta da cave ormai scomparse, sono state edificate case, realizzati portali ed elementi architettonici, lastricate vie e piazze e soprattutto create tante opere artistiche, come bassorilievi, stemmi, altari, statue, camini che, disseminate sul territorio o custodite all’interno degli edifici, rappresentano la peculiarità di questo paese; la testimonianza di un percorso storico ed artistico unico; la memoria di “un’opera industre, di una gradazione di artefici e di operai, per cui dal marmorario e dallo scalpellino, aventi senso di arte, si scendeva fino al segatore inconscio e all’umile tagliapietre”, come scriveva Augusto Vernarecci nel suo trattato sugli scalpellini di Sant’Ippolito. Un contesto ambientale così ricco e particolare sarebbe stato più che sufficiente per giustificare la costituzione di un museo demoantropologico del territorio rivolto alla riscoperta e alla valorizzazione dell’arte degli scalpellini, un percorso che avrebbe portato il visitatore a scoprire la storia e le testimonianze di un antico passato e gli abitanti del luogo a soffermarsi sulle proprie radici. Da alcuni decenni l’Amministrazione Comunale di Sant’Ippolito, in collaborazione con la Pro Loco, ha intrapreso un percorso più complesso ed articolato, volto non solo a valorizzare le opere presenti sul territorio e le vicende storiche di questa comunità, ma finalizzato anche a creare nuove opportunità per far rinascere, dal punto di vista culturale ed economico, l’arte della scultura su pietra arenaria.

Sono nati così: corsi di formazione, attività di ricerca e documentazione, proposte didattiche e collaborazioni con la locale Scuola Media, nuovi laboratori artigianali, il Centro di documentazione – Museo del territorio “Arte degli scalpellini” e la manifestazione “Scolpire in piazza”, che ha portato il paese ad incontrarsi intorno al lavoro e alle esperienze di artisti provenienti da diverse località italiane e straniere, restituendogli una memoria sbiadita dal tempo e una propria identità, oggi ampiamente riconosciuta. Le numerose sculture realizzate nel corso degli anni, poste negli spazi urbani e negli angoli caratteristici dei centri storici del Comune, costituiscono oggi sul territorio un interessante e significativo itinerario di arte contemporanea che affianca l’originario percorso museale; una esposizione a cielo aperto che mette a confronto opere moderne, espressione di esperienze artistiche e ricerche personali degli autori, con quelle antiche, valorizzando e rendendo organica una proposta culturale che trova le sue radici nella storia del paese e nasce dalla volontà di recuperare ed attualizzare l’arte della lavorazione della pietra, che ha da sempre caratterizzato questo centro. Un ringraziamento va a coloro che in questi anni si sono dedicati con passione, impegno, determinazione e lungimiranza alla riscoperta e al rinnovamento di questa antica tradizione, contribuendo in vario modo alla realizzazione di un importante progetto, di cui questo catalogo rappresenta un significativo tassello.

Massimo Bucchi Assessore alla Cultura del Comune di Sant’Ippolito

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Le più felici scelte amministrative, finalizzate alla programmazione del futuro di una comunità, poggiano comunque sulla corretta interpretazione della vocazione di un luogo in rapporto al suo più vasto contesto storico e culturale. In alcuni casi è assolutamente necessario essere disponibili a scelte coraggiose, tali da sovvertire le tendenze più negative, riportando l’attenzione sulle potenzialità inespresse o dimenticate, soprattutto quando i processi di globalizzazione esasperano i contrasti e le differenze anziché appianarle. A Sant’Ippolito, da alcuni anni, si è voluta rinnovare una tradizione antica, quella dell’arte della pietra, ma trasformandone la sostanza rispetto a quanto ereditato dal passato, portando cioè ad un più alto punto di complessità ciò che ormai era diventato obsoleto. L’antica arte scalpellina, recuperata attraverso la Scuola ed il Laboratorio, è stata infatti illuminata dal contributo di artisti provenienti da diverse realtà, che hanno aperto il borgo alle più vaste problematiche della contemporaneità, mettendolo al cospetto delle sue forme e delle sue estetiche. Grazie alla loro consistenza fisica infatti, le opere che hanno già trovato collocazione stabile a Sant’Ippolito o negli altri comuni a cui sono state destinate, si inseriscono tangibilmente nello spazio dell’esperienza quotidiana, ne modificano la topografia sensoriale, e per la loro qualità di elementi “inattesi”, consentono di leggere in modo nuovo ciò che era già noto da secoli, mettendone in valore il contesto, e nei casi migliori, agevolandone il recupero.

Opere

2005

Francesco Mazzotta Alessandro Canu Luca Marovino

Una vera e propria polifonia plastica che ha come denominatore comune la pietra arenaria, porosa e permeabile alla luce, la stessa delle madonne incastonate nelle case, quella dei portali e dei fastigi, la stessa degli edifici più vecchi ma nuovamente incisa e non più vincolata alla decorazione degli edifici, quanto piuttosto destinata a qualificare il territorio e la città, concepita dunque per la sua finalità più alta: quella pubblica. Sculture che sperimentano linguaggi e tematiche differenti ma tutte fatte per durare ed invecchiare a loro volta, per lasciare testimonianza.

