Cortiebrevi muratterra2016

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RACCOLTA DEI RACCONTI FINALISTI DEL PREMIO LETTERARIO NAZIONALE CORTI E BREVI n déi s i è dnhaes ccoos t i v d a sp i ’ i o paa n f a tat e sliatm a o lti lo d s o r t in de lgtrutoaicetlel,e in t od er lt lua vmesrtsiagtioetdrio r a nte r f , B e ntro vdeordsei,envzofceuarrnaialbppilapif.roeDt oi,n o s a m e coan ta nm te r d l i n o piiùte bl ella di s e e e,s p arole ,l e l a c ri m

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PREFAZIONE

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Le mura sono un concetto da sempre presente nella mente umana, che nel corso dei secoli si è insediato stabilmente al suo interno, trasformandosi in una delimitazione ideale oltre che tangibile. C’è chi le considera vantaggiose e confortanti e chi invece le ritiene controproducenti e nocive. Se, d’altronde, ci soffermiamo sul concetto figurato di mura, inevitabilmente siamo indotti a meditare su quanto i confini e i limiti che ci imponiamo possano condizionare la realtà quotidiana di ognuno di noi, migliorando o peggiorando la nostra esistenza. Su questi due punti di vista si basa la prima edizione del Premio Nazionale di Letteratura “CORTIeBREVI”, che si suddivide in due sezioni, -19 anni e +19 anni. Si è chiesto, infatti, ai partecipanti di comporre un racconto breve incentrato sulla libera interpretazione del termine “terra murata” oppure “mura a terra”. I racconti che sono stati ricevuti dalla Segreteria del Premio provengono dai più disparati comuni italiani: da Catania a Ravenna, da Bologna a Bari. Le opere sono state analizzate negli ultimi mesi dalla Giuria Tecnica, composta da personalità inserite in ogni campo del sapere e dell’arte, che hanno potuto quindi esaminare i racconti da molteplici punti di vista. Così facendo la Giuria Tecnica ha selezionato dieci opere finaliste, 5 per ogni sezione, tra cui anche i vincitori del Premio della Giuria Tecnica, uno per categoria. A questo punto entra in gioco la Giuria Popolare, composta da tutti coloro i quali prenderanno parte alla manifestazione MURATTERRA 2016 dal 10 al 12 giugno 2016, che avrà il compito di decretare due vincitori, uno per sezione. I racconti verranno sottoposti al vaglio della Giuria Popolare in modo interattivo e originale. Infatti, le dieci sale del piano nobile del Palazzo Rossetti, in Piazza Annunziata, nella Terra Murata di Arienzo, saranno invase da istallazioni artistiche - basate sui contenuti dei racconti e create da artisti di spicco - che faranno da cornice alle proiezioni multimediali delle letture di ogni opera da parte di personalità cinematografiche e teatrali di fama nazionale e da attori emergenti della Valle di Suèssola. Questa pubblicazione è il frutto di un anno di lavoro e contiene tutto l’iter dell’intero Premio, dai profili della Giuria Tecnica alle opere d’arte ispirate dai racconti, passando per i testi stessi dei racconti finalisti fino ad arrivare ad un CD contenente le tracce audio delle migliori interpretazioni dei racconti brevi. Tutto ciò è stato eseguito e curato in ragione della volontà di unire più forme d’arte per la rivalsa della Terra Murata di Arienzo e per l’abbattimento delle mura dell’incomprensione, della chiusura mentale e del pregiudizio.

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INDICE DEI RACCONTI

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RACCONTI UNDER 19

pag 16/17

La stanza speciale - Vincenza Bergamo

pag 18/19

Le mura a terra rendono liberi - Carmine Ferrara

pag 20/21

Terra murata dentro - Maria Giovanna Lanzillo

pag 22/23

Terra murata: il patrimonio del valore - Claudia Lazzari

pag 24/25

Un cuore murato - Beatrice Lanzillo

RACCONTI OVER 19

pag 28/29

Al di lĂ del muro - Raffaele Piscitelli

pag 30/31

La cuoca - Luana Troncanetti

pag 32/33

La prigione - Gaetano Lo Castro

pag 34/35

Muri di terra sotto la pelle - Giorgio Alfonsi

pag 36/37

Muro e terra - Annarosa Pederzoli

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GIURIA TECNICA


Lorena Battistoni

Laureata in Lettere con indirizzo classico e Materie Letterarie presso l’Università degli Studi di Perugia, è vincitrice di concorso per l’insegnamento di Materie Letterarie e del Latino nella scuola secondaria di primo e secondo grado. Giornalista pubblicista, collabora con riviste in Umbria e nel Lazio. Dirige attualmente la casa editrice “Edizioni dell’Anthurium”, nata nel 2003, della quale è anche fondatrice. Ha al proprio attivo varie pubblicazioni a carattere storico dedicate principalmente alla realtà umbro-laziale e riconoscimenti letterari per opere di narrativa. È consigliera e animatrice dell’Istituto di Studi Sabini.

Lucia Buonadonna

Mario Campagnuolo

Dopo aver conseguito la maturità classica si laurea in discipline archivistiche, si specializza presso l’Archivio di Stato di Roma e in biblioteconomia presso la Biblioteca Vaticana. Si occupa della salvaguardia della memoria ed attualmente è impegnata come libera professionista nella tutela degli archivi e delle biblioteche. Ha gestito l’archivio storico comunale di Bracciano e ha coordinato i lavori per il salvataggio dell’archivio di Anguillara Sabazia, rimasto alluvionato a seguito di un nubifragio. Ha lavorato presso il Centro di documentazione Flamigni, specializzato nella conservazione delle fonti sulla storia del terrorismo e dello stragismo in Italia. Ha allestito mostre documentarie in collaborazione con il Ministero dei Beni Culturali. È esperta di restauro e di descrizione dei manoscritti antichi.

È nato iI 3 novembre del 1937 nella valle in cui s’affacciano le “Forche Caudine”. Ha vissuto e studiato a Napoli, dove ha frequentato la Scuola Militare Nunziatella e nel 1962 si è laureato in Ingegneria Civile Edile. Ha costruito da Torino a Catania, abitazioni, scuole, ospedali, opifici, chiese e villaggi turistici. Da cinquanta anni e sposato can Annamaria Cesaro, che, rigorosa, corregge le sue bozze. Nell’aprile del 2010 ha pubblicato il primo libro della saga, “Come il mare”, e il secondo “Opera dei Pupi” nel nella primavera del 2013. Nel 2015, invece, viene pubblicata una sua raccolta di 11 racconti e un romanzo breve, “E si confonde il mio col tuo respiro”. Ha scritto articoli, racconti, poesie e favole.

