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STUDI TESTI&

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LO SCHERMO DI CARTA PAGINE LETTERARIE E GIORNALISTICHE SUL CINEMA (1905-1924) a cura di IRENE GAMBACORTI



studi e testi collana diretta da Simone Magherini, Anna Nozzoli, Gino Tellini

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La collana «Studi e Testi» intende promuovere e diffondere, in campo nazionale e internazionale, studi e ricerche sulla civiltà letteraria italiana, nonché edizioni critiche e commentate di testi della nostra letteratura, dalle origini alla contemporaneità. La qualità scientifica delle pubblicazioni della collana «Studi e Testi» è garantita da un processo di revisione tra pari (peer review) e dal Comitato scientifico internazionale. La collana «Studi e Testi» prevede pubblicazioni in formato cartaceo e digitale con un modello di diffusione a pagamento o ad accesso aperto (open access).

comitato scientifico internazionale Andrea Dini (Montclair University), Marc Föcking (Università di Amburgo), Gianfranca Lavezzi (Università di Pavia), Paul Geyer (Università di Bonn), Elizabeth Leake (Columbia University), Alessandro Polcri (Fordham University), Pasquale Sabbatino (Università di Napoli “Federico II”), William Spaggiari (Università di Milano), Gino Ruozzi (Università di Bologna), Michael Schwarze (Università di Costanza).


Lo schermo di carta Pagine letterarie e giornalistiche sul cinema (1905-1924) a cura di Irene Gambacorti

SocietĂ

Editrice Fiorentina


Il volume è frutto di una ricerca svolta presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Firenze e beneficia per la pubblicazione di un contributo a carico dei fondi amministrati dallo stesso Dipartimento

© 2017 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn: 978-88-6032-222-7 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata


Indice

ix Introduzione. Cinema, letteratura, editoria

parte prima pagine letterarie

Lo schermo e il pubblico 3 Luigia Cortesi, Al cinematografo 7 Gualtiero Fabbri, Al cinematografo. Novella 21 Emilio Salgari, Le meraviglie del Duemila. Avventure 23 Umberto Lanna, Ar cinematogrifo 29 Jarro, Al cinematografo (un delitto in un baule) 38 Gian Pietro Lucini, La solita canzone del Melibeo 41 Libero Altomare, Proiezioni 43 Dino Campana, La notte 44 francesco meriano, Prosa cinematografica 46 Pio Vanzi, Lungo metraggio 55 Onorato Fava, La principessa del sogno 63 Pier Maria Rosso di San Secondo, Pur che non si parli‌ Attrici e attori 67 Aldo Borelli, Il duello di Miopetti 73 Ugo Menichelli, Il ritorno 79 Guido Gozzano, Il riflesso delle cesoie 84 francesco cangiullo, Francesca Bertini 85 Trilussa, Basta la mossa! 86 Pier Maria Rosso di San Secondo, Vita, teatro di vetro 89 Enrico Roma, La repubblica del silenzio. Racconto di costumi cinematografici 104 Massimo Bontempelli, La mia morte civile


109 114 131 141 148

Si gira! Guido Gozzano, Pamela-Films Luigi Pirandello, Si gira… Ettore Veo, Fantasio-film. Romanzo del cinematografo Bruno Corra, Io ti amo. Il romanzo dell’amore moderno Federigo Tozzi, Una recita cinematografica

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Il cinema a teatro Nino Berrini, Sandro Camasio, Il cuore dell’amante. Commedia in tre atti Nino Martoglio, L’arte di Giufà. Bizzarria comica in tre atti Alfredo Testoni, Arte nuova. Commedia in tre atti di là da venire

parte seconda scritti giornalistici

193 200 203 207 213 215 222 226 228 232 236 238 241 243 247 251 256 258

Il fenomeno cinema Giustino L. Ferri, Tra le quinte del cinematografo Giovanni papini, La filosofia del cinematografo Gajo [Adolfo Orvieto], Spettacoli estivi. Il cinematografo Crainquebille [Enrico Thovez], L’arte di celluloide Giulio De Frenzi [Luigi Federzoni], L’abolizione della parola Ricciotto Canudo, Trionfo del cinematografo Lucio D’Ambra, «Salomè» all’aria aperta Il cinematofono Giuseppe Prezzolini, Per un cinematografo nazionale Fausto M. Martini, La morte della parola G. Pr. [Giuseppe Prezzolini], La guerra e il cinematografo Fraka [Arnaldo Fraccaroli], Dietro al cinematografo La Voce [Giuseppe Prezzolini], La censura ai cinematografi Edoardo Boutet, Rassegna drammatica. Il cinematografo Attrice cinematografica ferita da un leopardo nell’esecuzione d’una film La fuga di tre leoni a Torino Corriere teatrale. La «Cabiria» di D’Annunzio al cinematografo Nino Oxilia, Attori che non parlano

Scrittori e cinema: inchieste e interviste 265 ettore janni, Un colloquio con Gabriele D’Annunzio 267 Carlo Casella, Poesia e cinematografo. Conversando col poeta Guido Gozzano 269 E.D., Corriere teatrale. Tra scene e pellicole 272 La nostra inchiesta-referendum fra gli Autori drammatici italiani


276 La nostra inchiesta sul cinematografo 287 Renato La Valle, Il teatro e il cinematografo: «ceci tuera cela». Di Giacomo, Bracco, Verga, D’Annunzio scrivono per il cinematografo 292 A colloquio con D’Annunzio 298 S.A., Conversando con Matilde Serao di arte e cinematografo 301 Saverio Procida, «Sperduti nel buio» al cinematografo (Intervista con Roberto Bracco) 305 Lucio d’Ambra, Conversando con l’altro me stesso 311 316 318 323 326 330

Cinema e teatro luciano zuccoli, Cinematografo e teatro Sebastiano Arturo Luciani, Il cinematografo e l’arte Oberon [Umberto Bozzini], Cinematografo e scena di prosa Giuseppe Prezzolini, Viva il cinematografo! Giuseppe Prezzolini, Problemi del cinematografo Antonio Gramsci, Teatro e cinematografo

333 338 342 346 352 358 363 368 373 374 377 384 387 389 391

Ma il cinema, cos’è? Guido Gozzano, Il nastro di celluloide e i serpi di Laocoonte Roberto Bracco, Cinematografo (Geremiata) Filippo Tommaso Marinetti, Bruno Corra, Emilio Settimelli, Arnaldo Ginna, Giacomo Balla, Remo Chiti, Cinematografia futurista. Manifesto Annie Vivanti, Il cinematografo Ugo Falena, Si cominciò a girare un po’ d’arte Pasquale Parisi, Alla ricerca del trucco Ettore Cozzani, La rupe e la statua Silvio D’Amico, Il cinematografo non esiste Gabriele D’Annunzio, La Cinematografia e l’ora presente Bruno Barilli, «Fantasia bianca» di Vittorio Gui al Costanzi Lucio D’Ambra, Il mio “Credo” cinematografico Giuseppe Prezzolini, Il bello cinematografico Filippo De Pisis, Il ridicolo nel cinematografo Massimo Bontempelli, Il nuovo spettacolo Alberto Savinio, Rivista del cinematografo

appendice 395

Gabriele D’Annunzio, Del cinematografo considerato come strumento di liberazione e come arte di trasfigurazione

