Sasso di Castalda

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SASSO DI CASTALDA

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CENNI STORICI Sasso di Castalda è un paese di meno di mille anime, adagiato a 949 m come su un’amaca tesa a quasi mille metri fra le asperità rocciose dell’Appennino Lucano, ai piedi delle vette "S. Michele" e "Le Manche". Il suo nome completo fu confezionato in una riunione del consiglio comunale del 12 novembre 1862 che deliberò, secondo le disposizioni del governo unitario, per evitare confusione con altri comuni omonimi sparsi per l’Italia, di aggiungere l’appellativo di Castalda a quello che per secoli era stato conosciuto come Il Sasso. Il territorio sassese, molto probabilmente, era già abitato fin dai tempi dei romani: ritrovamenti archeologici documentano l'attraversamento nel territorio sassese di una grossa arteria stradale romana: la Via Herculia (compresa fra l'attuale c/da Turri e c/da Acquara) che da Venusia attraverso Potentia si dirigeva a Grumentum. Probabilmente un primo nucleo del paese sorse, in epoca incerta, sul costone a sud dell’attuale abitato, denominato Pietra Castalda, ossia Rupe Fortificata, a strapiombo sul torrente Fiumicello, che confluisce nel Pergola per passare infine sotto il castello di Brienza. E proprio quest’episodio ci riconduce alle origini del paese, nel buio dell’Alto Medioevo, quando, nell’alta Val Melandro, dalle ceneri di Acidios, stazione romana sulla Via Herculia, sorsero diversi casali intorno a conventi, benedettini o basiliani, o intorno a roccaforti. Fra questi ultimi Saxum e Petra Castalda che ancora a metà del XIII secolo erano tenuti a provvedere, separatamente, alla manutenzione del Castello di Muro Lucano. Piccoli agglomerati, dunque, di origine longobarda che sono ancora simboleggiati in due delle tre torri su tre colli distinti che rappresentano lo stemma di questo paese; della terza torre se n’è persa ogni memoria. Nel corso del medioevo Petra Castalda andò lentamente spopolandosi fino a confluire definitivamente, agli albori dell’era moderna nell’attuale Sasso. La leggenda popolare racconta di ripetute ed insopportabili invasioni di serpenti velenosi quali causa di quest’esodo; molto più probabilmente furono più convincenti le esondazioni delle impetuose acque del torrente Fiumicello, che lambivano tale abitato. In epoca normanna Saxum era feudo di Bernardo di Calvello, come ci è testimoniato dal Catalogo dei Baroni. Nello stesso periodo (1163) la popolazione di Pietra Castalda riedificava e donava al vescovo di Marsico l’antica chiesa di San Marco. Al tempo di Federico II era castellano a Sasso tale Uguitio, appunto di Saxofortis. In epoca angioina Sasso fu feudo della famiglia D’Anchy, poi di Ugo di Bounemville, poi ancora di Bartolomeo di Capua. Successivamente i due feudi (che ancora all’inizio del Quattrocento risultavano distinti) appartennero alla famiglia Pietrafesa ed ancora alla famiglia Orilia; nel corso del XV secolo furono accorpati al feudo di Brienza e posseduti per lungo tempo, fino alla eversione della feudalità, dalla famiglia Caracciolo. La popolazione di Sasso partecipò con fervore ai moti popolari del 1647 ed alle lotte per l’acquisizione di terre demaniali della fine del settecento. Nel 1799 innalzò l’albero della libertà sotto la spinta delle famiglie Taurisani, tra cui l’arciprete, e Beneventani, tra cui Rocco Beneventani che fu poi eminente funzionario di stato in epoca francese ed ancora alto consigliere regio, dopo la restaurazione borbonica. Lambita soltanto dal fenomeno del brigantaggio postunitario, questa comunità cominciò a spopolarsi nella seconda metà dell’Ottocento con le ondate migratorie verso il nuovo continente e più recentemente verso il Nord Italia e Nord Europa tanto da passare dai 2800 abitanti del 1802 agli attuali 900.


GEOLOGIA L’articolato e montuoso territorio di Sasso di Castalda deriva da importanti sconvolgimenti tettonici che coinvolsero il paleomargine settentrionale africano nel Miocene (circa 15 milioni di anni fa). Durante questo periodo, la collisione col continente europeo determinò la chiusura della Neotetide (oceano interposto tra Africa ed Europa) ed il conseguente corrugamento continentale che portò alla formazione della catena appenninica. A partire dal Triassico (circa 230 milioni di anni fa) il paleomargine africano era costituito da un’alternanza di bacini marini (profondi fino a 4-5000 metri) e piattaforme carbonatiche neritiche disposte parallelamente al continente. In particolare il Bacino di Lagonegro rappresentava un esteso e profondo solco marino interposto tra la Piattaforma Appenninica ad W e la Piattaforma Apula ad E. I primi studi condotti da G. De Lorenzo, proseguiti poi da P. Scandone negli anni ’60, consentirono di ricostruire la successione stratigrafica del Bacino di Lagonegro che risultò costituita, dal basso verso l’alto, dalla formazione di Monte Facito (Triassico inferiore - medio), dai Calcari con Selce (Triassico medio - superiore), dagli Scisti Silicei (Giurassico), dai Galestri (Cretacico inferiore medio) e dal Flysch Rosso (Cretacico inferiore - Miocene inferiore). La formazione di Monte Facito, così denominata perché studiata per la prima volta sull’omonimo monte, rappresenta una della formazioni geologiche più antiche ed interessanti affioranti nell’Appennino meridionale. Essa è costituita da rocce formatesi in ambienti marini poco profondi e molto diversificati tra di loro. Erano infatti diffuse sabbie silicee modellate dall’azione del moto ondoso, ancora tuttora osservabili tra Pietra Maura e Monte Facito e scogliere carbonatiche di limitata dimensione, costruite essenzialmente dalle alghe, ancora preservate a Pezza la Quagliara, la Cerchiara e a Pietra Castalda. Nei pressi della Cerchiara le scogliere venivano periodicamente sommerse dal sedimento siliceo con conseguente soffocamento degli organismi costruttori e la temporanea interruzione della crescita. In questo modo viene spiegata l’alternanza tra i banchi carbonatici e le argilliti gialle e rosse che si osserva tuttora intatta nei pressi di Masseria Isca Colonia. La formazione di Monte Facito deve inoltre la sua importanza alla grande varietà di fossili in essa contenuti. Nella porzione silico-clastica sono molto diffusi i bivalvi, tra cui i brachiopodi, che è possibile raccogliere a Pietra Maura e Pezza la Quagliara e le Halobie, particolari lamellibranchi, che in alcune località segnalano il passaggio ai Calcari con Selce. Si rinvengono inoltre conodonti (organismi di incerta attribuzione), denti di pesce ed ammoniti. Nei carbonati sono invece diffuse le alghe, i foraminiferi e i bivalvi. Di notevole interesse è un particolare tipo di foraminifero di età pretriassica, la fusulina, rinvenuta rimaneggiata nei terreni della formazione di Monte Facito, indicante la presenza di antiche falesie di età permiana (Paleozoico) oggi ormai scomparse. L’evoluzione tettonica mesozoica instaurò un regime di subsidenza che causò il progressivo approfondimento del Bacino di Lagonegro e la deposizione delle rocce della successione CalcareoSilico-Marnosa (Calcari con selce, Scisti Silicei e Galestri) che si osserva al Castello di Sasso, alla Manca, a monte San Damiano, a monte Pierfaone, a San Michele e a monte Arioso. La tettonica miocenica e quella recente hanno determinato la chiusura del Bacino di Lagonegro attraverso l’attivazione di faglie e pieghe, alcune anche di grosse dimensioni, come l’anticlinale osservabile nel fosso della Manca.