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Giuseppe De Alteris

Vive a Torino, dove esercita la professione di libraio. Ha occupato il ruolo di Educatore di neuropsichiatria infantile presso i C.E.M.E.A. del Piemonte. Ha conseguito, inoltre, l’abilitazione all’esercizio della professione di Accompagnatore naturalistico, grazie alla quale ha potuto prestare servizio in diversi Parchi Nazionali, quali quello d’Abruzzo, Lazio e Molise, Parco Nazionale del Gran Paradiso, Parco Regionale la Mandria. Tra le sue passioni “dinamiche” annovera, trekking d’alta quota e nuoto, per quelle più “statiche” la musica jazz, il cinema e le buone letture, soprattutto, fantascienza, saggi storici e biografie.


Paolo Gandolfo

Ha frequentato il liceo classico De Amicis di Imperia ed è laureando in Lingue e Culture dell’Asia e dell’Africa all’università di Torino. È iscritto anche al corso di laurea in Scienze Infermieristiche. I suoi interessi variano dal cinema alla scrittura. Le sue letture preferite spaziano da It di Stephen King a La gallina volante di Paola Mastrocola a Oceano Mare di Alessandro Baricco. La sua più grande aspirazione, però, non è tanto quella di scrivere un libro, ma di pubblicarne uno.

Diego Lama

È autore di libri di architettura come Cemento Romano (2010, Clean Ed.), Storie di cemento (2007, Clean Ed.). Ha fondato e diretto la rivista nazionale di architettura Ventre (1995, Libria; 2004, Cronopio Ed.), è editorialista per il Corriere del Mezzogiorno (Corriere della Sera Campania), è autore del blog Byte di Cemento per Corriere.it/ Corrierelemezzogiorno. it, è stato corrispondente dalla Campania per il Giornale dell’Architettura (Allemandi), della redazione di D’A (Sole24ore) e di 12news. Ha pubblicato tre libri illustrati Città di China (1993, Libria), Cose di China (1992, Libria), Case di china (1991, Libria). Dal 2012 è socio fondatore dell’associazione Made In Earth, un’organizzazione no profit che realizza progetti umanitari nei paesi in via di sviluppo. Nel 2015 vince il Premio Tedeschi con il romanzo “La collera di Napoli”, pubblicato nella collana Il Giallo Mondadori nell’ottobre del 2015.

Franca Romagnoli

Nata a Foligno nel 1951. Dopo aver lavorato per tanti anni nell’azienda di famiglia, nel 1985 si dedica all’arte e all’antiquariato, iscrivendosi così come CTU, Consulente tecnico per l’antiquariato, presso il Tribunale di Perugia. Dal 2007 fa parte del Club Unesco di Foligno in qualità prima di tesoriera ed ora segretaria. Dal 2013 è Presidente dell’International Inner Wheel di Foligno, il ramo femminile del Rotary, la più grande organizzazione femminile di service al mondo. Service che riguardano la Donna, gli anziani, i bambini, i Diritti umani e le droghe.

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Luca Ruggiero

Biologo marino, naviga per lunghi periodi in mare aperto organizzando campagne di avvistamento cetacei; si occupa inoltre di biologia della pesca, l’attività di ricerca scientifica gli permette di scoprire nuove specie in Mar Mediterraneo. L’ istintiva propensione verso un’estetica non convenzionale lo spinge ad interessarsi di fotografia, musica e arti visive: collabora con pittori e fotografi partecipando a mostre collettive di arte contemporanea, presentando lavori di video-arte, ambientazioni sonore ed installazioni; gira videoclip per gruppi musicali indipendenti; lavora a cortometraggi e video di presentazione per mostre di divulgazione scientifica, storia e arte; è tra gli ideatori degli Stirling Bridge Project, progetto sonoro minimale in bilico tra art-rock, lo-fi e musica elettronica, di recente pubblicazione il loro ultimo lavoro “random aware” (2014).


Francesca Schaal Zucchiatti Si è laureata in Scienza Politiche Indirizzo Internazionale a Firenze. Ha lavorato in Francia come giornalista e p.r. alla Camera di Commercio Nice-Cote d’Azur. Per la Camera di Commercio Italiana a Parigi ha scritto e curato saggi sull’immigrazione italiana in Francia. Insegnante, interprete, traduttrice al Centre de Langue et Culture Italienne, oggi vive tra Parigi e Venezia ed è curatrice di mostre e cataloghi d’arte. Collabora con riviste, ha pubblicato diversi racconti e romanzi: Una musica nella notte, Premio Racconti di Donna (Sonzogno Editore, 2001); In un posto qualunque all’ora indicata (Robin Bdv Editore, Roma 2003); Il problema del mese di aprile (Robin Bdv Editore, Roma 2004); La couleur de l’encre (Mokeddem Edition, Paris 2010) tradotto in italiano ne Il colore dell’inchiostro (Morlacchi Editore, 2014).

Stefano Silvieri

Nato a Bologna nel1947 Si trasferisce a Torino nel ’51. Lì vive per circa cinquant’anni, considerandosi sempre in “trasferta”. Ha incominciato a fotografare nel 1960 e a scrivere molto più tardi. Inizia nel 1960 a fare foto con la Zeiss a soffietto del suo babbo, e a scrivere nel 1968 all’epoca delle occupazioni all’Università. Vince alcuni concorsi fotografici e pubblica diverse fotografie, ma non ha mai il coraggio di pubblicare gli scritti. Le prime edizioni sono degli anni ’90, ma si tratta di manoscritti ispirati alla sua professione. Ha pubblicato: Il Riassunto del Babbo (2006), L’Ultimo Sultano di Nishtun (2007), Nadir (2012), e Colofonia (2015), tutti con le Grafiche Amadeo. Ha pubblicato anche numerosi fotolibri di grande successo: ZeroDieci (2008), Ciao (2008), Ancora un minuto (2009), Ahmed (2008), Berenice (2009), Quelli che...(2009), Prima (2010), Kalinka (2011), I Fabbricanti di sogni (2012), Il Fattore 40 (2012), Una notte al Bansky Dvor (2013).

