Gino Severini. La Via Crucis di Cortona

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Gino Severini. La Via Crucis di Cortona   Pierangelo Mazzeschi

Pierangelo Mazzeschi è nato ad Arezzo nel 1960. Insegna Disegno e Storia dell’Arte presso il Liceo Scientifico “Francesco Redi” di Arezzo. Insegna, ed è responsabile del modulo di Design del Gioiello, al Master Executive di I livello in: Storia, Design e Marketing del Gioiello, presso l’Università di Siena – Campus Universitario di Arezzo. Insegna Storia dell’Arte presso l’Università dell’Età Libera di Arezzo. È stato docente a contratto di Storia e Progettazione del Gioiello, presso l’Università di Firenze, nelle Facoltà di Architettura e Lettere e Filosofia. Ha insegnato Arte Sacra presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Beato Gregorio X” di Arezzo. Ha collaborato alla stesura delle Attività Didattiche del Grande Museo dell’Opera del Duomo di Santa Maria del Fiore di Firenze. Ha guidato la mostra del “Meeting dell’Amicizia tra i Popoli” (Rimini 2018) dal titolo L’architettura impossibile di Filippo Brunelleschi – La Cupola del Duomo di Firenze, a cura dell’Opera di Santa Maria del Fiore di Firenze. Per la Società Editrice Fiorentina ha già pubblicato due volumi: La Storia e la Croce. La leggenda della vera croce di Piero della Francesca ad Arezzo (insieme a Marco della Ratta) e Un mestiere per ciascuno. Il ciclo dei mesi nel Portale Maggiore della Pieve di Arezzo. Filo diretto con l’autore: pierangelomazzeschi@gmail.com

Pierangelo Mazzeschi

Gino Severini La Via Crucis di Cortona

In copertina Gino Severini, Via Crucis, La madre, Stazione IV, part., mosaico, cm 100x75, Cortona

euro 15,00

www.sefeditrice.it

Gino Severini fu chiamato a Cortona, sua città natale, negli anni 1944-1946 dal vescovo della città per eseguire l’opera musiva della Via Crucis. L’artista accettò con entusiamo e con questa opera ha lasciato una grande testimonianza della sua umanità e della sua arte. Egli decide di non affollare le 14 Stazioni con i personaggi “secondari” che prendono parte al dramma di Cristo, ma si limita alla narrazione essenziale: poche figure come nelle sacre rappresentazioni popolari, fissate nei gesti e nelle espressioni più incisive. La visione è, a un tempo, ingenua e colta, semplice e pura. La forza di certi modelli figurativi non sta tanto nel phatos che richiama il doloroso cammino di Cristo verso la Via Crucis, ma piuttosto nella chiarezza con la quale questi episodi sono espressi nel presente, con i nuovi linguaggi dell’arte, in una visione che supera il limite del tempo. La progressiva trasfigurazione del Cristo caricato della croce, o che cade sotto questo pesante strumento di martirio, è espressa con segni essenziali – con soluzioni geometriche e piani plastici ripresi da un cubismo liberamente interpretato da Severini – ma anche con un ritmo compositivo che è memore delle più significative soluzioni dinamiche futuriste e delle armonie suggerite dagli assemblages cubisti. Le 14 Stazioni della Via Crucis – eseguite per richiamare l’attenzione dell’uomo sulla sofferenza di Cristo e sul significato del suo sacrificio – si ripropongono al di là delle contingenze della storia, eppur dentro esse, per gli uomini d’ogni luogo e d’ogni tempo.


Ai miei genitori


Pierangelo Mazzeschi

Gino Severini La Via Crucis di Cortona prefazione di

Romana Severini Brunori


Grafica e impaginazione Andrea Tasso Referenze fotografiche Per tutte le opere di Severini: © Gino Severini, by SIAE 2018 © 2018 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it

Fotoclub Etruria B.F.I. (www.fotoclubetruria.com) (le foto dei mosaici della Via Crucis si pubblicano per gentile concessione del Comune di Cortona) copertina, pp. 10, 20, 30, 31, 38, 43, 45, 47, 49, 51, 53, 55, 57, 59, 61, 63, 65, 67, 69, 71

facebook account www.facebook.com/sefeditrice

Giulio Mazzeschi p. 40

twitter account @sefeditrice isbn 978-88-6032-495-5 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata L’autore desidera ringraziare per la preziosa collaborazione: don Alvaro Bardelli, canonico della Cattedrale di Arezzo; il dott. Vincenzo Lucente e il sig. Giuseppe Poggioni di Cortona; Nicoletta Di Virgilio; il sig. Filippo Bagni, dell’Archivio di Stato di Arezzo.