Così le opere dei tre giovani artisti italiani presenti alla 5^edizione di “Scolpire in piazza”, ci abituano alla molteplicità dei linguaggi e delle culture, esortandoci ad ascoltare e comprendere: “I mestieranti” di Alessandro Canu, espressionistico palo totemico dalle cui compenetrazioni ammiccano le maschere di artefici curiosi, ancora capaci di immaginare il mondo; “Menhir” di Francesco Mazzotta, levigata e misteriosa presenza, fenomeno pietrificato scaturente dal sottosuolo; “Punti di vista” di Luca Marovino, monolite in bilico attraversato da un soffio vitale, scatola magica dall’equilibrio instabile, esplorabile da molteplici direzioni. Nuovi monumenti quindi, in grado di segnare i luoghi della vita collettiva con una maggiore laicità rispetto al passato, celebranti le inquietudini dell’oggi più che le certezze di ieri, ma anche il desiderio di una rinnovata armonia tra uomo e natura. Il tradizionale compito di tramandare immagini in cui si era soliti riconoscere valori ideali ed estetici comunemente condivisi, si fa oggi più problematico perché più complessa e meno univoca è l’interpretazione del mondo nel suo divenire, ma è proprio per questa capacità di registrare le inquietudini del presente che la scultura meglio di altre espressioni artistiche, si conferma come l’immagine visiva del senso o della coscienza della storia. Stefano Marchegiani.

2005

La necessità della scultura.

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Le più felici scelte amministrative, finalizzate alla programmazione del futuro di una comunità, poggiano comunque sulla corretta interpretazione della vocazione di un luogo in rapporto al suo più vasto contesto storico e culturale. In alcuni casi è assolutamente necessario essere disponibili a scelte coraggiose, tali da sovvertire le tendenze più negative, riportando l’attenzione sulle potenzialità inespresse o dimenticate, soprattutto quando i processi di globalizzazione esasperano i contrasti e le differenze anziché appianarle. A Sant’Ippolito, da alcuni anni, si è voluta rinnovare una tradizione antica, quella dell’arte della pietra, ma trasformandone la sostanza rispetto a quanto ereditato dal passato, portando cioè ad un più alto punto di complessità ciò che ormai era diventato obsoleto. L’antica arte scalpellina, recuperata attraverso la Scuola ed il Laboratorio, è stata infatti illuminata dal contributo di artisti provenienti da diverse realtà, che hanno aperto il borgo alle più vaste problematiche della contemporaneità, mettendolo al cospetto delle sue forme e delle sue estetiche. Grazie alla loro consistenza fisica infatti, le opere che hanno già trovato collocazione stabile a Sant’Ippolito o negli altri comuni a cui sono state destinate, si inseriscono tangibilmente nello spazio dell’esperienza quotidiana, ne modificano la topografia sensoriale, e per la loro qualità di elementi “inattesi”, consentono di leggere in modo nuovo ciò che era già noto da secoli, mettendone in valore il contesto, e nei casi migliori, agevolandone il recupero.

Opere

2005

Francesco Mazzotta Alessandro Canu Luca Marovino

Una vera e propria polifonia plastica che ha come denominatore comune la pietra arenaria, porosa e permeabile alla luce, la stessa delle madonne incastonate nelle case, quella dei portali e dei fastigi, la stessa degli edifici più vecchi ma nuovamente incisa e non più vincolata alla decorazione degli edifici, quanto piuttosto destinata a qualificare il territorio e la città, concepita dunque per la sua finalità più alta: quella pubblica. Sculture che sperimentano linguaggi e tematiche differenti ma tutte fatte per durare ed invecchiare a loro volta, per lasciare testimonianza.

Così le opere dei tre giovani artisti italiani presenti alla 5^edizione di “Scolpire in piazza”, ci abituano alla molteplicità dei linguaggi e delle culture, esortandoci ad ascoltare e comprendere: “I mestieranti” di Alessandro Canu, espressionistico palo totemico dalle cui compenetrazioni ammiccano le maschere di artefici curiosi, ancora capaci di immaginare il mondo; “Menhir” di Francesco Mazzotta, levigata e misteriosa presenza, fenomeno pietrificato scaturente dal sottosuolo; “Punti di vista” di Luca Marovino, monolite in bilico attraversato da un soffio vitale, scatola magica dall’equilibrio instabile, esplorabile da molteplici direzioni. Nuovi monumenti quindi, in grado di segnare i luoghi della vita collettiva con una maggiore laicità rispetto al passato, celebranti le inquietudini dell’oggi più che le certezze di ieri, ma anche il desiderio di una rinnovata armonia tra uomo e natura. Il tradizionale compito di tramandare immagini in cui si era soliti riconoscere valori ideali ed estetici comunemente condivisi, si fa oggi più problematico perché più complessa e meno univoca è l’interpretazione del mondo nel suo divenire, ma è proprio per questa capacità di registrare le inquietudini del presente che la scultura meglio di altre espressioni artistiche, si conferma come l’immagine visiva del senso o della coscienza della storia. Stefano Marchegiani.

2005

La necessità della scultura.

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FRANCESCO MAZZOTTA MENHIR

2005

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FRANCESCO MAZZOTTA MENHIR

2005

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ALESSANDRO CANU I MESTIERANTI

2005

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ALESSANDRO CANU I MESTIERANTI

2005

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LUCA MAROVINO PUNTI DI VISTA

2005

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LUCA MAROVINO PUNTI DI VISTA

2005

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Tutto il territorio ha avuto un ruolo di primo piano nelle molteplici iniziative culturali tenutesi durante il simposio, dando un bell’esempio di un’arte che si presenta senza utilizzare i normali canali di diffusione. Un’arte che va verso il pubblico, ritrovandosi su una vecchia piazza di paese, sotto un capitello o in una chiesa. Scolpire in piazza, si è sviluppato attraverso un caleidoscopio di attività: concerti, rappresentazioni teatrali, laboratori di scultura, musei all’aperto. Al centro di queste attività, quattro artisti, chiamati a dar prova del loro talento: Filippo Ferri, nativo del luogo, con la collaborazione di Dario Battistoni, l’olandese Hans Kohnen, il carrarese Bruno Pon e il siciliano Luca Zuppelli.

