Chimica, biochimica e metachimica degli oli essenziali
FARE NATUROPATIA
Luca Fortuna
Fare Naturopatia
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CHIMICA, BIOCHIMICA E METACHIMICA DEGLI OLI ESSENZIALI
Luca Fortuna
edizioni
© Copyright 2010 Edizioni Enea - SI.RI.E. srl I edizione luglio 2010 ISBN 978-88-95572-26-0 Edizioni Enea Sede Legale - Viale Col di Lana 6/a, 20136 Milano Sede Operativa/Magazzino - Piazza Nuova 7, 53024 Montalcino (SI) www.edizionienea.it edizioni.enea@gmail.com Progetto grafico Lorenzo Locatelli Disegno in copertina Federica Aragone Stampato in digitale da Global Print srl 20064 Gorgonzola (MI) I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, informatica, multimediale, riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo, compresi microfilm e copie fotostatiche, sono riservati per tutti i Paesi. I benefici derivanti dall’applicazione dei metodi descritti dipendono dalla dedizione e dalle capacità di chi opera in piena responsabilità. L’Autore e l’Editore non hanno responsabilità per l’utilizzo delle tecniche terapeutiche citate nel testo.
Come un girasole, nel giallo a te porta il risveglio, e nell’aria fluttuare sussurri di aroma, il tuo incedere saluta. Nel rosso silente, all’immoto sole la trepida attesa del verde ombrato avvicina al tuo sguardo il riposo accennato, e la tua orma, soffice sosta. Istantaneo passare, il mutare dipinge e il rosso, il viola, il celeste passato abbracciano il fresco e di nuvole reggono la dolce sera che a sĂŠ, il giallo richiude. Ăˆ dolce il silenzio dei tuoi passi fermi, e del saluto che a te porta, dormiente, il suo moto. N. Guerini
INDICE 9 11
Prefazione PRIMA PARTE Fondamenti
13 25 29 37 41 47 51 65 71 97 103 109
1. Gli oli essenziali e le piante 2. La biogenesi degli oli essenziali 3. Gli oli essenziali 4. Gli oli essenziali per l’aromaterapia 5. Gli oli essenziali, mix unici della natura 6. Le scuole di aromaterapia 7. L’aromaterapia scientifica 8. La triade aromatica 9. La farmacologia degli oli essenziali 10. Questioni pratiche 11. L’adulterazione degli oli essenziali 12. La tossicità degli oli essenziali
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SECONDA PARTE La chimica degli oli essenziali
119 153 161 171 177 185 205 225 231 249 261 273 283 289 295
13. I fondamenti della chimica di base 14. Il peso delle fragranze 15. La forma delle molecole 16. Polarità e solubilità 17. I magnifici cinque 18. I composti 19. I terpeni 20. Gli acidi 21. Gli alcoli 22. Le aldeidi 23. I chetoni 24. Gli esteri 25. Gli eteri 26. I fenoli 27. Gli ossidi
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301 313 317
28. I lattoni, le cumarine e i furani 29. I composti azotati 30. I composti solforati
319
TERZA PARTE La biochimica degli oli essenziali
321 345 369
31. La biochimica 32. Tossiemia e aromaterapia 33. pH, rH e rO
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QUARTA PARTE La metachimica degli oli essenziali
395
34. La metachimica
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Glossario
437
Riferimenti bibliografici
I capitoli 13, 15, 16, 17, 18, 31, 32, 33 e 34 hanno un carattere introduttivo e non trattano in modo specifico l’aromaterapia. La lente d’ingrandimento a lato del testo indica i passaggi in cui si forniscono al lettore le correlazioni con gli oli essenziali, in modo da facilitarne l’individuazione. 8
Prefazione Pochissimi terapeuti utilizzano gli oli essenziali con le appropriate conoscenze relative alla chimica e alla biochimica. Questo testo riporta non solo i fondamenti relativi a tale scienza, ma anche le ricerche e le più recenti innovazioni all’interno di essa, oltre a riferimenti con la fisica quantistica che pone le basi della cosiddetta metachimica, termine che definisce qualcosa che va oltre la chimica stessa. Il grandissimo pregio degli oli essenziali è la loro molteplice azione sul piano fisico, psichico e spirituale pertanto sono per definizione dei rimedi olistici, la loro azione è a largo raggio e assai potente pertanto è indispensabile, per poterne utilizzare le immense potenzialità, una conoscenza ampia che non può escludere lo studio della loro natura chimica e, in seguito ad essa, una comprensione approfondita della loro azione su corpo e psiche. Pregio dell’autore è l’abilità nell’accompagnarci nel mondo dell’infinitamente piccolo per farci poi risalire nel mondo dei profumi, nelle sensazioni sottili che restano come tracce nella nostra memoria. Il tutto calato nello spirito della Naturopatia che ha come scopo uno stato di profondo benessere a tutti i livelli, con noi stessi, con gli altri, col mondo che ci circonda. Gli oli essenziali possono esserci di aiuto, sono lo spirito stesso delle piante, della natura che, madre e maestra, ci guida, ci insegna, ci cura. dott.ssa Catia Trevisani
Catia Trevisani, medico-chirurgo, si laurea nel 1988 presso l’Università degli studi di Milano; contemporaneamente approfondisce e pratica la Medicina Olistica. Ha fondato e dirige dal 1995 la Scuola di Naturopatia SIMO (Scuola Italiana di Medicina Olistica) in cui insegna il Metodo SIMO per l’integrazione delle singole discipline. Insegna Nutrizione, Floriterapia, Reflessologia, Cromopuntura e Naturopatia applicata. Pratica come medico naturopata e promuove la Medicina Olistica attraverso corsi e libri. Ha scritto: Introduzione alla Naturopatia, Audiocorso di Introduzione alla Naturopatia, Reflessologia Naturopatica, Fondamenti di Nutrizione, Fiori di Bach e Naturopatia, Curarsi con il cibo, Curarsi con l’acqua. 9
Prima parte
Fondamenti
1 Gli oli essenziali e le piante
Esistono numerose teorie sulle funzioni svolte dagli oli essenziali nelle piante e sono tutte molto controverse. Alcuni, erroneamente, arrivano a pensare che sia un prodotto di scarto del metabolismo della pianta. La verità è che ancora oggi molte delle funzioni svolte dagli oli essenziali rimangono un mistero. Sono stati chiamati “anima” o “essenza” delle piante per sottolineare l’importanza della loro presenza. Questo argomento è stato a lungo dibattuto, le ricerche hanno riguardato soprattutto le proprietà farmacologiche degli oli essenziali e meno il motivo per cui le piante li producono. Alcune ragioni sono note: • per difendersi dai batteri, funghi e altri microrganismi infestanti; • per difendersi dalle aggressioni da parte di insetti e animali erbivori; • per favorire l’impollinazione, attirando insetti, mammiferi e uccelli; • per riuscire a sopravvivere in ambienti difficili e competitivi, alcuni oli sono riversati sul suolo circostante e impediscono la crescita di altre piante; • per prevenire la disidratazione in ambienti molto secchi, gli oli circondano con un alone di vapore le parti della pianta e impediscono alla pianta di perdere troppa acqua; • per comunicare con l’esterno. Effetti degli oli essenziali sul metabolismo delle piante, “ormoni verdi” Gli oli essenziali sono stati definiti come il sangue vitale di una pianta, circolano attraverso i tessuti e penetrano la membrana delle cellule trasportando all’interno i nutrienti e portando all’esterno i prodotti di scarto. È ben nota la loro capacità di favorire l’ossigenazione delle cellule e di detossificare. La loro funzione si estende sia alle cellule, sia alla matrice. L’azione di pulizia e rinnovamento sul liquido interstiziale favorisce a sua volta un processo di rinnovamento profondo. Agiscono inoltre sui siti di ricezione dei più disparati inquinanti e detossificano da residui petrolchimici, farmaceutici e dai metalli pesanti. L’azione chelante nei confronti di metalli tossici e altre tossine, è completata da una funzione di incremento della resistenza nei confronti della tossicità indotta da queste sostanze. Infine incrementano la possibilità di assorbimento di vitamine, sali minerali e altri nutrienti. Uno studio americano condotto in Bulgaria ha dimostrato come alte concentrazioni di metalli pesanti presenti nel terreno, come cadmio, piombo, manganese e zinco, non portino alla presenza di questi stessi metalli nell’olio essenziale. Gli oli essenziali agiscono come degli ormoni, regolando le funzioni e orchestrando la produzione di vitamine e minerali. Agiscono come messaggeri e supervisori all’interno della pianta e aiutano a coordinare le attività di base.