401 Bibliografia 419

Indice dei nomi



Introduzione Cinema, letteratura, editoria

1. Dagli albori del secolo attraverso gli anni Dieci, anni d’oro per volume d’affari e prestigio internazionale, il cinema conosce in Italia un consenso di pubblico e un peso sociale crescente. Da spettacolo da baraccone per fanciulli e serve, arriva ad occupare i principali teatri cittadini, a scritturare attori drammatici celebri, coinvolge come soggettisti e sceneggiatori firme famose del panorama letterario. Fra contrasti, snobistici rifiuti e polemiche feroci, aspira allo status di nuova arte; si impone all’attenzione dell’opinione pubblica come l’invenzione del secolo, emblema dei tempi moderni. Letteratura, giornalismo, editoria forniscono allo sviluppo del nuovo spettacolo un contrappunto costante. Il rapporto non è pacifico, ma spesso conflittuale, polemico; o ambiguamente amichevole, in grazia delle convincenti elargizioni pubblicitarie. La carta stampata rende un quadro pertinente di entusiasmi, paure, riflessioni e idiosincrasie. Illumina un capitolo curioso della vicenda culturale primonovecentesca, quando l’affermarsi di nuovi media chiama in causa la definizione di arte e il mutato rapporto tra società e letteratura nella moderna civiltà industriale. Documenta l’atteggiamento di scrittori e intellettuali di fronte a una forma di spettacolo che agisce in profondo su abitudini e costumi di vita, e forte del favore popolare aspira ad ottenere patente di arte. Che smuove interessi economici enormi, promette guadagni insperati; ma anche avvince con le nuove possibilità espressive offerte dall’alfabeto delle immagini in movimento, dal gioco della trascodifica dei testi in nuovi linguaggi espressivi. Gli scritti raccolti in questo volume intendono mostrare come il fenomeno cinema è vissuto e raccontato dal mondo letterario italiano di quegli anni, con particolare riguardo al rapporto tra cinema e letteratura, cinema e arti, cinema e società. Tra le Pagine letterarie, figurano racconti, brani di romanzi, commedie, poesie ispirati al mondo del grande schermo, alla vita sul set e nelle Case cinematografiche, agli attori e alle dive, o al variopinto pubblico dell’epoca. Gli Scritti giornalistici, insieme a interviste a scrittori e drammaturghi posti a confronto con la nuova arte, comprendono articoli, inchieste,


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introduzione. Cinema, letteratura, editoria

commenti spesso dovuti a nomi noti della stampa periodica e della critica letteraria e teatrale. La scelta antologica attinge di preferenza a quotidiani e periodici a larga diffusione o di riconosciuto prestigio culturale. Si escludono di proposito le voci degli addetti ai lavori, la stampa di settore, le molte riviste cinematografiche che prosperano in Italia nei primi decenni del secolo, fatta eccezione per quei periodici nati nella seconda metà degli anni Dieci con lo specifico intento di inserire il cinema all’interno della coeva discussione estetica e artistica, come «Apollon» e «L’Arte muta», e poi «In penombra», che programmaticamente cerca di coinvolgere letterati e artisti già attivi in altri campi. Volutamente si escludono anche quei testi letterari che non parlano di cinema, ma sono stati trovati a vario titolo “cinematografici”, talvolta così etichettati dall’autore stesso: caso più celebre, il racconto Cinematografo cerebrale di De Amicis, del 1907, dove si assiste al flusso di pensieri, desideri e immagini che emerge per libera associazione dall’inconscio di un rispettabile Cavaliere, e onesto padre di famiglia: un film di ricordi cancellati, immaginazioni riprovevoli, apparizioni inesplicabili, aspetti di un io sconosciuto sfuggito ai freni della coscienza. Ma l’uso metaforico dell’aggettivo «cinematografico» ha grande voga, nei contesti più vari, in questi anni – come sinonimo di descrizione, o di galleria di ritratti, o di racconto tout court –, senza si debba presupporre per questo una qualche novità narrativa. La ricerca di suggestioni cinematografiche nello stile narrativo di testi letterari d’epoca, del resto, è terreno affascinante ma infido; mentre dal canto suo il primo cinema struttura il racconto su collaudati procedimenti letterari, teatrali o narrativi, e cerca l’appoggio della letteratura per avvalorare la propria dignità d’arte, nelle didascalie, nei paratesti, nei “libretti” dei film, nell’apparato pubblicitario talvolta. Fra i testi proposti in questa antologia ve ne sono di ben noti, ma imprescindibili; altri sono stati recuperati durante lo studio sui materiali d’epoca nell’ambito di un più vasto progetto di ricerca su cinema e letteratura negli anni Dieci in Italia1. Alcune testimonianze mancano, con rammarico, per difficoltà contingenti: come per le straordinarie serie di tavole parolibere di Cineamore di Carlo Carrà, del 1914, inedite, sparse in collezioni private, parzialmente esposte in alcune recenti mostre2. Il campo della letteratura cinematografica, e più in generale il rapporto tra letteratura e cinema, ha conosciuto del resto negli ultimi quindici anni un rinnovato interesse, con studi di serio impegno filologico e documentario, estesi anche alla coeva situazione europea, di cui ho cercato di far tesoro; quasi eclusivamente

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Da cui il mio Storie di cinema e letteratura: Verga, Gozzano, D’Annunzio, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2003, e il saggio Lo schermo di carta. Letteratura sul cinema negli anni Dieci, in «Paragone. Letteratura», LX, 81-82-83, febbraio-giugno 2009, pp. 86-98, che esamina alcuni dei testi adesso riproposti. Per i dati bibliografici dei testi citati in questa introduzione, antologizzati o meno nel presente volume, rimando alla sezione Scritti d’epoca della Bibliografia finale.


