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MICHELE MARULLO TARCANIOTA
UNGARETTIANA
michelemarullotarcaniota
poesied’amore testo latino a fronte a cura di Pietro Rapezzi
Editrice Fiorentina Società
Pietro Rapezzi, docente, studioso di archeologia e letteratura, è un traduttore della poesia latina. Ha pubblicato vari volumi di traduzioni: Marziale, Epigrammi, (Urbino, Quattroventi, 2013); Michele Marullo Tarcaniota, Elegie per la patria perduta e altre poesie (Borgomanero, Ladolfi Editore, 2014) e di recente Tibullo, Properzio, Ovidio: Florilegio dell’elegia latina (Borgomanero, Ladolfi Editore, 2017).
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POESIE D’AMORE
Michele Marullo Tarcaniota (Costantinopoli 1453 - Fiume Cecina 1500) è stato un poeta tanto misterioso quanto vigoroso e raffinato. Fu un esule greco dalla vita avventurosa con più di una esistenza vissuta pienamente: soldato di ventura (da quando aveva 17 anni) al servizio di vari potentati, ma soprattutto studioso, letterato finissimo e poeta-filosofo, senz’altro uno dei maggiori del ’400, ha saputo scrivere in latino meravigliose liriche piene di nostalgia per la patria perduta, epigrammi d’amore tra i più alti composti nel Rinascimento e i bellissimi e solenni Inni naturali, poesie filosofiche platonico-lucreziane che rivelano una religiosità intensa. Sopravvisse a molti campi di battaglia in buona parte dell’Europa centrale e orientale e, allo stesso tempo, frequentò alcune delle città più vivaci (Ragusa, Napoli, Roma, Firenze) e conobbe molti degli umanisti del suo tempo. Morì affogato la domenica delle Palme del 1500 nel fiume Cecina, in piena per lo scioglimento delle nevi, mentre da Volterra cercava di raggiungere la nave che a Piombino lo attendeva per riportarlo finalmente nella sua Costantinopoli (abbandonata troppo presto dai genitori dopo la caduta della città in mano turca nel 1453). Quando sparì nelle acque che lo travolsero teneva con sé nella bisaccia una copia dell’amato Lucrezio. Lasciò la moglie Alessandra Scala, giovane poetessa fiorentina, bellissima e assai dotta in latino e in greco, che morì sei anni dopo finendo i suoi giorni in monastero. Rimane lo struggente ritratto con cui lo immortalò Botticelli ma, soprattutto, sopravvive la sua pensosa ed elegante poesia che Pietro Rapezzi traduce finemente donandoci un florilegio significativo degli Epigrammata (pubblicati a Roma nel 1489 e poi, in quattro libri, a Firenze nel 1497) da cui si avverte chiaramente come i versi del Marullo oltrepassino la vita vissuta da cui nascono per diventare pensiero poetante. In questa poesia, infatti, è esile la traccia dell’esperienza originaria che misteriosamente si dissolve nella bellezza meditativa delle parole trascinanti, così come la vita del loro autore si dissolse precocemente nella corrente irresistibile. (Alessandro Polcri)
ungarettiana 12
collana di poesia, traduzioni e saggi diretta da Paolo Valesio e Alessandro Polcri
«Ungarettiana» si interessa a un’esperienza di poesia che sappia fare convivere un forte senso della situazione italiana con una significativa apertura internazionale. Nel repertorio della collana rientrano libri monolingui in italiano, libri bifronti (tradotti in italiano) e saggi. Siamo convinti che la poesia sia in prima istanza ricerca di linguaggio e linguaggio della ricerca. Ma quello che noi in ultima analisi cerchiamo non è, come spesso accade di trovare nella lirica contemporanea, un eccesso di esistenza al ribasso, spesso ridotta a catalogo di fatti insignificanti narrati con una lingua scolorita; è, semmai, una nuova e accresciuta quantità di vita e di pensiero. Lo stile sarà la forma di quella quantità e sarà a volte semplice, a volte – perché no? – complesso e seletto. Ma saranno i poeti che sceglieremo a condurci là dove ancora non sappiamo di voler andare.
