Fondamenti di spagyria Come in cielo cosĂŹ in terra
FARE NATUROPATIA
Carlo Conti
Fare Naturopatia
FONDAMENTI DI SPAGYRIA
Carlo Conti
EDIZIONI
Sito internet dell’autore www.spagyria.info
© Copyright 2015 Edizioni Enea - SI.RI.E. srl I edizione giugno 2015 ISBN 978-88-6773-035-3 Edizioni Enea Ripa di Porta Ticinese 79, 20143 Milano www.edizionienea.it info@edizionienea.it Progetto grafico Lorenzo Locatelli Disegno in copertina Caterina Ricca Stampato e rilegato da Graphicolor, Città di Castello I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, informatica, multimediale, riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo, compresi microfilm e copie fotostatiche, sono riservati per tutti i Paesi. I benefici derivanti dall’applicazione dei metodi descritti dipendono dalla dedizione e dalle capacità di chi opera in piena responsabilità. L’Autore e l’Editore non hanno responsabilità per l’utilizzo delle tecniche terapeutiche citate nel testo.
“Mah…!”, disse Giove, “incolperà l’uom dunque sempre gli dei? Quando a se stesso i mali fabbrica, de’ suoi mali a noi da carco, e la stoltezza sua chiama destino”. Omero Odissea (Canto I, 47-50)
Indice
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Ringraziamenti
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1. ARCHETIPI, DEI E FUNZIONI
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2. DEL DUALISMO E DELL’IDENTITÀ: SOLE FILOSOFICO E LUNA FILOSOFICA
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Luna filosofica Sole filosofico Del dualismo e dell’identità
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3. DEI TRE PRINCIPI FILOSOFICI: SALE, SOLFO, MERCURIO
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Sale filosofico Solfo filosofico Mercurio filosofico
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4. I QUATTRO ELEMENTI
56 59 62 66
Terra Acqua Aria Fuoco
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5. I GENI PLANETARI
72 81 88 96
Saturno Giove Marte Sole
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Fondamenti di spagyria
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104 111 121
Venere Mercurio Luna
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6. LO ZODIACO E I SEGNI ZODIACALI
134 137 140 142 146 149 153 156 159 162 166 169
Ariete Toro Gemelli Cancro Leone Vergine Bilancia Scorpione Saggittario Capricorno Acquario Pesci
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7. LA CIRCOLAZIONE ENERGETICA
173 175 176 178
Energia sa Energia nw Energia acht Relazioni soli-lunari
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8. FITOTERAPIA SPAGYRICA
181 184
Il rimedio spagyrico La segnatura
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9. LE PIANTE
190 192 194 196 198 200 202 204
Acacia Achillea Aglio Angelica Assenzio Bardana Betulla Biancospino
206 208 210 212 214 216 218 220 222 224 226 228 230 232 234 236 238 240 242 244 246 248 250 252 254
Calluna Camomilla Cardo mariano Edera Equiseto Erba medica Imperatoria Lavanda Malva Melissa Menta Nocciolo Olivo Ortica Pino silvestre Pungitopo Ribes nigrum Rosa canina Rosmarino Salvia Sambuco Santoreggia Spaccapietra Timo Verga aurea
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Segnature planetarie dei rimedi
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10. TAVOLE RIASSUNTIVE
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Riferimenti bibliografici
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Ringraziamenti
Essendo dedito ormai da molti anni allo studio e all’insegnamento di questa antica disciplina, la stesura di questo libro ha rappresentato per me anche l’occasione di ripercorrere a ritroso i momenti più importanti della formazione filosofica e professionale grazie alla quale, oggi, è stato possibile realizzare questo lavoro. Intendo ricordare e ringraziare Solanimus, che ha guidato i miei primi passi nel mondo delle preparazioni laboratoriali, e Luigi Vernacchia con cui ho approfondito la conoscenza della materia e che ancora oggi mi onora della sua pazienza e della sua disponibilità. L’incontro con Stefano Stefani e la collaborazione che ne seguì dettero inizio al cammino che ancora oggi percorro, e tanto la sua amicizia quanto la sua competenza mi sono state di grande sostegno nello studio e nella perseverante ricerca degli insegnamenti e delle operatività nascoste nei testi antichi. Il compianto dottor Angelini, che non ho avuto occasione di conoscere in vita, fu uno dei suoi maestri e, una volta considerata personalmente la vastità della sua visione, divenne per me un riferimento costante: la lettura dei suoi scritti è infatti fonte costante di comprensione e di ispirazione per nuove ricerche e per la quotidiana pratica terapeutica. Desidero dunque ringraziarli tutti per quanto hanno saputo darmi e, confidando nella loro benevolenza, sperare che apprezzino questo modesto frutto dei loro insegnamenti. Intendo inoltre rinnovare la mia personale stima alle tante persone che, a diverso titolo, si sono generosamente impegnate in collaborazioni inerenti alla divulgazione e alla realizzazione di progetti formativi per la conoscenza della disciplina. Da ultimo, ma non per importanza, voglio rivolgere il più sentito apprezzamento a tutti gli allievi incontrati durante le mie lezioni, senza l’incoraggiamento e la richiesta dei quali non mi sarei esposto a un’impresa così impegnativa. A loro, quindi, è giusto dedicare quest’opera.
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1 Archetipi, dei e funzioni
Tratto comune e distintivo di tutte le civiltà antiche è la visione dell’intero creato come di un’unità costellata da forze operanti, di natura non materiale, che proprio grazie alla loro attività e in ragione delle loro qualità, rendono possibile l’esistenza concreta e la permanenza in vita di ogni individualità. Non è certo questo il luogo in cui approfondire una tematica così complessa dal punto di vista teologico, né tantomeno evidenziare i parallelismi esistenti tra questo assunto e le scoperte scientifiche più recenti; cercheremo piuttosto di considerarne gli ambiti più pertinenti alla nostra trattazione, cioè quelli relativi allo studio e alla ricerca delle modalità con cui i nostri antichi antenati compresero se stessi e il contesto in cui erano inseriti e, conseguentemente, cercheremo di apprendere il senso della loro memoria e il loro insegnamento. Da qualche secolo l’ambito della logica scientifica si è imposto quale esclusivo strumento per giungere a una corretta indagine della realtà, stabilendo nella separazione tra osservatore e cosa osservata, tra soggetto e oggetto del processo conoscitivo la distanza necessaria a rendere oggettiva, quindi non contestabile, ogni successiva e conseguente valutazione; ancor più, la si considera quale unica modalità attraverso cui le capacità della nostra mente possono adeguatamente esprimersi. Certo questo approccio non era affatto sconosciuto a chi è stato in grado di lasciarci, decine di secoli fa, testimonianze tali da dimostrare la piena e raffinata padronanza degli strumenti necessari alla realizzazione di opere che, ancora al giorno d’oggi, metterebbero a dura prova la nostre avanzate tecnologie e gli scienziati più esperti. Innumerevoli documenti testimoniano, infatti, l’importanza attribuita allo studio della matematica, dell’ingegneria, dell’astronomia, della medicina ecc. che, sia per la rigorosità con cui venivano trattate allora tutte le discipline che attualmente definiamo scientifiche, sia per la capacità di perseguire concretamente le finalità desiderate, dimostrano come nulla avevano e ancora hanno da invidiare alle attuali modalità di ricerca e alle conseguenti applicazioni tecniche: semplicemente si nutriva una diversa considerazione di ciò che ha senso perseguire, in ragione di un diverso intendimento di quel che la realtà rappresenta e, soprattutto, di cosa qualifica la natura e il senso dell’esistenza di ogni essere umano.