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da parte di studiosi di cinema, va detto3. Mi auguro che questa antologia, che intende semplicemente dar conto di un panorama vasto, variegato e stimolante, possa offrire un utile sostegno documentario per la ricerca e la didattica, anche in ambito letterario. Perché un fenomeno di così vaste implicazioni sociali, espressive e artistiche come il cinema è spesso curiosamente assente nelle ricostruzioni storico-letterarie dell’inqueto panorama italiano dei primi decenni del ventesimo secolo. La scelta, che si è voluta ampia, alterna pagine di indubbio valore artistico a prove di onesta letteratura di consumo, e, tra le pagine giornalistiche, testi di diverso spessore, genere e stile, dal saggio all’inchiesta, all’intervista, alla polemica, fino alla cronaca e alla curiosità; tutti rendono, in modo aperto o implicito, una lettura, una interpretazione del nuovo fenomeno artistico. Nella selezione il gusto personale ha avuto, s’intende, la sua parte. La speranza è di aver proposto pagine godibili, quanto possibile non noiose. I testi sono raggruppati per argomento (e seguono all’interno della singola sezione l’ordine cronologico). Si è così voluto dare evidenza allo sviluppo dell’interesse e del dibattito sui grandi temi che appaiono tenere il campo. Tra le Pagine letterarie, la sezione Lo schermo e il pubblico punta l’attenzione sul modo in cui il pubblico partecipa agli spettacoli cinematografici: sulle sue reazioni, sui suoi commenti, sugli effetti positivi o deleteri delle proiezioni, dando spazio anche alla figura del musicista che accompagna le pellicole, “invisibile” tra lo schermo e la platea. In Attrici e attori, al centro è il nuovo mestiere dell’attore cinematografico, in particolare il problematico nuovo rapporto che pare instaurarsi tra vita e finzione: con la finzione che arriva a condizionare o sovrastare l’identità reale, specie per le figure emblematiche della diva e del comico. I brani raccolti nella sezione Si gira! guardano ai meccanismi della produzione cinematografica, in particolare al lavoro sul set durante le riprese, attenti agli aspetti più originali e curiosi del nuovo ambiente, ma anche alle loro ripercussioni sull’identità dell’uomo moderno e dell’artista. Il cinema a teatro presenta infine alcuni testi teatrali che portano il cinema sul palcoscenico, nella misura della farsa, del dramma borghese o della commedia di salotto. Negli Scritti giornalistici, la prima ampia sezione è dedicata al Fenomeno cinema: con articoli e saggi che con tinte diverse – con sdegno, con entusiasmo, con timore o con stupefazione – raccontano la sua novità, il suo successo, i suoi usi bizzarri, i suoi risvolti curiosi o allarmanti, considerandone le implicazioni morali e sociali. Si dà poi spazio alle voci di scrittori, drammaturghi e letterati (Scrittori e cinema: inchieste e interviste), interpellati in inchieste giornalistiche o chiamati a esprimere pareri e intenti in interviste promozionali per film in maniera diversa legati al loro nome. Nella sezione dedicata alla querelle tra Cinema e teatro si pre

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Doveroso ricordare gli studi sulla letteratura cinematografica condotti soprattutto da Luca Mazzei, e quelli portati avanti da Silvio Alovisio nel campo affine della sceneggiatura: per queste e altre recenti ricerche rimando alla sezione Studi della Bibliografia.


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introduzione. Cinema, letteratura, editoria

sentano alcuni dei numerosi interventi scaturiti dalla concorrenza tra le due forme di spettacolo, che comporta un confronto tra le rispettive identità e presunzioni artistiche. Si chiude con una carrellata di opinioni, interpretazioni e prime elaborazioni teoriche sul nuovo mezzo espressivo (Ma il cinema, cos’è?), privilegiando anche in questo caso le voci di scrittori e letterati. In Appendice è posto uno scritto teorico di D’Annunzio, ottenuto dalla rielaborazione di una sua precedente intervista, rimasto al tempo inedito. Oltre a dar conto degli studi moderni in argomento, la Bibliografia finale riporta in ordine cronologico i dati degli scritti letterari e giornalistici antologizzati, e aggiunge un elenco di ulteriori opere letterarie, teatrali e musicali di argomento cinematografico, e di ulteriori articoli su giornali e riviste d’epoca. Non si mira naturalmente all’esaustività, ma a segnalare altri interventi rilevanti sul rapporto tra cinema e letteratura in questo arco di anni: si allarga perciò il campo a libretti di film, e a soggetti e sceneggiature editi, quando questi coinvolgano letterati; ai volumi sul cinema usciti all’epoca, e agli articoli sulle riduzioni cinematografiche di alcune opere letterarie. Mostrare come il cinema è narrato, messo in scena, raccontato in libri, riviste, quotidiani, o sulle tavole dei palcoscenici, vuol dire infatti concentrarsi consapevolmente su uno solo dei variegati aspetti dell’incontro fra cinema e letteratura (e editoria) in questi anni. Nel panorama letterario-commerciale compaiono manuali tecnici e pubblicazioni divulgative, biografie di attori e attrici, volumi di ricordi e aneddoti, “libretti” dei film e opuscoli del più vario tipo, fogli volanti e canzonette, tante riviste specializzate, sceneggiature, novellizzazioni di film. Se all’inizio della sua avventura il cinema si nutre di carta, di romanzi e racconti “ridotti” per lo schermo, esso alimenta a sua volta editoria e carta stampata. Intorno all’«arte del silenzio» la parola prolifera. Nello schermo di carta il giovane cinema cerca uno specchio meno effimero su cui fissare le sue labili ombre, dove proiettare e definire i caratteri di un’identità ancora incerta e sfuggente. 2. Tra il 1896 e il 1897 si incontrano sulle pagine di molti quotidiani brevi resoconti dei primi spettacoli cinematografici nelle principali città italiane. La novità tecnica genera curiosità; ma rimane poi per anni attrazione da fiera, senza nessuna possibile cittadinanza nelle cronache della vita culturale. L’attenzione della stampa riprende nel 1906-1907: il numero delle sale cinematografiche stabili è in costante crescita; il favore del pubblico minuto verso il nuovo spettacolo, dove la fiction ormai prevale sull’iniziale indirizzo documentario, è unanime e incontrastato. Quotidiani e riviste di varietà prendono bonariamente atto del fenomeno. Battono sugli aspetti più curiosi e bizzarri del cinema, con aria di sufficienza divertita e condiscendente verso le ingenue esigenze dell’intrattenimento popolare: esemplare l’articolo di Ferri su «La Lettura» del settembre 1906, Tra le quinte del cinematografo. O irridono con snobistico sdegno alle sue pretese artistiche, di fronte ai primi maldestri tentativi di portare sullo schermo i grandi capolavori letterari. Di questo tono i commenti