MAEC, Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona: pp. 76, 77 Nicola Milletti - Perugia (su autorizzazione concessa dall’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro) pp. 41, 44, 46, 48, 50, 52, 54, 56, 58, 60, 62, 64, 66, 68, 70 Romana Severini Brunori (foto René Robert, Paris) p. 80 È vietata la riproduzione o duplicazione, con qualsiasi mezzo, delle immagini contenute nel volume


Prefazione

Ho conosciuto Cortona solamente all’età di ventun anni. Il periodo bellico e le difficoltà dei trasporti pubblici del dopoguerra lo avevano impedito prima e poi la partenza per la Francia, decisa dai miei nel ’46 subito dopo essere tornati in possesso dei passaporti. Il viaggio verso Parigi, in due cabine di vagone letto contenenti papà, mamma, mia nonna materna e me più una infinità di bagagli, non fu certo una gita di piacere. Seguirono poi anni difficili per mio padre nel reinserimento nella vita artistica parigina, data l’ostilità che in molti ambienti si manifestava contro l’Italia e, naturalmente, gli italiani. Per fortuna fu bene accolto con amicizia e affettuosità dai vecchi amici e dai colleghi Braque, Albert Gleizes, Picasso, Leger, a sua volta di ritorno dagli Stati Uniti. Gli ostacoli vennero piuttosto dalla generazione più giovane, i cosiddetti “grandi astratti”, molto solidali tra loro nel cercare di non introdurre uno nuovo

nella scuderia delle gallerie che stavano riprendendo fiato dopo la paralisi del periodo bellico. Ma mio padre non si perse d’animo e continuò il suo lavoro con ancor più determinazione. Diverse opere della bella mostra personale che gli organizzò nel 1948 il mecenate gallerista di origine italiana Gildo Caputo, dimostrano quali “progressi”, come li chiamava lui, avesse fatto nella sua continua ricerca. Diceva, infatti, di essere contento di non aver sofferto della lunga lontananza da Parigi e di sentirsi attuale con i tempi. Certamente l’occasione che gli dette il vescovo di Cortona, con il lavoro della Via Crucis nella sua amata città, contribuì non poco a dargli un supplemento di forze per proseguire su quella strada. Nelle composizioni dei cartoni preparatori ai mosaici si può ben notare, infatti, il cambiamento di stile caratteristico degli anni fine ’40 inizio ’50, quello

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stesso che critici e storici dell’arte hanno chiamato il post cubismo. Lo stesso che lo ispirò per l’abside della chiesa di San Pietro a Friburgo, Svizzera, eseguito dopo circa vent’anni dalle prime sue decorazioni per quella chiesa. Questa mancanza di unità nello stile, malgrado l’artista l’abbia attenuata con dei toni di colore che hanno fatto da ponte, non elimina del tutto la leggera impressione di disturbo data dall’insieme. Certamente il San Pietro, senza i vent’anni di interruzione dei lavori per mancanza di fondi, sarebbe stato più armonioso nel complesso se il pittore avesse potuto completarne la visione globale. Anche qualche bozzetto a tempera per la Via Crucis preparato nel 1931-32 per la stessa chiesa, lavoro a sua volta interrotto, si sposava in buon accordo con tutto il resto. Questo ci riporta alla Via Crucis di Cortona, per la quale mio padre volle inserire in molti dei mosaici delle tessere ricoperte di una foglia d’oro, per dare più luminosità e per restare sempre il più possibile vicino alla tecnica bizantina, la sua prediletta. Quando, all’inizio degli anni ’50, i nuovi committenti di Friburgo chiesero di poter ripetere per la loro chiesa la Via Crucis di Cortona, probabilmente per usufruire del gruppo di mosaicisti con a capo Romualdo Mattia che aveva