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GIURIA TECNICA

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I RACCONTI DEGLI UNDER 19


LA STANZA SPECIALE

Vincenza Bergamo - (Santa Maria a Vico - CE)

Enzo Marino

Scultura performativa

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Il sentiero che conduceva alla vecchia casa era tortuoso, la salita era faticosa, la mente piena di ricordi, balenò l’immagine di quella casa fredda e nitida, lì ho trascorso la mia infanzia, senza genitori, la vecchia sedia a dondolo era il rifugio di mio fratello, per anni ci siamo nascosti al mondo, per poter stare insieme, quelle mura erano il nostro rifugio, lì eravamo protetti dai “cattivi” che volevano separarci, non avevamo molto per vivere ma il nostro niente ci bastava. Mio fratello si alzava all’alba per andare a raccogliere la frutta, se la giornata era proficua gli davano qualche soldo, spesso tornava a casa con i frutti “imperfetti” quelli che non si vendevano perché le mele marce non le vuole nessuno; e io utilizzavo anche le bucce, intanto mi cibavo degli odori intrisi nell’aria, immaginavo torte preparate da madri affettuose, ogni fetta era una carezza d’amore, che invidia provavo, ma nonostante tutti ero fortunata, vivevo con mio fratello, il fuoco non era riuscito a bruciare l’amore che provavamo, per lui ero la piccolina. Passarono gli anni, crescemmo, gli studi erano stati una parentesi nella nostra vita, per la comunità non dovevamo esistere, ma adesso eravamo entrambi liberi, potevamo avere un lavoro vero, alla legge non interessava più chi eravamo stati; adesso eravamo un uomo e una donna liberi. Mio fratello trovò un lavoro ad entrambi da una vecchina, quanto ho amato quella donna, ha unito la sua solitudine alla nostra, si è presa cura di noi fino all’ultimo respiro, ma lei anche alla fine aveva pensato ai suoi angeli, come amava definirci; ci lasciò la casa in cui vivevamo e il negozio. Adesso camminavamo per le strade del paese a testa alta, ma i nostri ricordi pesavano, quelle mura intrise di fumo contenevano il nostro passato che non volevamo fosse dimenticato, decisi di partire, volevo ritornare lì, mio fratello mi avrebbe raggiunto, quella casa doveva essere messa a nuovo; questo lo dovevo ai miei genitori che ci avevano perso la vita tra quelle mura. I lavori iniziarono alacremente e lì tra i sassi scovammo un posto, sotto un muro crollato trovammo una botola, la aprimmo e apparve un mondo meraviglioso, i libri dei miei genitori, album di foto, avevamo un passato che era riuscito a resistere all’incendio devastante. Era tutto lì! Ogni singolo ricordo, ogni preghiera, desiderio, tutto lì… in una stanza speciale, è così che la chiamammo, la stanza più bella ma anche più misteriosa che potessimo trovare e in quella casa ci sono tornata a vivere, lì ho fatto nascere i miei figli e su quella vecchia sedia a dondolo ho letto i libri della mia vita ai miei nipotini. Oggi quella bambina che ascoltava le storie con gli occhi sgranati è cresciuta e vive in questa casa, la stanza speciale è divenuta la stanza dei miei figli che guardano con un gran sorriso il ritratto della loro bisnonna, e io so che su di loro veglia un angelo particolare, la padrona della stanza speciale.

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LE MURA A TERRA RENDONO LIBERI Carmine Ferrara - (San Felice a Cancello - CE)

Giovanni Balzano Per aspera ad astra

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Ci sono oggetti o meglio strutture che sono sempre esistite, fin dai tempi più antichi, uno tra questi sono le mura. Le mura sono da sempre considerate barriere, elementi di separazione. Le mura dividono qualsiasi cosa in due creando un “al di qua”, dove ci troviamo noi e un “al di là” che viene percepito come irraggiungibile, inesplorato, diverso, sconosciuto. Le mura sono pericolose, devono essere abbattute, devono cadere a terra, in tutti i luoghi, in tutti i modi e in tutti i sensi. Esse non sono solo strutture di cemento che dividono un luogo da un altro, o la nostra proprietà da quella altrui, a possono anche costruirsi tra e intorno agli uomini e rappresentare una metafora del limite umano. Le mura sempre più spesso rappresentano un ostacolo che si interpone tra i rapporti interpersonali o l’insieme di pregiudizi che innalziamo intorno a noi, il più delle volte per autoescluderci da una realtà che ci sta stretta o scomoda e nella quale non ci identifichiamo. Le nostre idee, i nostri pensieri, il nostro essere, spesso si scontrano o si infrangono contro quelle mura, a volte nel desiderio di superarle, a volte nell’impossibilità di abbatterle, altre ancora nella consapevolezza che ciò che si ha davanti è qualcosa che è sì escludente, ma che ci dà anche la percezione di un qualcosa di rassicurante e protettivo. Le mura, sinonimo di oggetto rassicurante e protettivo, tengono gli uomini chiusi in sé stessi, nel proprio io, senza mai mettersi in gioco e cominciare con chi invece è al di là del muro. Al di qua del muro si è protetti perché si è nascosti dai pericoli, ma purtroppo anche da sentimenti: ci si sente sicuri, ma si è anche e soprattutto soli. Quindi se si vuole vivere con la “V” maiuscola non ci resta altro che urlare a voce alta “MURA A TERRA” e iniziare a piangere, a ridere, a sbagliare, ad amare o a pensare senza aver paura di andare al di là del muro.

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TERRA MURATA DENTRO

Maria Giovanna Lanzillo - (Napoli)

Antonio Ciraci

Ma dentro... era tutto grigio

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Camminava, non guardando per terra, ma tenendo gli occhi verso l’alto, verso l’azzurro del cielo, che quel giorno non aveva neanche una nuvola, neanche una. Sembrava uno di quei giorni perfetti per amarsi, ma dentro di sé era tutto grigio, scuro come poche cose al mondo, il suo cuore in quel momento era nero. Camminava, l’unica cosa che gli riusciva bene quando aveva il cuore nero, e gli succedeva spesso; camminava molto, forse troppo, fuori dalla sua Terra murata. Quando era stanco, si fermava, smetteva di guardare per aria, e chiedeva indicazioni su dove fosse, quasi sempre aveva camminato per più di due ore e arrivava in luoghi sconosciuti, dove passava la notte, ospite a casa di gentili famiglie o in piccole pensioni. Certi giorni ripeteva il percorso della volta precedente, e si ritrovava nello stesso posto, senza però farci caso; perché non so se vi è mai capitato ma quando cammini guardando solo il cielo, beh, non fai di certo caso a quello che ti circonda. Così in alcuni di quei paesi molti l’avevano preso in simpatia, faceva tenerezza: un anziano signore con il riporto, magrolino e con gli occhi che sembrava avesse rubato al cielo tanto erano belli, conservati al meglio, nonostante tutto. In giro lo chiamavano begl’occhi, e prima che arrivasse c’era già fermento nell’aria. Nessuno si era mai azzardato a chiedergli come si chiamasse, da dove venisse, e cosa facesse lì, anche perché era raro che guardasse una persona negli occhi, era abituato a camminare, e mentre camminava guardava il cielo, e lo infastidiva guardare cose così piccole e ridotte, gli dava una certa sensazione di chiuso; così tutti si prendevano cura del vagabondo ma nessuno osava parlargli, e lui sembrava muto, non una parola, non un grazie per l’ospitalità, si faceva capire a gesti. Girava voce che era muto, che avesse perso la lingua in guerra, o chissà che forse gliel’avevano tagliata in manicomio… perché forse li era stato rinchiuso, perché forse era pazzo. Erano voci, nient’altro che questo, e nessuno sapeva la verità. Se la teneva dentro, e quel famoso giorno, quello adatto ad amare, la verità era più dura del solito. Era un uomo arso dal rancore e dalla rabbia, un uomo speciale, perché lui aveva la terra murata anche dentro, nel cuore. E per questo guardava il cielo, sperava un giorno di riuscire ad abbatterlo quel muro, e volare. Sua moglie e sua figlia erano morte, per colpa di quel muro, non quello che aveva dentro, ma quello di fuori; erano morte per l’incomunicabilità della loro Terra murata per l’ignoranza della gente. Così aveva deciso di rinchiudere anche sé stesso. Ma tante mura erano scomode, così alla sera quando il suo muro si faceva troppo pesante, camminava e sognava di liberarsi, era una specie di autopunizione, per non essere riuscito ad abbattere quel muro, quel muro che provocava morte, incomunicabilità, tristezza, quel muro che provocava la solitudine di un uomo buono, con gli occhi azzurro cielo.