Opere

2006

Filippo Ferri-Dario Battistoni Brun Pon Hans Kohnen Luca Zuppelli

Per avvicinare il grande pubblico alla scultura, linguaggio ancora oggi inaccessibile o poco conosciuto occorrono forse contesti particolari, nozioni d’estetica o corsi di storia dell’arte? Quest’arte che si vuol fuori dai musei affinché la distanza tra opera e pubblico non sia un ostacolo, che risposte provocherà? Ammirazione, incomprensione, rifiuto forse, allontanamento da essa o, ancora peggio, indifferenza? Visto che il 90% del grande pubblico apprezza poco o nulla ciò che è venuto dopo il movimento impressionista dell’inizio del ’900, come rendere omaggio a questi artisti che, durante le diverse edizioni di “Scolpire in Piazza”, hanno lasciato un ricco patrimonio artistico sul territorio, anche al di fuori del comune di Sant’Ippolito? Sette anni fa l’amministrazione comunale ha messo le basi di un’azione importante per il mantenimento delle tradizioni artistiche del luogo, considerando il Simposio di Scultura uno strumento per poter meglio mettere in evidenza le particolarità sociali, economiche e culturali del territorio. Scolpire in Piazza riveste un ruolo pedagogico importante verso la comunità, perché è visto come una manifestazione originale che avvicina il grande pubblico all’arte visiva in particolare, ma anche, grazie alla sua formula multidisciplinare, all’arte in generale.

Come la Venere degli Stracci di Michelangelo Pistoletto, opera enigmatica dell’artista che getta ponti tra il prezioso e il futile, l’eterno e l’effimero, il passato ed il presente, fin dalla prima edizione, gli organizzatori di Scolpire in Piazza, sfruttando risorse e colori del momento, hanno costruito ponti per coloro che hanno seguito le diverse edizioni della manifestazione. Costoro, attraversandoli lentamente hanno guardato oltre gli impressionisti, arricchendosi di una nuova esperienza. Il simposio è diventato quindi un laboratorio culturale appassionante. A volte per abitudine, dovuta forse alla vicinanza dell’evento, le opere si lasciano comprendere progressivamente, i pregiudizi e le incomprensioni cadono uno dopo l’altro per far posto se non al piacere quanto meno all’accettazione. Creato il varco, si supera la distanza tra la Venere di Milo e quella del Pistoletto, salendo i gradini che portano ad apprezzare l’arte moderna. Attraverso questi artisti, questi professori e questi amanti della pittura e della scultura, desiderosi di dividere il piacere contemplativo di un Balzac di Rodin, di un bronzo di Giacometti, o di un igloo di vetro e acciaio di Mario Mertz, la materia ci interroga. Ogni angolo dell’opera, investito da un fascio di luce, ci svela una nuova sensazione. Materia, consistenza, linee piene e vuote, permettono all’opera di liberare una poetica che le è propria, una storia mille volte rinnovata, inesauribile. Caratteristiche proprie di questi capolavori che non si consumano al passaggio dei secoli. Le porte dietro le quali si trovano queste grandi opere infine si aprono! Sia che si tratti della Tate Gallery a Londra, del Louvre, il Centro Pompidou a Parigi, la Galleria degli Uffizi di Firenze, il museo del Prado di Madrid, il Guggenheim a New York, o ancora, eventi ricorrenti come Documenta di Kassel, La Biennale di Venezia, o le esposizioni biennali di scultura del Whitney Museum. Queste porte si aprono davanti allo schermo del nostro computer e ci lasciano scoprire e ammirare, nell’intimità delle nostre case, i più grandi tesori della storia dell’arte. La distanza tra questi luoghi e il visitatore è ridotta ad una semplice tastiera e ad un video. Ma come gestire questa facilità di accesso al mondo dell’arte, queste informazioni abbondanti e disordinate offerte dalla rete? L’avventura si fa più ardua poiché nel vasto campo della scultura, mai come in questi ultimi anni si è assistito ad una tale libertà creativa: una miriade di materiali, di concetti, di indirizzi, di idee. Come distinguere il fragile limite che esiste tra evoluzione storica della scultura ed un inquinamento artistico? Scolpire in Piazza, soffre forse per non aver sperimentato le vie e le tendenze dell’arte contemporanea. Tuttavia occorre lavorare affinché questa iniziativa possa consolidarsi tra le manifestazioni artistiche del territorio marchigiano. Basata sulla pratica antica della scultura ornamentale del XII secolo, questa originale avventura, ha saputo, come una scultura, crearsi una propria base, uno zoccolo duro, reso ancora più solido dalla esemplare costanza di dirigenti ed esponenti del mondo culturale. Si può solo sperare che in futuro, disponendo di risorse umane e materiali adatte, questa manifestazione si imponga per la ricchezza delle sue attività multidisciplinari, per la varietà delle tecniche di scultura, per la bravura degli artisti invitati e la bellezza delle loro creazioni. Alex Magrini / (traduzione Sandro Lucchetti)

2006

Come ormai da sette anni, anche nel 2006 un motivato gruppo di persone, dopo aver superato tutte le difficoltà proprie dell’organizzazione di un tale evento, ha realizzato la settima edizione di Scolpire in Piazza, dando vita ad un momento culturale di una grande maturità. Sin dalla primissima edizione, Scolpire in Piazza ha acquisito ampia notorietà, diventato, nel corso degli anni, un pilastro della vivacità culturale del luogo. Fin dall’inizio, questa manifestazione si è imposta come una delle più originali della regione Marche, profondamente radicata nella storia e nella tradizione ultracentenaria degli scalpellini di Sant’Ippolito. In un’epoca nella quale siamo bombardati da immagini, è motivo di soddisfazione vedere un’intera comunità farsi carico con entusiasmo di iniziative a sostegno dell’arte!

