Prospettive incrociate. La poesia nella Svizzera italiana: dialoghi e letture

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UNGARETTIANA

prospettive incrociate lapoesia nellasvizzeraitaliana: dialoghieletture a cura di Martina Della Casa e ClĂŠmence Bauer

SocietĂ

Editrice Fiorentina



ungarettiana 17

collana di poesia, traduzioni e saggi diretta da Paolo Valesio e Alessandro Polcri

«Ungarettiana» si interessa a un’esperienza di poesia che sappia fare convivere un forte senso della situazione italiana con una significativa apertura internazionale. Nel repertorio della collana rientrano libri monolingui in italiano, libri bifronti (tradotti in italiano) e saggi. Siamo convinti che la poesia sia in prima istanza ricerca di linguaggio e linguaggio della ricerca. Ma quello che noi in ultima analisi cerchiamo non è, come spesso accade di trovare nella lirica contemporanea, un eccesso di esistenza al ribasso, spesso ridotta a catalogo di fatti insignificanti narrati con una lingua scolorita; è, semmai, una nuova e accresciuta quantità di vita e di pensiero. Lo stile sarà la forma di quella quantità e sarà a volte semplice, a volte – perché no? – complesso e seletto. Ma saranno i poeti che sceglieremo a condurci là dove ancora non sappiamo di voler andare.



Prospettive incrociate La poesia nella Svizzera italiana: dialoghi e letture Prisca Agustoni, Daniele Bernardi, Laura Di Corcia, Massimo Gezzi, Marko Miladinovic, Fabio Pusterla a cura di

Martina Della Casa e ClĂŠmence Bauer prefazione di

Fabiano Alborghetti

SocietĂ

Editrice Fiorentina


Volume pubblicato in seguito alla giornata di studi del 17 ottobre 2018 a Mulhouse, con la partecipazione del Consolato Generale di Svizzera a Strasburgo, dell’ILLE (EA 4363 – Institut de recherche en langues et littératures européennes), dell’APEFS (Association pour la promotion d’échanges et d’études franco-suisses), della Biblioteca Municipale della Ville de Mulhouse e dell’Istituto Italiano di Cultura a Strasburgo.

© 2019 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn 978-88-6032-544-0 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata In copertina Vincent Tagliabue, Tranche de vie, olio su tela, 200 x 250 x 3 cm, collezione privata (per gentile concessione)


Fabiano Alborghetti

Prefazione

L’interrogativo talvolta ritorna, nonostante gli anni, e ancora con una certa frequenza: in primo luogo per cercare di definire una letteratura della Svizzera e in successione (ma non per questo meno insidioso) se esiste una letteratura – o una poesia – della Svizzera italiana e proprio con quest’ultima domanda si apriva la prefazione di Niccolò Scaffai al volume Attraversare le parole. La poesia nella Svizzera italiana: dialoghi e letture 1. Scaffai con pertinenza annotava come la domanda implichi «anche grammaticalmente, un discorso sull’appartenenza e sull’identità, che deve essere affrontato evitando le accezioni separative2», riflessione che proseguiva sottolineando che è più appropriato l’uso della preposizione nella: una letteratura o poesia nella Svizzera italiana. Una differenza nuovamente (e giustamente) colta anche per questo volume, Prospettive incrociate. La poesia nella Svizzera italiana: dialoghi e letture. Come si scoprirà, quella preposizione non è una semplice particella sindacabile, ma un volo planato sulle differenze tra le scritture degli autori qui convocati (Prisca Agustoni, Daniele Bernardi, Laura Di Corcia, Massimo Gezzi, Marko Miladinovic e Fabio Pusterla). La lente d’ingrandimento, o meglio, il microscopio che focalizza sulle molteplici differenze, è invece il titolo vero e proprio, Prospettive incrociate: la scrittura di ognuno, infatti, vanta paternità tanto ita1  N. Scaffai, «Prefazione», in Attraversare le parole. La poesia nella Svizzera italiana: dialoghi e letture, a cura di T. Collani, M. Della Casa, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2017, pp. vii-x. 2   Ivi, p. vii.


