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I magnifici cinque

tali fiori, nei cadaveri e negli escrementi. La giovane larva che nasce all’interno del fiore non trovando nutrimento vi muore. Come se non bastasse, l’odore nauseante di questi fiori, scompare subito dopo la fecondazione. La stapelia quindi riceve senza dare nulla in cambio e per di più lascia morire la prole dei suoi visitatori, nonostante le rendano il servizio di impollinarla. Le vistose corolle della victoria amazzonica, la più grande delle ninfee del sudamerica, imprigionano i coleotteri per una notte. Questa pianta fiorisce una volta all’anno per due notti: la prima notte il fiore è bianco e ha un forte odore di ananas, la seconda notte il fiore è rosa scuro e ha perso l’odore, la terza notte il fiore muore. L’aroma di ananas attira nel fiore quanti più insetti possibile, il fiore si richiude trattenendo gli insetti all’interno impregnandoli di polline. Il giorno seguente gli insetti vengono liberati e vanno in giro per il mondo a spargere il loro carico.

La ricerca di validi collaboratori all’impollinazione porta alla “scoperta” di api e farfalle, che non devastano le corolle e sono disponibili in gran numero. Il profumo sempre più intenso e gradevole, diventa allora un importante elemento pubblicitario per il nettare, il pasto sostanzioso e incruento. Per non sprecare tempo e profumo, molte piante ne regolano l’emissione secondo le abitudini dei collaboratori, il tiglio e il caprifoglio profumano di sera, l’hoya carnosa, alcuni gerani e il gelsomino di notte, le rose al mattino e il ligustro a mezzogiorno. È un grande vantaggio evolutivo per una pianta profumare di più quando il proprio impollinatore è più attivo, infatti grazie a questa strategia, non universalmente adottata, è possibile risparmiare energia ed evitare la visita inefficace di impollinatori generici che disperderebbero inutilmente il polline. Si potrebbe costruire un orologio basato sulle fragranze dei fiori.

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Gli insetti percepiscono i profumi in maniera molto più intensa di noi; infatti, grazie alle loro antenne possono vederli, palparli, sentirli. Al maschio del baco da seta basta una sola molecola di bombicol, la sostanza emessa dalla femmina, per individuarne con esattezza la posizione a chilometri di distanza.

Osservando come un insetto vola verso un fiore si capisce come segua la scia olfattiva, attraverso linee convergenti sui petali, le scie di profumo indicano il percorso, e cosa deve essere fatto affinché l’impollinazione avvenga correttamente. Nelle grosse campanule e nei bianchi convolvoli, l’atterraggio degli insetti è guidato solo dal profumo, e negli ippocastani i vecchi fiori hanno un odore diverso dai nuovi, per segnalare subito agli insetti dove il nettare è più abbondante. I segnali olfattivi sono mirabilmente rinforzati dai visivi, perché le grandi macchie gialle dei fiori freschi virano parallelamente al rosso, nei narcisi i petali bicolori presentano due profumi diversi, per meglio indicare la strada del nettare. Le orchidee giungono alla creazione d’autentici profumi erotici e alcune non disdegnano l’inganno, come i fiori di un genere australiano, il drakea, che imitano perfettamente, nei dettagli, nella forma, nel colore e nel richiamo odoroso, quello delle femmine di certe specie di vespe.

Il profumo è l’elemento portante dell’inganno, perché anche tagliuzzando i petali fino a renderli irriconoscibili, le vespe maschio vi si gettano sopra come sulle vere femmine. Un’altra orchidea, la coryanthes, ha legato a sé, in modo analogo i maschi di alcune api americane che hanno bisogno del suo profumo per fabbricare i loro ormoni sessuali. Queste api sono costrette a un tuffo in una vasca colma di un liquido vischioso, e al passaggio in uno stretto tunnel dove si vedono accollare o prelevare due sacche di polline. Un’altra orchidea latino-americana, il catasetum, dona all’insetto un profumo già pronto per attirare le femmine, basta solo raccoglierlo con i peli delle zampe, condensarlo in una cavità pre-

disposta allo scopo, e vaporizzarlo con le ali per sedurre le compagne. I fiori delle labiate (lavanda, salvia, menta) e di molte altre specie offrono all’insetto impollinatore un posatoio congegnato in modo tale che, mentre esso sugge il nettare, le antere lo spolverano di polline.

