Femminismo e femminismi nella letteratura italiania dall’Ottocento al XXI secolo

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Femminismo e femminismi

nella letteratura italiana dall’Ottocento al XXI secolo

a cura di Sandra Parmegiani, Michela Prevedello studi 35



studi 35



Femminismo e femminismi nella letteratura italiana dall’Ottocento al XXI secolo a cura di

Sandra Parmegiani, Michela Prevedello

SocietĂ

Editrice Fiorentina


Š 2019 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn: 978-88-6032-498-6 issn: 2035-4363 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata


Indice

vii Introduzione

femminismo sociale

3 Una fra tante. Un caso di violenza di Stato Sara Positano

19

La mia penna è il mio tiranno: lettere di Emma Tettoni a Giosuè Carducci (1881-1891) Loredana Magazzeni

41

61

Aleramo, Montessori, Hallgarten: reti di donne nell’Italia di inizio ’900 Cristina Caracchini “Parlare il futuro”: Gina Lagorio “narratrice” della condizione delle donne nel secondo Novecento Ilaria Crotti

femminismo e maternità

79 Elsa Morante e le madri Cristina Benussi 99 L’amore molesto, I giorni dell’abbandono e La figlia oscura di Elena Ferrante: riti di passaggio, cerimoniali iniziatici e nuove soggettività Tiziana de Rogatis

121

Annullamento della maternità nella narrativa di Simona Vinci, Isabella Santacroce e Melania G. Mazzucco Barbara Kornacka


corporalità e sessualità nel femminismo novecentesco

Writing from the Womb: A Cixousian Reading of Elena Ferrante’s La figlia oscura Roberta Cauchi-Santoro

141

157

Theatre, performance and gender in Elsa Morante’s Il gioco segreto and Lo scialle andaluso Maria Morelli 177 Immaginario alimentare e femminismo in Dacia Maraini Patrizia Sambuco

193

Di “vasci” e tacchi alti: alcune figure femminili nell’opera di Valeria Parrella Amaranta Sbardella

anti-modelli e femminismo

209

Contro la donna «intelligente come un uomo». Il femminismo di Goliarda Sapienza Laura Ferro 227 L’uguaglianza e la differenza: il tempo di Penelope Serena Alessi 245 Femminismi nell’opera di Elena Ferrante Marianna Orsi 267 Bibliografia

285

Le autrici

291

Indice dei nomi


Introduzione

I femminismi oggi Questo volume esce in coincidenza con una fase importante di affermazione e visibilità dei femminismi contemporanei, quella della collettiva presa di parola delle donne, in Italia e a livello internazionale, contro la violenza di genere e gli abusi di potere radicati in una cultura ancora androcentrica e sessista, a livello globale. Ci stiamo riferendo all’esplosione dei movimenti del #Metoo nel 2017 e 2018 contro le molestie sessuali, in Italia il #Quellavoltache, e alle marce e gli scioperi internazionali delle donne promossi dalle organizzazioni femministe, in Italia in particolare dal gruppo “Non una di meno”1. La rete della parola femminile e dell’azione collettiva organizzata ha messo potentemente in primo piano come le questioni di genere siano ben lontane dall’essere esaurite e risolte, contrariamente a quanto era andata affermando una certa vulgata “postfemminista” negli ultimi decenni, specialmente di matrice angloamericana, che aveva reso postumo o “spettrale” il femminismo – come gli studi sul postfemminismo di Angela McRobbie e Rosalind Gill hanno esau1 La campagna del #Metoo è stata lanciata sui social media nell’ottobre 2017, dalla denuncia di alcune note attrici americane, e non solo (Asia Argento è stata una di queste) contro le molestie sessuali subite dal produttore hollywoodiano Harvey Weinstein. Nel giro di pochissimi giorni la campagna è diventa virale sui media, generando un movimento sociale globale di denuncia da parte delle donne, che hanno riportato e condiviso sotto l’hashtag #Metoo le proprie esperienze di violenza, molestia, prepotenza e intimidazione sessuale, subita da uomini nel corso della loro vita. Questo movimento ha messo in piena luce quello strutturale squilibrio di potere tra i sessi che innerva le società contemporanee a livello globale. In Italia, la scrittrice e giornalista Giulia Blasi, in collaborazione con i collettivi femministi e LGBT Pasionaria.it e Gaypost.it, ha a sua volta lanciato l’hashtag #Quellavoltache, a cui hanno risposto migliaia di donne italiane raccontando le proprie storie di violenza e molestie. Le tantissime storie raccontate sono state raccolte nel volume #quellavoltache – Storie di molestie, a cura di Giulia Blasi, Anna Lanave e Marianna Peracchi, Roma, ManifestoLibri, 2018.


viii    femminismo e femminismi nella letteratura italiana

rientemente illustrato2. Nel mondo della letteratura italiana il 2018, dopo 15 anni di ininterrotta dominanza maschile – che la dice lunga su come il traguardo della cosiddetta “uguaglianza letteraria” sia ancora ben lontano dall’essere celebrato –, è l’anno in cui una scrittrice si aggiudica il premio letterario più prestigioso del paese, lo Strega: Helena Janeczek con La ragazza con la Leica3. La Merrian-Webster, storica casa editrice americana di dizionari, ha dichiarato inoltre “femminismo” la parola dell’anno 2017, con un aumento del 70% del numero di ricerche su questa parola rispetto al 20164. In questi anni ci troviamo all’interno di una fase complessa e ambigua, in cui lo spirito libertario individualista, l’assolutizzazione degli ideali di scelta e affermazione personale con la complementare depoliticizzazione dei movimenti di protesta collettivi, e l’erosione del ruolo di tutela del singolo esercitato dallo stato – fenomeni propri del neoliberismo e della globalizzazione – si stanno allacciando con tetri immaginari nazionalistici, razzisti e sessisti. I residui patriarcali della cultura italiana sono tragicamente visibili nel fenomeno endemico della violenza contro le donne e nel drammatico numero dei femminicidi che costituiscono un lutto quotidiano, manifestando la presenza strutturale della violenza di genere all’interno della società italiana, e l’insufficienza di adeguate risposte politiche e culturali5. Come afferma Ida Dominijanni, in relazione alla persistenza di tali dinamiche di violenza all’interno di quello che definisce “post-patriarcato”, si tratta di espressioni di «un potere più vulnerabile ma proprio per questo più attaccato alla propria sopravvivenza, meno credibile ma proprio per questo talvolta più aggressivo, più instabile ma proprio per questo a sua volta più destabilizzante di un tempo»6. Ormai parecchi anni fa, nel 2010, Caterina Soffici si chiedeva, come recita il titolo del suo libro, Come si vive nel paese più maschilista d’Europa7. Quasi dieci anni dopo, l’Italia è una 2 Ci si riferisce in questo contesto a quella “sensibilità” culturale “postfemminista” sviluppatasi all’interno dello scenario del neoliberalismo contemporaneo che dichiara il femminismo oramai passato, ridondante e dunque spettrale, in quanto non più rispondente alle nuove condizioni di empowerment e di individualistica affermazione e libertà delle donne. Sul postfemminismo come “sensibilità” culturale si veda il noto studio di Rosalind Gill Postfeminist Media Culture: Elements of a Sensibility, in «European Journal of Cultural Studies», 10, 2007, pp.147-166; sulla neutralizzazione politica del femminismo e sul suo essere “passato” si veda l’altrettanto noto testo di Angela McRobbie, The Aftermath of Feminism: Gender, Culture and Social Change, Londra, SAGE, 2009. 3 Helena Janeczek, La ragazza con la Leica, Milano, Guanda, 2108. 4 Si veda https://www.merriam-webster.com/words-at-play/woty2017-top-looked-up-wordsfeminism/. 5 Il quadro drammatico dell’Istat del 2016 segnala che in Italia una donna su cinque nella propria vita è stata vittima di forme di violenza, tentata violenza, sopraffazione o molestia sessuale. Si veda, per una riflessione su questi dati, Adriana Pollice, Violenza contro le donne. Il quadro nero dell’Istat, in «Il Manifesto», 29 marzo 2017 (https://ilmanifesto.it/violenza-contro-le-donne-il-quadro-nero-dellistat). 6 Ida Dominijanni, Il trucco. Sessualità e biopolitica nella fine di Berlusconi, Roma, Ediesse, 2014, p. 207. 7 Caterina Soffici, Ma le donne no. Come si vive nel paese più maschilista d’Europa, Milano, Feltrinelli, 2010.


Introduzione   ix

società in cui il gap salariale femminile è ancora spaventoso, in cui la precarizzazione del lavoro colpisce più duramente le donne e in cui l’enorme carico del lavoro domestico e di cura non pagato ricade sempre e ancora, per grandissima parte, sulle spalle delle donne, italiane o straniere. In epoca attuale vecchie e nuove forme di sessismo, di misoginia, omo e transfobie, razzismi, stigmatizzazioni di corpi differenti o “disabili” si intersecano con le dinamiche onnivore del neoliberismo globale che sembra capace di ingoiare e neutralizzare ogni forma di resistenza e di opposizione. La rappresentazione mediatica delle donne in Italia ha continuato a veicolare immagini iper-sessuate del femminile, mescolando la tradizionale oggettivazione patriarcale del corpo femminile con la retorica neoliberista della “valorizzazione del corpo erotico”, inteso come risorsa che la donna sarebbe libera di capitalizzare sul mercato8. Su questo fronte continua a lavorare l’attivista Lorella Zanardo, a partire dal suo noto documentario Il corpo delle donne del 2009 e poi con una rete di interventi educativi nelle scuole focalizzati a discutere la rappresentazione femminile nella stampa e televisione italiana, e il rapporto dei giovani con i media9. Immagini stereotipate del femminile vengono recuperate e veicolate dalla cultura mainstream e dalle rappresentanze della politica italiana, dove le donne sono di volta in volta identificate con la funzione materna, con la cura, con la bellezza, con la seduzione, o con la distruttività pericolosa dell’arcaico femminile. Pensiamo all’oggettivazione sessuale femminile esasperata in particolar modo dal berlusconismo e dallo “scambio sessuo-economico” messo in atto dal quel sistema di governo. Ma pensiamo anche alle immagini più caste proposte dal governo Renzi per la campagna del Fertility Day nel 2016: il poster di una giovane donna con l’orologio in mano che ricorda alle donne con allarme di fare figli in tempo, rievocando fantasmi mussoliniani su donne e procreazione, come osservato da più parti10. O ancora si pensi all’immagine della donna proposta da personalità del governo M5S-Lega, in cui in maniera non troppo velata si predilige un’immagine della donna esclusa dallo stretto entourage di uomini di potere, e relegata invece a un ruolo domestico “di supporto” del maschio di successo11. Inseriti in questo contesto, oggi più che mai i femminismi costituiscono una forza di opposizione e resistenza e un laboratorio di idee, di creatività, di 8 Cristina Morini, Per amore o per forza. Femminilizzazione del lavoro e biopolitiche del corpo, Verona, Ombre corte, 2010, p. 22. 9 Cesare Cantù, Marco Malfi Chindemi e Lorella Zanardo, Il corpo delle donne, 2009, http://www.ilcorpodelledonne.net/documentario/. 10 Si veda ad esempio l’articolo di Annalisa Coppolaro-Nowell, Italy’s fertility day posters aren’t just sexist – they’re echoes of a fascist past, in «The Guardian», 5 settembre 2016 (https://www.theguardian.com /commentisfree/ 2016/ sep/05/italys-fertility-day-posterssexist-echoes-of-fascist-past). 11 Si tratta di una tendenza non unicamente italiana, ma europea e – per certi versi – mondiale. Si veda l’articolo di Michele Serra, Tutti maschi, solo maschi così il nuovo potere si vendica delle donne, in «Repubblica», 7 agosto 2018 (https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/08/07/news/tutti_maschi_solo_maschi_cosi_il_nuovo_potere_si_vendica_delle_donne-203623836/?ref=RHPPTPBH-I0-C12-P1-S2.4-T1).