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Fondamenti di spagyria
Se allo studio di tutto ciò che era considerato inerente all’indagine e alla valutazione quantitativa, vale a dire alle sole componenti dimensionali e di carattere materiale che contraddistinguono ogni forma di esistenza, erano ritenuti utili e quindi applicati gli strumenti della logica, non altrettanto valeva per considerare le qualità di ciò che era indagato. Una qualsiasi valutazione qualitativa sfugge, infatti, alla superficialità descrittiva di questo approccio che, nella migliore delle ipotesi, non riesce a definire altro che la corrispondenza o meno tra ciò che è ricercato e ciò che viene individuato, non avendo nessuno strumento per definire che cosa quella qualità rappresenta effettivamente e quindi come è. La logica scientifica è del tutto impotente nell’indagare ogni fenomeno che non sia riducibile a dato numerico, astratto dal suo senso e dalla ragione della sua esistenza; è una metodica che, per sua stessa ammissione, non si interessa e quindi nega qualsiasi ambito che non rispetti le leggi che essa stessa si è data, anteponendo alla considerazione delle cose e ancor più delle persone la propria coerenza di indagine. Per dirla con Pascal, che pure era un insigne scienziato, “il cuore ha ragioni che la mente non sente” e l’animo umano, come tutto ciò che è della stessa natura, sfugge a qualsiasi osservazione che non sia partecipata da chi la compie. Soggetto e oggetto, infatti, vengono intesi come polarità distinte ed estranee anziché componenti di uno stesso fenomeno, come parti integrate di uno stesso processo: questa frattura, postulata dalla logica scientifica, implica la negazione delle nostre più tipiche e fondanti qualità umane e determina quindi un rapporto alterato con la nostra interiorità, e conseguentemente con l’altro e la realtà che ci circonda. Come è ben descritto nel Corpus Ermeticum: Dio dunque distribuì la ragione, o Tat, a tutti gli uomini, ma non l’intelletto. […] Poiché egli volle, o figlio, che questo prendesse dimora nelle anime come premio da conquistare. Quelli, al contrario, che non hanno accolto l’annuncio sono i “logici”, dotati di sola ragione: non hanno ricevuto in più l’intelletto e non sanno per cosa sono nati e da chi”. “Le sensazioni di questi uomini sono simili a quelle degli animali senza ragione e, poiché hanno il temperamento soggetto alla passione e alla collera, non ammirano le cose degne di meraviglia, essi si dedicano ai piaceri del corpo e credono che per queste cose l’uomo sia nato. (Discorso di Ermes a Tat)
Per avere una diversa visione delle cose occorre quindi non solo ampliare l’orizzonte della conoscenza possibile e ammettere che quella materiale sia solo una delle possibili forme di esistenza, ma anche e soprattutto non limitare le nostre capacità conoscitive all’ambito della logica e quindi riscoprire, ricordare, quali altre qualità ci siano proprie e, specificamente, qual è la nostra propria natura e quale la natura del mondo in cui esistiamo e da cui traiamo sussistenza. La modalità seguita dai nostri antichi antenati mostra una costante tendenza a integrare le diverse forme e varietà attraverso cui si esprime tutto ciò che ci circonda e
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1. Archetipi, dei e funzioni
le diverse componenti di cui noi stessi siamo costituiti, riportando a unità e coerenza ciò che invece appare come individualmente distinto e diversamente caratterizzato. La risposta a questa necessità di comprendere risiede nella possibilità di indagare noi stessi e ciò che ci circonda chiedendoci come “tutto si tenga” piuttosto che perché quel che c’è esiste effettivamente: il termine che più si addice a definire questo strumento conoscitivo è quello di Analogia o Processo Analogico di Conoscenza, che esprime la capacità di porre in relazione fenomeni differenti in ragione della loro apparenza ma che svolgono una stessa funzione e operano secondo una stessa finalità, e che quindi hanno uno stesso senso. Le straordinarie potenzialità di questo modo di considerare il mondo e se stessi sono da porre in relazione innanzitutto con il dinamismo intrinseco a ogni forma di esistenza, che ne impedisce un’indagine statica e frammentata, dato che, più che essere, ogni cosa è in costante mutamento e quindi in costante divenire, pur mantenendo le qualità individuali che la caratterizzano. Negando questa banale realtà si è costretti a indagare il mondo e l’uomo non come frutto di processi dinamici e adattativi ma come oggetti privi di vitalità e di intenzione, quindi ridotti a spoglie inanimate che si prestano all’indagine fredda, distaccata e meccanicistica del tavolo da dissezione. In realtà tutto si tiene e tutto si muove in ragione di forze e quindi di funzioni operanti che, grazie alla loro presenza, consentono e determinano, modellano e qualificano tanto noi uomini quanto l’universo intero. Nei tempi antichi fu percepita l’immanenza di questa realtà e quindi concepita l’esistenza di entità che vennero considerate immateriali ma determinanti ogni materia, senza spazio poiché originarie di ogni spazio, dotate di potere illimitato e quindi determinanti ogni possibile volontà, eterne in quanto esistenti in ogni tempo: per qualificarle le chiamarono divine, vale a dire appartenenti a Dio, l’Uno da cui ebbe origine ogni molteplicità. Non è mai esistita una filosofia o una qualsivoglia forma di religiosità che non abbia ricondotto il fenomeno creativo a un’unitaria origine comune, non fosse altro che per la semplice constatazione che tutto ciò che esiste, esiste sotto forma individuale, e che distruggendo una singola individualità, anziché annientarla, la si moltiplica ineluttabilmente in ulteriori forme di esistenza a loro volta individuali: provenendo tutto da Uno, ogni sua possibile manifestazione ne celebra necessariamente la memoria. Si può facilmente considerare che non si tratta, allora come oggi, di credere o non credere, di avere o non avere fede, ma semplicemente di constatare senza pregiudizio come tutto ciò che è esiste ed è rappresentato. La tendenza a elucubrare e a generare ideologia, tipica dei nostri tempi così pieni di costrutti mentali del tutto avulsi dalla realtà e dall’esperienza vissuta direttamente, ci impedisce troppo spesso di vedere davvero le cose per come esse sono; troppo frequentemente ci perdiamo nel labirinto delle idee e dei pensieri,
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Fondamenti di spagyria
inconsapevoli di sostenere e nutrire punti di vista e certezze che non sono frutto di personali elaborazioni ma sono stati acquisiti acriticamente dall’educazione ricevuta e dalla necessità, così tipicamente infantile, di sentirsi normali e accettati in quanto obbedienti al comune sentire e intendere. La stessa nozione di tempo, senza la quale non è possibile articolare alcun ragionamento circa la realtà sensibile, è stata stravolta e asservita a una mentalità che, anziché orientarsi alla comprensione, ha preteso di stabilire a suo modo regole e criteri attraverso cui costruire un mondo artificiale del tutto estraneo all’evidenza delle cose. Oggi, infatti, si vive nell’illusoria certezza che il tempo abbia una struttura lineare, avendo posto l’anno zero come confine che divide lo scorrere degli anni prima e dopo la nascita di Cristo, e si ritiene, più o meno consapevolmente, che questo garantisca una progressiva e parallela crescita delle nostre potenzialità e del nostro potere su ciò che ci circonda. Ma se consideriamo senza pregiudizio come effettivamente stanno le cose è fuor di dubbio che, come gli antichi sostenevano, il tempo abbia invece una struttura circolare e che ogni anno, compiuto il suo ciclo, succeda agli anni per costituire cicli sempre più ampi, determinando non una progressiva crescita o aumento di alcunché ma, semmai, un ritorno periodico a condizioni certo non identiche ma caratterizzate dalle stesse qualità dominanti. Questa considerazione ci può fare intendere come la facoltà della preveggenza, che un tempo era considerata sinonimo di intelligenza, possa trovare una sua semplice spiegazione, mostrandoci quanto approssimativo e fuorviante sia il nostro attuale modo di pensare e progettare il futuro. Attualmente il concetto di novità equivale a progresso e incremento di possibilità, ma si dovrebbe considerare il senso ciclico e quindi l’inevitabile ritorno su se stessa di ogni azione e ancor più di ogni innovazione, le sue inevitabili conseguenze, proprio in ragione della ciclicità a cui ogni fenomeno è sottoposto. Ma se il tempo è considerato un’entità lineare questa capacità di vedere oltre viene smarrita, ogni cosa prende semplicemente il posto dell’altra, in un gioco di successioni infinite senza che sia possibile coglierne il senso e il portato, tutto viene consumato dal tempo anziché maturato, nulla viene imparato dall’esperienza e gli errori, inevitabilmente, continuano a perpetuarsi. “Oh Solone, voi greci rimarrete sempre bambini, non fate in tempo a mettere una pietra sull’altra che subito vi industriate a distruggere ciò che avete appena edificato”; così Platone, nel Timeo, testimonia il parere dei sacerdoti egizi sulle ragioni della scarsa memoria storica di quella che, a giusta ragione, consideriamo essere la civiltà che ci ha più direttamente influenzato in senso filosofico e culturale, evidenziando l’insorgere di quella dimenticanza che ha trovato poi massima espressione nella mentalità moderna. Se quindi il senso del movimento va intenso come costante ritorno su se stesso si
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1. Archetipi, dei e funzioni
può immaginare come un’ipotetica iniziale qualità totalizzante conteneva indistintamente in sé ogni possibilità e irraggiava in modo caotico e indiscriminato la sua potenzialità, si sia successivamente potuta manifestare, mantenendo integra la propria natura, sotto forma di individualità esistenti nel tempo ancora prima che nello spazio. In questa modificata prospettiva il moto lineare e omnidirezionale si trasforma in movimento circolare e distinto, ogni raggio si incurva e torna al suo punto di origine, l’Uno si riflette nel molteplice in cui e di cui ogni singola presenza rappresenta una particolare frazione della sua interezza. Da qui l’immaterialità delle diverse funzioni divine, delle divinità descritte come componenti parziali e differenziate necessarie alla declinazione del tempo e dello spazio, della materia, dell’esistenza di noi stessi e di tutto ciò che ci circonda. Il termine “archetipo” racchiude, nella sua sintetica espressione, la profondità di questi concetti, significando infatti “ciò che da sempre definisce ogni forma”, rappresentando quindi la modalità-matrice originaria di ogni esistenza. Lo studio e l’indagine partecipata di questi ambiti costituisce la finalità e l’oggetto di ogni filosofia antica, e indica ancora oggi la via da seguire per comprendere e accogliere nella loro complessità tanto i significati dei fenomeni e dei processi che ci caratterizzano, quanto le ragioni profonde e le necessarie modalità attraverso cui ciò che ci circonda ha trovato una definizione. Se quindi è grazie all’articolazione di queste forze-funzioni che ogni cosa ha preso esistenza, la nostra attenzione dovrà rivolgersi da un lato alla qualificazione delle stesse, procedendo a definirne le diverse qualità e modalità di comportamento, dall’altro a indagare con quali diverse proporzionalità esse sono presenti in ciò che analizziamo. Non stupirà, al riguardo, che tutta la matematica egizia fosse basata non sull’uso di numeri interi ma esclusivamente di numeri frazionari e lo stesso Pitagora, che proprio nella valle del Nilo apprese le sue conoscenze, utilizzasse questa metodica per studiare le leggi di proporzionalità che avrebbero reso possibile descrivere e comprendere l’esistenza di rapporti armonici, vale a dire di quelle relazioni concordanti che sostengono il mantenimento e l’integrità di ogni singola individualità, indagando i rapporti intercorrenti tra le diverse parti che concorrono a costituire un’unità e l’unità nella sua interezza. Gli bastò, a conferma della semplicità che oggi è difficile a farsi, un budello ritorto e un supporto su cui tenderlo, grazie all’uso di due capotasti: il monocordo. Ben consapevole che tutto ebbe origine dal Verbo e il Verbo è formalmente vibrazione sonora, una volta teso il budello pose in relazione il suono emesso dalla corda nella sua interezza e i diversi suoni che si ottenevano interponendo un terzo capotasto tra i due di partenza. Riuscì così a descrivere e a dare testimonianza numerica delle relazioni assonanti tra le parti, quando queste si fondono arricchendo e sostenendo la sonorità di base, tanto quanto delle loro relazioni dissonanti che, al contrario, disturbano e distorcono il rapporto con l’intero.