LE CHIESE CHIESA MADRE Fu fondata nel XVI secolo ampliando una preesistente cappella della SS. Annunziata. Nell’anno 1576, come da “decreto dell’Illustrissimo Don Angiolo Marzio Medici de Florentia Vescovo della città di Marsico”, fu dichiarata “Parrocchia Chiesa della Terra del Sasso”. In quell’anno privilegi e benefici che erano appartenuti all’antica chiesa madre di San Nicola (situata nel rione Civita, sotto il Castello) passarono a questa nuova chiesa, che ebbe il titolo proprio della SS. Annunciazione, conservato fino all’inizio del XX secolo, allorché l’arciprete Don Giuseppe De Luca senior (Decreto Pontificio del 22 luglio 1908) la dedicò all’Immacolata Concezione. Campeggia il prospetto principale un portale settecentesco realizzato con il munifico lascito dell’arciprete Don Gaetano Taurisani. Subito dietro il portone un bel tamburo in ferro battuto e vetro (a sviluppare il tema dell’albero della vita) realizzato dall’artista sassete Antonio Vignola, immette in una struttura interamente rimaneggiata dopo i danni provocati dal terremoto del 1980, ma che lascia intravedere gli antichi fasti della chiesa divisa in tre navate. Non vi è più traccia dell’antico fonte battesimale (di pietra viva del paese e chiuso da balaustra pure in pietra) o del pulpito in legno, o del vecchio organo (1754), o ancora di due tele cinquecentesche (trafugate negli anni ’70). Si conservano ancora: una pregevole alzata lignea con la Madonna del Rosario (XVII sec.), circondate dalle immagini dei misteri, nella cappella alla sinistra dell’altare maggiore; nella stessa navata, un bel Crocifisso ligneo (XVI sec.) di grandezza naturale e, sulla porta laterale che immette in Piazza del Popolo, due statue di argilla dei Santi Cosma e Damiano (XVI sec.). Due tavole del XVII secolo (un tempo battenti del confessionile) raffiguranti quattro Sante martiri impreziosiscono i pilastri che delimitano l’altare maggiore. Nella sacrestia le ultime ristrutturazioni hanno portato alla luce un affresco rappresentante la Crocefissione (XVII sec.). Al campanile, di tre ordini sovrapposti, si accede dalla stessa sacrestia: è fornito di scala di legno ed è dotato di tre campane, una grande e due più piccole, e di un orologio, che già dal XVII secolo batte le ore con le stesse campane. CAPPELLA DEL SACRO MONTE DEI MORTI Ai margini dell’antico borgo medievale prospiciente la Civita, questa cappella si affaccia su una piazzetta ricavata riempiendo un profondo fossato, quando i tempi (XIV-XV sec.) cominciarono a richiedere meno premura nella difesa degli abitati. Da allora la Cappella di Santa Maria dei suffragi o di Santa Maria ad Nives divenne il punto di riferimento spirituale e civico proprio sulla nuova larga via del Fosso. Vi si celebravano 52 messe l’anno (una messa ogni lunedì) e messa solenne il 5 agosto, giorno della festività di Santa Maria della Neve; ed ancora una messa solenne si celebrava il 1° aprile per i fratelli e le sorelle defunte. Dal XVII secolo venne anche appellata Cappella del Sacro Monte dei Morti, dacché ad essa venne associato uno dei Luoghi Pii della comunità sassese, un Monte di Pietà detto appunto Sodalitas Mortuorum o Monte de’ Morti. Una Bolla del vescovo di Marsico Ciantes (1638-1656) intervenne a regolamentarne l’attività: ogni socio (fratello o sorella) era obbligato a versare un minimo capitale che veniva restituito in messe commemorative dopo la sua morte. Ogni sera, dopo l’Ave Maria de’ Morti, il sacrestano suonava 33 rintocchi, quanto gli anni di passione di Gesù Cristo, e i fratelli e le sorelle recitavano “un Pater e un’Ave per l’anima de’ fratelli e sorelle defunti”. Lo statuto del Monte de’ Morti di Sasso (1779) si conserva nel Fondo Cappellania Maggiore dell’Archivio di Stato di Napoli. A questo Monte di Pietà si deve anche il nome attribuitole più recentemente di Cappella della Pietà - e via della Pietà la strada che ne lambisce l’ingresso sormontato nel XIX secolo da una bella deposizione in gesso. Ridotta a ruderi dopo il terremoto del 1980, è stata del tutto recentemente ricostruita, a cura della Sovrintendenza ai Beni Architettonici, nelle forme attuali. All’interno si conserva un quadro di


scuola pietrafesana. Sulla piazzetta antistante la cappella si affaccia la casa natìa di Don Giuseppe De Luca, una delle figure più ricche e complesse (studioso, storico, scrittore, editore, teologo e filosofo) che siano apparse sul panorama culturale italiano del XX secolo. CAPPELLA DI S. ANTONIO ABATE O SANT’ANTUONO La cappella è dedicata a S. Antonio Abate, figura carismatica di santo eremita a cui era affidata (per tutto il Medioevo ed ancora in epoca moderna) la protezione degli animali. Davanti alla cappella, fino a pochi anni or sono, si conducevano le greggi e le mandrie del paese, nel giorno della ricorrenza del santo per la benedizione. Sicuramente di origine medievale (l’ultima ristrutturazione ne ha ridotto le dimensioni e stravolto la forma originale), rappresentava il centro spirituale dell’antico Casale, costituto da un piccolo agglomerato medioevale di casupole abitate per lo più da contadini e braccianti, poco distante dal centro urbano vero e proprio (Civita), ai piedi del Castello e intorno alla Chiesa Madre di S. Nicola, che invece era abitato da massari, artigiani e rappresentanti del clero. All’interno vi si conservano statue in argilla (di fattura artigianale locale) di S. Antonio Abate e S. Caterina del Burgo e altre simili (S. Salvatore) recuperate da altre cappelle di Sasso, ormai distrutte. CHIESA DI SAN ROCCO La Chiesa di S. Rocco fu edificata nel 1658 dalla popolazione di Sasso (come ringraziamento per essere stati risparmiati dalla terribile pestilenza del 1656-57 che sconvolse l’intero Regno di Napoli) ristrutturando ed ampliando una preesistente Cappella di S. Sofia, proprio di fronte alla taverna del marchese. Ne dà testimonianza monsignor Anzani, vescovo di Marsico, in una relazione ad limina del 1714, che riferisce anche l’intenzione della popolazione di Sasso di eleggere San Rocco quale Santo Patrono: ”…Nullum habet Sanctum Patronum, desaderavit tamen mensis elapsis obtinere dicta Comunitatisa Sacra Ritum Congregatione Patronum S. Rocchum, cui ob gratiam liberationis a contagio generali in Regno, da anno 1658 cappellam erexerunt…”. Vi si celebrava messa (già nel 1687) ogni venerdì e messa solenne nei giorni delle festività di S. Rocco (16 agosto), S. Sofia (30 settembre) e S. Sebastiano (20 gennaio). Nel corso del XVIII secolo fu dotata di sacrestia e coro ligneo, e vi si aggiunse il culto di S. Antonio di Padova. Della stessa epoca è una tela che raffigura la gloria di Maria, attorniata dai santi patroni del Regno di Napoli, S. Francesco di Paola e S. Antonio, e dal patrono S. Rocco. Ulteriori rimaneggiamenti si registrarono, in seguito, sul campanile (danneggiato dal terremoto del 1857), che fu interamente ricostruito e ingrandito una prima volta nel 1862 (come riferisce un’iscrizione che vi è apposta) e poi ancora verso la metà degli anni venti del XX secolo (si conserva nella chiesa, a memoria di questo sforzo collettivo profuso, una lapide che ricorda il contributo pervenuto da terre lontane). L’aspetto attuale si deve all’ultima corposa ristrutturazione operata dopo il terremoto del 1980, che ne aveva imposto una decennale chiusura al culto. Ai rintocchi di una delle campane di S. Rocco la popolazione di Sasso attribuisce proprietà miracolose nello scongiurare ed allontanare i disastrosi temporali estivi. CHIESA DI SAN NICOLA o ANTICA CHIESA MADRE DI SASSO L’attuale Cappella di San Nicola di Mira (poi detto di Bari) rappresenta le ultime vestigia dell’antica Chiesa Matrice della Terra del Sasso. Era il cuore pulsante dell’antico Rione Civita, sotto il Castello feudale, e sicuramente aveva dimensioni un po’ più consistenti e una prospettiva diversa, giacché aveva il suo ingresso su un largo recuperato fra le case abbarbicate alla roccia, denominato Piazza (poi, nel Settecento, Piazza Antica) o Ruga della Grutta (per la presenza, ancora nel Cinquecento, di un antico olmo e di una grotta a caratterizzare il luogo). Nel 1478 difatti si pagavano da “Donno Guglielmo arciprevete de lo Sasso per la integra de dicto


arcipreitato de Sancto Nicola tarì tre grana cinque”. Nel secolo successivo, per mutate condizioni demografiche e finanziarie e per nuove esigenze di spazio, si costruì, nella parte nuova del paese, la nuova Chiesa Madre sull’impianto di un’antica cappella dell’Annunziata, che nell’anno 1576 venne inaugurata. In quell’anno privilegi e benefici che erano appartenuti all’antica Chiesa Matrice di San Nicola furono assegnati alla nuova Chiesa parrocchiale, ma ancora per qualche secolo la Chiesa di San Nicola rimase una delle più ricche di Sasso. Nel XIX secolo la famiglia dei conti Gaetani d’Aquila d’Aragona, che si era stabilita a Sasso, ne curò l’ennesima ristrutturazione, cambiandone prospettiva e dimensione e trasformandola in una sorta di cappella privata di famiglia, così come ora noi la vediamo. CAPPELLA DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE La Cappelletta di Santa Maria delle Grazie, ubicata lungo un sentiero suggestivo nel cuore del geosito rappresentato dal costone appunto della Madonna delle Grazie, fu edificata per devozione popolare nella seconda metà del XVII secolo. L’inaugurazione ufficiale, con relativa dotazione di benefici e obbligo di una messa al mese, avvenne il 15 giugno 1689, nel corso della visita pastorale che monsignor Domenico Lucchetti fece alla parrocchia di Sasso.