Michele Marullo Tarcaniota
Poesie d’amore testo latino a fronte a cura di
Pietro Rapezzi prefazione di
Silvia Rizzo
SocietĂ
Editrice Fiorentina
© 2017 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn 978-88-6032-439-9 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata In copertina Domenico Ghirlandaio, Ritratto di Giovanna Tornabuoni, Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid (© 2017 Foto Scala, Firenze)
prefazione
Con questo volume «Ungarettiana» accosta alle voci di lirica contemporanea pubblicate finora un autore del Quattrocento che poetava in latino (pur essendo greco di nascita). Il volume è testimonianza anche di lirica contemporanea in quanto i testi latini sono accompagnati da traduzioni poetiche di un sensibilissimo interprete, Pietro Rapezzi, nato a Bibbona, un paesino della Maremma selvaggia e risiedente ora a Cecina, che continua strenuamente a far parlare nel linguaggio poetico del nostro tempo i latini antichi, soprattutto Marziale, ma anche Orazio, Catullo, Tibullo, Properzio, Ovidio. A essi più di recente ha aggiunto il rinascimentale Marullo, di cui ha pubblicato nel 2014 le Elegie per la patria perduta e ci offre ora un’ampia scelta di poesie d’amore estratte dai quattro libri di Epigrammata, nei quali esse sono mescolate a liriche di altro argomento secondo un criterio di varietà. Il titolo Epigrammata è usato in senso più lato di quello odierno: la raccolta include oltre a veri e propri epigrammi anche liriche molto lunghe. Grande è la varietà degli argomenti trattati e quella dei metri. I primi due libri furono pubblicati a Roma nel 1489, quando Marullo si accingeva a trasferirsi da Napoli a Firenze, e furono dedicati a Lorenzo di Pierfrancesco dei Medici, illuminato mecenate sotto la cui protezione Marullo visse a Firenze; e forse non è un caso che di lui si conservi un suggestivo ritratto dipinto, proba-
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bilmente dal vero, da Botticelli, anche lui un protetto di Lorenzo di Pierfrancesco. Nel 1497 Marullo pubblicò, sempre con dedica a Lorenzo di Pierfrancesco, una seconda edizione degli Epigrammata, con l’aggiunta ai primi due di altri due libri con i componimenti scritti posteriormente; e anche quelli editi già in precedenza furono in più casi ritoccati. Di tutte le opere di Marullo abbiamo un’eccellente edizione critica moderna curata da Alessandro Perosa, dalla quale sono tratti i testi qui presentati. Delle liriche di amore di Marullo alcune – tutte fra le più recenti, quelle dei libri terzo e quarto – sono intitolate a una donna reale, che poi Marullo sposò, la figlia del cancelliere Bartolomeo Scala, Alessandra, poco più che quindicenne al tempo di Epigr. III 41, celebrata dal poeta per la sua bellezza, castità e cultura. Altre sono ispirate a donne dai nomi diversi, alcuni dei quali certamente fittizi: Leucothoe (I 26), Martia Bocontia (I 41 e III 20), Euphrosynea (I 50), Gemma (I 51 e III 9), Petra (II 25), Paula (IV 9), Camilla (IV 30), Felicia della Rovere (IV 34); nell’elegia per quest’ultima, che conclude la raccolta, si fanno inoltre i nomi di due precedenti fiamme del poeta, Septimilla e Glycera (IV 34, 55); Glycera appare come un’amata ormai morta in III 20 insieme a un’altra donna, Cloe, da cui il poeta è stato repentinamente separato. Ma il numero maggiore delle liriche di amore è per una Neaera, alla quale, in una lunga lettera elegiaca che ricorda nella forma le Eroidi di Ovidio (II 32, non inclusa nella presente raccolta), Marullo fa perfino una regolare proposta di matrimonio illustrando le sue credenziali come futuro sposo. Ciò potrebbe dare l’impressione che ci fosse al fondo una reale storia d’amore, ma se cerchiamo di coglierne lo sviluppo attravero le liriche