La specializzazione entomofila dei fiori è poi andata progredendo: i fiori richiamano gli impollinatori grazie ai petali colorati e profumati aventi forme ben riconoscibili a distanza e offrono, a quegli insetti che non mangiano polline, abbondante liquido zuccherino, il nettare. Presso molte farfalle l’apparato buccale si è modificato in modo da poter suggere questo liquido. I fiori giallo oro della buddleja, dal profumo di miele, attirano moltissime farfalle. I sirfidi tra i ditteri e gli sfingidi tra le farfalle grazie alla lunga proboscide suggono il nettare da fiori che non offrono appoggio al loro corpo, alcuni riescono persino a volare all’indietro. I primi volano in pieno sole, mentre i secondi volano solo al crepuscolo attirati dall’intenso profumo e dall’abbondante nettare dei fiori che schiudono all’imbrunire apposta per loro.

La fragranza dei fiori è specifica per ogni pianta e costituita da una miscela di piccole molecole volatili che appartengono per lo più a tre gruppi di composti: fenilpropanoidi/ benzenoidi, terpenoidi e derivati degli acidi grassi. La concentrazione di ogni singolo composto è determinante: due fragranze diverse possono contenere concentrazioni diverse di composti uguali e uno stesso composto può avere un odore disgustoso ad elevata concentrazione e un profumo piacevole a concentrazioni molto più basse. La fragranza dei fiori può variare sia quantitativamente che qualitativamente nel corso della vita del fiore stesso, in funzione dell’età, dello stato di impollinazione o delle condizioni ambientali; ad esempio la temperatura incide sensibilmente sul livello di emissione di composti volatili. Smettere di attirare impollinatori una volta avvenuta l’impollinazione serve a preservare intatto il fiore fecondato e ottimizza l’azione degli impollinatori attirati solo da fiori non ancora impollinati. Questa regolazione avviene per diretta modulazione del processo di emissione o per semplice senescenza e perdita delle parti “profumate” del fiore, i petali, lo stigma o lo stilo. Poiché gli impollinatori non specifici potrebbero supplire all’eventuale scarsità degli impollinatori prediletti, è stata formulata l’ipotesi che alcuni composti vengano emessi per attirare gli impollinatori specifici, altri per gli impollinatori generici e altri, in alcuni fiori, per respingere i visitatori indesiderati. È stato riscontrato spesso che le piante impollinate da insetti attivi di giorno, come le api, emettano il profumo di giorno, mentre i fiori visitati da insetti notturni, come le falene, profumano soprattutto di notte. Si credeva che l’emissione di profumo fosse modulata dalla luce, almeno per le piante profumate durante il giorno. Di recente è stato pubblicato uno studio sulla regolazione circadiana dell’emissione di profumo della bocca di leone, un fiore ad impollinazione diurna. Questo fiore ha un picco di emissione di fragranza durante il giorno, tra le 9.00 e le 16.00, in corrispondenza del momento di massima attività del calabrone, il suo impollinatore. Dall’analisi dell’emissione del metilbenzoato, che è il principale componente del profumo della bocca di leone, in condizioni di fotoperiodo normale (con 12 ore di luce e 12 ore di buio alternate), in luce e buio costante e in condizioni di fotoperiodo alterato (luce e buio invertiti), si è dedotta la natura circadiana dell’emissione. I ritmi che si accordano approssimativamente con il tempo di rotazione terreste (hanno cioè una periodicità di circa 24 ore) e che persistono in assenza di stimoli esterni vengono detti circadiani. I ritmi circadiani, presenti nella maggior parte degli eucarioti e in alcuni procarioti, sono controllati da un oscillatore endogeno definito “orologio circadiano” che permette agli organismi di anticipare i cambiamenti ritmici dell’ambiente e di accordare di conseguenza il loro stato fisiologico. Un orologio circadiano per

essere efficace deve poter aggiustare il proprio ritmo a quello dell’ambiente rispondendo ad esempio a variazioni di luce, temperatura o disponibilità di nutrienti.