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Chimica, biochimica e metachimica degli oli essenziali
Quando gli oli essenziali vengono utilizzati su di un essere umano agiscono nello stesso modo. Possono agire come ormoni, peptici, neurotrasmettitori, steroidi, enzimi, vitamine, ligandi. Oli essenziali per la protezione della pianta Gli oli essenziali proteggono le piante in molti modi. Uccidono virus, batteri, funghi e parassiti che potrebbero nuocere. Allontanano insetti, rettili, uccelli ed erbivori che potrebbero divorare l’intera pianta. Agiscono da erbicidi impedendo ad altre piante di crescere troppo vicine, evitando così un’eccessiva competizione per la luce o i nutrienti presenti nel suolo. Impediscono a semi di altre specie di germogliare nelle vicinanze, per presidiare meglio il territorio, ad esempio le piante che colonizzano i deserti crescono ad una distanza minima le une dalle altre, le risorse idriche sono molto limitate e l’eccessiva prossimità potrebbe compromettere la sopravvivenza. Alcuni arbusti essudano un olio attraverso le radici proprio per prevenire la germinazione di altre piante all’interno del loro diametro di sopravvivenza. Le capacità difensive degli oli essenziali sono sia dirette, che indirette. Le piante sane di pomodoro quando vengono attaccate da alcuni vermi secernono un olio volatile che attira alcune specie di vespe che si nutrono proprio dei vermi, liberando così le piante dal loro assalto. Questo processo non avviene se le piante vengono trattate con sostanze sintetiche (come i classici antiparassitari) e se il suolo è contaminato da fertilizzanti industriali. La pianta del tabacco attua lo stesso meccanismo. Anche la pianta di una specie di fagioli sudamericani ricorre alle vespe per liberarsi dall’aggressione di alcuni parassiti. Questi esempi sono solo alcuni tra le migliaia di casi, la relazione che si viene a creare tra una pianta e il suo olio essenziale, con insetti e altri animali amici, è oggi allo studio degli scienziati per identificare forme di lotta biologica per l’agricoltura, al fine di evitare il massiccio ricorso ai prodotti chimici impiegati. Oli essenziali per la regolazione del microclima Un effetto inaspettato degli oli essenziali in natura è quello di agire sul microclima. L’olio essenziale contenuto in alcune piante del deserto modifica l’ambiente circostante creando un micro-clima più umido e con una temperatura di parecchi gradi inferiore. Le molecole terpeniche, soprattutto i tertraterpeni, abbassano le frequenze della luce solare visibile al livello di infrarossi e le riemettono sotto forma di calore, prevenendo il danneggiamento che può risultare da alcune trasformazioni fotochimiche indotte dalla luce. Platyphyllolo è un ottimo agente bloccante per i raggi ultravioletti. Un altro esempio dell’azione sul microclima è rappresentato dalla capacità degli oli essenziali di creare una sorta di zona contenitiva dell’umidità, preservando così l’idratazione. Le Smoky Mountains negli USA devono il loro nome ad una sorta di “fumo” che sembra avvolgere la vegetazione, questo fumo in realtà è costituito dalle microgocce degli oli essenziali che vengono prodotti dalle piante e che avvolge come una coperta le vallate preservando l’umidità e rendendo l’aria purissima. Così come alcuni oli essenziali hanno il compito di proteggere le piante dalla troppa luce e dal calore, altri svolgono l’azione contraria. Gli oli essenziali che contengono furani (C4H4O) possono amplificare l’azione degli ultravioletti, come farebbe una lente. I furani sono presenti in quantità negli agrumi e nei frutti in corso di maturazione, hanno infatti la funzione di accelerarne la maturazione e di aumentarne il tenore in zuccheri. Una volta che 14
1. Gli oli essenziali e le piante
i frutti sono giunti a maturazione il quantitativo di furani decresce fino a scomparire, poiché se la loro azione continuasse si arrecherebbe un danno ai frutti, portandoli a marcire. Oli essenziali per la cicatrizzazione e la rigenerazione delle lacerazioni Quando le piante vengono tagliate, spezzate o in altri modi danneggiate, secernono delle particolari resine per riparare la parte interessata. Nelle resine sono sempre presenti dei composti aromatici che hanno la funzione di difendere la pianta dalle infezioni e nello stesso tempo di favorire i processi di rigenerazione e cicatrizzazione. Gli oli essenziali possono svolgere le stesse funzioni sui nostri tessuti, sono eccellenti antisettici e promuovono la riparazione dei tessuti. Oli essenziali per il richiamo di insetti Gli Egizi avevano notato che il profumo dei fiori attirava gli insetti permettendo, con il loro girovagare di calice in calice, l’impollinazione di altri esemplari e la riproduzione. Dalla constatazione che alcune piante dal profumo dolce invitavano le api a visitarle per poi lavorare il miele, nacque il nome proprio della melissa. L’olio essenziale lavora in modo estremamente selettivo e, se attira gli insetti utili, tende a respingere gli insetti nocivi per la piante. I profumi sono, infatti, dei messaggeri alati che le piante utilizzano per comunicare con l’esterno. Le piante sono immobili, o per meglio dire, sono ancorate al terreno e non possono spostarsi per trasferirsi in luoghi più promettenti o ricchi di opportunità. Alcune piante possono autoimpollinarsi, avendo parti sia maschili, che femminili. La maggior parte delle piante tuttavia non possiede questa caratteristica o vi rinuncia per ottenere un miglior risultato, sia qualitativo, che quantitativo. Nel corso dell’evoluzione le piante hanno sviluppato meccanismi diversi per favorire la riproduzione e consentire alla loro specie di propagarsi. La prime piante apparse sulla terraferma probabilmente non erano profumate, o se lo erano non usavano il profumo come mezzo per facilitare le riproduzione. Le felci affidavano la loro discendenza alle spore e all’acqua, i muschi ricorrevano all’acqua e al vento. Alcune piante avevano realizzato una sorta di rivoluzione, inventando il polline che veniva affidato al vento. Durante il processo di impollinazione il polline viene trasferito dagli stami di un fiore allo stigma di un altro fiore della stessa specie. Per poter produrre i semi, i fiori devono essere impollinati. Per facilitare la dispersione del polline e spingerlo il più lontano possibile, alcune specie, come le conifere, avevano applicato delle sacche d’aria per portarlo nel cielo. I granuli pollinici potevano salire fino a 5000 metri di quota ed oltre, per poi atterrare anche a centinaia di chilometri di distanza spinti dai venti e dalle correnti atmosferiche. Questo era un fantastico sistema per giungere in terre lontane e colonizzare le aree adatte. Di certo molti pollini non raggiungevano mai una zona in cui attecchire e quindi bisognava affidarsi alla grandezza dei numeri, miliardi e miliardi di pollini dovevano essere sparsi per il mondo. Lo sforzo per produrre così tanti messaggeri è notevole, oggi in Europa un centimetro quadrato di terra riceve in media 27 mila granuli di polline all’anno, e questo numero è solo una minima frazione di quello che avveniva in passato. Non v’è dubbio che gli insetti che avevano cominciato a nutrirsi di polline sul suolo, piuttosto che raccogliere quello sparso dal vento, andarono a cercarlo là dove ce n’era in maggior abbondanza, cioè nei fiori. L’insetto che saccheggia il polline reca alla pianta un ovvio danno, compensato però dall’involontario trasporto di una parte di esso sullo stigma dei fiori di altri individui della stessa specie, visitati in un secondo momento. 15
Chimica, biochimica e metachimica degli oli essenziali
