D’Annunzio lettore di psicologia sperimentale

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I

Manuele Marinoni

Manuele Marinoni

l volume indaga gli aspetti culturali entro i quali si è mossa parte dell’universod’Annunzio. Tra estetica, antropologia, musicologia, critica d’arte e psicologia sperimentale si è tentato di tracciare le “forme” che, di volta in volta, ha assunto un orizzonte culturale plurimo e plurale. Dalla biblioteca del Vittoriale alle teorie narratologiche lo studio si è valso del principio, di natura raimondiana, della “filologia della suggestione” per seguire percorsi poco battuti, posizionati accanto ad altri ben più noti, ma ugualmente riletti e ridisegnati. Talvolta, nei singoli capitoli, d’Annunzio è la base attraverso cui si è osservato un canone culturale formato dalla perfetta sinergia di “visibile”, “acustico” e, più globalmente, “percettivo”.

D’Annunzio lettore di psicologia sperimentale Intrecci culturali: da Bayreuth alla Salpêtrière

Manuele Marinoni si è formato prima in filosofia e poi in filologia moderna presso l’Università di Pavia; perfezionandosi all’Università di Firenze (Parigi e Bonn) per le ricerche di dottorato. Attento a una comparatistica che tiene insieme filosofia e storia delle idee, letteratura e storia dell’arte, musicologia, cultura visuale e critica letteraria, si occupa del contesto filosofico medievale (Dante), delle tracce matematico-teoretiche presenti nei dibattiti rinascimentali e, in quantità maggiore, di cultura letteraria, italiana ed europea, tra Otto e Novecento. È autore di alcune monografie, di curatele e di numerosi saggi pubblicati in riviste scientifiche.

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D’Annunzio lettore di psicologia sperimentale

studi 28


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Manuele Marinoni

D’Annunzio lettore di psicologia sperimentale Intrecci culturali: da Bayreuth alla Salpêtrière

Società

Editrice Fiorentina


Il volume è frutto di una ricerca svolta presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Firenze e beneficia per la pubblicazione di un contributo a carico dei fondi del Centro di Studi Aldo Palazzeschi

© 2018 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn: 978-88-6032-461-0 ebook isbn: 978-88-6032-468-9 issn: 2035-4363 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata


Ai miei genitori



Indice

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Per una “filologia della suggestione”. Quasi un’introduzione

19 Perizie dalla biblioteca 19 1. Per una storia esterna dell’ultima biblioteca dannunziana 22 2. Spigolando tra i libri della biblioteca 27 3. Quattro casi esemplari: Nietzsche, Schopenhauer, Bergson, Ribot

39 Attraversando il linguaggio delle «dementi» 39 1. Forme della vita patologica 40 2. Un teatro dei nervi: tra sogni medievali e spazi della mente 53 3. Dal «Solus ad solam» al «Forse che sì forse che no» 61 4. Fenomenologia della degenerazione “al femminile”

65 L’Invincibile: un «roman d’une maladie» 65 1. Le teorie del romanzo 71 2. Dai cartigli alle combinazioni alle patologie 76 3. Un «roman d’une maladie»

81 Le «teorie dello sguardo»: tra estetica e psicologia sperimentale 81 1. Per una memoria delle forme 84 2. «Vedere» secondo la psicologia sperimentale di tardo Ottocento 93 3. Vedere allo specchio. L’occhio notturno e la malinconia

97 Le semantiche dell’«acustica notturna» 97 1. Retorica del silenzio e «ritmo del mondo» 103 2. Nel regno di Wagner 106 3. «Ekphrasis» musicali 110 4. Musicalità francescane 114 5. Dalla «vertige» al «senso musicale»


119 Memoria, archeologia e dĂŠjĂ vu nella CittĂ morta 119 1. Per una filologia del tragico 126 2. Mito e follia: il tragico e la psicologia sperimentale

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Indice dei nomi


Questo lavoro di ricerca è il risultato della tesi di Dottorato discussa all'Università degli Studi di Firenze con Anna Dolfi. Ma il cantiere dannunziano ha avuto origine ben prima, tra le mura dell’Università di Pavia, per la tesi magistrale in Filologia Moderna. Nel terminare questo lavoro devo anzitutto ringraziare i direttori che hanno accolto singoli saggi, qui ampiamente rielaborati nei capitoli, nelle loro riviste («Rivista di Letteratura italiana», «Otto/Novecento», «O.b.l.i.o.», «Rivista di Studi italiani», «Italogramma», «Sinestesie»). Ringrazio coloro che, con estrema forza di coraggio e di volontà, hanno letto singole parti del volume o il volume intero, aiutandomi, in special modo, a esorcizzare il terribile demonio dei refusi. Ringrazio il prof. Simone Magherini per l'aiuto e la generosità. E ringrazio Paola Luciani, maestra e amica, che ha contribuito in maniera sostanziale e determinante alla realizzazione di questo libro.