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lofone quanto invece suggerite da altre e ben differenti matrici culturali e geografiche. Le risposte alle interviste (curate da Martina Della Casa, Clémence Bauer, Alessandra Ballotti, Paola Codazzi, Tania Collani e Paola Fossa) dimostreranno come i diversi autori non possono quindi essere ricollegati o peggio forzatamente annessi alla sola letteratura della vicina Italia per mera prossimità linguistica e geografica e quindi messi, per convenienza di ricezione, su un piano di vassallaggio identitario, né tantomeno potranno essere conchiusi in un genere aleatorio se non del tutto inventato ritenendo l’appoggio geografico (la Svizzera italiana) indicativo di uno stile. Non una visione monoculare ma incrociata, perché c’è ben altro e ben più profondo. La partita si gioca semmai sulla lingua. Vale quindi la pena spostare l’asse dell’osservazione e accumunare lo scrivente (il poeta in primo luogo) a una sorta di migrante riprendendo un concetto della scrittrice algerina Assia Djebar quando, parlando dei giovani espatriati (ma valga qui per noi il parallelo coi poeti), dice: […] trovano l’ebbrezza del movimento insediandosi nella lingua ospite: la seconda lingua. Più questa li invade, più aumenta la perdita dell’altra lingua […]. Si ritrovano, davvero, fra due lingue? O è invece l’una che cavalca l’altra, è la nuova che respinge l’altra, la voce della madre, quella che cede il passo, e il terreno, quella della memoria3.

Aggiungendo poco oltre: […] Il terreno è scivolato sotto i vostri passi. Dovete capire, ma avreste dovuto saperlo fin dall’inizio, che il vostro unico vero territorio è appunto la lingua, non la terra4.

Un concetto già forse accolto – per altri termini e direzioni – dalla scrittrice Ágota Krisóf che volontariamente abdicherà la lingua materna, l’ungherese, in favore di una nuova lingua, il francese5, ridefinendo di fatto il confronto tra il sé e la scrittura e ridisegnando (pur coi dovuti distinguo) la propria identità di autrice. 3  A. Djebar, Queste voci che mi assediano – Scrivere nella lingua dell’altro, Milano, Il Saggiatore, 2004, p. 188. 4   Ivi, p. 200. 5   Si veda il documentario: É. Bergkraut, Continente K. Ágota Kristóf scrittrice d’Europa, Bellinzona, Casagrande, 2010.


Prefazione   ix

L’identità personale passa quindi anche attraverso la scelta della lingua scritta che è certamente un mezzo di comunicazione e allo stesso tempo – o piuttosto – una trasformazione, un’azione, la ricerca del sé nel mondo, del luogo dove convogliano sia la polifonia dell’atto di scrittura che le lingue in uso; sia la storia individuale quindi che quella del luogo/nazione che ci ospita. Non è allora il solo luogo che connota una forma bensì una forma che vive per voce e in virtù di una sorta di reciprocità tra due culture diverse (luogo e persona) e che, conservando ognuna la propria identità specifica, trovano un punto d’incontro che altro non è che il risultato di questa convergenza: la scrittura. A luogo e persona, sono però teso ad aggiungere un terzo elemento: cultura. O meglio, influenze. Sembrerebbe un ulteriore fattore già incluso nei precedenti eppure gode di una statura indipendente. Chi scrive necessariamente porta nell’esperienza della scrittura l’osservazione e l’ascolto dell’universo ove è ospitato ma ancor più sentitamente di quello che decide di ospitare per volontà (che sia questo una semplice lingua o la sequenza di letture che hanno giocato la formazione o che si accoglie per piacere personale). Elementi questi che tendono a riplasmare l’uso della lingua e di conseguenza a rifondarne l’indefettibile precisione. Non è insensato dire che la lingua che chi scrive ha in uso, è frutto di decisioni e mutazioni, ancor più quando si parla di poesia che nella sua apparente invisibilità conserva invece tracce di molte delle sue origini e dei molteplici cambiamenti. È questo territorio composto da substrati che questa serie di interviste porta a scoprire, non soltanto la «bottega» del poeta, la genesi di uno specifico testo o di una raccolta, i processi di politura o i ripensamenti, bensì quel territorio riformato che viene consciamente – o meno – abitato e che vede il suo appoggio terreno in quell’atto finale di sintesi che è appunto lo scrivere. Già Giorgio Orelli annotava: « […] non posso immaginarmi i poeti, giusto nei momenti più felici del loro lavoro, del loro alto artigianato, nei momenti di massima concentrazione e senso della misura, come gente che sguinzaglia i significanti fuori dalla loro proprietà6». Altrettanto vero è che laddove ognuno abiti un proprio giardino e ne tracci i confini, certamente talune piante vagabonde trovano buon terreno (sfuggendo all’intervento dell’uo G. Orelli, Accertamenti verbali, Milano, Bompiani, 1978, p. 9.

