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1. Gli oli essenziali e le piante

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Prefazione

Prefazione

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Gli oli essenziali e le piante

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Esistono numerose teorie sulle funzioni svolte dagli oli essenziali nelle piante e sono tutte molto controverse. Alcuni, erroneamente, arrivano a pensare che sia un prodotto di scarto del metabolismo della pianta. La verità è che ancora oggi molte delle funzioni svolte dagli oli essenziali rimangono un mistero. Sono stati chiamati “anima” o “essenza” delle piante per sottolineare l’importanza della loro presenza.

Questo argomento è stato a lungo dibattuto, le ricerche hanno riguardato soprattutto le proprietà farmacologiche degli oli essenziali e meno il motivo per cui le piante li producono. Alcune ragioni sono note: • per difendersi dai batteri, funghi e altri microrganismi infestanti; • per difendersi dalle aggressioni da parte di insetti e animali erbivori; • per favorire l’impollinazione, attirando insetti, mammiferi e uccelli; • per riuscire a sopravvivere in ambienti difficili e competitivi, alcuni oli sono riversati sul suolo circostante e impediscono la crescita di altre piante; • per prevenire la disidratazione in ambienti molto secchi, gli oli circondano con un alone di vapore le parti della pianta e impediscono alla pianta di perdere troppa acqua; • per comunicare con l’esterno.

Effetti degli oli essenziali sul metabolismo delle piante, “ormoni verdi”

Gli oli essenziali sono stati definiti come il sangue vitale di una pianta, circolano attraverso i tessuti e penetrano la membrana delle cellule trasportando all’interno i nutrienti e portando all’esterno i prodotti di scarto. È ben nota la loro capacità di favorire l’ossigenazione delle cellule e di detossificare. La loro funzione si estende sia alle cellule, sia alla matrice. L’azione di pulizia e rinnovamento sul liquido interstiziale favorisce a sua volta un processo di rinnovamento profondo. Agiscono inoltre sui siti di ricezione dei più disparati inquinanti e detossificano da residui petrolchimici, farmaceutici e dai metalli pesanti. L’azione chelante nei confronti di metalli tossici e altre tossine, è completata da una funzione di incremento della resistenza nei confronti della tossicità indotta da queste sostanze. Infine incrementano la possibilità di assorbimento di vitamine, sali minerali e altri nutrienti. Uno studio americano condotto in Bulgaria ha dimostrato come alte concentrazioni di metalli pesanti presenti nel terreno, come cadmio, piombo, manganese e zinco, non portino alla presenza di questi stessi metalli nell’olio essenziale.

Gli oli essenziali agiscono come degli ormoni, regolando le funzioni e orchestrando la produzione di vitamine e minerali. Agiscono come messaggeri e supervisori all’interno della pianta e aiutano a coordinare le attività di base.

Quando gli oli essenziali vengono utilizzati su di un essere umano agiscono nello stesso modo. Possono agire come ormoni, peptici, neurotrasmettitori, steroidi, enzimi, vitamine, ligandi.

Oli essenziali per la protezione della pianta

Gli oli essenziali proteggono le piante in molti modi. Uccidono virus, batteri, funghi e parassiti che potrebbero nuocere. Allontanano insetti, rettili, uccelli ed erbivori che potrebbero divorare l’intera pianta. Agiscono da erbicidi impedendo ad altre piante di crescere troppo vicine, evitando così un’eccessiva competizione per la luce o i nutrienti presenti nel suolo. Impediscono a semi di altre specie di germogliare nelle vicinanze, per presidiare meglio il territorio, ad esempio le piante che colonizzano i deserti crescono ad una distanza minima le une dalle altre, le risorse idriche sono molto limitate e l’eccessiva prossimità potrebbe compromettere la sopravvivenza. Alcuni arbusti essudano un olio attraverso le radici proprio per prevenire la germinazione di altre piante all’interno del loro diametro di sopravvivenza.

Le capacità difensive degli oli essenziali sono sia dirette, che indirette. Le piante sane di pomodoro quando vengono attaccate da alcuni vermi secernono un olio volatile che attira alcune specie di vespe che si nutrono proprio dei vermi, liberando così le piante dal loro assalto. Questo processo non avviene se le piante vengono trattate con sostanze sintetiche (come i classici antiparassitari) e se il suolo è contaminato da fertilizzanti industriali. La pianta del tabacco attua lo stesso meccanismo. Anche la pianta di una specie di fagioli sudamericani ricorre alle vespe per liberarsi dall’aggressione di alcuni parassiti. Questi esempi sono solo alcuni tra le migliaia di casi, la relazione che si viene a creare tra una pianta e il suo olio essenziale, con insetti e altri animali amici, è oggi allo studio degli scienziati per identificare forme di lotta biologica per l’agricoltura, al fine di evitare il massiccio ricorso ai prodotti chimici impiegati.

