Fronte della Gioventù Comunista - Commissione Scuola -
Che cos’è l’INVALSI. L’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema educativo di Istruzione e di formazione (INVALSI) è un ente pubblico di ricerca che dal 2004 gestisce il Sistema Nazionale di Valutazione. L’INVALSI somministra una serie di test nelle scuole italiane, con lo scopo dichiarato di “monitorare” la qualità dell’istruzione e degli insegnamenti in tutto il territorio nazionale. Dall’anno scolastico 2010/2011, l’INVALSI somministra dei test anche nelle classi seconde delle scuole superiori; da anni si parla di introdurre una prova anche per i maturandi (sotto forma di “quarta prova” o in sostituzione alla terza prova), ma il progetto viene rimandato di anno in anno. Mentre il sistema scolastico italiano verte in condizioni economiche disastrose, privo di interventi significativi per il diritto allo studio o l’edilizia scolastica, all’INVALSI vengono destinati ogni anno milioni di euro. Nel triennio 2013/2014/2015 sono stati spesi ben 42 milioni per le sperimentazioni (14 milioni all’anno). La riforma della scuola di Renzi (la c.d. “buona scuola”), approvata nel luglio 2015, ha stanziato a favore dell’INVALSI 8 milioni all’anno “al fine di potenziare il sistema di valutazione delle scuole” (legge 107/2015, art. 1 comma 144).
Il progetto dietro i test: cosa sta accadendo? Il fatto che lo Stato effettui un monitoraggio del sistema scolastico, valutando le scuole, non è di per sé negativo. Il problema è che questo dovrebbe avvenire con l’intento di sostenere il sistema di istruzione statale e garantire un’istruzione di qualità in tutte le scuole italiane, intervenendo laddove serve con gli investimenti opportuni (formazione dei docenti, laboratori e strutture didattiche, ecc.). I test INVALSI, al contrario, rispondono a logiche ben diverse e sono un importante tassello del progetto di smantellamento della scuola statale che i governi di centro-destra e centro-sinistra portano avanti. Da tempo, anche a causa delle pressioni dell’Unione Europea, si cerca di promuovere l’idea che le imprese private debbano sostituirsi allo Stato nel finanziamento delle scuole. La “buona scuola” di Renzi, introducendo sgravi fiscali (il famoso “school bonus”) per le imprese che erogano denaro alle scuole, compie un passaggio importante in questa direzione realizzando ciò che neanche Berlusconi era riuscito a fare. Tutto ciò avviene nel contesto delle politiche di austerità imposte dalla troika: dal 2008 ad oggi sono stati tagliati dal finanziamento del sistema scolastico più di 20 miliardi, soldi utilizzati per salvare i profitti di banche e grandi imprese, per pagare gli interessi sul debito pubblico o per spese militari. È a questo punto che si afferma la “necessità” di ripensare i criteri con cui i pochi fondi pubblici ancora disponibili saranno erogati alle scuole. L’idea che i governi da tempo cercano di imporre è che i pochi fondi rimasti debbano essere ripartiti secondo un criterio di “merito”, vale a dire secondo una logica fintamente meritocratica che “premia” le scuole migliori con i finanziamenti pubblici, un po’ come avviene negli Stati Uniti (tristemente famosi per il sistema scolastico ingiusto e classista). A questo servono i test INVALSI: stilare graduatorie che differenziano le scuole “di serie A” da quelle “di serie B”, le prime meritevoli dei finanziamenti statali, le seconde destinate a sprofondare ancora di più senza il sostegno dello Stato. Questa intenzione viene confermata da una serie di sperimentazioni già realizzate e da alcune affermazioni dei governi.