Per una “filologia della suggestione”. Quasi un’introduzione

Il cosiddetto istinto dannunziano appare anche, in fondo, il frutto di un calcolo, di una intelligenza che anticipa e asseconda con le proprie invenzioni le inquietudini, i furori nascosti di una società in equilibrio precario. Ezio Raimondi

Giorgio Zanetti ha scritto, in un recente intervento dedicato al rapporto d’Annunzio-Shakespeare, che «molto porta a pensare che in un diverso clima mentale, ma con lo stesso virtuosismo quasi diabolico, d’Annunzio coltiva[va] un’idea della creazione letteraria come strategia inventiva strutturalmente intertestuale, intavolatura lucida e capziosa di interferenze, combinazioni, contaminazioni»1. C’è in questa definizione una profonda consapevolezza del senso estetico che sta a fondamento dell’opera dannunziana; un principio che riguarda sia la lettura sia la scrittura sia la parola nelle sue plurime capacità semantiche: delle precise potenzialità che, a loro volta, descrivono un determinato orizzonte culturale, fatto, per l’appunto, di «interferenze, combinazioni, contaminazioni». Non si tratta più esclusivamente di una «parola» veicolata, incorporata e determinata dagli indici filologici, ma anche di una «parola» come «volto» “cangiante”; come esito di una teatralità di luoghi, paesaggi, scienze e, più genericamente, saperi2. È una parola teatralizzata che, riesumata dalla tradizione (antica e moderna: un binomio, specie per d’Annunzio, inscindibile), ricopre nuovi ruoli e nuovi gesti. È anche, in parte, parola «sociale», per intenderla come descritta da Siegfried Kracauer, che riproduce e custodisce esiti di un particolare mutamento storico-culturale3. È ben noto che d’Annunzio fu abile artefice di questa «parola». E fu, contemporaneamente, abile regista di più teatri. L’elenco è davvero lungo: teatro 1 Giorgio Zanetti, D’Annunzio nell’universo shakespeariano, in “Io ho quel che ho donato”. Convegno di studi su Gabriele d’Annunzio nel 150° della nascita, a cura di Cecilia Gibellini, Bologna, clueb, 2015, pp. 81-111, cit., p. 83. 2 Per una discussione teorica di questi temi cfr. Ezio Raimondi, Per un’antropologia della retorica, in La retorica d’oggi, Bologna, il Mulino, 2002, pp. 53-71. Sul rapporto «parola» e «testo», e relativa analisi dello statuto di appartenenza di entrambi, cfr. Cesare Segre, Generi, architetture e forme testuali, in Critica e critici, Torino, Einaudi, 2012, pp. 111-120. 3 Il riferimento va a tutto l’impianto teorico che sta alla base di Siegfried Kracauer, Jacques Offenbach e la Parigi del suo tempo, [1937], Milano, Garzanti, 1991.