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di Enrico Thovez e Luigi Federzoni, dalle colonne della «Stampa» e del «Giornale d’Italia» del 1908, o di Adolfo Orvieto sul «Corriere della sera», dove anche compaiono curiose considerazioni anonime sul Cinematofono, cioè sui primi goffi esperimenti di cinema sonoro. Arrivano però anche le dichiarazioni favorevoli di D’Annunzio, attento e vorace consumatore delle moderne tendenze di gusto, raccolte nel 1908 da Ettore Janni in un’intervista allo scrittore sul «Corriere della sera» (e anch’esse bersaglio del sarcasmo di Thovez). Cui fanno seguito quelle simili di Gozzano, raccolte da Carlo Casella nel 1910 sulla torinese «Vita cinematografica». Ponderati riconoscimenti della serietà e delle potenzialità del nuovo mezzo espressivo vengono da Giovanni Papini che in modo tempestivo, dalla prima pagina della «Stampa» del 18 maggio 1907, invita i «filosofi» a studiare il fenomeno con seria attenzione. I primi risultati della riflessione estetica sul cinema «settima arte», avviata in Francia da Ricciotto Canudo, appaiono nel dicembre 1908 sulle pagine del «Nuovo Giornale». Nascono in questi anni le prime riviste cinematografiche, espressione degli interessi di categoria: «La Rivista fono-cinematografica», «La Cinematografia italiana», «La Cine-fono» a Milano, «Lux» a Napoli, «La Vita cinematografica» a Torino, per ricordare solo le prime e di più prospero avvenire. Insieme a queste, e ancor più negli anni successivi, fino alla crisi degli anni Venti, le testate cinematografiche nascono (e muoiono) in gran numero e con grande celerità. Sono, all’inizio, poco più che cataloghi delle principali case produttrici (attive in Italia dal 1905), veicoli pubblicitari e commerciali, intente alla discussione dei problemi tecnici in materia di produzione, proiezione e commercio. Intorno al 1910, alla guida di molte società cinematografiche i capitali dell’aristocrazia subentrano ai tecnici e agli artigiani pionieri del nuovo spettacolo. Si dà alle imprese una più solida organizzazione imprenditoriale; si mira ad allargare il consenso al pubblico borghese e alle classi più elevate. Occorre rinnovare l’offerta rispetto a un repertorio ormai ripetitivo e usurato: prende campo il «film d’arte», con le trascrizioni cinematografiche di opere celebri della letteratura e del teatro, interpretate da attori della scena di prosa. Le riviste di categoria si impegnano per una migliore qualità del prodotto; iniziano un contraddittorio con la stampa quotidiana e periodica, accusata di snobbare il cinema mantenendo nei suoi riguardi un ostile premeditato silenzio. Si chiedeva per le pellicole una critica puntuale e obiettiva, come per la letteratura e il teatro – domanda costante ma raramente evasa per tutto il periodo del muto. Alla richiesta si opponeva non essere il cinema, al momento, nient’altro che prodotto dell’industria e speculazione commerciale; certo non arte. Di fatto, il pubblico dei cinematografi non è quello dei lettori di riviste e giornali; che dunque non se ne occupano. Il pubblico colto, se mette piede talvolta nelle sale, un po’ se ne vergogna e non ama che gli si ricordi: il suo spettacolo è il teatro, in esso si riconosce e vuole essere riconosciuto.


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Gli interventi sulla stampa, fino al 1913, guardano generalmente al cinema solo come fenomeno sociale, fatto curioso, preoccupante o pericoloso. Il problema è quello dell’educazione popolare: la relazione dei film con l’attualità politica, la salvaguardia della pubblica moralità, l’ausilio del cinema per l’istruzione pubblica, perché lo schermo non sia scuola di vizio ma di virtù. Pure, il favore di pubblico è imponente: su di esso si interroga, ad esempio, sulla «Tribuna», nel febbraio 1912, Fausto Maria Martini. I primi volumi sul cinema, dal 1907, rispecchiano questo stato di cose. Sono all’inizio manuali che spiegano il funzionamento e le caratteristiche tecniche della nuova invenzione. Ma compaiono presto anche racconti ispirati al mondo cinematografico. Hanno, come le novelle di Fabbri e Jarro, carattere eminentemente divulgativo: raccontano come si fa un film, le trame delle pellicole, le reazioni del pubblico, esaltando le potenzialità morali, educative e sanamente ricreative del cinema. Sono testi senza pretese che si rivolgono alla cerchia degli affezionati. Esemplare è il caso del lungo racconto di Gualtiero Fabbri Al cinematografo, che racconta la “conversione” al cinema di un giovane intellettuale: mosso da un evidente intento apologetico, presenta grande interesse documentario per le molte notizie sulle pellicole del tempo. Non è il primo racconto sul cinema, come a lungo si è ritenuto: dal paziente lavoro di scavo, soprattutto ad opera di Luca Mazzei, altri documenti sono emersi, spesso di qualità modesta. Attenzione merita, per l’eccezionale precocità (1898), la commediola educativa di Anna Vertua Gentile Cinematografo. Scene famigliari per fanciulle (non antologizzata), che legge la nuova invenzione in chiave assolutamente positiva; ma soprattutto il racconto di Luigia Cortesi Al cinematografo, apparso nel 1905 sulla «Rassegna nazionale», che con la malinconica figura del suo pianista di sala presenta il primo di una lunga serie di esempi di artisti falliti che popolano la narrativa di argomento cinematografico. Le futuribili applicazioni della scoperta affascinano la penna di Emilio Salgari, che inserisce nelle pagine del romanzo Le meraviglie del Duemila, del 1907, una sorta di televisore ante litteram («un gran quadro che occupava la parete di fronte al letto», che s’illumina e mostra video di fatti d’attualità, mentre la voce che commenta giunge da dietro il cuscino, quasi in cuffia). Nel 1910, nella Solita canzone del Melibeo di Gian Pietro Lucini, «un cinematografo, perfezionato e brevettato» compare nel «Paviglione» della fiera tra «l’ultime scoperte della scienza»: «Un teatro mecanico, dei quadri dissolventi, / projettati nel vuoto, fatti rivivere, così, per giuoco»; «un’arte che si inganna»... 3. Qualche anno più avanti, verso il 1913, il cinema si impone come fenomeno da prendere ormai in seria considerazione. Si affina la tecnica. Si afferma, novità vincente, il lungometraggio, di una, due, tre ore di proiezione, frutto di un più massiccio impegno produttivo e distributivo e di scaltrita esperienza nella sceneggiatura e nell’interpretazione. Il racconto cinematografico tende a strutturarsi, acquista una sua sintassi. Le polemiche sulla presunta immoralità del