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mo nonostante lo strenuo sradicamento e i diserbi). Sono queste che, citando un testo di Pusterla, «germoglieranno dapprima, umilmente / in quel posto impossibile / e nostro, solo nostro per sempre, e smemorato7». Sono queste che apportano alla nostra proprietà una diversa consistenza e conformazione. Ricordiamoci però: lo spazio di per sé non ha alcuna concretezza. Esso deve infatti essere visto come una cornice, un confine che si adatta al proprio contenuto ma non lo crea: a livello soggettivo questo va contro il condizionamento latente della categoria culturale o del paradigma del «contenere» (o delimitare, anche geograficamente). La letteratura, e soprattutto la poesia, propongono diverse prospettive, nessuna delle quali convenzionali: si tratta infatti della somma di opposti complementari. Sono quelle interferenze culturali (le erbe vagabonde) che compongono quel territorio ibridato che sfugge alla classificazione e – appunto – al contenimento. Vale pertanto (e per concludere) quanto Francesco Guicciardini ha scritto: «È grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente e assolutamente e, per dire così, per regola; perché quasi tutte hanno distinzione e eccezione per la varietà delle circostanze8 […]». La patria letteraria di uno scrittore, nel nostro caso dei poeti, è l’altrove (e sembra retorico quanto scontato dirlo) ed è questo un luogo che non coincide né con la patria anagrafica né con quella linguistica primaria. La lingua letteraria è per definizione «altra», una lingua «straniera», come la definiva Proust9, talvolta una lingua «nuova» secondo Deleuze10 ma sempre in un processo di espansione, di continuità evolutiva, di inclusione. Una lingua perennemente in ascolto: «Di noi ciascuno reca l’impronta / Dell’amico incontrato per via; / In ognuno la traccia di ognuno11». 7  F. Pusterla, «Collage delle piante pilota», Folla Sommersa, Milano, Marcos y Marcos, 2004, p. 54. 8  F. Guicciardini, Ricordi, a cura di R. Spongano, Firenze, Sansoni, 1951, p. 6. 9   Celebre la frase proustiana sull’«estraneità» del linguaggio letterario («Les beaux livres sont écrits dans une sorte de langue étrangère») così riformulata da Deleuze: «L’écrivain, comme dit Proust, invente dans la langue une nouvelle langue, une langue étrangère en quelque sorte», entrambe in S. Fokine, Traduire celui qui veut écrire «dans une sort de langue étrangère», in Multitudes, 29, 2, 2007, pp. 161, 171. 10   Ibidem. 11  P. Levi, «Agli amici», in Id., Opere, a cura di M. Belpoliti, vol. ii, Torino, Einaudi, 1997, p. 623.


Prefazione   xi

A leggere gli autori proposti nel volume precedente e quanti proposti in questo, è indubbio quanto poliedrica sia la poesia della Svizzera italiana e come qualcosa di solido si sia ormai affermato, valicando lo spazio bianco della pagina, collegando la lingua stratificata della scrittura alle molte lingue della lettura. È interessante notare, infatti, come sia in patria ma anche all’estero, l’attenzione alla produzione poetica proveniente dalla Svizzera italiana sia viva e non solo a livello di case editrici: complici saranno certamente la fluidità delle frontiere, l’incrementata connettività virtuale e reale o i programmi dedicati per accrescere la mutua scoperta e le traduzioni (penso alla Collana Ch che promuove la traduzione tra le varie aree linguistiche della Svizzera per la Svizzera ma anche ai progetti di promozione attuati da Pro Helvetia). Ed è altrettanto interessante notare come tutto questo accada da quella che qualcuno – talvolta e ancora – definisce una «periferia», quella Svizzera italiana che viene ancora percepita come «una terra straniera» dall’Italia e «troppo italiana» dal restante della Svizzera. Nel mezzo, una letteratura che è nemica delle parole grosse, dei manifesti ostentati, delle correnti letterarie e delle dottrine delle idee, dei luoghi comuni. La prospettiva incrociata è quindi il deflettere gli sguardi possibili proprio verso quel «mezzo» inteso come punto d’incontro centrale, lì dove approda l’integrità della voce degli autori nelle molte relazioni che, spero, anche voi vorrete accogliere. Buona lettura.