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del mito; teatro del simbolo; teatro della velocità; teatro dell’artificio. Non mancano però profonde contraddizioni né variazioni interne di temperatura culturale, evidenti, anzitutto, dai “piani” della critica. Ripercorrendo la storia della bibliografia su d’Annunzio nel Novecento (e oltre) ci si rende conto di almeno tre passaggi determinanti. Il primo, ormai da considerare, come è stato detto, nei suoi concreti sviluppi storici, ha una data precisa: il 19634, anno del celebre convegno sull’Arte di Gabriele d’Annunzio cui vanno aggiunte le tavole rotonde, rispettivamente, su D’Annunzio e la lingua letteraria del Novecento del 1971 e D’Annunzio e il simbolismo europeo del 19735. «Arte», «Simbolo» (e analogia) e «Lingua»: tre colonne portanti del frequentatissimo tempio novecentesco dannunziano, da studiare negli effetti immanenti (così come la storia li ha prodotti e, in un certo senso, immobilizzati) e in quelli trascendenti (come la storia li può recepire, al di là di singole e monolitiche esperienze)6. Da un altro versante si è invece insistito sul ruolo “storico” del d’Annunzio-personaggio7. Poi, anche, e soprattutto, grazie alle pagine di Gianfranco Contini, è divenuto inscindibile il nesso «Vita-Letteratura»8. Dati ben noti su cui occorre però riposizionare alcuni minimi accenti. Per esempio è stato egemone nella critica degli ultimi cinquant’anni, nonostante l’utile suggerimento di Contini, il privilegiare singole stazioni anziché la totalità dell’opera dannunziana. E a questo punto dovremmo però chie4 Cfr. D’Annunzio e la critica. Atti del xiii convegno internazionale, Pescara, ediars, 1990. Sui problemi della storia della critica letteraria in relazione a d’Annunzio cfr. Giorgio Luti, La cenere dei sogni. Studi dannunziani, Pisa, Nistri-Lischi, 1973, pp. 123-124; Ermanno Circeo, Il D’Annunzio “notturno” e la critica dannunziana di un settantennio, Pescara, Editrice Trimestre, 1975, pp. 103-104 e Nicola Merola, Una repentina vertigine. Proposta di interpretazione dannunziana, in Su Verga e d’Annunzio. Mito e scienza in letteratura, Roma, Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri, 1978, pp. 105-178. Contro la valorizzazione degli atti del convegno del ’63 nella storia della critica dannunziana si è espresso Giuseppe Petronio, D’Annunzio, Palermo, Palumbo, 1977, pp. 90-94. Determinanti per la fortuna critica di d’Annunzio, dai problemi della lingua e dello stile a quello delle fonti (non uso volutamente, per questo caso, il termine intertestualità), furono, a partire già dagli anni ’30, come ben noto, i lavori di Mario Praz. 5 L’arte di Gabriele d’Annunzio. Atti del convegno internazionale di studio, a cura di Emilio Mariano, Milano, Mondadori, 1968; D’Annunzio e la lingua letteraria del Novecento, in «Quaderni del Vittoriale», xl-xli, 1972; D’Annunzio e il simbolismo europeo, a cura di Emilio Mariano, Milano, Il Saggiatore, 1976. 6 Il problema della pluralità semantica della «parola» presenta, nel caso dannunziano, un ventaglio assai ampio di universi, appunto storici e culturali, ai quali egli attinse per ricostruire, plasmare, ritessere un linguaggio analogico (iper-analogico) e sinestetico. Un esempio, aprendo poche pagine a caso del Piacere, riguarda la parola ecfrastica. Alla base di queste riflessioni stanno naturalmente tutti i lavori di Anceschi, Raimondi, Viazzi, Maxia, Gibellini. 7 Un giudizio lucido e pregnante sul ruolo del d’Annunzio-personaggio in rapporto al d’Annunzio-scrittore si legge in Luigi Baldacci, D’Annunzio, in Novecento passato remoto. Pagine di critica militante, Milano, Rizzoli, 2000, pp. 143-160. 8 Gianfranco Contini, Gabriele d’Annunzio, in Letteratura dell’Italia unita 1861-1968, Firenze, Sansoni, 1968, pp. 317-403. Sull’interpretazione continiana di d’Annunzio, cfr. Angelo Raffaele Pupino, Come Contini leggeva d’Annunzio (attraversando Croce), in Riuscire postcrociani senza essere anticrociani. Gianfranco Contini e gli studi letterari del secondo Novecento, a cura di Angelo Raffaele Pupino, Firenze, Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini, 2004, pp. 257-280.