Il trasporto di polline su fiori distanti migliora la panmissia a condizione però che il fiore sia ermafrodito, poiché il trasporto del polline da un fiore maschile a un altro fiore maschile non serve a nulla. Il polline che si trova ad essere trasportato da insetti, uccelli o altri animali, che vengono definiti impollinatori, diventa quindi una merce di scambio. I fiori attirano gli impollinatori con i loro colori brillanti, la dimensione e la forma dei loro petali, con vari profumi e con il dolce nettare. Una cosa particolarmente interessante sul colore dei fiori è il fatto che assumono una colorazione diversa quando vengono osservati sotto la luce ultravioletta. Gli insetti impollinatori riescono a vedere lunghezze d’onda di luce diverse da quelle percepite dall’occhio umano. Il colore di un fiore può apparire un colore totalmente diverso alle api e alle farfalle rispetto a come appare a noi. Il polline e il nettare sono un cibo prezioso per gli impollinatori. Ci sono piante che si servono di coleotteri per l’impollinazione e normalmente hanno poco nettare o non ne hanno affatto, attraggono gli impollinatori con enormi quantità di polline che in gran parte viene mangiato dagli insetti stessi. Ad esempio nel genere magnolia, i grandi fiori primitivi dall’odore intenso sono impollinati da coleotteri attirati dall’odore del polline, e negli encephalartos il polline viene trasportato da insetti attratti dal tremendo fetore degli strobili maschili. Per aumentare le possibilità di riuscita alcune piante, come le cicadaceae, introdussero dei miglioramenti al polline, rendendolo appiccicoso e profumato. Questi profumi ricordavano probabilmente quello della carne in decomposizione, poiché erano indirizzati ad attirare dei coleotteri specializzati nel nutrirsi di materia organica in decomposizione. I coleotteri attirati dall’aroma trovavano delle strane sferette con cui nutrirsi e ripartivano portandosi dietro grani di polline che raggiungevano molto più facilmente di prima la meta. Ancora oggi alcune piante appartenenti alle aracee e stapelieae attirano le mosche con odori di carne o pesce marcio. La rafflesia è un genere che raggruppa una ventina di specie, le piante di rafflesia non hanno foglie e consistono principalmente di un fiore a cinque petali, con un diametro che può superare il metro e con un peso che può raggiungere i 10 chilogrammi. I fiori odorano di carne in putrefazione e attirano così molti insetti che normalmente si nutrono di carcasse. Alla sua fioritura le mosche vi si precipitano dirigendosi verso un foro oscuro che si apre al centro della corolla carnosa, variante dal rosso carne al violaceo della putrefazione. Il suo odore nauseabondo le affascina completamente e dopo ampie e numerose manovre interne se ne vanno cosparse di polline. L’amorphophallus titanum, scoperto a Sumatra nel 1878 da un esploratore naturalista fiorentino, Odoardo Beccari, presenta la più grande struttura floreale del mondo: larga oltre 1 metro, alta fino a 3 metri e pesante fino a 70 chilogrammi. Attira i coleotteri con il suo ributtante odore di cadavere. In alcuni casi le piante sono dei veri e propri trabocchetti spietati. Negli arum conophalloides delle zone temperate centinaia di minuscoli fiori si allineano lungo un asse centrale terminante in una clava carnosa, il tutto avvolto da una larga spata più o meno fittamente punteggiata di porpora. Emanano un odore nauseabondo che attira mosche e moscerini. Un complicato gioco di fiori maschili, femminili e sterili che sbocciano in tempi diversi, e la spata, che impedisce agli insetti di andarsene, rendono la fecondazione incrociata quasi inevitabile. L’arum attira solo le femmine di certi moscerini che succhiano il sangue, assumendo pertanto l’odore della pelle delle vittime di tali insetti. La stapelia grandiflora, fiore sudafricano a forma di stella marina e dall’odore di carne in putrefazione, attira moscerini che depongono le uova indifferentemente negli ovari di 16
1. Gli oli essenziali e le piante
tali fiori, nei cadaveri e negli escrementi. La giovane larva che nasce all’interno del fiore non trovando nutrimento vi muore. Come se non bastasse, l’odore nauseante di questi fiori, scompare subito dopo la fecondazione. La stapelia quindi riceve senza dare nulla in cambio e per di più lascia morire la prole dei suoi visitatori, nonostante le rendano il servizio di impollinarla. Le vistose corolle della victoria amazzonica, la più grande delle ninfee del sudamerica, imprigionano i coleotteri per una notte. Questa pianta fiorisce una volta all’anno per due notti: la prima notte il fiore è bianco e ha un forte odore di ananas, la seconda notte il fiore è rosa scuro e ha perso l’odore, la terza notte il fiore muore. L’aroma di ananas attira nel fiore quanti più insetti possibile, il fiore si richiude trattenendo gli insetti all’interno impregnandoli di polline. Il giorno seguente gli insetti vengono liberati e vanno in giro per il mondo a spargere il loro carico. La ricerca di validi collaboratori all’impollinazione porta alla “scoperta” di api e farfalle, che non devastano le corolle e sono disponibili in gran numero. Il profumo sempre più intenso e gradevole, diventa allora un importante elemento pubblicitario per il nettare, il pasto sostanzioso e incruento. Per non sprecare tempo e profumo, molte piante ne regolano l’emissione secondo le abitudini dei collaboratori, il tiglio e il caprifoglio profumano di sera, l’hoya carnosa, alcuni gerani e il gelsomino di notte, le rose al mattino e il ligustro a mezzogiorno. È un grande vantaggio evolutivo per una pianta profumare di più quando il proprio impollinatore è più attivo, infatti grazie a questa strategia, non universalmente adottata, è possibile risparmiare energia ed evitare la visita inefficace di impollinatori generici che disperderebbero inutilmente il polline. Si potrebbe costruire un orologio basato sulle fragranze dei fiori. Gli insetti percepiscono i profumi in maniera molto più intensa di noi; infatti, grazie alle loro antenne possono vederli, palparli, sentirli. Al maschio del baco da seta basta una sola molecola di bombicol, la sostanza emessa dalla femmina, per individuarne con esattezza la posizione a chilometri di distanza. Osservando come un insetto vola verso un fiore si capisce come segua la scia olfattiva, attraverso linee convergenti sui petali, le scie di profumo indicano il percorso, e cosa deve essere fatto affinché l’impollinazione avvenga correttamente. Nelle grosse campanule e nei bianchi convolvoli, l’atterraggio degli insetti è guidato solo dal profumo, e negli ippocastani i vecchi fiori hanno un odore diverso dai nuovi, per segnalare subito agli insetti dove il nettare è più abbondante. I segnali olfattivi sono mirabilmente rinforzati dai visivi, perché le grandi macchie gialle dei fiori freschi virano parallelamente al rosso, nei narcisi i petali bicolori presentano due profumi diversi, per meglio indicare la strada del nettare. Le orchidee giungono alla creazione d’autentici profumi erotici e alcune non disdegnano l’inganno, come i fiori di un genere australiano, il drakea, che imitano perfettamente, nei dettagli, nella forma, nel colore e nel richiamo odoroso, quello delle femmine di certe specie di vespe. Il profumo è l’elemento portante dell’inganno, perché anche tagliuzzando i petali fino a renderli irriconoscibili, le vespe maschio vi si gettano sopra come sulle vere femmine. Un’altra orchidea, la coryanthes, ha legato a sé, in modo analogo i maschi di alcune api americane che hanno bisogno del suo profumo per fabbricare i loro ormoni sessuali. Queste api sono costrette a un tuffo in una vasca colma di un liquido vischioso, e al passaggio in uno stretto tunnel dove si vedono accollare o prelevare due sacche di polline. Un’altra orchidea latino-americana, il catasetum, dona all’insetto un profumo già pronto per attirare le femmine, basta solo raccoglierlo con i peli delle zampe, condensarlo in una cavità pre17
Chimica, biochimica e metachimica degli oli essenziali
