Hernán Casciari Andrea Bizzocchi
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La favola della crisi Sull’economia e sull’opportunità di farne a meno
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Questo libro è stampato su carta ecologica riciclata prodotta con il 100% di carta da macero e senza l’uso di cloro e imbiancanti ottici. Carta certificata Blue Angel ed Ecolabel in quanto creata con un basso consumo di energia.
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LA FAVOLA DELLA CRISI Hernán Casciari
SULL’ECONOMIA E SULL’OPPORTUNITÀ DI FARNE A MENO Andrea Bizzocchi
EDIZIONI
© Copyright 2013 Edizioni Enea - SI.RI.E. srl I edizione ottobre 2013 ISBN 978-88-6773-011-7 Edizioni Enea Sede Legale - Ripa di Porta Ticinese 79, 20143 Milano Sede Operativa/Magazzino - Piazza Nuova 7, 53024 Montalcino (SI) www.edizionienea.it - edizioni.enea@gmail.com Progetto grafico Lorenzo Locatelli Disegno in copertina e illustrazioni Federica Aragone Stampato e rilegato da Graphicolor, Città di Castello
La favola della crisi è stata pubblicata sulla rivista Internazionale (numero 999, 10-16 maggio 2013, anno 20). Si ringrazia Internazionale per averci concesso l’uso della traduzione. I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, informatica, multimediale, riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo, compresi microfilm e copie fotostatiche, sono riservati per tutti i Paesi.
La favola della crisi
Hernรกn Casciari
C’era una volta un villaggio tranquillo in cui vivevano tante persone tranquille. La vita era semplice e piacevole, e tutti volevano stare bene. Pepe era uno degli abitanti del villaggio. Un pomeriggio Pepe uscì a fare una passeggiata e gli venne sete. Continuò a camminare e la sua sete aumentò. Quando tornò a casa, mentre si versava da bere, si rese conto di una cosa a cui nessuno aveva mai pensato prima: nel villaggio non c’era un bar. Pepe pensò che se avesse aperto un bar sarebbe stato felice e avrebbe fatto felici gli altri, offrendo qualcosa da bere. Avrebbe anche potuto guadagnare qualche soldo.
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Pepe passò due sere a scrivere una lista delle cose di cui aveva bisogno per aprire il suo bar: prima di tutto avrebbe avuto bisogno di diecimila soldi per comprare tavoli, sedie, bicchieri, bevande e una staccionata per i cavalli degli avventori; poi avrebbe avuto bisogno di due settimane per trasformare la sua casa in un bar; e dopo di altre due settimane perché i suoi tavoli si riempissero di clienti assetati. Il suo amico Moncho, che quel pomeriggio passava di lì, gli propose un nome perfetto per il bar. Ovviamente Pepe non aveva diecimila soldi, ma durante la notte gli venne in mente un ottimo modo per ottenerli. Il pomeriggio del sabato ritagliò mille foglietti e scrisse su tutti: “Prossimamente: bar di Pepe”. La domenica, dopo la messa, si presentò nella piazza del villaggio con il suo vestito buono. “Cari concittadini, voglio aprire un
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bar vicino al villaggio”, disse, e tutti smisero di parlare per fissarlo. “Che bella idea!”, esclamò Ramón con la sua sigaretta in bocca. Vedendo che tutti lo osservavano con attenzione, Pepe si fece coraggio e sventagliò i foglietti ritagliati. “Ognuno di questi mille foglietti costa dieci soldi”, disse Pepe agli altri abitanti del villaggio. “Chi mi comprerà un foglietto dovrà conservarlo con cura perché tra un mese, quando il mio bar avrà dei clienti, consegnerò dodici soldi per ogni foglietto che mi sarà restituito”. “Ma ogni foglietto non costava dieci soldi?”, domandò Moncho, che tutti consideravano lo scemo del villaggio. “Perché dovresti regalare due soldi?”. “Non è un regalo, Moncho, è una ricompensa. Ricompenserò quelli che mi aiuteranno a realizzare il mio sogno, che è quello di avere un bar vicino al villaggio”.