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dedicate a Neera, distribuite in tutti i libri senza che sia possibile rintracciarne alcun ordine cronologico, ricaviamo un quadro confuso e pieno di interrogativi. Neera è toscana (IV 28) e appartiene a una stirpe regale e ricca di beni (II 48). In più di un componimento il poeta ne celebra non solo la bellezza ma anche le straordinarie doti morali (II 39 e 48). In I 45, 10 (cfr. anche IV 24, 10 e IV 28, 3) si parla di un amore corrisposto e, come abbiamo detto, Marullo si spinge addirittura a fare regolare proposta di matrimonio; tale amore dura molti anni (IV 28 2). Per un certo periodo i due innamorati sono separati da circostanze non meglio precisate: in III 24 è gennaio e Neera è assente, in IV 11 è già la terza estate da che Marullo è stato strappato dal seno della sua donna, in IV 21 il poeta privo di lei non riesce a dormire o se dorme è tormentato da sogni angosciosi, in III 44 Neera si dispera per la lontananza dell’amato. Ma altri epigrammi la dipingono ben diversamente: dopo aver catturato il cuore del poeta con lusinghe e inganni, ora che l’ha in suo potere è divenuta dura e scostante e gli fa soffrire le peggiori pene d’amore; è crudele, imperiosa, indifferente alle sofferenze del poeta. In III 26 Marullo è stato abbandonato; in IV 24 parla della mancanza di fede di una fanciulla, che, anche se non nominata, sarà Neera, ma non osa maledire chi prima ha amato tanto; da IV 28 si apprende addirittura che la fanciulla che il poeta aveva celebrato per la sua castità e per i suoi onesti costumi, così lontani da quelli dei suoi tempi, l’ha tradito dandosi ad amanti ricchi, usurai e mercanti. Infine a sorpresa nell’ultimo carme della raccolta (IV 34) sembra che invece sia morta e che il poeta la rimpianga e la veneri come una dea, quasi che nessuna ombra avesse turbato il loro rapporto. Ed è notevole il fatto che due carmi ora
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intitolati a Neera (I 61 e II 44) fossero nella redazione precedente indirizzati a Camilla (i due nomi sono metricamente equivalenti), che è, come abbiamo detto, la destinataria di IV 30. In conclusione, anche se alla radice dell’ispirazione ci saranno state esperienze reali, il poeta canta piuttosto un’idea dell’amore, più che una donna reale e, come dice benissimo Rapezzi, siamo di fronte a «uno stretto connubio tra realtà e letteratura». La poesia d’amore di Marullo descrive un sentimento per lo più tormentoso, e spesso in forma epigrammatica: fiamme che bruciano e lacrime copiose che per fortuna le spengono mentre inversamente le fiamme impediscono che il poeta si dissolva in lacrime (I 13); la donna distoglie i suoi occhi per far morire disperato Marullo, che morirebbe comunque anche per il suo sguardo (I 18); il topos catulliano dell’impossibilità di numerare è applicato ai sospiri e tormenti d’amore (I 49); strappando un bacio alla sua donna il poeta ha lasciato l’anima sulle labbra di lei e rischierebbe di morire se con il bacio non avesse ingoiato anche una fiamma che lo sostiene (II 4), e così via. Molte sono le sempre variate descrizioni delle bellezze della donna e anche, come abbiamo detto, delle sue alte qualità morali: la morbidezza superiore a quella dell’ermellino, della seta, di un petalo di rosa, di una piuma, il «dolce riso dei neri occhi» (I 61), il candore del viso e la porpora delle labbra, le sopracciglia nere e i capelli biondi (II 44), che scendono soffici fino ai piedi (II 48), ma anche l’intelligenza, la saggezza, il cuore virile, l’onestà, le doti artistiche (II 48). Marullo manda all’amata gigli e viole e, toccando un tema molto frequentato dai poeti medicei, la esorta a non lasciar passare il tempo dell’amore perché la sua bellezza sfiorirà presto (I 21). Ci sono poi le sofferenze per la lontananza, per