Oli essenziali per la regolazione del microclima

Un effetto inaspettato degli oli essenziali in natura è quello di agire sul microclima. L’olio essenziale contenuto in alcune piante del deserto modifica l’ambiente circostante creando un micro-clima più umido e con una temperatura di parecchi gradi inferiore.

Le molecole terpeniche, soprattutto i tertraterpeni, abbassano le frequenze della luce solare visibile al livello di infrarossi e le riemettono sotto forma di calore, prevenendo il danneggiamento che può risultare da alcune trasformazioni fotochimiche indotte dalla luce. Platyphyllolo è un ottimo agente bloccante per i raggi ultravioletti.

Un altro esempio dell’azione sul microclima è rappresentato dalla capacità degli oli essenziali di creare una sorta di zona contenitiva dell’umidità, preservando così l’idratazione. Le Smoky Mountains negli USA devono il loro nome ad una sorta di “fumo” che sembra avvolgere la vegetazione, questo fumo in realtà è costituito dalle microgocce degli oli essenziali che vengono prodotti dalle piante e che avvolge come una coperta le vallate preservando l’umidità e rendendo l’aria purissima.

Così come alcuni oli essenziali hanno il compito di proteggere le piante dalla troppa luce e dal calore, altri svolgono l’azione contraria. Gli oli essenziali che contengono furani (C 4 H 4 O) possono amplificare l’azione degli ultravioletti, come farebbe una lente. I furani sono presenti in quantità negli agrumi e nei frutti in corso di maturazione, hanno infatti la funzione di accelerarne la maturazione e di aumentarne il tenore in zuccheri. Una volta che

i frutti sono giunti a maturazione il quantitativo di furani decresce fino a scomparire, poiché se la loro azione continuasse si arrecherebbe un danno ai frutti, portandoli a marcire.

Oli essenziali per la cicatrizzazione e la rigenerazione delle lacerazioni

Quando le piante vengono tagliate, spezzate o in altri modi danneggiate, secernono delle particolari resine per riparare la parte interessata. Nelle resine sono sempre presenti dei composti aromatici che hanno la funzione di difendere la pianta dalle infezioni e nello stesso tempo di favorire i processi di rigenerazione e cicatrizzazione.

Gli oli essenziali possono svolgere le stesse funzioni sui nostri tessuti, sono eccellenti antisettici e promuovono la riparazione dei tessuti.

Oli essenziali per il richiamo di insetti

Gli Egizi avevano notato che il profumo dei fiori attirava gli insetti permettendo, con il loro girovagare di calice in calice, l’impollinazione di altri esemplari e la riproduzione. Dalla constatazione che alcune piante dal profumo dolce invitavano le api a visitarle per poi lavorare il miele, nacque il nome proprio della melissa. L’olio essenziale lavora in modo estremamente selettivo e, se attira gli insetti utili, tende a respingere gli insetti nocivi per la piante.

I profumi sono, infatti, dei messaggeri alati che le piante utilizzano per comunicare con l’esterno. Le piante sono immobili, o per meglio dire, sono ancorate al terreno e non possono spostarsi per trasferirsi in luoghi più promettenti o ricchi di opportunità. Alcune piante possono autoimpollinarsi, avendo parti sia maschili, che femminili. La maggior parte delle piante tuttavia non possiede questa caratteristica o vi rinuncia per ottenere un miglior risultato, sia qualitativo, che quantitativo. Nel corso dell’evoluzione le piante hanno sviluppato meccanismi diversi per favorire la riproduzione e consentire alla loro specie di propagarsi. La prime piante apparse sulla terraferma probabilmente non erano profumate, o se lo erano non usavano il profumo come mezzo per facilitare le riproduzione. Le felci affidavano la loro discendenza alle spore e all’acqua, i muschi ricorrevano all’acqua e al vento. Alcune piante avevano realizzato una sorta di rivoluzione, inventando il polline che veniva affidato al vento. Durante il processo di impollinazione il polline viene trasferito dagli stami di un fiore allo stigma di un altro fiore della stessa specie. Per poter produrre i semi, i fiori devono essere impollinati. Per facilitare la dispersione del polline e spingerlo il più lontano possibile, alcune specie, come le conifere, avevano applicato delle sacche d’aria per portarlo nel cielo. I granuli pollinici potevano salire fino a 5000 metri di quota ed oltre, per poi atterrare anche a centinaia di chilometri di distanza spinti dai venti e dalle correnti atmosferiche. Questo era un fantastico sistema per giungere in terre lontane e colonizzare le aree adatte. Di certo molti pollini non raggiungevano mai una zona in cui attecchire e quindi bisognava affidarsi alla grandezza dei numeri, miliardi e miliardi di pollini dovevano essere sparsi per il mondo. Lo sforzo per produrre così tanti messaggeri è notevole, oggi in Europa un centimetro quadrato di terra riceve in media 27 mila granuli di polline all’anno, e questo numero è solo una minima frazione di quello che avveniva in passato. Non v’è dubbio che gli insetti che avevano cominciato a nutrirsi di polline sul suolo, piuttosto che raccogliere quello sparso dal vento, andarono a cercarlo là dove ce n’era in maggior abbondanza, cioè nei fiori. L’insetto che saccheggia il polline reca alla pianta un ovvio danno, compensato però dall’involontario trasporto di una parte di esso sullo stigma dei fiori di altri individui della stessa specie, visitati in un secondo momento.