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Differenziare i finanziamenti alle scuole… La prima conferma del progetto che si cela dietro i test INVALSI è giunta nel 2010, anno in cui il MIUR e l’INVALSI hanno avviato il progetto sperimentale VSQ (Valutazione per lo Sviluppo della Qualità delle scuole). Questo progetto prevedeva un premio per le scuole comprese nel primo 25% delle graduatorie regionali. Nel 2011 il progetto ha coinvolto 77 scuole e prevedeva un premio di 35.000€. Nel 2013 il progetto coinvolse 74 scuole, e il 25% delle “migliori” ricevette un premio di ben 65.000€ per il primo 25%. È importante sottolineare come fra queste scuole vi siano anche scuole paritarie: come se non bastasse, il “premio” diventa l’ennesimo stratagemma per finanziare le scuole private con fondi pubblici. La riforma del Governo Renzi ha imposto una brusca accelerazione al processo di “aziendalizzazione” della scuola pubblica. Molti aspetti del progetto iniziale della “buona scuola” sono stati poi attenuati, ma il materiale preparatorio alla riforma resta una chiara testimonianza dell’obiettivo finale a cui si vuole arrivare. Il 3 settembre 2014 il Governo pubblicava il documento “la buona scuola”, che illustrava le linee guida del progetto di riforma che sarebbe approdato in parlamento sei mesi dopo. Nel capitolo sui finanziamenti pubblici alle scuole si parlava, fra le altre cose, di vincolare i finanziamenti pubblici alle scuole “all’effettivo miglioramento dei singoli istituti e al merito di chi lavora per produrlo”. Per capire cosa si nasconde dietro questa retorica del premiare il merito basta leggere più avanti. A pag 121 dello stesso documento si legge “[…] non possiamo infatti permetterci di mantenere il criterio dimensionale (quantità di studenti e organico) come unico indicatore per quantificare e allocare le risorse destinate alle scuole”. In altre parole, il progetto iniziale della riforma di Renzi prevedeva proprio l’introduzione in via definitiva e strutturale di ciò che finora è stato fatto solo a livello sperimentale: la differenziazione dei finanziamenti alle scuole in base alla loro posizione in graduatoria, secondo una logica di finta “meritocrazia” che in realtà premia le scuole “di serie A” e abbandona a sé stesse quelle “di serie B” su cui invece sarebbe necessario intervenire. Una sorta di Robin Hood al contrario, che acuisce il divario già esistente e in crescita fra le scuole prestigiose e le “scuole-pollaio” di periferia, e che purtroppo resta nell’agenda dei governi. È significativo, ad esempio, che il Portale unico dei dati sulla scuola, istituito con la riforma di Renzi, debba pubblicare “i dati pubblici afferenti al Sistema nazionale di valutazione” (art 137 della legge 107/2015), confermando di essere destinato, più che alla trasparenza come si vorrebbe far credere, alla registrazione e pubblicazione di graduatorie e classifiche risultanti dalla competizione fra le scuole e gli insegnanti. Tutto questo viene giustificato facendo appello alla necessità di incrementare la “competitività” delle scuole italiane. Con questo slogan (tutto “europeo”) in realtà si tenta di compiere l’ennesimo passo verso l’aziendalizzazione della scuola italiana. Si cerca di imporre sempre di più una logica di mercato che vede nella competizione fra le scuole e fra i “presidi-manager” uno stimolo al miglioramento, quando in realtà si tratterà di una lotta fratricida fra le scuole per accaparrarsi le poche briciole che restano dei fondi pubblici per il funzionamento delle scuole.
…e gli stipendi degli insegnanti Sull’onda della retorica del “merito” e della crescente aziendalizzazione delle scuole, si fa strada l’idea di differenziare il trattamento economico degli insegnanti. I progetti sperimentali “Valorizza” dell’INVALSI, condotti parallelamente al già citato VSQ, assegnavano agli insegnanti più “meritevoli” delle scuola coinvolte un incentivo economico pari allo stipendio lordo di un mese!
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La “buona scuola” ha introdotto un bonus salariale che il Dirigente Scolastico può assegnare agli insegnanti “meritevoli” in base ai criteri del comitato di valutazione dei docenti (introdotto dall’art 129 della riforma), ma il progetto iniziale parlava addirittura di “far uscire i docenti dal grigiore dei trattamenti indifferenziati”, introducendo aumenti di stipendio in base al merito in sostituzione di quelli per anzianità. Al di là della valutazione interna alla scuola, le graduatorie INVALSI pongono teoricamente le basi anche per una differenziazione delle retribuzioni degli insegnanti in base ai risultati che i loro studenti conseguono nei test. Ad oggi non è chiaro il ruolo che avranno le prove INVALSI in uno scenario di questo tipo, tuttavia la competizione fra gli insegnanti, incoraggiata dai presidi, è già una realtà. Ma cosa c’entra tutto questo con gli studenti? Pensando a certi insegnanti con cui tutti abbiamo a che fare, si potrebbe quasi pensare che proseguire su questa strada sia giusto. Non siamo contrari per principio a una forma di valutazione degli insegnanti, ma in questo caso le questioni essenziali sono due: chi e con quali modalità partecipa a questa valutazione, e soprattutto i criteri di valutazione. Più passa il tempo e più sembra essere proprio l’INVALSI a stabilire il terreno di gioco, entrando prepotentemente nelle scuole con un modello di didattica che considera “meritevoli” solo i docenti che si omologano ad esso.