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Tutto il territorio ha avuto un ruolo di primo piano nelle molteplici iniziative culturali tenutesi durante il simposio, dando un bell’esempio di un’arte che si presenta senza utilizzare i normali canali di diffusione. Un’arte che va verso il pubblico, ritrovandosi su una vecchia piazza di paese, sotto un capitello o in una chiesa. Scolpire in piazza, si è sviluppato attraverso un caleidoscopio di attività: concerti, rappresentazioni teatrali, laboratori di scultura, musei all’aperto. Al centro di queste attività, quattro artisti, chiamati a dar prova del loro talento: Filippo Ferri, nativo del luogo, con la collaborazione di Dario Battistoni, l’olandese Hans Kohnen, il carrarese Bruno Pon e il siciliano Luca Zuppelli.

Opere

2006

Filippo Ferri-Dario Battistoni Brun Pon Hans Kohnen Luca Zuppelli

Per avvicinare il grande pubblico alla scultura, linguaggio ancora oggi inaccessibile o poco conosciuto occorrono forse contesti particolari, nozioni d’estetica o corsi di storia dell’arte? Quest’arte che si vuol fuori dai musei affinché la distanza tra opera e pubblico non sia un ostacolo, che risposte provocherà? Ammirazione, incomprensione, rifiuto forse, allontanamento da essa o, ancora peggio, indifferenza? Visto che il 90% del grande pubblico apprezza poco o nulla ciò che è venuto dopo il movimento impressionista dell’inizio del ’900, come rendere omaggio a questi artisti che, durante le diverse edizioni di “Scolpire in Piazza”, hanno lasciato un ricco patrimonio artistico sul territorio, anche al di fuori del comune di Sant’Ippolito? Sette anni fa l’amministrazione comunale ha messo le basi di un’azione importante per il mantenimento delle tradizioni artistiche del luogo, considerando il Simposio di Scultura uno strumento per poter meglio mettere in evidenza le particolarità sociali, economiche e culturali del territorio. Scolpire in Piazza riveste un ruolo pedagogico importante verso la comunità, perché è visto come una manifestazione originale che avvicina il grande pubblico all’arte visiva in particolare, ma anche, grazie alla sua formula multidisciplinare, all’arte in generale.

Come la Venere degli Stracci di Michelangelo Pistoletto, opera enigmatica dell’artista che getta ponti tra il prezioso e il futile, l’eterno e l’effimero, il passato ed il presente, fin dalla prima edizione, gli organizzatori di Scolpire in Piazza, sfruttando risorse e colori del momento, hanno costruito ponti per coloro che hanno seguito le diverse edizioni della manifestazione. Costoro, attraversandoli lentamente hanno guardato oltre gli impressionisti, arricchendosi di una nuova esperienza. Il simposio è diventato quindi un laboratorio culturale appassionante. A volte per abitudine, dovuta forse alla vicinanza dell’evento, le opere si lasciano comprendere progressivamente, i pregiudizi e le incomprensioni cadono uno dopo l’altro per far posto se non al piacere quanto meno all’accettazione. Creato il varco, si supera la distanza tra la Venere di Milo e quella del Pistoletto, salendo i gradini che portano ad apprezzare l’arte moderna. Attraverso questi artisti, questi professori e questi amanti della pittura e della scultura, desiderosi di dividere il piacere contemplativo di un Balzac di Rodin, di un bronzo di Giacometti, o di un igloo di vetro e acciaio di Mario Mertz, la materia ci interroga. Ogni angolo dell’opera, investito da un fascio di luce, ci svela una nuova sensazione. Materia, consistenza, linee piene e vuote, permettono all’opera di liberare una poetica che le è propria, una storia mille volte rinnovata, inesauribile. Caratteristiche proprie di questi capolavori che non si consumano al passaggio dei secoli. Le porte dietro le quali si trovano queste grandi opere infine si aprono! Sia che si tratti della Tate Gallery a Londra, del Louvre, il Centro Pompidou a Parigi, la Galleria degli Uffizi di Firenze, il museo del Prado di Madrid, il Guggenheim a New York, o ancora, eventi ricorrenti come Documenta di Kassel, La Biennale di Venezia, o le esposizioni biennali di scultura del Whitney Museum. Queste porte si aprono davanti allo schermo del nostro computer e ci lasciano scoprire e ammirare, nell’intimità delle nostre case, i più grandi tesori della storia dell’arte. La distanza tra questi luoghi e il visitatore è ridotta ad una semplice tastiera e ad un video. Ma come gestire questa facilità di accesso al mondo dell’arte, queste informazioni abbondanti e disordinate offerte dalla rete? L’avventura si fa più ardua poiché nel vasto campo della scultura, mai come in questi ultimi anni si è assistito ad una tale libertà creativa: una miriade di materiali, di concetti, di indirizzi, di idee. Come distinguere il fragile limite che esiste tra evoluzione storica della scultura ed un inquinamento artistico? Scolpire in Piazza, soffre forse per non aver sperimentato le vie e le tendenze dell’arte contemporanea. Tuttavia occorre lavorare affinché questa iniziativa possa consolidarsi tra le manifestazioni artistiche del territorio marchigiano. Basata sulla pratica antica della scultura ornamentale del XII secolo, questa originale avventura, ha saputo, come una scultura, crearsi una propria base, uno zoccolo duro, reso ancora più solido dalla esemplare costanza di dirigenti ed esponenti del mondo culturale. Si può solo sperare che in futuro, disponendo di risorse umane e materiali adatte, questa manifestazione si imponga per la ricchezza delle sue attività multidisciplinari, per la varietà delle tecniche di scultura, per la bravura degli artisti invitati e la bellezza delle loro creazioni. Alex Magrini / (traduzione Sandro Lucchetti)

2006

Come ormai da sette anni, anche nel 2006 un motivato gruppo di persone, dopo aver superato tutte le difficoltà proprie dell’organizzazione di un tale evento, ha realizzato la settima edizione di Scolpire in Piazza, dando vita ad un momento culturale di una grande maturità. Sin dalla primissima edizione, Scolpire in Piazza ha acquisito ampia notorietà, diventato, nel corso degli anni, un pilastro della vivacità culturale del luogo. Fin dall’inizio, questa manifestazione si è imposta come una delle più originali della regione Marche, profondamente radicata nella storia e nella tradizione ultracentenaria degli scalpellini di Sant’Ippolito. In un’epoca nella quale siamo bombardati da immagini, è motivo di soddisfazione vedere un’intera comunità farsi carico con entusiasmo di iniziative a sostegno dell’arte!