disposta allo scopo, e vaporizzarlo con le ali per sedurre le compagne. I fiori delle labiate (lavanda, salvia, menta) e di molte altre specie offrono all’insetto impollinatore un posatoio congegnato in modo tale che, mentre esso sugge il nettare, le antere lo spolverano di polline. La specializzazione entomofila dei fiori è poi andata progredendo: i fiori richiamano gli impollinatori grazie ai petali colorati e profumati aventi forme ben riconoscibili a distanza e offrono, a quegli insetti che non mangiano polline, abbondante liquido zuccherino, il nettare. Presso molte farfalle l’apparato buccale si è modificato in modo da poter suggere questo liquido. I fiori giallo oro della buddleja, dal profumo di miele, attirano moltissime farfalle. I sirfidi tra i ditteri e gli sfingidi tra le farfalle grazie alla lunga proboscide suggono il nettare da fiori che non offrono appoggio al loro corpo, alcuni riescono persino a volare all’indietro. I primi volano in pieno sole, mentre i secondi volano solo al crepuscolo attirati dall’intenso profumo e dall’abbondante nettare dei fiori che schiudono all’imbrunire apposta per loro. La fragranza dei fiori è specifica per ogni pianta e costituita da una miscela di piccole molecole volatili che appartengono per lo più a tre gruppi di composti: fenilpropanoidi/ benzenoidi, terpenoidi e derivati degli acidi grassi. La concentrazione di ogni singolo composto è determinante: due fragranze diverse possono contenere concentrazioni diverse di composti uguali e uno stesso composto può avere un odore disgustoso ad elevata concentrazione e un profumo piacevole a concentrazioni molto più basse. La fragranza dei fiori può variare sia quantitativamente che qualitativamente nel corso della vita del fiore stesso, in funzione dell’età, dello stato di impollinazione o delle condizioni ambientali; ad esempio la temperatura incide sensibilmente sul livello di emissione di composti volatili. Smettere di attirare impollinatori una volta avvenuta l’impollinazione serve a preservare intatto il fiore fecondato e ottimizza l’azione degli impollinatori attirati solo da fiori non ancora impollinati. Questa regolazione avviene per diretta modulazione del processo di emissione o per semplice senescenza e perdita delle parti “profumate” del fiore, i petali, lo stigma o lo stilo. Poiché gli impollinatori non specifici potrebbero supplire all’eventuale scarsità degli impollinatori prediletti, è stata formulata l’ipotesi che alcuni composti vengano emessi per attirare gli impollinatori specifici, altri per gli impollinatori generici e altri, in alcuni fiori, per respingere i visitatori indesiderati. È stato riscontrato spesso che le piante impollinate da insetti attivi di giorno, come le api, emettano il profumo di giorno, mentre i fiori visitati da insetti notturni, come le falene, profumano soprattutto di notte. Si credeva che l’emissione di profumo fosse modulata dalla luce, almeno per le piante profumate durante il giorno. Di recente è stato pubblicato uno studio sulla regolazione circadiana dell’emissione di profumo della bocca di leone, un fiore ad impollinazione diurna. Questo fiore ha un picco di emissione di fragranza durante il giorno, tra le 9.00 e le 16.00, in corrispondenza del momento di massima attività del calabrone, il suo impollinatore. Dall’analisi dell’emissione del metilbenzoato, che è il principale componente del profumo della bocca di leone, in condizioni di fotoperiodo normale (con 12 ore di luce e 12 ore di buio alternate), in luce e buio costante e in condizioni di fotoperiodo alterato (luce e buio invertiti), si è dedotta la natura circadiana dell’emissione. I ritmi che si accordano approssimativamente con il tempo di rotazione terreste (hanno cioè una periodicità di circa 24 ore) e che persistono in assenza di stimoli esterni vengono detti circadiani. I ritmi circadiani, presenti nella maggior parte degli eucarioti e in alcuni procarioti, sono controllati da un oscillatore endogeno definito “orologio circadiano” che permette agli organismi di anticipare i cambiamenti ritmici dell’ambiente e di accordare di conseguenza il loro stato fisiologico. Un orologio circadiano per 18
1. Gli oli essenziali e le piante
essere efficace deve poter aggiustare il proprio ritmo a quello dell’ambiente rispondendo ad esempio a variazioni di luce, temperatura o disponibilità di nutrienti. La sincronizzazione tra la profumazione dei fiori e l’attività degli impollinatori è un sorprendente esempio di coevoluzione. Il profumo dei fiori è un aspetto della biologia delle piante che molto spesso viene trascurato e resta complicato definire quantitativamente la composizione chimica dei profumi. Negli ultimi anni sono stati compiuti molti progressi per decriptare le basi genetiche di quello che è un vero e proprio linguaggio dei fiori. A ben vedere l’uomo fa lo stesso e viene da chiedersi come mai, dei profumi elaborati dalle piante per gli insetti, cento milioni d’anni fa, attirino tanto la specie umana, vecchia solo di 5 milioni di anni. Oli essenziali che attirano uccelli e mammiferi I fiori impollinati dagli uccelli sono colorati, grandi e con forme appariscenti, come è il caso della passiflora. I colibrì (uccelli mosca) impollinano le orchidee, le bromeliacee e talune solanacee delle foreste pluviali del Nuovo Mondo, essi hanno sviluppato una tecnica di volo che permette loro di stare sospesi e di fare marcia indietro, grazie al becco stretto e curvo riescono a raggiungere il nettare e mentre si nutrono si cospargono di polline. Attirare gli uccelli è abbastanza facile, ma fare in modo che non si appoggino è tutto un altro discorso. Realizzare fiori sgargianti e di grossa taglia, ben visibili fra il verde delle foglie, richiede uno sforzo considerevole per le specie di taglia modesta. Inoltre gli uccelli possono arrecare dei danni agli ovari della pianta, esaurire troppo rapidamente il nettare, o rovinare altre strutture. Per ridurre il rischio di solito le piante nascondono gli ovari con cura in fondo alle corolle, dove le probabilità di essere mangiati sono minori. Alcune piante adottano la strategia opposta, come le passiflore, che mettono l’ovario ben in mostra su un lungo peduncolo. Confusi dalle forme insolite, distratti dalle linee che conducono lontano dall’ovario, verso il nettare, e soprattutto costretti a dover restare in volo, sospesi per la mancanza di punti d’appoggio, gli uccelli non lo notano nemmeno. La collaborazione con i colibrì è sorprendente, i fiori mostrano una struttura complessa in cui il calice e la corolla, parzialmente saldati, formano una coppa colma di nettare, dall’ingresso ostruito da una serie di “tentacoli” convergenti che indicano la strada per raggiungerlo, ma allo stesso tempo impediscono agli insetti di farlo. La posizione delle antere, fatte per spennellare di polline la testa dei colibrì, non andrebbe bene per le api, e poi si verrebbe a creare una sorta di competizione che non gioverebbe alle passiflore. Alcune passiflore hanno quindi scelto di puntare solo sui colibrì e hanno fabbricato delle fragranze dirette unicamente a loro, ma non si sono limitate a questo. La passiflora vitifolia preoccupata che il suo colibrì non venga molestato da alcune vespe si allea con un esercito di agguerrite formiche, e per attirarle distribuisce lungo gli steli migliaia di zuccherini secreti da microscopiche ghiandole nettarifere, in modo che queste siano sempre di ronda, vigili e pronte a scacciare chiunque vi si posi. Altre specie come la passiflora foetida, con fiori di appena 2 centimetri di diametro, troppo piccoli per i colibrì, ha invece optato per le api, e ostacola le formiche con una foresta di peli appiccicosi. Per sfuggire agli erbivori molte passiflore hanno elaborato anche sostanze tossiche, usate a loro volta come difesa dai pochi insetti che riescono a digerirle. I fiori impollinati dai pipistrelli sono spesso bianchi o verdastri ed emanano un odore specifico di ammuffito o stantio simile a quello dei pipistrelli, come avviene nel baobab (adansonia digitata) e nella kigelia aethiopica. Alcune ricerche hanno dimostrato che i 19
Chimica, biochimica e metachimica degli oli essenziali