VISITA A SASSO La visita può cominciare imboccando via Roma, la strada principale, su cui incontriamo la Chiesa Madre dell’Immacolata, fino agli inizi del secolo intitolata all‘Annunziata. Edificata nel 1769, notevolmente danneggiata nel 1813 da un incendio, fu riaperta al pubblico nel 1814 grazie all’impegno finanziario di tutti i sassesi. L’ingresso si presenta con un interessante portale in pietra martellata, sormontato da uno stemma, oggi non più decifrabile per la corrosione dovuta alla pioggia. All'interno sono da ammirare due opere del Pietrafesa (Giovanni De Gregorio detto il Pietrafesa nato a Satriano di Lucania nel 1569 e morto nel 1636), una statua trecentesca raffigurante la Madonna col Bambino, alcune tele del 1400, un confessionale con intagli rinascimentali e bellissimi affreschi del 1600 e, sulla porta laterale della navata sinistra, il Busto di Sant'Emidio risalente alla prima metà del 1700. All'interno della Chiesa si conserva anche un'ottima alzata dell'altare dell'Immacolata, anche se incompleta e due tavole dipinte che servivano da porte di un confessionale Di fianco alla chiesa si erge il campanile, dotato di una campana dell’ ‘800, più altre quattro, di cui una segnata con la data del 1727, appartenente a chiese andate distrutte. Un ingresso secondario della Chiesa immette in quello che è il cuore del paese, Piazza del Popolo, dalla singolare forma triangolare. La piazza offre sollievo e frescura nei mesi estivi, quando gli enormi platani centenari ricoprono, come una galleria naturale, lo spiazzo sottostante. Superata la piazza e proseguendo su via Roma ci si imbatte, sulla destra, nell’antico Palazzo dei Conti Gaetani d’Aragona, in buono stato di conservazione, prospiciente un giardino privato. Imboccata via della Pietà, che scende a sinistra del corso principale, incontriamo la casa natale di don Giuseppe De Luca, personalità illustre di Sasso, la cui figura, cara al popolo sassese, è ricordata da una targa commemorativa apposta sull’edificio. Anche qui, la piccola piazza antistante è ombreggiata da un enorme platano secolare, sotto il quale è da notare un caratteristico fontanino in ghisa (come ce ne sono in tutto il paese) con lo stemma del fascio. I ruderi che si intravedono di fronte il Palazzo de Luca appartengono alla Chiesa della Pietà, comunemente chiamata “Manti li morti”, distrutta durante il terremoto dell’80. Alla fine di via della Pietà, una stradina sulla sinistra scende a valle fino ad un piano erboso. Qui sorge la semplice Cappella dell’Annunziata, dove si venera l'immagine della Madonna (un gruppo statuario in gesso dell’800 - cui la popolazione di Sasso riserva una venerazione particolare). Di epoca incerta, se ne ha notizia già alla fine del ‘700. Proseguendo per via Castello, ci si addentra nell’antico nucleo del paese, probabilmente risalente al 1500, fatto di vicoli e vicoletti caratteristici, ancora in parte abitati. Di qui, attraverso una scalinata e poi un antico tratturo, è possibile risalire verso il costone roccioso, denominato “Sassi”, su cui sono in parte ancora visibili i resti dell’antico Castello, appartenuto ai Gaetani d’Aragona. Sul percorso si incontra una vecchia cappella, ben conservata, dedicata a San Nicola. Di modeste dimensioni, qualcuno ritiene che fosse la Cappella del Castello. Sulla effettiva dimensione e funzione dell’antica rocca, ci sono pareri contrastanti. Per alcuni, infatti, più che un castello vero e proprio, essa fu solo una torre di avvistamento, risalente già al XII secolo. Lo dimostrerebbe lo strettissimo viottolo di accesso, molto scosceso e percorribile solo a piedi, poco adatto ad un castello feudale destinato ad essere abitato, e la sua posizione isolata in questo posto di selvaggia natura. Visibili sono, oggi, lungo tutta la cima del promontorio su cui sorge, le tracce delle antiche mura della torre e i muretti dei parapetti del bastione. Lo sperone roccioso offre alla vista un panorama assai vasto, che spazia verso l’agro di molti dei Comuni vicini, e verso lo scosceso Vallone Manca. Ridiscendendo verso il paese su via S. Nicola, che segue sulla sinistra il percorso del Vallone, si suggerisce di perdersi nuovamente tra i vicoli dell’antico borgo. Scorci particolarmente suggestivi sono quelli offerti dal borgo Manca (prima traversa sulla sinistra di Via Casale), dove si trova l'arco in pietra che costituiva l’antico accesso del paese da Nord. Di qui parte il tratturo che, seguendo a mezza costa il Monte Serrone, consente di incamminarsi verso la


Cappella dedicata alla Madonna delle Grazie, prestando però molta attenzione per evitare di rotolare nella sottostante gola scavata dal torrente Arenazza. Ritornati su via Casale incontriamo la Chiesa di Sant’Antuono. Si ritiene che sia la chiesa più antica di Sasso, appartenente con tutta probabilità, insieme al complesso di abitazioni e vicoli circostanti, e al Castello feudale, all’originario nucleo urbano del paese. Al cui interno si custodisce la scultura di Sant'Antonio tra Santa Caterina e Santa Filomena, opera questa risalente agli inizi del 1500 Poco distante è la Chiesa di San Rocco recentemente riaperta al pubblico con un dignitoso restauro specie del soffitto in legno. Nata come piccola cappella, in epoca forse anteriore alla peste del 1656, è stata via via ampliata con il contributo dei fedeli, fino a diventare chiesa. La devozione particolare riservata a San Rocco dagli abitanti di Sasso è evidente già dalla gradinata di forma poligonale, che conduce all’ingresso, costruita grazie alle offerte di due devoti nel 1964. Anche l’interno, che si presenta ad unica navata divisa dall’abside da un ampio arco a tutto sesto e da una balaustra in marmo, reca varie dimostrazioni del forte sentimento religioso nei confronti del Patrono: offerta dei sassesi emigrati a New York è l’altare in marmo lavorato, e sono ex-voto molte delle statue qui conservate, da quella in cartapesta di S. Rocco, a quella di S. Antonio, e lo stesso pavimento ricoperto in marmette. Il campanile della Chiesa, indipendente dal resto dell’edificio, si presenta a quattro ripiani cubici di grandezza degradante, sormontati da una cupola ottagonale, un tempo riccamente ricoperta di maioliche oggi sostituite da lastre di piombo. Vi si conservano tre campane, tra cui una più piccola recante la data del 1782, probabilmente appartenuta alla originaria cappella. In onore del Santo Protettore si svolge ancora oggi una grande festa, il 16 agosto, in occasione della quale rientrano i tanti sassesi emigrati in altre regioni o città. Usciti dalla chiesa, sulla sua sinistra, si può notare un edificio antico, che reca un’iscrizione risalente al ‘700. Si tratta della Taverna presso cui sostava il signore di Sasso, Marchese Litterio Caracciolo, quando ivi si recava per visitare le sue terre, per svolgervi battute di caccia con parenti ed amici o per discutere di problemi della comunità con i suoi amministratori. L’iscrizione, a ricordo delle visite, è sormontata da uno stemma a quattro sezioni, contenente due aquile e, sovrapposto, il cappello vescovile. Di una certa evidenza monumentale è, sempre nei pressi della Chiesa di San Rocco, su via Beneventani, l’antico Palazzo Langone, attualmente disabitato. Da via Beneventani ci si può inerpicare, seguendo Via Calvario sulla sinistra, fino ad una collinetta, sulla cui sommità è stata posta una croce. E’ questo il percorso dei devoti durante la processione pasquale della Via Crucis. Da notare il serbatoio risalente all’epoca fascista, che costituisce una tipologia di edificio molto diffusa in tutta la Comunità Montana del Melandro, ricca di sorgenti sfruttate a fini potabili.