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cinema, pernicioso per il popolo, si acuiscono intorno alla proposta della revisione obbligatoria per le pellicole: del maggio 1913 è l’istituzione dell’ufficio centrale di censura. Ma è soprattutto il danno economico che la concorrenza del cinema porta al botteghino del teatro di prosa ad alzare il tono della discussione, che coinvolge adesso gli ambienti letterari e più prestigiose sedi di dibattito. I contrasti tra stampa cinematografica e riviste teatrali si fanno roventi. Gli organi di categoria hanno ormai abbracciato risolutamente la causa della promozione culturale del cinema, con spirito di crociata, per conquistargli la qualifica di arte e il favore del pubblico colto. Ma anche i quotidiani e le maggiori riviste di cultura dibattono il problema. Agli aspetti morali, politici e sociali della questione dedica costante attenzione Prezzolini, dalle pagine della «Voce» (ma non solo), occupandosi del rapporto fra cinema e propaganda bellica, istruzione, moralità popolare, e dell’inutilità della censura. Cinematografo e moralità pubblica è il titolo di un lungo intervento anonimo (non antologizzato) comparso nel novembre del 1914 sulla stessa «Civiltà cattolica»; ma si veda anche, un anno prima, l’intervento di Edoardo Boutet nella Rassegna drammatica della «Nuova Antologia». La questione che tiene banco è però la disputa fra teatro e cinematografo: il cinema ucciderà il teatro? quali le affinità e le differenze tra i due mezzi? Sull’argomento intervengono, fra il ’13 e il ’16, letterati e critici teatrali: tra questi Sabatino Lopez, direttore della Società degli Autori, in un’intervista rilasciata al «Corriere della sera» (E.D., Corriere teatrale. Tra scene e pellicole), Luciano Zuccoli sul «Marzocco» (sulle stesse colonne gli risponde Sebastiano Arturo Luciani), Oberon (ovvero Umberto Bozzini) sul «Giornale d’Italia», Prezzolini sul «Secolo» e sulla «Stampa», poi Gramsci sull’«Avanti!». Il tema è al centro di due importanti inchieste-referendum promosse nel 1913 dalla rivista «La Vita cinematografica» e dal quotidiano fiorentino «Il Nuovo giornale», in cui sono chiamati a pronunciarsi scrittori, drammaturghi, critici, attori, giornalisti (se ne trascrivono qui gli interventi più significativi). A smuovere le acque, sono state le iniziative prese dalle associazioni dei lavoratori teatrali italiane e francesi tra 1912 e 1913 in difesa della categoria, minacciata dall’esodo sempre più massiccio di attori, autori e pubblico dal teatro al cinema; mentre i principali teatri delle grandi città ospitano anch’essi, per stagioni più o meno lunghe, proiezioni cinematografiche. Presto si distinguono le ragioni economiche dalle ragioni artistiche. Occorre ricercare i veri motivi della crisi del tea­tro, si ammette; riflettere serenamente sugli elementi di contiguità e di differenza tra questo e il cinema (e che si tratti di mezzi espressivi diversi, è presto chiaro). Il film può anche svolgere un benefico compito di “purificazione” nei confronti della scena teatrale, liberandola dalla preoccupazione di divertire il popolo e restituendola ai suoi nobili intenti d’arte, fa notare Prezzolini (e anche D’Annunzio, nel saggio al tempo inedito offerto in Appendice). Ma la questione del preteso conflitto con la scena di prosa diviene un luogo comune longevo nel dibattito sul cinema. Ancora nel marzo 1927, nel numero monografico dedicato al


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cinema da «Solaria», agli scrittori è rivolta la fatidica domanda: il cinema è un surrogato del teatro? Il nuovo interesse degli ambienti colti verso il mondo del cinema suscita anche interventi di carattere divulgativo, particolarmente suggestivi per il lettore d’oggi. La rassegna di Arnaldo Fraccaroli sul «Corriere della sera» (Dietro al cinematografo), nel febbraio del 1913, tratteggia con accenti di sincero stupore lo sviluppo formidabile dell’industria cinematografica. Nino Oxilia, giovane drammaturgo di successo (con la fortunata commedia Addio giovinezza!, del 1911, scritta in collaborazione con Sandro Camasio), poeta di ispirazione crepuscolare e stimato regista cinematografico, racconta in tono brillante nel 1914 sulla «Lettura», il mensile del «Corriere della sera», la vita e il lavoro degli attori “muti”. Qualche anno prima, sul giornale teatrale «Il Tirso», Lucio D’Ambra aveva vivacemente narrato le riprese en plein air di Salomè. Il cinema tiene banco anche per i suoi aspetti bizzarri ed esotici: affascina per il meccanismo di produzione, per il complesso apparato che richiede, per quella finzione così evidentemente falsa al momento della messa in scena e così evidentemente reale sul telone dello schermo. Ma anche il lusso e le bizzarrie delle dive, l’ostentazione di ricchezza e di modernità propria dell’ambiente (un mondo di macchine, dove l’automobile è presenza costante), colpiscono la fantasia. Ancor più la colpiscono le belve, impiegate in larga misura nei colossal storici di ambientazione romana che trionfano nel 1913. Alcuni episodi di cronaca che le vedono protagoniste, come i due trascritti in questa raccolta, ricevono ampia eco sui quotidiani del tempo. In un caso l’operatore riprende la scena dell’incidente; ed è immediato per noi il richiamo alla tragica conclusione del romanzo cinematografico di Pirandello, Si gira... (poi Quaderni di Serafino Gubbio operatore), ideato e steso proprio in questi anni. 4. Nelle inchieste della «Vita cinematografica» e del «Nuovo giornale», a scrittori e drammaturghi si chiedeva pure di esprimersi in merito alla possibilità per il letterato di lavorare nel cinema salvaguardando il proprio decoro professionale. L’industria cinematografica, con l’obiettivo di ampliare e qualificare il pubblico, cerca infatti adesso il contributo di attori e autori illustri. Nel 1914 compaiono le prime firme di spicco, con Sperduti nel buio di Bracco e Martoglio e Cabiria di D’Annunzio (cioè di Giovanni Pastrone; ma al Poeta si attribuiva al tempo ogni merito, nella réclame e negli ampi spazi che grazie al suo nome al film dedicano i giornali, primo fra tutti il «Corriere della sera»). Si interessano attivamente al cinema, con riduzioni da proprie opere o soggetti originali, Verga, Gozzano, Salvatore Di Giacomo, Roberto Bracco, Marco Praga, Pirandello, Fausto Maria Martini, Sem Benelli. Dal ’16 la pratica diviene comune, e varie pellicole si fregiano di nomi di letterati noti. L’uscita di questi film è spesso accompagnata da interviste promozionali all’autore celebre. Riportiamo quelle rilasciate da D’Annunzio per Cabiria, da Roberto Bracco per la prima di Sperduti nel buio, da Salvatore Di Giacomo (nell’articolo di Renato La Valle sul


