FGC - Programma elettorale Università di Bologna

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Premessa L’Università in Italia è un’università di classe. La realtà che migliaia di studenti delle classi popolari vivono nell’affrontare gli studi superiori è fatta di ostacoli e barriere economiche. L’accesso agli studi, garantito in teoria dal nostro ordinamento costituzionale, è stato tradito e disatteso dalle decisioni delle amministrazioni universitarie e statali che si sono susseguite. Caro-libri, affitti proibitivi ed una delle mense universitarie più care d’Italia si aggiungono alla cronica mancanza di alloggi in città e presso le strutture di ER.GO (l’Ente Regionale per il diritto allo studio), che continua a non essere in grado di fornire una copertura completa degli aventi diritto. Di fronte a questa situazione la dirigenza universitaria resta sorda alle esigenze di migliaia di studenti, proseguendo nella costruzione di un ateneo ad uso e consumo delle esigenze delle grandi imprese e di un’istruzione asservita agli interessi dei privati, che penalizza sistematicamente gli studenti dei ceti meno abbienti. Le rappresentanze studentesche, fino ad oggi, sono sempre state un trampolino per giovani carrieristi che, salvo promettere di rappresentare gli interessi della comunità studentesca, si sono rivelati complici delle decisioni classiste ed esclusive che da anni caratterizzano la dirigenza del nostro ateneo. Le elezioni universitarie hanno perso il loro carattere democratico, rivelandosi non uno strumento di reale partecipazione alla vita politica del nostro Ateneo, bensì una consultazione di tipo èlitario, sconosciuta ormai alla maggioranza degli studenti, che finisce inevitabilmente per premiare logiche clientelari e conciliatorie. Di fronte a questa situazione, la gioventù comunista partecipa alle elezioni con un reale programma di rottura verso le logiche che fino ad oggi hanno imperato nel nostro Ateneo, rilanciando il ruolo delle rappresentanze in Università come reale megafono delle lotte e dei bisogni quotidiani e a lungo termine degli studenti. L’Università italiana non è strutturata sugli interessi degli studenti. Sempre più assume le forme di un’impresa, con bilanci da gestire e profitti da generare, non importa quali siano le necessità di chi la frequenta. Non ha lo scopo di fornire alla gioventù le competenze tecniche e culturali necessarie a realizzare il proprio futuro lavorativo, conformemente alle necessità della società e dell’individuo; piuttosto produce una massa di laureati formati ad hoc per gli interessi delle grandi imprese e dei padroni. Disoccupazione, sfruttamento sui luoghi di lavoro: questo è il futuro di milioni di laureati italiani. Inoltre, rispetto ai tagli scellerati di cui è vittima l’intero sistema dell’istruzione italiana, l’Università di Bologna non fa eccezione. Nel bilancio preventivo dell’Università assistiamo ad una diminuzione del 42% dei fondi destinati al diritto allo studio (12 milioni in meno in 3 anni!), oltre ad un taglio sensibile dei fondi per l’editoria, la ricerca, la didattica e i materiali da laboratorio. Il bilancio preventivo segna addirittura una diminuzione di 40 milioni di euro di fondi destinati alle collaborazioni scientifiche (collaboratori, assegnisti, etc.). L’Ateneo ha registrato un calo dei proventi di 120 milioni di euro in soli tre anni. Da qui l’amministrazione universitaria cerca di scaricare il disimpegno dello Stato sulle spalle della popolazione studentesca mentre cresce, in modo significativo, l’influenza dei privati sul sistema educativo. Si è registrato quindi un corposo aumento del peso del finanziamento di attori privati sul bilancio dell’Università, che passa da circa 980 mila euro nel 2018 a una previsione di oltre 4 milioni di euro nel 2020 segnando un aumento della contribuzione privata del 370%. Per tutto questo e per molto altro auspichiamo quindi la lotta contro il sistema universitario attuale e contro la società che lo tiene in piedi, rivendicando per gli studenti i loro diritti insindacabili e la creazione di un nuovo modello che sia al servizio della collettività.