x    femminismo e femminismi nella letteratura italiana

ricerca politica e culturale, e di vita associativa, sulla base di quel progetto storico aperto dai femminismi del Novecento e della ricchissima eredità di saperi e pratiche trasmessa da questi. Non si può mai sottolineare abbastanza, infatti, il fondamentale ruolo che i femminismi hanno avuto nella storia del Novecento, e ci riferiamo qui in particolare alla cesura aperta dal movimento degli anni Settanta che – come suggerisce Cristina Morini – ha puntato a trasformare radicalmente, ossia «dalle radici» della vita nella sua materialità, la società italiana12. Oggi, in epoca post-ideologica di demolizione di tutti gli “-ismi”, il femminismo trattiene, produce e reinventa la sua spinta di rottura, la sua capacità di denuncia e di critica, la sua forza rivoluzionaria e creativa. I femminismi italiani, nella loro connaturata dimensione plurale e locale, costituiscono un complesso insieme di realtà molto differenti tra loro. In questo contesto i femminismi manifestano il loro potere critico, e lungi dall’essere “passati”, si dispiegano come forza intersezionale in grado di intervenire significativamente in questa fase storica. Come ha scritto Giorgia Serughetti, «movimenti come quelli che hanno occupato le piazze di molti paesi del mondo negli ultimi anni, guidati da donne ma aperti a tutti i soggetti accomunati dalla precarizzazione delle vite, mostrano la potenza che può avere il discorso femminista nell’interpretare la crisi economica e sociale»13, e nel progettare la critica all’intreccio di forme di violenza sessista, omotransfobica, razzista e nazionalista. Pensiamo al movimento “Se Non Ora Quando”, che nel 2011 ha riportato nelle strade quasi un milione di italiani per protestare contro l’oggettivazione del corpo femminile e il sistema di scambio sesso-denaro che era emerso con il sex-gate berlusconiano. Pensiamo alla marcia contro la violenza promossa da “Non Una di Meno”, che ha radunato a Roma nel novembre 2017 migliaia di persone. Pensiamo all’infinita rete dei centri culturali di ricerca delle donne, come la “Società delle Storiche” e, nell’ambito della letteratura, la “Società delle Letterate” o il gruppo delle “Inquiete” (le organizzatrici del Festival di scrittrici a Roma), per citare solo pochissimi e parziali esempi della ricchezza del femminismo italiano attivo nei primi decenni del XXI secolo. Il femminismo del nuovo millennio è però anche fatto da tantissimi gruppi, collettivi, associazioni e centri culturali che spesso faticano ad acquisire visibilità a livello di cultura mainstream; sono quei femminismi che non fanno notizia, come li ha definiti Barbara Bonomi-Romagnoli14. Sono voci importanti, come hanno fatto notare Catherine O’Rawe e Danielle Hipkins riferendosi alle dinami12 Cristina Morini, Quel corpo sono io. Dal femminismo insegnamenti di resistenza al biopotere, in Il gesto femminista. La rivolta delle donne: nel corpo, nel lavoro, nell’arte, a cura di Ilaria Bussoni e Raffaella Perna, Roma, DeriveApprodi. 2014, pp. 82-88: 85. 13 Giorgia Serughetti, Dopo il 4 marzo c’è l’8 marzo, in «Femministerie» (blog), 6 marzo 2018 (https://femministerie.wordpress.com/2018/03/06/dopo-il-4-marzo-ce-l8-marzo/). 14 Barbara Bonomi Romagnoli, Irriverenti e libere. Femminismi nel nuovo millennio, Roma, Editori Internazionali Riuniti, 2014, p. 13.


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che specifiche del #metoo nel contesto italiano: «it is important to pay attention to these voices. They are too often neglected in the rush to paint Italy as hopelessly behind the times on gender politics»15. Il progetto di questo volume L’idea di questo volume è nata dalla volontà di ricostruire ed esaminare il legame essenziale che la scrittura delle donne ha intessuto con il femminismo nella letteratura italiana dall’Ottocento a oggi. Il binomio femminismo-letteratura si intreccia spesso – proprio per la sua natura di “contestazione” di ruoli di genere e di tradizioni politico-culturali e confessionali – al femminismo sociale. Le modulazioni di questo legame sono plurali e variabili, come lo è la nozione stessa di “scrittrice” e, quindi, il tipo di rapporto che questa intesse con il femminismo. La letteratura, per dirla con le parole di Toril Moi, «is the archive of a culture. We turn to literature to discover what makes other human beings suffer and laugh, hate and love, how people in other countries live, and how men and women experienced life in other historical periods»16. Le donne, scrivendo dal loro particolare posizionamento sessuato, e a partire da una condizione “femminile” che qui si intende non in senso essenzialistico/ biologistico, ma come condizione materiale, culturale e antropologica storicamente determinata, hanno portato e portano nel testo letterario la loro visione del mondo, di soggetti sessuati all’interno di un ordine sociale e di un sistema simbolico andro- e fallocentrico. Le scrittrici, muovendosi in un campo letterario “universale” (maschile) hanno portato quella difference of view – ossia, quello strappo o discontinuità con il discorso egemonico maschile – come la definì già al finire degli anni Settanta la critica letteraria Mary Jacobus prendendo le mosse da Virginia Woolf, che non è certamente legata a una uniforme identità sessuale, ma è il risultato di quelle differenze materiali, culturali, politiche e antropologiche che le donne hanno vissuto storicamente17. La scrittura femminile, nei suoi rapporti più o meno oppositivi, trasgressivi o dialogici con un sistema culturale androcentrico e un campo letterario storicamente dominato dalla scrittura maschile, ha sviluppato di necessità una complessa e variegata rete relazionale con la progettualità femminista – esplicita e implicita – che questo volume si propone di esaminare attraverso l’individuazione di un itinerario di carattere tematico “trasversale” della scrittura femminile. 15 Catherine O’Rawe e Danielle Hipkins, Asia Argento, Harvey Weinstein and Italy’s complex relationship with feminism, in «The Conversation», 3 gennaio 2018 (http://theconversation.com/asiaargento-harvey-weinstein-and-italys-complex-relationship-with-feminism-88496/). 16 Toril Moi, “I am not a woman writer”: About Women, Literature and Feminist Theory Today, in «Feminist Theory», 9, iii, 2008, pp. 259-271: 268. 17 Mary Jacobus, The Difference of View, in Women Writing and Writing about Women, 7 voll., New York, Barnes and Noble, 1979, pp. 10-21.


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Nonostante, proprio a partire dal movimento femminista degli anni Settanta, il lavoro della critica sulle scrittrici italiane si sia fatto sempre più ampio e articolato, sia in Italia che all’estero, mancano ancora studi sistematici sulle relazioni tra letteratura italiana e femminismi, studi che prendano in esame a livello complessivo l’insieme della produzione letteraria nelle sue intersezioni con i femminismi italiani e internazionali. Questo volume si propone pertanto di creare una parziale mappatura – attraverso personalità e opere particolarmente significative – delle relazioni tra letteratura e femminismi, mettendone in luce interazioni, varianti, continuità e discontinuità a livello storico. Si tratta, in quest’ottica, di un volume che presenta una dialettica di femminismi letterari e sociali dall’Ottocento ad oggi, che nella pluralità di voci e soluzioni proposte, mostra la vitalità e l’attualità di un dibattito che non guarda solo all’immediato presente, ma che nel presente vede un momento di “arrivo” e allo stesso tempo di perdurante elaborazione del femminismo italiano. In questa prospettiva critica, le relazioni tra letteratura e femminismo sono da intendersi come relazioni di scambio, e non di semplice “riflesso” del secondo da parte del testo letterario. Per questo, la pratica della critica letteraria femminista non consiste tanto nel leggere e interpretare i testi della letteratura attraverso teorie femministe, come per svelarne una verità nascosta, quanto invece nell’indagare come la letteratura produca, complichi, comunichi, crei e ricrei il pensiero del femminismo e la sua critica culturale e politica. Abbiamo voluto sviluppare, dunque, non un volume sulla storia della letteratura al femminile, ma un testo che esamini come le scrittrici abbiano partecipato ai femminismi, con creatività, con forza critica, ma anche con conflitti e contraddizioni, attraverso la presa di parola nella letteratura. Questo volume non può che essere inevitabilmente una riposta parziale e frammentata a questa urgenza critica, dato il campo d’analisi smisurato, sia in relazione ai femminismi che alle scritture femminili, entrambi definiti dalla loro polivocalità e non assimilabili in discorsi generalizzanti. Senza fine il numero delle interrogazioni possibili, delle autrici, delle “personagge”, degli approcci critici e dei temi che si sarebbero potuti trattare. I saggi qui presenti affrontano in modi diversi e complementari queste tematiche, manifestando appunto una pluralità (tanto del femminismo quanto della scrittura femminile e della loro reciproca interazione) che sfonda ogni possibile concezione omologante e monologica di una “letteratura al femminile”. L’approccio critico adottato dai singoli capitoli è vario e dialogico e comprende Gender Studies, teorie femministe, letture psicoanalitiche, Queer Studies, gli studi sulla maternità, Food Studies – solo per citare alcune delle complementari prospettive critiche. I saggi qui riuniti fanno chiaramente emergere una fitta trama di nessi e di giunture, che abbiamo evidenziato nella divisione tematica in quattro macrosezioni: la prima dedicata al femminismo “sociale”, legato all’impegno sociale e collettivo delle donne; la seconda alla smisurata questione della maternità, centrale tema dei femminismi; la terza dedicata alla “scoperta” femminista del