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TERRA MURATA: IL PATRIMONIO DEL VALORE Claudia Lazzari - San Nicola la Strada (CE)

Paola Adamo Oltre i confini

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Terra Murata, oggi, un confine ideale. Circoscrive il passato e lo contorna di presente. Ad atto pratico è del tutto accessibile: le imponenti mura furono abbattute. E da lì, continue lotte tra progresso e tradizione. Per certi è nucleo, per altri il margine. Una giovane donna invecchiata dal dolore, incapace di scoprire il suo valore. Perché è raro che essa venga definita. È raro che non rappresenti perbenismo o giustificazione. Accessibile dal punto di vista dell’osservazione, impenetrabile dal punto di vista morale. Ricchezza per i ricchi e commiserazione per i disgraziati. È ricerca, ricerca del suo senso. Il senso dell’arte e del patrimonio. La passione, o ciò che evoca. La bellezza di riscoprire il passato, la voglia di poter vivere nel mondo di coloro che secoli addietro camminavano sulle macerie che oggi vengono ammirate. E non ci si chiede mai il perché di quest’ammirazione. Dell’emozione, che proprio i colori i quali si battono per mantenerla viva, spesso non sono capaci di definire il sentimento promotore del proprio interesse. Chi compie la volontà di mantenerla in vita non lo fa per patriottismo tipico del Meridione. In quel caso si limiterebbe ad elogiarla. È l’insoddisfazione che rievoca e reclama, che rende possibile cercare il senso delle cose e poterci arrivare. Da sempre, abbattere i muri è un riconoscimento lodevole e innalzarli un fallace limite. Ma se si riuscisse a scavalcare il luogo comune si capirebbe quanto la conoscenza potrebbe fare la differenza in una questione più morale che artistica. Non che la bellezza dei reperti sia da ridurre a pratiche teoriche. Ma, parlando di propaganda artistica e culturale, il riferimento cade sull’uomo. L’uomo che cerca di convincere che lo studio e la tradizione possano influire positivamente sulla vita del singolo. Insoddisfatto della modernità, nonostante le molteplici possibilità offerte dal presente, rievoca il passato. Perché il fascino dei vicoli, della vegetazione, degli edifici in tufo, degli odori distinguibili del cibo tipico, dei fiori che sbocciano tra rovine in legno di pioppo o tra piastrelle in creta? Perché l’orgoglio per le proprie tradizioni? Perché quest’ansia, questa voglia avida di ottenere sempre il meglio, di spingersi sempre oltre? Terra murata è la vita nella sua forma scarna ed essenziale. È la gente che non ha bisogno di grandi titoli o immensi patrimoni per essere felice. Terra murata è la voce di chi combatte la svalutazione, è una possibilità di riscatto. Ma soprattutto, è libertà di pensiero e di espressione, lontana dalle restrizioni e dagli obblighi imposti indirettamente da ciò che si estende al di fuori delle sue mura. E se la divisione cagionata dalla caduta delle mura ha potuto significare una giusta evoluzione, il recupero della sua bellezza e del suo necessario valore dimostrerebbe che la sua estromissione non è stato svilimento ma pura prevenzione. Terra murata è un punto da cui ripartire.

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UN CUORE MURATO Beatrice Lanzillo - (Napoli)

Vittorio Vanacore Senza titolo

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Sono Germano Ambrosino e sono un procidano. Non sapevo chi fossi realmente, quando la mia vita cambiò completamente. Un giorno di novembre, suonarono alla porta: una bambina in un cesto, con un biglietto. “Ciao, questa è tua figlia Lena. È nata il 27 settembre di quest’anno. Torno in Brasile e qui non verrò più. Hai la tua occasione: spero che Lena ti insegni qualcosa. Rachele” Con gli occhi stretti la guardai: piccola, mulatta, con capelli ricci neri. Arrivò anche Minna, una donnona nera, la mia tata, rimasta con me. Prese la bimba e mi chiese chi fosse. Le allungai il biglietto. Capì come mi sentivo e si allontanò con la bambina. Non avevo ancora realizzato. Ero un uomo freddo, non volevo bene veramente a nessuno, solo forse a Minna. Minna nutrì la bambina, la pose nel suo letto, buttò le bottiglie di alcolici e l’addormentò. Il giorno dopo non riuscii a fare colazione, la bambina mi fissava. Era giovedì e si avvicinava l’unico giorno libero di Minna, quando sarei rimasto solo con Lena. Fu venerdì. Minna se ne andò lasciandomi milioni di raccomandazioni. La misi a letto, subito, ma lei mi fissava, sveglia. La guardai a lungo. Tese le braccine, capii cosa voleva. La presi e la feci volare per tutta la stanza. La tenni in braccio tanto tempo, quando lei spinse il suo faccino come per un bacio: rimasi paralizzato. La posai sul letto e me ne andai. Non ero bravo con i bambini, né con gli altri esseri umani. Passarono molti giorni, mesi, anni, e Lena cresceva. Cominciavo a provare simpatia per quella bambina. La prima volta che andò a mare me la ricordo ancora, le sue paure… Minna era come una madre per Lena, la viziava anche troppo, secondo me. Era ribelle, voleva fare quello che voleva lei, ma era anche dolce ed educata. Vivevamo in una casetta rosa sbiadito, piccola ma comoda nel quartiere di Terra Murata. Avevamo un barchino: “trallallero”, nome scelto da lei. Lo avevamo dipinto verde smeraldo e ci andavamo in giro, sempre. La sua stanza la dipinse coloratissima, un muro blu, uno lilla ed un’altro verde, con tante foto, disegni, scritte. In quella stanza si poteva vedere tutta la sua creatività, la sua simpatica semplicità, ma si leggeva anche la sua insicurezza: al centro c’era un grande dipinto del nostro quartiere, case cinte da mura: la nostra tana! Cresceva bene la mia Lena, alta e con lunghi capelli mossi neri. La sua pelle mulatta non le dava problemi anzi, le dava un ché di misterioso. Ero geloso dei ragazzi che la guardavano. Da uomo che non conosceva il sorriso, la mia vita era ripartita grazie a Lena. Non era stato facile fare il padre, ma poi avevo scoperto tante cose di me. La mia vita ora gira intorno ad un punto fisso: mia figlia, la mia unica ragione di vita. Ho scritto una lettera a Rachele per ringraziarla del bellissimo regalo che mi ha fatto lasciandomi una figlia. Ora, Lena fa la biologa marina e gira il mondo, ma torna sempre a Procida, a Terra Murata dove ha un marito, dei figli ed un padre, che aspettano solo lei. 25