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il tradimento, per la morte dell’essere amato. Un solo aspetto Marullo programmaticamente esclude dalla sua lirica amorosa, cioè tutto ciò che possa sembrare audace, lascivo od osceno, proclamando la necessità che non solo la vita ma anche la pagina sia casta e rovesciando così un topos di poeti antichi (Marziale, I 4, 8 «lasciva est nobis pagina, vita proba»): lo fa in I 62, un componimento non incluso nella presente antologia perché di argomento letterario, in cui dà anche la migliore caratterizzazione della sua poesia amorosa: «A me basti lodare i capelli d’oro di Neera, mi basti fare molti lamenti contro la durezza della mia donna e rimproverare adirato il crudele Amore, dichiarandolo nato da una rupe Scitica: il resto lo proibisce il coro delle Muse». Da questi componimenti emerge con chiarezza l’ideale di donna di Marullo: una donna colta, intelligente, dotata di capacità artistiche, che supera con le sue straordinarie doti morali la sua stessa bellezza. Si tratta in sostanza delle qualità di Alessandra Scala, ma le stesse doti sono attribuite a Neera in alcuni componimenti a lei indirizzati, che potrebbero altrettanto bene essere stati scritti per la Scala (II 39 e 48): e si giunge al punto che il poeta, in un componimento che lo mostra sorprendentemente avanti rispetto ai suoi tempi, vagheggia e anzi considera già realizzata la parità fra uomo e donna (II 39). Altro tratto che colpisce per la sua modernità sono i sogni angosciosi di IV 21. Dei 153 carmi inclusi negli Epigrammata all’incirca 53 si possono considerare poesie d’amore o sull’amore: Rapezzi ne ha tradotte 36; delle 31 che riguardano Neera ne mancano solo 4; quelle per Alessandra Scala sono incluse tutte. È, come si vede, una scelta molto rappresentativa. Il commento e l’introduzione di Rapez-
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zi, scritti con eleganza, forniscono al lettore l’essenziale per comprendere le vicende cantate da Marullo, il suo rapporto coi modelli, le allusioni mitologiche e contemporanee, senza però mai soverchiare e schiacciare la poesia con un eccessivo corredo erudito. Ma il miglior servizio reso alla comprensione del poeta sono le sue traduzioni metriche (tutte in endecasillabi, tranne IV 28, in cui il dimetro giambico è reso col doppio quinario), che riescono a compiere il miracolo di una traduzione poetica in una lingua perfettamente contemporanea e di tono medio, senza vocaboli elevati o arcaici e inutili preziosismi, del tutto adeguata allo stile di Marullo in questi componimenti, che è anch’esso uno stile medio, a volte colloquiale, caratterizzato da una predilezione per il diminutivo. Rapezzi è un traduttore che penetra a fondo il pensiero e il sentimento del suo autore, senza mai sovrapporsi a lui: le sue traduzioni hanno anche valore esegetico, il che è una qualità particolarmente gradita in un poeta difficile come Marullo. Si veda per esempio come la pointe di I 53 o di III 41 sia più immediatamente comprensibile nella traduzione che nell’originale. La profonda comprensione sul piano della poesia consente in un caso a Rapezzi un prezioso acquisto filologico, cioè la corretta distribuzione delle battute dell’epigramma dialogico II 19: il poeta si lamenta con Amore (1-6), che gli replica “facendogli il verso” in altrettante linee (7-12) e in un distico finale (13-14) conclude che finché ci sarà Neera né mancheranno a lui le frecce né a Marullo gli affanni: Perosa attribuiva invece al poeta tutti i versi 1-12 e considerava risposta di Amore solo 13-14. Poesia difficile, abbiamo detto, e nutrita di letteratura come di vita, ma, come tutti i veri poeti, Marullo sa essere originale anche nell’imitazione. Si veda per