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Alloggi e caro affitti La situazione degli alloggi per gli studenti fuori-sede è costantemente peggiorata di anno in anno. Solo nell’ultimo anno si è verificato un aumento medio del 12% sul costo degli affitti (più di 400 euro al mese per una stanza singola), determinato da un lato dall’aumento del processo di turistificazione della città (migliaia di appartamenti sono stati trasformati in Airbnb), dall’altro dalla speculazione di privati e grandi gruppi immobiliari che tengono volutamente sfitti migliaia di appartamenti e strutture potenzialmente utilizzabili per far lievitare i prezzi degli alloggi e degli affitti, anche qui generando una discrepanza tra l’offerta e le reali necessità del corpo studentesco. Il numero dei posti disponibili all’interno degli studentati attualmente operativi non copre assolutamente le richieste dei borsisti e degli aventi diritto, a fronte di un incremento dei fuori-sede che in teoria avrebbero diritto all’alloggio. In tutto ciò il mercato immobiliare attrae anche investitori esteri, desiderosi di fare lauti guadagni: è del 2016 l’idea del gruppo olandese di “The Student Hotel” di aprire la sua seconda struttura italiana a Bologna, presso il palazzo dell’ex-Telecom. Il progetto, dal costo di più di 30 milioni di euro, prevede la riqualificazione della struttura e la costruzione di un enorme hotel-studentato di lusso con affitti che vanno dai 960 ai 1140 euro al mese per una stanza singola. Davanti a quest’ondata di privatizzazioni la risposta pubblica è inesistente. Le costruzioni dei nuovi studentati aspettano l’approvazione del Ministero e non saranno pronti prima del 2021, se si rispetta il programma. La dirigenza universitaria, ER.GO, le istituzioni in generale (Comune, Regione), non hanno dato alcuna reale risposta a questo problema ma si sono anzi dimostrate sorde alle richieste e alle proteste degli studenti. Il FGC ha promosso recentemente una petizione (raccogliendo più di 1000 firme di studenti dell’Unibo) per richiedere un impegno concreto da parte del rettore su questa emergenza e opporre un rifiuto netto al progetto dell’hotel studentato di lusso. Nessun impegno serio è stato preso a difesa degli studenti, solo promesse di confronti per il futuro. Ma la nostra posizione è chiara: come richiesto dalla petizione studentesca, la nostra rivendicazione immediata è quella di promuovere un grande piano d’edilizia pubblica rivolta a tutti, cittadini e studenti, tramite misure come l’esproprio immediato degli alloggi sfitti in tutta la città e la messa a disposizione degli stessi a canone popolare. Richiediamo inoltre il riutilizzo di tutte quelle strutture del patrimonio immobiliare dell’Unibo o di fondazioni ad essa associate che possano alleviare momentaneamente e immediatamente la situazione. La situazione richiede misure drastiche che devono spezzare la prepotenza dei grandi gruppi immobiliari così come dei piccoli proprietari. Questa non può essere però una lotta isolata: questa battaglia non può che essere un inizio per rivendicare un’università realmente pubblica, gratuita e accessibile a tutti. Gli studenti non possono stare a guardare mentre il loro presente e futuro viene distrutto.

Borse di studio e tasse

Il nuovo metodo di calcolo dell’ISEE, entrato in vigore nel 2015, falsifica la reale situazione economica e patrimoniale dei richiedenti, facendoli sembrare più ricchi di quanto effettivamente non siano e quindi escludendo una gran massa di studenti che in teoria avrebbero diritto alla borsa. A fianco di questa constatazione, che evidenzia un limite profondamente classista per l’accesso agli studi universitari, l’Ateneo, nell’a.a. 2017-2018, non è riuscito comunque ad assicurare la copertura totale delle borse di studio, lasciando scoperti circa il 15% degli idonei. A fronte di sostanziali decurtazioni dalle altre borse di studio (150 euro circa), l’Università è poi riuscita ad abbassato tale percentuale all’8%, risolvendo solo in parte la questione. Per l’a.a. 2018-2019 si è riusciti a garantire le borse di studio a tutti gli idonei. Tuttavia l’importo versato ad ogni studente idoneo rimane, ad oggi, assolutamente insufficiente per sostenere il costo della vita in città e per sostenere