I RACCONTI DEGLI OVER 19


AL DI LA’ DEL MURO

Raffaele Piscitelli - (Santa Maria a Vico - CE)

Giovanna Donnarumma La svolta

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Che casino incredibile. Non ho mai visto qualcosa del genere in tutta la mia vita. Stasera si sta scrivendo la storia, Judith. Una storia bella, una storia sofferta, una storia sorprendente. Intorno a me vedo volti gioiosi e sconvolti al tempo stesso. Occhi estasiati, occhi increduli, occhi frenetici. Persone che s’affannano a raggiungervi dall’altro lato, come se non ci fossero rischi, come se nessun pericolo valesse il prezzo di affacciarsi sulla libertà. Che bella la libertà, eh?! Quella per cui anche noi ci siamo spesi. Quella per cui ti batteresti ancora col mondo intero. Perfino con me. Non sai quante volte ho immaginato i nostri litigi. Quante costruzioni fantasiose, quanti artifici mentali ho dovuto inventare per dare un senso a questi anni vuoti ed apatici, riempiti soltanto dai ricordi che ho cercato di tener vivi per non sbiadirti. Non ho lasciato passare un giorno senza riprodurre la tua voce in loop. La voce che spesso trascuravo, mandandoti su tutte le furie, anche quando sarebbe bastata una risposta monosillabica per rasserenarti. “Non è giusto, è come se parlassi col muro!”, dicevi. Ti sembrerà buffo, ma con quel muro ho dovuto parlarci anch’io. Troppe volte. E ho capito cosa significa vedere le proprie parole rimbalzare tra una parete e l’altra, senza che nessuno le raccolga, senza che nessuno ne faccia tesoro. Ho capito che il silenzio può creare distanze, innalzare barriere, alimentare le incomprensioni. E così, inevitabilmente, cambia il corso degli eventi. Mi vien da ridere se penso che anche stasera, per uno scherzo del destino, potrebbe essere stata proprio un’incomprensione ad aver segnato la svolta. Decine di migliaia di persone, ormai decise a lanciare il cuore – e se stesse - oltre l’ostacolo, potrebbero aver mal interpretato le parole di Schabowski. Cosa intendesse dire davvero, nessuno lo sa. Nemmeno gli stessi soldati, che sembrano sempre più disorientati, confusi, impauriti. Io, invece, sono emozionato. Penso al tempo che è passato e mi sembra impossibile avercela fatta, senza di te. Penso alla vita che non ho vissuto, cristallizzata nella speranza che tutto potesse ritornare alla normalità, prima o poi. E ora che sto toccando con mano questa speranza, ora che inaspettatamente posso liberarmi da questa agonia, quasi non mi sembra vero. Non mi sembra vero che al di là di quel muro mastodontico, nella Berlino più bella di sempre, potresti esserci tu ad accogliermi in un abbraccio. Giuro che se davvero fosse così, dimenticherei ogni altra cosa. Le urla, le lacrime, la folla. Tutto, tra le tue braccia, passerebbe in secondo piano. Perché è questa, in fondo, la meraviglia: sotto una storia immensa ce ne sono tantissime altre. Sono le storie di ognuno di noi, piccole, diverse, distinte. Ognuna con una propria logica, con i propri ritmi, coi propri protagonisti. E allora adesso tocca a noi, finalmente. Tocca a noi riprenderci la nostra storia. Tocca a noi abbattere i nostri muri.

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LA CUOCA

Luana Troncanetti - (Roma)

Enzo Treppiccione

Nel giardino del mago

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Nunzia scruta gli occhi azzurri di sua figlia, le sopracciglia sottili e i capelli luminosi da straniera in quella scura terra murata. La ragazza le riconsegna lo sguardo senza una parola. Si fissano, il vento rincorre le nuvole e quelle si sciolgono rapide nel blu per non farsi acchiappare. A dirle che era femmina è stata la levatrice del paese, quella lunga notte di maggio in cui Benedetta ha squarciato le sue robuste cosce da contadina. A occhi chiusi, con i denti conficcati nelle labbra per non urlare e una preghiera muta alla Madonna che la guardava partorire poco sopra la testiera del letto. La piccola esplodeva nel suo grembo, un fiore biondo che si ribellava a pugni e calci ed è spuntato fuori sporcando l’alba di grida e le lenzuola di rosso. “Una femmina, peccato…”, ha mormorato la levatrice asciugandosi la fronte come se quella notte fosse già agosto. Invece nell’aria era appena comparso il profumo delle zagare. “La voglio vedere” ha sospirato forte Nunzia prima di perdere di nuovo il fiato. Un dolore brutale nel ventre, il secondo parto della placenta. “Tira fuori quello che devi. Poi la vedi.” Gli ordini secchi della mammana, che quella mattina aveva raccolto segala per i campi; un’erba che uccide i bambini fra dolori atroci, gli stessi che servono per nascere. Il rimedio per i figli sbagliati: quelli degli stupri dei soldati, quelli della colpa. Nunzia l’ha voluta tenere la figlia di quel tedesco vigliacco e disertore. “A…aiutami. Io no guerra. No…buum!”, poche parole e spavento negli occhi. Più giovane di lei e di quel marito mai amato morto in Russia. Nascosto per poche settimane in casa sua, a divorare un niente di cibo e il letto, un fulmine d’amore altissimo subito dopo precipitato. A cadere da certe quote non ci si salva mai. È caduto, lui. Inseguito e poi fucilato alle spalle. Meine liebe, l’ultimo sussurro del vile per la puttana che lo stava proteggendo. Hanno quasi ammazzato di botte anche Nunzia. È morta solo di vergogna, viva ancora lei e quella cosa sbagliata nella pancia. Si è alzata da terra a fatica, inciampando più volte a faccia in giù. Attorno a lei mura di pietra, di parole, di sguardi, di disprezzo. Terra murata dal peggio del mondo, a fare da soffitto le scie degli aerei nemici. I segni in cielo adesso non ci sono più, i muri sono rimasti. Benedetta rimane zitta, come quando sua madre continuava a gridarle perché perdesse tanto sangue dalle cosce. Ma alla fine un nome l’ha fatto. Nunzia sputa su un fazzoletto, per pulirle la faccia come da bambina. Strofina il vetro della fotografia, sistema piano i fiori, spolvera la croce. Non può risponderle Benedetta Ferrisi, di anni sedici, 1944 – 1960. Stuprata a morte dal sindaco del paese, l’uomo rispettabile a cui Nunzia fa da serva e da mangiare. La mammana conosce molte erbe per uccidere, non solo i bambini. Quel porco muore lentamente a ogni pasto e non lo sa, Nunzia è una cuoca favolosa. Statti cueta, figghia mia. Chiddu l’avi a pa’ari e ci la fazzu pa’ari iu. 31