pipistrelli durante il volo emettono secrezioni ghiandolari dall’odore acre con funzione di richiamo e di riconoscimento. Il baobab ha dunque “decifrato” questo codice odoroso e lo ha ricreato per attirali e fargli trasportare il suo polline. Per favorirli i fiori del baobab sono ricadenti con numerosi stami e antere, ben posizionati fuori dalle foglie. Profumi per trappole mortali Una pianta viene definita “carnivora” se è capace di attirare, catturare, uccidere e digerire forme di vita animale. Ci sono molte piante che compiono alcune di queste azioni, ma non tutte, e quindi non sono chiamate carnivore. Per esempio i fiori che attirano insetti ed altri animali per l’impollinazione, o le piante che intrappolano temporaneamente gli insetti per permettere un’impollinazione più efficiente. Alcune piante, come quelle appartenenti ai generi americani ibicella e proboscidea, intrappolano e uccidono gli insetti con le loro foglie appiccicose, ma non digeriscono le prede, assorbono i nutrienti tramite le radici o le foglie e si possono definire semi-carnivore. Le piante carnivore occupano una zona al confine tra le forme di vita autotrofe e quelle eterotrofe. Autotrofa è una forma di vita che può vivere accontentandosi di molecole molto semplici che non sono precedentemente metabolizzate da altre forme di vita, la stragrande maggioranza delle piante sono autotrofe, in quanto hanno bisogno solo di acqua, anidride carbonica, luce e di minerali per crescere e riprodursi. Eterotrofa è una forma di vita che ha bisogno di molecole organiche complesse precedentemente metabolizzate da altre forme di vita; gli animali sono tutti eterotrofi, così come molti batteri ed alcune categorie di piante (saprofite e parassite). Le piante carnivore beneficiano delle molecole organiche che recuperano dalle loro prede, ma vari esperimenti condotti in laboratorio hanno dimostrato che queste piante crescono anche se non sono nutrite. Sono state descritte quasi 600 tra specie e sottospecie di piante carnivore che si nutrono di insetti, aracnidi, piccoli anfibi, piccoli pesci, piccoli rettili e piccoli mammiferi. Alcune parti delle piante possono essere appiccicose, scivolose, umide o con una forma tale da rendere molto difficile la fuga alla preda. In altri casi ricorrono al movimento per intrappolare le prede. Per poter attirare gli animali di cui nutrirsi ricorrono a forme, colori e soprattutto profumi. Oli essenziali e feromoni I feromoni sono molecole che trasportano un messaggio preciso, diretto a una specie di insetti o animali ben individuata, si tratta quindi di molecole altamente specializzate e selettive, che hanno il compito di agire in un modo specifico. Le molecole spesso appartengono al gruppo degli esteri, dei chetoni e delle aldeidi. Feromone o ferormone è il nome dato a sostanze chimiche, segnali attivi a bassissime concentrazioni che sono in grado di suscitare delle reazioni specifiche di tipo fisiologico e/o comportamentale in altri individui della stessa specie che vengono a contatto con esse. Un esempio sono i feromoni sessuali che vengono scambiati per contatto o per stimolo olfattivo e che provocano interesse sessuale in un altro individuo. I feromoni vengono distinti generalmente in quattro classi a seconda dell’effetto provocato: • feromoni traccianti (trace) che rilasciati da un individuo vengono seguiti da appartenenti alla stessa specie come una traccia; • feromoni di allarme (alarm) che vengono emessi in situazioni di pericolo, inducendo un maggiore stato di vigilanza in quanti li captano; 20
1. Gli oli essenziali e le piante
• feromoni innescanti o scatenanti (primer) che inducono nel ricevente modificazioni comportamentali e/o fisiologiche a lungo termine; • feromoni liberatori o di segnalazione (releaser) che scatenano comportamenti di aggressione o di accoppiamento nell’animale che li capta. Le funzioni svolte dei feromoni sono molteplici, ad esempio i feromoni dell’ape regina inibiscono lo sviluppo degli organi riproduttori delle operaie. In alcuni casi i feromoni agiscono su individui appartenenti a specie diverse, attirandoli per scopi utilitaristici. L’olio essenziale di nepeta cataria contiene nepetalattone, un composto che agisce da richiamo per i gatti maschi. Si tratta dello stesso composto secreto dalle gatte in calore. Le piante producono numerose sostanze che rappresentano veri e propri messaggi chimici che funzionano in maniera intraspecifica (feromoni), interspecifica (sinomoni o cairomoni) o polivalente tra gli organismi delle catene trofiche e hanno un ruolo determinante nella vita degli insetti. La regolazione con i semiochimici di un sistema tritrofico costituito da piante coltivate, insetti erbivori dannosi (fitofagi) e i loro nemici naturali carnivori (entomofagi) costituisce un mezzo alternativo per proteggere le colture. Già da tempo numerosi feromoni trovano regolare impiego nella pratica fitoiatrica per monitorare, disorientare e catturare fitofagi in ecosistemi agrari e forestali. L’intercettazione di questi messaggi da parte degli entomofagi, che così localizzano più facilmente il fitofago, è un insospettato ruolo interspecifico che aggiunge una nuova possibilità all’uso dei feromoni. Altri composti chimici, utilizzati dagli entomofagi sono i sinomoni per orientarsi verso la pianta coltivata, e i cairomoni per localizzare e riconoscere il fitofago. Il fatto nuovo è dunque che le piante attirano anche gli insetti carnivori e non solo i dannosi erbivori e gli utili impollinatori. Questa “difesa indiretta” basata sugli entomofagi va ad aggiungersi a quella più nota “difesa diretta” attuata contro i fitofagi con prodotti di vario tipo, repellenti, inibitori o tossici. Da qui la necessità di considerare le interazioni piante-insetti e non solo quelle semiochimiche. Un altro fattore importante per l’efficacia degli entomofagi dipende dal rapporto percettibilità-affidabilità dei semiochimici, poiché in generale un composto facilmente percettibile non è affidabile e viceversa. Il primo caso è quello dei sinomoni, appariscenti per la notevole biomassa dalle piante, ma non necessariamente legati alla presenza del fitofago. Nel secondo caso, i cairomoni forniscono un’informazione precisa circa l’identità e la presenza del fitofago, ma quantitativamente limitata per le modeste dimensioni del medesimo. Il problema è stato tuttavia risolto da molti entomofagi utilizzando i sinomoni indotti dal fitofago e i feromoni sessuali o d’aggregazione che sono, ad un tempo, abbondanti e precisi. Profumi ed emozioni L’uomo ha sempre subito il fascino del profumo, fin dai tempi più remoti, uomini e donne hanno utilizzato unguenti, balsami, oli aromatici per il piacere di indossare una fragranza. Anche l’ambiente è stato profumato con incensi, fumigazioni, resine ed erbe aromatiche. Utilizzato per motivi magici, religiosi, medici, estetici o di puro piacere il profumo ha accompagnato l’uomo nel corso dei secoli, raccontando e testimoniando molte cose sulle epoche e sulle genti. La storia dell’umanità è intrecciata indissolubilmente con la storia del profumo. Nulla è cambiato anche oggi, nell’era delle biotecnologie, dell’informatica, delle telecomunicazioni e dei viaggi nello spazio. Una goccia di profumo trasporta in un mondo di sensazioni, stati d’animo, passioni e momenti di benessere. Impossibile elencare tutti i 21
Chimica, biochimica e metachimica degli oli essenziali
prodotti che contengono fragranze, le infinite creazioni, i molteplici usi. È pero facile riconoscere un profumo di classe, a base di oli essenziali preziosi, da un profumo dozzinale e banale, basato su poche molecole di sintesi a basso prezzo. Studiando la psicologia e la sociologia delle fragranze appare evidente come alcune persone scelgano la fragranza in base all’occupazione, all’occasione, al momento della giornata. Altre invece adottano una sola fragranza, che li accompagna sempre. In entrambi i casi, la fragranza che entra a contatto con la pelle subisce delle modificazioni che la rendono unica e personale. I fiori agiscono allo stesso modo, anche se condividono alcune caratteristiche di base, esprimono un’unica individualità. Se si annusano i fiori di un cespuglio di rose, con un naso ben allenato, sarà possibile cogliere una differenza tra i vari fiori. La fragranza cambia anche in relazione al periodo della giornata, alcuni fiori profumano solo di giorno, o solo di notte. Alcuni variano l’intensità. Con il passare del tempo, la stessa pianta modifica il suo profumo, a volte si tratta di ore, o giorni, a volte di anni o secoli. In questo modo le piante riescono ad interagire con insetti, uccelli, rettili, pesci e mammiferi. Oli essenziali e funzione nutritiva L’olio essenziale ha anche una funzione nutritiva. Se si lascia una pianta