Scritti biografici e polemici

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STUDI TESTI&

10 GIOVANNI DELLA CASA

SCRITTI BIOGRAFICI E POLEMICI PETRI BEMBI VITA GASPARIS CONTARENI VITA DISSERTATIO ADVERSUS PETRUM PAULUM VERGERIUM a cura di LUCA BELTRAMI, QUINTO MARINI, GABRIELLA MORETTI



studi e testi collana diretta da Simone Magherini, Anna Nozzoli, Gino Tellini

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La collana «Studi e Testi» intende promuovere e diffondere, in campo nazionale e internazionale, studi e ricerche sulla civiltà letteraria italiana, nonché edizioni critiche e commentate di testi della nostra letteratura, dalle origini alla contemporaneità. La qualità scientifica delle pubblicazioni della collana «Studi e Testi» è garantita da un processo di revisione tra pari (peer review) e dal Comitato scientifico internazionale. La collana «Studi e Testi» prevede pubblicazioni in formato cartaceo e digitale con un modello di diffusione a pagamento o ad accesso aperto (open access).

comitato scientifico internazionale Andrea Dini (Montclair University), Marc Föcking (Università di Amburgo), Gianfranca Lavezzi (Università di Pavia), Paul Geyer (Università di Bonn), Elizabeth Leake (Columbia University), Alessandro Polcri (Fordham University), Pasquale Sabbatino (Università di Napoli “Federico II”), William Spaggiari (Università di Milano), Gino Ruozzi (Università di Bologna), Michael Schwarze (Università di Costanza).


Giovanni Della Casa

Scritti biografici e polemici Petri Bembi vita Gasparis Contareni vita Dissertatio adversus Petrum Paulum Vergerium a cura di Luca Beltrami, Quinto Marini, Gabriella Moretti

SocietĂ

Editrice Fiorentina


Il volume è stato pubblicato con i fondi di ricerca del DIRAAS, Dipartimento di Italianistica, Romanistica, Antichistica, Arti e Spettacolo dell’Università degli Studi di Genova

© 2020 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn: 978-88-6032-569-3 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata


Indice

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Giovanni Della Casa biografo e polemista

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Nota biografica

Nota bibliografica

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petri bembi vita

3 Introduzione

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Nota al testo

35 Petri Bembi vita. Testo a fronte

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Note di commento

gasparis contareni vita

113 Introduzione

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Nota al testo

139 Gasparis Contareni vita. Testo a fronte

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Note di commento

dissertatio adversus petrum paulum vergerium

253 Introduzione

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Nota al testo

269 Dissertatio adversus Petrum Paulum Vergerium. Testo a fronte

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Note di commento

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Indice dei nomi citati nelle opere

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Indice dei nomi citati nel commento



Giovanni Della Casa biografo e polemista

Giovanni Della Casa scrisse la Petri Bembi vita, la Gasparis Contareni vita e la Dissertatio adversus Petrum Paulum Vergerium nella fase finale e forse più difficile della sua esistenza, dalla metà del 1550 al 1555-1556. Precedentemente la sua carriera ecclesiastica era stata in progressiva ascesa e nel corso degli anni Quaranta, favorito da Paolo III e dal cardinal nipote Alessandro Farnese, da esattore delle decime e diplomatico pontificio nella sua Toscana era diventato tesoriere del Vaticano e, quindi, nel 1544, ad aprile arcivescovo di Benevento e ad agosto Nunzio apostolico a Venezia. Si era subito recato nella città lagunare, conscio di un incarico che richiedeva estrema cautela in una repubblica gelosa della propria autonomia e con buone ragioni diffidente della potenza papale. Monsignore aveva però ben difeso il prestigio della Chiesa, guadagnando l’amicizia di potenti clan nobiliari (la famiglia Querini, su tutti) e la stima di intellettuali e letterati, in particolare, legandosi sempre di più a colui che era ormai ritenuto una gloria della Serenissima e del Rinascimento italiano, il cardinal Pietro Bembo, che da Roma, tramite Carlo Gualteruzzi, lo interpellava continuamente. Aveva assolto al proprio ufficio offrendo supporto organizzativo ai lavori iniziali del concilio di Trento, avviando la censura della stampa, che culminò nella proposta di un Indice dei libri proibiti, e con la più nota e significativa delle sue azioni inquisitoriali, il lungo processo al vescovo di Capodistria Pietro Paolo Vergerio, la cui fuga, dopo il mancato arresto nel 1549, mostrava però la sordità della Repubblica nei confronti della Santa Sede, così come l’anno precedente l’aveva mostrata l’indifferenza per un’alleanza anti-imperiale proposta dal Nunzio con l’Orazione per la lega. Nel gennaio 1547, intanto, era morto Bembo, e fu un duro colpo per Della Casa, che contava sul suo appoggio anche per il cappello cardinalizio. Ma l’anno più difficile fu il 1549, al termine della nunziatura, quando si vide escluso dalla lista dei nuovi cardinali e nel novembre venne a mancare Paolo III. Tornato a Roma durante il lungo conclave che sembrava sicuro per Reginald Pole, ma che, per le segrete manovre del Sant’Ufficio e del cardinale Gian Pietro Carafa, nel febbraio 1550 elesse Giovanni Maria Ciocchi Del Monte, Giulio III, non dovette tro-