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derci, con Hegel, se l’entità della somma possa considerarsi “altro” rispetto alla totalità presa di per sé. Una risposta significativa, nei confronti di d’Annunzio, è arrivata da Pier Vincenzo Mengaldo: a proposito di lingua e stile, il critico ha precisato che col corpus dannunziano siamo in presenza di un’opera pluristilistica nella totalità, differenziata al suo interno da singole isole monostilistiche9. Questa è già una parcellizzazione del problema che riguarda, nello specifico, la storia interna della lingua di d’Annunzio. Molte cose restano, naturalmente, all’esterno: le parti più coinvolte coi problemi del senso (e intendo senso della parola, delle immagini, ecc.); non tralasciando il fatto che in d’Annunzio frequentemente il senso è, secondo il progetto simbolistico, dettato dal segno10. Vanno così accostati all’idea di Mengaldo gli ottimi, e imprescindibili, risultati di Luciano Anceschi11 ed Ezio Raimondi12, rispettivamente su «analogia» e «simbolo». Basandoci su planimetrie geografiche, se trasferiamo il discorso dal piano della lingua al livello, più profondo, dell’uso, anche retorico, della variabilità semantica13, d’Annunzio passa dal paesaggio letterario e culturale italiano a quello europeo. Lo scrittore, nonostante numerosi vincoli culturali (i suoi interessi sono sempre mirati), e altrettanti problemi assiologici (ciò che qui ci si è astenuti evidentemente dal fare), è autore europeo. Il teatro che recita la sua «parola» letteraria è un teatro “europeo”: dal citato convegno del 1963 è diventata convinzione sempre più radicata, sino ad arrivare, in anni più recenti, alla possibilità di capovolgere la questione e studiare un d’Annunzio come personaggio nell’immaginario europeo14. Quello descritto, dissestando non poco sistemi cronologici e singole date, è il secondo passaggio indicato, all’interno del quale giace una costellazione di 9 Tale proposta critica è condivisa, originariamente, da Mengaldo (i sondaggi linguistici e stilistici lo dimostrano chiaramente) e da Dante Isella; quest’ultimo si pronunciò in modo analogo durante il convegno su D’Annunzio e la lingua letteraria. Di Mengaldo cfr. l’ormai classico lavoro Da D’Annunzio a Montale, Milano, Feltrinelli, 1975. 10 Cfr. il capitolo dedicato alla prosa di d’Annunzio di Gian Luigi Beccaria, L’autonomia del significante, Torino, Einaudi, 1975, pp. 285-318. Cfr. anche Gianni Turchetta, La coazione al sublime. Retorica, simbolica e semantica dei romanzi dannunziani, Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1993. 11 Luciano Anceschi, D’Annunzio e il sistema dell’analogia, in D’Annunzio e il simbolismo europeo, cit., pp. 65-101. 12 Ezio Raimondi, Il silenzio della Gorgone, Bologna, Zanichelli, 1980. Cfr. anche Niva Lorenzini, Il segno del corpo. Saggio su D’Annunzio, Roma, Bulzoni, 1984. 13 Intendo per “variabilità semantica” quel processo che va dalla “nullificazione” dell’ente parola alla “riscrittura” degli effetti: fonici, semantici e, persino, semiotici. Che nei processi di “simbolizzazione” del reale la “cosa” stessa, da rappresentare, finisca per essere uccisa la scuola fenomenologica francese lo ha ripetuto in infiniti modi (senza mai però allontanarsi dall’insegnamento hegeliano). Va anche aggiunto però, e vale soprattutto nel caso dannunziano, che da questa morte “apparente” dell’oggetto non è detto che il soggetto esca sconfitto (può accadere nel momento in cui vengono meno i principi organizzativi e conoscitivi). Anzi in d’Annunzio stesso tale processo di uccisione e risemantizzazione del reale, così come del possibile, è di esclusiva competenza del soggetto, il quale detiene totale potere demiurgico (e performativo) su ogni principio di riscrittura. 14 D’Annunzio come personaggio nell’immaginario italiano ed europeo (1938-2008). Una mappa, a cura di Luciano Curreri, Bruxelles, P.I.E. Peter Lang, 2008.