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FILIPPO FERRI IN COLLABORAZIONE CON DARIO BATTISTONI

BRUNO PON

HANS KOHNEN

LUCA ZUPPELLI

Filippo Ferri, assistito da Dario Battistoni (entrambi di Sant’Ippolito), si sono uniti agli altri artisti per vivere un momento di condivisione e scambio d’esperienza. Una settimana di sforzi affinché il concetto prenda forma e si liberi dal blocco crudo, freddo, strappato alle viscere della montagna. Un blocco che viene da un luogo banale ed inaccessibile, una cava di pietra, per ritrovarsi sotto un tendone su blocchi di legno; un oggetto prezioso che deve separarsi dal suo involucro ora inutile e mostrare ad pubblico, neofita o esperto, le parti più eleganti ed armoniose. I nostri artisti hanno deciso di iniziare la loro avventura immaginandosi una danza armoniosa e complessa di molteplici forme languide (animali o vegetali) che si mischiano le une con l’altre in un movimento unidirezionale e modulato secondo le linee del blocco. Un percorso imposto, in qualche modo dalla pietra. Con il loro entusiasmo giovanile vogliono, a ragione, prendere il posto dei loro ispiratori. Tra la semplicità di Lewitt o Carl André e la complessità di Pomodoro, si devono aprire nuovi giacimenti, nuove vene, in questo terreno fertile che è la scultura. Si è investito, rispettando la tradizione del taglio della pietra, in un lavoro lontano anni luce dalle opere effimere, dalle performance e dalle istallazioni e altre pratiche multidisciplinari che caratterizzano le manifestazioni dell’arte attuale. In effetti gli approcci minimali, un utilizzo indebito del “ready-made” nello stile di Duchamp, le opere dematerializzate, interventi “in situ” f anno si che gallerie e musei debbano rivedere il loro ruolo, poiché le opere da vendere o conservare sono sempre più rare, e nell’era digitale questa situazione è ancora più evidente. I nostri scultori, pieni di dignità e presi dalla passione di esprimere la loro arte attraverso la materia, si allontanano dalla maggioranza delle tendenze attuali dell’arte, ma controcorrente, credono, come coloro che li hanno preceduti a Sant’Ippolito, che le forme possono ancora esprimere bellezza, poesia ed emozioni.

In questo artista l’opera prende forma da un’impressione, una visualizzazione, un’immagine mentale, da una ricerca estetica e formale. Arricchito dalle conoscenza delle opere di molti altri scultori, Pon muove da un’immagine embrionale e inizia l’opera da realizzare senza conoscere il risultato. Durante questa ricerca, questo percorso, questo confronto, l’impulso iniziale sarà riconsiderato mille volte. Picasso diceva che davanti alla tela bianca, la prima idea deve automaticamente scomparire. Salvador Dali nelle sue “diarree creative” ringraziava la pattumiera, sua complice, luogo in cui tutti i disegni e gli schizzi ritenuti non all’altezza dallo stesso autore sparivano dagli sguardi del pubblico. Qui la pietra non perdona, impone un copione elaborato con precisione. I gesti del taglio diretto, mille volti ripetuti, assumono lo stesso ruolo: amputano, strappano, sono - per utilizzare un’espressione pedagogica - gesti di sottrazione. Quanto sembrano docili la tela, l’argilla, il disegno che danzano tra i due poli dell’addizione e della sottrazione! Nel taglio diretto, invece, la traccia di uno scalpello troppo aggressivo può a volte provocare un clamoroso fiasco. Si inscena un approccio, con la pietra è d’obbligo una strategia studiata nei minimi particolari. La ricerca di Bruno Pon è stata facile, perché egli ha gentilmente accettato di rendere omaggio agli abitanti di Sorbolongo (che ogni anno organizzano la Sagra della Lumaca) dando forma, appunto, ad una lumaca. Non credo che diecimila lumache realizzate da diecimila artisti abbiano una propria identità, sono il frutto di esigenze estetiche, di senso critico, del bagaglio di conoscenze di ogni artista. L’artista compie un gesto importante, si fonde con la propria opera. Bruno Pon conosce la pietra. Quando si è scultori e si vive a Carrara, la pietra diventa parte della vita quotidiana. L’artista completa velocemente l’opera. Desideroso di rendere la sua opera più ludica, più poetica, la lumaca è stata eretta su un piedistallo stabile. Quest’ultimo modifica sostanzialmente il rapporto tra lo spettatore e l’opera. Inoltre diverse icone sono incrostate sulla sua superficie. Il piedistallo così lavorato, con le sue tracce fossili, le sue spirali fuori dal tempo gioca un altro ruolo, rappresenta un ulteriore tentativo di modificare la lettura contemplativa dell’opera in cui un volume neutro amplifica attraverso la sua verticalità l’importanza della scultura. Questa trasgressione volontaria testimonia la voglia di provocare, attraverso una presenza enigmatica di simboli diversi, molteplici letture di una forma iniziale relativamente semplice.