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varsi a suo agio con un papa toscano, legato a quel Cosimo I che egli avversava da tempo. Iniziava inoltre a offuscarsi il potere farnesiano che l’aveva sempre protetto, sicché Monsignore cominciò a rivolgere lo sguardo a Venezia (lo dimostrano le lettere a Girolamo Querini, alla cui famiglia aveva affidato il figlioletto avuto da una cortigiana), finché non vi fece ritorno nel giugno 1551, nella nuova veste di ospite, di letterato innanzitutto, desideroso di guadagnarsi il rango di cittadino onorario di quella grande repubblica e cominciando a celebrarne la gloria con un’Orazione in lode. A Venezia egli si presentava anche come erede morale e intellettuale di Bembo, alla diffusione delle cui opere aveva contribuito collaborando con Gualteruzzi all’edizione delle Rime del 1548, quella che si chiudeva col sonetto Casa, in cui le virtuti han chiaro albergo, e cercando poi di farsi promotore, con un’epistola dedicatoria in solenne latino al doge Francesco Donà, dell’opera bembiana che più interessava al governo veneziano, quei dodici libri delle Historiae venetae che uscirono nel 1551. Fu proprio in questa condizione esistenziale che nacque l’idea di una biografia di Bembo, coniugando il mito nascente del maggior letterato del tempo col mito sempiterno di Venezia, la sola repubblica che poteva permettere ai suoi magnati e agli ospiti che richiedessero protezione di anteporre gli otia intellettuali ai negotia dello Stato. La Petri Bembi vita è dunque impostata come la storia di un geniale veneziano, rampollo di una famiglia che ha dato alla patria generali e politici illustri, il quale nelle grandi corti rinascimentali in cui è introdotto dal padre, anziché appassionarsi alla politica, è affascinato dall’arte e dalla letteratura, dagli studia humanitatis, che coltiva personalmente nei classici greci e latini, staccandosi da maestri come Pomponio Leto, Ermolao Barbaro, Poliziano, Giovanfrancesco Pico della Mirandola, e alle piazze e ai comizi preferisce le conversazioni con uomini o donne di cultura, oppure i solitari recessi della mente, tra i libri e i boschi del suo Noniano. In questa ricostruzione ideale della vita di Bembo si proietta anche la nuova facies di monsignor Della Casa, il sogno di un’esistenza che sfugga all’arbitrio dell’inganno che domina il mondo (si veda l’amarissimo exemplum dell’impari lotta tra l’onesto giocatore di dadi e il baro), ma che alla fine Pietro vince affrancandosi dalle ambizioni della famiglia e vedendo riconosciuto il suo ingegno da un papa umanista come Leone X, che lo vuole accanto a sé. E tuttavia, quando i negotia della Curia romana diventano insopportabili, eccolo cercare di nuovo la solitudine della sua villa padovana, dove tra lo studio e i buoni amici recupera la serenità per portare a termine i suoi capolavori. La seconda chiamata a Roma, nel 1539, che lo innalza al Sacro Collegio cardinalizio per esplicita volontà di Paolo III, è raccontata come un evento portentoso, addirittura segnato da una voce dal Cielo. Della Casa può così celebrare papa Farnese e la sua apertura alle riforme e al Concilio, con i nomi di cardinali subito amici di Bembo: Gasparo Contarini, Iacopo Sadoleto, Gregorio Cortese, Giovanni Gerolamo Morone, e soprattutto Reginald Pole, cui è riservata una lode inattesa dopo la sua sconfitta al conclave e in quel tempo di inchieste e processi segreti. Ma il biografo tace su tensioni e conflitti interni alla Chiesa – né, d’altra