Introduzione   xiii

corpo e della sessualità femminile; e la quarta agli “anti-modelli” del femminismo, ossia alla critica femminista ai modelli culturali nati all’interno di un ordine simbolico maschile. Certamente queste grandi linee interpretative rimandano l’una all’altra e non sono definibili in maniera netta. Così, ad esempio, uno degli anti-modelli più significativi del femminismo è rappresentato dalla “terza via” di Elsa Morante discussa da Cristina Benussi, ma inserita nella sezione su femminismo e maternità; mentre il femminismo sociale e pratico di Sibilla Aleramo, Maria Montessori e Alice Hallgarten, discussi da Cristina Caracchini nella prima sezione dedicata al femminismo sociale, si snoda sulla questione della maternità, naturalmente connessa al tema del corpo e della sessualità, e alla critica ai modelli culturali del femminile e maschile del tempo, e per questo si collega a tutte e quattro le sezioni tematiche qui discusse. Questa suddivisione in quattro parti permette pertanto di cogliere i molteplici legami che uniscono i testi esaminati. L’invito è a leggere questo volume in maniera organicamente dialettica, e a cogliere i numerosissimi spunti che anticipano e legano il femminismo otto-novecentesco al presente, alle legittimazioni e rivendicazioni del femminismo nell’era #Metoo e in una contingenza storico-sociale caratterizzata – come abbiamo visto – da preoccupanti tentativi contemporanei di ritorno a un modello femminile “arcaico”. La fase storica attraversata dai saggi si estende dall’ingresso “evidente” (ossia “socialmente visibile”) delle donne italiane nel campo letterario e sociale a fine Ottocento, fino alla loro centrale e multiforme presenza come scrittrici negli anni Duemila, arco temporale che si muove dall’affermazione del primo femminismo post-unitario sino ai nuovi (post)femminismi del presente. I saggi raccolti attraversano quindi gli ultimi centocinquant’anni della letteratura italiana, concentrandosi su autrici e testi che, in modi diversi, dialogano con il femminismo e allo stesso tempo lo plasmano, lo sfidano e lo reinventano. La letteratura è stata e continua a essere un luogo di immaginazione e di creazione di nuove soggettività femminili, non più riflesso delle costruzioni (e costrizioni) patriarcali della donna che si diramano dagli archetipi del femminile: la donna identificata nella maternità e procreazione, idealizzata nella bellezza o nella cura, resa metafora della patria o della famiglia, oppure la donna mostruosa, divoratrice, peccatrice, la prostituta. La creazione letteraria è luogo di espressione di altri discorsi del e sul femminile, luogo di articolazione di una soggettività femminista, secondo la nota definizione di Teresa De Lauretis, ossia una soggettività “eccentrica”, dentro e fuori rispetto alle dinamiche di potere, un soggetto critico e auto-critico, «capace di disaffiliarsi dalle stesse appartenenze e conoscenze acquisite, dunque disidentificato dalle formazioni culturali dominanti»18. In questo senso la letteratura non costituisce soltanto spazio di comunicazione e rappresentazione, ma è luogo di produzione e creazione del pensiero femminista. Luogo di narrazione del sé, di Teresa De Lauretis, Soggetti eccentrici, Milano, Feltrinelli, 1999, p. 81.

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xiv    femminismo e femminismi nella letteratura italiana

convergenza tra personale e politico, di costruzione di un’identità femminile – un soggetto individuale e collettivo, paradigmatico e plurale, fissato sulla pagina e in divenire. Nella fitta rete di nessi che lega tutti i saggi del volume, è centrale l’idea del “margine” (margine letterario, autoriale, sociale, civile, politico, discorsivo, simbolico). Le scrittrici di fine Ottocento scrivevano dalla periferia del campo letterario il cui centro era necessariamente maschile. In questa prima fase storica del femminismo, dominata dalle istanze dell’emancipazionismo e dalla volontà di raggiungere la parità giuridica e civile con l’uomo, la letteratura esprimeva l’esclusione del femminile e la volontà di uguaglianza, di conquistare gli stessi diritti di quel soggetto universale (maschile) al centro della cultura dell’occidente. Si può entrare? è infatti il titolo di una raccolta di poesie di Emma Tettoni, poetessa veneta di fine Ottocento, alla cui “impresa letteraria” è dedicato il saggio di Loredana Magazzeni. L’idea di “margine” attraversa tutto il Novecento e viene indagata nei romanzi come margine discorsivo e simbolico, di una scrittura che rompe appunto l’ordine simbolico patriarcale, trasgredisce il linguaggio androcentrico per esprimere una nuova soggettività («il soggetto imprevisto», di cui parlava Carla Lonzi, riferendosi all’avvento del femminismo nella storia)19, innovando e sperimentando forme e generi letterari, in un rapporto con la tradizione e il canone letterario che è non solo di scarto ma è anche fatto di attrazione, dialogo e «d’amore»20. Come la critica letteraria femminista ha messo ampiamente in evidenza, le scrittrici hanno prodotto affascinanti contaminazioni di generi e di modelli letterari, facendo emergere nuove tradizioni e genealogie al femminile. La scrittura femminile si è impegnata nella decostruzione e riappropriazione di modelli letterari e archetipi culturali, promuovendo immagini alternative, “anti-modelli”, e mettendo in atto pratiche di riscrittura di miti e motivi della tradizione letteraria occidentale, come ben emerge nel saggio di Serena Alessi dedicato alle riscritture del mito di Penelope da parte delle scrittrici Silvana La Spina e Rosaria Lo Russo. A partire dagli anni Settanta, con l’insorgenza del movimento femminista, la critica letteraria femminista, «innervata sulla sessuazione del soggetto»21, ha lavorato sulla posizione di margine delle donne nel campo letterario, decostruendo le grandi narrazioni della loro assenza o secondarietà, e ha prodotto sia in Italia, che all’estero, una quantità sempre crescente di testi fondamentali sulle scrittrici italiane, sul loro rapporto con il canone, sulla riscrittura e reinvenzione dei generi letterari, facendo emergere quella “tradizione” som-

Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel e altri scritti, Milano, Et al., 2010, p. 47. Si confronti Laura Fortini, Critica femminista e critica letteraria, in «Italian Studies», 65, 2010, pp. 178-191: 178. 21 Ibidem. 19

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mersa della scrittura femminile che ha profondamente modificato l’idea di letteratura e di canone fino ad allora dominanti: È grazie alla critica letteraria a firma di donne che la presenza delle scrittrici nella letteratura italiana ha acquisito innanzitutto i caratteri di una continuità al punto di assumere i tratti di una tradizione essa stessa; ed è sempre grazie alla critica letteraria a firma di donne che è stata messa in luce l’originalità di esperienze che si sono rivelate ben più significative rispetto alla marginalità in cui erano state collocate. Si tratta di una critica letteraria che ha origine dal movimento delle donne degli anni Settanta, e che a partire da allora ha indagato con continuità le forme di una scrittura innervata sulla sessuazione del soggetto, e che quindi si può con proprietà definire ‘femminista’22.

La critica femminista ha anche denunciato il doppio standard della critica letteraria che da sempre ha penalizzato la scrittura delle donne, considerate scrittrici “minori” a causa del loro sesso, sulla base di dinamiche pregiudiziali (e di potere) maschili, che la studiosa inglese Mary Ellmann già nel 1968 definiva «phallic criticism»23. Il riconoscimento postumo dell’opera di una scrittrice come Goliarda Sapienza è prova di come l’istituzione della critica abbia marginalizzato le scrittrici perché scrittrici. La scrittura “incatalogabile” di Sapienza, che attraversa e ibrida in modo assolutamente originale generi differenti, ha causato resistenze da parte della critica e del mercato letterario del tempo. Il saggio di Laura Ferro rileva proprio questo aspetto e lo indaga per Lettera aperta, su cui la mano censoria dell’allora giovane redattore Enzo Siciliano era intervenuta andando a eliminare significativi passaggi in modo da conformare l’opera alla linea della Garzanti, e soprattutto per l’Arte della gioia, capolavoro postumo, per vent’anni rifiutato da importanti case editrici. La produzione letteraria delle scrittrici, la “tradizione” della scrittura delle donne e il loro importantissimo valore, in termini di innovazione formale, sperimentazione e contaminazione di generi letterari, sono stati fatti emergere, discussi, studiati e celebrati ormai da cinquant’anni di critica letteraria femminista. Tuttavia, nel presente in Italia non si può ancora parlare di “uguaglianza letteraria” tra i sessi. Che le scrittrici oggi, seppure nel loro spostarsi 22 Ivi, pp. 178-179. Numerosi sono ormai i testi critici di riferimento sulle scrittrici italiane. Rimandiamo qui al pionieristico lavoro di Marina Zancan, Il doppio itinerario della scrittura: la donna nella tradizione letteraria italiana, Torino, Einaudi, 1998; si veda poi A History of Women’s Writing in Italy, a cura di Letizia Panizza e Sharon Wood, Cambridge, Cambridge University Press, 2000; e per una prospettiva sulla critica letteraria femminista si veda il saggio di Laura Fortini, Critica femminista e critica letteraria, cit. 23 Su questo si veda il noto commento di Benedetto Croce sulla supposta immaturità letteraria delle donne come artiste, in quanto legate all’immediatezza, alla funzione della procreazione e alla “natura”: «Sembra che le donne, valenti a svolgere in sé per nove mesi un germe di vita, a partorirlo travagliosamente, ad allevarlo con un’intelligente pazienza che ha del prodigioso, siano di solito incapaci di regolari gestazioni poetiche: i loro parti artistici sono quasi sempre prematuri: anzi, alla concezione segue istantanea la dèliverance, e il neonato è poi gettato sulla strada, privo di tutti quegli aiuti di cui avrebbe bisogno» (Benedetto Croce, La letteratura della nuova Italia, 4 voll., Bari, Laterza, 1948, ii, p. 362).


