Nucleare SI Nucleare NO - Mostra 2011

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I S T I T U T O C O M P R E N S I V O D I V E R Z U O L O Classi terze anno 2011, corso di TECNOLOGIA, prof. Pierluigi GIOLITTI

Il Nucleare in Italia Della prima stagione nucleare italiana, riconducibile all’incirca al periodo 1963-1987, rimangono quatto centrali dismesse (Caorso, Trino, Latina e Garigliano), la cui produzione elettrica non ha su3 perato il 5% del totale, e 27.000 m dì scorie radioattive (di cui 250 tonnellate circa di combustibile irraggiato), la maggior parte delle quali temporaneamente stoccate presso il deposito Avogadro di Saluggia (Vercelli), dove si trova anche il vecchio impianto di riprocessamento del combustibile. Dal 1999, la proprietà e la gestione delle centrali e delle scorie fanno capo alla Società di gestione degli impianti nucleari (Sogin), 100% statale. Gli attuali consumatori pagano una tassa sull'elettricità pari a 4 centesimi/ kWh, istituita per finanziare, assieme a un fondo destinato dall'Enel, il futuro smantellamento delle quattro centrali. Ad oggi, non è stato individuato un sito per lo stoccaggio definitivo delle scorie radioattive. Nel 2003, il governo ha proposto la realizzazione di un sito di stoccaggio delle scorie nucleari presso una miniera di sale nel comune di Scanzano Jonico, in Basilicata. L'opposizione della popolazione locale è stata durissima e sono intervenute anche osservazioni che sottolineavano la sismicità del luogo e il rischio di erosione dal mare. Il governo ha deciso alla fine di cancellare la proposta con un emendamento al decreto sulle scorie nucleari, disponendone lo stoccaggio provvisorio presso i siti attuali. Tornando all'oggi, l'attuale governo ha deciso che, dopo 23 anni dal referendum che ne ha decretato l'abbandono, l'Italia ritornerà al nucleare. L’Italia dei Valori ha raccolto le firme e ottenuto il referendum che si celebrerà il 12-13 giugno.

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E’ vero che il nucleare ha un ruolo fondamentale e viene rilanciato in tutto il mondo? Il nucleare copre circa il 2% degli usi finali di energia (elettrica, riscaldamento, industria, trasporti), il 15 dell’energia elettrica a livello mondiale. Ad oggi, risultano in esercizio 436 reattori distribuiti in 35 paesi. Stati Uniti (104 reattori), Francia (59) e Giappone (53) possiedono da soli quasi il 50% della dotazione mondiale. Sono attualmente in costruzione 56 reattori in 12 paesi: Cina (20), Russia (9), Corea (6) e India (5). In Europa, oltre alle 9 centrali in costruzione in Russia, ve ne sono in cantiere altre 6: una in Finlandia, una in Francia, due in Ucraina e Bulgaria. Merita particolare attenzione il caso degli Stati Uniti dove l’ultimo reattore risale alla fine degli anni Settanta. Per mantenere costante la potenza installata attuale nel mondo, tenendo conto dei reattori che dovranno essere fermati per raggiunti limiti d’età, bisognerebbe mettere in funzione un reattore ogni mese per mantenere costante la potenza installata. Gran parte dei reattori sono stati costruiti tra il 1975 e il 1985 (hanno tra i 22 e i 35 anni di vita), e attorno al 2030 molti dovranno essere chiusi per limiti d’età. Negli USA si pensa già di portare l’autorizzazione al funzionamento fino a 60 anni di tutti i reattori che erano stati progettati per 30-40 anni ma invecchiando, saranno più soggetti a guasti.

Cernobyl

Numero di reattori per età (fonte IAEA 2009)

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L’energia nucleare è indispensabile e serve all’Italia per la sua sicurezza energetica? L’Italia, lo sappiamo, è pesantemente dipendente dall’estero nella fornitura di energia: la quasi totalità dei combustibili fossili (carbone, petrolio, metano) viene importata dall’estero. Tuttavia non possiede nemmeno riserve di Uranio e quindi saremmo dipendenti da altri Paesi produttori (Australia, kazakistan,Russia). Se decidessimo di puntare sul nucleare per produrre l’energia elettrica, sostituiremo la dipendenza dai combustibili fossili con una nuova dipendenza. Le riserve di uranio sono comunque limitate: da una tonnellata di roccia si ricavano 3 grammi di uranio. Secondo uno studio del World Energy Council ammontano a circa 70 anni. Oltretutto già oggi la produzione copre solo il 60% della richiesta: il rimanente 40% è fornito grazie allo smantellamento delle vecchie testate nucleari. L’Italia non ha testate nucleari ma questo ci fa capire come la relazione tra uso civile del nucleare e uso militare sia molto stretta. Negli anni Sessanta eravamo all’avanguardia nel nucleare: dal 1987, l’anno dopo dell’incidente di Cernobyl, siamo fuori e quindi alla dipendenza energetica, con il nucleare, aggiungeremmo una dipendenza tecnologica. In sostanza per l’Italia il danno sarebbe doppio.