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lavori che hanno, filologicamente e criticamente, scandagliato l’universo delle fonti. Celebre e fondamentale la meritoria impresa di Guy Tosi, di recente raccolta in due ricchi volumi15. Gli studi di Tosi hanno illustrato, nel corso di quasi un cinquantennio, il problema dei cosiddetti plagi dannunziani che, da subito, ha animato la critica militante italiana e francese, da Gaston Deschamps a Luigi Capuana, sino alle celebri pagine di Enrico Thovez16. Ecco al paradigma del “plagio” sostituirsi quello dell’“intertestualità” che, se connesso alle parole di Zanetti ricordate sopra, si carica di valenze estetiche. Dall’intertestualità è poi agevole il salto all’interdiscorsività e, tenendo fermo il principio unitario della mia ricerca, alla interdisciplinarità. Per tornare ai problemi storici della critica dannunziana, oltre gli anni Settanta si è fatto molto anche sul piano autenticamente testuale. Da un lato, per esempio con la fondamentale edizione critica di Alcyone17 a cura di Pietro Gibellini, le analisi del cantiere dannunziano hanno illuminato nuovi riferimenti (appunto intertestuali e culturali) importanti, da cui è stato possibile ricavare profonde analisi avantestuali, paratestuali e macrotestuali18. Dall’altro lato, anche grazie agli strumenti, sintetizzo, bachtiniani, si è letto più a fondo il rapporto tra d’Annunzio e certi punti fermi del panorama tardo-ottocentesco/ primo-novecentesco come Tolstoj e Dostoevskij (penso, in primis, agli attenti studi narratologici di Guido Baldi e Sandro Maxia)19. Ma c’è anche un terzo passaggio, difficilmente separabile dal secondo, che riguarda i rapporti fra d’Annunzio e il mondo culturale extraletterario fin de siècle, periodo fra i più rapidi e movimentati per quanto concerne i mutamenti delle coordinate attraverso cui organizzare il “reale”. Cambiano a fondo i 15 Guy Tosi, D’Annunzio e la cultura francese. Saggi e studi (1942-1987), 2 voll., a cura di Maddalena Rasera, Prefazione di Gianni Oliva, Lanciano, Carabba, 2013. 16 Sono tre nomi emblematici a cui non sarebbe difficile accostarne molti altri. Gaston Deschamps pubblicò sul «Temps», il 26 gennaio e il 2 febbraio 1896, due articoli sui plagi dannunziani; di Luigi Capuana si vedano le pagine dannunziane in Gli “ismi” contemporanei, Catania, Editore Giannotta, 1898 e Id., Su d’Annunzio, a cura di Angelo Raffaele Pupino, Napoli, Edizioni Scientifiche italiane, 2004; di Enrico Thovez cfr. Il pastore, il gregge e la zampogna. Dall’Inno a Satana alla Laus Vitae, Napoli, Ricciardi, 1910. 17 Milano, Mondadori, 1988. Ricordo che i primi importanti lavori filologici su d’Annunzio sono nati, come ha più volte ribadito Clelia Martignoni, dall’attività filologica e critica di Dante Isella. 18 Le tre stazioni indicate possono essere applicate a molte opere dannunziane. Nel caso di Alcyone, per esempio, sono emersi molti avantesti dai Taccuini (celebre il taccuino della Pioggia nel Pineto – ricordo però la duplice natura avantestuale e testuale di queste «operazioni della memoria», secondo la definizione di Giorgio Zanetti); i numerosi elenchi autografi di titoli e suddivisione in sequenza (ditirambi) dell’opera, a loro volta, dal principio paratestuale hanno mostrato la coabitazione di una natura macrotestuale (Alcyone come “diario” o, per alcuni, “quasi-diario”). Esempi molto simili sono stati fatti per le Faville del maglio e così per il Notturno. È molto forte in d’Annunzio l’idea di “Libro”: una grande eredità (condivisa col Pascoli) lasciata alla tradizione poetica novecentesca. Rispettivamente per i cantieri di Alcyone e del Notturno si vedano Franco Gavazzeni, Le sinopie di Alcione, Napoli, Ricciardi, 1980 e Carla Riccardi, La parola notturna. Fonti e autografi del Notturno, Lecce, Manni, 2009. 19 Cfr. Guido Baldi, Le ambiguità della «decadenza». D’Annunzio romanziere, Napoli, Liguori, 2008 e Sandro Maxia, D’Annunzio romanziere e altri narratori del Novecento italiano, Venezia, Marsilio, 2012.