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«from margins to mainstream»24 soffrano ancora di un pregiudizio in quanto donne, è cosa tristemente evidente in Italia e su cui sarebbe interessante fornire aggiornati dati quantitativi di ricerca. Il già citato monopolio maschile del Premio Strega per quindici anni ininterrotti ne è immagine sintomatica. Altra prova ne è il fatto, per citare un piccolo episodio di cronaca, che un “uomo di cultura”, come il direttore della libreria Feltrinelli di Bologna, pubblicamente dichiari – avveniva nel 2015 – di non leggere molto le donne, e in questo modo giustifichi l’assenza totale di scrittrici all’interno della selezione dei “Classici” proposta dalla nota libreria bolognese25. Gli esempi su tali dinamiche di marginalizzazione delle scrittrici purtroppo non mancano, sia in riferimento al mercato letterario, che all’interno del mondo accademico italiano. Il persistere di queste dinamiche di marginalizzazione letteraria che si intersecano con quelle di subordinazione sociale delle donne, fa sì che la letteratura continui a essere uno spazio essenziale per la creatività, l’elaborazione e l’espressione dei femminismi del presente. Letteratura e femminismi La presa di parola delle scrittrici italiane nel tardo Ottocento avveniva in un momento storico in cui per la prima volta il femminismo faceva emergere come istanza sociale “la questione della donna”, il tema dell’emancipazione femminile, dell’uguaglianza tra i sessi e la parità di diritti. Le scrittrici hanno partecipato a queste nuove tensioni attraverso la scrittura, in modi eterogenei, e non certo senza conflitti e resistenze da parte della cultura ufficiale e – spesso – dalle fila di una femminilità complice e rassegnata. Prendendo in mano la penna e ponendosi nello spazio pubblico, donne scrittrici hanno intersecato il femminismo secondo modalità differenti, in un momento in cui, come osserva Lucienne Kroha nel suo saggio The novel 1870-1920, «the climate of revolt created by the feminist movement put a great deal of pressure on women writers, novelists in particular»26. L’affiliazione delle scrittrici alla nuova causa del femminismo non fu certo immediata e semplice, prova ne è la complessità delle posizioni di scrittrici come Neera, Matilde Serao o la Marchesa Colombi che pubblicamente non abbracciarono la causa femminista, ma la cui scrittura intesse un complesso rapporto con tematiche femministe. Il problema della “rispettabilità”, 24 Il riferimento qui è al fondamentale testo di Carol Lazzaro-Weis, From Margins to Mainstream. Feminism and Fictional Modes in Italian Women’s Writing. 1968-1990, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1993. 25 Giulia Zaccariello, Feltrinelli Bologna, direttore: “Leggo pochi libri di donne”. Polemica tra gli scrittori: “Maschilista”, in «Il Fatto Quotidiano», 15 dicembre 2015, https://www.ilfattoquotidiano. it/2015/12/15/feltrinelli-bologna-direttore-leggo-pochi-libri-di-donne-polemica-tra-gli-scrittori-maschilista/2306947/. 26 Lucienne Kroha, The novel 1870-1920, in A History of Women’s Writing in Italy, cit., pp. 164176: 167.


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come scrive Perry Willson, impediva a molte donne di prendere posizione apertamente e di avere un ruolo pubblico attivo27. La letteratura poteva rappresentare il campo dove comunicare in maniera diretta, oppure criptata, codificata e parodica, un nuovo impegno sociale e l’emergere della causa femminile. Si veda ad esempio il romanzo-inchiesta femminile Una fra le tante, della giornalista e scrittrice Emma, discusso da Sara Positano, che tematizza la questione della subalternità sociale femminile e della prostituzione. In questo periodo l’affermazione più scandalosa e rivoluzionaria di un nuovo modo di intendere l’essere donna, e del rifiuto della subalternità civile e sociale a cui la donna era costretta, è costituita dal romanzo Una Donna di Sibilla Aleramo, di cui il saggio di Cristina Caracchini fornisce un’affascinante lettura: esempio per eccellenza di narrazione che è pratica di costruzione (sempre aperta) del sé femminile e di un’identità nuova, in cui la scrittura della protagonista è sia esperienza personale di liberazione e trasformazione di sé, che tessitura del romanzo. Prendendo le mosse da questa fase inaugurale del femminismo italiano (nonostante ovviamente contenuti protofemministi si possano leggere anche in testi letterari di epoche anteriori), il volume esplora poi il Novecento, ma soffermandosi in particolare sul periodo che dal dopoguerra va fino agli anni Sessanta, con grandi autrici come Elsa Morante, Goliarda Sapienza, per poi estendersi al secondo Novecento, al movimento femminista degli anni Settanta, e alle articolazione dei femminismi nei decenni successivi, attraverso la scrittura di Gina Lagorio, Silvana La Spina, Rosaria Lo Russo e Dacia Maraini. Questi sono anni di grande sperimentazione e creatività da parte delle scrittrici che da dentro il campo letterario fanno i conti con una cultura in cui ancora le donne sono subalterne in quanto donne. La scrittura delle donne manifesta come la società italiana, nei decenni precedenti la cesura del movimento femminista, sia ancora estremamente conservatrice e sessista, dominata nel campo della politica sessuale dall’istituzione della Chiesa e da un apparato ideologico che subordina ancora la donna a tutti i livelli (civile, sociale, professionale, sessuale, creativo), continuando a identificarla principalmente nella funzione materna e nel suo ruolo privato di cura. Secoli di cultura patriarcale hanno trasformato la maternità nel «valore delle donne: luogo di virtù e competenze femminili»28 creando quella “mistica della maternità” che, in modi nuovi, ha ancora grande presa nel mondo contemporaneo. Le scrittrici scrivono del proprio ruolo, dei propri conflitti, creando personaggi femminili audaci e complessi, ben distanti dalle raffigurazioni bidimensionali o stereotipiche del femminile prodotte e riprodotte nelle pratiche discorsive e retoriche di una cultura androcentrica. 27 Perry Willson, Women in Twentieth-Century Italy, Houndmills, Basingstoke, Hampshire; New York, Palgrave Macmillan, 2010, p. 42. 28 Anna Scattigno, La figura materna tra emancipazionismo e femminismo, in Storia della maternità, a cura di Marina D’Amelia, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 273-299: 275. Sulla maternità nel contesto storico italiano, e sulle sue costruzioni culturali, si rimanda appunto a Storia della maternità, a cura di Marina D’Amelia, cit.; e a Marina D’Amelia, La mamma, Bologna, Il Mulino, 2005.


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Negli anni Settanta il movimento delle donne dà origine a una cesura fondamentale, un vero e proprio spartiacque. Carla Lonzi, in Sputiamo su Hegel scrive: «La donna è oppressa in quanto donna a tutti i livelli sociali: non al livello di classe, ma di sesso»29 e le donne su questa base cominciano a immaginare il rivoluzionario progetto di «modificazione di sé e del mondo»30 che ha costituto il nuovo fulcro del movimento femminista. Il legame tra femminismo e narrazione è stato di conseguenza esplorato intensamente dal movimento femminista negli anni Settanta. La pratica dell’autocoscienza dei gruppi femministi era basata sul racconto di sé all’altra, e il diario e la scrittura costituivano pratiche politiche di trasformazione personale e di trasformazione delle altre donne. I romanzi femministi di quegli anni, esempio celebre Donna in guerra di Dacia Maraini esaminato da Patrizia Sambuco, ricalcano infatti il diario e si costituiscono come romanzi di auto-coscienza. La letteratura femminista, come osservava allora la critica Anna Nozzoli, «non soltanto rispecchia una realtà emergente nell’attuale contesto socio-politico, ma a sua volta esercita una determinata funzione presso il pubblico di lettori, divenendo strumento di diffusione su larga scala della nuova coscienza femminile»31, contribuendo a quel “fare rete” delle donne e a quella costruzione di un’azione collettiva che ha attraversato tutti i proto-femminismi prima e i femminismi poi nel loro dispiegamento storico. I percorsi tematici del volume si volgono quindi ai femminismi del nuovo millennio, nell’opera di scrittrici come Valeria Parrella, Melania Mazzucco, Isabella Santacroce ed Elena Ferrante. I capitoli che esaminano i testi della contemporaneità mettono in evidenza i diversi e frastagliati rapporti con il femminismo delle scrittrici che esprimono le contraddizioni in cui vivono le donne in Italia oggi, in bilico tra modernità e arcaico, tra il progresso globalizzato e il perdurare di sacche di violenza di una cultura patriarcale. Espressione degli ambivalenti e complessi rapporti tra scrittura e femminismo oggi sono, appunto, i romanzi di Ferrante, alla quale sono dedicati tre saggi complementari tra loro, a testimonianza, ancora una volta, di come questa scrittrice continui a essere percepita come una delle voci centrali del dibattito femminista contemporaneo. Le protagoniste di Ferrante scrivono e raccontano le proprie storie di trasformazione o di “destrutturazione”, come le definisce Tiziana De Rogatis nel suo saggio. Sono storie che si leggono come romanzi femministi, che rinegoziano i significati di gender, corpo femminile, maternità, amore eterosessuale, ma al contempo – osserva Marianna Orsi – manifestano la persistenza in alcuni personaggi femminili di modelli comportamentali regressivi, conservatori e in qualche modo “anti-femministi”, manifestando le violente Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel e altri scritti, cit., p. 17. Lea Melandri, La “protesta estrema” del femminismo, in Il femminismo degli anni Settanta, a cura di Teresa Bertilotti e Anna Scattigno, Roma, Viella, 2005, pp. 81-98: 82. 31 Anna Nozzoli, Tabù e coscienza. La condizione femminile nella letteratura italiana del Novecento, Firenze, La Nuova Italia, 1978, p. 148. 29 30


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resistenze sociali e culturali che rendono difficile il cambiamento nella contraddittoria società italiana di oggi. La letteratura si delinea pertanto anche come luogo di espressione delle ambivalenze, dei conflitti, delle impasse del soggetto femminile nel suo relazionarsi al femminismo, nel suo muoversi, di volta in volta, in contesti sociali che si oppongono al cambiamento, e che storicamente vanno trasformando le proprie dinamiche di potere e disciplina. Nel testo letterario, le domande sono e possono restare aperte e l’ambivalenza permane, non si risolve. La critica letteraria americana Barbara Johnson scrive a proposito del rapporto tra letteratura e femminismo: Literature is important for feminism because literature can best be understood as the place where impasses can be kept open for examination, where questions can be guarded and not forced into a premature validation of the available paradigms. Literature, that is, is not to be understood as a predetermined set of works but as a mode of cultural work, the work of giving-to-read those impossible contradictions that cannot yet be spoken32.

La letteratura pertanto trasgredisce, complica o mette in questione anche le stesse teorie femministe, mostrando un femminismo in azione, anche attraverso le contraddizioni e i conflitti vissuti dalle donne. Si veda il caso di Goliarda Sapienza analizzata da Laura Ferro, o di Elsa Morante, analizzata da Cristina Benussi e Maria Morelli, scrittrici entrambe che esprimono la teoria di un femminismo assolutamente personale e singolare. Contestualizzando il femminismo all’interno della scrittura creativa non se ne relativizza la portata, ma si acquisiscono invece gli strumenti per guardare criticamente al presente come una fase progettuale ricca tanto di strumenti quanto di possibilità e attuazioni di un femminismo militante e non. Quattro percorsi tematici. Una premessa La prospettiva lungo la quale si articolano i vari capitoli rivela come, seppur molto diversi tra loro, i testi qui presentati siano saturati da istanze sociali e politiche. Si tratta di una peculiarità propria della critica letteraria femminista che, come nota Rita Felski, è caratterizzata da un abbandono dell’opposizione di critica estetica e critica politica, o dell’opposizione tra Cultural Studies e studi letterari, abbracciando entrambe queste polarità in una proficua interazione. Rispondendo a quel pregiudizio condiviso da molta parte della critica letteraria “istituzionale” che declassa la critica femminista per la sua supposta incapacità di interpretare la letterarietà del testo, ossia di interrogare il testo 32 Barbara Johnson, The Feminist Difference: Literature, Psychoanalysis, Race and Gender, Cambridge Massachusetts, London, Harvard University Press, 1998, p. 13.