Risorse di uranio ragionevolmente sicure e stimate a IAEA

Evoluzione del prezzo di mercato dell’uranio dal 1986 al 2009

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E’ vero che l’energia nucleare costa meno? Un discreto numero di studi e analisi concorda sul fatto che non sono le associazioni ambientaliste e antinucleariste il nemico numero uno dell'energia nucleare, bensì il libero mercato. L'energia nucleare si è infatti sviluppata in un contesto di mercato elettrico pubblico che scaricava sullo Stato alcuni costi: oggi, al contrario, l'orientamento prevalente è verso imprese private necessariamente più attente ai costi. Nelle centrali elettriche a combustibili fossili, l’investimento iniziale è relativamente contenuto mentre la spesa di gestione (acquisto del combustibile) risulta gravosa. Dal grafico a lato si capisce come nel nucleare non sia così: la spesa iniziale è molto alta mentre la gestione è più economica. Ma spesa iniziale alta significa maggiore rischio. Se poi i tempi di costruzione, generalmente stimati in 5 anni si allungano a dismisura (come nel caso degli ultimi 2 reattori francese e finlandese modello EPR) l’investimento diventa sempre meno interessante. Spesso i costi dello smantellamento finale (decommissioning) non sono conteggiati ma risultano importanti perché il processo dura decenni: ad oggi nessuna centrale è stata completamente smantellata. In conclusione diversi autorevoli studio danno la produzione da nucleare più costosa.

Distribuzione dei costi del nucleare

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E’ vero che l’energia elettrica è in Italia più cara perché non abbiamo fatto il nucleare? In Italia l’energia elettrica per le utenze domestiche costa più che negli altri paesi non è certo per l’assenza d’impianti nucleari ma piuttosto per vari aspetti caratteristici del sistema elettrico italiano. Secondo tale sistema il prezzo orario dell’energia elettrica scambiata è fissato sul prezzo più alto offerto dai produttori. Come dire un meccanismo dove tutti i produttori ci guadagnano a scapito dei cittadini che si vedono lievitare le bollette. In Italia, infatti, i margini di guadagno per i produttori sono quasi doppi rispetto a quelli degli altri paesi europei. A gonfiare poi le nostre bollette ci sono anche le incentivazioni del famigerato meccanismo CIP 6 le così dette “fonti assimilate”.

L’aspetto scandaloso è che circa l’80% degli incentivi CIP 6 sono stati destinati alle cosiddette “assimilate” che tutto sono tranne che fonti rinnovabili e pulite. Tutto l’insieme di distorsioni che caratterizzano il sistema elettrico italiano, che, come abbiamo visto, non c’entrano nulla con il nucleare, fanno si che le bollette pagate dai cittadini lievitino di almeno un 20%, senza cui sarebbero equiparabili a quelle degli altri paesi europei.

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E’ vero che le centrali di ultima generazione sono totalmente sicure? I due maggiori incidenti, ovvero Three Mile Island (Pennsylvania, Usa) nel 1979 e Cernobyl (Ucraina, ex Urss) nel 1986, hanno avuto pesanti effetti sull’opinione pubblica mondiale circa la sicurezza del nucleare. In particolare Cernobyl in Italia e Austria causò la chiusura immediata. Gli studi parlano di un livello di sicurezza più elevato di quello percepito, mettendo in evidenza che, comunque, non esiste un impianto nucleare esente da rischi. La preoccupazione degli studiosi è rivolta però soprattutto agli impianti di riprocessamento del combustibile, meno sicuri rispetto ai reattori, sia in termini di frequenza di incidenti, sia in termini di rischio di proliferazione (ossia trasferimento della tecnologia dal campo civile al campo militare). Secondo Carlo Rubbia non esisterebbe un nucleare sicuro, né a bassa produzione di scorie; esiste un calcolo delle probabilità in base al quale ogni 100 anni un incidente è possibile e questa probabilità evidentemente aumenta col numero delle centrali. L’esperienza insegna che non sempre tutte le informazioni al riguardo degli incidenti arrivano alla popolazione.