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esempio come una similitudine catulliana venga da lui trasformata e inserita in una situazione totalmente differente. Nel carme 65 Catullo manda al famoso oratore Q. Ortensio Ortalo la traduzione della Chioma di Berenice di Callimaco, che ha eseguito, nonostante il dolore per la morte del fratello, per provare che non ha dimenticato e che i detti di Ortensio non sono sfuggiti al suo animo; e qui, collegata al resto con un legame tenuissimo, inserisce una lunga similitudine, che cito nella traduzione di Ugo Foscolo: «talor pomo così, dono furtivo / dell’amator dal casto grembo sdrucciola / di verginella, cui (mentre in piè balza, / della madre all’arrivo, e oblia meschina / che riposto il tenea sotto la molle / veste) giù casca, e ratto si devolve / con lubrico decorso. A lei discorre / conscio rossore sul compunto viso». Marullo parlando degli effetti dello sguardo di Neera su di lui scrive (II 2): «Poi, come cade reclinando il tenero / capo la rosa o il giglio dato in dono / a una fanciulla innamorata e a lungo / segretamente custodito in seno, / cado a terra, senza più sensi, esangue, / e cupa notte mi ricopre gli occhi». La situazione è attualizzata perché a Firenze gli innamorati donano fiori e non mele (cfr. I 21); inoltre il paragone non è più fra una cosa che sfugge dall’animo e una mela che ruzzola ma fra il languore del fiore a lungo nascosto in seno e l’effetto dell’amore sul poeta; ma spia della presenza del luogo catulliano nella memoria di Marullo è, fra l’altro, la ripresa dell’aggettivo furtivus, che lì qualificava il dono («furtivo munere») mentre qui è arditamente trasferito al seno nel quale la fanciulla ha nascosto il dono («furtivis papillis»). E se Marziale, VIII 64, aveva scritto di un fanciullo che il suo volto era «più liscio delle pietruzze levigate di un’arida spiaggia», Marullo, nell’impadronirsi del paragone, lo trasferisce a una
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donna, Pietra, riferendolo invece al nitore del corpo (II 25): «più dei sassi levigati / dal mare, che raccoglie una pudica / fanciulla lungo l’orlo della riva, / il tuo corpo risplende». Il paragone è in Marullo più intimamente connesso al nucleo dell’epigramma, che giocando sul nome della donna ne descrive le bellezze con paragoni tratti dal regno minerale. Valgano i due esempi a mostrare uno dei caratteri più tipici della poesia di Marullo, che pur nutrendosi di esperienze vive si inserisce in una tradizione di modelli classici, latini e greci, e anche volgari (soprattutto Petrarca), rielaborata e rivissuta in maniera del tutto originale. Campiglia d’Orcia, 18 marzo 2017 Silvia Rizzo
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NOTA BIOBIBLIOGRAFICA DEL TRADUTTORE
Pietro Rapezzi, già docente di lettere, ha dedicato la vita alla scuola. Alla passione educativa e didattica ha unito interessi di studio di carattere sia archeologico (Scoperte archeologiche nuove o inedite nel territorio volterrano, in «Rassegna Volterrana», 1968, pp. 3-33), che letterario (Era diretto a Piombino per imbarcarsi verso l’amata Costantinopoli, quando il Marullo fu travolto dalle acque del fiume Cecina? La testimonianza d’un antico manoscritto della Biblioteca Guarnacci di Volterra, in «Rassegna Volterrana», 2003-2004, pp. 3-33). Nell’ambito della traduzione poetica, che è la sua attività principale, oltre a pubblicare traduzioni sparse di vari autori latini, ha dedicato un volume di traduzioni a Marziale (Epigrammi, introduzione, traduzione e note di Pietro Rapezzi, Urbino, Quattroventi, 2013) e uno a Michele Marullo Tarcaniota (Elegie per la patria perduta e altre poesie, Borgomanero, Ladolfi Editore, 2014). Sempre per l’Editore Ladolfi ha curato la traduzione d’un Florilegio dell’elegia latina, uscito da poco (Tibullo, Properzio, Ovidio: Florilegio dell’elegia latina, Borgomanero, Ladolfi Editore, 2017).