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Per quanto riguarda la tassazione, invece, si può constatare l’iniquità di un sistema contributivo falsamente progressivo che implica una tassazione unica oltre la soglia ISEE dei 60’000 euro, generando un meccanismo perverso che fa si che le famiglie più benestanti non paghino il dovuto importo all’Ateneo rispetto alle loro maggiori potenzialità economiche, arrivando a pagare solo alcune centinaia di euro in più rispetto a studenti con fasce di reddito sensibilmente più basse (che si collocano tra i 23’000 e i 60’000 euro annui). Per la maggior parte degli studenti tassati con questo sistema si è registrato un incremento medio del 30% (circa 500 euro per ogni corso di studio). Quindi da un lato c’è l’obiettivo di rendere concorrenziale l’Ateneo rispetto alle università private concedendo una specie di “flat tax” ai super-ricchi; dall’altro si riversa il peso maggiore dell’incremento della tassazione sulle fasce di reddito medio-basse; infine, per tutti coloro che provengono dalle fasce più povere, nonostante la “no tax area” che attualmente è stabilita sui 23’000 euro di ISEE, non sono garantite altre sostanziali agevolazioni e coloro che avrebbero diritto alla borsa di studio possono diventare non beneficiari (per la mancanza dei fondi) oppure non avere accesso ad un alloggio. Il Fronte della Gioventù Comunista si batte nell’Università di Bologna per una tassazione che sia realmente progressiva, che porti chi ha di più a pagare proporzionalmente al suo reddito, anche oltre la soglia massima. Richiediamo quindi l’obbligatorietà della dichiarazione ISEE, per un aumento della tassazione sui super redditi che permetta di alzare la soglia della “no tax area” e diminuire la pressione fiscale sugli studenti dei ceti meno abbienti, e per un aumento delle borse di studio che consenta una reale indipendenza economica correlata al costo della vita in città. Un’ulteriore richiesta è quella della revisione dei requisiti di merito per le fasce ISEE più basse.

Studenti-lavoratori

In Italia un numero significativo di studenti universitari è costretto a lavorare per portare a termine gli studi superiori. Sono più di 343 mila i giovani in Italia che lavorano mentre studiano, nella quasi totalità dei casi per potersi permettere un percorso che altrimenti sarebbe loro precluso per colpa dei costi di frequentazione troppo elevati. Per quanto riguarda l’Università di Bologna, degli oltre 17.974 laureati nel 2017, oltre il 69% erano studenti lavoratori. Un dato che testimonia una realtà di giovani che sono costretti ad immettersi in un mercato del lavoro fatto di precarietà e sostanziale sfruttamento. A Bologna uno studente su cinque presenta una qualche forma di occupazione, saltuaria o continuativa, nel corso dell’anno; il dato si alza ad uno studente su tre quando si prendono in considerazione gli studenti delle classi popolari. L’atteggiamento dell’Università nei confronti degli studenti-lavoratori è inaccettabile: essi sono infatti vittime di un sistema che mira a fare più soldi sulle loro spalle e dove la tassa del fuori-corso è un esempio lampante. Lavorando si ha meno tempo da dedicare allo studio e inevitabilmente si posticipano gli esami e il conseguimento della laurea. Il numero degli appelli, soprattutto per le facoltà scientifiche, è inadatto per un giovane lavoratore, che spesso vede prove sovrapporsi e poche sessioni nelle quali si concentrano molte materie d’esame. L’Università di Bologna dovrebbe garantire la possibilità agli studenti lavoratori di laurearsi in 6 anni e non in 3, raddoppiando la durata degli studi universitari. Ma questa misura (che peraltro priverebbe, per chi ne avesse la possibilità, di concludere gli studi anticipatamente rispetto alla data di scadenza, con un limite massimo di 30 CFU da conseguire annualmente) non tiene conto del fatto che molti studenti-lavoratori non possiedono un contratto di lavoro regolare, che in teoria implicherebbe anche l’obbligo da parte del padrone dell’azienda di garantire un numero di ore minimo di permessi (comunque irrisorie, perché sarebbero 50 ore per ogni anno) per permettere di studiare, frequentare i corsi e presenziare agli esami. Per tutte queste ragioni ci battiamo per un sistema universitario realmente a misura degli studenti, che permetta, come obiettivo immediato, di facilitare la vita degli studenti lavoratori, e con una prospettiva a lungo termine che di fatto porti alla garanzia della copertura totale da parte dello Stato di tutte le spese, sufficiente a portare avanti gli studi senza dover allo stesso tempo lavorare per sopravvivere.