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parte, è bene ricordarsene, questa biografia verrà mai data alle stampe vivente l’autore – e preferisce rivolgere anche il successo di Bembo, lodato per la sua santità piuttosto che per qualche schieramento ideologico, alla gloria di Venezia, che per la seconda volta nel giro di pochi anni, dopo il grande Contarini, ha fornito alla Cristianità un campione della fede. Alla stessa stregua Della Casa esalta i meriti letterari di Bembo, fondati sull’imitazione dei grandi modelli classici, Virgilio e Cicerone (cui viene aggiunto Cesare), a partire dall’epistola De imitatione, interpretata come una risposta alla decadenza dell’eloquentia latina, ma anche come radice della teoria linguistica delle Prose, dove in parallelo sono eletti a modelli del volgare Petrarca e Boccaccio. L’accurata selezione delle parole, il rifiuto della comune dizione quotidiana, trita e mutevole nel tempo, l’oratio, non solo elegante, splendida, nobile, ma «uber atque ornata», fanno di Bembo, oltre al teorico, anche un maestro di stile. E così questa nuova figura di intellettuale della Chiesa cattolica, che Tiziano e Danese Cattaneo rappresentano con una gran barba profetica, acquisisce alla sua patria anche la gloria imperitura delle lettere, sancita dall’elenco commentato delle sue opere, volgari e latine, tutte a misura dei classici antichi, con cui è sigillato il suo ritratto morale. Se la Petri Bembi vita sembra nata motu proprio in un delicato frangente esistenziale, ben altra origine ha la successiva Gasparis Contareni vita, commissionata dalla potente famiglia veneziana agli inizi del 1554, quando Della Casa si era ritirato a Nervesa immerso nei suoi studi letterari. L’intento degli eredi del Contarini era evidentemente apologetico perché il cardinale era morto nel 1542 tra incomprensioni e fraintendimenti che ne avevano offuscato la fama di grande personalità della Riforma cattolica. Tutto faceva capo al fallimento della missione più importante affidatagli da Paolo III: i colloqui con i protestanti a Ratisbona nel 1541. Deciso a far valere la sua linea di riformista moderato, il cardinale aveva cozzato col muro d’intransigenza di Melantone e degli altri capi protestanti; ma, d’altra parte, a Roma il Sant’Ufficio e i prelati più ostili a una soluzione pacifica, guidati da Gian Pietro Carafa, ebbero buon gioco a denunciare l’autonomia e le aperture del Contarini, interpretando quella sua ricerca di un compromesso come un’eccessiva concessione, se non una difesa, degli eterodossi. E, paradossalmente, per opposte ragioni anche i colleghi “spirituali” dell’Ecclesia Viterbiensis, con Pole in prima posizione, presero le distanze dalla linea conciliante del cardinale veneziano. Tornato in Italia, poi, il Contarini era stato di nuovo impiegato dal papa in una legazione a Bologna, ma proprio là era caduto malato e in punto di morte, ad aggravare la sua posizione, c’era stato l’episodio della visita di Bernardino Ochino, con lo strascico di maldicenze che seguirono la fuga in Svizzera del predicatore cappuccino. Occorreva dunque una biografia che dissipasse ogni ombra e facesse risplendere i meriti del grande veneziano; ma Della Casa tergiversò, chiese aiuto all’amico Beccadelli, segretario del cardinale, accettò infine l’incombenza di malanimo e pretendendo l’anonimato, consapevole che la linea moderata era ormai dispersa nella Chiesa e nel faticoso prosieguo del Concilio: personalità come Morone, Pole e i seguaci stessi del Contarini erano sotto inchiesta di un Sant’Ufficio sem-


