La terra popolata. Dieci ragioni per il Nobel a Bob Dylan

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La terra popolata

Leonardo M. Eva (Firenze, 1972) si è laureato in Filosofia con una tesi sull’Interpretazione dei Molti Mondi della Meccanica Quantistica. Dopo aver lavorato come bibliotecario presso la sede fiorentina della New York University è diventato insegnante di Filosofia e Storia nei licei, tra Prato, Bologna, Empoli e Firenze.

Leonardo M. Eva

Leonardo M. Eva

Nel 2016 a Bob Dylan è stato attribuito il Nobel per la Letteratura per aver creato «nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana». I versi dell’artista si contraddistinguono per la presenza di uno strabiliante numero di bizzarri personaggi che sembrano costituire un popolo che si trova nel “vicolo della desolazione” (Desolation Row), che sta assistendo alla crisi della promessa di felicità insita nella storia americana e che sta cercando di tornare a casa, ostinatamente, ma senza avere indicazioni precise. Se il Rock è certamente l’ambito in cui la sua genialità si è espressa nel modo più puro, Dylan si è dimostrato un eccellente “utilizzatore di parole” anche in altri settori: libri, interviste, discorsi, trasmissioni radiofoniche… Queste pagine offrono alcuni spunti per illuminare la multiforme opera di uno degli artisti più fecondi e influenti della nostra epoca, mostrando le ragioni dell’assegnazione del premio. Che probabilmente sono molte più di dieci!

LA TERRA POPOLATA DIECI RAGIONI PER IL NOBEL A

BOB DYLAN



Leonardo M. Eva

La terra popolata Dieci ragioni per il Nobel a Bob Dylan

SocietĂ

Editrice Fiorentina


Š 2017 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account @sefeditrice isbn 978-88-6032-437-5 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata Copertina Andrea Tasso (borgoognissantitre, Firenze)


Indice

7 “Cavoli a merenda” Pre-scritto 9 Introduzione

15

1. Canzoni

28

2. Libri

34 3. Liner Notes

38

4. Interviste

44

5. Discorsi

50

6. Pseudonimi ed epiteti

54

7. Cinema e televisione

61

8. Radio

66

9. Mitologia Folk

73

1. Canzoni (Ripresa)

78

10. Varie ed eventuali

85 “Cavoli a merenda” Poscritto

87

Vita e opere

102 Discografia 105 Bibliografia


Grazie di cuore a tutti coloro che hanno contribuito a migliorare questo lavoro con le proprie osservazioni (in particolare a Walter Muto e Lisa Cesarani), a tutti gli indimenticabili alunni con cui in questi anni ho potuto riflettere su Bob Dylan (in particolare alla classe V C – a.s. 2016/2017 – del Liceo Classico Galileo di Firenze) e a tutti gli amici che mi hanno aiutato a trovare la mia strada verso casa.


“Cavoli a merenda” Pre-scritto

Colloquio pubblico di Albert Camus con alcuni intellettuali greci, organizzato ad Atene nell’aprile 1955. Sostiene lo scrittore: «Attualmente in Europa, in quanto artisti, siamo tutti talmente costretti da impedimenti, da considerazioni, dal peso della storia, dall’accelerazione delle cose, dalla molteplicità delle informazioni, che la semplice e naturale sincerità di Omero, per esempio, ci è impossibile. Ma è verso quella sincerità, quella semplicità, che dobbiamo tendere, per l’ottimo motivo che è quello il luogo in cui si incontrano artista e pubblico». Negli USA le cose vanno diversamente. Le parole di Camus trovano realizzazione, pochi anni dopo, tra Minnesota, New York e California.