Hans Kohnen conferma, con uno stile personale, l’interesse per la costruzione di totem allungati con un gioco di trecce dove tre elementi si incrociano in un ordine rigoroso e mantenendo la loro specificità lungo il percorso verticale dell’opera. Forme studiate e perfettamente rese. Kohnen iscrive il suo lavoro artistico in un quadro formale di grande semplicità segnando la pietra di profonde incisioni parallele. Vicino al lavoro di artisti quali Barbara Hepworth (le figure), Fritz Wotruba (il petto), Louis Bourgeois (i totem) o Mario Negri (la piccola allegoria), lo scultore olandese da a questa ricerca di spazialità una dimensione poetica, nel gioco sottile ed armonioso delle diverse componenti della scultura, caratterizzato dal trattamento delle superfici, dal movimento delle forme, dal giusto impiego dei volumi in asimmetria, dalla complementarietà e dinamica dei pieni e dei vuoti. Opera narrativa, palco per tre attori, trilogia dove, in un movimento ascendente, tre forme distinte si intersecano languidamente in una progressione armoniosa e ritmata. Un gioco sottile a tre, senza contatto reale, di una suggestiva sensualità platonica, condotto mantenendo l’identità e il carattere di ogni personaggio. La bellezza di questo lavoro risiede probabilmente non nelle caratteristiche estetiche o formali della scultura realizzata, ma piuttosto nel fatto che l’opera diventa precisamente un estensione senza tempo. Un testimone perpetuo della relazione intima ed umile che vive nell’incontro tra l’artista-artigiano e la materia. L’opera come un libro. Soffermandosi sulle molteplici tracce, dalle più visibili alle più intime, nella sua forma definitiva possiamo leggere un resoconto scritto durante dieci giorni, la durata del simposio. L’artista ci propone di aprire una parentesi per riportarci a creare legami molto semplici con la forma, legami ormai dimenticati dalla nostra era virtuale, abitata sempre più da opere d’arte immateriali. A ritrovare nella danza del corpo dell’artigiano che modella l’opera, il gesto del tagliatore di pietra, migliaia di gesti delle centinaia di scalpellini che da otto secoli in questi stessi luoghi hanno danzato con gli stessi gesti, con la stessa pietra.

Ecco un lavoro costruito sulla nozione del punto di vista, del frammento, del gioco tra il pieno e il vuoto. Luca Zuppelli si attarda sul quadro, sulla materia che crea questo quadro. La pietra non occupa il centro del soggetto, ma è attraverso la sua assenza che si definisce, non come soggetto ma come cornice. I margini cesellati, graffianti, aggressivi terminano nel vuoto, cosi che questo vuoto diventa soggetto. L’artista offre dei percorsi riconoscibili ma disposti in maniera personale. Il primo richiama il soggetto che noi pensiamo di riconoscere: la Venere di Milo, che si presenta come il negativo di una foto, non la Venere, ma lo spazio vuoto della Venere, la sua assenza, la non-Venere, quella che dovrebbe esserci ma che si sostituisce allo scenario. E’ attraverso questa assenza, attraverso questo scenario, lo sfondo e la cornice che ella esiste. Percorrendo lo spazio attorno all’opera, lo spettatore scopre infatti più opere, forme rettangolari minimaliste, pose, frammenti e fratture, progressivamente scopre che al centro della pietra c’è un’incisione che si ingrandisce man mano che si scopre l’altro lato del blocco di pietra e, avanzando in questo modo, questa frattura prende forma e diventa percettibile. Qui, anche i giochi, come i livelli di lettura sono molteplici. Ci si sofferma davanti a questa frattura e si prende il tempo di contemplare il vuoto che diventa, a seconda di ciò che occupa lo sfondo, natura, architettura, forme umane, un uomo in sembianze di donna, o ancora una donna con due braccia persino vestita, una donna che prende il posto che l’altra ha lasciato vuoto. Diversi soggetti fanno parte integrale dell’opera, arricchendola a loro insaputa. Solo chi guarda l’opera capisce. Non si può non apprezzare questo modo in cui l’artista obbliga lo spettatore a modificare la propria percezione dell’opera. Prima di Zuppelli altri si sono concentrati sulla frammentazione o sulla nozione del punto di vista. Pensiamo a Tony Grand, che, a partire da un banale ramo, tagliato longitudinalmente in sottilissime lamelle riusciva a creare un grande ventaglio di una delicatezza e di un’estetica squisite. Louis Leygue ha realizzato diversi progetti con figure umane in negativo di cui una conosciuta per un monumento al Prigioniero politico ignoto. La chiave di lettura dell’opera è nell’idea di punto di vista inteso come luogo geografico stabilito ed unico. Solo da questo punto di osservazione l’opera si svela in tutta la sua magnificenza.

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FILIPPO FERRI IN COLLABORAZIONE CON DARIO BATTISTONI

BRUNO PON

HANS KOHNEN

LUCA ZUPPELLI

Filippo Ferri, assistito da Dario Battistoni (entrambi di Sant’Ippolito), si sono uniti agli altri artisti per vivere un momento di condivisione e scambio d’esperienza. Una settimana di sforzi affinché il concetto prenda forma e si liberi dal blocco crudo, freddo, strappato alle viscere della montagna. Un blocco che viene da un luogo banale ed inaccessibile, una cava di pietra, per ritrovarsi sotto un tendone su blocchi di legno; un oggetto prezioso che deve separarsi dal suo involucro ora inutile e mostrare ad pubblico, neofita o esperto, le parti più eleganti ed armoniose. I nostri artisti hanno deciso di iniziare la loro avventura immaginandosi una danza armoniosa e complessa di molteplici forme languide (animali o vegetali) che si mischiano le une con l’altre in un movimento unidirezionale e modulato secondo le linee del blocco. Un percorso imposto, in qualche modo dalla pietra. Con il loro entusiasmo giovanile vogliono, a ragione, prendere il posto dei loro ispiratori. Tra la semplicità di Lewitt o Carl André e la complessità di Pomodoro, si devono aprire nuovi giacimenti, nuove vene, in questo terreno fertile che è la scultura. Si è investito, rispettando la tradizione del taglio della pietra, in un lavoro lontano anni luce dalle opere effimere, dalle performance e dalle istallazioni e altre pratiche multidisciplinari che caratterizzano le manifestazioni dell’arte attuale. In effetti gli approcci minimali, un utilizzo indebito del “ready-made” nello stile di Duchamp, le opere dematerializzate, interventi “in situ” f anno si che gallerie e musei debbano rivedere il loro ruolo, poiché le opere da vendere o conservare sono sempre più rare, e nell’era digitale questa situazione è ancora più evidente. I nostri scultori, pieni di dignità e presi dalla passione di esprimere la loro arte attraverso la materia, si allontanano dalla maggioranza delle tendenze attuali dell’arte, ma controcorrente, credono, come coloro che li hanno preceduti a Sant’Ippolito, che le forme possono ancora esprimere bellezza, poesia ed emozioni.