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pre più fuori del controllo di papi come Giulio III e Marcello II, mentre il Carafa andava preparando la sua ascesa al soglio. A queste difficoltà oggettive s’aggiungevano poi quelle soggettive di Monsignore, che in tale contesto non voleva forse incrinare quella fama di difensore dell’ortodossia e di primo curatore dell’Indice che proprio a Venezia si era procurato. Si mosse dunque a rilento e puntò soprattutto all’elogium dell’uomo di governo veneziano, della sua formazione filosofico-umanistica e delle virtù laiche che avevano consentito uno straordinario cursus honorum e tanti successi in patria e all’estero, ricordati in un puntuale excursus storiografico. Come la Bembi vita, la Contareni vita tornava in sostanza a illuminare la Serenissima Repubblica in una nuova captatio benevolentiae, e, ancora nel solco della vita bembiana, celebrava l’azione innovatrice di Paolo III nella scelta di personalità eminenti non solo nel campo ecclesiastico, ma anche tra i laici distintisi per prudenza politica, cultura, onestà intellettuale e pietà religiosa, secondo l’ideale del savio umanistico trasformato in philosophus Christianus per le nuove battaglie dottrinali. In tale linea Della Casa aveva cominciato ad addentrarsi nell’azione riformatrice del cardinale, fondata pragmaticamente sulla limitazione dei privilegi dei vescovi e dogmaticamente sulla fiducia nella funzione salvifica del sacrificio di Cristo, centro dell’epistola De iustificatione, che voleva favorire la conciliazione tra protestanti e cattolici, ma che finì per scontentare gli uni e gli altri e soprattutto per rinfocolare le accuse di eterodossia da parte dei suoi detrattori nel Sacro Collegio. Era una materia esplosiva quanto imbarazzante, che però Della Casa non affrontò, interrompendo la biografia al momento del ritorno del cardinale dalla Dieta di Ratisbona. Tra i motivi di questa interruzione, oltre alle obiettive difficoltà della materia, vi fu la chiamata a Roma, nel giugno del 1555, da parte del nuovo papa Paolo IV, l’anziano Gian Pietro Carafa da sempre ostile al Contarini, che ridava fiducia al protetto dei Farnese e lo avrebbe utilizzato fino all’estremo delle forze. La Contareni vita rimase così sospesa e fu portata a termine solo dopo la morte di Paolo IV, tra il 1560 e il 1562, da Piero Vettori, al quale aveva fatto giungere le carte del Casa il nipote Annibale Rucellai, consapevole dell’abilità del filologo fiorentino e dell’amicizia che lo legava allo zio, e forse già col proposito di un’edizione delle opere latine. Vettori compì una complessa opera di integrazione su tutto l’originale, giovandosi anche del Beccadelli, autore di una biografia in volgare del cardinale, ma declinò l’impegno rimasto sospeso di un’immagine più “curialista” del Contarini e raccontò il suo ultimo anno di vita adeguandosi strutturalmente e stilisticamente al testo del Casa. In un latino che non segna distanze, continuò i prelievi dai modelli e dagli exempla classici, preoccupandosi di scagionare il cardinale dalle accuse di eterodossia legate soprattutto all’ultimo cruciale episodio della sua vita, la visita di Ochino, e scagliandosi contro l’ipocrisia di un tempo che aveva smarrito la moralità degli antichi. A distogliere Della Casa dalla Contareni vita fu però anche una nuova urgenza personale, ossia la propria difesa dagli attacchi di Pietro Paolo Vergerio, resasi


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ancor più impellente nel momento in cui gli veniva offerta un’ultima insperata occasione di tornare tra i grandi nella Curia romana come segretario personale del papa. Non è chiaro perché Paolo IV, il vecchio cacciatore di eretici, avesse chiamato al suo fianco monsignor Della Casa: forse ricordava i suoi trascorsi di Nunzio e la sua politica estera decisamente anti-imperiale, esplicitata proprio a Venezia e ora più che mai utile alla Chiesa; forse la prudenza degli ultimi anni nel silenzio di Nervesa lo aveva messo in buona luce soprattutto agli occhi del potente cardinal nipote, Carlo Carafa. Sta di fatto che, quando Della Casa fu chiamato a Roma, circolavano le Epistolae duae che Vergerio aveva pubblicato anonimamente, riprendendo la polemica contro il Catalogo de’ libri del 1549, ma stavolta con accuse ancora più infamanti: l’ex-nunzio pontificio, il protetto dei Farnese (le malefatte dei quali, a partire dallo stupro del povero Cosimo Gheri perpetrato da Pier Luigi Farnese, Vergerio tornava di nuovo a trafiggere), veniva ora messo alla berlina per la lode dell’«arte divina» della sodomia nel giovanile capitolo del Forno, ma anche per il suo zelo persecutorio, non dovuto a sincera pietà, bensì a smisurata ambizione di carriera. Uno zelo simile a quello da cui, nella seconda Epistola dall’esplicito titolo De studio, et zelo pietatis Cardinalis Poli, veniva smascherato Reginald Pole, falso adepto dell’Ecclesia Viterbiensis, secondo Vergerio, non a caso inquisito dal Sant’Ufficio, dissimulatore nicodemita che proprio ora, nella sua Inghilterra, mostrava il suo volto di arrivista sanguinario. Accingendosi ad assumere il prestigioso incarico accanto a Paolo IV e forse a un passo dall’agognata porpora cardinalizia (che non otterrà verosimilmente proprio a causa di questo attacco), Della Casa non può esimersi da un’autodifesa apologetica ad ampio raggio e in terza persona, in cui contesta anni di calunnie dell’ex-vescovo e di diffamazioni clandestine diffuse ai danni di eminenti personalità della Chiesa, tra cui i pontefici Paolo III e Giulio III. Ma la stessa Germania, il cui patrimonio di storia e valori morali Della Casa celebra diffusamente isolando la «setta» luterana, dovrà guardarsi da un ospite infido come Vergerio, che viene qui sottoposto a una vera e propria degradazione ferina secondo i comprovati moduli dell’oratoria classica. Nella Dissertatio adversus Petrum Paulum Vergerium, infatti, Della Casa fa un uso concreto delle opere di Cicerone un tempo studiate per mera passione del latino aureo: gli schemi dell’improperium e del vituperium ad personam della prima Catilinaria o dell’orazione In Pisonem si dispiegano per buona parte del testo e si fondono con l’aggressività caricaturale delle pasquinate romane. Ne nasce l’immagine di un nemico spergiuro, rissoso, scialacquatore, uxoricida, e soprattutto pronto all’apostasia, se solo trovasse prelati disposti a credergli (si legga il tragicomico racconto dell’incontro del «macellaio» dal grugno di porco, Vergerio, col cardinale Tournon nella bettola di Vicosoprano). Il risultato – ben lungi dalle due biografie edificanti e ideali di Contarini e di Bembo, la cui amicizia è qui evocata a protezione – è un pamphlet di inaudita, e poco cristiana, violenza, che, se dato alle stampe, proprio per la sua foga accusatoria finirebbe per ritorcersi contro lo stesso autore. Sicché, neppure dopo la sua morte, avvenuta a Roma il 14 novembre 1556 a seguito di una malattia