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“Non fa una piega”, disse il sindaco. “Mi sembra una buona trovata”, disse Ernesto, che era ricco e s’intendeva di queste cose. “Un’idea grandiosa!”, esclamò il prete, don Francisco, e si frugò nelle tasche. Con questo semplicissimo metodo, in una sola mattinata domenicale Pepe raggranellò il denaro necessario per aprire un bar; gli abitanti del villaggio gli diedero esattamente diecimila soldi per i suoi mille foglietti. “Io ho comprato due foglietti”, disse Sabino, che era povero e ottimista. “Io trentasei!”, esclamò Quique, che era avido e sbruffone. “Io ho comprato cinque foglietti, e ho intenzione di ubriacarmi in quel bar per festeggiare l’affare più facile della mia vita”, disse Luis. Tutti scoppiarono a ridere. Quella domenica Pepe tornò a casa
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Sull’economia e sull’opportunità di farne a meno (In fondo basta convincersi) Andrea Bizzocchi
Premessa doverosa Mentre leggevo la favola di Hernán Casciari non potevo fare a meno di pensare a qualcosa di apparentemente slegato al messaggio della favola stessa. Non riuscivo assolutamente a levarmi dalla testa il pensiero che pur vivendo tempi indubitabilmente difficili, la Vita, se solo lo vogliamo vedere, rimane una meraviglia. Non è poco, anzi è tantissimo; a ben pensarci è praticamente tutto e già solo questa presa di coscienza ci solleverebbe tout court dalle difficoltà in cui ci confinano le truffe economiche che costellano le nostre esistenze. Se solo aprissimo gli occhi e ci convincessimo di ciò, avremmo risolto d’incanto tutte le nostre difficoltà o quasi. I problemi che affrontiamo e le dinamiche che li generano ci paiono sempre molto lontani (e certamente in parte lo sono) e dunque irrisolvibili, ma dimentichiamo
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sempre che quelli che avvelenano la nostra vita nel quotidiano sono invece molto vicini perché albergano dentro di noi. Rendersene conto e accettare questo fatto è il primo indispensabile passo per superarli. Introduzione “La favola della crisi” è metafora efficace della truffa del denaro che a sua volta rappresenta la truffa dell’economia. Se concediamo a noi stessi la disponibilità di indagare i meccanismi di fondo che la muovono e le conseguenze concrete ma anche psicologiche e comportamentali che ne derivano, forse avremo modo di renderci conto che in realtà le radici della crisi partono da molto lontano. Questo per dire che, esattamente come una volta inventata la pistola e il fucile seguiranno cannoni, aerei da guerra, bombe nucleari e così via, allo stesso modo dall’avvio dell’economia (intesa come economia mercantile e non di sussistenza o di baratto), passo dopo passo non possiamo che arrivare inevitabilmente alle truffe contemporanee. La logica da cui originano i due processi è la stessa. Il problema dunque non è tanto di giudicare il denaro e l’economia come assolutamente privi di vantaggi, quanto sforzarsi di comprenderne i 42
paradigmi e le basi concettuali, per poi valutare oggettivamente le conseguenze che ne derivano. La questione centrale è questa: il prezzo che stiamo pagando per i benefici che riceviamo dal denaro e dall’economia di mercato è congruo o troppo alto? Secondo me il prezzo è decisamente troppo alto; il gioco non vale la candela e la partita si gioca tutta su un campo: quello del nostro coraggio nel mettere in discussione qualcosa (il denaro, l’economia) di talmente introiettato nella società moderna da farci apparire impossibile anche il solo pensarlo. La truffa del debito pubblico Lo splendido racconto che abbiamo appena terminato di leggere ci descrive la truffa del denaro; in particolare si può ravvisare quella che è la causa prima dei debiti pubblici (e il nostro paese di questi tempi ne sa qualcosa), ma anche e soprattutto del debito aggregato a livello mondiale (e cioè la somma dei debiti pubblici e privati) che è pari a 1,4 milioni di miliardi di dollari. Questo debito di 1,4 milioni di miliardi di dollari attiva interessi da restituire pari a circa 100.000 miliardi di dollari, a fronte di un Pil globale di 74.000 miliardi di dollari. Come può dunque un sistema (quello dell’economia reale) che “crea 43
ricchezza” per 74.000 restituire 100.000? La risposta è molto semplice. Non può. Cosa ci si fa a questo punto con una massa di denaro circolante all’incirca diciannove volte superiore alla ricchezza reale? Nessuno risponde. Anzi, nessuno pone neppure la domanda. Ma anche qui la risposta è semplice: chi detiene il denaro (e il debito che tale denaro ha generato) detiene il potere. Il denaro che noi utilizziamo tutti i giorni viene emesso dalle banche centrali (che sono banche private), viene cioè emesso da normali, si fa per dire, società per azioni. In altre parole, normali cittadini, e si fa sempre per dire (cioè coloro che sono proprietari delle banche centrali), emettono denaro e lo prestano agli Stati (cioè ad altri cittadini, i quali passeranno poi tutta la vita a lavorare, e progressivamente a impoverirsi, per ripagare tale prestito). Si spiega così, in pochi meccanismi base, la truffa dell’emissione di denaro che sta impoverendo le popolazioni mondiali e al tempo stesso accumula ricchezze reali nelle mani di pochi individui. Gli obiettivi della truffa del debito pubblico Sappiamo ormai che l’obiettivo di quell’élite finanziaria che emette moneta è di creare una 44
banca centrale mondiale (che, prima o poi, emetterà una moneta mondiale unica) e questa basilare conoscenza ci consente di incastrare perfettamente tra loro tutte le pedine di un domino perverso. Solo per rimanere all’ultimo secolo, siamo passati dalla creazione della Federal Reserve negli Usa (la cui motivazione ufficiale fu evitare altre crisi come quella del 1907, crisi ovviamente innescata ad arte), agli accordi di Bretton Woods (che permisero la riforma del sistema monetario internazionale), alla nascita del Fondo Monetario Internazionale nel 1950 (e cioè dopo la fine della II Guerra Mondiale, anche questa pianificata dai soliti poteri forti) per arrivare alla Bce con l’euro (primo caso di moneta senza Stato). Perché scrivo questo? Perché dobbiamo capire che se un cittadino non ha nessun controllo sullo Stato e sui politici che elegge, figuriamoci quale controllo può esercitare su banche centrali private e organismi extranazionali che si pongono al di fuori di ogni processo anche solo formalmente democratico. Io credo ci possa essere una sola risposta a questo inganno planetario, l’esatto opposto di quel processo di globalizzazione che la sta facendo da padrone negli ultimi decenni; e cioè un netto ritorno al localismo e alle monete locali.