ESCURSIONI Oggi Sasso di Castalda conserva quasi intatto l'originale aspetto architettonico dell'antico borgo posto ai piedi del Castello semidistrutto dal tempo e dall'incuria, ed è, senza alcun dubbio, il più caratteristico centro nell'area del Melandro: circondato da una suggestiva catena montuosa, Sasso confina a nord-est con Brienza (Km. 6) e dal lato opposto con la splendida zona dei boschi di Sellata e Pierfaone. Grazie al particolare paesaggio, caratterizzato da montagne, corsi d'acqua, ricca vegetazione e variegata fauna e flora, Sasso si presenta come uno dei paesi più incontaminati della Basilicata. Chi vede Sasso per la prima volta ne rimane colpito per le caratteristiche geografiche, che favoriscono un clima ottimale tutto l'anno, è possibile, infatti, ammirare le sue bellezze naturali in tutte le stagioni dalla primavera quando tutta la vegetazione è in fiore, l'estate con i campi di grano dorati, l'autunno con i suoi colori caldi e l'inverno che lo copre con un candido manto bianco. Per gli amanti della natura è il posto ideale dove trascorrere delle giornate tranquille immerso nel verde. Per le sue caratteristiche morfologiche, quasi il 65% del territorio comunale ricade nel Parco Nazionale Val d'Agri Lagonegrese e Appennino Lucano. Nei mesi di giugno, settembre e ottobre è possibile raccogliere svariate qualità di funghi, basta farsi rilasciare l'apposito permesso. Invece per tutti coloro che amano sciare, sul monte Pierfaone, troviamo la pista da sci, aperta nei mesi invernali. Il Comune di Sasso offre molte possibilità di escursioni. Del comprensorio comunale fanno parte infatti vette montuose di rilevante altezza, ed inoltre un numero altissimo di sorgenti che alimentano l’Acquedotto Pugliese. Da non perdere una visita alla ben nota faggeta di Sasso, raggiungibile seguendo le indicazioni per località “la Costara-S. Michele”. Ai margini di questo bosco, fitto di alberi svettanti, molto al di sopra dei 1000 metri di quota, nasce il Melandro. E’ possibile sostare per una giornata all’aria aperta, grazie alle aree attrezzate per il pic nic, ai “percorsi vita” per chi volesse fare sport all’aria aperta, ai sentieri battuti per escursioni in mountain-bike e a cavallo, che in qualche tratto costeggiano il fiume. Tutti i percorsi sono stati organizzati in modo da confluire in un unico punto, lì dove si erge, più alto di tutti, il faggio di S. Michele. Si tratta di un imponente albero secolare, la cui età è stata stimata approssimativamente tra i 300 e i 400 anni , che prende il nome dalla vicina cappella dedicata al Santo. Con le sue notevoli dimensioni (la circonferenza raggiunge gli otto metri), il faggio di S. Michele costituisce un simbolo particolarmente caro ai Sassesi, che da lontano potevano intuire l’arrivo della primavera vedendo la sua fioritura prima di quella di tutti gli altri. La cappella di S. Michele Arcangelo si trovava in prossimità della sorgente del Melandro, ma fu demolita nel 1954 per effettuare opere di captazione e ricostruzione poco distante in forma ottagonale. E' meta della solenne processione durante la quale, l‘8 maggio, la piccola statua in alabastro di San Michele, opera del ‘600, viene portata dalla Chiesa Parrocchiale e vi ritorna il 29 settembre. Lasciata la località “la Costara — S. Michele”, la strada prosegue per Monte Arioso, complesso montuoso comprendente la cima dell’Arioso (1709 metri) e quella ancor più rilevante di Pierfaone con i suoi 1753 metri. In questo punto equidistante tra tre mari, l’Adriatico, Tirreno e lo Jonio, si dice che, in condizioni atmosferiche ideali, sia possibile vedere “in lontananza scintillare insieme le tre marine” (Giuseppe de Luca). Il luogo è meta frequente di escursioni da parte degli appassionati di trekking e ciò ne dimostra la valenza paesistica e naturalistica. D’altronde questa cima fu una delle tappe della prima escursione della Sezione Lucana del Club Alpino Internazionale, nel lontano giugno del 1878 (una targa a ricordo è stata posta sulla cima dell’Arioso). Punto di arrivo di un moderno impianto di risalita per le piste da sci, la località offre anche la possibilità di fermarsi a dormire, grazie alla presenza, alle pendici del monte, di una piccola struttura ricettiva nei pressi della cappella della Madonna del Sasso, e, durante l’estate, di zone attrezzate per il campeggio. in un paesaggio di sicura suggestione, aperto com'è sulla valle sottostante.


IL “SENTIERO FRASSATI” della Basilicata è un percorso escursionistico di 22 chilometri che toccando interessanti siti storici, religiosi e naturalistici – si sviluppa interamente nel territorio di Sasso di Castalda (Potenza), antico borgo dell’Appennino Lucano, ai piedi del gruppo montuoso Arioso-Pierfaone. Costituito da un anello di 14 chilometri e da una bretella di collegamento col centro storico di 4 chilometri, il percorso è stato individuato tenendo conto della memoria storica degli abitanti del paese, che utilizzavano i sentieri per andare a coltivare i campi, macinare il grano, raccogliere e trasportare legna, produrre carbone o pascolare le greggi. Si può ben dire, pertanto, che il “Sentiero Frassati” della Basilicata rappresenta la riscoperta e la valorizzazione di antiche vie, spesso dimenticate, che hanno legato un’intera comunità alle sue montagne.La particolare articolazione in due grandi segmenti (la bretella e l’anello) e la possibilità di raggiungere in auto vari punti del percorso, ne rendono possibile una personale modulazione in una o più escursioni, sicché davvero questo sentiero può ritenersi una grande ricchezza alla portata di tutti! Per quanto riguarda la segnatura del sentiero, la Sezione di Potenza del Club Alpino Italiano l’ha curata ispirandosi a quanto consiglia Spiro Dalla Porta Xidias, uno dei padri del C.A.I.: “La segnaletica sui sentieri toglie il gusto dell’avventura. Ciò nonostante, almeno sui principali sentieri, questa è necessaria per invitare gli escursionisti meno esperti a camminare con maggiore sicurezza. Facciamo in modo che questa non sia invasiva.” Ed allora, a tutti, un buon cammino … anzi, una buona avventura sul “Sentiero Frassati” della Basilicata! Le vie della pietà Preludio alla percorrenza del “Sentiero Frassati” è la visita del centro storico di Sasso di Castalda, che pressoché ad ogni angolo riserva la vista delle memorie di una religiosità semplice e antica, dalle chiese principali del patrono San Rocco e dell’Immacolata (già dell’Annunziata), alle numerose cappelle, tra cui quelle della Pietà e della Madonna delle Grazie (quest’ultima appena fuori l’abitato, uscendo dall’antico e ben restaurato Borgo della Manca); dalle edicole votive ricche talvolta di pregevoli icone in ceramica, alle numerose croci devozionali, la più antica delle quali – in pietra – risale al 1587. La via del grano Risalite le viuzze del centro storico, ci immettiamo su quella che un tempo era la principale via di collegamento tra il paese e la montagna. All’altezza del Calvario scorgiamo sulla sinistra un’ampia collina recintata: oggi è l’Oasi del Cervo, ed è possibile ammirarvi splendidi esemplari di ungulati, qui riprodottisi. Un tempo, nei mesi di luglio e agosto, quanti avevano mietuto il grano nelle zone circostanti portavano lì, sulle piazzole comunali (aie) che ancora si scorgono, i covoni (gregne) di grano e procedevano alla trebbiatura, che avveniva, in una prima fase, con l’ausilio di una grossa pietra trainata da animali con cui si schiacciavano i covoni sciolti e disseminati sull’aia. Per la definitiva separazione del grano dalla paglia (ventilazione) si sfruttava la corrente d’aria che solitamente risaliva dal vallone. In assenza di vento, per la ventilazione bisognava attendere il giorno successivo o, in caso di luna piena, l’immancabile brezza notturna. Raccolto in sacchi da cinquanta chili, periodicamente, con l’ausilio dei muli, si portava il grano al mulino per farne farina. La strada era la stessa che andiamo ora a percorrere, in direzione del torrente San Michele, che si supera grazie ad un primo ponticello di legno di recentissima costruzione. Ed ecco di fronte a noi profilarsi i ruderi del Mulino del Conte, che era l’unico del paese. Come la maggior parte dei mulini delle zone collinari e montuose della Lucania e del vicino Cilento, aveva un funzionamento a ruota orizzontale, che richiedeva meno spazio e minore quantità d’acqua. Per far ruotare la macina in pietra del mulino (mola), si utilizzava l’energia cinetica dell’acqua, ottenuta attraverso un condotto tronco-conico, ad asse quasi verticale (torre o saetta) ed un rudimentale boccaglio, detto “tubo addizionale”, dal quale l’acqua affluiva investendo le pale (generalmente in legno di ontano in quanto molto resistente all’immersione costante in acqua); esse trasmettevano direttamente il moto alla mola, che era montata sullo stesso albero della ruota (generalmente in legno di leccio perché conservava resistenza e stabilità). La via dell’acqua Dopo aver raggiunto la parte alta dei ruderi del mulino, ed aver ammirato la magnifica “saetta” scalpellata a mano in blocchi di pietra, proseguiamo il cammino lungo il canale artificiale che