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aggravata dalle fatiche diplomatiche e forse anche da quest’ultima amarezza, gli amici e i parenti che nel 1564 promossero i Latina Monimenta vollero pubblicare quel feroce libello, relegandolo a una clandestinità che solo a Seicento inoltrato, nell’ambito di una polemica antiprotestante, sarebbe stata interrotta. Q. M.

I curatori ringraziano tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione del volume, in particolare il personale delle biblioteche Apostolica Vaticana, Nazionale Centrale di Roma, Nazionale Centrale di Firenze, Universitaria di Genova e le biblioteche della Scuola di Scienze Umanistiche e di Storia del Diritto dell’Università di Genova. Ringraziano inoltre Stefano Carrai per il costante sostegno scientifico.


Nota biografica

1503  Giovanni Della Casa nasce il 28 giugno da Pandolfo e Lisabetta Tornabuoni. Nei suoi scritti si definisce «fiorentino», ma il luogo di nascita è probabilmente il Mugello, dove la famiglia aveva possedimenti. È il primo di sei figli: Francesco (1505-1541), Agnoletta, Elisabetta, Marietta e Dianora, che sposa Luigi Rucellai e dà alla luce gli amati nipoti Pandolfo, Orazio e Annibale. 1504-1524  Il padre, mercante, si trasferisce a Roma, portando con sé la famiglia. Qui il 19 giugno 1510 muore la madre. In una data imprecisata, ma anteriore al 1524, i Della Casa tornano a Firenze e Giovanni compie i suoi primi studi umanistici, frequentando le lezioni di Ubaldino Bandinelli. 1524-1527  Alla fine del 1524 viene mandato dal padre a studiare diritto a Bologna. Prevalgono tuttavia gli interessi letterari: con buona probabilità Della Casa segue le lezioni di retorica e poesia di Romolo Amaseo, frequenta il circolo di Girolamo Casio de’ Medici, conosce Alfonso e Galasso Ariosto, entra forse in contatto con Francesco Maria Molza e stringe amicizia con Carlo Gualteruzzi, Giovan Agostino Fanti e Ludovico Beccadelli. Nel 1526-1527 si ritira con quest’ultimo in Mugello per studiare Cicerone e i classici. 1528-1531  Abbandonati gli studi di diritto contro la volontà del padre, all’inizio del 1528 Della Casa si trasferisce con Beccadelli a Padova, dove studia greco sotto la guida di Benedetto Lampridio. L’ambiente padovano nel primo trentennio del Cinquecento è particolarmente vivace: ne sono prova i soggiorni di Gasparo Contarini e Reginald Pole e i contatti di molti intellettuali con il circolo veronese di Giberti e Florimonte. A Padova Della Casa stringe rapporti con Trifone Gabriele, Lazzaro Buonamico, Cosimo Gheri, ma il suo punto di riferimento culturale e sociale è Pietro Bembo. Alla fine del 1529 è richiamato a Roma dal padre, mentre nel 1530 è a Firenze. Ritorna a Padova per breve tempo nel 1531, anno in cui passa di nuovo per Roma. In questo periodo frequenta anche la villa di Bec-