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Ci battiamo quindi per l’eliminazione della tassa del fuori-corso per studenti-lavoratori; per un aumento significativo degli appelli che dia loro la possibilità di terminare il percorso universitario in tranquillità; per un aumento dei CFU annuali accumulabili per chi sceglie il percorso part-time; per l’elevamento del numero di ore di permessi da garantire allo studente e la garanzia che queste vengano effettivamente svolte.

Borse di collaborazione

Le borse di collaborazione sono uno dei mezzi utilizzati dall’Ateneo per elargire sussidi diretti agli studenti, ma sono di fatto funzionali all’abbattimento dei costi del personale. Il borsista vincitore deve infatti offrire all’università una prestazione lavorativa di 150 ore. Si tratta di un grande risparmio per l’Università, considerando che lo studente, nel sostituire un lavoratore stabile, percepisce 7,50 € l’ora senza ferie, contributi o giorni di malattia. L’opportunità per l’università/azienda di tagliare sui costi del personale viene effettuata anche con lo sfruttamento dell’alternanza scuola-lavoro, entrata a pieno regime con l’approvazione della “Buona Scuola” del governo Renzi. Nel corso del 2017 l’Unibo ha impiegato infatti oltre 1200 studenti medi provenienti dagli istituti superiori dell’Emilia Romagna. Questi, grazie alle decine di ore di lavoro svolte, permettono un risparmio complessivo enorme dal momento che gli studenti sono a costo zero (e impossibilitati a sottrarsi all’alternanza). La logica dell’economizzare i servizi pesa sugli studenti sfruttati a fronte della qualità degli stessi nei confronti degli universitari. Chiediamo che nessuno studente in alternanza scuola-lavoro sia ancora impiegato in segreterie o musei d’Ateneo e che si assumano invece lavoratori con contratto regolare. Rivendichiamo, inoltre, la sostituzione dei beneficiari della borsa di collaborazione con lavoratori stabili, essenziali per migliorare la qualità dei servizi. La borsa di collaborazione deve finire di essere un metodo in cui si “arrotondano” i propri guadagni a fronte del costo della vita eccessivo e delle alte spese di frequentazione del percorso universitario intrapreso. L’Università e lo Stato devono farsi garanti della copertura totale di tutte le spese, favorendo l’accesso agli studi superiori degli studenti provenienti dalle classi popolari. Sulla questione dei tirocini, invece, denunciamo la collusione e i progetti di collaborazione tra i privati e l’Ateneo dove, specie per le materie scientifiche, si verificano logiche in tutto simili a quelle dell’alternanza scuola-lavoro. Il tirocinio diviene occasione per far profitti sugli studenti e per coprire le mancanze di lavoratori con contratti stabili. I tirocini gratuiti sono un problema soprattutto per quanto riguarda le facoltà sanitarie, dove gli studenti contribuiscono a tenere in piedi una sanità pubblica al collasso e con carenze di personale, spesso facendo straordinari turni prolungati, turni di notte e mansioni che generalmente un tirocinante non sarebbe neanche qualificato a fare. Chiediamo quindi l’abolizione dei tirocini gratuiti e la garanzia di un salario minimo per i tirocinanti, in particolar modo per gli studenti delle professioni sanitarie.

Caro libri, trasporti e mensa

Per coprire gli alti (e in alcuni casi assolutamente proibitivi) costi dei libri occorrenti per la preparazione degli esami, gli studenti sono spesso costretti a rivolgersi alle numerose copisterie locali. L’estate scorsa la Guardia di Finanza era riuscita a procedere contro alcune di esse per aver riprodotto illegalmente volumi nello loro integrità e a prezzi ridotti rispetto a quelli di copertina. Una azione che però non ha cambiato assolutamente la situazione. Almeno per quanto riguarda Bologna, non è azzardato sostenere che probabilmente la metà degli studenti non si procura i libri se non tramite il sistema della digitalizzazione e della fotocopiatura illegale, quando ciò sia possibile naturalmente. Iniziative come il riutilizzo di testi usati non bastano mai a coprire le esigenze degli studenti in entrata. A ciò si aggiunge il fatto che le biblioteche di riferimento delle varie facoltà sono spesso sprovviste del materiale occorrente, a causa della mancanza di fondi, mentre l’Ateneo non provvede a mettere a disposizione risorse digitali adeguate.