In questo artista l’opera prende forma da un’impressione, una visualizzazione, un’immagine mentale, da una ricerca estetica e formale. Arricchito dalle conoscenza delle opere di molti altri scultori, Pon muove da un’immagine embrionale e inizia l’opera da realizzare senza conoscere il risultato. Durante questa ricerca, questo percorso, questo confronto, l’impulso iniziale sarà riconsiderato mille volte. Picasso diceva che davanti alla tela bianca, la prima idea deve automaticamente scomparire. Salvador Dali nelle sue “diarree creative” ringraziava la pattumiera, sua complice, luogo in cui tutti i disegni e gli schizzi ritenuti non all’altezza dallo stesso autore sparivano dagli sguardi del pubblico. Qui la pietra non perdona, impone un copione elaborato con precisione. I gesti del taglio diretto, mille volti ripetuti, assumono lo stesso ruolo: amputano, strappano, sono - per utilizzare un’espressione pedagogica - gesti di sottrazione. Quanto sembrano docili la tela, l’argilla, il disegno che danzano tra i due poli dell’addizione e della sottrazione! Nel taglio diretto, invece, la traccia di uno scalpello troppo aggressivo può a volte provocare un clamoroso fiasco. Si inscena un approccio, con la pietra è d’obbligo una strategia studiata nei minimi particolari. La ricerca di Bruno Pon è stata facile, perché egli ha gentilmente accettato di rendere omaggio agli abitanti di Sorbolongo (che ogni anno organizzano la Sagra della Lumaca) dando forma, appunto, ad una lumaca. Non credo che diecimila lumache realizzate da diecimila artisti abbiano una propria identità, sono il frutto di esigenze estetiche, di senso critico, del bagaglio di conoscenze di ogni artista. L’artista compie un gesto importante, si fonde con la propria opera. Bruno Pon conosce la pietra. Quando si è scultori e si vive a Carrara, la pietra diventa parte della vita quotidiana. L’artista completa velocemente l’opera. Desideroso di rendere la sua opera più ludica, più poetica, la lumaca è stata eretta su un piedistallo stabile. Quest’ultimo modifica sostanzialmente il rapporto tra lo spettatore e l’opera. Inoltre diverse icone sono incrostate sulla sua superficie. Il piedistallo così lavorato, con le sue tracce fossili, le sue spirali fuori dal tempo gioca un altro ruolo, rappresenta un ulteriore tentativo di modificare la lettura contemplativa dell’opera in cui un volume neutro amplifica attraverso la sua verticalità l’importanza della scultura. Questa trasgressione volontaria testimonia la voglia di provocare, attraverso una presenza enigmatica di simboli diversi, molteplici letture di una forma iniziale relativamente semplice.

Hans Kohnen conferma, con uno stile personale, l’interesse per la costruzione di totem allungati con un gioco di trecce dove tre elementi si incrociano in un ordine rigoroso e mantenendo la loro specificità lungo il percorso verticale dell’opera. Forme studiate e perfettamente rese. Kohnen iscrive il suo lavoro artistico in un quadro formale di grande semplicità segnando la pietra di profonde incisioni parallele. Vicino al lavoro di artisti quali Barbara Hepworth (le figure), Fritz Wotruba (il petto), Louis Bourgeois (i totem) o Mario Negri (la piccola allegoria), lo scultore olandese da a questa ricerca di spazialità una dimensione poetica, nel gioco sottile ed armonioso delle diverse componenti della scultura, caratterizzato dal trattamento delle superfici, dal movimento delle forme, dal giusto impiego dei volumi in asimmetria, dalla complementarietà e dinamica dei pieni e dei vuoti. Opera narrativa, palco per tre attori, trilogia dove, in un movimento ascendente, tre forme distinte si intersecano languidamente in una progressione armoniosa e ritmata. Un gioco sottile a tre, senza contatto reale, di una suggestiva sensualità platonica, condotto mantenendo l’identità e il carattere di ogni personaggio. La bellezza di questo lavoro risiede probabilmente non nelle caratteristiche estetiche o formali della scultura realizzata, ma piuttosto nel fatto che l’opera diventa precisamente un estensione senza tempo. Un testimone perpetuo della relazione intima ed umile che vive nell’incontro tra l’artista-artigiano e la materia. L’opera come un libro. Soffermandosi sulle molteplici tracce, dalle più visibili alle più intime, nella sua forma definitiva possiamo leggere un resoconto scritto durante dieci giorni, la durata del simposio. L’artista ci propone di aprire una parentesi per riportarci a creare legami molto semplici con la forma, legami ormai dimenticati dalla nostra era virtuale, abitata sempre più da opere d’arte immateriali. A ritrovare nella danza del corpo dell’artigiano che modella l’opera, il gesto del tagliatore di pietra, migliaia di gesti delle centinaia di scalpellini che da otto secoli in questi stessi luoghi hanno danzato con gli stessi gesti, con la stessa pietra.