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cadelli a Predalbino, che ospita nel tempo personalità come Ludovico Boccadiferro e Flaminio Tomarozzo, oltre agli stessi Bembo, Gheri e Gualteruzzi. 1532-1539  Si trasferisce stabilmente a Roma con l’intenzione di intraprendere la carriera ecclesiastica. Frequenta uomini di cultura e di profonda sensibilità religiosa come Galeazzo Florimonte, Alvise Priuli, Marcantonio Flaminio e Pietro Carnesecchi. Si dedica agli studi umanistici e compone i primi esercizi poetici in volgare sperimentando le forme dello stile grave (al 1533, anno della morte del padre, risale ad esempio il celebre sonetto alla gelosia, componimento tra i più antichi delle Rime). Nello stesso periodo inizia a condurre un’esistenza disinvolta e libertina, rinsaldando l’amicizia col Molza ed entrando a far parte della cosiddetta Accademia dei Vignaiuoli. Qui, a contatto con letterati come Giovanfrancesco Bini, Lelio Capilupi, Gandolfo Porrino e Giovanni Mauro, compone almeno cinque capitoli in stile bernesco dal contenuto allusivo e osceno: Sopra il nome suo, il Martello, la Stizza, il Forno e il Bacio. I primi tre appaiono per la prima volta a stampa a Venezia, presso Curzio Navò, nel 1537; gli ultimi due vengono pubblicati dal medesimo editore in aggiunta ai precedenti nel 1538. A questo periodo risalgono anche alcuni componimenti latini come l’Epigramma della formica, sempre di carattere licenzioso, e la quaestio misogina di ascendenza classico-umanistica dell’An uxor sit ducenda, composta nel 1537 ed edita postuma. Il 12 marzo 1537, nello stesso anno in cui escono a stampa i primi Capitoli, Paolo III lo nomina chierico della Camera apostolica. 1540-1541  Grazie al favore di Paolo III e del cardinale Alessandro Farnese, Della Casa ottiene il delicato incarico di commissario per la riscossione delle decime in Toscana: all’inizio del 1541 è in missione diplomatica a Firenze per gestire i fragili equilibri tra Cosimo I e il papa e per risolvere alcuni affari relativi all’eredità paterna. Nello stesso periodo entra a far parte dell’Accademia fiorentina e frequenta il filologo Piero Vettori. Il ricordo delle discussioni avvenute in quei giorni con Vettori, Francesco de’ Medici e Gasparo Contarini, allora in sosta a Firenze durante il viaggio che lo avrebbe condotto ai colloqui di Ratisbona, è affidato a una pagina della Gasparis Contareni vita, composta dall’autore molti anni più tardi. Rientra a Roma nel marzo 1541 e, secondo una lettera di Benedetto Varchi a Piero Vettori, nello stesso anno inizia la composizione del trattato De officiis inter potentiores et tenuiores amicos, a cui si dedicherà fino ai primi anni Quaranta. 1543  Paolo III gli affida l’incarico di tesoriere pontificio e lo impiega nella riscossione del sussidio feudale e dei censi di Roma. 1544-1549  All’inizio di aprile è nominato arcivescovo di Benevento e ad agosto gli viene affidata la nunziatura apostolica di Venezia, che tiene per cinque anni. Giunto nella città lagunare a fine settembre, Della Casa si trova a operare in un contesto politico difficile a causa delle continue frizioni tra il papato e le magi-