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parametri di spazio e tempo (passaggio descritto a fondo da Stephen Kern in Il tempo e lo spazio. La percezione del mondo tra Otto e Novecento)20 e i modi di concepire il sé (molti generi letterari lo dimostrano; su tutti la proliferazione di Journaux). Sulla cosiddetta «diaspora dell’io» sono fondamentali i sondaggi di Remo Bodei in Destini personali. L’età della colonizzazione delle coscienze21. Spinte originate da una pluralità di intenzionalità e saperi, a cui va aggiunta, paradossalmente, la perdita di alcune consapevolezze sino a quel momento fondanti. Avviene così la formazione di nuovi saperi e di nuove discipline in cui il dibattito/contrasto fra «spiritualismo» e «positivismo» continua a regnare. Ezio Raimondi ha scritto con lucidità che «d’Annunzio affronta anche il problema, allora quasi di prammatica, dell’atteggiamento della letteratura nei confronti della scienza e delinea così […] una sintesi tra positivismo e immaginazione»22. Parte della più fertile critica dannunziana italiana (per fare solo alcuni nomi: Vittorio Roda, Annamaria Cavalli Pasini, il già citato Sandro Maxia e Luciano Curreri)23 ha dedicato lavori imprescindibili a tale rapporto, appunto, culturale e quindi multidisciplinare. Ne è emersa un’immagine complessa e controversa. Un d’Annunzio che cristallizza la «parola», più volte evocata, facendo vibrare molte più corde di quanto a una prima lettura (anche solo filologica) si è spesso creduto24. Nella ricerca dei modelli ai nomi principali di Nietzsche e Schopenhauer (cito per entrambi gli studi di Maria Teresa Marabini Moevs)25 se ne sono aggiunti molti altri, provenienti da più ambiti: dal mondo della psicologia sperimentale, dall’antropologia, dall’etnologia, dalla musicologia, ecc. L’insie Bologna, il Mulino, 1988. Milano, Feltrinelli, 2003. Ma si tenga sempre presente il classico studio di Henri F. Ellenberger, La scoperta dell’inconscio. Storia della psichiatria dinamica [1970], Torino, Bollati Boringhieri, 1972, 2 voll. 22 Ezio Raimondi, Il silenzio della Gorgone, cit., p. 81. 23 Cfr. Vittorio Roda, La strategia della totalità. Saggio su d’Annunzio, Bologna, Boni, 1978, Id., Il soggetto centrifugo. Studi sulla letteratura italiana fra Otto e Novecento, Bologna, Pàtron, 1984; Id., Homo duplex. Scomposizione dell’io nella letteratura italiana moderna, Bologna, il Mulino, 1991; Annamaria Cavalli Pasini, La scienza del romanzo. Romanzo e cultura scientifica tra Ottocento e Novecento, Bologna, Pàtron, 1984; Sandro Maxia, D’Annunzio romanziere e altri narratori del Novecento italiano, cit., e Luciano Curreri, Metamorfosi della seduzione. La donna, il corpo malato, la statua in d’Annunzio e dintorni, Pisa, ets, 2008. 24 Chi scrive ha la profonda convinzione che non ci si possa limitare, per ricostruire le coordinate culturali di un autore, specie come d’Annunzio, ai soli dati testuali e filologici. Con essi includo anche l’analisi dei volumi conservati presso la Biblioteca del Vittoriale. Quest’ultimo passaggio è certo il primo punto d’appoggio, imprescindibile base da cui partire e da cui io stesso sono partito per questo lavoro. Ma la semplice resa di dati “crudi e nudi” può sedurre di eccessiva perentorietà il discorso che spesse volte è molto più profondo e radicato della superficie testuale. Il mondo culturale è determinato anche (e soprattutto) da suggestioni, tangenze semantiche, vasi comunicanti, orizzonti di senso comune (un universo, certo, non facilmente inventariabile, ma non per ciò da sottovalutare). È per questo motivo che più volte, nel corso della ricerca, ho menzionato il paradigma della “filologia della suggestione” che mutuo, in prima istanza, dalla ricerca critica e culturale di Ezio Raimondi e della sua scuola. 25 Cfr. Maria Teresa Marabini Moevs, D’Annunzio e le estetiche della fine del secolo, L’Aquila, Japadre, 1976. 20 21