Il modello didattico dell’INVALSI: nozionismo e crocette. La competizione fra le scuole, e in secondo luogo fra gli stessi insegnanti, avviene in termini di omologazione al modello dei quiz adottato dai test INVALSI. Da tempo si denuncia da più parti l’inattendibilità scientifica di questi test, che servirebbero a misurare la preparazione degli studenti delle scuole italiane e dei docenti, ma che di fatto stilano una graduatoria delle scuole in base a criteri didattici assolutamente discutibili. Per sua natura, e particolarmente nella società di oggi, l’istruzione vive la contraddizione fra conoscenze e competenze, fra apprendimento critico e nozionismo. Il modello di valutazione dell’INVALSI tende a schiacciare questa ambivalenza sul secondo termine, optando per il modello dei quiz a crocette. Sacrificando del tutto l’apprendimento dei concetti in favore di quello delle nozioni, agli studenti è chiesto di scegliere tra una serie di risposte prestabilite da altri, non inquadrabili neanche criticamente in un discorso complessivo. Spesso ne sembra giusta più di una, e vorrebbero giustificare questa percezione argomentandola a dovere; altre volte nessuna è davvero corretta. Tutte queste valutazioni critiche per l’INVALSI sono superflue. Allo studente non viene chiesto di pensare, di analizzare criticamente dimostrando comprensione e padronanza della materia studiata. Ciò che si chiede è l’apprendimento di nozioni secche, anche a costo di snaturare del tutto il senso dell’istruzione. La matematica ridotta alla risoluzione del problema, senza che sia richiesta la comprensione dei suoi meccanismi e della sua evoluzione; la letteratura italiana ridotta all’analisi di un testo d’autore estrapolato da un’opera, tramite un quiz a crocette, senza che dell’autore importino la vita, il pensiero, il contesto storico. L’istruzione ridotta all’applicazione di logiche produttive, in cui è diventato normale somministrare lo stesso test di matematica in un liceo classico, in uno scientifico o in un professionale. Si elimina di fatto il senso della differenziazione dei percorsi di studio, perché in questo sistema non importa la valorizzazione dei talenti del singolo individuo tramite un percorso di studio, ma piuttosto l’utilità effettiva di questi al mercato, al quale del tuo percorso di studio non interessa Le scuole destinate a finire ai primi posti in graduatoria sono quelle scuole che omologhe-
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ranno gli insegnamenti al modello dei quiz. La proclamata “autonomia di insegnamento” dei docenti si scontrerà sempre di più con l’interesse del Dirigente di piazzare la scuola ai primi posti in graduatoria. L’INVALSI è riuscito, in questo modo, a introdursi con prepotenza all’interno delle scuole, condizionando sempre più la didattica. Gli insegnanti vengono già invitati a interrompere o rallentare la normale programmazione per preparare gli studenti a sostenere i quiz; addirittura in molte scuole si impone agli studenti di acquistare appositi libri di testo aggiuntivi per la “preparazione” al test INVALSI. Quando la didattica si omologa alle logiche produttive, il bravo insegnante diventa quello che insegna a superare un quiz a crocette. Se dovesse realizzarsi anche la differenziazione delle retribuzioni in base al rendimento, l’appiattimento degli insegnamenti sul nozionismo avverrebbe automaticamente per mano degli stessi docenti, senza la necessità di pressioni da parte del Dirigente Scolastico. È del tutto evidente come i test INVALSI tentino di sconvolgere radicalmente la didattica: se si iniziasse a differenziare in modo strutturale e definitivo i finanziamenti pubblici alle scuole in base alle graduatorie INVALSI, le scuole saranno trascinate dai presidi in una competizione sfrenata per una pura questione di sopravvivenza, in cui vince la scuola che più delle altre omologa gli insegnamenti al modello dei quiz. Verrebbe da chiedersi se sia questa la “buona scuola”…