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Fondamenti di spagyria
A quei tempi il concetto di numero e ogni conseguente processo di calcolo non erano infatti per nulla disgiunti dalla ricerca delle modalità e delle forze che avevano dato vita al Creato, ma anzi i numeri stessi erano considerati sacri in virtù della loro capacità di descriverne e dimostrarne l’esistenza e la permanenza. La scienza non era altra dalla filosofia e la filosofia non era altra dalla relazione con il divino e quindi con se stessi: distante dall’attuale mentalità che la riduce a sterile sfoggio di assunti teorici, rappresentava l’arte operativa attraverso cui nutrirsi di ciò che aveva reso possibile ragione e virtù, da cui la vita stessa aveva avuto origine e a cui saggezza, benessere e salute, così come ogni processo di crescita, di cura e di guarigione andavano, in ultima analisi, ricondotti. Se, come si è detto, queste forze operano nel concorrere a definire ogni individualità, allora la loro attività non è da considerarsi temporalmente limitata a un originario momento creativo ma intesa come costante presenza attiva in ogni ambito dell’esistente. Il famoso motto “così in cielo come in terra” implica infatti, oltre la specularità tra ciò che è in alto e ciò che è in basso, anche la relazione tra ciò che è esterno e ciò che è interno, sottolineando che questa operatività riguarda non solo la forma che la realtà assume ma la sua sostanza e quindi i movimenti intrinsechi che ne caratterizzano la struttura più intima. Le divinità, infatti, nell’antichità non erano considerate esterne ed estranee alla terra e all’uomo, ma anzi proprio sulla terra e particolarmente nell’uomo, al suo interno, dispiegavano la loro potenza e pregnanza di significato. Per questa ragione la grandezza e la singolarità della nostra specie è così spesso celebrata nei testi antichi, proprio in forza della capacità che ci è potenzialmente data di assumere piena consapevolezza della nostra natura e quindi di acquisire la capacità di governare, contenere, portare a sintesi armonica quelle forze che invece dirigono e determinano ineluttabilmente la vita e le sorti di tutte le altre specie viventi, inconsapevoli vittime del ciclo vitale. La nostra origine, infatti, veniva qualificata come divina, mentre la natura era considerata madre di tutte le altre forme attraverso cui il disegno creativo si dispiega: Egli ha costituito gli uomini con le lacrime del suo occhio, egli ha detto ciò che appartiene agli dei. […] Gli uomini sono usciti dai suoi due occhi, gli dei si manifestano quando egli parla […] egli ha emesso il Verbo e gli dei si manifestano…gli uomini escono dai suoi due occhi divini, gli dei dalla sua bocca. (Inni del Nuovo Impero)
In analogia con l’Uno che tutto comprende, a ogni essere umano è data capacità di comprensione, di porsi in relazione a se stesso in qualità di osservatore e di osservato, di soggetto che produce coscienza e conoscenza attraverso la riflessione in sé e quindi nell’altro da sé. Come recita l’Antico Testamento: “Adamo giacque con Eva e la conobbe” e quindi si conobbe, si scoprì nel suo divenire, si rese consapevole della potenza cre-
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1. Archetipi, dei e funzioni
ativa che lo aveva generato e celebrò nella memoria di quell’originaria riflessione, attraverso le lacrime della sua propria commozione, il desiderio di esistere e di vivere secondo Volontà, di consacrare la relazione con l’altro quale testimonianza della continuità del legame con la propria interiorità, stabilendo nella comunione il senso della propria provenienza e quindi l’orizzonte di ogni suo possibile futuro. La capacità di liberarsi dalle catene del bisogno dimostra l’originalità della nostra specie che, resasi autonoma dalla legge naturale della necessità, è vissuta da sempre secondo desiderio e quindi, come prima manifestazione della propria Volontà, si dedicò alla costruzione di templi e teatri, ovvero dei luoghi in cui rappresentare la propria origine, in memoria dell’esistenza e della permanenza del nutrimento necessario ad alimentare il fuoco di cui è portatrice. La sacralità che ancora contraddistingue queste antiche edificazioni è infatti proiezione esteriore e quindi testimonianza della presenza interiore del luogo in cui la divinità trova la sua propria sede, posto al centro della nostra struttura a rappresentare il punto da cui tutto si irradia, in stretta analogia con il Sole che risplende in cielo e dona luce, calore, vita a tutto ciò che ci circonda e a noi stessi: il luogo del cuore. Indagando l’insieme degli scritti di epoca egizia riguardanti questo termine, dall’Antico, al Medio e fino al Nuovo Impero, ci si può rendere conto della complessità e della particolare rilevanza di questo concetto, con attinenze non solo filosofiche e morali ma direttamente legate, come si vedrà, al mantenimento e al ripristino dello stato di salute e di benessere della persona. Nella scrittura geroglifica c’erano due diverse rappresentazioni per significare questo termine; si esprimeva sotto forma di Hati il cuore fisico, il muscolo cardiaco, mentre si indicava il cuore metafisico, interiore e immateriale, con il simbolo Ib. Il simbolo ha forma di anfora, in quanto contiene, protegge e mantiene nel suo stato ciò che vi è contenuto, che rende possibile ogni ulteriore processo di maturazione di quell’individualità che definisce determinandone il confine ma nel contempo realizzando le condizioni di ogni possibilità di scambio e di relazione che, infatti, non potrebbe realizzarsi senza un’alterità tra ciò che è interno e ciò che esiste al di fuori e al di là del limite. In questo senso l’Ib viene indicato quale luogo in cui tutto ciò che abbiamo esperito, tutto ciò di cui ci siamo nutriti, viene a essere vagliato, digerito, assimilato, reso parte integrante della propria individualità in quanto accolto e contenuto, quindi compreso, nel proprio cuore. In questo ambito trovano origine e vengono percepiti i diversi stati dell’animo ed è quindi la sede in cui si vivono le sensazioni e le dinamiche emotive, in cui si sperimenta la propria sensibilità in rapporto alla relazione con sé e con gli altri. Nel Trattato del cuore contenuto nel Papiro di Ebers, forse il più importante dei papiri medicali egizi e risalente a circa il 2000 a.C., leggiamo:
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Fondamenti di spagyria
Il principio del segreto del medico: Conoscenza della marcia del cuore, conoscenza del cuore. Ci sono dei vasi in lui per tutte le membra. In qualsiasi posto in cui ogni medico, ogni web di Sekmet, ogni mago metta le sue dita, sulla nuca, sulle mani, sul posto dell’Ib, sulle due braccia, sui due piedi, ovunque egli incontra il cuore poiché i suoi vasi sono per tutte le membra; vale a dire che egli parla dei vasi di tutte le membra.
Poi, al passo successivo: Esaminare come contare alcune cose dell’Energia Vitale in stai […] contare l’Energia Vitale con le dita per conoscere […] esamina l’Energia Vitale Negativa (piccola o debole) di un Uomo per conoscere la marcia nel cammino del cuore e più precisamente dei vasi in lui, verso gli Organi tutti. (Ebers 99, 1-5)
E più oltre: Riguardo all’uomo, 12 vasi sono in lui per il suo cuore Ib. Sono loro che recano il soffio alle diverse parti del corpo. (Ebers 856 b 103, 3-5)
Come è facile constatare siamo di fronte a una vera e propria definizione degli aspetti caratterizzanti qualsiasi medicina che oggi definiremmo “energetica” e che, per ignoranza, si è considerata frutto esclusivo di culture lontane ed estranee alla nostra. Al contrario, studiando con più attenzione le diverse testimonianze, si può constatare come, intorno al 2000/2500 a.C., la cultura umana abbia concepito e condiviso, pur con le ovvie diversità, una stessa visione dell’uomo e della natura, orientata filosoficamente in coerenza con quanto già descritto. Le radici storiche della nostra tradizione, come si è documentato, risalgono alla terra d’Egitto e da allora quelle stesse conoscenze e modalità operative hanno continuato a esistere e a essere applicate negli ambiti propri dell’alchimia e, secondo la definizione data nel 1500 da Paracelso riguardo agli aspetti più attinenti alla pratica della medicina e della terapia, della “spagyria”. Per valutare le condizioni in cui versa la persona il terapeuta dovrà quindi considerare lo stato e la marcia del suo cuore, giungendo infine a definire precisamente quali componenti della Forza Vitale siano “piccole o deboli”, quali forzefunzioni, non in grado di esprimersi adeguatamente, determinino le “dissonanze” che, in quel particolare momento della vita, impediscono un armonico rapporto tra le diverse componenti di cui l’individuo è costituito. Riguardo a questi concetti, ovviamente, si tratterà più oltre in modo approfondito, ma sin da ora è bene ricordare un’importante indicazione che ci viene data dalla descrizione della ritualità relativa alla “pesatura del cuore” a cui, secondo
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1. Archetipi, dei e funzioni
la teologia egizia, ogni uomo è sottoposto quando, venuto meno a questo mondo, dovrà affrontare l’estremo giudizio. Il defunto verrà condotto, così ci raccontano gli antichi scritti, al cospetto degli dei, dinnanzi a una bilancia su un piatto della quale verrà posto il suo Ib mentre sull’altro una piuma fungerà da contrappeso: solo se il cuore metafisico sarà altrettanto leggero per lui si schiuderanno le porte della beatitudine mentre, nel caso la sua pesantezza risulti maggiore, un’entità detta “la divoratrice” lo ricondurrà nei mondi inferiori. Tutto ciò che appesantisce il cuore impedisce l’elevazione e quindi la crescita della persona, ne limita le potenzialità espansive e creative, determina resistenza all’incessante processo di cambiamento cui tutti siamo sottoposti e, quindi, espone a ogni forma di corruzione, distorce e deturpa l’anelito del desiderio nella paura paralizzante della perdita di ciò che si è e di ciò che si ha, inducendo a conservare e a cristallizzare quel che invece assume significato nel suo divenire e nel suo trasmutarsi. Le nostre intenzioni divengono così proiezioni che si materializzano nel corpo come nel mondo, mostrando l’ombra del senso che attribuiamo al vivere. La pesantezza e la fatica dei giorni sono frutto della pesantezza e della fatica del nostro cuore, troppo spesso oscurato e sopraffatto dalle scure coltri dei nostri pensieri. Affinché il sole possa nutrire di luce e calore la terra, infatti, occorre che il cielo sia terso e sgombro da nuvole. Diviene così estremamente importante lo studio del “cielo interiore” della persona, costellato dalle stesse presenze che caratterizzano la ricchezza e la complessità della volta celeste o macrocosmo e che, in relazione di corrispondenza analogica, determinano la modalità con cui l’individuo si rapporta con la propria centralità, con il Sole-cuore del suo microcosmo, tanto sul piano fisico che nelle dimensioni immateriali delle dinamiche emotive e psichiche. Paracelso, in particolare nel suo Paramirum, chiarisce con molta nettezza la relazione che intercorre tra “ciò che è in alto e ciò che è in basso”, stabilendo che tra le due sfere non esiste alcun rapporto diretto e quindi nega e irride la visione deterministica tipica di certa astrologia: l’uomo è semmai colui che può governare gli astri, non colui che ne è governato. Il cielo è di per sé libero come è potenzialmente libero ogni uomo. La ricerca andrà quindi orientata in senso funzionale, valutando in “stai”, quindi con precisione, la presenza e la potenza delle diverse forze operanti, delle diverse qualità energetiche che sono rappresentate in cielo sotto forma di astri e che trovano sulla terra e nell’uomo una particolare manifestazione, formalmente diversa ma in stretta relazione analogica con l’attività da queste svolta. Se ciò è vero per quanto riguarda le diverse componenti che caratterizzano, sul piano fisico, il corpo dell’uomo, altrettanto avviene per le sue dimensioni interiori, descrivibili anch’esse in funzione della minore o maggiore attività delle qualità che quelle stesse forze imprimono a livello emotivo e psichico.