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E’ vero che il nucleare è una fonte pulita che di norma non produce impatti? Al di là del rischio di incidenti gravi, i reattori nucleari rilasciano radioattività in aria e in acqua, nel corso del normale funzionamento e a causa di incidenti piccoli che sono abbastanza frequenti. Sulle “emissioni di routine” e sui rischi sanitari delle bassi dosi di reazioni impartite alla popolazione esposte per lungo tempo vi è una polemica da decenni. La radiazione naturale della terra è di 2-4 mSv (millisievert): gli operatori della centrale di Cernobyl sono stati esposti a 100 mSv per un tempo prolungato. Negli anni della guerra fredda venivano comunemente eseguiti test nucleari senza precauzioni (2.000 esperimenti tra il 1945 e il 1996) gli effetti come sappiamo si sentono 20-30 anni dopo. Limitandoci alla centrale nucleare durante il suo normale esercizio vengono contaminati non solo i lavo-

ratori al suo interno ma anche le popolazioni che vivono intorno alla centrale, in quanto sono consentiti dei rilasci di radioattività all’esterno. In Germania è stata effettuata un’ indagine epidemiologica (Kikk Study) per valutare i danni alla salute della popolazione infantile residente nel raggio di 5 km di tutte le 17 centrali nucleari tedesche dal 1980 al 2003 e ha mostrato una incidenza della leucemia doppia rispetto al resto del Paese. Sul fronte delle emissioni di Co2, se è vero che la produzione di energia non ha impatto, tutto il ciclo di lavorazione dell’uranio, estrazione, arricchimento e trattamento finale, è un comune ciclo industriale con emissioni anche notevoli, che alcuni studi paragonano ad una centrale a gas. Non possiamo quindi definire l’energia nucleare carbon free.

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Siamo già circondati da reattori: allora tanto vale costruirli anche da noi? Il rischio in caso di incidente nucleare è puntuale (è maggiore se si è vicini alla sorgente di radiazioni). Questa osservazione è alla base del principio della radioprotezione. Nei piani d’emergenza nucleare, la pericolosità e le misure conseguenti si vanno riducendo man mano che ci si allontana dal reattore. Nel caso d’incidente grave è possibile che la contaminazione viaggi lontano e poi ricada con le piogge; l’Italia nel caso di Cernobyl è stata parzialmente protetta dalle Alpi (alcune zone sono state contaminate dalla nube) ma i livelli di contaminazione riscontrati da noi sono molto inferiori a quelli registrati in Bielorussia, Ucraina, Austria ed Europa centrorientale. Anche a Fukushima l’evacuazione ha riguardato un raggio di 30 km.

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L’ i n c i d e n t e d i C e r n o b y l II 26 aprile 1986 il reattore numero 4 della centrale di Cernobyl esplose. L'incidente ebbe origine da un test condotto dagli operatori della centrale a sistemi di sicurezza disattivati. Prese fuoco la grafite che ricopriva il nocciolo, assieme al combustibile che questo conteneva. Le autorità sovietiche non diedero subito la notizia dell'incidente; tuttavia, la nube radioattiva che si levò dal reattore raggiunse presto la Scandinavia, dove venne rilevata la presenza di prodotti di fissione in atmosfera. Nel frattempo, la nube aveva contaminato pesantemente la Ricaduta a terra del cesio radioattivo dopo l’incidente di Cernobyl (1987) Bielorussia, l'Ucraina e la Russia. Sono stati diagnosticati più di 4.000 casi di cancro alla tiroide nella fascia di popolazione compresa tra gli 0 e i 18 anni. Nel 1991, con la caduta dell'Unione Sovietica, si aprirono le porte di Cernobyl ai ricercatori di tutto il mondo. Furono, in particolare, l'Organizzazione mondiale della sanità e l'Agenzia internazionale per l'energia atomica a dare avvio a un programma di monitoraggio e analisi degli effetti dell'incidente sulla salute. Si prevedeva, tuttavia, che una maggior incidenza di tumori e altre malattie si sarebbe manifestata soltanto dopo un periodo di latenza di 20 anni. Un rapporto prodotto dal Chernobyl forum parla di 5 milioni le persone contaminate tra la Bielorussia, l'Ucraina e la Russia; 600.000 liquidators, termine col quale vengono indicati tutti i lavoratori, militari e civili, che hanno preso parte alle operazioni di soccorso, evacuazione e recupero del sito dal 1986 al 1989 sono la categoria più a rischio, essendo stati esposti a un livello di radiazioni molto elevato 100 mSv) per un tempo prolungato: circa 50 di loro sono morti. Il numero totale dei decessi direttamente attribuibili all'esposizione alle radiazioni è da sempre oggetto di controversie. Secondo il Chernobyl forum, il numero di morti per cancro e leucemia imputabili alle radiazioni oscilla tra 4.000 e 9.000, se ci si limita allo studio della popolazione più esposta.

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