Martina Della Casa

Introduzione spazi d’incontro: tra scrittura e lettura

Ne Lo spazio letterario, Maurice Blanchot definiva il poeta come «mediatore» di una parola che non parla ma semplicemente è, e come «creatore» di un’opera che egli esprime sebbene «mai, da solo, potrebbe, da ciò che è all’origine, far scaturire la pura parola dell’inizio1». Il poeta è, in questo senso, colui che ha «inteso» questa parola e, dominandola, «l’ha resa afferrabile2». Ma perché l’opera avvenga ha bisogno di una controparte. Un libro «è opera solo quando», scrive Blanchot, «diventa l’intimità aperta di qualcuno che la scrive e di qualcuno che la legge3». Il poeta appartiene alla sua opera, un’opera che non finisce mai e che, secondo il filosofo, non può leggere perché essa lo esclude, lo allontana con un irrevocabile «noli me legere 4». La lettura è compito di qualcun altro, il cui ruolo è altrettanto indispensabile perché l’evento che è l’opera abbia luogo. Quest’idea ritorna anche negli scritti di Roland Barthes, che fa del lettore un vero co-autore del testo. Ma se, come lo nota Dominique Rabaté, per Blanchot il lettore è colui che libera l’opera dal suo autore, un autore che in nessun modo egli ricerca, per Barthes (almeno per il secondo Barthes) non è proprio così. Qualche anno dopo la pubblicazione del suo famoso saggio sulla morte dell’autore, Barthes, infatti, ritorna sulla sua teoria e, pur senza rinnegare la scomparsa dell’autore 1   M. Blanchot, Lo spazio letterario, trad. G. Zanobetti, Torino, Einaudi, «Reprints», 1975, p. 23. 2   Ibidem. 3   Ibidem. 4   Ivi, p. 9.


xiv   Martina Della Casa

in quanto istituzione, ammette: «nel testo, in qualche modo, desidero l’autore: ho bisogno della sua figura […], come lui ha bisogno della mia5». L’autore ricompare e il testo letterario diventa lo spazio dialettico nel quale questi e il lettore si incontrano, uno spazio di piacere dove la scrittura si dà come il filo sul quale scorre a doppio senso un desiderio reciproco. Ed è proprio nell’esperienza di questo desiderio di lettore, e del bisogno di restituire tanto queste due diverse posture (quella dello scrivere e quella del leggere) quanto un incontro vissuto prima di tutto nel testo, che si radica l’idea di questo volume, come di quello che lo ha preceduto6. Sei poeti dialogano dunque con altrettanti lettori, dando luogo a scambi centrati sul processo creativo come sull’opera che ne scaturisce. La lettura è certamente un momento di appropriazione del testo, ma anche un incessante questionamento su di esso, sulla sua origine, sulle relazioni che esso intesse non solo in seno all’universo letterario che lo ospita, e quindi con gli altri testi che lo abitano, ma anche fuori di esso, ossia con il mondo del poeta. Senza entrare nella problematica dell’intenzionalità in letteratura, che d’altronde è stata già ampiamente esaminata dalla critica7, a questo va aggiunto un legittimo interrogarsi sul «programma operativo8», per dirla con Umberto Eco, che determina di volta in volta il lavoro del poeta. Le risposte a queste domande il lettore può certamente cercarle nelle opere stesse, ma perché non ripensare queste ultime con il loro autore? Ben lungi dal pretendere di poter così delimitarne o arrestarne il senso, l’intervista ha quantomeno il vantaggio di estirpare il lettore e l’autore dalle loro solitudini rispettive. Permette di esplorare i testi facendo convergere due esperienze complementari, ma anche profondamente diverse, e di far emergere, senza pretesa di esaustività, i motivi che hanno ritmato l’una e l’altra. 5   R. Barthes, Il piacere del testo, trad. L. Lonzi, Torino, Einaudi, «Nuovo Politecnico», 1980, pp. 26-27. 6   Questo volume rappresenta il secondo tomo di un progetto dedicato alla poesia contemporanea in Svizzera che è stato aperto da: Attraversare le parole. La poesia nella Svizzera italiana: dialoghi e letture, cit. 7   Si pensi in proposito al capitolo (ii) dedicato alla figura dell’autore in A. Compagnon, Il demone della teoria: letteratura e senso comune, trad. M. Guerra, Torino, Einaudi, «Piccola biblioteca Einaudi. Nuova Serie», 2000, pp. 44-99. 8   U. Eco, Opera aperta: forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee, Milano, Bompiani, «Tascabili Bompiani», 1976, p. 18.