Boicottare l’INVALSI: una protesta che unisce studenti e insegnanti. I test INVALSI oggi sono un elemento essenziale sulla strada dell’aziendalizzazione della scuola pubblica, che si cerca di piegare sempre più alle logiche di mercato. Il progetto di differenziare i finanziamenti pubblici alle scuole statali in base alle graduatorie, in passato solamente ipotizzato, è ormai ammesso a gran voce dal Governo. Dopo aver ridotto la scuola pubblica in ginocchio con anni di tagli ai finanziamenti statali, operati nel solo interesse delle banche e dei monopoli europei, le scuole vengono messe l’una contro l’altra per accaparrarsi le poche briciole rimaste. Nel nome di una presunta “competitività” imposta dalla UE, la didattica viene progressivamente appiattita sull’apprendimento meccanico di nozioni secche, sbarrando la strada a ogni forma di comprensione critica e dequalificando nel complesso l’istruzione offerta nelle scuole, in perfetto accordo con un mercato del lavoro precarizzato che chiede lavoratori sempre più dequalificati e facilmente ricattabili. È evidente che i test INVALSI non interessano soltanto gli studenti del secondo anno, ma tutti gli studenti, perché costituiscono a tutti gli effetti un attacco nei confronti della scuola pubblica per come l’abbiamo conosciuta finora. Per questo è necessario ribaltare la retorica che ogni anno il Governo ci ripete, secondo la quale gli studenti che aderiscono al boicottaggio sarebbero solamente “influenzati” dai professori e dai sindacati. Al contrario, è necessario organizzare una grande adesione di massa al boicottaggio dei test INVALSI proprio a partire dagli studenti. Studenti e insegnanti devono costituire un fronte unito un tutto il paese, promuovendo il boicottaggio dei test INVALSI tanto nelle singole classi quanto all’interno degli stessi Consigli di Istituto e Collegi dei docenti, sviluppando forme di coordinamento della lotta fra tutte le scuole. Boicottare i test significa non limitarsi ad una critica sterile, ma passare al contrattacco impedendo all’INVALSI di stilare una classifica delle scuole, opponendoci alla differenziazione fra scuole di serie A e di serie B. Significa rivendicare un’istruzione di qualità accessibile a tutti e in tutte le scuole italiane, dal centro alla periferia, da quelle del Sud a quelle del Nord del paese, contro il feroce classismo che si nasconde dietro lo slogan del “merito”. Boicottare l’INVALSI significa difen-
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dere la scuola pubblica dalla morsa di questo sistema, rivendicare un modello di scuola diverso, finalizzato non al profitto di pochi ma allo sviluppo dell’individuo e al progresso dell’intera società.
Presidi e professori non possono punirci se boicottiamo il test INVALSI! Cosa fare se il Preside o alcuni professori minacciano di sanzionare in qualche modo chi sceglie di boicottare i test? In molte scuole agli studenti viene detto che chi si rifiuterà di compilare il test sarà punito con un abbassamento del voto in condotta o con una nota disciplinare; in altre i professori arrivano a sostenere che il risultato dei test sarà valutato ai fini del profitto scolastico (in altre parole, che sarà dato un voto e che “farà media”). Tutte queste pratiche sono assolutamente illegali e possono persino costituire i presupposti per un’azione legale.