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nella sua forma estetica e letteraria, Felski afferma che la critica femminista non è imprigionata all’interno di un’ottica «either/or», radicata in «the belief that you cannot do two things at once. You can either look at literature as literature or you look at it as politics»33. La critica femminista invece adotta uno sguardo plurimo, con una lettura «et/et» che discute il discorso politico intrinseco nel testo letterario e al contempo produce una pratica innovativa di interpretazione della forma letteraria del testo. All’interno di questa prospettiva critica, Femminismo e femminismi: scrittrici italiane dall’Ottocento al XXI secolo presenta la peculiare novità di temi e argomenti trattati dalle donne nella letteratura, novità prodotta da quella “difference of view”, declinata al plurale e costituita dalle condizioni materiali, sociali ed esistenziali dell’essere donne. Femminismo sociale La prima ondata del femminismo europeo, che si sviluppa dalla metà dell’Ottocento alla fine della prima guerra mondiale, rivendica una parità con l’uomo a livello di diritti e opportunità attraverso istanze liberali, quali quelle di Herriet Taylor e Stuart Mill, e attraverso l’auspicata realizzazione di un socialismo che si ponga come garante di una nuova uguaglianza sociale non solo tra uomini e donne, ma tra tutti i ceti subordinati, in un’alleanza ideologica prima ancora che politica tra la donna e il proletariato34. In Italia, soprattutto fino alla fine dell’Ottocento, sono le istanze liberali a prevalere, e tre dei quattro testi inseriti nella sezione dedicata al femminismo sociale analizzano opere e autrici che si muovono proprio in questa direzione, operando tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e la vigilia della prima guerra mondiale. Sara Positano in «Una fra tante.» Un caso di violenza di Stato, analizza il romanzo di Emilia Ferretti Viola (in arte Emma), pubblicato a Napoli nel 1878. Si tratta della prima risposta, in letteratura, al dibattito sulla prostituzione, sotto forma di romanzo-inchiesta e denuncia sociale. Positano procede su un doppio binario di analisi letteraria e di inchiesta socio-politica, dimostrando come la critica femminista si articoli in effetti secondo le modalità indicate da Rita Felski. Presenta quindi un esame narratologico del romanzo in linea con le caratteristiche del romanzo storico italiano e lungo la tradizione dei primi romanzi sociali dell’Ottocento, quali “Ginevra o l’Orfana della Nunziata di Antonio Ranieri (1839), e La Scapigliatura e il 6 febbraio di Cletto Arrighi (1862). Il “ponte” tra analisi letteraria e sociale è costituito dai legami con l’opera di Jessie White Mario e la sua letteratura-inchiesta in La Rita Felski, Literature after Feminism. Chicago, University of Chicago Press, 2003, p. 6. Si veda a questo proposito Franco Restaino, Il pensiero femminista. Una storia possibile, in Adriana Cavarero e Franco Restaino, Le filosofie femministe, Milano, Mondadori, 2002, pp. 3-77: 8-19. 33

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miseria di Napoli uscito solo un anno prima, nel 1877 (ispirata a Stuart Mill), e dall’unità di vedute con l’azione di denuncia del meretricio di stato e di lotta alla prostituzione portata avanti da Anna Maria Mozzoni (traduttrice di Mill) in La donna e i suoi rapporti sociali (1864). Positano traccia il lungo lignaggio da cui deriva la tipologia della protagonista del romanzo di Ferretti Viola, ossia la donna che viaggia da sola in cerca di lavoro, circondata dal sospetto e facile vittima di persecuzioni sociali. Sottolinea inoltre come la scienza, nelle figure di Lombroso e Ferrero, supporti nei decenni seguenti il costume vigente e un’immagine della donna che facilmente la criminalizza nella sua debolezza costitutiva e nell’incapacità di impossessarsi delle qualità morali e civili più elementari. In questo desolante scenario, Positano indica in Una fra tante un’opera di primo piano del panorama romanzesco italiano di fine Ottocento, e allo stesso tempo uno strumento di educazione sociale e politica. Il dialogo intellettuale che si instaura tra un rappresentante di spicco della cultura ufficiale e una giovane donna è il fulcro attorno al quale si sviluppa il saggio di Loredana Magazzeni, che presenta l’inedito carteggio tra Emma Tettoni e Carducci (1881-1891). Magazzeni ricostruisce il rapporto con Carducci, che è ossequioso, ma caratterizzato da un genuino affetto. Si nota una spontanea famigliarità e una gan libertà d’espressione nelle lettere di Tettoni; Magazzeni ricostruisce l’ambiente sociale e culturale nel quale la giovane si muove e tratteggia il suo ruolo di emancipazione delle aspettative sociali e culturali legate all’impegno educativo femminile. Le lettere di Emma Tettoni aggiungono un tassello importante al dibattito sull’educazione e sul sistema scolastico femminile di fine Ottocento, quando – osserva Magazzeni – molte insegnanti in istituti femminili accostavano all’attività di insegnamento quelle di scrittrici, critiche, e autrici di testi pedagogici, una congiuntura questa di estremo interesse soprattutto per l’aspetto creativo che caratterizza queste giovani professioniste. Risulta quindi particolarmente interessante che fosse stato proprio un suo libro di poesie a permettere a Tettoni di ottenere il posto di direttrice della Scuola Superiore Femminile Provinciale di Rovigo a soli 24 anni nel 1883, rendendola anche purtroppo oggetto di aspre critiche, soprattutto da parte della sua controparte maschile. L’interesse per la scienza come per le arti pone Tettoni all’avanguardia nella sua valutazione della condizione femminile e nella ricerca di una legittimazione delle aspirazioni e conquiste femminili ancora troppo spesso sottovalutate o ignorate. Carducci diventa anche l’interlocutore privilegiato dei suoi amari sfoghi quando si rivela palese l’avversione di un certo establishment alla sua indipendenza intellettuale e alla sua percepita insubordinazione, avversione che si manifesta con il declassamento da direttrice a insegnante e la minaccia di un trasferimento in Sardegna, che suona in realtà come un confino. Magazzeni suggerisce un accostamento tra l’improvvisa morte di Emma Tettoni e quella della ventritreenne maestra Italia Donati, morta suicida, indicando la sua scomparsa prematura come «un atto di denuncia della miopia delle epoche» (p. 36), vittima di di-


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scriminazione e pregiudizio per aver osato affrontare, da donna, temi scomodi che mettevano in discussione retaggi educativi e culturali radicati. Se gli echi e i rimandi alle opere e all’impegno morale e civile di protagoniste tardo ottocentesche e di primo novecento creano una rete intellettuale che alimenta il primo femminismo, sono però all’opera negli stessi anni anche reti e collaborazioni concrete, come quelle dell’associazionismo civile testimoniato da Sibilla Aleramo nel capitolo romano di Una donna. In Aleramo, Montessori, Hallgarten: reti di donne nell’Italia di inizio ’900 Cristina Caracchini guarda a una di queste collaborazioni e invita a una riflessione sulla funzione e l’impatto di Una donna a inizio secolo e oggi, osservando in particolare la prevalenza dell’impatto delle tesi femministe del romanzo rispetto al “femminismo sociale” di Aleramo. Caracchini guarda al “legame biunivoco” tra l’impegno letterario e quello filantropico femminista, che permette di analizzare con uno sguardo d’insieme – e non con valutazioni settoriali – narrativa, pedagogia, e maternità, e permette altresì di legare questo discorso alla filantropia e imprenditorialità femminile di Maria Montessori e di Alice Hallgarten Franchetti. Caracchini si concentra sulla problematica pedagogica all’interno del romanzo, ed è proprio questa a costituire il legame con la progettualità di Maria Montessori e di Alice Hallgarten. Riprendendo il suggerimento di Erica Moretti, Caracchini considera l’emancipazione in termini di maternità sociale, che costituisce un aspetto specifico e fondamentale, anche se ancora sottovalutato, del femminismo sociale di primo Novecento. Il saggio ripercorre le fasi del femminismo pratico di Aleramo in compagnia di Angelo Celli, Giovanni Cena e l’amica Anna Fraentzel Celli. In quel circolo di femminismo sociale spicca l’incontro, in casa Celli-Aleramo, tra Hallgarten Franchetti e Maria Montessori. Intellettualmente, il punto d’incontro tra Aleramo e Montessori è la concezione dell’emancipazione della donna in relazione alla maternità in senso ampio, sociale, e non riproduttivo e sacrificale. Caracchini ricostruisce quindi la trama di rapporti tra Aleramo, Cena, Montessori e Hallgarten Franchetti, e ricorda come la fondamentale collaborazione tra queste ultime sfoci nella stesura del Metodo della Pedagogia Scientifica35. L’eredità della maternità sociale non si limita agli anni immediatamente postbellici, ma continua a germinare nella scrittura femminista italiana. Una delle scrittrici che “raccoglie il testimone” di questo femminismo civile nel secondo dopoguerra, a cominciare dagli anni della seconda ondata del femminismo, è Gina Lagorio. Ilaria Crotti incentra il suo saggio sul rapporto tra scrittura e femminismo in Lagorio partendo dalla considerazione dell’etica del lavoro in Lagorio come “missione civile”, che anche nella scrittura si origina attraverso il potere generativo della maternità. La scrittura di Lagorio è caratterizzata da una doppia dimensione in cui narrativa e saggistica si informano a vicenda, proprio come “il mestiere di donna e di scrittrice” si legano ai fili di Maria Montessori, Il metodo della pedagogia scientifica, Roma, Maglione & Strini, 1993.