aromatica al buio per diversi giorni perderà completamente il suo profumo, utilizzato per nutrirsi in mancanza di fotosintesi solare. L’olio essenziale può quindi essere utilizzato come riserva nutrizionale. Altre forme di comunicazione degli oli essenziali Una lunga tradizione di studi dimostra che anche le piante provano emozioni, comunicano attraverso i profumi e i colori, entrano in contatto con l’uomo grazie a una misteriosa percezione extrasensoriale. Si è attribuito al profumo dei fiori anche un ruolo in processi vegetativi: questi composti volatili dispersi nell’ambiente potrebbero non solo respingere gli erbivori, attirare i loro predatori o richiamare gli impollinatori, ma anche funzionare come segnali diretti a piante vicine o a parti sane di una pianta infettata per attivare specifici geni di difesa. I modi in cui le piante si proteggono contro insetti nocivi e patogeni utilizzando composti segnale, è l’ambito di studi del chimico Wilhelm Boland, capo del Dipartimento di Chimica Bio-organica all’Istituto Max Planck di Ecologia chimica di Jena, che ha contribuito largamente alla ricerca in questo campo con il suo studio Sopravvivere con gli odori: le piante contro gli erbivori. Secondo Boland molte piante avvertono il pericolo e reagiscono chiedendo un aiuto e avvisano le piante vicine perché si comportino in modo conforme. Una strana ed efficace strategia di difesa messa in atto dal “fagiolo di Lima”, il phaseolus lunatus. Quando c’è un pericolo, la pianta lo avverte e reagisce, ad esempio quando un bruco si appoggia sulla foglia, appena questa percepisce la saliva dell’invasore, i geni della pianta entrano in azione favorendo la generazione di una sostanza volatile dal profumo simile a quello di lavanda, che viene poi espulsa attraverso gli stomi delle foglie. Le vespe richiamate da questo odore accorrono aggredendo i bruchi, pungendoli e iniettando nel loro corpo delle uova. Ma non è tutto: questo profumo di lavanda che aleggia nell’aria diventa un segnale d’allarme per le altre piante che, attivandosi a loro volta, lanciano lo stesso odore richiamando gli insetti. I ricercatori, estendendo le loro indagini, hanno riscontrato lo stesso comportamento difensivo anche nel mais, nei fagioli borlotti, phaseolus volgaris, e altre specie vegetali. 22
1. Gli oli essenziali e le piante
Questo studio è molto importante, non solo aiuta a comprendere parte di quei meccanismi che hanno consentito l’evoluzione vegetale, ma anche per il valore di queste ricerche legato alle varie applicazioni che ne possono derivare. Le piante producono una gran varietà di sostanze chimiche che si pensa le proteggano dall’attacco di erbivori o patogeni. L’etene (o etilene) è il più semplice degli alcheni, idrocarburi insaturi aventi un doppio legame covalente tra due atomi di carbonio, la sua formula chimica è C2H4, a temperatura e pressione ambiente si presenta come un gas incolore, dal lieve odore dolciastro. L’etene è un fitoormone che viene sintetizzato dalle piante a partire dall’amminoacido metionina, parzialmente stimolate dal fitoormone auxina. Come ormone, influisce sulla germinazione e sull’invecchiamento della pianta. È un gas inodore, innocuo, e insapore. Provoca la maturazione dei frutti, lo sviluppo dei germogli, la caduta delle foglie in autunno e la morte di parti della pianta. Particolarmente ampia è la gamma di risposte modulate dall’etene allo stress dovuto a parassiti o rotture della pianta. In quanto gas, si trova in tutti gli spazi intracellulari. Uno dei più interessanti gruppi di sostanze usate come mezzi di comunicazione è composto dai glucosinolati, una classe di metaboliti solforati. I frutti e le verdure raccolti sono da considerare a tutti gli effetti prodotti ancora vivi, nei quali proseguono i processi biologici. Alcuni frenano la maturazione altri continuano ad evolvere e maturare. Responsabile di questi meccanismi è l’etilene che viene prodotto da moltissimi tipi di frutta e ortaggi in proporzioni variabili. Sono grandi produttori di questo gas le mele, le albicocche, i fichi, i cachi, le banane, i kiwi, i manghi, le pesche, le pere, le prugne, i cocomeri, i meloni e i pomodori. Tutti questi prodotti hanno quindi la capacità di accelerare molto la maturazione e il conseguente rapido deterioramento del resto della frutta. Per questo motivo dovrebbero essere tenuti a debita distanza dagli altri. Questa caratteristica dell’etilene viene anche sfruttata dagli agricoltori che spesso raccolgono i loro prodotti ancora acerbi per poi, una volta a destinazione, riattivarne la maturazione. Il furto dell’anima olfattiva della natura Purtroppo questo processo è oggi in pericolo, come è documentato in una ricerca condotta dall’Università della Virginia e pubblicata da Atmospheric Environment. Lo studio, utilizzando un modello matematico, analizza le interferenze prodotte dall’aggressione chimica delle auto e delle ciminiere arrivando a concludere che, nei luoghi più contaminati, viene distrutto fino al 90% dell’aroma dei fiori. Un danno evidente, con effetti potenzialmente devastanti, riguarda gli insetti, in particolare gli impollinatori che non riescono più a fare il lavoro di sempre. Rispetto alla fine dell’Ottocento, la scia emanata dalle rose, dal glicine, dal biancospino, dalla lavanda si è drammaticamente accorciata. Cento anni fa gli insetti la catturavano a chilometri di distanza, oggi il raggio d’azione dell’olfatto si è ridotto a 200-300 metri. In questo modo per api, farfalle e altri insetti la vita diventa sempre più dura, e le probabilità di mancare l’obiettivo mettendo in crisi il ciclo dell’impollinazione si moltiplicano. Tutto ciò ha un effetto diretto sul comportamento degli insetti. Lo studio ha accertato che negli Stati Uniti almeno due milioni e mezzo di api da miele sono misteriosamente scomparse, nell’ambito di quello che è stato chiamato Colony Collapse Disorder con migliaia e migliaia di alveari trovati improvvisamente vuoti. Gli scienziati non sono ancora riusciti a capire quale sia esattamente la causa, ma sono certi che gli effetti dell’inquinamento abbiano una correlazione diretta con questo comportamento anomalo delle api che ha portato come prima conseguenza ad un crollo nella produzione del miele. 23
Chimica, biochimica e metachimica degli oli essenziali
Nelle grandi metropoli l’effetto della radiazione solare sugli idrocarburi e sugli ossidi di azoto produce il cosiddetto ozono cattivo. L’ozono, assieme agli altri inquinanti, entra in relazione con le molecole degli odori floreali intercettandole e modificandole, cioè rendendole irriconoscibili. Una nuova forma di inquinamento che è in relazione con la moltiplicazione dei problemi che affliggono le campagne, dalla moria delle api all’estinzione di alcuni alberi in certe zone. Sostanze come gli ftalati, i muschi sintetici, i ritardanti di fiamma ed altre hanno effetti preoccupanti sui sistemi ormonali degli animali e degli esseri umani.
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2 La biogenesi degli oli essenziali