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me di una dimensione culturale davvero molto più complessa di quanto la critica italiana del primo Novecento (facendo alcune eminenti esclusioni: penso, soprattutto, a Emilio Cecchi e Renato Serra) ha offerto. La parola, difatti, è anche “ascolto”, “suggestione”, “riverbero”. Ezio Raimondi parlava, rifacendosi a saperi contemporanei, di «organizzazioni complesse» e di «metamorfosi della parola» per dire sostanzialmente che «solo la tensione fra disordine e ordine porta a delle forme e a delle esperienze»26. Come può non aver colto, anche indirettamente, tutto ciò il d’Annunzio lettore di Théodule Ribot? O di Charcot? È la recitazioni di un «io» che inizia a sentirsi «estraneo», «dipendente» da qualcosa e da qualcuno. Un «io» che percepisce profondamente, e costantemente, le musiche del nostos (negli ultimi decenni si è parlato a lungo di D’Annunzio e la malinconia), ma di un “nuovo” nostos che crea “nuove” distanze tra un antico riletto da “nuovi” occhi “moderni” e un “nuovo” circuito del “moderno” che riscrive per l’ennesima volta i paradigmi dell’antico. E questa, oltre a essere distanza culturale, diventa anche distanza della/dalla parola. È una delle origini della tensione inquieta e totalizzante che contraddistingue l’esperienza novecentesca, e l’inevitabile esito del «non finito» (lo hanno ribadito le più importanti voci critiche del nostro tempo, da Jean Starobinski a George Steiner). Un’esperienza quindi che deve tenere insieme spinte centrifughe contrastanti, persino laceranti. D’Annunzio è molto vicino alla soglia che tende a questa modernità, ma credo non sia mai riuscito a oltrepassarla. Quella che, forse, gli è mancata, fra altre caratteristiche, è una lucida certezza (non dico, volutamente, consapevolezza) del «tragico della dimensione quotidiana»27. Un tragico che risulta dall’incoercibile distanza dall’“Altro”: la vera vita, per entrare in alcuni dei casi specifici, della follia, dell’alterazione e della degenerazione. D’Annunzio tutto questo l’ha sentito, ma lo ha metamorfizzato (altro particolare, in d’Annunzio, dell’antico che convive, necessariamente, col moderno): l’ha tramutato in simbolo. Il tragico, a volte sperimentato, è costantemente rifluito nel progetto simbolistico, secondo una presenza del numinoso incapace di conciliare sino in fondo gli opposti, e appagare in profondità lo scioglimento del principium individuationis. Così, come è ben noto, ogni singolo aspetto, letterario e culturale, in d’Annunzio viene declinato secondo l’indice simbolistico: dalle primarie potenzialità del somatico, e quindi dell’alterazione dei sensi, alla retorica del silenzio (nella dominante sinestetica); dalle malattie fisiche e mentali alle percezioni visivo-visionarie. Il presente studio si è concentrato su questo duplice versante critico: da un lato la ricerca di nuove fonti e suggestioni culturali (alle quali si è assegnato un valore tutt’altro che secondario), col preciso scopo di ricostruire, sullo sfondo, 26 Cfr. Ezio Raimondi, La metamorfosi della parola. Da Dante a Montale, Milano, Mondadori, 2004, p. 11. 27 Una splendida analisi di questo problema, per quanto riguarda le radici profonde della contemporaneità, si legge nel recente lavoro di Enrica Lisciani Petrini, Vita quotidiana. Dall’esperienza artistica al pensiero in atto, Torino, Bollati Boringhieri, 2015 (cfr. la ricca bibliografia discussa).


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uno degli orizzonti di senso che d’Annunzio osserva e conosce con attenzione: quello della psicologia sperimentale ottocentesca. Dall’altro si sono compiute analisi testuali volte a cercare alcune possibili interferenze interdisciplinari, laddove emerge chiaramente il potente significato osmotico tra degenerazione e simbolo. Il modello seguito, come ho già ricordato, è quello di una lettura a più livelli. Spesso le “suggestioni” narrano e spiegano più di singoli microscopici riscontri testuali. Restituiscono la voce solista, ma anche i riverberi sottostanti che agiscono a livello profondo, direttamente o indirettamente, per la costruzione di ogni panorama culturale. Secondo una metafora già utilizzata, ho voluto, talvolta, «teatralizzare» la parola dannunziana, nel senso di orientarla verso prospettive plurali, oltre la linearità testuale: verso i circuiti dell’«ascolto», della «visione» e della «percezione». La letteratura è anche costituita e costruita da sensi; e questi si educano storicamente. Lo ha ricordato più volte, per le questioni dell’occhio e della vista, Hans Belting28. Da qui l’avvio per ricostruire un passaggio parziale della vita di talune «forme» tutt’altro che assolute: «forme» continuamente riscritte e ridisegnate, all’interno, per dirla con Aby Warburg, di un atlante “mobile” della memoria.

28 Cfr. Hans Belting, I canoni dello sguardo. Storia della cultura visiva tra Oriente e Occidente [2008], Torino, Bollati Boringhieri, 2010.


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