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una stessa trama. Crotti si concentra su Parlavamo del futuro, che raccoglie una serie di interventi giornalistici di Lagorio dal 1965 fino alla morte nel 2005 e rappresenta un insieme organico, nonostante il vasto arco temporale affrontato. Crotti si sofferma sulla sezione di Parlavamo del futuro dedicata alle donne. Lagorio è osservatrice attenta dei cambiamenti del quotidiano, delle battaglie per i diritti delle donne (dai dibattiti sull’aborto alla prostituzione minorile, dal lavoro femminile al costume di fare politica solo con modalità puramente maschili) e di come la vita di coppia a metà anni Settanta li rispecchi. Crotti esamina le pagine che Gina Lagorio dedica a Natalia Ginzburg, cui la lega la vicinanza della loro parabola esistenziale (dalla perdita del marito alla maternità solitaria, all’attività politica che le porta a sedere insieme in Parlamento nelle fila della sinistra indipendente). In lei Lagorio trova un’amica e un’alleata anche nello stile chiaro e nelle scelte politiche e sociali spesso scomode, e la sua scomparsa sancisce per Lagorio la rottura di un dialogo personale e politico tutto al femminile. Però – suggerisce Crotti – l’edizione di Parlavamo del futuro a cura della figlia Simonetta Lagorio infonde nuova speranza e progettualità, dimostrando che alla scomparsa di una figura femminile c’è chi ne raccoglie il testimone, all’insegna di quello stesso impegno civile e di una maternità sociale (di madre in figlia e di figlia in madre) che si esprime attraverso la scrittura. Femminismo e maternità La questione della maternità è un nucleo centrale di tutto l’itinerario del pensiero femminista, dal primo Novecento fino al presente; costituisce un tema che la scrittura delle donne ha investigato e interrogato, introducendo un nuovo modo di guardarla e rappresentarla nel testo letterario. Molti dei saggi di questo volume si confrontano con la maternità (si vedano i saggi di Cristina Benussi, Cristina Caracchini, Roberta Cauchi-Santoro, Tiziana De Rogatis, Barbara Kornacka, Marianna Orsi, Amaranta Sbardella). Posizionata all’incrocio tra natura e cultura, la maternità viene rappresentata dalle scrittrici in modo eccentrico, dissidente, rispetto alle ideologie che ne avevano cristallizzato il significato e l’immagine nella cultura patriarcale (la madre identificata nella figura asessuata della Vergine, la madre come simbolo di rigenerazione, simbolo della patria e della nazione). Nelle raffigurazioni tradizionali della maternità nella letteratura “patriarcale”, la madre in quanto “soggetto” è generalmente assente, spesso ridotta alla funzione materna o alla relazione con il figlio o la figlia, deprivata di linguaggio – scrive Adalgisa Giorgio –, of «the ability to assume a position of enunciation, of saying “I”»36. Le scrittrici invece 36 Adalgisa Giorgio, Writing the Mother-Daughter Relationship: Psychoanalysis, Culture, and Literary Criticism, in Writing Mothers and Daughters: Renegotiating the Mother in Western European Narratives by Women, a cura di Adalgisa Giorgio, New York, Berghahn, 2002, p. 11-45: 13.


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danno voce alla soggettività della madre, all’esperienza della maternità, alle sue ambivalenze e ai conflitti vissuti dalle donne, all’interno di una cultura in cui la maternità è stata ed è ancora fortemente condizionata da meccanismi di potere e di controllo. La seconda sezione del volume è dedicata a saggi in cui la “sfida della maternità” costituisce il tema centrale, e non semplicemente uno dei modi di interpretare le istanze femministe dall’interno di opere letterarie. In Elsa Morante e le madri, Cristina Benussi rivisita il dibattito tra parità di genere e percorsi alternativi del femminile. Affronta il tema dalle origini in Parmenide – con la vittoria della logica di non-contraddizione – individua un pensiero che scalza il sapere materno e impone la logica maschile del padre come punto d’arrivo vincente del pensiero occidentale. Benussi considera Elsa Morante una delle poche scrittrici che abbracciano l’anti-logos del femminile, ossia un logos ciclico, contraddittorio, che non rifiuta il mistero. La “terza via” della Morante celebra una forma di sapienza materna non ideologica e non tesa al successo e alla vittoria. È per questo che rifiuta di farsi prendere ostaggio da ideologie che inevitabilmente trascinano all’oppressione e alla ricerca di successo. Fedele a questo principio, con La Storia Morante si pone al di fuori «da ogni compromesso con la storiografia contemporanea» (p. 88), rifiuta la dialettica di vincitori e vinti e persino una chiara definizione di classi sociali usate a scopo politico-propagandistico. Benussi coglie il legame di Morante con un passato arcaico, un tempo della preistoria in cui i suoi personaggi sono analfabeti della modernità, di cui non parlano il linguaggio, e al benessere antepongono il mistero della condizione umana. Emerge allora il legame alla corporalità della voce, del suono e del canto che precede e confonde il sapere concettuale per il quale Benussi invoca la riflessione sul linguaggio legato al materno di Julia Kristeva. Al femminismo ufficiale, Morante contrappone le madri e la maternità come atteggiamento verso l’altro, non precluso agli uomini. La maternità è atto d’amore, un ritorno alla natura, e rappresenta la vittoria sulla morte che, non più temuta, è accettata e accolta come un ritorno alle origini. Un confronto con il ritorno all’origine, al non-concettuale, arcaico e pulsante del materno, si incontra anche nel saggio di Tiziana de Rogatis L’eredità della madre: cerimoniale iniziatico e strutture rituali nei romanzi di Elena Ferrante. De Rogatis indaga la struttura rituale della prima trilogia di Elena Ferrante e il tipo di soggettività femminile che ne emerge. La ritualità che individua è quella di un rito celebrato come residuo di un codice più ampio e comunitario, che libera la protagonista femminile dall’ordine simbolico patriarcale, e il cui pubblico primario è quello dei lettori e delle lettrici dei suoi romanzi. In L’amore molesto De Rogatis individua una riscrittura del mito di Demetra e Persefone con un ribaltamento dei ruoli in cui non è la madre che cerca la figlia ma la figlia che «riesce a raccogliere finalmente l’eredità della madre» (p. 102). In I giorni dell’abbandono il rito è invece sacrificale, incarna-


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to nella morte del cane Otto che assume la funzione di pharmakós, un sacrificio che purifica e ristabilisce l’equilibrio e l’armonia perdute. In La figlia oscura De Rogatis individua la ritualizzazione nella bambola “rubata” e “adottata” dalla protagonista, e dalla conseguente «plasmatura» (p. 102) di derivazione classica. Il saggio fornisce una lettura antropologica, psicoanalitica e letteraria del rito in Ferrante, e la sapiente analisi di De Rogatis coglie la fluidità trasformativa delle protagoniste attraverso una morte simbolica e una rinascita, che la fase liminale del rito permette al lettore di accedere. De Rogatis suggerisce come il potere e il fascino della narrativa di Elena Ferrante risiedano proprio in queste forme archetipiche della sua scrittura. Arcaica è anche la genealogia del materno che De Rogatis individua in Ferrante. È questa madre arcaica, che si ripete incessante di madre in figlia e di figlia in madre in una catena di doppi e di specchi, che va esorcizzata in maniera ritualistica (e attraverso un simbolico matricidio) per permettere al femminile come espressione della propria individualità di emergere. In ultima analisi, De Rogatis illustra in maniera esemplare come la scrittura di Elena Ferrante, partendo dal materno e dalle riflessioni femministe su abiezione e matricidio simbolico, si articoli lungo una dialettica di archetipi arcaici e di moderne ritualità e soggettivazioni, in una laboriosa conquista di autonomia e consapevolezza a livello individuale e sociale. Da un’analisi del matricidio simbolico si passa alla trattazione del matricidio reale in due dei tre romanzi analizzati da Barbara Kornacka in Annullamento della maternità nella narrativa di Simona Vinci, Isabella Santacroce e Melania Mazzucco. Kornacka prende in considerazione un gruppo di testi apparsi in un arco di quindici anni, dalla fine degli anni Novanta al 2013 e, come De Rogatis, fa emergere da questi romanzi una forma simbolica arcaica, quella del mito classico. Partendo dai diritti riproduttivi della donna e dal loro esteso controllo maschile, Kornacka analizza in particolare il tema del rifiuto della maternità sulla scia del dibattito legato al femminismo radicale degli anni Settanta di Kate Millet, Shulamith Firestone e Adrienne Rich. Le tre scrittrici prese in esame sono figlie di questa seconda ondata del femminismo, in grado quindi, dopo aver “metabolizzato” le rivendicazioni dei diritti riproduttivi per cui le loro madri culturali avevano lottato, di acquisire uno sguardo più libero nella tematizzazione della maternità e nel suo rifiuto. Il modo in cui tutte e tre operano – osserva Kornacka – è quello di ribaltare tale prospettiva e il rifiuto della maternità si manifesta invece nei loro romanzi dalla parte dei figli. Leggendo Come prima delle madri di Simona Vinci, Kornacka interpreta l’uccisione della madre da parte del figlio attraverso la riflessione mitologica di Luce Irigaray in Corpo a corpo con la madre, e quindi considera il matricidio (in posizione anti-freudiana) come vittoria dell’ordine patriarcale, lungo la scia del mito di Clitennestra e Oreste. La struttura mitica legata al matricidio si ritrova anche nel romanzo Zoo di Isabella Santacroce. Spietato e tragico nel suo dipanarsi, il romanzo si spinge ai limiti del mostruoso, in bilico tra estasi


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e odio, incesto e delitto in un matricidio che si fa simbolico e reale allo stesso tempo. Ritorna il mito di Clitennestra, ma questa volta il confronto diretto è con Elettra e il matricidio rappresenta nuovamente, in questo contesto, la vittoria del “mondo dei padri”. Anche nel terzo romanzo esaminato, Sei come sei di Melania Mazzucco, Kornacka individua la soppressione simbolica e “testuale” della maternità. Il romanzo tratta della vicenda della famiglia omogenitoriale di Christian e Giose e della loro figlia Eva, nata da una madre surrogata. La figura della madre risulta frammentata in diversi ruoli e personaggi del romanzo, anche se la maternità più autentica è quella del padre Giose. Ma anche questa maternità perde i suoi diritti sulla figlia una volta che la famiglia si dissolve tragicamente, mentre l’orgoglio di Eva nel non avere una madre sancisce una nuova soggettività femminile che sfida la società e non si sente minacciata dal ruolo puramente biologico della riproduzione. Corporalità e sessualità nel femminismo novecentesco La terza sezione esamina romanzi che esplorano il tema del corpo e della sessualità nelle sue fluide espressioni. Elementi cardine della riflessione e battaglia femminista degli anni ’70, “scoperti” e resi materia politica dalla rivoluzione femminista, il corpo e la sessualità sono tematiche centrali per il femminismo e sono infatti discussi all’interno di quasi tutti i saggi, con modulazioni molto diverse (corpi oppressi o consumati, corpi liberati, corpi “normativi”, trasgressivi, disabili; sessualità eteronormative o fluide, polimorfe, queer). Legati al tema della sessualità, il rifiuto e la denuncia della violenza e dell’oggettivazione del corpo femminile costituiscono un’altra direttrice che lega molti dei testi esaminati, dalla fine dell’Ottocento a oggi, da Emma Tettoni e Aleramo fino ai testi di Elena Ferrante e Melania Mazzucco. Un gruppo di testi, come quelli di Patrizia Sambuco e di Roberta Cauchi-Santoro, si concentra sulla corporeità costitutiva del pensiero femminista in contrasto con l’approccio gnoseologico dell’“ordine simbolico” patriarcale. Prendendo spunto da un articolo di James Wood pubblicato su «The New Yorker» nel 2013, Roberta Cauchi-Santoro si cimenta in una lettura di La figlia oscura di Elena Ferrante attraverso la lente del pensiero femminista di Hélène Cixous. Cauchi-Santoro analizza il testo ferrantiano attraverso le varie fasi attraversate dalla protagonista Leda e per ognuna di queste svela al lettore le caratteristiche che ne fanno una scrittura femminile che obbedisce ad altre logiche rispetto a quelle patriarcali e che orgogliosamente rivendica la propria autonoma sintassi epistemologica (fatta di analogie, metafore, pulsioni primordiali e audaci associazioni). La scrittura di Ferrante è un viaggio alla scoperta del femminile attraverso l’incontro con altre donne, in un intreccio di desideri, rifiuti, contraddizioni, vittorie e fallimenti, alla ricerca di riscatto da quell’immagine di sé che la società patriarcale ha portato la donna a interna-