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«Giornale d’Italia»), da Matilde Serao; mentre Lucio D’Ambra (Renato Eduardo Manganella), prolifico «cineletterato», ma anche drammaturgo, conversa con «l’altro me stesso» in un’autointervista autoanalitica. Negli anni Dieci, il successo degli adattamenti da narrativa e teatro è del resto costante. Interi repertori di commediografi italiani e francesi passano sullo schermo; non c’è capolavoro che non subisca almeno una riduzione cinematografica (ma saranno tre per i Promessi sposi; tre per Cavalleria rusticana; due per la Signora delle camelie...). E si chiedono ai letterati soggetti nuovi, confezionati ad hoc: le disavventure del soggettista cinematografico sono comicamente raccontate da Annie Vivanti (Il cinematografo), che con il consueto taglio di invenzione autobiografica, a metà tra pagina letteraria e giornalismo, narra una paradossale esperienza di autrice agli ordini di una volubile primattrice americana. La capitale dell’industria cinematografica si è spostata intanto da Torino a Roma. Qui, giornali come «La Tribuna» e «Il Giornale d’Italia» cominciano a dedicare spazio regolare al cinema. Specie in occasione delle grandi “prime”, compaiono interviste, inchieste, lunghi resoconti delle trame dei film, insieme ad elzeviri galanti ed enfatici per le dive. Sono scritti promozionali smaccatamente elogiativi, lontani dal serio esercizio critico invocato dalle riviste di categoria; ma hanno grande risalto e si fregiano di firme famose: fra gli altri, attivissimo, Lucio D’Ambra, e poi Fausto Maria Martini, Emilio Calvi, Ettore Veo, Mario Corsi, Umberto Fracchia. Le riviste cinematografiche, puntuali nel segnalare e commentare quanto sull’argomento appaia nella stampa quotidiana e periodica, pur deprecando l’origine venale di questi scritti, sono comunque pronte a registrarli come punti a favore della giovane arte, raffigurata in epica lotta contro la preconcetta ostilità degli ambienti letterari e culturali. Numerosi cronisti teatrali si dedicano adesso anche (o prevalentemente) al proficuo campo del giornalismo cinematografico. Nel ’16 nascono nuove riviste di cinema, che si distinguono dai vecchi organi di categoria (con cui non mancheranno le polemiche) per l’eleganza tipografica, la dovizia di foto, xilografie, disegni di illustratori di fama, la cura dei testi. Assai ricca nella veste grafica e nelle illustrazioni è «L’Arte muta», fondata a Napoli da Antonio Scarfoglio e Francesco Bufi. La romana «Apollon», nata ad opera di Goffredo Bellonci e Sebastiano Arturo Luciani, unisce all’eleganza nuovi contenuti: aspira a porsi come «prezioso breviario di estetica» della nuova arte (così recitano gli annunci pubblicitari), promuovendo una riflessione teorica meno estemporanea e frammentaria e un rigoroso esercizio di critica. L’interesse verso l’identità e i caratteri del linguaggio cinematografico ora si consolida e si approfondisce. Il cinema non è teatro. Ma il cinema, cos’è? La riflessione di Gozzano (Il nastro di celluloide e i serpi di Laocoonte), in aria apparentemente svagata, come si addice al luogo di pubblicazione, il settimanale torinese «La donna», affronta una questione di non poco conto, destinata a divenire luogo comune nella discussione, lo status del cinema: arte o industria? Quale il rapporto tra i due fattori? La “macchina”, elemento principe nella produzione e ri-


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produzione cinematografica, è presenza inquietante. Il legame con la modernità industriale sembra di per sé negare al cinema ogni qualifica d’arte. Legame valutato in tutt’altra chiave dall’irrequieto gruppo futurista: il 1916 è anche l’anno del manifesto della Cinematografia futurista, comparso nel novembre sul periodico «L’Italia Futurista», documento unico nel suo genere in questi anni, perché inquadra il cinema all’interno di una coerente teoria e prassi dell’espressione artistica in tutte le sue forme. Nell’analogia e nel montaggio si colgono i caratteri propri del linguaggio cinematografico, indicati come promettenti mezzi di innovazione espressiva in ogni campo dell’arte. Mentre per Roberto Bracco essenza del cinema non è che l’antica arte della pantomima, come dichiara in una paradossale «geremiata» comparsa sull’«Arte muta» nello stesso anno, in cui depreca con divertita ironia la «iattura» della libera critica sui film e il tormento della discussione sulla sua artisticità, che ha per sempre posto fine alla beata pace industriale di cui l’attività godeva. Ampi orizzonti divulgativi e culturali abbraccia il mensile romano «Penombra», poi «In penombra», diretto, tra la fine del 1917 e il 1919, da Tomaso Monicelli, con Mario Corsi, Umberto Fracchia, Ettore Veo. Nato con l’intento di avvicinare letterati ed intellettuali al mondo cinematografico, pubblica interessanti articoli divulgativi (si riportano quelli di Ugo Falena e Pasquale Parisi), insieme a scritti e racconti di Pirandello, Tozzi, Rosso di San Secondo, Antonio Beltramelli, Fausto Maria Martini, Roberto Bracco, Salvatore Di Giacomo, Antonio Baldini, Lucio D’Ambra; ivi comprese pagine di soggetti e sceneggiature per lo schermo. La rivista, corredata da un ricco apparato iconografico, con la collaborazione di illustratori di grido, tratta comunemente del cinema nel contesto delle altre arti “moderne”: non solo letteratura, musica, spettacolo, arti figurative, ma anche architettura, arredamento, moda. Valutazioni estetiche sul cinema in rapporto alle arti figurative e al teatro offrono gli interventi di Ettore Cozzani e Silvio D’Amico, qui riproposti. Il legame tra il cinema e le altre arti è costante oggetto di riflessione alla fine degli anni Dieci: il «credo» di Lucio D’Ambra (Il mio “credo” cinematografico, 1920) vede nel film la somma di tutte le arti, il libero spazio dove ogni artista (romanziere, drammaturgo, pittore, scultore, architetto, musicista, poeta) può esprimere al meglio la propria creatività. Ma non mancano d’altro canto stroncature veementi: come quella riservata da Bruno Barilli non solo al film Fantasia bianca, con musiche sinfoniche originali di Vittorio Gui, ma al mondo del cinema nel suo complesso. 5. La produzione narrativa e teatrale ispirata al cinematografo segue, dopo il ’13, la parabola della sua fortuna. Ai raccontini ingenui dei primi anni si aggiungono romanzi e prove narrative di maggiore consapevolezza letteraria, dovuti talvolta a penne famose. Prende campo la rappresentazione del curioso ambiente degli attori e dei teatri di posa, con il suo eterogeneo campionario di tipi umani, nei suoi risvolti comici o tragici. Romanzi come Fantasio-Film di Ettore Veo, modesto per pregi letterari, e il più convincente La repubblica del silenzio di Enrico Ro-