Introduzione   xv

Nel 1999, Carla Benedetti scriveva che il Novecento ha reso «controversa e “dolente”» la nozione d’autore, ma anche che nel mondo letterario contemporaneo quest’ultimo è lontano dall’essere scomparso come lo vorrebbe il mito della sua morte. Benedetti spiega questa persistenza legandola alla natura del sistema di «valorizzazione artistica» che, sin dal secolo scorso, discrimina ciò che è arte da ciò che non lo è non sulla base delle «marche “oggettive” intrinseche all’oggetto», ma «passando prevalentemente, e in certi casi esclusivamente, per la valorizzazione dell’intenzione autoriale supposta all’origine dell’opera9». Il rischio di cadere in quest’eccesso esiste ogni qual volta si mette in avanti la figura dell’autore e queste pagine contribuiscono certamente a disegnare delle immagini di poeta, ma intrecciate a quelle dei rispettivi lettori, in uno scambio che esiste solo ed esclusivamente perché prima è venuto l’incontro con l’opera, come lo ricordano i testi che accompagnano questi dialoghi. L’attività della critica letteraria d’altronde è inevitabilmente un processo di valorizzazione (talvolta di de-valorizzazione). Tuttavia canalizzare quest’operazione in una forma che ripropone un dialogo con l’autore, certo, ma anche con la sua opera, e che risulta da una tra le potenzialmente infinite letture di quest’ultima, ci è parsa una soluzione adatta a evitare il rischio di relegare l’opera in secondo piano. Tramite il dialogo essa si ritrova, infatti, all’incrocio tra due prospettive che sono entrambe volte entrambe a (ri)percorrere quel «viaggio linguistico ed espressivo» che è la poesia intesa come «esplorazione verticale» nella quale il reale viene «centrifugato, stravolto [ed] estratto dalla piatta orizzontalità della prosa10», come ricordato da Fabio Pusterla (tra i poeti che hanno colto il nostro invito) in un intervento pubblicato da Massimo Gezzi (anche lui in questo volume) e Thomas Stein in L’autocommento nella poesia del Novecento: Italia e Svizzera italiana. Nell’introdurre questo libro, bisogna d’altronde anche sottolineare che esso si focalizza per l’appunto sulla poesia contemporanea nella Svizzera italiana, ovvero su un universo artistico-letterario po9   C. Benedetti, L’ombra lunga dell’autore. Indagine su una figura cancellata, Milano, Feltrinelli, «Campi del sapere», 1999, pp. 18-19. 10   L’autocommento nella poesia del Novecento: Italia e Svizzera italiana, a cura di M. Gezzi, Th. Stein, Pisa, Pacini editore, «Studi e testi di letteratura e linguistica», 2010, p. 125.