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eseguito l’abside, mio padre chiese all’allora vescovo monsignor Franciolini cosa ne pensasse. L’alto prelato acconsentì, ma con la clausola di “non inserire le tessere d’oro” per differenziarla dalla “sua” Via Crucis, alla quale aveva dato con il proprio voto un significato importante del suo percorso ecclesiastico. Questa Via Crucis – nata anche dal suggerimento al vescovo del nome di Severini da parte degli amici Corrado e Marcella Pavolini, cortonesi di cuore e molto vicini ai miei durante la guerra – è stata uno dei lavori più riusciti di mio padre, insieme al grande mosaico del San Marco che sovrasta la valle, ultima sua opera decorativa, e che completa la bellezza del luogo e incoraggia alla lunga salita verso il Santuario di Santa Margherita, con le soste presso ogni stazione del “Cammino della Croce”, come lo chiamano i francesi. Il bel testo del professore Pierangelo Mazzeschi, curatore di questa pubblicazione, illustra e approfondisce la storia di questa città fin dalla sua nascita, facendo crescere il desiderio di visitarla, a lungo e sovente. Romana Severini Brunori


Introduzione

«A me, personalmente, Picasso disse un giorno: “Quando comincio un lavoro vado in una direzione, quando è finito mi accorgo di essere in un’altra, di aver cambiato via per la strada”. C’è sempre nell’opera un elemento che sfugge ad ogni analisi, e quanto mi piace (che ho tendenza anch’io a troppo chiarire i moti istintivi) questo abbandono di Picasso al suo dono creativo, il che del resto non vuol dire affatto rinunzia a prender coscienza del valore di ogni elemento dell’opera» (Gino Severini, La vita di un pittore).

Un fattore che pesa sulla nostra umanità è la mentalità che ci circonda; infatti il dramma dell’uomo contemporaneo è questo: o essere chiuso nei propri schemi e ricattato dai propri progetti, dalla propria misura, e allora la vita è amara, o essere aperto continuamente a un misterioso imprevisto… allora la vita ha un compimento insperato! Questo libro non vuole aggiungere nulla di nuovo a quel tanto e bene che è stato scritto fino ad ora sull’opera di Gino Severini complessivamen-

te, e sull’opera di lui a Cortona, ma vuole semplicemente tornare a riflettere, in questo periodo della nostra storia, su come solo un “interesse” affettivo verso la realtà può rendere acuto lo sguardo e mettere l’uomo nella condizione di generare. Così è accaduto a Gino Severini nel rapporto con la sua città, fino al punto – negli anni della maturità e ultimo approdo artistico – di lasciare a Cortona due capolavori di arte musiva: la Via Crucis, realizzata nel 1944-1946, e il San Marco del 1961. Ciò che viene messo in evidenza è l’assoluto valore artistico ed esistenziale e la contemporaneità di queste opere (ancora sconosciute a molti) portatrici di un grande messaggio di speranza – in un momento di cambiamento d’epoca, come il nostro – collocate come sono nel cuore stesso della città di Cortona e inserite nei punti cardine della grande cultura, carità e spiritualità che fanno di essa una sorta di “Gerusalemme terrestre” ancora oggi; un luogo di speranza e consolazione che

INTRODUZIONE

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rendono vivo il cuore dell’uomo, in un momento così particolarmente difficile e fragile determinato dalla caduta di antiche e stabili certezze. Solo una bellezza che non si difende e non si para dietro al puro dato emozionale ed estetico – come accade a Severini – ma che cerca il cuore dell’uomo, ieri e ancor più oggi, può avere la forza di ristabilire un dialogo vero con tutta la realtà e dare speranza nel presente. Severini, con la sua vita e la sua opera cortonese, è in grado di mostrare all’uomo contemporaneo che è possibile vivere tutto con un significato, se egli si dispone ad aprire le mani, abbandonandosi a un “nuovo annuncio” (quell’abbandono di Picasso al suo dono

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creativo) ossia una realtà imprevista e imprevedibile: «non c’era ed è qui; non poteva esserci e c’è, è presente». A lui questo è successo! Fu espulso a 15 anni dalla Scuola Tecnica, al momento di prendere la licenza. Ha sofferto la fame e il freddo nella Parigi degli inizi del Novecento, la malattia, non è stato immediato il suo debutto nel mondo dell’arte e del corrispettivo mercato, non ha avuto sempre facili e meritate ricompense economiche, ha visto morire due figli… eppure dentro tutte queste vicende non ha perduto la speranza, ossia quella che Maritain definisce la «foi des enfant», e che la tradizione cristiana chiama “povertà dello spirito”.


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