La sincronizzazione tra la profumazione dei fiori e l’attività degli impollinatori è un sorprendente esempio di coevoluzione. Il profumo dei fiori è un aspetto della biologia delle piante che molto spesso viene trascurato e resta complicato definire quantitativamente la composizione chimica dei profumi. Negli ultimi anni sono stati compiuti molti progressi per decriptare le basi genetiche di quello che è un vero e proprio linguaggio dei fiori.

A ben vedere l’uomo fa lo stesso e viene da chiedersi come mai, dei profumi elaborati dalle piante per gli insetti, cento milioni d’anni fa, attirino tanto la specie umana, vecchia solo di 5 milioni di anni.

Oli essenziali che attirano uccelli e mammiferi

I fiori impollinati dagli uccelli sono colorati, grandi e con forme appariscenti, come è il caso della passiflora. I colibrì (uccelli mosca) impollinano le orchidee, le bromeliacee e talune solanacee delle foreste pluviali del Nuovo Mondo, essi hanno sviluppato una tecnica di volo che permette loro di stare sospesi e di fare marcia indietro, grazie al becco stretto e curvo riescono a raggiungere il nettare e mentre si nutrono si cospargono di polline.

Attirare gli uccelli è abbastanza facile, ma fare in modo che non si appoggino è tutto un altro discorso. Realizzare fiori sgargianti e di grossa taglia, ben visibili fra il verde delle foglie, richiede uno sforzo considerevole per le specie di taglia modesta. Inoltre gli uccelli possono arrecare dei danni agli ovari della pianta, esaurire troppo rapidamente il nettare, o rovinare altre strutture. Per ridurre il rischio di solito le piante nascondono gli ovari con cura in fondo alle corolle, dove le probabilità di essere mangiati sono minori. Alcune piante adottano la strategia opposta, come le passiflore, che mettono l’ovario ben in mostra su un lungo peduncolo. Confusi dalle forme insolite, distratti dalle linee che conducono lontano dall’ovario, verso il nettare, e soprattutto costretti a dover restare in volo, sospesi per la mancanza di punti d’appoggio, gli uccelli non lo notano nemmeno.

La collaborazione con i colibrì è sorprendente, i fiori mostrano una struttura complessa in cui il calice e la corolla, parzialmente saldati, formano una coppa colma di nettare, dall’ingresso ostruito da una serie di “tentacoli” convergenti che indicano la strada per raggiungerlo, ma allo stesso tempo impediscono agli insetti di farlo. La posizione delle antere, fatte per spennellare di polline la testa dei colibrì, non andrebbe bene per le api, e poi si verrebbe a creare una sorta di competizione che non gioverebbe alle passiflore.

Alcune passiflore hanno quindi scelto di puntare solo sui colibrì e hanno fabbricato delle fragranze dirette unicamente a loro, ma non si sono limitate a questo. La passiflora vitifolia preoccupata che il suo colibrì non venga molestato da alcune vespe si allea con un esercito di agguerrite formiche, e per attirarle distribuisce lungo gli steli migliaia di zuccherini secreti da microscopiche ghiandole nettarifere, in modo che queste siano sempre di ronda, vigili e pronte a scacciare chiunque vi si posi. Altre specie come la passiflora foetida, con fiori di appena 2 centimetri di diametro, troppo piccoli per i colibrì, ha invece optato per le api, e ostacola le formiche con una foresta di peli appiccicosi. Per sfuggire agli erbivori molte passiflore hanno elaborato anche sostanze tossiche, usate a loro volta come difesa dai pochi insetti che riescono a digerirle.