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roso che non si sovrappone necessariamente a quello geografico, scarto che si traduce nelle diverse forme di spaesamento di cui rendono conto molte delle voci poetiche che lo compongono. Quello della delimitazione dei confini di questo spazio è un vecchio problema dovuto al fatto che, come già lo ricordava nel 1986 Giovanni Orelli, i «distinguo non sono netti11». Chi sono i poeti che vi appartengono o che vi sono in qualche modo legati? La risposta non è facile se non si vuole cadere in una concezione nazionalistica non solo della letteratura ma, come sottolineato da Tania Collani nell’introduzione al precedente volume, anche dell’identità12. Per questo si è scelto di adottare un’ottica inclusiva che potesse anche rendere conto della pluralità, dell’intrinseca apertura e della conseguente estensibilità di questa realtà letteraria, che include il lavoro di poeti che si esprimono e pubblicano (anche) in lingua italiana e che, conformemente ai profili delineati in uno scritto di Raffaella Castagnola, sono nati in Ticino e vi sono rimasti o che sono nati in Svizzera italiana ma l’hanno in seguito lasciata, pur rimanendo legati alla sua vita culturale, o ancora che sono arrivati in queste regioni a un certo punto del loro percorso, stabilendovisi e intessendo legami con l’editoria e il mondo artistico-letterario svizzero e, in particolare, ticinese13. A questo bisogna anche aggiungere che, come emerge chiaramente dalla selezione di testi proposta, la nozione stessa di poesia è stata approcciata nel suo senso più esteso, ovvero come un fare che agisce in modi diversi sulla «neve della pagina14», secondo una bella formula di Giorgio Orelli, lasciandovi tracce che stabiliscono con il canone della poesia in lingua italiana (ma non solo) rapporti diversi, fino a sfidarlo nel tentativo di esplorare anche al di là di esso la forza della poesia come gesto performativo radicato in un corpo e in una corporeità. Senza dimenticare che la poesia si dà anche nel 11   G. Orelli, Svizzera italiana, Brescia, Editrice La scuola, «Lettratura delle regioni d’Italia. Storia e testi», 1986, p. 13. 12   T. Collani, «Introduzione. La rivincita della periferia (o della “minuzia”). La poesia della Svizzera italiana, tra cosmopolitismo e provincialismo», in Attraversare le parole. La poesia nella Svizzera italiana: dialoghi e letture, cit., p. xiv. 13  Cfr. R. Castagnola, «Poesit: un sito e oltre» in Voci poetiche nella Svizzera italiana, a cura di M.M. Pedroni, Bellinzona, Casagrande, «Quaderni di Poesit», 2008, p. 11. 14   G. Orelli, «Un’autolettura», Quasi un abbecedario, a cura di Y. Bernasconi, Bellinzona, Casagrande, 2014, p. 65.


Introduzione   xvii

plurilinguismo e nell’(auto)traduzione, ossia tra le lingue, lingue che hanno anch’esse un corpo che si declina, prende forma e si rinnova in quello del testo e nel confronto – più o meno esplicito – che entrambi instaurano con il silenzio dal quale emergono e che inevitabilmente li modella. Queste diverse dimensioni e problematiche poetiche compaiono tra quelle di volta in volta esplorate con i poeti che hanno colto il nostro «desiderio-invito», per dirla ancora con delle parole di Giorgio Orelli tratte da un suo autocommento in forma di lettera15, di partecipare a questo progetto a più voci. Tre generazioni poetiche sono qui rappresentate: quella degli anni ’50 qui incarnata da Fabio Pusterla e alla quale appartengono anche Dubravko Pušek (nel volume precedente), Pietro De Marchi e Antonio Rossi, quella degli anni ’70 a cui danno qui voce Prisca Agustoni e Massimo Gezzi, ma che è anche quella di Fabiano Alborghetti (anch’egli presente nel volume precedente), Vanni Bianconi o ancora Elena Jurissevich, e, infine, la generazione degli anni ’80 alla quale è stata recentemente dedicata un’antologia16 che trova espressione in questo libro grazie alla presenza di Laura Di Corcia, Daniele Bernardi e Marko Miladinovic. La scelta di far convergere più generazioni in un’unica pubblicazione ha permesso di affiancare a voci ormai mature e non solo pienamente riconosciute, ma anche insignite di premi prestigiosi, quali il Premio svizzero di letteratura e il Premio Schiller (per citare solo quelli svizzeri), voci già conosciute ma ancora agli inizi di un percorso promettente. Eppure, nonostante questo incontro generazionale, l’organizzazione di questo volume non è diacronica. I poeti vi compaiono, infatti, in ordine alfabetico. Questa scelta non è in alcun modo dovuta alla volontà di negare la loro appartenenza a queste generazioni, né l’esistenza di fattori che le legano in un rapporto talvolta anche molto stretto, elementi che peraltro emergono chiari dai contributi che seguono. Il suo scopo era piuttosto quello di presentare queste diverse individualità poetiche come tali e, così facendo, di rendere parallelamente conto della grande varietà del 15   Ibidem. La lettera è indirizzata a Annetta Ganzoni (Archivio svizzero di letteratura, Berna) che come emerge dal testo stesso invitò Orelli a pubblicare sulla rivista dell’ASL, «Quarto», un suo autocommento. 16   Non era soltanto passione. Generazione degli anni 80, a cura di A. Bianchetti, Lugano, alla chiara fonte, 2018.