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Fondamenti di spagyria
Proprio riguardo a questi ambiti, i testi mitologici della classicità andrebbero ben diversamente indagati e riletti alla luce delle ragioni che spinsero i nostri antichi antenati a rappresentare in modo così esaustivo e dettagliato le caratteristiche e le relazioni intercorrenti tra le diverse divinità, ognuna descritta come portatrice di una determinata sensibilità, di un dato carattere, di una particolare personalità: “conosci te stesso” è il monito che ci hanno lasciato i Greci, e proprio con questa intenzione raccontavano le storie degli dei e degli eroi, non per ingannare il tempo o fantasticare di cose inesistenti, ma per rendersi consapevoli della presenza attiva e costantemente operante di queste entità che proprio nell’animo umano e nel suo mondo psichico trovano, allora come oggi, la loro massima rappresentazione. Gli assunti delle moderne e molteplici discipline che sostengono la necessità di una visione psicosomatica dell’essere umano e delle sue problematiche, come si può constatare, non hanno affatto l’originalità che è loro attribuita e anzi ogni visione olistica del mondo e dell’uomo è antica quanto la nostra specie, da sempre consapevole dell’intreccio strettissimo esistente tra le molteplici dimensioni che ci contraddistinguono. Occorre però sottolineare che la visione filosofica di quei tempi appare lontanissima dal materialismo che inficia molte delle attuali convinzioni, tendenti sì a dimostrare l’intrinseca interdipendenza di ogni parte costituente una data individualità, ma anteponendo la rilevanza dell’ambito fisico rispetto alle altre componenti che, in ragione del suo stato, ne risulterebbero determinate. Che ogni moto interiore trovi una sua testimonianza nel corpo è evidente, ma attribuire al corpo la stessa capacità significa non aver compreso che l’idea precede l’azione, che senza volontà non si manifesta alcuna opera, che ogni esistenza fisica presuppone una matrice energetica, un progetto, un’intenzionalità e un’intelligenza che la prefiguri e quindi la anticipi. Nell’affermazione “Oh Egitto, Egitto… verrà tempo in cui il tuo popolo non sarà in grado di vedere altro che sabbia e sassi” sembra trovare conferma l’odierna tendenza a non vedere altro che materia, a concepirsi come organizzazione cellulare, quali animali tra gli animali, divenuti ciechi come cieco si rese Edipo, una volta posto dinnanzi all’evidenza delle proprie responsabilità. È quindi necessario, ora più che mai, dare nuova voce alla saggezza dei nostri antichi predecessori e trarre dal loro insegnamento le conoscenze e gli strumenti necessari per affrontare tanto le sempre più difficili condizioni di vita quanto le insidiose “sirene” che a livello culturale vanificano l’attenzione di chi avverte l’insufficienza e i limiti della mentalità attuale, prospettando l’abbandono acritico a sedicenti pratiche misteriosofiche che distraggono da un possibile e necessario percorso di consapevolezza. La rigorosità, la concretezza e l’operatività sono infatti aspetti fondanti e tipici tanto dell’alchimia che della spagyria e, per le finalità di questo testo, può essere utile una sintetica esemplificazione di come gli assunti filosofici di cui si è trattato abbiano una conseguente e coerente applicazione in ambito terapeutico.
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1. Archetipi, dei e funzioni
Se, come si è detto, nell’uomo si riscontra la più compiuta articolazione delle forze che informano ogni aspetto del creato, ogni individualità di cui quest’ultimo è composto risulta costituita ed è descrivibile in ragione di una loro particolare configurazione, grazie alla quale sia l’ambito formale che funzionale di quell’unità trovano una propria ragione di essere. Da questa constatazione ebbe origine la ricerca delle radici energetiche di ogni singolo rappresentante del regno minerale e dei metalli, del regno vegetale e animale che va sotto il nome di segnatura rerum, ovvero lo studio di ciò di cui sono segnate, quindi definite, le cose. In spagyria ogni “individuo di natura” viene quindi valutato in ragione delle qualità di cui è frutto e conseguentemente testimonianza vivente, veicolo e riserva a cui attingere ogni qual volta si riterrà necessario utilizzare quelle particolari virtù. Focalizzando l’attenzione al solo mondo vegetale, ogni pianta trova così una particolare distinzione sulla base della sua segnatura, che esprime tanto le funzionalità di cui è portatrice quanto le particolari modalità di comportamento che la caratterizzano, sia in natura che sotto forma di rimedio. Lo stesso termine “spagyria”, oltre alla consueta spiegazione che ne fa risalire il significato etimologico a spao (solvere, estrarre) e agheiro (“riunire, coagulare”), può anche essere inteso come sintesi di spao e ieros (“ciò che è sacro, divino”), assumendo quindi il senso di “estrarre il dono divino”, come il dottor Angelini ebbe modo di evidenziare. Questi “doni divini” sono le virtù di quel vegetale, l’informazione di cui è portatore, l’insegnamento che è in grado di dare a chi vorrà nutrirsene in senso energetico. Su questi assunti si basa la terapia spagyrica, che infatti utilizza i rimedi ottenuti dalle piante in ragione delle forze-funzioni, degli archetipi che in esse sono contenuti e che vengono resi disponibili grazie a una particolare lavorazione del vegetale, in grado di estrarre integralmente, di liberare le qualità di cui abbiamo parlato, rese così attive ed efficaci su ogni piano della persona, operando sia a livello fisico che sul “cielo interiore” della stessa. Al riguardo è utile ricordare che, come recita il citato papiro di Ebers, per giungere a una corretta valutazione dello stato della persona occorre giungere infine a individuare le componenti “piccole o deboli” che caratterizzano la marcia del suo cuore: questa importante specificazione ci indica un’ulteriore particolarità dell’antica medicina, che intende ristabilire lo stato di salute e benessere non contrastando i processi morbosi in atto ma invece sostenendo le naturali capacità di autoguarigione, grazie al rafforzamento delle componenti energetiche che non sono adeguatamente presenti ed efficienti nella persona sofferente e che la rendono tanto vulnerabile agli attacchi esterni, quanto vittima dei propri scompensi interiori. Non si tratta quindi di utilizzare i rimedi per fare in modo che essi agiscano sostituendosi alle capacità e alla volontà dell’individuo, finalità questa perseguita dalla terapia allopatica, né di suscitare una reazione della forza vitale che giunga a essere
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abbastanza forte da risolvere il malanno, atteggiamento tipico dell’omeopatia, quanto invece di sostenere il riequilibrio energetico della persona, il suo processo di maturazione e di adattamento, aiutandola a compiere in prima persona e consapevolmente il percorso della guarigione, a rafforzarne la propria integrità e, conseguentemente, le capacità di resistenza e le proprie potenzialità creative e realizzative. L’ispirazione e l’intenzione dell’intervento terapeutico sono quindi tese a rispettare pienamente la dignità dell’individuo e le sue particolari disposizioni, sfuggendo alla tentazione di prefigurare un cambiamento dei suoi aspetti costituzionali e caratteriali in ragione di ciò che il terapeuta ritiene giusto o sbagliato, ma intervenendo unicamente per armonizzare il rapporto tra le diverse componenti di cui è costituito, non imponendo dall’esterno e artificiosamente una diversa modalità di vivere ma, al contrario, valorizzandone le qualità che lo rendono unico e irripetibile. “Il cuore dell’uomo è il suo dio personale”, così è scritto negli antichi papiri, e il rispetto dovuto non è quindi semplicemente un atteggiamento di particolare sensibilità o correttezza morale ma soprattutto il riconoscimento dell’umiltà e della pietà di cui il terapeuta deve essere primo testimone e strenuo difensore: oltre la presunzione di stabilire ciò che è bene e ciò che è male, occorre che egli sappia scegliere ciò che è giusto; tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, è necessario che egli sappia decidere ciò che è opportuno, affinché abbia a realizzarsi pienamente il destino e quindi il progetto di cui ogni persona è portatrice, a maggior ragione quando questa è minacciata e distratta dal disagio, dal dolore, dalla malattia. Non a caso la virtù costituisce uno dei quattro pilastri su cui Paracelso fonda l’arte della medicina e gli antichi Egizi indicavano in Sekmet la divinità protettrice dei terapeuti e, al contempo, la severa sorvegliante del loro operato: costei rappresentava l’ipostasi di Neit, detta “la grande tessitrice” in quanto artefice dell’intreccio energetico di cui ogni creatura è frutto, e veniva raffigurata sotto forma di donna, archetipo della ricettività attiva e feconda, con testa di leonessa, a sottolineare la virile capacità di proteggere, più di ogni altra fiera, l’integrità dei propri cuccioli e quindi di ogni uomo, di ogni persona. Questa infatti costituisce la prova più ardua a cui si sottopone chi decide di intraprendere e praticare l’arte della terapia, che è anche ragione della sacralità un tempo attribuita al prendersi cura delle persone sofferenti: la relazione diretta con la divinità stessa, con la più intima parte di sé e, conseguentemente, la necessaria pulizia interiore, che non è da intendersi come assenza di difetti o parzialità ma, al contrario, come impegno a mantenersi in stato di piena consapevolezza dei propri limiti e in assenza di pregiudizio, nell’umile atteggiamento di chi sa contenere e comprendersi oltre le dinamiche di esaltazione del proprio io e i gorghi depressivi del rifiuto di sé, entrambe parti della stessa deriva egoica, in costante ascolto della voce del cuore e quindi in grado di condividere e comunicare in piena responsabilità e in coscienza, con dignità e coraggio, la fiducia e la determinazione necessaria a ogni percorso di crescita e di guarigione.