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Le funzioni del denaro Nell’immaginario comune il denaro rappresenta tre funzioni fondamentali: misura del valore, mezzo di pagamento e ricchezza. Nulla da dire sulle prime due, ma togliamoci dalla testa che il denaro rappresenti ricchezza. Lo capiamo facilmente se pensiamo che nessuno di noi cambierebbe mai tutti i beni del mondo con tutto il denaro del mondo: perché di tutto quel denaro non sapremmo che farne. È anzi vero l’esatto contrario, e cioè che il denaro, anziché ricchezza e credito, rappresenta, preso nel suo insieme, un debito. In altre parole meno si traffica con il denaro meglio si sta e meglio si vive. Il denaro è tutto o niente? Scrive Massimo Fini: “Oggi il denaro, con la sua straordinaria fluidità, si infila in ogni anfratto della nostra esistenza. E tanto più si smaterializza e diventa quasi invisibile tanto più incombe, determina gli stili di vita, diventa il fine primario”. Rendersene conto è la prima difesa che possiamo porre per arginare la triste realtà in cui viviamo: non siamo noi a gestire il denaro (e l’economia), ma è il denaro (e l’economia) a gestire noi e le nostre vite. Oggi sembra impos46
sibile vivere senza denaro o con meno denaro, eppure, se solo avessimo la forza di operare un ribaltamento concettuale, capiremmo che in realtà si può fare e, se si fa, si vive meglio. Pensiamoci. Nulla di ciò che riempie di vera gioia le nostre esistenze dipende dal denaro. Certamente non l’amore, certamente non l’amicizia, certamente non il rispetto della parola data, certamente non la dignità, la condivisione, il mutuo aiuto. Certamente non il trascorrere del tempo in pace e tranquillità. Cosa ci costerebbe? Nulla, anzi ci fa risparmiare, perché non impieghiamo quel tempo a lavorare per poi acquistare cose per lo più inutili. Se oggi il denaro ci pare essenziale è solo perché i nostri pensieri procedono senza intoppi e senza dubbi, con il sole in fronte e la verità in tasca, all’interno degli schemi mentali proposti e imposti dalla società in cui viviamo. Per questo dico che il problema non è tanto concreto quanto concettuale; e la prova provata di ciò è che un numero sempre crescente di persone, proprio qui, nei paesi dello sviluppo e del progresso, non reggendo più l’omnipervasivo meccanismo che sovrasta le proprie esistenze, ha deciso di cambiare vita rinunciando al denaro, o comunque riducendone drasticamente l’utilizzo. Il lettore si domanderà: ma dov’è tutta questa gente? E io rispondo che certamente non la 47
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Solo la comprensione di ciò che è stato e di ciò che è ci permetterà di costruire ciò che sarà; con questa convinzione la collana “Olos” ci conduce attraverso le molteplici possibilità di un futuro migliore, con occhio sempre attento a cogliere il tutto, l’integrazione e la connessione tra le parti, per guardare il mondo in modo sistemico e globale. In una parola, olistico.
Hernán Casciari, utilizzando la metafora favolistica, ci racconta i grandi temi dell’attualità come la crisi economica e la dilagante insoddisfazione. Andrea Bizzocchi, nel suo saggio, ci illustra i meccanismi nascosti di un processo di sviluppo che ha finito per occultare i bisogni primari dell’individuo. Questo pamphlet, agile e appassionato, ci porta alla scoperta di uno stile di Vita con la “v” maiuscola, in armonia con la natura e con noi stessi.
Hernán Casciari è uno scrittore e giornalista argentino. È direttore della rivista letteraria Orsai. Andrea Bizzocchi ha pubblicato, tra gli altri, Pura vida e altri racconti raminghi, Non prendeteci per il Pil (Terra Nuova), Pecore da tosare, E io non pago! (Il Punto d’Incontro). Vive con poco e in maniera nomadica tra Italia, Usa e CentroAmerica.
ISBN 978-88-6773-011-7 EDIZIONI
9 788867 730117
€ 9,90
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