Il modo in cui le piante producono gli oli essenziali è estremamente affascinante e rimane, almeno in gran parte, un mistero. L’anatomia delle piante è lo studio dei caratteri fisici, come le foglie, i fiori, i frutti, le radici, la forma e le dimensioni della pianta. Le differenze strutturali nell’anatomia delle piante formano la base della classificazione. Per determinare a quale famiglia appartiene una pianta è necessario esaminare forma, dimensione, orientamento e numero di strutture anatomiche. Variazioni nella struttura delle foglie, presenza o assenza di peli, differenti forme e colori dei fiori e così via segnano il genere della pianta. Questi dati si riflettono sulla biogenesi degli oli essenziali. Strutture di stoccaggio degli oli essenziali Gli oli essenziali vengono prodotti da cellule altamente specializzate, che prendono il nome di cellule secretorie. Queste cellule possono trovarsi in diverse porzioni della pianta e possono produrre oli essenziali diversi a seconda di dove sono localizzate. La cannella è un perfetto esempio, si conoscono almeno tre oli diversi: quello estratto dalle radici, quello estratto dalle foglie e quello dalla corteccia. Normalmente le piante immagazzinano gli oli essenziali che producono in speciali strutture. Alcuni esempi sono: peli secretori, cellule secretorie all’interno dell’epidermide, speciali sacche costituite da diverse cellule secretorie che circondano uno spazio riempito di olio da cui partono diversi dotti. I peli secretori sono rivolti verso l’esterno delle foglie e dei fiori e rilasciano facilmente l’olio essenziale. Hanno generalmente la funzione di attirare insetti e animali utili e di respingere predatori e insetti infestanti. Sacche e dotti secretori sono generalmente all’interno delle strutture della pianta e hanno la funzione di proteggere da batteri, funghi ed erbivori. Le cellule secretorie producono oli essenziali secondo i bisogni della pianta. L’autoproduzione I tessuti delle piante sono costituiti da cellule, costituite da migliaia di differenti molecole ognuna delle quali svolge una o più funzioni caratteristiche. Nelle cellule e tra le cellule avvengono milioni di reazioni ogni minuto e moltissime molecole esistono solo per un breve periodo, poi vengono cambiate o riarrangiate attraverso una serie di trasformazioni. La vita può essere descritta come la risultanza di queste reazioni costanti, un processo di trasformazione e cambiamento continuo. Le cellule delle piante sono costituite da molte strutture o organelli ognuno dei quali svolge specifiche funzioni. Attraverso la fotosintesi si ottengono gli atomi di carbonio di cui hanno bisogno per realizzare le molecole orga25
Chimica, biochimica e metachimica degli oli essenziali
niche. L’acqua fornisce gli atomi di idrogeno e ossigeno. Dal terreno vengono prelevati minerali. I raggi solari forniscono l’energia necessaria per molte trasformazioni. Gli oli essenziali formano parte delle risorse di una pianta, secondo alcuni studiosi rappresentano la più formidabile arma dell’arsenale a loro disposizione. Oltre alle strutture fisiche, come spine, cortecce, scorze ecc., le piante ricorrono a una serie di armi chimiche di notevole efficacia. Tra questi composti si annoverano: • molecole terpeniche: la maggioranza delle molecole presenti negli oli essenziali sono terpenoidi, utilizzati per respingere i predatori, attirare organismi amici, prevenire infezioni micotiche ed altro ancora. I terpenoidi presenti nei fiori svolgono molto efficacemente la funzione di richiamo degli impollinatori; • molecole fenoliche: questo gruppo di molecole svolge essenzialmente una funzione protettiva e difensiva; • molecole alifatiche non terpeniche: anche questo gruppo di molecole svolge principalmente una funzione protettiva e difensiva; • molecole eterocicliche: queste molecole contengono anche altri atomi oltre al carbonio in anello chiuso. Sono presenti solo in pochi oli essenziali e includono molecole azotate come l’indolo e il methyl-antranilato, e le molecole ossigenate come lattoni, cumarine e furanoidi. Biosintesi delle molecole terpeniche La via metabolica (spesso chiamata pathway metabolico o più semplicemente pathway) è l’insieme delle reazioni chimiche coinvolte in uno o più processi di anabolismo o catabolismo all’interno di una cellula. I singoli passi della via metabolica sono reazioni catalizzate nella maggior parte dei casi da enzimi specifici che trasformano il substrato su cui agiscono, in un prodotto, utilizzato a sua volta come substrato dall’enzima del passo successivo. La biosintesi delle molecole terpeniche avviene a partire dalla pathway biosintetica dell’acido mevalonico. Si tratta della stessa pathway per la formazione dei carotenoidi e degli steroli (30 o più atomi di carbonio), che è la stessa usata dall’uomo per la formazione degli ormoni steroidei e del colesterolo. Il primo step consiste nella produzione dell’acido mevalonico, che viene poi riarrangiato attraverso una serie di reazioni enzimatiche per formare molecole di isopentenil-pirofosfato. Questa molecola consiste in un’unità isoprenica unita a due gruppi fosfati. L’unità isoprenica è il punto di partenza per la costruzione dei composti terpenici. Le unità isopreniche si collegano facilmente per formare lunghe catene di atomi di carbonio. I monoterpeni contengono due unità isopreniche e seguono generalmente la regola isoprenica dell’unione “testa-coda” per formare lo scheletro carbonico della molecola. Il numero di doppi legami C=C varia dal numero esatto derivante dalla somma degli isopremi, come riarrangiamento durante la formazione dei legami tra le due unità. I sesquiterpeni contengono tre unità isopreniche. Una delle loro caratteristiche è data dalla presenza sia di catene aperte, sia di strutture con anelli chiusi. Le forme molecolari con anelli chiusi costituiscono un sottogruppo di sesquiterpeni, ad esempio l’eudesmadiene e l’azulene. Monoterpeni e sesquiterpeni possono essere modificati grazie all’aggiunta di un gruppo funzionale. Quando un terpene ha un gruppo funzionale, viene definito terpenoide (monoterpenoide o sesquiterpenoide). Il suffisso -oide, descrive l’origine terpenica della struttura.
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2. La biogenesi degli oli essenziali
Biosintesi di fenoli ed eteri fenolici I fenoli e gli eteri fenolici derivano dall’acido shikimico, dal quale derivano anche i tannini. La caratteristica di queste molecole è la presenza di un anello aromatico. I fenoli hanno un gruppo idrossile –OH attaccato all’anello. Gli eteri fenolici hanno generalmente un gruppo funzionale methyl-etere attaccato all’anello. L’acido shikimico è un importante intermedio biochimico in piante e microrganismi. Il suo nome deriva dal fiore giapponese shikimi (Illicium anisatum), fonte naturale da cui viene estratto. L’acido shikimico è un precursore biosintetico delle seguenti classi di composti: • gli amminoacidi aromatici fenilalanina e tirosina; • l’indolo, derivati indolici e l’amminoacido aromatico triptofano; • numerosi alcaloidi; • metaboliti aromatici; • tannini, flavonoidi e lignina. Nell’industria farmaceutica, l’acido shikimico ottenuto dall’anice stellato cinese viene utilizzato per la produzione dell’antivirale Tamiflu® (oseltamivir). Sebbene l’acido shikimico sia presente in molti organismi autotrofi, rappresenta pur sempre un intermedio biosintetico e generalmente viene riscontrato in concentrazioni molto basse. Molecole alifatiche non terpeniche La parola “alifatico” descrive una catena di carbonio che non presenta anelli. Possono avere dei gruppi funzionali attaccati alla coda della catena, come l’aldeide octanale (C8H16O) presente nell’essenza di arancio dolce. Di solito le molecole alifatiche sono presenti in piccole quantità, ma la loro fragranza è spesso predominante. I composti organici contengono nella molecola una catena aperta di atomi di carbonio: questa loro caratteristica li distingue dai composti aromatici, l’altro grande gruppo in cui vengono suddivise le sostanze organiche, caratterizzati invece dal fatto di essere costituiti da anelli di carbonio formati da numero ben preciso (4n + 2) di atomi. I milioni di composti organici esistenti in natura vengono convenientemente classificati in base al gruppo funzionale che contengono, il quale ne determina proprietà chimiche, fisiche e biologiche. Composti eterociclici I composti eterociclici sono formati da atomi di carbonio arrangiati in anelli, con un atomo di azoto o ossigeno incluso nell’anello. Sono molecole rare, presenti principalmente negli oli essenziali estratti dai fiori, come il gelsomino, il neroli e il narciso. Gli alcaloidi sono composti eterociclici con un atomo di azoto che è parte dell’anello chiuso e sono molto rari negli oli essenziali. Un esempio è dato dall’indolo, presente nell’olio di gelsomino.
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20 Gli acidi
Gli acidi carbossilici sono composti organici caratterizzati dalla presenza di un gruppo carbossilico (C=O) legato a un gruppo funzionale idrocarburico da un lato (R) e da un radicale idrossido (–OH) dall’altro lato. Sono composti che contengono il gruppo carbossilico o carbossile (–COOH), ovvero un gruppo idrossile (–OH) legato a un gruppo carbonile (C=O).