Si possono punire gli studenti che scelgono di boicottare i test? Ma è davvero obbligatorio compilare i test INVALSI? La risposta è: assolutamente no! Anzi, formalmente non è obbligatoria neanche la somministrazione dei test, in quanto si tratta di “attività ordinaria” che, alla stregua di una gita scolastica, deve essere discussa dal Collegio dei Docenti, che può anche bocciarla scegliendo di non piegarsi all’INVALSI. Ma anche laddove si scelga di somministrare il test nelle classi, per lo studente non esiste nessun obbligo di compilarlo. Questo, a pensarci, sarebbe assurdo: in base a cosa si può sanzionare uno studente che consegna il test “in bianco”, senza aver risposto alle domande? Consegnare un bianco non costituisce certo una violazione del regolamento disciplinare, né della “buona condotta” che lo studente è obbligato a tenere! Tutt’altro: lo Statuto delle Studentesse e degli Studenti (DPR 249/98, facilmente reperibile online) all’art.4, comma 4 afferma chiaramente: “in nessun caso può essere sanzionata, né direttamente né indirettamente, la libera espressione di opinioni correttamente manifestata e non lesiva dell’altrui personalità”. Lasciare in bianco i test INVALSI è chiaramente una espressione di opinioni manifestata “correttamente”: non si viola il regolamento disciplinare né si viene meno a obblighi, tantomeno si arreca danno a qualcuno! È consigliabile NON scarabocchiare il codice identificativo: in diverse scuole gli studenti vengono accusati di aver danneggiato un documento pubblico e per questo sanzionati. Per quanto anche questo tipo di sanzione sia decisamente opinabile, consigliamo di non correre un rischio inutile: consegnando semplicemente in bianco si boicotta la prova a tutti gli effetti, senza rischiare assolutamente nulla! I professori possono valutare le prove per fare media? Sotto la categoria di sanzione “indiretta” rientra anche la minaccia di valutare le prove (e quindi di dare voti bassissimi a chi consegna in bianco). Questo, d’altra parte, è vietato anche dallo stesso INVALSI, che nella sua Informativa sulla privacy (che fa riferimento al d.lgs 196/2003, cioè al Codice della Privacy) spiega chiaramente che i dati personali forniti “verranno trattati esclusivamente per le finalità istituzionali dell’INVALSI” e “in modo da essere resi anonimi all’esterno e all’interno dell’istituto, immediatamente dopo la raccolta”. L’informativa (link: https://invalsi-areaprove.cineca. it/docs/privacy/informativa_2015.pdf) chiarisce poi che l’identificativo dello studente, conosciuto dai docenti, è utilizzabile solo per la “trasposizione dei dati sulla maschera elettronica e, una volta utilizzato per la predetta funzione, non è ulteriormente utilizzabile”. In altre parole, le scuole non possono risalire all’identità dello studente attraverso il codice alfanumerico riportato sul test per assegnare un voto, perché questo non rientra fra le finalità dell’INVALSI e pertanto non
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sono autorizzate a farlo!
Si può boicottare il test anche in una classe campione? Certo che sì! In una classe campione non cambia assolutamente nulla, significa semplicemente che il giorno del test sarà presente un osservatore esterno, inviato dall’INVALSI. Questi osservatori vengono inviati in circa il 10% delle scuole, per garantire un minimo livello di “affidabilità” delle prove (ad esempio, per evitare che gli insegnanti aiutino gli studenti a rispondere alle domande del test), ma non godono assolutamente di alcun potere. Se il preside o i professori fanno particolari pressioni sulla classe affinché tutti facciano il test, ciò è dovuto semplicemente alla volontà di “non fare brutta figura”.
Come si può reagire a un provvedimento ingiusto? Per prima cosa si può contestare la sanzione facendo ricorso all’Organo di Garanzia interno alla scuola, che è tenuto ad ascoltare le ragioni dello studente e a pronunciarsi sulla sanzione (ratificandola o cancellandola). Se ciò non dovesse bastare, si può ricorrere presso l’Ufficio Scolastico Regionale ovvero al relativo organo di garanzia; alternativamente, per i casi più gravi, c’è la possibilità di ricorrere presso il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR). Il modo migliore per opporsi ai tentativi di repressione, tuttavia, è quello di agire sempre in gruppo, piuttosto che in modo individuale. Una protesta degli studenti di una scuola in cui il preside ha sanzionato dei ragazzi ha buona probabilità di sollevare il caso all’attenzione dei media, generando una forte pressione sul Preside che vale molto più di un ricorso individuale presso un organo interno alla scuola e fortemente influenzato dal Preside stesso. Anche laddove si scelga di ricorrere agli Organi di Garanzia, è consigliabile farlo in gruppo! In ogni caso ti sconsigliamo di muoverti da solo: scrivici a scuola@ gioventucomunista.it e valuteremo insieme la cosa migliore da fare!
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