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epigrammi
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Ad Neaeram Salve, nequitiae meae, Neaera, Mi passercule, mi albe turturille, Meum mel, mea suavitas, meum cor, Meum suaviolum, mei lepores: Te ne vivere ego queam relicta? Te ne ego sine regna, te sine aurum Aut messes Arabum velim beatas? O prius peream ipse, regna et aurum!
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I2
A Neera Salve, Neera, mia follia, mio tenero passerotto, mia bianca tortorella, mio miele, mia delizia, cuore mio, mia boccuccia amorosa, mio diletto. Senza di te potrei vivere ancora? Senza di te vorrei i regni e l’oro, senza di te le messi rigogliose degli Arabi? Che prima muoia piuttosto io stesso, i regni e l’oro!
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INDICE
7 Prefazione 15 Introduzione epigrammi
31 33 35 37 39 41 43 45 47 49 51 55 57 59 61 63 65 67 69 71 75 77 79 81
I 2 I 3 I 13 I 18 I 21 I 28 I 37 I 49 I 53 I 58 I 61 II 2 II 4 II 12 II 19 II 25 II 39 II 40 II 44 II 48 III 4 III 15 III 24 III 35
A Neera Neera A Neera A Neera A Neera A Neera Del suo amore A Neera Neera A Neera A Neera A Neera A Neera A Neera Ad Amore A Pietra A Neera A Neera A Neera A Neera Alessandra Scala figlia di Bartolomeo Scala A Bartolomeo Scala Assenza di Neera Ad Amore
83 III 41 85 III 44 87 IV 2 89 IV 4 95 IV 11 99 IV 13 103 IV 18 105 IV 21 109 IV 24 113 IV 28 117 IV 30 119 IV 34
Ad Alessandra Scala Ad Amore A Neera Ad Alessandra Scala A Battista Fiera A Fauno Ad Alessandra Scala Al Sonno Perfidia femminile A una fanciulla etrusca A Camilla A Giovanni de’ Medici figlio di Pierfrancesco
125 Note 143 Nota biobibliografica del traduttore
ungarettiana 1. Emma Pretti, I giorni chiamati nemici, pp. 84, 2010 2. Vera Lucia de Oliveira, La carne quando è sola, pp. 72, 2011 3. Leopoldo María Panero, Ianus Pravo, Senz’arma che dia carne all’«imperium», pp. 92, 2011 4. Patrizia Santi, Frammenti, periferici, pp. 56, 2013 5. Alberto Bertoni, Traversate, pp. 152, 2014 6. Marco Sonzogni, Ci vuole un fiore, pp. 72, 2014 7. Mario Moroni, Recitare le ceneri, pp. 96, 2015 8. Antonio Barolini. Cronistoria di un’anima, Atti dei Convegni di New York e di Vicenza nel centenario della nascita, a cura di Teodolinda Barolini, pp. xxx+342, 2015 9. Antonio Bux, Kevlar, pp. 144, 2016 10. Mauro Roversi Monaco, Mauritania, pp. 108, 2016 11. Attraversare le parole. La poesia nella Svizzera italiana: dialoghi e letture, a cura di Tania Collani e Martina Della Casa, pp. xx156, 2017 12. Michele Marullo Tarcaniota, Poesie d’amore, testo latino a fronte, a cura di Pietro Rapezzi, pp. 148, 2017