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strature civili riguardo alle rispettive aree di giurisdizione. Le incombenze sono decisamente impegnative: all’apertura del concilio di Trento (1545) è incaricato di fornire assistenza materiale ai prelati coinvolti nei lavori, successivamente gli viene affidato il controllo sulla censura delle opere editoriali non conformi all’ortodossia cattolica, che culminerà nel 1549 con la proposta di un indice dei libri proibiti, osteggiato tuttavia dal governo veneziano. Ma lo zelo del Casa nella lotta all’eresia si mostra soprattutto nell’intensa attività inquisitoriale. L’episodio più significativo è il processo contro il vescovo di Capodistria Pier Paolo Vergerio (1544-1549): accusato di apostasia e di inimicizia verso i Farnese, Vergerio approfitta delle incomprensioni tra il papato e il governo veneziano nella gestione della vicenda e nel 1549 fugge in Valtellina prima dell’arresto, approdando di lì nei Grigioni e successivamente a Tubinga. Nella risposta al catalogo casiano dei libri proibiti, edita lo stesso anno a Poschiavo, l’apostata avvia una vivace campagna denigratoria contro il Nunzio, il quale al momento non risponde alla provocazione (nella lista dei nuovi cardinali nominati da Paolo III nel 1549 tuttavia Della Casa non è incluso). Ma gli anni veneziani sono contraddistinti anche dall’impegno a trovare un difficile compromesso tra Paolo III e la Repubblica nei rapporti con Carlo V: non sortisce tuttavia alcun effetto l’Orazione per la lega, probabilmente della seconda metà del 1548, con la quale il Nunzio esorta i Veneziani ad aderire all’alleanza anti-imperiale promossa dal pontefice; nello stesso periodo, su incarico del papa, compone l’Orazione a Carlo V imperatore per la restituzione di Piacenza rivolta all’imperatore che aveva occupato la città dopo l’assassinio del duca Pier Luigi Farnese. Il peso delle cariche pubbliche toglie spazio agli studi umanistici ma non li sopprime del tutto: in questi anni Della Casa accentua il suo interesse per l’oratoria attraverso la traduzione dei discorsi di Tucidide e di un passo dell’orazione Per l’uccisione di Eratostene di Lisia; inizia la composizione di un discorso funebre, probabilmente dedicato ai caduti della Prevesa e, prima del 1549, dà avvio a un fitto lavoro filologico di annotazione ai primi quattro libri della Politica di Aristotele, del quale offre testimonianza il dialogo epistolare con l’amico Vettori. 1550-1553  Nasce il figlio Quirinetto: viene tenuto a battesimo da Girolamo ed Elisabetta Querini, che ne diventano i tutori. Morto Paolo III nel novembre 1549 e conclusa la nunziatura veneziana, Della Casa si trasferisce a Roma nella speranza di ottenere benefici dal nuovo papa Giulio III eletto nel febbraio del 1550; ma, complici il nuovo clima della Curia e il progressivo oscurarsi della potenza farnesiana, non trova il giusto spazio. Gli viene proposta la nunziatura pontificia in Francia, ma rifiuta. Nel giugno del 1551 decide quindi di fare ritorno a Venezia da privato cittadino, frequenta letterati e artisti, preoccupandosi anche di ottenere il favore dell’aristocrazia di governo: rispondono a questa celebrazione del mito venezianista l’orazione Delle lodi della Serenissima Republica di Venezia e la lettera dedicatoria al doge Francesco Donà delle Historiae Venetae del Bembo. La stessa biografia del grande letterato e cardinale, stesa in questo periodo in elegante lati-