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panorama letterario che esse contribuiscono ad animare e che è, di anno in anno, più vivace, come lo dimostra anche la recente apertura a Lugano della Casa della letteratura per la Svizzera italiana17. Il percorso plurimo e a più voci che è qui proposto è guidato da sei lettori (docenti e giovani ricercatori) e comincia col seguire il cammino di Prisca Agustoni, un itinerario che, grazie al «plurilinguismo plurilingue» di questa poetessa e al suo lavoro di autotraduzione, si dà come una «peregrinazione» tra le lingue, le arti e le culture che sfida ogni forma di confine e di confinamento identitario e poetico per restituire al lettore la plasticità del reale. La nozione di «confine» ritorna anche nel dialogo con Laura Di Corcia per pensare quelle frontiere tra l’io e l’Altro che la sua poesia supera viaggiando tanto nello spazio quanto nel tempo e assumendo pienamente «tutte le [sue possibili] direzioni» in un movimento che le permette anche di esprimere le inquietudini di una generazione di fronte a un mondo ormai liquefatto nel quale però si possono forse ancora trovare dei modelli, se si accetta il compromesso che impone la loro consistenza «gelatinosa». Si tratta, come accennato prima, della stessa generazione alla quale appartiene anche Daniele Bernardi che invita invece a pensare le parole come «sassi» che «piovono sulla carta» e che servono non solo a partecipare all’«insensato gioco dello scrivere», ma anche a «scalfire» il reale e a infrangere le barriere che lo dividono. Un processo, quest’ultimo, che si traduce sulla carta ma che, come lo ricorda Massimo Gezzi, agisce anche sulle strutture e sulla «geografia della mente», facendo della scrittura il luogo di un’esplorazione delle contraddizioni che strutturano il reale e sul rapporto sempre mutevole tra le cose che lo compongono e le parole con cui le pensiamo. E questa capacità di autoriflessione e di «autosuperamento» che è insita nella lingua poetica è proprio uno dei pilastri attorno al quale ruota il lavoro del poeta e performer Marko Miladinovic, il cui fare artistico ricorda quello delle avanguardie storiche e trova nel riso lo strumento per scardinare, talvolta con violenza e talvolta con «gentilezza», i nostri «articoli di fede» e per rimettere in discussione i sistemi di valori che guidano la nostra esistenza. Ma se per Miladinovic è la farfalla a incarnare questa genti17   La Casa della letteratura, il cui presidente è Fabiano Alborghetti, è stata inaugurata il 30 marzo 2019. Essa dispone di un proprio sito in linea: https://www. casadellaletteratura.ch/ [cons. il 10.07.2019].