LA PRIGIONE

Gaetano Lo Castro - (Fiumefreddo di Sicilia - CT)

“...e la verità vi farà liberi.” Giovanni (8, 32)

Donato Ruggiero Ingombro

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C’è qualcuno che m’ascolta?! C’è qualcuno che ascolta la mia voce? O è il mio pensiero? Non so nemmeno questo. Non so se sto gridando, o sto pensando. L’unica certezza che ho è d’esistere. Tutto il resto è avvolto in un nebbioso dubbio. Io. Per me questo concetto costituisce quanto di più indefinibile e inconoscibile ci sia. Se dico (o penso?) io senza badarci, senza soffermarmici, questa piccola unità è come un minuscolo atomo: semplice, solido, stabile. Ma se mi azzardo a puntare su di esso la mia attenzione, se tento di scrutarlo per metterlo ben a fuoco, ecco che questo microscopico atomo, banale e insignificante, s’espande fino a diventare un macroscopico universo, sconosciuto e misterioso. La piccola unità nota e indivisibile si è dilatata vertiginosamente in uno spazio immane, si è frantumata in un formicolio di energie incontrollabili e di particelle inafferrabili. E allora arretro, per non precipitarci dentro, da questo ignoto e profondo abisso. Sono recluso in un luogo misero, remoto, solitario. Sono rinchiuso in una ristretta e robusta prigione. Non so se sia la cella di un carcere, la segreta di un castello, la camera di un manicomio, o altro. E’ un posto molto strano. Ho la forte sensazione che sia falso. Come se fosse fatto di poveri paraventi, di appariscenti scenografie. Ma io immagino che ne debba esistere uno vero e assoluto, abitato da esseri liberi, completi, consapevoli, che vivono una vita ricca e luminosa. Il luogo da cui forse io provengo, e a cui forse un giorno io tornerò. Questa mia intuizione scaturisce da certe sensazioni anomale che a volte avverto. Infatti percepisco movimenti, odo suoni, vedo luci che niente hanno a che fare con questa prigione. Sono come degli spizzichi di movimenti, degli spiragli di suoni, degli spifferi di luce che sembrano provenire da un posto al di là di questo. Ma forse sono solo mie suggestioni. C’è un interrogativo che sempre più spesso mi rivolgo. Quanto ancora dovrò rimanere qui? E, non so perché, si va sempre più consolidando la consolante impressione che non debba mancare molto ormai alla conclusione della mia reclusione. E questa impressione, non so come, se ne trascina dietro un’altra, la quale mi fa intravedere i motivi per cui mi trovo qui. Si tratta d’un insieme di cause e di scopi molto vari e vaghi: una colpa da espiare, un debito da pagare, un’energia negativa da dissipare, un compito da assolvere, un’esperienza da sperimentare, una conoscenza da acquisire, una meta da raggiungere. Ma è probabile che tutti questi non siano altro che i diversi aspetti d’un qualcosa di unico. Qualcosa che va oltre la mia capacità di comprensione. Comunque sono soltanto oscure impressioni. Sento il bisogno di trasmettere questi miei pensieri-parole a qualche altro prigioniero, e vorrei ricevere i suoi. Mi rivolgo quindi a chiunque sia in grado di percepire il mio messaggio. Se c’è qualcuno che m’ascolta, se può e se vuole, mi risponda.

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MURI DI TERRA SOTTO LA PELLE Giorgio Alfonsi - (Bracciano - Roma)

Nicola Villano Mura di terra

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Prima parla, poi urla, e alla fine agisce d’istinto. È per questo che mi tocca correre in fretta, per nascondermi dalle sue parole, e dal suo istinto. Non che debba arrivare poi troppo lontano, il posto dove mi vado a rintanare non esiste lo so, non sono stupido, però ha mura alte fatte di terra; le ho tirate su io come facevo prima, quando ero felice per davvero e la terra la bagnavo con l’acqua del tubo in giardino per costruirci i castelli. Erano di terra pure loro e sognavo di poterci entrare prima o poi, e sotto il sole di innumerevoli estati avrei girato per gli stretti corridoi dietro le mura di cinta, in un infinito camminare. Lui non sa dove vado, non gliel’ho mai detto, nemmeno quando quella sua rabbia cerca di raggiungermi in ogni modo. Dietro al muro non è che tutto sparisca, resta solo dall’altra parte; io non vorrei sentire ma appoggio lo stesso l’orecchio alla parete per ascoltare, perché dall’altra parte anche se non posso vederlo c’è lui, e anche dell’altro, dell’altro molto più brutto. Qualcuno mi dice che dovrei farmi uomo presto o tardi, se non per me almeno per quelli che amo, io non lo so cosa vogliano dire con le loro parole e quando mi serve me ne scappo dietro al muro, lo so che non esiste veramente ma io me la ricordo la terra vera, ed è la stessa cosa tirar su un castello oppure un muro con quella, l’unica differenza è dove e perché, io so come si fa. Mi sono distratto troppo pensando alle mie cose e lui ha finito di parlare e adesso è arrivato il turno dell’istinto; mi becca in pieno e mi lascio scappare un singhiozzo, i piagnistei non li sopporta e quando non sopporta una cosa gli prende il matto. Sento il sapore caldo in bocca e allora mi preparo meglio, al secondo sono al sicuro e non uscirà più nessun suono da me, almeno finché non sarà tutto finito. La camera perde di consistenza e tutto si allontana, è una cosa che non so spiegarmi bene, tutto si allontana, forse perché sto scappando. Lei la sento piangere nella sua stanza ma so che non verrà, non può venire ed è meglio così per entrambi. Io sono al sicuro dietro al mio muro di terra sotto la pelle, e forse non sono un uomo come tutti vorrebbero ma vorrei vederli a loro, a fare i conti con l’istinto che ancora non lo capisco se sia giusto o sbagliato, io non so niente perché quando mi serve me ne scappo dietro al muro. Una volta al riparo posso mettermi a pensare ad altro, dietro alle cose ci sono i ricordi e li posso scegliere con cura e allora sorrido un poco e non sento più il dolore; i ricordi non sono fatti solo di rabbia e istinto in fondo, cerco sempre di ricordarmelo, anche se è difficile quando la testa pare esploderti e hai il sapore di metallo in bocca. Devo starmene zitto, la poca soddisfazione lo sfianca sempre, mi lascerà in pace e solo dopo, quando se ne sarà andato, arriverà lei con del ghiaccio e altre parole, parole buone a cui non riuscirò a credere fino in fondo, e forse nemmeno lei. Magari un giorno ci porto anche lei dietro al mio muro di terra.