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6 Lo zodiaco e i segni zodiacali
Il termine “zodiaco” deriva dal greco zodiakos, frutto della radice zoo che significa “io vivo” e, sotto forma del diminutivo zoodion, richiama il concetto di ciò che è di natura animale. La denominazione assegnata ai suoi segni è ripresa dal nome delle costellazioni che si presentano in cielo nella stessa successione ma sono per nulla attinenti allo stesso significato: queste sono state rappresentate anche sotto forma di sembianze animali, mentre le porzioni di tempo descritte nell’arco di trenta gradi zodiacali si riferiscono esclusivamente alle forze e alle qualità operanti sulla terra durante quel periodo. Lontano dalle fantasticherie e dai sedicenti esoterismi attuali, nell’antichità lo zodiaco è sempre stato considerato in relazione alla diversa disponibilità con cui il sole dispensa i suoi raggi, in quanto fedele rappresentazione del percorso dell’astro in cielo e quindi utile a descrivere le diverse condizioni e le differenti modalità attraverso cui la solarità, e con essa il vitalismo di cui è portatrice, si propaga in un dato tempo, in quel particolare spazio. Il progressivo allontanamento dalla natura e dai suoi ritmi ha indotto una molteplice serie di conseguenze, tra cui una sempre maggiore indifferenza alle condizioni ambientali e la parallela presunzione di poterle dominare artificiosamente e senza alcun rispetto per le leggi che le sottendono. Si è così venuta a determinare una drammatica frattura nella relazione con ciò che ci circonda e, fatto che potrebbe renderla insanabile, con pregiudiziale trascuratezza si sono messe in soffitta le osservazioni accorte che la nostra civiltà ha prodotto in migliaia di anni di riflessioni sui sottili ma sostanziali legami che intessono l’intreccio tra la dimensione celeste, terrestre e umana. La circolarità dello zodiaco ne descrive la rappresentazione più vicina a ciò che visivamente appare in cielo e proprio in ragione di questo suo mostrarsi e in relazione al movimento ciclico che lo contraddistingue, è in stretta relazione analogica con il nascere, il divenire e il declinare di ogni forma di vita individuale. Le sue diverse porzioni, i segni zodiacali, rappresentano aspetti parziali di una totalità che li comprende e che trova in essi una sua particolare espressione, il frutto di un determinato momento, la manifestazione di una peculiare volontà. Queste chiave
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di lettura è dunque applicabile a qualsiasi scala di grandezza e, pur con le attenzioni dovute alla specificità considerata, a qualsiasi ambito: tutto ciò che ci circonda è di natura individuale e quindi soggiace alle stesse leggi, di cui sono parte integrante le dodici disposizioni di cui parleremo dettagliatamente più avanti. Se con la definizione dei sette geni planetari si è dato risalto all’attività funzionale che sui vari piani della persona è da questi svolta, riguardo ai segni parleremo invece dei luoghi e dei contesti in cui quell’attività viene operata, anche in questo caso sottolineando gli ambiti fisici, emotivi e psichici che questo comporta, così come indicato dalle antiche Melotesie, frutto dello studio delle relazioni tra funzioni, disposizioni e componenti costitutive dell’essere umano. Lasciando una trattazione più esaustiva alle pagine introduttive del capitolo dedicato all’uso dei rimedi spagyrici, è bene fin d’ora sottolineare come questo aspetto sia di straordinaria importanza per individuare l’intervento più opportuno, in quanto la segnatura di ogni pianta è espressa sì da una simbolica relativa ai pianeti, ma anche da una precisa indicazione zodiacale, che quindi indicherà dove quelle qualità energetiche verranno primariamente veicolate nella complessità della persona. Tutti i precedenti passaggi attraverso cui il Verbo creativo si è espresso trovano infatti puntuale testimonianza nello zodiaco, che quindi viene a rappresentare, così in cielo come in terra, un’ulteriore specificazione di come le forze siano disposte e, di conseguenza, quali ambiti ne siano particolarmente coinvolti. In questa parte introduttiva si intende quindi dare una visione d’insieme della complessa ma in sé lineare e coerente articolazione che, nella visione spagyrica, assumono le diverse fasi del processo vitale, sulle quali si tornerà a parlare in modo più approfondito affrontando le specifiche caratteristiche di ogni segno. Da un punto di vista strutturale nello zodiaco troviamo infatti rappresentate tutte le fasi attraverso cui si è realizzato il disegno creativo, inserite e contestualizzate in una totalità che ne scandisce i tempi, i luoghi, i modi. Il dualismo, di cui abbiamo trattato a proposito di sole e luna filosofici, è testimoniato dall’alternanza di genere tra i segni che, a partire dal primo maschile, si verifica lungo tutto lo zodiaco, così come riguardo all’analoga complementarietà tra semiarco diurno e notturno, tra semestre caldo e freddo o umido e secco, tra le direzionalità opposte che assume il Sole dalla nascita verso il tramonto e il movimento inverso che caratterizza il suo passaggio attraverso i segni. Se invece consideriamo la loro successione in senso ternario, rintracciamo la presenza dei principi filosofici che, coerentemente ai loro attributi, ne sottolineano la diversa inclinazione. Il primo segno, Ariete, è così in relazione al mercurio filosofo, portatore del cambiamento, e viene quindi detto tropico, il secondo, Toro, rappresenta il centro della triade e ha invece a che fare con il solfo ed è indicato come solido, mentre il terzo, Gemelli, rappresenta il sale filosofico ed è considerato bicorporeo.