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lizzare. Cauchi-Santoro sottolinea come è attraverso la comunicazione, con il linguaggio e specialmente la scrittura, che la donna può pervenire al cambiamento e – come indica Cixous – a quel pensiero sovversivo che apre la strada a mutamenti sociali e culturali. Ferrante mette in atto in La figlia oscura proprio questo pensiero sovversivo, che nella vicenda di Leda e Nina, in un “ingombrante” passato e un presente pregno di possibilità, nell’attrazione e repulsione per la propria napoletanità, nel rapporto con la madre e le figlie, smantella perbenismi e ipocrisie alla ricerca faticosa, e non necessariamente vincente, di un’autentica espressione del femminile. Maria Morelli offre una suggestiva e originale lettura dei racconti di Elsa Morante Il gioco segreto e Lo scialle andaluso, due testi non particolarmente esaminati dalla critica. Il suo studio si concentra sulle connessioni tra teatro e genere, attraverso il prisma dei Queer Studies. La costruzione del genere viene indagata da Morelli nella sua performatività in connessione con la dimensione del teatro, centrale in diverso modo nei due racconti. Morelli ci mostra come in questi due testi Morante esplori la dimensione del maschile e del femminile non in quanto determinati biologicamente, ma nel loro essere socialmente costruiti e “recitati” – come uno script teatrale che, appunto, “ingenera” l’’individuo. Ma tratteggiando questa dimensione performativa, Morante evidenzia spazi di trasgressione e resistenza da parte dei personaggi nei confronti del sistema eteronormativo, dal momento che più iperbolica ed esasperata è la performance del genere, più risulta evidente la sua artificialità. Come afferma Butler, richiamata da Morelli, «the repetition of heterosexual constructs […] may be well the inevitable site of the denaturalization and mobilization of gender categories», dal momento che «brings into relief the utterly constructed status of the so-called heterosexual original» (p. 163). In Il gioco segreto la chiusura dei personaggi in spazi claustrofobici viene interpretata da Morelli non come sintomo della loro astoricità e della sfiducia di Morante nei confronti del progresso – come sono stati altre volte interpretati dalla critica – ma come metaforizzazione di una “resistenza queer” nei confronti della loro “incorporazione simbolica”. Nello stesso modo, Andrea, il protagonista di Lo scialle andaluso, mette in scena una parodica teatralizzazione della mascolinità per destabilizzarne la declinazione naturale. Ed è proprio sua madre Giuditta, ballerina di teatro, a rivestirlo con il suo scialle andaluso per confonderne la “leggibilità” in termini di categorie di genere. Nella lettura proposta da Morelli, la posizione di Morante in questi racconti pubblicati rispettivamente nel 1937 e nel 1953, destabilizza il binarismo sessuale alla base della costruzione oppositiva del maschile e femminile e anticipa pertanto il femminismo queer che si svilupperà a partire dagli ultimi due decenni del Novecento. Patrizia Sambuco esamina una serie di testi di Dacia Maraini scritti tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, e analizza il rapporto con il cibo come catalizzatore di temi femministi. Sambuco prende in considera-


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zione due romanzi (Donna in guerra e Lettere a Marina) e la raccolta di poesie Mangiami pure. Nella scrittura di Maraini il cibo permette la ricerca di indipendenza della donna e al tempo stesso l’espressione di una soggettività femminile che opera nella cerchia dei propri saperi tradizionali. Si tratta di un vero e proprio linguaggio, che Clara Sereni identifica come «linguaggio extraverbale di connotazione femminile» (p. 179). Il cibo – nella sua mancanza come nella funzione di piacere – è un soggetto prominente nell’opera di Dacia Maraini, che ricorda come sia stata per lei fondamentale l’esperienza del campo di concentramento in Giappone per due anni durante la guerra. Tradizionalmente il cibo è stato quasi sempre fonte di piacere per l’altro, non per la donna, il cui appetito alimentare, come fonte di godimento femminile, la connota invece per analogia come donna predatrice sessuale sin dall’antichità. Sambuco analizza l’uso del cibo nei testi di Maraini come gesto di autodeterminazione del soggetto femminile, mentre le figure maschili rimangono cieche e inconsapevoli di fronte al puro accudimento che il cibo rappresenta nella funzione materna della donna. È in Lettere a Marina che la dimensione alimentare di Maraini assume un rilievo più spiccato. Nel romanzo vi è soluzione di continuità, in Bianca, tra la lunga tradizione dell’accudimento nel quale la donna si riconosce e la consapevolezza del proprio potere di scelta nel rapporto con il cibo. Il riconoscimento delle donne che l’hanno preceduta in una lunga tradizione avviene nel recupero della tattilità che si pone in alternativa alla conoscenza patriarcale e fallocentrica del visivo (lacanianamente inteso). Sambuco nota come la tattilità, invece della dimensione visiva, indichi la strada di una conoscenza alternativa in cui la donna esprime il proprio essere soggetto nel mondo attraverso il proprio corpo e non come soggettività che si guarda dall’esterno. Per Sambuco il rapporto della donna con il cibo diventa liberatorio nel momento in cui lo si può considerare come puro piacere, che Maraini significativamente accosta al piacere della scrittura, e che solo un infrangere le norme patriarcali permette di sperimentare. Le figure femminili di Valeria Parrella sono il soggetto del saggio di Amaranta Sbardella. Le donne di Parrella appartengono a un vasto spettro di classi sociali, dalle donne della Napoli borghese a quella popolare. Si va dalla «emozionalità rafferma» (p. 195) delle donne borghesi, incapaci di narrarsi e di diventare soggetti della scrittura femminile autobiografica e trasformativa, alle donne del popolo in cui l’autobiografismo e la coralità prendono il sopravvento e la voce femminile rivendica con forza il proprio diritto a un miglioramento della propria vita. Sono donne che si collocano tra modernità e millenarietà in una Napoli che rappresenta un loro doppio moderno e allo stesso tempo ancestrale. Di contro, le figure maschili appaiono inconsistenti, caratterizzate da uno spessore sottile e da una “serialità” che le rende quasi intercambiabili. Attraverso le sue protagoniste femminili, Parrella indaga l’essere donna nel contesto attuale e postfemminista (con tutte le specificità legate all’ambiente napoletano) e analizza i processi tortuosi verso l’autoconsapevolezza e la realiz-


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zazione di sé delle sue eroine in lotta all’interno di ambienti aggressivi, quali quello della microcriminalità napoletana, e alla ricerca di una possibile ridefinizione – politica e sociale – dei ruoli di genere. È nella corporalità femminile e nella maternità che Sbardella individua l’unica possibilità di “redenzione”. Si tratta di una maternità consapevole e matura, che si assume la responsabilità delle proprie scelte, una maternità “corporea”, «lo stare al mondo» materno (p. 203). Fortemente legata ai temi del femminismo e, afferma Sbardella, vicina alle istanze della scrittura femminile di Hélène Cixous, Parrella sente di aver superato il femminismo tradizionale e rifiuta di sentirsi costretta all’interno di formule che percepisce anacronistiche. Sbardella osserva come, nel XXI secolo, Parrella si senta più a suo agio in una rivendicazione del “femminile”, che reclama un’attenzione capillare ed estesa da parte della società – e in particolare dell’uomo – alle esigenze delle donne in tutte le realtà e ruoli in cui si trovano a operare. Anti-modelli e femminismo La quarta sezione è dedicata a quelli che abbiamo definito gli “anti-modelli” del femminismo, ossia alla pratica critica di disidentificazione e resistenza che il femminismo ha messo in opera – spesso ponendosi in opposizione anche ad alcune realtà e correnti del femminismo stesso – al fine di pensare in altro modo la soggettività femminile, il rapporto tra i sessi, le istituzioni della famiglia, del matrimonio, della maternità, e immaginando la possibilità di un altro vivere comune e un’altra idea di felicità. I saggi raccolti in questa sezione esaminano da prospettive diverse come i testi di Goliarda Sapienza, Elena Ferrante, Silvana La Spina e Rosaria Lo Russo puntino a rompere le costruzioni normative del gender, e a rinegoziarne i significati attraverso la scrittura, opponendosi alle concezioni normative di femminilità che la tradizione ha codificato. In Contro la donna «intelligente come un uomo»: il femminismo singolare di Goliarda Sapienza Laura Ferro analizza l’unicità della parabola femminista di Goliarda Sapienza. Ferro mette in luce la mancata militanza attiva di Goliarda Sapienza alle lotte femministe, cosa che non ha impedito alla sua opera di guadagnare un posto privilegiato nel dibattito sul femminismo letterario e sociale. Il suo è comunque un femminismo di ispirazione e ascendenza socialista, in cui la figura di riferimento rimane la madre Maria Giudice, che veniva definita negli ambienti domestico-politici “intelligente come un uomo”. È proprio questo modello che Sapienza vuole scalzare e il fulcro del suo femminismo consiste allora nel non tradire la propria femminilità annullando le differenze con l’uomo, posizione che – sottolinea Ferro – anticipa di un decennio nelle sue riflessioni la teorizzazione della differenza sessuale. Un’analisi comparativa del manoscritto di Lettera aperta conservato nell’archivio privato di Goliarda