Introduzione   xix

lezza, nell’opera di Fabio Pusterla essa compare invece come tratto della libellula (come lo sottolinea bene il titolo del film-documentario che gli ha recentemente dedicato Francesco Ferri, Libellula gentile. Fabio Pusterla, il lavoro del poeta18), il cui volo traduce il movimento dello sguardo che il poeta porta sul mondo e sulle tracce, le «scorie», che ci restano del suo passato, seguendo una «tecnica di indagine visiva» che guida la scrittura fino «ai margini della scena». Come lo suggerisce il suo titolo, questo volume approccia la poesia (nella Svizzera italiana) incrociando prospettive diverse tra loro, quelle incarnate da queste sei differenti voci poetiche e quest’ultime con quelle di sei lettori che con esse hanno interloquito su più piani. In questo senso, anche questo libro svolge dunque un lavoro di «mediazione». La prospettiva che esso incarna è infatti un punto di vista «di mezzo», che sta tra l’opera e l’autore, tra quest’ultimo e il lettore (o meglio uno dei suoi potenziali lettori), «mettendoli in relazione» e, attraverso le eco che risuonano tra un contributo e l’altro, facendo dialogare tra loro anche diverse concezioni della poesia e del mestiere del poeta. Così facendo, questo lavoro collettivo invita il suo lettore in un incrocio nel quale convergono itinerari poetici diversi e parallelamente gli offre degli spunti per (ri)percorrerli lui stesso, nella certezza che sul cammino (ri)troverà lo stesso piacere che ha generato i testi e le letture qui raccolti.

18   Libellula gentile. Fabio Pusterla, il lavoro del poeta, documentario di Francesco Ferri, testi di e a cura di Cristiano Poletti, Milano, Marcos y Marcos, 2019.



Indice vii

Fabiano Alborghetti, Prefazione

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Martina Della Casa, Introduzione. Spazi d’incontro: tra scrittura e lettura

dialoghi e letture 3 7

prisca agustoni Martina Della Casa, Plurilinguismi poetici. La scrittura e i margini del senso

35 daniele bernardi 39 Clémence Bauer, Lo sguardo sulla parola in movimento 57 laura di corcia 61 Alessandra Ballotti, Tutte le deviazioni dell’eroismo 79 massimo gezzi 83 Paola Codazzi, Il peso delle parole: tra passato e presente, tra vissuto e poesia 105 marko miladinovic 109 Tania Collani, Dada è vivo… viva Dada! Marko Miladinovic, poeta dell’autosuperamento


131 fabio pusterla 135 Paola Fossa, Il rumore della neve. Tra il silenzio e la ricerca della comprensione umana

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Indice dei nomi


ungarettiana 1. Emma Pretti, I giorni chiamati nemici, pp. 84, 2010 2. Vera Lucia de Oliveira, La carne quando è sola, pp. 72, 2011 3. Leopoldo María Panero, Ianus Pravo, Senz’arma che dia carne all’«imperium», pp. 92, 2011 4. Patrizia Santi, Frammenti, periferici, pp. 56, 2013 5. Alberto Bertoni, Traversate, pp. 152, 2014 6. Marco Sonzogni, Ci vuole un fiore, pp. 72, 2014 7. Mario Moroni, Recitare le ceneri, pp. 96, 2015 8. Antonio Barolini. Cronistoria di un’anima, Atti dei Convegni di New York e di Vicenza nel centenario della nascita, a cura di Teodolinda Barolini, pp. xxx+342, 2015 9. Antonio Bux, Kevlar, pp. 144, 2016 10. Mauro Roversi Monaco, Mauritania, pp. 108, 2016 11. Attraversare le parole. La poesia nella Svizzera italiana: dialoghi e letture, a cura di Tania Collani e Martina Della Casa, pp. xx-156, 2017 12. Michele Marullo Tarcaniota, Poesie d’amore, testo latino a fronte, a cura di Pietro Rapezzi, pp. 148, 2017 13. Corrado Paina, Largo Italia, pp. 92, 2018 14. Mallarmé. Versi e Prose. Traduzione italiana di F.T. Marinetti, seconda stesura inedita, a cura di Giuseppe Gazzola, pp. 164, 2018 15. Angelo Scipioni, De renuntiatione. Scritture di mari(lyn)ologia, prefazione di Guido Monti, pp. 208, 2019 16. Simona Mercuri, Umanesimo latino e volgare. Studi su Fonzio, Poliziano, Pico e Machiavelli, a cura di Anna Corrias, Eva Del Soldato, Marcella Marongiu, Laura Refe, pp. xvi+292, 2019 17. Prospettive incrociate. La poesia nella Svizzera italiana: dialoghi e letture, a cura di Martina Della Casa e Clémence Bauer, pp. xx-180, 2019


Finito di stampare nel mese di dicembre 2019 da Tipografia Monteserra (Vicopisano - Pi)

Questo volume è stampato su carta ecologica Fabriano Bioprima Book da 100 gr


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