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MURO E TERRA

Anna Pederzoli - (Ravenna)

Maria Gagliardi Senza titolo

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La mia anima è murata. La mia lingua impastata di cemento. Osservo scorrere sulle vite e i volti degli altri. Con la mia non sono capace, dovrei guardarmi dal di fuori, invece sono intrappolata dentro di me. Vedo i miei genitori farsi più curvi e fragili, ma restare ancorati alle loro abitudini. Sgridano Laura, mentre durante il pranzo domenicale, si distrae con il tablet. Lei fa spallucce, lo mette via per alcuni minuti e poi riprende le sue attività. Le vorrei sorridere per dimostrarle la mia solidarietà, ma non farebbe alcuna differenza. Guardo Franco seduto accanto a me; mio amore, sposo, compagno dei giorni e delle notti,spettatore del mio essere adolescente e poi donna. Ha i capelli ingrigiti, alcune linee gli seg nano il viso e sotto gli occhi ombre scure.Ha realizzato il sogno di aprire un’officina meccanica, ma al prezzo di un lavoro che lo assorbe interamente. Per quanto riguarda me, invece, ho scelto la mia vita oppure non avrei potuto fare altrimenti? Diploma, fidanzamento, luna di miele sulla dolce costa tunisina,gravidanza e Laura. I compleanni, gli anniversari, il natale,le ferie ad agosto nella solita località al mare. Preparare la colazione, fare la spesa,quattro chiacchiere al volo e intanto tutto si è cristallizzato nelle consuetudini, nella quotidianità. L’unica che vive di istinti, d’umori, è Laura. La guardo fiorire,agitarsi,sbuffare e sognare,lei non è ancora murata,ma qui che farà? Il diploma, poi il fidanzamento, la luna di miele e i figli? Ripercorrerà i miei passi,gli stessi di mia madre? Camminerà nelle stesse strade passando accanto a identiche mura? A volte la vorrei scuotere e dirle che può avere di più, ma cosa? La prima sigaretta, il primo bacio, la prima delusione d’amore, hanno sempre lo stesso identico sapore, ovunque. Tutto scorre, ma nulla cambia nell’animo umano. Ti sistemi i capelli, trucchi gli occhi, dipingi le unghie, indossi i leggins alla moda comprati nello stesso centro commerciale con tua figlia, nelle rare occasioni in cui ti concede la sua compagnia. Cerchi lo sguardo di tuo marito, come tua figlia quello del ragazzetto che le piace,con lo stesso battito del cuore,il medesimo timore di non piacere. Nulla è cambiato nonostante le lotte, le ribellioni, i tatuaggi e i piercing, le discoteche, facebook, twitter, whatsapp. Sei diventata adulta,certa di poter gestire la tua sessualità, ma quel fremito per uno sguardo mancato, per un “ti amo” non detto,per un complimento non pronunciato e il suono di un messaggio sul cellulare dell’uomo che ami, ad un’ora inconsueta, ti paralizzano sempre. E le mura che ti hanno sostenuta, abbracciata, paiono sgretolarsi. Muro: fondamento e separazione allo stesso tempo. E ti senti cadere e temi che la vertigine non finirà mai e invece la terra arresta la tua caduta,la terra con la sua consistenza, il suo odore e sapore. La terra che ci sostiene durante la vita e ci accoglie dopo, oltre, sempre. E allora per sopravvivere, muri dentro di te le parole, le lacrime, scegli di conservare la parte delle vostre mura che non si è ancora sbriciolata. 37


A PP U N T I e D I S E GN I


A P PU N T I e D I S E GN I


A PP U N T I e D I S E GN I


A P PU N T I e D I S E GN I


MURATTERRA Genesi

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La prima edizione della manifestazione culturale MURATTERRA si svolse nel settembre del 1993. L’esperienza proseguì anche per i due anni successivi, animando i vicoli del centro storico di Arienzo, in provincia di Caserta, che salì alla ribalta nazionale per una serie di eventi unici nel loro genere. Le estemporanee di architettura, scultura e pittura, gli incontri di arte enogastronomica comparata, la competizione di immaginazione applicata “Del Bel Sedere” per la realizzazione di panchine votate e collaudate dalla giuria popolare e il concorso nazionale di architettura “C’era una Volta la Casa a Botte” sono ancora nella memoria dei numerosi visitatori, che impararono a conoscere ed apprezzare Arienzo e la sua Terra Murata. L’esperienza di MURATTERRA si concluse improvvisamente, così com’era cominciata, prima che la Terra Murata potesse approfittare della spinta di notorietà ricevuta in quei momenti di accelerazione, evitando di ripiombare nell’immobilità che ancora oggi la tiene imprigionata. Dopo più di vent’anni, c’è chi ha creduto possibile, addirittura indispensabile, che MURATTERRA riaccendesse i riflettori sulla Terra Murata, ravvivata dall’impegno di alcuni degli organizzatori delle prime edizioni, nel confronto creativo con più giovani promotori. E’ nata così l’Associazione Culturale “MURATTERRA”, le cui iniziative si ispirano agli stessi principi di confronto culturale, interdisciplinarietà, promozione turistica, tolleranza e comunicazione che hanno generato le attività precedenti. In un momento storico particolarmente difficile per la popolazione del nostro territorio, aggredita dai catastrofici eventi meteorici ma risollevatasi con la grande dignità che la contraddistingue, l’attività della nostra Associazione potrebbe sembrare sospesa, annullata dalle maggiori preoccupazioni. Invece il nostro impegno è sempre vivo, costantemente rivolto alla valorizzazione di una terra piena di risorse inespresse e troppo spesso mortificate dagli avvenimenti, ma anche dall’indifferenza o, peggio ancora, dagli interessi personali. Siccome siamo fermamente convinti che la Valle di Suèssola possieda tutte le qualità necessarie per proporsi senza timore di confronti alla ribalta del panorama nazionale, sia in termini culturali sia in termini turistici e gastronomici, vogliamo provare ancora una volta a far scomparire i muri che la nascondono agli occhi dei potenziali visitatori, per farla scoprire in tutta la sua completa e incomparabile bellezza. L’attività dell’Associazione è condotta da cinque gruppi creativi: CORTIeBREVI , PICCOLIeVICOLI, SapoRUOTE, TUTTIgiùperTERRA, ARTIeBASSI . 43


MURATTERRA

Gli altri gruppi creativi

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Bambini di oggi e Giochi di ieri