O C H OH Sono composti che manifestano un comportamento acido debole, per via della stabilizzazione per risonanza dell’anione che viene a formarsi (uno ione carbossilato) per dissociazione dello ione H+ del gruppo idrossile. Sono generalmente più acidi dei fenoli. La presenza nella molecola di gruppi capaci di stabilizzare l’anione disperdendone o attenuandone la carica negativa tende ad aumentare la forza dell’acido; gruppi che invece destabilizzano l’anione intensificandone la carica negativa hanno l’effetto opposto di diminuire l’acidità della molecola. I più leggeri tra gli acidi carbossilici, fino a 3 atomi di carbonio, sono composti solubili in acqua; i successivi sono liquidi oleosi con un alto punto di ebollizione, derivante dai legami idrogeno che i gruppi –COOH di molecole diverse si scambiano vicendevolmente. Al crescere del peso molecolare, gli acidi carbossilici diventano solidi cerosi bassofondenti. Gli acidi carbossilici sono molecole polari e presentano una solubilità simile (o superiore) a quella dei relativi alcoli: i primi termini della serie sono solubili in acqua; sono abbastanza solubili anche in alcoli, eteri e benzene. Sono molecole caratterizzate dalla formazione di legami a idrogeno, e per questo motivo presentano punti di ebollizione elevati (ad esempio l’acido acetico e l’alcol propilico hanno lo stesso peso molecolare ma bollono rispettivamente a 118°C e 97°C). I primi della serie sono liquidi incolori con odori pungenti o sgradevoli. Gli acidi carbossilici subiscono principalmente reazioni di sostituzione del gruppo idrossile con altri gruppi, formando esteri, ammidi. Alcuni loro sali possono essere decarbossilati per riscaldamento, con conseguente perdita di biossido di carbonio. Gli acidi richiedono due atomi di ossigeno a differenza di alcoli, aldeidi, chetoni ed
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Chimica, biochimica e metachimica degli oli essenziali
eteri, che richiedono solo 1 atomo di ossigeno. Gli acidi carbossilici formano dimeri nei quali le due unità sono tenute saldamente insieme da due legami idrogeno. La nomenclatura IUPAC si basa sul conteggio degli atomi di carbonio della catena principale e assegna al composto il nome di acido -oico. Secondo la IUPAC l’acido acetico, con due atomi di carbonio, si chiama acido etanoico. Oltre alla nomenclatura IUPAC molti acidi carbossilici possiedono anche un nome tradizionale, spesso legato alla fonte biologica o naturale da cui sono stati isolati le prime volte. I principali acidi carbossilici alifatici dei quali potrebbe servire conoscere il nome comune sono: • HCOOH acido formico (comune) acido metanoico (IUPAC); • CH3COOH acido acetico (comune) acido etanoico (IUPAC); • CH3CH2COOH acido propionico (comune) acido propanoico (IUPAC); • CH3(CH2)2COOH acido butirrico (comune) acido butanoico; • CH3(CH2)3COOH acido valerianico (comune) acido pentanoico. Acidi organici ed acidi inorganici Gli acidi carbossilici vengono chiamati anche acidi organici, sono caratterizzati dalla presenza del carbonio nella loro struttura molecolare. Gli acidi inorganici invece non hanno carbonio all’interno della loro struttura molecolare. Gli acidi inorganici o acidi minerali sono generalmente più forti rispetto agli acidi organici. Esempi di acidi minerali sono l’acido solforico (H2SO4) e l’acido cloridrico (HCl). Acidi e oli essenziali Gli acidi generalmente non costituiscono la maggioranza di un olio essenziale, di solito sono compresi in percentuali dell’1-2%. Gli acidi sono composti aggressivi che tendono a reagire con altri composti. Poiché gli oli essenziali sono formati da moltissimi composti, di norma gli acidi reagiranno per formare altri composti ancora. La reazione più comune di un acido è quella di reagire con un alcol per formare un estere. Di solito quindi negli oli essenziali si trovano in forma libera acidi deboli e in piccole concentrazioni. Tra gli oli essenziali caratterizzati dalla presenza di acidi c’è quello di benzoino (styrax benzoe) che ne contiene fino al 35%. Gli acidi presenti negli oli essenziali sono molecole piccole, con un amu di 100/148, sono quindi fortemente aromatici e volatili. Gli acidi che contengono un anello del benzene (acidi fenolici o ciclici) sono quelli con la più alta energia di risonanza. Gli acidi aciclici e non fenolici sono a più bassa energia di risonanza. Alcuni acidi sono presenti, virtualmente, solo in una specie e vengono così caratterizzati, come l’acido anisiaco (solo nell’anice), l’acido citronellico (solo nella citronella) e l’acido vetiverico (solo nel vetiver). Gli acidi più diffusi sono l’acido benzoico e l’acido cinnamico. L’acido benzoico, un acido fenolico, è un potente agente antimicrobico, presente in quantità, anche superiori al 30%, nell’olio essenziale di benzoino. L’acido cinnamico è rintracciabile negli oli estratti dalle piante del genere cinnamomum. L’acido aminobenzoico è caratterizzato dalla presenza di un gruppo amminico (NH2) ed è un prodotto del metabolismo del triptofano. Acidi Gli acidi mostrano una limitata diffusione negli oli essenziali e sono responsabili di numerose azioni terapeutiche. 226
20. Gli acidi
Acidi
Formula
Acido aminobenzoico
C7H7O2N
Esempio di oli essenziali in cui è contenuto Mandarino (citrus reticolata)
Acido angelico
C5H8O2
Angelica (angelica archangelica)
Acido anisiaco
C8H8O3
Anice (pimpinella anisum)
Acido benzoico
C7H7O2
Benzoino (styrax benzoin)
Acido cinnamico
C9H8O2
Cannella (cinnamomum verum)
Acido citronellico
C10H18O2
Citronella (cymbopogon nardus)
Acido fenilacetico
C8H8O2
Neroli (citrus aurantium)
Acido geranico
C10H16O2
Geranio (pelargonium graveolens)
Acido sedanolico
C12H18O2
Sedano (apium graveolens)
Acido valerinico
C5H10O2
Valeriana (valeriana officinalis)
Acido vetiverico
C5H10O2
Vetiver (vetiveria zizanoides)
Acido aminobenzoico Uno dei tre isomeri degli acidi aminobenzoici. A questo composto ci si riferisce anche con PABA e Acido Paramminobenzoico. L’acido aminobenzoico a temperatura ambiente è un solido cristallino facilmente solubile in alcol e abbastanza solubile in acqua. Nome IUPAC: 2-aminobenzoic acid AMU: 137,14 Formula: C7H7O2N Densità: 1,38 Flash point: 142,4°C È presente negli oli essenziali di arancio, mandarino, neroli, limone e bergamotto. Ha attività antiossidante e protettiva verso gli ultravioletti. Acido angelico Acido organico aciclico monocarbossilico. È un composto volatile dall’aroma forte e pungente. Nome IUPAC: (Z)-2-methylbut-2-enoic acid AMU: 1001,12 Formula: C5H8O2 Densità: 0,963 Flash point: 95,9°C È presente negli oli essenziali di angelica radici e in tracce in diverse essenze delle umbelliferae. Svolge un’azione sedativa nei confronti del sistema nervoso centrale. Antimicrobico e antimicotico. Repellente per insetti.
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Chimica, biochimica e metachimica degli oli essenziali
Acido benzoico L’acido benzoico è un acido carbossilico aromatico, leggermente solubile in acqua, solubile in etanolo, molto solubile in benzene ed acetone. La sua soluzione acquosa è debolmente acida. Si può trovare naturalmente in alcune piante o resine e anche in alcuni animali. A temperatura ambiente è un solido bianco in forma pulverulenta o granulare. È il più semplice degli acidi carbossilici aromatici. Nome IUPAC: benzoic acid AMU: 122,01 Formula: C7H6O2 Densità: 1,3 Flash point: 121°C L’acido benzoico (siglato come E 210) e i suoi sali o esteri (siglati come E 211, E 212, E 213) sono usati come additivi alimentari, ad esempio il benzoato di sodio, il sale sodico dell’acido benzoico, è uno dei principali agenti antimicrobiotici usato nei cibi e nelle bevande poiché è 200 volte più solubile dell’acido benzoico; è tuttavia velenoso e quindi la sua concentrazione è limitata al massimo allo 0,1%. È contenuto negli oli essenziali di benzoino e balsamo del tolù. L’accumulo di acido benzoico è quasi nullo nel corpo umano in quanto viene eliminato nelle urine sotto forma di acido ippurico. La sua attività antimicrobica è volta soprattutto alla parte cellulare, all’inibizione degli enzimi ossoglutarato deidrogenasi e succinato deidrogenasi del ciclo di Krebs e di alcuni enzimi coinvolti nella fosforilazione ossidativa. Colpisce principalmente lieviti e muffe e, solo in maniera secondaria, batteri. Acido cinnamico L’acido cinnamico è un acido carbossilico aromatico, leggermente solubile in acqua, solubile in etanolo, molto solubile in benzene ed acetone. Ha un aroma di miele con accenti floreali. Nome IUPAC: (E)-3-phenylprop-2-enoic acid AMU: 148,17 Formula: C9H8O2 Densità: 1.2475 Flashpoint: 166°C È contenuto negli oli essenziali di cassia, cannella, ravintsara e saro. Antibatterico, antivirale e antimicotico. Ha attività antiossidante. Inibisce lo sviluppo di cellule tumorali nel colon. Acido fenilacetico L’acido fenilacetico è un acido carbossilico aromatico, con un gruppo fenolico e un gruppo acetico. Leggermente solubile in acqua, solubile in etanolo, molto solubile in benzene ed acetone. Ha un aroma di miele. Agisce come un’auxina (ormone delle piante) ed è presente nei fiori e nei frutti.
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20. Gli acidi
Nome IUPAC: Phenylacetic acid AMU: 136,15 Formula: C8H8O2 Densità: 1.08 Flashpoint: 132°C È contenuto negli oli essenziali di neroli ed elicriso. Antinfiammatorio e antibiotico potente.
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Un viaggio nella conoscenza e nella comprensione della chimica degli
Luca Fortuna, dopo aver conseguito il
oli essenziali. Passo dopo passo, attraverso costituenti, gruppi funzio-
diploma di naturopata presso la scuola
nali e azioni farmacologiche, viene illustrato il potere immenso rac-
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chiuso negli oli essenziali. Questo libro è il prodotto di molti anni di ricerche e di studi approfonditi sull’azione a livello molecolare dei profumi della natura. Un’opera scientificamente accurata, spiegata con semplicità e chiarezza che partendo dalla chimica, attraversando biochimica e farmacologia, si
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