portava al mulino l’acqua del torrente San Michele, che andiamo a riattraversare servendoci di un secondo ponticello. Ci inoltriamo, così, nella parte bassa del bosco della Costara, continuando a costeggiare il corso d’acqua. Ad un incrocio, sul limitar del bosco, termina la bretella di collegamento col paese ed inizia il percorso ad anello che noi, proseguendo diritto, compiremo in senso orario. Attraversato un piccolo ponte ci imbattiamo nelle costruzioni dell’Acquedotto Pugliese. Già negli anni ’20 era stato realizzato un piccolo acquedotto al servizio dei comuni di Sasso e Brienza, ma una maggior opera di captazione fu compiuta a metà degli anni ’50 nell’ambito di una più ampia attività di utilizzo delle varie e ricche sorgenti di Sasso per portare acqua in Puglia. E fu in quell’occasione che l’antica cappella di San Michele - edificata in esatta corrispondenza della sorgente (in perfetto ossequio al culto michaelico) - venne abbattuta e riedificata ad un centinaio di metri di distanza. La via dei pastori Dopo aver fatto una opportuna scorta di freschissima ed ottima acqua vicino alla cappella di San Michele, svoltiamo a destra e cominciamo a salire verso un gruppo di masserie (sulla destra ve n’è una appartenuta un tempo alla famiglia di don Giuseppe De Luca). Queste masserie venivano abitate generalmente da aprile a novembre: attigua alle stalle - dove venivano riparati per lo più mucche, pecore e capre – vi era un unico ambiente domestico (focagna) dove si mangiava e dormiva. Di primo mattino, dopo la mungitura, gli animali venivano istradati verso i pascoli in altura. In estate accadeva spesso che più mandrie si mettessero insieme (accucchiate) ed i pastori si alternassero tra la sorveglianza e l’attività casearia. Il sentiero che andiamo a percorrere, ben tracciato a tornantini nella prima parte, era anche la via attraversata dai muli che ritornavano dai boschi in altura carichi di legnatico secco, di cui si faceva ampia scorta per il rigido inverno. Terminati i tornanti ed un brevissimo tratto in ombra, in prossimità di un colletto proseguiamo verso destra, per prativi a pascolo, fino a raggiungere la località Madonna del Sasso, dove ben si stagliano sul paesaggio una edicola votiva in prossimità di un Camping. La via dei boschi Attraversata la strada asfaltata all’altezza della seconda edicola votiva, ci addentriamo a sinistra in un rimboschimento di pini ed abeti, in leggera discesa, fino a giungere alla Fontana di Fossa Cupa, una delle migliori acque della Basilicata. L’attività di rimboschimento fu avviata negli anni ’50 dal Corpo Forestale dello Stato ed interessò ampie zone del Meridione. Funzionale a quest’attività era anche la tracciatura o il ripristino di sentieri di montagna, come ben possiamo osservare proprio nel primo tratto di salita dalla fontana verso l’Arioso, dove ammireremo senz’altro una lunga serie di tornanti ben sistemati con pietre a secco. Arrivati a quota 1500, ci si addentra in un bosco di faggi che diventa man mano più fitto e prodigo di splendidi esemplari. Più in alto, a quota 1700, sfioriamo gli impianti sciistici del comprensorio Arioso-Pierfaone e, seguendo una stretta cresta, giungiamo alla cima del Monte Arioso (m. 1709), vetta del “Sentiero Frassati” della Basilicata e cima storica del CAI lucano perché proprio qui si indirizzò – il 15 giugno del 1878 – la prima escursione della Sezione Lucana del Club Alpino Italiano. La via delle nevi Attraversata la panoramicissima cresta del Monte Arioso, dove lo sguardo spazia dal Volturino al Sirino, dal Cervati agli Alburni - cime tutte innevata fino a primavera inoltrata – ci riaddentriamo in discesa nel bel bosco di faggi, intersecando altre piste da sci ed impianti di risalita. Dopo aver brevemente costeggiato la strada asfaltata che da Sasso di Castalda conduce agli impianti sciistici – terminando in prossimità del Rifugio del Forestale – girando a sinistra giungiamo all’incrocio di Tempa d’Albano. Da questo punto, a soli 200 metri, si può raggiungere il Belvedere delle Scaledde. La via dell’aria Dopo un’opportuna sosta sulle panchine del Belvedere delle Scaledde (che si affaccia, tra l’altro, sulla vicinissima vetta del monte Maruggio), ritornando per un po’ sui nostri passi cominciamo una lunga discesa che - escluso il breve tratto iniziale ancora all’ombra dei faggi - va man mano scoprendosi su lunghi prati, dove veramente sembrerà di “planare” … sulle ali del vento, che qui spesso si fa sentire. A metà discesa (a quota 1420) ci si potrà ristorare alla sorgente Acqua Ceresola, per poi proseguire lungo un arioso sentiero a mezza costa in fondo al quale, svoltando a destra, ci si


immette nel bosco della Costara, fino ad arrivare, sempre in discesa, all’incrocio con il Rifugio La Costara (a circa 150 metri dal sentiero). La via del Faggio di San Michele Nel meraviglioso bosco della Costara è possibile ammirare gli esemplari più belli e vetusti di faggio della regione. Il sentiero coincide qui con uno dei percorsi fitness, seguendo il quale arriveremo in breve al cospetto del monumentale Faggio di San Michele, uno degli “alberi padri” della Basilicata, tutelato con legge regionale. Una comoda panchina ci invita ad una sosta ed alla lettura – su apposito cartello - della sua storia … e della sua leggenda. L’escursionista curioso, che volesse “divagare” a vista tra queste possenti colonne della natura, non mancherà di scoprire qua e là, nella parte alta del bosco, gli spiazzi (aie) su cui venivano approntate le carbonaie. Ma anche restando sul “Sentiero Frassati”, che riprendiamo decisamente in discesa con ripidi zig-zag, non ci mancherà un’altra curiosità del bosco: la buca della neve! Ne incontriamo, infatti, una poco più sotto del Faggio di San Michele. Con diametri e profondità che potevano oscillare dai tre ai cinque metri, queste buche raccoglievano un’enorme quantità di neve, che vi veniva ammassata d’inverno, per poi essere prelevata d’estate e portata in paese per il confezionamento di gelati e granite. Al termine della ripida discesa tra i faggi, raggiungiamo il limitare del bosco nel punto esatto di chiusura dell’anello escursionistico e d’incrocio con la già nota bretella lungo la quale faremo ritorno in paese.


LA FLORA La zona in cui si snoda il “Sentiero Frassati” della Basilicata si configura, per le sue importanti caratteristiche fisico-ambientali e paesaggistiche, come un territorio ad elevata variabilità ambientale. Il sentiero presenta una vasta diversità di specie botaniche, anche endemiche, condizionate oltre che da differenti ambienti climatici anche dall’uso da parte dell’uomo del territorio prevalentemente silvo-pastorale ed agrario. Secondo la classificazione fitoclimatica di Pavari, il sentiero ricade per il primo tratto nella fascia del Castanetum, con fisionomia potenziale di querceto misto. Proseguendo, invece, verso il torrente San Michele la fisionomia vegetazionale diventa quella del Fagetum che corrispondente al climax del faggio. Lungo il sentiero, che si inerpica da San Michele a Madonna del Sasso, è facile rilevare, nelle fessure della roccie e sui substrati di natura calcarea del terreno, l’Achillea lucana; uno degli ultimi endemismi lucani, individuato, come nuova specie, dal Pignatti (1979). Alle estese faggete di alta quota si intervallano praterie e steppe montane mediterranee con la presenza di orchidee selvatiche e di una folta e variegata flora erbacea, tra cui la Knautia lucana, specie esclusiva dell’Appennino lucano ed endemica della Basilicata, rinvenuta dal botanico Orazio Gavioli, agli inizi del novecento, sul Monte Arioso. Le rilevazioni botaniche, rilevate lungo l’intero sentiero sono state distinte in 5 zone: 1) ZONA DI BORDURA AGLI INCOLTI È la zona caratterizzata da una vegetazione spontanea che si è sviluppata accanto ai coltivi abbandonati con prevalenza di: • CALCATREPPOLA GIALLA (Centaurea solstitialis), • VIPERINA MAGGIORE (Echium italicum), • VIPERINA AZZURRA (Echium vulgare), • CARDO DEI LANAIOLI (Dipsacus sylvestris), • CENTAUREA MINORE (Erytraea centarium), • CAPRIFOFLIO (Lonicera periclymenum), • SONAGLINO (Briza media), • ROMICE (Rumex obtusifolium), ecc. 2) ZONA DEI PASCOLI MONTANI È la zona caratterizzata da una vegetazione arbustiva ed arborea (Ginestra, Biancospino, Perastro, Prugnolo, Rosa canina, Corniolo, Acero campestre, Carpino nero, Castagno, Cerro e Farnetto,) con specie erbacee rustiche ed appetite dagli animali al pascolo, con prevalenza di: • TIMO (Thymus vulgaris), • CISTO ROSSO (cistus creticus), • ELICRISO (Helichrysum italicum), • NEPETELLA (Calamintha officinalis). 3) ZONA UMIDA DEI VALLONI È la zona dove domina una vegetazione molto rigogliosa che vive in prossimità di fossi boscati e in terreni umidi con le radici striscianti in acqua e con frequenti fenomeni di gigantismo foliare (Farfaraccio). Prevalgono: • ROVO (Rubus ulmifolius), • LAMPONE (Rubus idaeus), • ERBA GALLETTA (Lathyrus pratensis), • ORCHIS (orchis simia), • ELLEBORO (helleborus foetidus), • FARFARACCIO (petasites hybridus), • CODA CAVALLINA (Equisetum arvensis), ecc. 4) ZONA DELLA FAGGETA È la zona dove predomina il bosco di faggio (Fagus sylvatica) che parte dall’area che costeggia il vallone che giunge alla cappella di San Michele e poi diventare una splendida faggeta pura (La Costara), continuando a Serra Giumenta e Monte Arioso (individuato quale Sito di Importanza Comunitaria). Le faggete vengono distinte, per l’altimetria, in due