Ecco un lavoro costruito sulla nozione del punto di vista, del frammento, del gioco tra il pieno e il vuoto. Luca Zuppelli si attarda sul quadro, sulla materia che crea questo quadro. La pietra non occupa il centro del soggetto, ma è attraverso la sua assenza che si definisce, non come soggetto ma come cornice. I margini cesellati, graffianti, aggressivi terminano nel vuoto, cosi che questo vuoto diventa soggetto. L’artista offre dei percorsi riconoscibili ma disposti in maniera personale. Il primo richiama il soggetto che noi pensiamo di riconoscere: la Venere di Milo, che si presenta come il negativo di una foto, non la Venere, ma lo spazio vuoto della Venere, la sua assenza, la non-Venere, quella che dovrebbe esserci ma che si sostituisce allo scenario. E’ attraverso questa assenza, attraverso questo scenario, lo sfondo e la cornice che ella esiste. Percorrendo lo spazio attorno all’opera, lo spettatore scopre infatti più opere, forme rettangolari minimaliste, pose, frammenti e fratture, progressivamente scopre che al centro della pietra c’è un’incisione che si ingrandisce man mano che si scopre l’altro lato del blocco di pietra e, avanzando in questo modo, questa frattura prende forma e diventa percettibile. Qui, anche i giochi, come i livelli di lettura sono molteplici. Ci si sofferma davanti a questa frattura e si prende il tempo di contemplare il vuoto che diventa, a seconda di ciò che occupa lo sfondo, natura, architettura, forme umane, un uomo in sembianze di donna, o ancora una donna con due braccia persino vestita, una donna che prende il posto che l’altra ha lasciato vuoto. Diversi soggetti fanno parte integrale dell’opera, arricchendola a loro insaputa. Solo chi guarda l’opera capisce. Non si può non apprezzare questo modo in cui l’artista obbliga lo spettatore a modificare la propria percezione dell’opera. Prima di Zuppelli altri si sono concentrati sulla frammentazione o sulla nozione del punto di vista. Pensiamo a Tony Grand, che, a partire da un banale ramo, tagliato longitudinalmente in sottilissime lamelle riusciva a creare un grande ventaglio di una delicatezza e di un’estetica squisite. Louis Leygue ha realizzato diversi progetti con figure umane in negativo di cui una conosciuta per un monumento al Prigioniero politico ignoto. La chiave di lettura dell’opera è nell’idea di punto di vista inteso come luogo geografico stabilito ed unico. Solo da questo punto di osservazione l’opera si svela in tutta la sua magnificenza.

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FILIPPO FERRI ARIA E ACQUA: SCULTORI DELLA PIETRA IN COLLABORAZIONE CON DARIO BATTISTONI

2006

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FILIPPO FERRI ARIA E ACQUA: SCULTORI DELLA PIETRA IN COLLABORAZIONE CON DARIO BATTISTONI

2006

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BRUNO PON ATTRAVERSO IL TEMPO

2006

05

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BRUNO PON ATTRAVERSO IL TEMPO

2006

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18_19


HANS KOHNEN TRECCIA

2006

06

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HANS KOHNEN TRECCIA

2006

06

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LUCA ZUPPELLI VENERE DI MILO

2006

07

22_23


LUCA ZUPPELLI VENERE DI MILO

2006

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SCOLPIRE IN PIAZZA ARTE DELLA SU SCULTURA PIETRA ARENARIA www.scalpellini .org

Comune di Sant’Ippolito Pro Loco Sant’Ippolito A.C.S. Sorbolongo Con il patrocinio di: Consiglio Regionale delle Marche Provincia di Pesaro e Urbino UNCEM Marche Comunità Montana del Metauro Camera di Commercio di Pesaro e Urbino STL Marcabella In collaborazione con: Scuola Media F.lli Mercantini - Fossmbrone A.C.S. Sorbolongo

SPAC Sistema Provinciale Arte Contemporanea

Consulenza artistica Alex Magrini Coordinamento e Organizzazione Luca Latini Foto Danilo Conti - Fossombrone Grafica Eikon - Fossombrone Stampa Bieffe - Recanati

Scolpire in Piazza Arte della Scultura su Pietra Arenaria è una iniziativa realizzata nell’ambito delle attività del “Museo del Territorio – Arte degli Scalpellini” grazie al contributo di: CRAGLIA MARMI CONFARTIGIANATO BANCA DEL METAURO MEGAS S.P.A. ASET S.p.A. BANCA DELLE MARCHE CTF MEP SYSTEM EDILSYSTEM ALICATE di Burattini Catia e C. ARTINFISSI Serramenti in alluminio BALDELLI Autolinee Turismo BONCI Illy caffè - Distributori Automatici CASCINA DELLE ROSE Fior di Cucina DAGO ELETTRONICA DEN VIDEOGIOCHI DIESEL CAR Off. autorizzata Iveco EFFEBI Arredamenti Negozi G.B. FEDERICI DAVIDE GALLO Manifatture Italiane Orologi GASPARUCCI ITALO Arredamenti GIOVANNA Salone Parrucchieria ISAM Sedie Tavoli LA PIADINA Ristorante Pizzeria LA RITROVATA Country House LA VALLE DEL SOLE Country House MANIFATTURE DEL METAURO MCR NE.GAS. Cave OIKOS Cucine PALAZZINA SABATELLI Ristorante PIERLEONI Torneria automatica TALLARINI GUIDO & C. Lavorazione lamiere TRASC.CA. Cave e frantoi UNIONMODA Abbigliamento EFFE ARREDAMENTI WOODLINE Arredamenti ECO OFFICE OLIPRESS DEBORA & SARA Fashion MORETTI UGO LOCANDA ANTICHI SAPORI Ristorante PITROCK Ristorante Pizzeria UNIPOL Assicurazioni IDEAGIUNCO Arredamenti LMS CIRMI DUCCI DANIELE Torneria LE FONTANELLE Country House ALADIN Artigianato etnico INOXDREAM AGRIVITA Terricci FORNO TINTI ABF INOX




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