I fiori impollinati dai pipistrelli sono spesso bianchi o verdastri ed emanano un odore specifico di ammuffito o stantio simile a quello dei pipistrelli, come avviene nel baobab (adansonia digitata) e nella kigelia aethiopica. Alcune ricerche hanno dimostrato che i

pipistrelli durante il volo emettono secrezioni ghiandolari dall’odore acre con funzione di richiamo e di riconoscimento. Il baobab ha dunque “decifrato” questo codice odoroso e lo ha ricreato per attirali e fargli trasportare il suo polline. Per favorirli i fiori del baobab sono ricadenti con numerosi stami e antere, ben posizionati fuori dalle foglie.

Profumi per trappole mortali

Una pianta viene definita “carnivora” se è capace di attirare, catturare, uccidere e digerire forme di vita animale. Ci sono molte piante che compiono alcune di queste azioni, ma non tutte, e quindi non sono chiamate carnivore. Per esempio i fiori che attirano insetti ed altri animali per l’impollinazione, o le piante che intrappolano temporaneamente gli insetti per permettere un’impollinazione più efficiente. Alcune piante, come quelle appartenenti ai generi americani ibicella e proboscidea, intrappolano e uccidono gli insetti con le loro foglie appiccicose, ma non digeriscono le prede, assorbono i nutrienti tramite le radici o le foglie e si possono definire semi-carnivore.

Le piante carnivore occupano una zona al confine tra le forme di vita autotrofe e quelle eterotrofe. Autotrofa è una forma di vita che può vivere accontentandosi di molecole molto semplici che non sono precedentemente metabolizzate da altre forme di vita, la stragrande maggioranza delle piante sono autotrofe, in quanto hanno bisogno solo di acqua, anidride carbonica, luce e di minerali per crescere e riprodursi. Eterotrofa è una forma di vita che ha bisogno di molecole organiche complesse precedentemente metabolizzate da altre forme di vita; gli animali sono tutti eterotrofi, così come molti batteri ed alcune categorie di piante (saprofite e parassite). Le piante carnivore beneficiano delle molecole organiche che recuperano dalle loro prede, ma vari esperimenti condotti in laboratorio hanno dimostrato che queste piante crescono anche se non sono nutrite. Sono state descritte quasi 600 tra specie e sottospecie di piante carnivore che si nutrono di insetti, aracnidi, piccoli anfibi, piccoli pesci, piccoli rettili e piccoli mammiferi. Alcune parti delle piante possono essere appiccicose, scivolose, umide o con una forma tale da rendere molto difficile la fuga alla preda. In altri casi ricorrono al movimento per intrappolare le prede. Per poter attirare gli animali di cui nutrirsi ricorrono a forme, colori e soprattutto profumi.

Oli essenziali e feromoni

I feromoni sono molecole che trasportano un messaggio preciso, diretto a una specie di insetti o animali ben individuata, si tratta quindi di molecole altamente specializzate e selettive, che hanno il compito di agire in un modo specifico. Le molecole spesso appartengono al gruppo degli esteri, dei chetoni e delle aldeidi.

Feromone o ferormone è il nome dato a sostanze chimiche, segnali attivi a bassissime concentrazioni che sono in grado di suscitare delle reazioni specifiche di tipo fisiologico e/o comportamentale in altri individui della stessa specie che vengono a contatto con esse.

Un esempio sono i feromoni sessuali che vengono scambiati per contatto o per stimolo olfattivo e che provocano interesse sessuale in un altro individuo.

I feromoni vengono distinti generalmente in quattro classi a seconda dell’effetto provocato: • feromoni traccianti (trace) che rilasciati da un individuo vengono seguiti da appartenenti alla stessa specie come una traccia; • feromoni di allarme (alarm) che vengono emessi in situazioni di pericolo, inducendo un maggiore stato di vigilanza in quanti li captano;

• feromoni innescanti o scatenanti (primer) che inducono nel ricevente modificazioni comportamentali e/o fisiologiche a lungo termine; • feromoni liberatori o di segnalazione (releaser) che scatenano comportamenti di aggressione o di accoppiamento nell’animale che li capta.