differenti formazioni: l’Aquifolio-Fagetum, contraddistinta dalla transizione con boschi submontani a prevalenza di querce, e per la presenza di specie sempreverdi nel sottobosco, tipico del bosco della Costara. Invece, procedendo, ad altitudini maggiori, quindi verso Fossa Cupa e Serra Giumenta, la faggeta si contraddistingue per un’associazione: l’Aceri lobelii-Fagetum, caratterizzata dalla presenza dell’ Acer lobelii, un acero endemico dell’Appenino centro-meridionale. 5) ZONA DEI RIMBOSCHIMENTI Nei pressi della Madonna del Sasso, sono presenti rimboschimenti di Abete bianco (Abies alba), impiantate dal Corpo Forestale dello Stato negli anni ’50, nel tentativo di reintrodurre una specie presente in passato allo stato naturale, come evidenziato dai numerosi toponimi locali. Diventato sporadico, probabilmente, sia a causa delle variazioni climatiche (favorimento del faggio) e a seguito interventi antropici, in alcune aree forma il bosco misto con il faggio. Presenti, anche, rimboschimenti di pino nero (Pinus nigra).


LA FAUNA Il “Sentiero Frassati” della Basilicata attraversa un territorio molto interessante dal punto di vista botanico e faunistico. La presenza, inoltre, di un esteso sito di importanza comunitaria (SIC); il massiccio dell’Arioso, testimonia la biodiversità del patrimonio ambientale presente nel territorio di Sasso di Castalda. All’inizio del percorso, in prossimità del centro storico, si trova l’area faunistica del Cervo (Cervus elaphus), realizzata nel 2001, con un duplice scopo; quello di consentire agli amanti della natura e ai turisti di avvistare gli animali in condizioni simili a quelle naturali e quello di fornire esemplari per futuri progetti di reintroduzione. Il piccolo cerbiatto con il mantello fulvo e pomellato di bianco, ideale per nascondersi, è l’ultimo nato nell’area faunistica di Sasso, e conferma, perciò, il successo del progetto. Di grande interesse è la presenza del nibbio reale (Milvus milvus); frequenta e nidifica nei luoghi caratterizzati dall’alternarsi di querceti ed ambienti aperti, tipici della prima parte del tracciato. Nelle umide conche delle faggete, ove abbondano ceppi marcescenti, a poca distanza dal torrente San Michele, fa la sua apparizione la salamandra pezzata (Salamandra salamandra) e la salamandra dagli occhiali (Salamandrina terdigitata), specie endemica dell’Appennino. Gli escursionisti che spostano la propria attenzione dalle zone umide del torrente San Michele agli ambienti agrari possono incontrare l’upupa (Upupa epops), il rigogolo (Oriolus oriolus), la ghiandaia (Garrulus glandarius) e la gazza (Pica pica). Nelle faggeta della Costara è facile avvertire il suono ritmico prodotto dal picchio verde ( Picus viridis). La loro presenza è rilevabile anche scorgendo i fori rotondi e regolari praticati negli alberi più vecchi; quando, però i buchi sono grandi e a forma rettangolare, si tratta del nido del possente e raro picchio nero (Dryocopus martius), il più grande dei picchi europei, che colonizza ancora i vecchi faggi. Un altro frequentatore delle foreste è il cuculo (Cuculus canorus), che a modo suo vi nidifica. Fra le specie di Mammiferi presenti sul territorio, sicuramente quelle di maggiore importanza scientifica sono la lontra (Lutra lutra), il lupo (Canis lupus); il più grande predatore carnivoro che chiude il ciclo della catena alimentare, e il gatto selvatico (Felis silvestris), quest’ultimo forse più comune di quanto non si creda date anche le sue abitudini notturne, arboricole ed elusive. La martora (Martes martes), anch’essa presente nella faggeta della Costara, visto la presenza, per fortuna, di esemplari arborei, ancora, vecchi e cavi, che presentano favorevoli condizioni per la sua tana. Una delle entità faunistiche più interessanti per i visitatori, è rappresentato dallo scoiattolo nero (Sciurus vulgaris meridionalis ), è presente sia nei querceti e sia nei faggeti. Questa specie è diversa da quella conosciuta nel resto d’Italia e in Europa, presenta un caratteristico manto nero con il ventre ed il petto bianco e le dimensioni del corpo e della coda maggiori rispetto agli altri scoiattoli. A queste vanno aggiunte altre specie più comuni come la faina (Martes Foina), la volpe (Vulpes vulpes), il tasso (Meles meles), localmente ben conosciuto con il nome dialettale “melogna” e la lepre (Lepus europaeus), diffusa dai campi coltivati fino alle praterie montane dell’Arioso. L’istituzione del parco nazionale dell’Appenino Lucano, di cui il sentiero Frassati di Basilicata è totalmente al suo interno, rafforzerà in maniera significativa la conservazione della natura e, specialmente, l’ecosistema faunistico.


SASSESI ILLUSTRI Francesco Antonio De Luca: nato a Sasso nel 1812, divenne sacerdote, in seguito filologo e filosofo spiritualista, pubblicò un'opera dal tema “Saggio ontologico delle dottrine dell'Aquinate e del Vico”. Di lui resta anche una grammatica latina. Mons. Giuseppe De Luca: nato a Sasso di Castalda il 24 aprile 1865. Suo intimo desiderio da sempre fu quello di farsi prete, ad orientarlo fu lo zio Don Antonio D'Elia che essendo parroco a Montevideo, lo fece studiare nel Seminario dell'Uruguay . Costruì le fondamenta di una chiesa parrocchiale, una scuola, aprì un salone per il circolo cattolico operaio. Fondò e moltiplicò fino ad una ventina le associazioni cattoliche; eresse una casa canonica e creò un santuario, che oggi è il santuario nazionale del Verdun. Nominato arciprete di Sasso di Castalda, fece restaurare la chiesa parrocchiale che volle intitolare alla Immacolata Concezione, la cappella della Pietà, organizzò la gioventù cattolica, favorì le opere di assistenza ai bisognosi. L'aggravarsi del suo stato di salute lo spinse il primo aprile 1937 a rinunciare all'arcipretura. Morì il 22 maggio 1956. Rocco Cristiano: nato il 18 luglio 1884 a Sasso di Castalda. Direttore di banda, musicista e compositore, si perfeziona sotto la guida di Raffaele Caravaglios e si diploma in strumentazione per banda al Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli. Dal 1903 al 1913 è direttore della banda ad Acerenza. Nel 1913 risulta primo fra 25 concorrenti al concorso bandito dal Comune di Cannara per dirigere il Concerto Municipale. Nel febbraio 1928, lascia la direzione della Banda musicale di Cannara, per ricostituire il concerto civico di Foligno. Nel 1930 entra in servizio all’Istituto Musicale “Giulio Briccialdi” di Terni. Termina la sua carriera pubblica nel 1952 dedicandosi, da allora in poi, all’insegnamento privato e alla composizione. Muore a Terni il 23 maggio 1967. Tra le sue composizioni ricordiamo, presso la casa editrice Tito Belati: “Umbria”, “Lucania”, “Archi”, “Edda”. Don Giuseppe De Luca jr: nato a Sasso di Castalda nel 1898, rimase presto orfano di madre e per questo ricevette la prima educazione presso la nonna materna a Brienza, ove restò sino alla fine della quarta elementare. Fu lo zio materno, monsignor Vincenzo D’Elia (arciprete della Trinità a Potenza e fondatore della locale sezione del Partito popolare), a intuirne la vocazione indirizzandolo al Seminario di Ferentino, retto allora dai padri gesuiti. Passò poi al Seminario Romano. E si laureò in Teologia. Durante tale formazione acquisì l'amore per i libri che cominciò a raccogliere e custodire nella sua ricca biblioteca. Il suo amore per la cultura fu tale da non escludere nel suo grande progetto,ovvero Le Edizioni di Storia e Letteratura, nessun autore religioso e non, fu, infatti, l'unico sacerdote ad intrattenere rapporti con uomini politici del tempo. Sottolineò, però, di essere interessato non alla politica, ma ai politici. L'invito che rivolge a costoro è quello di tenere alta la bandiera della ricerca intellettuale invitandoli a farsi promotori e sostenitori di iniziative culturali tralasciando le barrire tipiche e caratteristiche di ogni ideologia. Negli anni Venti, entrò in contatto con alcuni dei maggiori docenti universitari, strinse rapporti d’amicizia con Giovanni Papini, Ungaretti, Prezzolini, Palazzeschi, Cecchi, D’Amico, Manzù, Bo. Ebbe contatti con uomini politici quali Sturzo, De Gasperi, Bottai, Togliatti.. Con quest'ultimo, Don Giuseppe ebbe non pochi incontri, di certo non di interesse politico, ma volti a richiamare l'attenzione sullo stato culturale in cui versava l'Italia dell'epoca. Cominciò a collaborare alla terza pagina del ‘Popolo’, chiamato da don Luigi Sturzo. Iniziava anche il suo apostolato sacerdotale come cappellano degli anziani (presso le Piccole Suore dei Poveri) a San Pietro in Vincoli. Si impegnò nell’Azione Cattolica, distaccandosene in seguito. E venne nominato archivista della Congregazione per la Chiesa orientale. Giuseppe De Luca era un incredibile operatore culturale. Collaborò all’‘Enciclopedia Italiana’, all’‘Osservatore Romano’ (con la rubrica ‘La parola eterna’, da cui sarebbero nati i celebri ‘Commenti al Vangelo festivo’) e ad altri innumerevoli organi di stampa, tra i quali spiccava il