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Essendo dodici i segni, questa alternanza viene a essere ribadita con le medesime attribuzioni per quattro volte nello svolgersi del ciclo zodiacale e quindi ognuno di essi sarà caratterizzato dalla corrispondente segnatura filosofica. Un’altra interessante chiave di lettura la si ottiene sottoponendo l’intero zodiaco a una tripartizione: la prima parte, da Ariete a Cancro, sarà quindi in relazione analogica con il sale, la seconda, da Leone a Scorpione, con il solfo e l’ultima, da Sagittario a Pesci, con il mercurio filosofico. Ricordando quanto detto in merito a ogni singolo principio, si possono quindi considerare questi ambiti costituzionali dell’individuo e acquisire importanti elementi sulla loro condizione, valutando lo stato di ogni singola componente in relazione alla funzione che dovrebbe, a tutti i livelli, garantire. Si raccomanda quindi la massima permeabilità nel considerare l’intreccio tra i diversi piani della persona e di rapportare costantemente il suo stato alle modalità con cui essa, nel senso più ampio, si esprime. La quadruplicità è invece rappresentata dalla segnatura elementale che assegna le qualità del fuoco a tre segni (Ariete, Leone, Sagittario), così come per la terra (Toro, Vergine, Capricorno), l’aria (Gemelli, Bilancia, Acquario) e l’acqua (Cancro, Scorpione, Pesci). Questa disposizione viene reiterata per tre volte e descrive la particolare successione che assumono i quattro elementi nella rappresentazione zodiacale, diversa da quella utilizzata precedentemente, in cui era invece l’aspetto della sottilità a essere preso in considerazione. Questa diversa modalità descrittiva ci invita a una lettura ancora più attenta degli effettivi aspetti con cui avviene la relazione tra gli elementi nella concretezza dei processi vitali: il fuoco riscalda la terra, dalla terra si levano i vapori che costituiscono l’aria che a sua volta, facendosi sempre più prossima al sole, si condensa in acqua e precipita, riportando alla terra il fuoco celeste che, con il suo calore e la sua luce, perpetuerà questo vitale movimento di circolazione sinergica. Lo zodiaco, come si è detto, rappresenta il percorso che il Sole descrive nella volta celeste e, ovviamente, è raffigurazione delle diverse condizioni che si alternano durante lo svolgersi di un intero anno solare: da questa considerazione è possibile trarre un’ulteriore relazione analogica con i quattro elementi. Gli antichi, che certo non mancavano di senso pratico, si dedicarono allo studio del cielo per conoscere precisamente il modo con cui il tempo scorreva, non con finalità filosofiche ma per trarre da queste tutte le indicazioni utili a operare correttamente sulla terra: per ottenere i migliori frutti dal proprio lavoro in armonia con le condizioni naturali, presero in considerazione quei particolari momenti astronomici in cui la luce è massimamente assente o presente e quelli in cui il giorno e la notte sono invece di pari durata: congiungendo i punti dello zodiaco che hanno queste caratteristiche si ottiene rispettivamente la linea dei solstizi, verticale, e la linea degli equinozi, orizzontale. Questa croce, vero e proprio simbolo filosofico di ogni intreccio energetico in-
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dividuale, divide la circonferenza in quattro settori temporali distinti, cui abbiamo attribuito il nome di stagioni. Così ogni anno, all’entrata del Sole nel segno di Ariete, ovviamente in esatta concordanza col fenomeno dell’equinozio in senso astronomico, si assiste all’insorgere della primavera, stagione dell’aria; a questa segue l’estate al primo grado di Cancro, momento del solstizio estivo e inizio della stagione del fuoco; compare poi l’autunno quando invece il Sole supera i confini di Bilancia, punto equinoziale al di là del quale sono particolarmente operanti le qualità della terra; infine l’oroborus, il serpente che si morde la coda, compie il suo quarto movimento scandendo il solstizio invernale al sorgere del Sole nel segno di Capricorno, che inaugura l’inverno, portatore del freddo e dell’umido tipici dell’acqua. Vanno quindi considerate anche da questo punto di vista non solo la costituzione della persona ma anche le diverse condizioni energetiche in cui questa è inserita, che possono essere tanto di tipo ambientale e naturale, come per il succedersi delle stagioni che impongono specifiche adattabilità, quanto relative al contesto umano da questa vissuto e da cui è non meno influenzata. Inoltre la condizione delle qualità primarie, il caldo e il freddo, così come le secondarie, il secco e l’umido, può essere utile indice dello stato interiore della persona se, come già detto a suo tempo, viene posto in relazione al significato che esse assumono in queste più sottili dimensioni. Relativamente ai sette geni planetari, che il Sole trascina con il suo movimento, questi risiedono inevitabilmente in uno dei dodici settori in cui è diviso il cielo: il grado di assonanza tra le qualità di quella particolare funzione e la competenza attribuita a quel segno renderanno finalmente operativa l’attività interessata, che così si esprimerà tanto in un processo fisiologico che in un particolare stato d’animo e in un determinato psichismo. Ariete A Il nome che gli è attribuito è dovuto alla particolare posizione celeste che la costellazione di Ariete occupava nel primo secolo avanti Cristo, che allora risultava contenuta nei primi trenta gradi dello zodiaco. Da questa omonimia deriva la grossolana critica all’intero impianto astrologico che ha portato anche personalità insigni del mondo accademico a sostenerne la manifesta illogicità, in quanto, attualmente, non sussiste più quella configurazione celeste. In realtà, quindi in piena coerenza con i dati astronomici, l’inizio di questo periodo dell’anno corrisponde al noto punto gamma, determinato dall’intersezione dell’equatore celeste con l’orbita descritta dal Sole, così come scritto ampiamente dagli antichi autori. La loro visione, come si sa, era geocentrica, ma si consideri che ancora oggi
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permette la modalità più veloce e diretta per determinare l’esatta posizione di una qualsiasi presenza celeste e soprattutto pone al centro ciò che interessa e che si intende valutare, vale a dire la Terra stessa. Non era certo sconosciuta la centralità del Sole e la forza attrattiva che costringe gli altri pianeti a orbitargli intorno, al contrario se ne aveva una tale certezza scientifica da trasporne il significato in ambito filosofico e mitologico, come più volte sottolineato in precedenza. In corrispondenza con queste condizioni celesti, intorno al 23 di marzo di ogni anno si assiste all’avvento della primavera e da quel momento, per circa sei mesi, la durata del giorno risulterà essere sempre maggiore rispetto a quella della notte. La stagione è contraddistinta dalle qualità dell’aria, calda e umida, in cui alla disponibilità adattativa si associano le virtù accrescitive: nella natura si celebra il ritorno alla relazione diretta con il sole, e ne è crescente testimonianza il verde delle foglie e dell’erba che torna a colorare il mondo. In senso spagyrico rappresenta l’inizio dell’anno, in quanto momento in cui, dopo la gestazione autunnale e invernale, una nuova creatura viene alla luce e quindi un nuovo ciclo succede al precedente. Il glifo che lo simboleggia è costituito da un’asse centrale, robusta e verticale, da cui si innalzano due curve simmetriche che poi tendono a ripiegarsi verso il basso, come ad attribuirgli le qualità di un’azione che si propaga in qualsiasi direzione e che coinvolge in modo pervasivo ogni ambito possibile. Il risveglio viene così a essere propiziato da questa radicale e intensa disposizione all’attività, come avviene nell’arco dell’anno all’inizio della primavera o, su scala più ridotta, all’alba di ogni giorno. Conseguentemente alle qualità espansive che gli sono proprie, è un segno maschile e in ragione della sua impetuosità prevaricante gli è inoltre attribuito un grado elevato di secchezza: in senso elementare è infatti appartenente alla triplicità del fuoco, delle cui attribuzioni ricordiamo la capacità trasformativa e quindi l’attinenza alla sfera della volontà e alle sue manifestazioni. È un segno tropico, in quanto portatore del cambiamento, ed essendo il primo dello zodiaco ne rappresenta la componente più radicale e originaria, la fiamma grazie alla quale i processi più grevi possono essere portati a compimento. Ha a che fare quindi con gli ambiti del sale dell’individuo ed è in relazione a questo principio che, sui diversi piani, esprime la sua forza ignea. Nel corpo è infatti simboleggiato dal sangue che apporta calore e garantisce con il suo fluire il vitalismo necessario alla nostra struttura, le dà la forza e le capacità prestazionali conseguenti alla solarità che è in grado di integrare, attraverso la captazione e il trasporto di ossigeno nell’organismo svolti dall’emoglobina. L’irrompere della luminosità e della chiarezza visiva è inoltre testimoniata da un altro apparato che si rapporta alla cardialità solare e che peraltro le è anatomicamente attiguo: il pericardio. Quest’organo membranoso, oltre a proteggere il
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cuore avvolgendolo e garantendogli adeguata flessibilità ma anche limitandone la distensibilità, favorisce la scorrevolezza delle sue fibre muscolari, dà stabilità alle inserzioni dei grossi vasi e garantisce il suo ancoramento nel mediastino, essendo aderente al diaframma in basso e lateralmente alle pleure polmonari. Anche la bocca, per la volontarietà istintiva insita in ogni atto della nutrizione, è rappresentata in questo segno, così come, in relazione all’apparato scheletrico, il cranio, dal vertex alla mandibola. Se sangue, pericardio e cavo orale individuano i corrispettivi aspetti fisici e fisiologici attinenti a questo segno, di non minore importanza sono da considerarsi gli aspetti emotivi e psichici che sostiene e che vengono a essere colorati dalla stessa inclinazione che hanno i raggi solari all’inizio della primavera. L’entusiasmo e la generosa partecipazione anche corporea alle attività che si svolgono, l’impeto e la foga di cui si investono il mondo esterno e gli altri, la percezione di forza d’animo che si avverte quando si ha piena fiducia nelle proprie capacità caratterizzano infatti gli ambiti interiori significati da questo primo segno di fuoco. Ariete esprime la volontà di essere e di esistere, ubbidiente alla necessità di dare soddisfazione ai propri bisogni e quindi strettamente legata agli ambiti istintivi da cui originano e in cui vengono risolti. È infatti domicilio di Marte e luogo di esaltazione del Sole, in assonanza con il primo per l’irruenza e il comportamento poco adattabile che lo contraddistinguono, con il secondo per l’ampiezza delle possibilità insite nell’inizio di ogni nuova opera o percorso. In queste condizioni la delicatezza di Venere non trova spazio e infatti questa funzione si trova in esilio nel segno; al contempo anche la compostezza di Saturno e il suo ritegno alle azioni espansive non vengono rispettate, determinando la caduta delle sue virtù. La secchezza e il calore di Ares si esprimono nell’elemento che è della sua stessa natura e quindi, non avvenendo alcun temperamento di queste qualità, la perentorietà e l’assoluta indisponibilità ad alcun accomodamento e contenimento si esprimono liberamente, con le prevedibili conseguenze cui questo può condurre. Se infatti la fiducia in sé e la forza per operare sono condizioni indispensabili per la realizzazione del progetto di cui si è portatori, è altrettanto evidente che espongono a drammatici fraintendimenti e a presuntuose certezze sulle proprie capacità. Le potenzialità interiori, se non ben amministrate, possono infatti disperdersi nell’irriflessiva veemenza con cui si praticano le azioni, in preda a una sensazione di onnipotenza che induce a pretendere piuttosto che a meritare e riduce in senso egoico e autoreferente la considerazione di sé, degli altri e della realtà. In queste mentalità così carenti di umiltà e prive della delicatezza che invece ci caratterizza, non viene portato il rispetto dovuto alle qualità femminili dell’accoglimento, dell’accudimento e della comprensione, così che al posto di un fuoco alimentato da un legno duraturo si assiste alla violenta e inconcludente fiammata del cosiddetto “fuoco di paglia”, di grande luminosità, di brevissima durata e di