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ma (drammaturgo, attore e regista), ricchi di informazioni, presentano un interessante spaccato di costume, con riferimenti appena velati a persone, luoghi, società, film del tempo. Mentre in Io ti amo, romanzo di Bruno Corra, il cinema è l’attività moderna per antonomasia, quella che permette di far soldi nel modo più veloce e moralmente disinvolto, campo d’azione dei due giovani ambiziosi protagonisti per il loro progetto di scalata sociale ed economica e insieme specchio di una drammatica crisi morale. Sul vivace milieu cinematografico puntano anche le commedie L’amante del cuore di Sandro Camasio (completata da Nino Berrini dopo la morte dell’autore e rappresentata nel 1914, poi in volume con il titolo Il cuore dell’amante), e L’arte di Giufà di Nino Martoglio, in dialetto siciliano, del 1916, parodia del mondo del cinema in tono farsesco. Esempi scelti fra altri di cui è rimasta traccia più labile, nel vasto ambito della letteratura di consumo: operette (come La signorina del cinematografo di Karl Weinberger, di buon successo nell’adattamento italiano), e farse, pochade, canzonette, spettacoli di rivista, varietà e cafè chantant trovano fin dai primi anni nell’ambiente del cinema, e nella figura della diva, facili spunti. L’alta poesia pare per il momento non accorgersi della novità. In Proiezioni di Libero Altomare, le nuvole sono «cinematografo bizzarro» della Fantasia suscitata da un «Sole elettrico» sulla «gran tela diafana / del cielo»: unica ricorrenza del cinema, in chiave piuttosto tradizionale, nell’antologia dei Poeti futuristi del 1912. Ma fioriscono versi encomiastici per le dive del momento, sulle riviste di categoria e negli opuscoli promozionali, e l’argomento offre spunti ghiotti alla lirica dialettale. La poesia di Trilussa Basta la mossa!, assai popolare al tempo, era dedicata alla scimmia Jack, “attrice”, protagonista di un film del 1916 (L’impronta della piccola mano), e fu utilizzata per pubblicizzare la pellicola. Già nel 1908, sulla «Gazzetta del popolo della domenica», la collana di sonetti in romanesco di Umberto Lanna Ar cinematogrifo raccontava il film che si svolgeva sullo schermo attraverso i coloriti commenti di uno spettatore. Ma affiorano anche problematiche più complesse. Il cinema come fenomeno sociale, i suoi riflessi sulla vita quotidiana e familiare, l’entusiasmo che solleva nel pubblico, soprattutto femminile, si specchiano nella commedia Arte nuova di Alfredo Testoni e nella novella di Pio Vanzi Lungo metraggio, dove l’affascinante protagonista di un grande film sulla guerra, di successo trionfale, monopolizza gli applausi del pubblico e l’ammirazione delle ragazze, negata al soldato davvero reduce dal fronte con una medaglia al valore. Il racconto Pur che non si parli... di Rosso di San Secondo ricorda le emozioni lasciate dalle «care damine» dello schermo nell’animo di un ragazzo e legge il fascino del cinema come incanto dei sogni dell’adolescenza. La futurista Prosa cinematografica di Francesco Meriano presenta al contrario la frustrazione dello spettatore irriverente, intimamente ribelle ma impotente di fronte alle melensaggini dello schermo. Gozzano (autore anche di una sceneggiatura completa per un film su San Francesco d’Assisi, nel 1916) nella novella Pamela-Films indulge al vivace quadro d’ambiente nel narrare la disavventura grottesca in cui incorre una scandalizza-


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ta e coriacea avversaria del cinema. Un altro suo racconto illumina invece il fondo drammatico e la sofferenza intima che si celano sotto l’apparente spensieratezza di un mondo fatuo. Il pittore e l’attrice del Riflesso delle cesoie, passati al cinema, «dannato mestiere», dopo una giovanile luminosa illusione d’arte, vivono con malinconia tenera e amara la consapevolezza del proprio fallimento esistenziale. L’alienazione dell’uomo servo della macchina cinematografica si ritrova nella Principessa del sogno di Onorato Fava. Il protagonista è un anonimo suonatore di violino nell’orchestrina di un cinema: neppure i sogni che passano sullo schermo offrono luce alla sua esistenza grigia e solitaria. In Vita, teatro di vetro di Rosso di San Secondo, il teatro di posa è un intristito «mondo posticcio» di «camuffature sceniche» e sentimenti contraffatti: ma in un incidente di scena, su «un ghiacciaio di legno, che fa ridere», sfondato, ha perso la vita la donna che il protagonista disperatamente inseguiva come unica àncora di salvezza, e potrà rivedere ora solo nella pellicola che quel momento ha fissato per sempre. La figura del comico si presta ai contrasti patetici. Il protagonista della novella Il ritorno di Ugo Menichelli, «buffo» di una troupe cinematografica costretto anche fuori della scena alla misura del suo personaggio, un essere destinato a suscitare ilarità e nient’altro, si suicida per il riso sprezzante cui va incontro la manifestazione dei suoi sentimenti più profondi. Nel Duello di Miopetti di Aldo Borelli, il comico di successo Claudio Xilo alias Miopetti, vedendosi sullo schermo, inveisce contro il suo «stupido» personaggio e contro il pubblico che ride sguaiatamente, fino a sfidare a duello uno degli spettatori; che quando capisce con chi ha a che fare, crede a uno scherzo, e Miopetti è portato in trionfo da una folla plaudente. Il duello mancato sancisce la sua identità di mimo: ogni cosa intorno a lui muta irrimediabilmente in farsa. La dignità degli affetti, la drammaticità delle passioni sono corrose dalle sciocche e volgari buffonate della finzione filmica: e così è impossibile il suicidio per il ciabattino Calepodio della novella di Tozzi Una recita cinematografica, dopo aver visto il tragico gesto cui si accingeva riprodotto davanti ai suoi occhi durante le riprese di un film (un fantoccio si getta dal ponte; e fra una prova e l’altra, gli attori fumano e ridono). Il cinema, emblema di modernità, diviene così motivo di riflessione sulla crisi dell’uomo moderno nella società meccanizzata. Il romanzo Si gira… di Pirandello, poi Quaderni di Serafino Gubbio operatore, pur sensibile al quadro d’ambiente umoristico, indica nella macchina da presa una presenza inquietante, ostile, simbolo di tutte le macchine che «mangiano» la vita dell’uomo. Il cinema riflette l’immagine degradata e grottesca della vita moderna. Ma offre anche altri spunti congeniali alla poetica pirandelliana: annulla la distinzione tra realtà e finzione, ne mescola i confini; accelera il movimento di scomposizione dell’individuo, rivela la sua frammentazione in un enigmatico universo a più dimensioni. L’idea dell’attore fagogitato dalla macchina, che novello Satana ne possiede l’anima, è sottesa alla surreale avventura narrata da Bontempelli nel raccon-