Le funzioni svolte dei feromoni sono molteplici, ad esempio i feromoni dell’ape regina inibiscono lo sviluppo degli organi riproduttori delle operaie. In alcuni casi i feromoni agiscono su individui appartenenti a specie diverse, attirandoli per scopi utilitaristici. L’olio essenziale di nepeta cataria contiene nepetalattone, un composto che agisce da richiamo per i gatti maschi. Si tratta dello stesso composto secreto dalle gatte in calore.

Le piante producono numerose sostanze che rappresentano veri e propri messaggi chimici che funzionano in maniera intraspecifica (feromoni), interspecifica (sinomoni o cairomoni) o polivalente tra gli organismi delle catene trofiche e hanno un ruolo determinante nella vita degli insetti. La regolazione con i semiochimici di un sistema tritrofico costituito da piante coltivate, insetti erbivori dannosi (fitofagi) e i loro nemici naturali carnivori (entomofagi) costituisce un mezzo alternativo per proteggere le colture.

Già da tempo numerosi feromoni trovano regolare impiego nella pratica fitoiatrica per monitorare, disorientare e catturare fitofagi in ecosistemi agrari e forestali. L’intercettazione di questi messaggi da parte degli entomofagi, che così localizzano più facilmente il fitofago, è un insospettato ruolo interspecifico che aggiunge una nuova possibilità all’uso dei feromoni. Altri composti chimici, utilizzati dagli entomofagi sono i sinomoni per orientarsi verso la pianta coltivata, e i cairomoni per localizzare e riconoscere il fitofago. Il fatto nuovo è dunque che le piante attirano anche gli insetti carnivori e non solo i dannosi erbivori e gli utili impollinatori. Questa “difesa indiretta” basata sugli entomofagi va ad aggiungersi a quella più nota “difesa diretta” attuata contro i fitofagi con prodotti di vario tipo, repellenti, inibitori o tossici. Da qui la necessità di considerare le interazioni piante-insetti e non solo quelle semiochimiche. Un altro fattore importante per l’efficacia degli entomofagi dipende dal rapporto percettibilità-affidabilità dei semiochimici, poiché in generale un composto facilmente percettibile non è affidabile e viceversa. Il primo caso è quello dei sinomoni, appariscenti per la notevole biomassa dalle piante, ma non necessariamente legati alla presenza del fitofago. Nel secondo caso, i cairomoni forniscono un’informazione precisa circa l’identità e la presenza del fitofago, ma quantitativamente limitata per le modeste dimensioni del medesimo. Il problema è stato tuttavia risolto da molti entomofagi utilizzando i sinomoni indotti dal fitofago e i feromoni sessuali o d’aggregazione che sono, ad un tempo, abbondanti e precisi.

Profumi ed emozioni

L’uomo ha sempre subito il fascino del profumo, fin dai tempi più remoti, uomini e donne hanno utilizzato unguenti, balsami, oli aromatici per il piacere di indossare una fragranza. Anche l’ambiente è stato profumato con incensi, fumigazioni, resine ed erbe aromatiche. Utilizzato per motivi magici, religiosi, medici, estetici o di puro piacere il profumo ha accompagnato l’uomo nel corso dei secoli, raccontando e testimoniando molte cose sulle epoche e sulle genti. La storia dell’umanità è intrecciata indissolubilmente con la storia del profumo. Nulla è cambiato anche oggi, nell’era delle biotecnologie, dell’informatica, delle telecomunicazioni e dei viaggi nello spazio. Una goccia di profumo trasporta in un mondo di sensazioni, stati d’animo, passioni e momenti di benessere. Impossibile elencare tutti i

prodotti che contengono fragranze, le infinite creazioni, i molteplici usi. È pero facile riconoscere un profumo di classe, a base di oli essenziali preziosi, da un profumo dozzinale e banale, basato su poche molecole di sintesi a basso prezzo. Studiando la psicologia e la sociologia delle fragranze appare evidente come alcune persone scelgano la fragranza in base all’occupazione, all’occasione, al momento della giornata. Altre invece adottano una sola fragranza, che li accompagna sempre. In entrambi i casi, la fragranza che entra a contatto con la pelle subisce delle modificazioni che la rendono unica e personale.