Introduzione «Sto cominciando a sentir voci e non c’è nessuno qui intorno» (Cold Irons Bound)

Premio Nobel: perché sì Nel 2016 a Bob Dylan è stato attribuito il Premio Nobel per la Letteratura. Nella motivazione si può leggere che ha creato «nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana». Le reazioni a questa assegnazione sono state molteplici. Il compianto Leonard Cohen ha osservato che dare il Nobel a Dylan è come concedere una medaglia all’Everest perché è la montagna più alta… Altri hanno riconosciuto il valore della sua arte ma hanno obiettato che la letteratura è un’altra cosa, indipendente dalla musica. A loro è sembrato rivolgersi lo stesso Dylan, nel discorso che ha mandato al banchetto per il Nobel, nel dicembre 2016: «Ho cominciato a pensare a William Shakespeare, la grande figura letteraria. Credo che pensasse a sé come un drammaturgo. Il pensiero che stesse scrivendo letteratura non avrebbe mai sfiorato la sua mente. Le sue parole erano scritte per il palcoscenico. Dovevano essere dette, non lette». Eppure tutti riconoscono che si tratta di un’immensa opera letteraria!


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Altri ancora hanno semplicemente messo in dubbio l’eccellenza dell’opera dylaniana. Altrettanto sobriamente l’artista potrebbe indirizzarsi a loro con Ballad of a Thin Man (spesso conclusione dei concerti del 2017!): è la canzone in cui viene espresso il biasimo per chi non è in grado di capire quanto sta succedendo attorno a sé (ma non rinuncia a criticare, a puntare il dito, a “pontificare”). Poi ci sono gli entusiasti. Sicuramente oggi, se fosse ancora vivo, potremmo annoverare tra di loro il poeta beat Allen Ginsberg, che diversi anni fa sostenne che quella di Dylan «era una sfida artistica per vedere se la grande arte potesse essere fatta in un juke box». E che non dubitò mai che la sfida fosse stata vinta. Possiamo anche citare il professor Christopher Ricks, accademico inglese che ha insegnato letteratura a Cambridge, Bristol e Boston e ha studiato a fondo le liriche dylaniane: «Dylan è un grande intrattenitore, un grande uomo di spettacolo appartenente alla categoria degli artisti che si rivolgevano a un pubblico vastissimo, come Dickens e Shakespeare. Dalla morte di John Berryman [1972] e Robert Lowell [1977] è il miglior utilizzatore di parole in America. Non sono infatuato del genio di Dylan al punto da non sapere che non tutto quello che ha scritto è perfetto. Ha comunque lo stesso valore di Shakespeare, il quale ha fatto anch’egli molte cose sbagliate!». Il «miglior utilizzatore di parole in America» (e non solo) dell’ultimo mezzo secolo: nelle pagine che seguono proveremo a fornire un supporto argomentativo a questo giudizio. Analizzeremo alcuni tra i molti esempi che è possibile fare all’interno dell’opera di Bob Dylan. Naturalmente ci occuperemo innanzitutto di qualcuna tra le canzoni più significative, ma non trascureremo gli altri settori in cui ha trovato espressione l’arte verbale dylaniana, che abbiamo suddiviso in dieci ambiti. Se si aggiunge che Dylan si dedica da almeno 50 anni an-


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che alla pittura e al disegno, comprendiamo che quasi nessun aspetto della cultura contemporanea è a lui estraneo. Un ulteriore indizio della grandezza di questa figura, nel contesto dell’arte a cavallo tra XX e XXI secolo. Premio Nobel: perché non andare Forse non è sprecato spendere due parole per spiegare come mai Dylan tenga un basso profilo e non sia andato a ritirare pubblicamente il premio a Stoccolma. L’artista cerca per quanto possibile di evitare le occasioni ufficiali: i premi, i riconoscimenti, le lauree… almeno a partire da quel giorno di dicembre del 1963 in cui ricevette il Premio Tom Paine. Si ritrovò in un ambiente pieno di maturi progressisti in giacca e cravatta e per vincere il disagio bevve probabilmente qualche bicchiere di troppo. Al momento di tenere il discorso, disse di aver visto qualcosa di Lee Harvey Oswald, l’uomo che aveva appena ucciso Kennedy, dentro di sé. Intendeva dire, come è stato osservato da molti, che c’era una fortissima tensione, destinata a esplodere, nell’America di quei tempi. Ma l’assassinio era avvenuto appena venti giorni prima e gli Americani erano in stato di shock. Non era un tema su cui si potesse ragionare… Fu la fine dei discorsi direttamente politici di Bob Dylan! Si può aggiungere che è persino ovvio che un artista che ha fatto della frase «There’s no success like failure» («Non c’è successo come il fallimento», da Love Minus Zero/No Limit) e del titolo I’m Not There («Io non sono qui») il cuore della propria opera non si interessi molto dell’attività di ricevere premi… Da quasi trenta anni Dylan si occupa solo di suonare in giro per il mondo (circa 100 concerti l’anno; è il cosiddetto Never Ending Tour). Del resto, lo aveva pronosticato nel 1975 in Tangled Up