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to La morte civile, del 1924, dove un attore è condannato a rivivere ad ogni nuova proiezione del film che ha interpretato (La morte civile appunto, dall’omonimo dramma di Giacometti), le stesse azioni e le stesse emozioni vissute sul set. In una pagina di parole in libertà dedicate da Cangiullo a Francesca Bertini, del 1916, il cinema addirittura dissolve la realtà fisica dell’attrice famosa, ridotta pura ombra o spettro che incombe dalle enormi affiches. Manichini senza vita si incontravano già nella Notte, la prosa d’apertura dei Canti orfici di Campana: nel baraccone cinematografico di una fiera di provincia lo schermo restituisce, scarnificato, «il panorama scheletrico del mondo», e figure di «morti bizzarri» in «pose legnose», riverberando sugli spettatori allucinate valenze mortuarie. Dal 1918 l’editoria cinematografica si arricchisce di titoli: manuali teoricopratici per attori e soggettisti, studi sul «teatro muto» e sull’«arte silenziosa», profili di dive, raccolte di scritti critici, repertori giuridici, rassegne e annali dell’industria cinematografica. Ma già da alcuni anni il lavoro cinematografico alimenta una peculiare produzione editoriale con la stampa dei “libretti” dei maggiori film, opuscoli elegantemente illustrati con incisioni e foto di scena, distribuiti a scopo promozionale o venduti nelle sale, contenenti la trama del film, i testi delle didascalie o componimenti variamente ispirati alle vicende dello schermo. Si cominciano anche a pubblicare alcune sceneggiature, cui si riconosce dignità di testo letterario sui generis, a prescindere dalla loro realizzazione cinematografica (si occupa di questo nuovo genere Prezzolini nel 1921, nell’ultimo suo articolo qui riproposto). Nel novembre del 1920 nasce il quindicinale «Il Romanzo Film», diretto da Lucio D’Ambra, rivista espressamente dedicata alla pubblicazione di romanzi tratti da film ridotti in forma narrativa. Ogni numero contiene un «romanzo cinematografico» (compaiono testi dello stesso D’Ambra e di Amleto Palermi, Luciano Doria, Enrico Roma, Mario Camerini, Augusto Genina, Ugo Falena e altri), con foto di scena e ritratti degli interpreti, un’introduzione curata dall’attrice o dall’attore protagonista e rubriche di notizie e pettegolezzi sul mondo dello schermo. Nel 1922 vi si affianca, con propositi simili, «Al cinemà»: sono i primi periodici italiani di fictionized stories, già diffusi in America e in Europa. In Francia la collana dei «Romans du Cinéma» (affiancata poi dalla «Cinéma Bibliothèque» e dalla «Société d’éditions cinématographiques») pubblicava già in volume romanzi desunti dai film di successo. E sull’interazione tra schermo e pagina si fondava il successo dei serial polizieschi e avventurosi, i film a episodi di tradizione francese e americana (Arsenio Lupin, Fantomas, I misteri di New York...), presto prodotti anche in Italia, dove dal ’16 conoscono fortuna crescente (fra le serie più celebri, I topi grigi di Emilio Ghione). Ogni episodio era proiettato sullo schermo e contemporaneamente pubblicato in appendice su un quotidiano cittadino, o venduto in fascicoli illustrati, in edicola o negli stessi cinema. Romanzo popolare e film si rivolgono allo stesso pubblico e finiscono per sfruttare gli stessi canali. Anche i classici della letteratura rimessi in auge dal


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passaggio sullo schermo (come il Quo vadis? di Sienkiewicz nel 1913, o i Promessi sposi) sono ristampati in edizioni illustrate con i fotogrammi del film. 6. Con la profonda crisi in cui precipita l’industria cinematografica nazionale all’inizio degli anni Venti, i letterati italiani si ritirano da un’attività non più proficua. Non tutti, certo: Pirandello sviluppa adesso il suo interesse per lo schermo attraverso contatti con le avanguardie francesi e tedesche, e progetta all’estero la riduzione cinematografica delle sue opere. Diminuisce l’attenzione degli organi di stampa, non più stimolati dall’imponente giro economico alimentato dal cinema. Ma non diminuisce il favore del pubblico, anche se rivolto adesso in massima parte agli eroi dei film americani. Tra gli ultimi interventi antologizzati, l’articolo di De Pisis registra l’allontanamento del gusto dagli stereotipi stancamente riproposti dal cinema nostrano: è l’involontario senso del ridicolo il valore primario ancorché inconscio della cinematografia nazionale (Il ridicolo nel cinematografo, 1922). Nello stesso anno, Massimo Bontempelli intona il deprofundis: il cinema non ha saputo trovare un proprio campo di applicazione artistica, e solo pasce stancanente una folla «brutalmente incapace di ogni movimento di fantasia». Mentre la Rivista del cinematografo curata da Savinio per «Galleria» nel 1924, con cui il nostro volume termina, se sancisce la fine di un’epoca, apre anche prospettive nuove: il cinema, non riproduzione della realtà ma suo «riflesso lontano e mnemonico», è affine al sogno, «terribile svelatore di secreti, incosciente e però crudelissimo»; «Una mitologia in atto […]. Questa è appunto la magia del cinematografo». Diversi sono negli anni Venti i temi all’attenzione di letterati e scrittori, che prendono parte attiva al dibattito: l’affermazione del cinema americano sui nostri schermi; le sperimentazioni d’avanguardia, all’estero; l’infatuazione per Charlot; poi i tentativi di rinascita del cinema nazionale in epoca fascista; fino al dibattito sull’identità del cinema di nuovo acceso dall’avvento del sonoro. Ma questa è materia per un altro libro. Irene Gambacorti Nota ai testi Il volume raccoglie 28 brani letterari (pagine di romanzi, racconti, brani di commedie, poesie) e 50 scritti giornalistici sul cinema (articoli, saggi, interviste, inchieste, pubblicati su quotidiani e riviste), comparsi in Italia tra il 1905 e il 1924. I testi sono normalmente trascritti dalla prima edizione in volume, rivista o giornale; si è comunque preferito per alcuni testi letterari la prima edizione in volume rispetto alla prima comparsa su periodico, quando il testo in volume, pubblicato a breve distanza di tempo, presentasse limitate correzioni tese a migliorarne la forma.


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La nota in calce a ciascun testo dà conto della sua prima edizione, delle successive nuove pubblicazioni d’epoca, e delle eventuali edizioni moderne di riferimento; indica da quale edizione si cita il testo; fornisce, per i brani letterari, ulteriori informazioni sull’autore (quando poco noto) e sulle sue relazioni con l’ambiente cinematografico; offre un breve sunto della trama, in caso di antologizzazione parziale; o altri elementi comunque utili alla comprensione del contenuto. La trascrizione rispetta le caratteristiche grafiche dell’originale, ma si uniformano accenti e apostrofi all’uso corrente, si sostituisce la h all’accento nelle forme del presente indicativo del verbo avere (ò > ho) e si correggono alcuni evidenti refusi.

Nel congedarmi da questo lavoro desidero ringraziare Gino Tellini, che fin dagli inizi ne ha seguito la troppo lunga storia; insieme a lui, Anna Nozzoli e Simone Magherini, che lo hanno accolto nella nuova collana «Studi e testi» della Società Editrice Fiorentina; infine mia sorella Chiara, per il paziente aiuto fornito per la trascrizione dei testi.


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