I fiori agiscono allo stesso modo, anche se condividono alcune caratteristiche di base, esprimono un’unica individualità. Se si annusano i fiori di un cespuglio di rose, con un naso ben allenato, sarà possibile cogliere una differenza tra i vari fiori. La fragranza cambia anche in relazione al periodo della giornata, alcuni fiori profumano solo di giorno, o solo di notte. Alcuni variano l’intensità. Con il passare del tempo, la stessa pianta modifica il suo profumo, a volte si tratta di ore, o giorni, a volte di anni o secoli.

In questo modo le piante riescono ad interagire con insetti, uccelli, rettili, pesci e mammiferi.

Oli essenziali e funzione nutritiva

L’olio essenziale ha anche una funzione nutritiva. Se si lascia una pianta aromatica al buio per diversi giorni perderà completamente il suo profumo, utilizzato per nutrirsi in mancanza di fotosintesi solare. L’olio essenziale può quindi essere utilizzato come riserva nutrizionale.

Altre forme di comunicazione degli oli essenziali

Una lunga tradizione di studi dimostra che anche le piante provano emozioni, comunicano attraverso i profumi e i colori, entrano in contatto con l’uomo grazie a una misteriosa percezione extrasensoriale. Si è attribuito al profumo dei fiori anche un ruolo in processi vegetativi: questi composti volatili dispersi nell’ambiente potrebbero non solo respingere gli erbivori, attirare i loro predatori o richiamare gli impollinatori, ma anche funzionare come segnali diretti a piante vicine o a parti sane di una pianta infettata per attivare specifici geni di difesa. I modi in cui le piante si proteggono contro insetti nocivi e patogeni utilizzando composti segnale, è l’ambito di studi del chimico Wilhelm Boland, capo del Dipartimento di Chimica Bio-organica all’Istituto Max Planck di Ecologia chimica di Jena, che ha contribuito largamente alla ricerca in questo campo con il suo studio Sopravvivere con gli odori: le piante contro gli erbivori.

Secondo Boland molte piante avvertono il pericolo e reagiscono chiedendo un aiuto e avvisano le piante vicine perché si comportino in modo conforme. Una strana ed efficace strategia di difesa messa in atto dal “fagiolo di Lima”, il phaseolus lunatus. Quando c’è un pericolo, la pianta lo avverte e reagisce, ad esempio quando un bruco si appoggia sulla foglia, appena questa percepisce la saliva dell’invasore, i geni della pianta entrano in azione favorendo la generazione di una sostanza volatile dal profumo simile a quello di lavanda, che viene poi espulsa attraverso gli stomi delle foglie. Le vespe richiamate da questo odore accorrono aggredendo i bruchi, pungendoli e iniettando nel loro corpo delle uova. Ma non è tutto: questo profumo di lavanda che aleggia nell’aria diventa un segnale d’allarme per le altre piante che, attivandosi a loro volta, lanciano lo stesso odore richiamando gli insetti. I ricercatori, estendendo le loro indagini, hanno riscontrato lo stesso comportamento difensivo anche nel mais, nei fagioli borlotti, phaseolus volgaris, e altre specie vegetali.

Questo studio è molto importante, non solo aiuta a comprendere parte di quei meccanismi che hanno consentito l’evoluzione vegetale, ma anche per il valore di queste ricerche legato alle varie applicazioni che ne possono derivare. Le piante producono una gran varietà di sostanze chimiche che si pensa le proteggano dall’attacco di erbivori o patogeni. L’etene (o etilene) è il più semplice degli alcheni, idrocarburi insaturi aventi un doppio legame covalente tra due atomi di carbonio, la sua formula chimica è C 2 H 4 , a temperatura e pressione ambiente si presenta come un gas incolore, dal lieve odore dolciastro. L’etene è un fitoormone che viene sintetizzato dalle piante a partire dall’amminoacido metionina, parzialmente stimolate dal fitoormone auxina. Come ormone, influisce sulla germinazione e sull’invecchiamento della pianta. È un gas inodore, innocuo, e insapore. Provoca la maturazione dei frutti, lo sviluppo dei germogli, la caduta delle foglie in autunno e la morte di parti della pianta. Particolarmente ampia è la gamma di risposte modulate dall’etene allo stress dovuto a parassiti o rotture della pianta. In quanto gas, si trova in tutti gli spazi intracellulari. Uno dei più interessanti gruppi di sostanze usate come mezzi di comunicazione è composto dai glucosinolati, una classe di metaboliti solforati.