Il gruppo creativo PICCOLIeVICOLI si interessa delle cose senza età, perché nate con l’uomo. Sono quelle piccole, grandi meraviglie che incantano, che scatenano l’allegria, che smuovono i sensi, che offrono – oltre alla gioiosa vittoria o all’accettata sconfitta – quella spensieratezza, quelle emozioni, quei sorrisi di soddisfazione riscontrabili solo nelle persone felici. Sono i giochi che, appunto, non hanno età, perché nati come un bisogno insopprimibile di ogni persona, dalla più tenera età a quella adulta. A seguito di un’attenta ricerca sulle attività ludiche che accompagnavano l’infanzia dei nostri nonni - praticate fino all’inesorabile diffusione della televisione, dei videogiochi e dei famigerati telefonini - il gruppo ha deciso di custodire le testimonianze raccolte in una serie di filmati dei videomaker Fulvio De Lucia. Nel corso delle manifestazioni, oltre a numerosi laboratori creativi, si organizza un’originale competizione sui giochi del passato, con squadre composte da un bambino (max 10 anni) e da un adulto (min 60 anni).

Cibo da strada

Lo spirito che anima il progetto SapoRUOTE nasce dall’idea di riportare in scena i sapori di una volta sul palcoscenico della Terra Murata di Arienzo. L’aspetto enogastronomico prende la forma del tipico cibo da strada che è per definizione “in movimento” ed in quanto tale cammina “su ruote”. L’obiettivo principale è quello di far conoscere il territorio della Valle di Suèssola e le sue tradizioni oltre i confini valligiani, oltre le “mura” di questa terra. Il cibo rappresenta da sempre un momento di convivialità, ma anche di condivisione. E’ spesso a tavola che si discute di scelte importanti, a tavola la famiglia si riunisce e condivide le esperienze della giornata. Il cibo insomma non solo è indispensabile al sostentamento ma è anche un momento per confrontarsi, discutere, proporre, ascoltare, ridere, scherzare. E’ per questo che, con la valorizzazione dell’aspetto culinario, è possibile congiungere la tradizione all’innovazione e dare a tutti l’opportunità di riscoprire alcune ricette tradizionali e di consumarle come si faceva una volta, per strada.

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In particolare, sono state individuate alcune aziende che rappresentano il meglio che la produzione locale può offrire. E’ per questo che i prodotti delle attività enogastronomiche selezionate sono stati appositamente contrassegnati con il marchio “D.O.M. (Denominazione di Origine Muratterra)”. Simboli del cibo da strada di qualità la “pizza a portafoglio” e il “panino gourmet” sono stati reinventati per i visitatori della manifestazione, caratterizzandoli con la ricercatezza degli ingredienti propri della tradizione locale, come gli ortaggi provenienti dai terreni della Valle di Suèssola e il famoso “pane di San Felice”.

Musica e Spettacoli

Sul palco allestito nella Piazzetta Pozzo della Terra il gruppo TUTTIgiùperTERRA propone concerti e spettacoli originali. Nei cortili e nei giardini della Terra Murata si esibiscono noti musicisti e artisti alle prime armi. In collaborazione con lo SMAV di Santa Maria a Vico, nei vicoli risuona, con l’ausilio di una “filodiffusione di tipo artigianale”, la musica che caratterizza la stagione dei concerti nell’ormai storico locale di ritrovo. Ogni evento viene trasmesso in diretta streaming al link: http:// www.muratterra.it/live/ .

Mostra Mercato di artigianato d’eccellenza Estemporanee di Arte Applicata

ARTIeBASSI organizza con cadenza periodica una Mostra Mercato di artigianato di eccellenza fino a rendere concreta la possibilità che le attività selezionate possano in futuro insediarsi stabilmente nella Terra Murata, in modo da realizzare un Borgo Artigianale di qualità, in grado di attirare il turismo e gli investimenti immobiliari. 46


In occasione dell’evento, gli artigiani vengono collocati in altrettanti locali terranei, segnalati da una targhetta in vetro sabbiato contenente il numero civico personalizzato con il logo dell’Associazione e illuminati da un’originale lampada che segnala lo sviluppo del percorso espositivo. Le opere e i manufatti eseguiti per l’occasione dai soggetti selezionati secondo criteri qualitativi e di competenza vengono inserite non in un pittoresco “mercatino”, ma in un vero e proprio luogo di confronto/produzione/vendita/scambio, nel quale, tra le antiche pietre che testimoniano la millenaria storia di Arienzo, è possibile realizzare la graduale scoperta di alcune tra le principali eccellenze dei maestri dell’artigianato campano. L’obiettivo di rivitalizzare Via Annunziata e i vicoli ad essa afferenti, che versano da anni in completo stato di incuria ed abbandono si deve inoltre inevitabilmente affidare anche alla collaborazione dei residenti che danno il loro contributo mettendo a disposizione dell’evento alcuni tra gli spazi più suggestivi del borgo.

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RINGRAZIAMENTI

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Prefazione a cura di: Albina Ruggiero Gruppo operativo “CORTIeBREVI�: Gaia Campagnuolo, Giuseppe Martone, Rosaria Piscitelli, Carmine Crisci Coordinamento degli allestimenti artistici: Maddalena Sardellino Montaggio video: Fulvio De Lucia Segreteria del Premio: Gaia Campagnuolo, Giuseppe Martone SI RINGRAZIA PER LA COLLABORAZIONE: Maria Clotilde e Guglielmina Rossetti Vincenzo, Gennaro e Nicola Cioffi Il collettivo artistico P.I.P.P.E. (Nuntia Ambrosino, Katia Tuccillo, Matteo Piscitelli, Alfonso Sgambato) Antonio Friello Beatrice Crisci Grazia Sgueglia Alberto Tizzone Alberto Guarriello Mimmo Campagnuolo Daniela Morgillo Le Suore Angeliche di Arienzo Il Liceo DON GNOCCHI di Maddaloni


CD audio

i dieci racconti selezionati, letti da:

Piera Russo Katia Tuccillo Matteo Piscitelli Tony Laudadio Franco Javarone Giuseppe Cantore Nuntia Ambrosino Antonio Friello Alfonso Sgambato Maria Lauria

01 - La stanza speciale 02 - Le mura a terra rendono liberi 03 - Terra murata dentro 04 - Terra murata: il patrimonio del valore 05 - Un cuore murato 06 - Al di lĂ del muro 07 - La cuoca 08 - La prigione 09 - Muri di terra sotto la pelle 10 - Muro e terra

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RACCOLTA DEI RACCONTI FINALISTI DEL PREMIO NAZIONALE CORTI e BREVI Arienzo (CE) giugno 2016


segnali.com

Ag. Gino Lorenzo Morgillo ¡ Mario De Rosa

Agenzia di Maddaloni Via Napoli, 196 - T. 0823 405880


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