‘Frontespizio’ di Piero Bargellini (vi si gettò a capofitto per riavvicinare i cattolici all’arte e gli artisti al cattolicesimo). Diresse inoltre alcune collane per la ‘Morcelliana’ di Brescia. A Roma diede vita alle ‘Edizioni di Storia e Letteratura’, casa editrice unica nel suo genere in Europa, di altissimo livello, per palati fini. Dalle stanze di palazzo Lancellotti, don Giuseppe De Luca favorì soprattutto lavori di erudizione e filologia sostenendo i giovani studiosi ma anche i nomi noti, senza preclusioni ideologiche e linguistiche. Durante l’occupazione tedesca, si adoperò per salvare gli ebrei dalla persecuzione e i giovani romani dal reclutamento della repubblica di Salò. Nel 1951 usciva il primo volume dell’‘Archivio italiano per la storia della pietà’, con una sua magistrale Introduzione (l’impresa editoriale a lui più cara). «Dedicarsi nella solitudine allo studio puro – scriveva De Luca –, sembra chi sa che stoltezza: è invece timore di Dio, è inizio di sapienza. È il grande eremitismo cristiano, è una preparazione (sulla croce) a contemplare Iddio. Ci siamo dimenticati che l’anima non la salviamo, senza impegnare a fondo l’intelligenza. Tutta l’intelligenza. È l’intelligenza una cosa che o c’è o non c’è, ma insomma lei sola dà legna all’amore». Innamorato di Cristo e della Chiesa, fu sempre in prima linea per difendere la Verità e il Magistero. Cantore della Madonna, ci ha lasciato superbi scritti. Amò pure Agostino. Era una delle penne più temute della Roma del tempo, prestata molte volte a prelati e superiori per essere più incisivi nei ‘loro’ articoli. Fu contrario al partito unico dei cattolici, perché temeva facesse pagare alla Chiesa pesanti costi religiosi. Respinse anche l’idea degli scrittori cattolici (un non senso quell’aggettivo campato per aria), ma era favorevole ai cattolici scrittori, impegnati a dare battaglia sul piano delle idee. Tra gli amici più fedeli: André Wilmart, Eduard Fraenkel, Giacomo Manzù, Emilio Colombo e Angelo Roncalli. L’amicizia con il patriarca di Venezia (nata alla Fondazione Cini dove De Luca tenne una famosa conferenza) gli sarà di grande aiuto e conforto nei momenti bui e difficili. Servì sempre la Curia romana con discrezione e intelligenza (stimato e benvoluto dai cardinali Tardini e Ottaviani, che lo incoraggiarono segretamente nella sua attività editoriale). In vista del Concilio Vaticano II fu nominato consultore della Pontificia Commissione preparatoria degli studi e dei seminari e membro poi della stessa. Il 30 novembre 1961, ‘L’Osservatore Romano’ dava la clamorosa notizia del telegramma di auguri di Nikita Kruscev a papa Giovanni XXIII per il suo ottantesimo compleanno. Era l’inizio del disgelo fra Santa Sede e Cremlino. Fu don Giuseppe De Luca a suggerire a Palmiro Togliatti il famoso scambio di telegrammi: quello augurale di Kruscev e quello di ringraziamento del papa. Solo il pontefice, pare, fosse al corrente dei colloqui tra De Luca e Togliatti (il primo contatto tra i due avvenne nel lontano ’44 – alla vigilia di Natale –, in casa di Franco Rodano, leader dei cattolici comunisti). Nella ‘Porta della morte’ di Giacomo Manzù, a San Pietro, si può ammirare anche l’effigie di don Giuseppe De Luca. Il cardinale Stefan Wyszyński (primate della Chiesa polacca) gli donò una stupenda immagine della Madonna di Częstochowa, accompagnandola con una dedica autografa. È arduo scovare i suoi testi. Non lo si ristampa quasi più. Articoli e libri, i suoi, che sanno di bucato. Non odorano di muffa. Ma spesso si guarda alla cultura cattolica con sufficienza e sospetto. Roba da chierici, si dice, da relegare nelle sacrestie. E non si perde occasione per dirne male. Salvo poi riscontrare, negli stessi che arricciano il naso, ignoranza e incompetenza. De Luca accarezzò negli ultimi anni il progetto di una scuola per preti archivisti. E avrebbe voluto mettere a disposizione la sua immensa biblioteca per formarne alcuni nelle arti e nelle letterature moderne da utilizzare nelle sedi diplomatiche. Il 12 marzo del ’62, veniva ricoverato d’urgenza per un intervento chirurgico e ricevette in ospedale la visita di Papa Giovanni XXIII, gesto clamoroso, per l'epoca. Morì il 19 marzo «recitando la sua giaculatoria preferita: “Veni, Domine Jesu”». Ai più il suo nome non dice nulla. Eppure don Giuseppe De Luca, «prete romano», come amava definirsi, fu una delle personalità culturali e religiose più ricche e complesse del Novecento. De Luca andò sempre fiero delle sue origini meridionali, paesane e contadine, e meditò a più riprese


di scrivere la propria biografia. Dalla remota, e pur ricca tradizione storica e filosofica, religiosa e anche politica della gente lucana, attinse un respiro e una profondità insoliti, di cui fa fede la “Ballata alla Madonna di Czestochowa” scritto appena un mese prima della sua scomparsa: “Tutte le volte, e non furono tante, che io son tornato nella casa dove nacqui (è in un paese montano, sul margine di faggete eterne che mai nessuno ha traversato, nel cuore più nascosto della Basilicata; e sì che vi si e a distanza pari, lassù, tra l’Adriatico, lo Ionio, il Tirreno, e io fanciullo coi pastori spiavo se, di tra una radura e 1’altra della sommità più alta, si vedessero in lontananza scintillare insieme le tre marine ...”. Rocco Petrone: nato ad Amsterdam di New York Nato nel 1926, figlio terzogenito di un carabiniere nato a Sasso di Castalda, Potenza, che si era inventato un lavoro negli Stati Uniti, nel settore dei trasporti, Rocco aveva solo sei anni quando suo padre morì. Fu il cugino a intuirne le potenzialità per la matematica e a indirizzarlo agli studi tecnici. Dopo gli ottimi voti scolastici, Petrone partecipò a un concorso per entrare nella prestigiosa Accademia militare di West Point; concorso che vinse, nonostante il grave handicap delle origini italiane: siamo nel 1943, in piena seconda guerra mondiale. Qui consegue il “Bachelor of Science” nel 1946. Serve l’esercito degli Stati Uniti, in Germania, dal 1947 al 1950. Al suo ritorno in USA, riprende gli studi e consegue il “Master of Science” in ingegneria meccanica nel 1951, presso il Massachusetts Institute of Technology. Davanti a lui si schiudevano le porte della carriera militare, ma c'era anche la remota possibilità di uscire dalla divisa per entrare nei progetti spaziali. Affascinato dalle tecnologie aeree e dai missili, ma contrario agli impegni militari, Petrone colse al volo l'opportunità, e in due anni conseguì la laurea in Ingegneria meccanica per poter far parte del Progetto Redstone e della squadra di Von Braun e Debus, scienziati tedeschi riconvertiti alle scienze aerospaziali. Divenuto maggiore, Petrone fu assegnato allo Stato Maggiore a Washington, ma a toglierlo dalla naftalina ci pensò il presidente John Kennedy. Quando chiese a Kurt Debus se fosse possibile inviare un americano sulla Luna entro il 1969, questi rispose: Sì, a patto che mi diate un certo Rocco Petrone che adesso si annoia in un ufficio del Pentagono. Dopo aver lavorato al Pentagono, dal 1956 al 1960, nel campo dei missili guidati, nell’agosto del 1960 viene chiamato dalla Nasa, a Cape Kennedy, in Florida, dove presiede lo sviluppo del veicolo di lancio del Saturno V e la costruzione di tutti gli elementi di lancio del progetto Apollo. Dirige i primi cinque lanci dell’Apollo che culmina con l’atterraggio lunare dell’Apollo 11. Ciò valse al colonnello di Sasso di Castalda la promozione a direttore del programma Apollo, a Washington, al posto del leggendario Samuel Philips. Nel 1973 diventa Direttore del Marshall Space Flight Center, in Alabama, dove ha un ruolo vitale nel programma dello Skylab, la prima stazione spaziale degli USA. Nel 1975 Petrone lascia la NASA è diviene direttore generale del National Center Resource Recovery. Negli anni ottanta, diventa Presidente della divisione dei sistemi di trasporto spaziale alla Rockwell International, fornitore dello Space Shuttle. Muore il 24 agosto 2006, nella sua proprietà di Palos Verdes, California. Tra i tanti riconoscimenti merita una menzione il “ Nasa Distinguished Service Medal for Apollo 11”. Nel 1973 consegue il titolo di Commendatore al Merito della Repubblica Italiana. È autore di molte pubblicazioni riguardanti i sistemi di lancio delle missioni Apollo, i programmi di indagine lunare e i piani di sicurezza delle missioni. Mariele Ventre: nata a Bologna il 16 luglio 1939, da genitori lucani: il papà, Livio, è di Marsico Nuovo; la mamma, Maria Rotundo, è di Sasso di Castalda. Già la sua primissima formazione è caratterizzata dall'incontro con il Convento di S. Antonio di Bologna (la piccola Mariele è araldina, la giovane Mariele è catechista) e con la musica, di cui suo padre è appassionato cultore. Nel 1957 consegue il diploma di abilitazione magistrale e nel 1961 il diploma di pianoforte al


Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. A questo stesso anno risale anche l'incontro di Mariele con lo Zecchino d'Oro che - giunto alla terza edizione - veniva trasferito da Milano a Bologna, proprio presso l'Antoniano. Nel 1963 Mariele fonda il Piccolo Coro dell'Antoniano. Tutta la sua vita - costellata da numerosi riconoscimenti in Italia e all'estero - sarà dedicata alla musica ed ai più piccoli. Splendida figura di artista e di educatrice cristiana, come l'ha definita il Cardinale Arcivescovo di Bologna Giacomo Biffi, Mariele Ventre muore dopo lunga malattia a Bologna il 16 dicembre 1995, venti giorni dopo aver diretto la trentottesima edizione dello Zecchino d'Oro. Mariele Ventre per decenni ha incarnato quegli ideali etici e pedagogici che l'Antoniano ha posto a fondamento delle sue attività musicali, ricreative e sociali per i più piccoli. La stessa storia della vita di Mariele è indissolubilmente legata a quella dell'Antoniano, del Piccolo Coro di cui è stata fondatrice nel 1963 - e dello Zecchino d'Oro. Muore dopo lunga malattia a Bologna il 16 dicembre 1995, venti giorni dopo aver diretto la trentottesima edizione dello Zecchino d’Oro Alle doti indiscusse di grande musicista e di educatrice, la cui fama ha varcato ben presto i confini nazionali, Mariele univa certe caratteristiche del suo temperamento - lo sguardo magnetico, il piglio dolce e autorevole, il rigore, la tenacia, il valore del sacrificio e la capacità di saper apprezzare le piccole cose della vita, uniti ad una fede radicata e vissuta che l'hanno resa straordinariamente popolare e vicina al cuore della gente. A lei, Sasso ha intitolato il teatro comunale. Mimmo Beneventano: nato a Petina (Sa) l’11 luglio del 1948 a Petina (Salerno), un paesino ai piedi dei monti Alburni. Le origini sono lucane; il padre, guardia forestale, è di Sasso di Castalda (PZ), la mamma di Polla (Salerno). Sono le esigenze lavorative del padre che prima lo portano in provincia di Salerno, a Teggiano, e poi, dal 1961 al 1964, a Giffoni Valle Piana. Dal 1964, la famiglia Beneventano si trasferisce ad Ottaviano, in provincia di Napoli, dove Mimmo, dopo essersi laureato in medicina e specializzato in chirurgia, svolge la professione medica e l’attività di chirurgo presso l’ospedale S. Gennaro di Napoli. Si deve alla sua generosità, al suo altruismo e al suo non poter vivere ignorando la sofferenza degli altri, l’impegno nelle organizzazioni cattoliche col solo scopo di portare sollievo a chi ne ha bisogno. Nei momenti importanti sarà sempre presente, sarà nel Belice a soccorrere i terremotati o a Firenze a salvare il patrimonio artistico, minacciato dall’alluvione. Ma tutto questo non basta. Sente l’esigenza di doversi caratterizzare in modo inequivocabile, di dare un segnale, per così dire, definitivo, quasi a lasciar capire che da qui non si torna indietro: ed è proprio qui che troviamo la spiegazione della sua iscrizione al Partito Comunista Italiano. Egli è riferimento importante per la gente, e la sua candidatura a consigliere comunale nelle liste del P.C.I., nel maggio del 1975, ad Ottaviano sarà inevitabile, come la valanga di preferenze che raccolse allora e alle successive elezioni del giugno del 1980. Nonostante ciò, avvertiva anche un forte il senso di appartenenza, sentendosi profondamente legato a quello che lui definiva il suo Paese - Sasso di Castalda - , dove, contemporaneamente, nel 1975, Mimmo sarà eletto consigliere comunale. Ma Sasso rappresentava per lui il naturale rifugio, un luogo che gli infondeva serenità, dove si sentiva sicuro, fra gente leale, e al riparo da tormenti e da veleni: il cielo di Sasso, nelle notti di agosto, lo incantava talmente da sentirsi quasi al cospetto di Dio. Il 7 novembre 1980, la sua vita generosa e ricca fu stroncata barbaramente in un agguato camorristico ad Ottaviano, in quella strada che oggi porta il suo nome mentre, di primo mattino e abitualmente, si recava in ospedale per il suo lavoro. Non era un eroe, ma lo diventò, trovandosi a vivere in un territorio insidioso in un momento in cui il confine fra politica, affari e camorra era diventato sempre più labile. Era, dunque, un eroe che con le uniche armi dell’intelligenza, dell’intuito, della ragione e del cuore sfidò l’arroganza della camorra e dei politici corrotti, mettendo in seria difficoltà i loro piani criminali. Il Comune di Sasso di Castalda gli intitola una piazza, una sede di partito e l’Aula del Consiglio Comunale.


STRUTTURE TURISTICHE & RICETTIVE Bar Ristorante Pizzeria ‘85 C.da Carrara, 26 Tel. 0975 385106 Ristorante Peccati di Gola Piano La Pietra Cell. 339 2594485 Agriturismo Stella C.da Fragneto Cell. 320 9788537 Ristoro e Area Pic Nic “La Costara” Cell. 328 6594683 B&B Casa Laurenza C.da Crete,1 Tel/fax 0975 385219 – cell. 339 4260693 www.casalaurenza.it CEA “Il vecchio faggio” Via Piano La Pietra, 1 Tel 0975 355072 - Fax 0971 35968 ; cell. 349 8674145 e-mail: ceailvecchiofaggio@virgilio.it www.legambientebasilicata.it/cea.html Borgo Antico “La Manca” Cell. 338 3182255 www.borgoanticolamanca.it Pub Time bridge Cell. 333 4768996 328 8971600 Sellata-Arioso Comprensorio Sciistico Direzione impianti: tel. 0971 722975 Bollettino neve: Tel. 0971 722974 www.skisellata.it www.skilaceno.it


COME RAGGIUNGERE SASSO DI CASTALDA In automobile • per chi proviene da Salerno, Napoli, Avellino, Lagonegro, l'uscita autostradale più vicina si trova sull'autostrada A3 Salerno - Reggio Calabria - svincolo di Atena Lucana. Proseguire per la SS 598 direzione Taranto fino allo svincolo per Sasso di Castalda • per chi proviene da Bari, Taranto, Lecce, Matera L'uscita autostradale più vicina si trova sul raccordo autostradale Potenza-Sicignano - svincolo di Tito. Proseguire lungo la SS 95 TitoBrienza direzione Brienza e, dopo Satriano Sud, si esce allo svincolo per Sasso di Castalda In autobus: Sasso di Castalda è servita dalle compagnie di autobus: • Autolinee F.lli Vittorio e Italo Gambioli (tel0975.352675) - www.autolineegambioli.it • Autolinee SITA - www.sitabus.it NUMERI UTILI Amministrazione Comunale 85050 - Via Roma, 2 Tel. 0975 385016 - Fax 0975 385052 E-mail: sasso.castalda@tiscalinet.it Web: www.comune.sassodicastalda.pz.it Pro Loco di Sasso di Castalda "Il Nibbio"Via Roma, 22 85050 - Sasso di Castalda (PZ) Tel.: 0975 203634 E-mail: prolocosasso@tiscali.it MANIFESTAZIONI ED EVENTI • • • • •

8 maggio - Festa in onore di San Michele [(con processione dalla chiesa madre fino al monte di San Michele) sul Sentiero Costara, Km 7]. 16 maggio - Festa in onore di San Rocco (Patrono) 16 agosto - Festa in onore di San Rocco 14 settembre - Festeggiamenti in onore della Madonna del Crocifisso 29 settembre - Festa in onore di San Michele FIERE

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16 maggio 14 agosto


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