I frutti e le verdure raccolti sono da considerare a tutti gli effetti prodotti ancora vivi, nei quali proseguono i processi biologici. Alcuni frenano la maturazione altri continuano ad evolvere e maturare. Responsabile di questi meccanismi è l’etilene che viene prodotto da moltissimi tipi di frutta e ortaggi in proporzioni variabili. Sono grandi produttori di questo gas le mele, le albicocche, i fichi, i cachi, le banane, i kiwi, i manghi, le pesche, le pere, le prugne, i cocomeri, i meloni e i pomodori. Tutti questi prodotti hanno quindi la capacità di accelerare molto la maturazione e il conseguente rapido deterioramento del resto della frutta. Per questo motivo dovrebbero essere tenuti a debita distanza dagli altri. Questa caratteristica dell’etilene viene anche sfruttata dagli agricoltori che spesso raccolgono i loro prodotti ancora acerbi per poi, una volta a destinazione, riattivarne la maturazione.

Il furto dell’anima olfattiva della natura

Purtroppo questo processo è oggi in pericolo, come è documentato in una ricerca condotta dall’Università della Virginia e pubblicata da Atmospheric Environment. Lo studio, utilizzando un modello matematico, analizza le interferenze prodotte dall’aggressione chimica delle auto e delle ciminiere arrivando a concludere che, nei luoghi più contaminati, viene distrutto fino al 90% dell’aroma dei fiori. Un danno evidente, con effetti potenzialmente devastanti, riguarda gli insetti, in particolare gli impollinatori che non riescono più a fare il lavoro di sempre. Rispetto alla fine dell’Ottocento, la scia emanata dalle rose, dal glicine, dal biancospino, dalla lavanda si è drammaticamente accorciata. Cento anni fa gli insetti la catturavano a chilometri di distanza, oggi il raggio d’azione dell’olfatto si è ridotto a 200-300 metri. In questo modo per api, farfalle e altri insetti la vita diventa sempre più dura, e le probabilità di mancare l’obiettivo mettendo in crisi il ciclo dell’impollinazione si moltiplicano. Tutto ciò ha un effetto diretto sul comportamento degli insetti. Lo studio ha accertato che negli Stati Uniti almeno due milioni e mezzo di api da miele sono misteriosamente scomparse, nell’ambito di quello che è stato chiamato Colony Collapse Disorder con migliaia e migliaia di alveari trovati improvvisamente vuoti. Gli scienziati non sono ancora riusciti a capire quale sia esattamente la causa, ma sono certi che gli effetti dell’inquinamento abbiano una correlazione diretta con questo comportamento anomalo delle api che ha portato come prima conseguenza ad un crollo nella produzione del miele.

Nelle grandi metropoli l’effetto della radiazione solare sugli idrocarburi e sugli ossidi di azoto produce il cosiddetto ozono cattivo. L’ozono, assieme agli altri inquinanti, entra in relazione con le molecole degli odori floreali intercettandole e modificandole, cioè rendendole irriconoscibili. Una nuova forma di inquinamento che è in relazione con la moltiplicazione dei problemi che affliggono le campagne, dalla moria delle api all’estinzione di alcuni alberi in certe zone.

Sostanze come gli ftalati, i muschi sintetici, i ritardanti di fiamma ed altre hanno effetti preoccupanti sui sistemi ormonali degli animali e degli esseri umani.

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