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nessuna efficacia. L’inconsistenza di queste dinamiche è ben rappresentata dalla volubilità che caratterizza le persone dai facili entusiasmi, che credono di conquistare quando invece vengono sedotte e, di conseguenza, non tollerano la dedizione duratura, sempre alla ricerca di stati di illuminazione che non rappresentano altro che la propria individuale esaltazione. Lo stesso senso del sacrificio viene così a essere inteso quale tributo ultimo allo stato di acuto conflitto che disturba la persona, costretta a vivere le esperienze come sfide da vincere e l’altro come rivale da battere. Da questa parziale e riduttiva concezione delle virtù marziali si origina la tendenza a usare il proprio corpo in modo strumentale, come se non fosse davvero parte di sé ma un mezzo attraverso cui operare, dissipandone le energie in funzione di ciò da cui ci si sente attratti, fermamente convinti dell’assoluta bontà e intimamente persuasi della necessità di perseguire quel fine, così come descrive la metafora dell’eroe tragico, in bilico sull’orlo da cui può prendere il volo o cadere nel più oscuro degli abissi. Toro B Alla maschile intraprendenza di Ariete fa seguito il primo segno femminile dello zodiaco che, già nella sua simbolica, manifesta chiaramente piena disponibilità all’accoglimento di ciò che dall’esterno è in grado di richiamare a sé. Una luna distesa a ricevere dall’alto sovrasta il cerchio individuale e lo dispone a integrare e a nutrire il messaggio da lei raccolto, metafora tanto dell’attrazione feconda che la terra opera sul seme, quanto della competenza necessaria al suo accudimento. È infatti questo l’elemento a cui appartiene Toro, che di conseguenza è caratterizzato dalla secchezza e dalla freddezza, la prima virtù in comune con Ariete, la seconda invece di piena pertinenza femminile. Così come tramandato dalla mitologia, l’incarnazione dello spirito richiede il pieno rispetto di ogni passaggio e di ogni singola componente, e a una manifestazione così imperiosa delle potenzialità trasformatrici del maschile viene contrapposta un’altrettanto caparbia tendenza al loro contenimento e al mantenimento dei risultati già ottenuti, attraverso una modalità accrescitiva che istante dopo istante integri e assommi nuove dimensioni e possibilità a quelle precedentemente consolidate. La femminilità, come si può considerare, non ha molto a che fare con la remissività o con la passiva attitudine alla sopportazione: in questo segno infatti ha domicilio Venere, nella sua versione più vicina agli ambiti terreni, e si esalta Luna, la selvaggia e indomita Diana che protegge i cuccioli e colpisce senza pietà chi abbia a mancare di rispetto alle sue leggi. La disponibilità all’attecchimento e al radicamento, infatti, implica inevitabilmente per lo stesso seme il superamento del vaglio operato da parte della terra e quindi l’accettazione delle sue compatibilità, dei suoi modi e dei suoi tempi. Anche per queste ragioni è luogo di esilio di
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Marte, che vede le sue virtù vinte in quanto contenute dal possente magnetismo di Afrodite. In questo segno si celebra l’incarnazione della luce, il primo processo fecondativo, la radice archetipale dell’esistenza di ogni creatura: in esso risiede quindi la capacità di contenere il fuoco più aspro e istintivo all’interno di una struttura individuale, determinando così i corpi e le forme, la consistenza fisica di noi stessi e del mondo che ci circonda. Da una potenzialità di partenza si attua una realtà, si compie il passo che dà inizio al fenomeno vitale. Stiamo infatti assistendo solo alla prima successione tra i segni e queste dimensioni sono quindi molto vicine alle componenti di base delle diverse costituzioni, ne descrivono l’originalità delle attribuzioni in relazione alla loro stessa capacità di sussistenza. Si tratta quindi degli ambiti istintivi, dalle caratteristiche rigidità che impongono letteralmente un conseguente comportamento e che sottostanno alle leggi della natura, dove necessità e bisogno dettano le regole e i tempi del corpo. Appartenendo alla prima quaterna, Toro è infatti il segno di terra del sale dello zodiaco, così come Ariete ne rappresentava il fuoco. Questo periodo dell’anno corrisponde alla parte centrale della primavera e ne rappresenta per così dire l’anima, il momento in cui le sue qualità sono pienamente dispiegate. Nel regno vegetale i processi di attecchimento dei semi maturano in una vera e propria esplosione di rigogliosità e di crescita indifferenziata, le tonalità verdi di Venere dominano incontrastate e si abbelliscono delle prime fioriture: tutta la natura si ridesta sotto i suoi passi, proprio come il mito racconta. Il sole ormai risplende in cielo ben più a lungo della durata della notte e il tepore, tipico di questa stagione, riscalda il cuore anche alle creature animali che infatti la riconoscono come inizio del periodo dei loro amori. Nel corpo fisico, in relazione alla particolare gioiosità canora manifestata dagli uccelli, che infatti per primi comunicano la comparsa della primavera e con continuità ne celebrano la potenza, a Toro sono attribuiti gli organi della fonazione e quindi la laringe, la faringe e le corde vocali. Con piena attinenza agli aspetti più prosaici della nutrizione, ovvero della relazione che si intrattiene con l’elemento terra, il segno rappresenta invece l’insieme dei processi metabolici dell’organismo, la sua capacità di mettere a frutto il fuoco o, direbbe Paracelso, l’abilità e le condizioni in cui versa il nostro “alchimista interiore”. Relativamente alla struttura scheletrica, è il tratto cervicale della colonna a essere coinvolto nelle dinamiche di questo segno: fornendo sostegno e via di relazione agli ambiti cerebrali e in grado di articolare l’orientamento e l’attenzione nel mondo, diviene strumento attraverso cui la volontà si integra nel resto del corpo ed è quindi molto sensibile alle modalità con cui questo movimento si attua. Gli stati di costante tensione, come è risaputo, inducono pressoché invariabilmente contratture di questa zona e manifestano quindi non un indistinto senso di disagio
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6. Lo zodiaco e i segni zodiacali
ansioso ma una lesione significativa agli ambiti di Venere e alle compatibilità di Luna. Essendo entrambe coinvolte nei processi di temperanza degli intensi processi di trasformazione e di purificazione operati dalle componenti maschili, occorrerà prestare adeguata attenzione a queste affezioni, così spesso banalizzate, e riconoscere in esse il senso dello squilibrio e le possibili implicazioni, anche somatiche, profonde. Su piani più sottili e in analogia con il significato di costruttore del corpo di ogni creatura, Toro si esprime nelle dinamiche sostenute dagli attaccamenti di cui la persona è portatrice e che descrivono tanto gli ambiti dai quali trae il suo nutrimento interiore, quanto le dimensioni nelle quali si rifugia quando si sente minacciata. L’inerzia, a volte misericordiosa, del più greve tra gli elementi può così manifestare la sua doppia funzione di resistenza passiva al cambiamento e di attiva partecipazione al mantenimento dei risultati conseguiti, impedendo che comportamenti avventati mettano a repentaglio la stabilità personale. Il complesso psichico attorno al quale orbitano tutte queste dinamiche è infatti costituito da un atteggiamento conservativo rivolto all’accrescimento di ciò che si è e di ciò che si ha, che quindi inclina ad assommare, a includere e a integrare senza soluzione di continuità, alla ricerca di uno stato di sicurezza che sia testimoniato dalla presenza concreta di rassicuranti, in quanto permanenti, risultati. Una ricerca così orientata alla sicurezza è evidentemente motivata da un’emotività molto sensibile alle sensazioni provate che, amplificate dalla particolare attenzione al mantenimento del proprio stato, risuonano interiormente e si riflettono nel corpo con estrema facilità e in modo viscerale. Questo intenso coinvolgimento induce quindi una prima disposizione difensiva ma successivamente, in ragione della necessità di includere e integrare il cambiamento e di determinare un nuovo e stabile equilibrio, questo atteggiamento si risolve nel senso attrattivo della seduzione, tesa a richiamare a sé il desiderio al fine di educarlo, ammansirlo e renderlo compatibile con la propria natura. L’affettività, nell’accezione più radicale e istintiva, trova in questo segno di terra la sua rappresentazione più netta e il coinvolgimento anche fisico che questo comporta trova espressione nella sensualità, in quella magica suggestione che induce Marte ad abbandonare le armi e a riconoscere il proprio valore nella relazione feconda con Venere. Successivo al cambiamento portato da Ariete e propiziando il sorgere di Gemelli, che già preannuncia l’avvento dell’estate, è in virtù di queste qualità e modalità che a Toro è assegnata la centralità del periodo primaverile, così accrescitivo e ricco di magnetismo vitale. Per questa ragione, come tutti i segni che si trovano in analoga posizione, viene indicato come solido, ovvero stabilmente coerente con le proprietà tipiche della stagione di appartenenza, in ragione delle particolari condizioni in cui versa la solarità in quel periodo dell’anno.
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9 Le piante
Coerentemente con quanto spiegato nella prima parte del libro, i rimedi descritti in questa sezione sono distinti secondo la loro segnatura planetaria. Ogni pianta è quindi presentata attraverso il nesso analogico che intercorre tra la sua segnatura planetaria e zodiacale che la contraddistingue e gli ambiti costitutivi individuali. Vengono così a specificarsi le particolari relazioni di appartenenza del vegetale in base ai seguenti elementi: • nome botanico; • parti utilizzate; • luminari, in ragione delle qualità della segnatura planetaria primaria; • principi, in quanto i segni fanno parte del sale, del solfo o del mercurio filosofico dello zodiaco; • elementi, in relazione alla segnatura elementare dei segni zodiacali indicati; • segnatura planetaria primaria, in riferimento alla funzione o genio planetario di cui la pianta è principalmente portatrice; • segnatura planetaria secondaria, in riferimento alla funzione o genio planetario (che possono anche essere in numero maggiore di uno) di cui la pianta è ulteriormente portatrice; • segnatura zodiacale, in relazione ai segni zodiacali a cui si applica l’attività dei geni planetari indicati; • relazioni energetiche, in base all’appartenenza dei segni zodiacali al percorso dell’energia sa, nw o acht, e alle relazioni soli-lunari e magnetiche dei segni zodiacali; • proprietà, relative alle virtù attribuite alla pianta; • indicazioni, inerenti all’idoneità del rimedio in relazione alla sua attività sul piano fisico, emotivo e mentale.