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no ciceroniano, la Petri Bembi vita, si può leggere nella prospettiva di una captatio benevolentiae della gloriosa Repubblica, mentre sul piano storico-letterario offre una lucida valutazione dell’esperienza culturale bembiana all’interno degli ideali umanistici e cristiani del pontificato di Paolo III. Nell’elogio della libertà di Venezia si celano inoltre i sentimenti antimedicei coltivati dal Casa nei suoi rapporti con il gruppo dei fuorusciti e con lo stesso “tirannicida” Lorenzino de’ Medici. 1553-1555  Della Casa si ritira nel Trevigiano, a Nervesa, presso la badia dei Conti di Collalto. Come dimostra uno zibaldone di studi umanistici posteriore al settembre 1553 (bncf, ms II.I.100), l’autore torna a dedicarsi con continuità alle humanae litterae, continuando tuttavia a interessarsi nelle sue corrispondenze epistolari agli eventi storico-politici del tempo e a mantenere stretti rapporti con gli antimedicei. Risale a questa data il periodo più intenso della composizione del Galateo, il cui terminus a quo è fissato al 1551, per via del riferimento interno alla morte di Ubaldino Bandinelli. Esibito come frutto delle conversazioni romane con il vescovo di Sessa Galeazzo Florimonte, il trattatello «fatto per scherzo» e «per puro esercitio» contiene in realtà una riflessione profonda sui criteri di consuetudine che regolano il comportamento, celando sotto la maschera ironica del «vecchio idiota» un dialogo complesso con la tradizione filosofico-letteraria classica e moderna (Erasmo e i testi della paideia rinascimentale, tra gli altri). A Nervesa vengono inoltre elaborati gli ultimi componimenti confluiti nelle Rime e molte delle liriche latine accolte nei Carmina. È documentata agli inizi del 1554 la richiesta da parte degli eredi di Gasparo Contarini di una biografia del cardinale; ma la Gasparis Contareni vita, intrapresa a fatica, è lasciata incompiuta a seguito del trasferimento a Roma del giugno 1555 e verrà completata da Piero Vettori nel 1562 per la stampa dei Latina Monimenta (1564). Le rinnovate accuse di avere lodato la sodomia nel capitolo giovanile del Forno, scagliate da Vergerio nelle Epistolae duae del 1555, inducono Della Casa alla veemente risposta contenuta nella Dissertatio adversus Petrum Paulum Vergerium, in cui gli attacchi allusivi alla delicata questione della predicazione dei transfughi in Germania e l’apologia di personalità aperte al rinnovamento spirituale della Chiesa come Reginald Pole, si sovrappongono alla difesa della reputazione personale. 1555-1556  Con l’elezione di Paolo IV, nel giugno 1555 Della Casa è chiamato a Roma per ricoprire la carica di primo segretario del pontefice sotto la protezione del cardinal nipote Carlo Carafa. Compone istruzioni diplomatiche, discorsi e lettere secondo la politica filofrancese perseguita dal pontefice, tuttavia nel dicembre 1555 non risulta inserito nella lista dei futuri cardinali. Nell’estate del 1556 le sue condizioni di salute si aggravano, anche se non gli impediscono di svolgere diverse mansioni fino all’autunno. Trascorre forse nella residenza del cardinale Giovanni de’ Ricci, vescovo di Montepulciano, l’ultimo periodo della sua vita. Muore il 14 novembre 1556, ma probabilmente non a Palazzo Ricci, bensì nel Palazzo Apostolico (la notizia secondo cui la sepoltura sarebbe avvenuta la stessa


Nota biografica

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notte nella chiesa di Sant’Andrea della Valle non è corretta: la chiesa viene infatti edificata successivamente e le spoglie del Monsignore vi sono traslate solo tra il 1603 e il 1605). Lascia la sua eredità letteraria al nipote Annibale Rucellai, che, venendo meno alla richiesta di bruciare le carte, affida al segretario Erasmo Gemini de Cesis la cura delle Rime et prose volgari. La raccolta, che costituisce l’editio princeps delle Rime, del Galateo e dell’Orazione a Carlo V, viene pubblicata nel 1558 a Venezia da Niccolò Bevilacqua con dedica a Girolamo Querini. Con l’edizione giuntina dei Latina Monimenta (1564), commissionata da Annibale Rucellai a Piero Vettori, vanno invece in stampa le principali opere latine, tra cui i Carmina, il De officiis inter potentiores et tenuiores amicos e le biografie di Bembo e Contarini. L. B.


studi e testi collana diretta da Simone Magherini, Anna Nozzoli, Gino Tellini

1. Quaderno gozzaniano, a cura di Franco Contorbia, pp. 140, 2017. 2. Lo schermo di carta. Pagine letterarie e giornalistiche sul cinema (1905-1924), a cura di Irene Gambacorti, pp. xxiv+428, 2017. 3. Marino Biondi, L’antico e noi. Studi su Manara Valgimigli e il classico nel moderno, pp. 284, 2017. 4. Federico Di Santo, Il poema epico rinascimentale e l’«Iliade»: da Trissino a Tasso, pp. 356, 2018. 5. Giovanni Faldella, Ammaestramenti dei Moderni, a cura di Francesca Castellano, pp. xxxiv+110, 2018. 6. Paola Luciani, Letteratura e scienza. Studi su Francesco De Sanctis, pp. x+70, 2019. 7. L’ultimo Umberto Saba: poesie e prose, a cura di Jacopo Galavotti, Antonio Girardi, Arnaldo Soldani, pp. x+154, 2019. 8. Interviste a Eugenio Montale (1931-1981), a cura di Francesca Castellano, 2 voll., xlviii-1124, 2019. 9. Cristoforo Fiorentino detto l’Altissimo, Il primo libro de’ Reali, vol. I, cantari 1-54, a cura di Luca Degl’Innocenti, pp. lx+416, 2019. 10. Giovanni Della Casa, Scritti biografici e polemici. Petri Bembi vita. Gasparis Contareni vita. Dissertatio adversus Petrum Paulum Vergerium, a cura di Luca Beltrami, Quinto Marini, Gabriella Moretti, pp. xliv-324, 2020.


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