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in Blue: «Io sono ancora qui per strada / in direzione di un altro bar». Inoltre in una famosa conferenza stampa del 1965 a San Francisco aveva detto, fra il serio e il faceto: «Penso a me stesso soprattutto come un cantante-ballerino [“a song-anddance man”]». OK, quindi, grazie per il Nobel… Io vado per la mia strada… Sul senso globale dell’opera dylaniana (I) A proposito di strada. Nel 2005 Martin Scorsese ha diretto un documentario (con tanto di lunga intervista) sulla storia di Dylan fino al famoso incidente motociclistico dell’estate 1966. Ben quattro ore per parlare di cinque anni di attività! All’inizio del film, Bob ci ricorda qual è il senso della sua arte: «Volevo fare un’Odissea, tornare a casa da qualche parte. Mi sono messo in marcia verso questa casa, lasciata da tempo, di cui però non ricordavo l’ubicazione, anche se sapevo di dirigermi lì… Ero nato lontano da dove dovevo essere ed ero sulla strada di casa». Insomma, al livello di Shakespeare e di Omero! Del resto lo stesso Dante, nel canto IV dell’Inferno, si pone umilmente al seguito (ma anche al livello) di Omero, Orazio, Ovidio, Lucano e naturalmente Virgilio… Sul senso globale dell’opera dylaniana (II) «Dylan è uno dei pochissimi ancora capaci di alludere alla soglia di quel mistero, di far intravedere uno spiraglio del Graal che splende al di là, lasciando sul terreno mille impronte in marcia verso una terra promessa di cui molti non sospettano più nemmeno l’esistenza» (Alessandro Carrera, La voce di Bob Dylan: una spiegazione dell’America).


Introduzione 13

Sul senso globale dell’opera dylaniana (III) Domanda durante una conferenza stampa del 1966 in Australia: «Le sue canzoni hanno un tema generale?». Risposta di Bob Dylan: «Sì. Il Secondo Avvento». Sul titolo di queste note La poesia di T.S. Eliot (in particolare The Waste Land, vale a dire La terra desolata) è spesso una fonte di ispirazione per l’arte di Dylan. Anzi: probabilmente egli ha contribuito a diffondere nel mondo del Rock i testi eliotiani. Forse il punto distintivo delle canzoni di Dylan è la continua presenza di strani personaggi dai nomi e dalle caratteristiche molto originali. Cameron Crowe nelle liner notes per il cofanetto Biograph del 1985 ha scritto che è stata realizzata una festa in maschera in cui gli invitati dovevano vestirsi da personaggio di una canzone dylaniana… Questi personaggi costituiscono un popolo? In qualche modo, sì! Un popolo che sta assistendo alla crisi della promessa di felicità insita nella storia americana, ma pur sempre un popolo. Un popolo nel “vicolo della desolazione” (Desolation Row), certo, ma in cerca della propria vera abitazione, senza troppi lamenti, senza demordere, senza lasciarsi andare definitivamente al cinismo. «Come gather ’round people / wherever you roam»! Sul senso di queste note Questo non è l’ennesimo libro su Bob Dylan. Ne esistono centinaia, forse migliaia, scritti da persone titolatissime e molto versate nella musica e nella letteratura. Questo è solo un breve avviamento alla multiforme opera dell’artista americano, nato in parte dall’esperienza che


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non tutti hanno compreso il significato dell’assegnazione del Nobel. Saranno nostri compagni di viaggio i maggiori esperti dylaniani italiani e stranieri, le cui opere principali verranno debitamente citate nella bibliografia.


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