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Fondamenti di spagyria
ACACIA Nome botanico ed etimologia Robinia pseudoacacia L. Dal greco akakia, candido, puro, innocente. Robinia da Jean Robin che la importò nel 1610 Parti utilizzate • Fiori Luminari • Sole filosofico • Luna filosofica Principi • Solfo filosofico • Mercurio filosofico Elementi • Terra • Acqua Segnatura planetaria primaria • S (apparato respiratorio, intestino tenue, circolazione venosa e linfatica, sistema nervoso periferico, cute, sistema immunitario, pancreas) Segnatura planetaria secondaria • V (fegato, organi sessuali maschili, sistema nervoso autonomo, ipofisi e ipotalamo) • Q (cuore, arterie, pressione arteriosa, vista, vitalismo) Segnatura zodiacale • F (intestino tenue, peritoneo) • L (sistema neurovegetativo, colon, seno) Relazioni energetiche • Energia acht: C, L, F, E • Relazioni soli-lunari: E, C • Relazioni magnetiche: L, F
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9. Le piante
Proprietà • Antinfiammatoria • Antispastica • Analgesica • Decongestionante • Colagoga • Tonica
Mercurio S
Indicazioni • Ambito fisico: dispepsia, spasmi viscerali, infiammazioni delle mucose, stasi epatica, meteorismo, stitichezza, distonia • Ambito emotivo: insicurezza • Ambito mentale: mancanza di selettività, carenza di senso critico
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Fondamenti di spagyria
ACHILLEA Nome botanico ed etimologia Achillea millefolium L. Dal greco achilleys, immortale, dal latino millefolium, dalle tante foglie Parti utilizzate • Fiori Luminari • Sole filosofico • Luna filosofica Principi • Mercurio filosofico Elementi • Aria Segnatura planetaria primaria • S (apparato respiratorio, intestino tenue, circolazione venosa e linfatica, sistema nervoso periferico, cute, sistema immunitario, pancreas) Segnatura planetaria secondaria • R (stomaco, duodeno, sistema nervoso centrale, gonadi) Segnatura zodiacale • K (sistema linfatico, sistema venoso periferico, epifisi, pancreas) Relazioni energetiche • Energia sa: K, J, D, E • Relazioni soli-lunari: D • Relazioni magnetiche: I Proprietà • Antiemorragica • Antispastica • Vasodilatatoria
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9. Le piante
• Regolarizzante il ciclo femminile • Tonica
Mercurio S
Indicazioni • Ambito fisico: malattie venose e dei capillari, affaticamento, linfatismo, irregolarità del ciclo femminile, sindrome climaterica, dispepsia, atonia gastrica • Ambito emotivo: eccessiva permeabilità agli stati d’animo altrui • Ambito mentale: presunzione della propria indispensabilità
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Fondamenti di spagyria
AGLIO Nome botanico ed etimologia Allium sativum L. Dal celtico al, caustico, caldo, bruciante. In sanscrito buthagna, uccisore di mostri Parti utilizzate • Bulbilli Luminari • Sole filosofico Principi • Sale filosofico • Solfo filosofico • Mercurio filosofico Elementi • Terra • Aria • Fuoco Segnatura planetaria primaria • U (sangue, pericardio, genitali femminili, vescica urinaria, uretra, sigma, retto, ano, vescica biliare, tiroide e paratiroidi) Segnatura planetaria secondaria • V (fegato, organi sessuali maschili, sistema nervoso autonomo, ipofisi e ipotalamo) • Q (cuore, arterie, pressione arteriosa, vista, vitalismo) Segnatura zodiacale • A (bocca, sangue, pericardio) • B (gola, lingua, faringe, laringe, corde vocali) • E (cuore, arterie, pressione arteriosa) • F (intestino tenue, peritoneo) • G (reni, tubuli contorti, equilibrio idrosalino, surreni) • I (fegato, organi sessuali maschili, ipofisi-ipotalamo) • J (cistifellea, milza, corpo calloso, cervelletto)
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9. Le piante
Proprietà • Antibatterica • Antivirale • Ipotensore • Diuretica • Ipoglicemizzante • Antielmintica • Tonica Indicazioni • Ambito fisico: ipertensione, arteriosclerosi, disturbi circolatori, patologie infettive, asma, bronchite, enfisema polmonare, iperglicemia, litiasi biliare, dispepsia, astenia • Ambito emotivo: paura, scoramento, sfiducia • Ambito mentale: mancanza di volontà e determinazione, vittimismo
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Marte U
Relazioni energetiche • Energia sa: K, J, D, E • Energia nw: H, G, A, B • Energia acht: C, L, F, B, E • Relazioni soli-lunari: B, A, F, E, H, J, I • Relazioni magnetiche: G, H, C, L, A, K, D
Fondamenti di spagyria
ANGELICA Nome botanico ed etimologia Angelica archangelica L. Dal greco angelos, messaggero, e archein, essere il primo Parti utilizzate • Radici Luminari • Sole filosofico • Luna filosofica Principi • Sale filosofico • Mercurio filosofico Elementi • Acqua • Aria • Fuoco Segnatura planetaria primaria • Q (cuore, arterie, pressione arteriosa, vista, vitalismo) Segnatura planetaria secondaria • V (fegato, organi sessuali maschili, sistema nervoso autonomo, ipofisi e ipotalamo) • T (gola, laringe, faringe, collo, seno, reni, tubuli contorti, equilibrio idrosalino, surreni) • S (apparato respiratorio, intestino tenue, circolazione venosa e linfatica, sistema nervoso periferico, cute, sistema immunitario, pancreas) • R (stomaco, duodeno, sistema nervoso centrale, gonadi) Segnatura zodiacale • A (bocca, sangue, pericardio) • C (apparato respiratorio, sistema nervoso periferico) • I (fegato, organi sessuali maschili, ipofisi-ipotalamo) • K (sistema linfatico, sistema venoso periferico, epifisi, pancreas) • L (sistema neurovegetativo, colon, seno) 196
9. Le piante
Relazioni energetiche • Energia sa: K, J, D, E • Energia nw: H, G, A, B • Energia acht: C, L, F, E • Relazioni soli-lunari: B, L, J, D, C • Relazioni magnetiche: G, E, K, I, F
Indicazioni • Ambito fisico: astenia, affaticamento, debolezza, impotenza, amenorrea, leucorrea, dispepsia, insufficienza epatica e renale, asma nervosa, bronchite • Ambito emotivo: ansia, senso di smarrimento • Ambito mentale: perdita di motivazione, dubbi esistenziali
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Sole Q
Proprietà • Antisettica • Digestiva • Spasmolitica • Diuretica • Emmenagoga • Tonica
Riferimenti bibliografici
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Fondamenti di spagyria
Paracelso, Paramirum, Edizioni Enea, Milano, 2012 Pernety Antoine Joseph, Dizionario mito-ermetico, Phonix, Genova, 1985 Piankoff Alexandre, Il significato di cuore nella letteratura dell’Antico, Medio e Basso Egitto, traduzione privata, www.spagyria.info Platone, Timeo, Mondadori, Milano, 1994 Stefani Stefano, Conti Carlo, Vittori Marco, Manuale di medicina spagyrica, Tecniche Nuove, Milano, 2008 Tosi Mario, Dizionario enciclopedico delle divinità dell’Antico Egitto, Ananke, Torino, 2006 Trismegisto Ermete, Corpus Hermeticum, Bur, Milano, 2001 Zolla Elémire, Archetipi, Marsilio, Venezia, 2005
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La visione olistica dell’uomo e dell’intero creato ha radici tanto profonde
Carlo Conti, ricercatore e operatore
che ci riportano a un passato remoto, quando arte, scienza, filosofia e
Spagyrico,
spiritualità, anziché essere vissute e teorizzate quali dimensioni contra-
laureato in Scienze e Tecniche Psicolo-
stanti e antitetiche, erano riconosciute come aspetti complementari e necessari alla nostra ricchezza. Questo approccio conoscitivo, e le particolari modalità operative attraverso cui veniva praticato, costituirono allora, e ancor oggi costituiscono,
Naturopata-Heilpraktiker,
giche, svolge attività professionale di consulenza e di docenza sui temi inerenti la Medicina Tradizionale Occidentale e
la struttura portante dell’alchimia e, in quanto sua specifica espressione
le sue applicazioni terapeutiche.
in senso terapeutico, della stessa spagyria.
Collabora con case editrici e riviste per
Il principio di questa arte consiste infatti nel giungere a “conoscere la
la pubblicazione di articoli e testi sulla
marcia del cuore, conoscere il cuore” della persona per poterla soste-
spagyria e, più in generale, la medicina
nere nel suo percorso di crescita e di guarigione, valutazione possibile
complementare.
quindi solo in virtù della comprensione della sua interiorità e grazie alla chiara visione del “cielo interiore” che la contraddistingue, in cui le forze di cui siamo costituiti compiono i loro movimenti e svolgono le loro funzioni in analogia con le corrispondenti presenze celesti.
Ha curato e tradotto il Paramirum. Trattato sulle cinque cause di malattia di Paracelso (Edizioni Enea).
In pieno disaccordo con le insidiose “sirene” che a livello culturale vanificano l’attenzione di chi avverte l’insufficienza e i limiti della mentalità attuale, prospettando l’abbandono acritico a sedicenti pratiche misteriosofiche che distraggono da un possibile e necessario percorso di consapevolezza, il testo si propone, attraverso un’esposizione organica della disciplina, di fornire le basi conoscitive e le indicazioni necessarie per iniziare a praticare quest’arte, questa filosofia e questa scienza che racchiude in sé, a tutti gli effetti, la feconda attualità dell’antica medicina energetica delle civiltà del Mediterraneo.
ISBN 978-88-6773-035-3
EDIZIONI
29,00 € 9 788867 730353
www.edizionienea.it www.scuolasimo.it