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Sapienza e della versione pubblicata, permette di constatare come Enzo Siciliano avesse eliminato le sezioni relative proprio a questa teorizzazione della differenza ed è lecito chiedersi perché ciò sia avvenuto. Nella sua concezione del materno, per Sapienza il ruolo della madre è quello di educatrice alla gioia, liberatrice delle figlie dalla colpa e dall’asservimento di genere. Si tratta di riflessioni che vedranno la luce solo in L’arte della gioia, anch’esse “censurate” in una precedente versione nel manoscritto di Lettera aperta. In L’arte della gioia il femminismo di Sapienza si fa maieutico e civile con una critica al potere, sia che esso si incarni nel patriarcato o nell’emulazione femminile dell’uomo. Però, come ben osserva Ferro, non c’è mai in Sapienza il rifiuto dell’uomo in quanto tale ed è anzi critica nei confronti di quello che in una lettera a Siciliano definisce «odio razzista […] che oggi impronta un certo movimento femminista…» (p. 224) nei suoi rapporti con l’uomo. Siamo alla fine degli anni Settanta e l’anti-femminismo di Goliarda Sapienza anticipa il femminismo “liberato” delle figlie della “seconda ondata” femminista, che eserciterà una fondamentale influenza sulla letteratura femminile in Italia fino ai nostri giorni. Serena Alessi sceglie la figura di Penelope per tracciare il ripensamento della soggettività femminile nel suo saggio Dall’uguaglianza alla differenza: le voci irriverenti di Penelope. Alessi analizza la figura di Penelope in una serie di testi letterari contemporanei, in un confronto che non perde di vista l’originale omerico da cui deriva. Qui Penelope si presentava già, afferma Alessi, come un caso singolare di donna lasciata sola a decidere del proprio destino e di quello del regno che si trova a governare, con un figlio ancora troppo giovane per aspirare a un reale potere politico. Come è avvenuto, si chiede Alessi, che questa figura di grande portata innovativa sia stata invece recepita e letta dal mondo occidentale unicamente come archetipo della fedeltà paziente, eroina di moralità e valori domestici? La letteratura italiana del Novecento ha in effetti preso in considerazione anche l’“altra” Penelope, con scrittori come Moravia, Savinio e Malerba, ma soprattutto con una vera e propria “esplosione” di Penelopi moderne nella scrittura femminile dagli anni Ottanta in poi. Alessi analizza qui tre testi che nella trattazione della figura di Penelope riflettono due fasi ben precise (anche se non cronologicamente susseguentisi) dell’elaborazione femminista: quella della rivendicazione dell’uguaglianza e parità con l’uomo e quella in cui si celebra invece il femminismo della differenza. Nella Penelope (1998) di Silvana La Spina, Alessi individua la donna che rivendica in maniera più completa l’uguaglianza con Ulisse. La trattazione della Penelope erede della filosofia della differenza – che Cavarero aveva identificato come personaggio chiave nel testo Nonostante Platone del 1990 e in cui aveva chiaramente escluso un’emancipazione della figura di Penelope lungo la linea di un’uguaglianza con Ulisse – si ritrova invece in altri testi del XXI secolo, come le Variazioni sul tema di Penelope di Bianca Tarozzi, e il poemetto Penelope di Rosaria Lo Russo, sul quale Alessi concentra la sua analisi. Penelope è qui consapevole del suo ruolo all’interno del mito che è pronta a scalzare e sovver-


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tire in maniera del tutto indipendente, senza il bisogno di una parabola che ricalchi quella del marito, e senza dover abbandonare la sua isola e il luogo dell’espressione del “suo” femminile. Nella sezione dedicata ad anti-modelli e femminismo non poteva mancare la narrativa di Elena Ferrante. In Maternità anti-ideali e femminismo in Elena Ferrante Marianna Orsi affronta la posizione di Elena Ferrante nei confronti del femminismo. Si tratta di un soggetto che è stato ampiamente discusso negli ultimi anni in un dibattito alimentato in parte dalle affermazioni stesse dell’autrice, che ne parla ampliamente in La frantumaglia. Qui Ferrante dichiara il suo apprezzamento per il femminismo della differenza, dice di seguire con interesse il dibattito dei femminismi contemporanei, ma di non considerarsi una femminista militante. Tanto meno sono militanti i suoi romanzi che, come nota Orsi, non tendono mai a una rappresentazione in atto di teorie femministe e anche se il femminismo li popola, non li domina a livello epistemologico e strutturale. Orsi nota come Napoli rappresenti in Ferrante il dominio maschile e l’abbandono della città, assieme al suo dialetto, da parte delle protagoniste, ne concretizzi l’affrancamento. Napoli rappresenta anche il luogo della violenza, di uno sfoggio (e sfogo) di virilità del maschio predatore al quale la donna si adatta legittimandolo e asservendosi a esso. Il controllo maschile sul corpo della donna richiama le teorie di Luce Irigaray, Shulamith Firestone, Kate Millet, e Orsi contestualizza questa dinamica all’interno dei romanzi di Ferrante con una molteplicità di esempi e riferimenti che dimostrano come per chi è rimasto nella città partenopea non si concretizzi quasi mai una vera emancipazione dal dominio maschile, che anzi coopta la donna alleandola alla sua perversa dinamica di controllo. La sessualità è lo strumento primario di questo controllo e Orsi richiama la riflessione di Susan Browmiller sull’appropriazione del corpo femminile e quelle di Carla Lonzi e Anne Koedt su una sessualità determinata esclusivamente dalle esigenze maschili. Anche l’uomo però soggiace a questo potere performativo del ruolo di genere che genera ansie individuali e sociali ed esplode spesso in una violenza cieca di cui la donna è vittima. Nella colonizzazione maschile della donna (corporea, sessuale, ed emozionale) Orsi identifica il fulcro femminista della scrittura di Elena Ferrante. Ne consegue la caratterizzazione della maternità come antiideale, ma non si tratta di un rifiuto della maternità lungo la linea interpretativa del femminismo radicale, bensì di un rifiuto della maternità come dominio patriarcale in tutte le sue polivalenze e manifestazioni. Molti sono i temi che legano queste quattro sezioni in maniera dialogica, quali la rappresentazione dell’amore e del desiderio, al di là delle loro cristallizzazioni stereotipate; la critica delle istituzioni della famiglia e del matrimonio; la centralità del rapporto madre-figlia, con le ambivalenze e conflittualità di questo rapporto di amore e di necessario distanziamento, che il pensiero femminista ha “scoperto” ed esplorato con radicalità; il rapporto d’amicizia tra


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donne e la solidarietà; il tema del cibo e della cucina, con le implicazioni simboliche legate al femminile; ma anche l’interezza della vita quotidiana “scoperta” dal femminismo nella sua materialità, prima invisibile perché “abietta”, apolitica, non rilevante all’interno di una cultura dettata dal monologismo maschile e centrata sull’opposizione tra pubblico (maschile) e privato (femminile). C’è poi il tema della storia, della presenza delle donne nella storia, e della loro riscrittura di una storia diversa da quella grande narrazione universale e progressiva che aveva codificato e ricodificato la marginalità del femminile e i suoi ruoli stereotipici. Il volume Femminismo e femminismi: scrittrici italiane dall’Ottocento al XXI secolo offre un significativo contributo alla comprensione delle relazioni tra letteratura e femminismi nel loro insieme, indagando la scrittura delle donne attraverso i molteplici percorsi tracciati dai saggi raccolti. Il volume esplora, e dimostra, come la scrittura delle donne sia stata e rimanga un fondamentale terreno di espressione delle pratiche di rottura e di disidentificazione del femminismo, e di creazione di nuove soggettività e possibilità esistenziali. Muovendosi nell’intricato contesto contemporaneo, le opere delle scrittrici del XXI secolo fanno emergere con forza come il percorso intrapreso dai femminismi costituisca un progetto aperto e di cruciale importanza per il presente. Il femminismo non è certamente un’esperienza storica legata al passato ma una presenza viva nella scrittura delle donne. Oggi, in una fase storica in cui il femminismo si muove estesamente e con rapidità attraverso i nuovi media, la letteratura dimostra pertanto di rimanere luogo “differente” e cruciale per il dibattito femminista in virtù delle sue specifiche potenzialità di rappresentazione simbolica: lo spazio discorsivo della letteratura indaga le costruzioni del maschile e del femminile interrogandone le ambivalenze e contraddizioni e, nella scrittura delle donne, si apre all’immaginazione ed evocazione di nuove forme di progettualità femminista. Le scrittrici oggi continuano a manifestare la necessità di rinegoziare e re-immaginare, a livello sociale e culturale, l’eredità dei femminismi, e attraverso il testo letterario continuano a esplorare e pensare in modi nuovi e “dissidenti” le questioni chiave del dibattito femminista, alla luce delle mutate condizioni materiali e sociali, partecipando dunque alla creazione dei nuovi femminismi contemporanei. Sandra Parmegiani, Michela Prevedello Bibliografia Barbara Bonomi Romagnoli, Irriverenti e libere. Femminismi nel nuovo millennio, Roma, Editori Internazionali Riuniti, 2014. Cesare Cantù, Marco Malfi Chindemi, Lorella Zanardo, Il corpo delle donne, 2009, http://www.ilcorpodelledonne.net/documentario/. Annalisa Coppolaro-Nowell, Italy’s fertility day posters aren’t just sexist – they’re echoes of


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xxxiv    femminismo e femminismi nella letteratura italiana Anna Scattigno, La figura materna tra emancipazionismo e femminismo, in Storia della maternità, a cura di Marina D’Amelia, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 273-299. Michele Serra, Tutti maschi, solo maschi: così il nuovo potere si vendica delle donne, in «Repubblica», 7 agosto_2018, https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/08/07/ news/tutti_maschi_solo_maschi_cosi_il_nuovo_potere_si_vendica_delle_donne203623836/?ref=RHPPTP-BH-I0-C12-P1-S2.4-T1. Giorgia Serughetti, Dopo il 4 marzo c’è l’8 marzo, in «Femministerie» (blog), 6 marzo 2018 https://femministerie.wordpress.com/2018/03/06/dopo-il-4-marzo-ce-l8-marzo. Caterina Soffici, Ma le donne no. Come si vive nel paese più maschilista d’Europa, Milano, Feltrinelli, 2010. Perry Willson, Women in Twentieth-Century Italy, Houndmills, Basingstoke, Hampshire; New York, Palgrave Macmillan, 2010. Giulia Zaccariello, Feltrinelli Bologna, direttore: “Leggo pochi libri di donne”. Polemica tra gli scrittori: “Maschilista”, in «Il Fatto Quotidiano», 15 dicembre 2015, https://www. ilfattoquotidiano.it/2015/12/15/feltrinelli-bologna-direttore-leggo-pochi-libri-di-donne-polemica-tra-gli-scrittori-maschilista/2306947. Marina Zancan, Il doppio itinerario della scrittura: la donna nella tradizione letteraria italiana, Torino, Einaudi, 1998.


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