Il trasporto di polline su fiori distanti migliora la panmissia a condizione però che il fiore sia ermafrodito, poiché il trasporto del polline da un fiore maschile a un altro fiore maschile non serve a nulla. Il polline che si trova ad essere trasportato da insetti, uccelli o altri animali, che vengono definiti impollinatori, diventa quindi una merce di scambio. I fiori attirano gli impollinatori con i loro colori brillanti, la dimensione e la forma dei loro petali, con vari profumi e con il dolce nettare.

Una cosa particolarmente interessante sul colore dei fiori è il fatto che assumono una colorazione diversa quando vengono osservati sotto la luce ultravioletta. Gli insetti impollinatori riescono a vedere lunghezze d’onda di luce diverse da quelle percepite dall’occhio umano. Il colore di un fiore può apparire un colore totalmente diverso alle api e alle farfalle rispetto a come appare a noi. Il polline e il nettare sono un cibo prezioso per gli impollinatori. Ci sono piante che si servono di coleotteri per l’impollinazione e normalmente hanno poco nettare o non ne hanno affatto, attraggono gli impollinatori con enormi quantità di polline che in gran parte viene mangiato dagli insetti stessi. Ad esempio nel genere magnolia, i grandi fiori primitivi dall’odore intenso sono impollinati da coleotteri attirati dall’odore del polline, e negli encephalartos il polline viene trasportato da insetti attratti dal tremendo fetore degli strobili maschili. Per aumentare le possibilità di riuscita alcune piante, come le cicadaceae, introdussero dei miglioramenti al polline, rendendolo appiccicoso e profumato. Questi profumi ricordavano probabilmente quello della carne in decomposizione, poiché erano indirizzati ad attirare dei coleotteri specializzati nel nutrirsi di materia organica in decomposizione. I coleotteri attirati dall’aroma trovavano delle strane sferette con cui nutrirsi e ripartivano portandosi dietro grani di polline che raggiungevano molto più facilmente di prima la meta. Ancora oggi alcune piante appartenenti alle aracee e stapelieae attirano le mosche con odori di carne o pesce marcio. La rafflesia è un genere che raggruppa una ventina di specie, le piante di rafflesia non hanno foglie e consistono principalmente di un fiore a cinque petali, con un diametro che può superare il metro e con un peso che può raggiungere i 10 chilogrammi. I fiori odorano di carne in putrefazione e attirano così molti insetti che normalmente si nutrono di carcasse. Alla sua fioritura le mosche vi si precipitano dirigendosi verso un foro oscuro che si apre al centro della corolla carnosa, variante dal rosso carne al violaceo della putrefazione. Il suo odore nauseabondo le affascina completamente e dopo ampie e numerose manovre interne se ne vanno cosparse di polline.

L’amorphophallus titanum, scoperto a Sumatra nel 1878 da un esploratore naturalista fiorentino, Odoardo Beccari, presenta la più grande struttura floreale del mondo: larga oltre 1 metro, alta fino a 3 metri e pesante fino a 70 chilogrammi. Attira i coleotteri con il suo ributtante odore di cadavere. In alcuni casi le piante sono dei veri e propri trabocchetti spietati. Negli arum conophalloides delle zone temperate centinaia di minuscoli fiori si allineano lungo un asse centrale terminante in una clava carnosa, il tutto avvolto da una larga spata più o meno fittamente punteggiata di porpora. Emanano un odore nauseabondo che attira mosche e moscerini. Un complicato gioco di fiori maschili, femminili e sterili che sbocciano in tempi diversi, e la spata, che impedisce agli insetti di andarsene, rendono la fecondazione incrociata quasi inevitabile. L’arum attira solo le femmine di certi moscerini che succhiano il sangue, assumendo pertanto l’odore della pelle delle vittime di tali insetti.

La stapelia grandiflora, fiore sudafricano a forma di stella marina e dall’odore di carne in putrefazione, attira moscerini che depongono le uova indifferentemente negli ovari di

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