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Il caro-libri è una questione allo stesso tempo particolare e generale, e non basta, a nostro avviso, prendere le difese del modello grazie al quale fino ad adesso gli studenti sono potuti campare, rivolgendosi alle copisterie per provvedere ai propri bisogni immediati. Difendere i negozianti che sono parte essi stessi del problema e che guadagnano sulle spalle degli studenti non è davvero la strada da battere. Il problema sta alla radice, sta nel modello universitario stesso, sta nella truffa operata dai monopoli editoriali che si procurano un affare garantito di miliardi ogni anno, operando un prelevamento forzoso sulle famiglie su cui ricade tutto il costo delle spese di studio. Il mercato librario per la fornitura dei testi universitari è un mercato tutto particolare. Si tratta di testi con una tiratura generalmente bassa, specie se si tratta di materiale altamente specialistico. Gli enormi prezzi raggiunti da questi testi non sono semplicemente dovuti ad una fantomatica (e spesso assente) qualità intrinseca delle opere, ma dal fatto che esse vengano vendute all’interno di un mercato drogato. L’editoria accademica è l’unica editoria dove l’autore ha un contatto diretto con gli acquirenti: ad ogni docente (o gruppo di docenti) corrisponde un bacino di studenti che corrisponde simultaneamente sia ai suoi allievi che a coloro che acquisteranno i suoi testi. L’esistenza di questo bacino costante di compratori è ciò che permette una risalita incontrollata dei prezzi delle singole opere. Non è un caso che, ad ogni anno che passa, nei programmi dei corsi vengano spesso richiesti questi testi nella loro versione più aggiornata (spesso scritti o curati dagli stessi docenti che tengono il corso), pena la non agibilità al sostegno degli esami. Ogni edizione nuova può essere praticamente uguale alla precedente oppure differirne in qualche punto, ma la sostanza è che rappresenta un affare garantito e ghiotto su cui le case editrici riescono ad operare un sovrapprezzo in virtù del carattere monopolistico della loro situazione, per quanto gli studenti cerchino di svincolarsi da questa logica. Non serve una grande mente per capire che questi interessi monopolistici sono un vero e proprio furto parassitario sulle spalle degli studenti e che, anche se i docenti spesso negano qualsiasi coinvolgimento con le case editrici, qualche volta dovrà pur arrivare loro qualche bel “bonus” per il ligio servizio reso. La nostra rivendicazione immediata non può che essere la richiesta che le biblioteche di riferimento siano fornite di tutti i volumi da programma nei corsi occorrenti per sostenere gli esami (normali o fotocopiati o digitalizzati che siano poco importa), in numero sufficiente affinché possano essere reperiti da tutti gli studenti senza restrizione e da dare in comodato. La quantità non può che essere calcolata in base alle tendenze di iscrizione dei vari corsi. È compito dell’università e dello Stato creare un sistema di supporto editoriale adeguato. È necessario inoltre che l’intero sistema bibliotecario delle università venga ammodernato, rifornito di un adeguato numero di volumi per tutte le materie. Ancora meglio sarebbe la fornitura agli studenti, a titolo assolutamente gratuito e senza obbligo di restituzione, di tutti i libri essenziali dei corsi di studio e occorrenti per sostenere gli esami. Non è una visione utopistica, ma ha a che fare con determinate scelte di capitoli di spesa e l’esclusione di altri che tutti i governi e l’Ateneo fino ad oggi hanno operato. Un altro fattore che va ad incidere sulle spese degli studenti sono i trasporti. Per questa particolare questione, va tenuto conto di questo fattore: alcune scuole e corsi di studio hanno sedi e succursali fuori dal centro storico bolognese e molti studenti devono quindi usufruire delle linee urbane dei pullman, alcune delle quali sono di frequenza insufficiente. Le scuole coinvolte sono: Agraria e Medicina Veterninaria; Farmacia, Biotecnologie e Scienze Motorie; Ingegneria; Medicina e Chirurgia; Scienze. L’Università ha garantito uno sconto di 40 euro per abbonamenti annuali urbani ed extra-urbani. Per quanto riguarda gli abbonamenti mensili non sono previste agevolazioni, anche se Tper garantisce uno sconto per i giovani sotto i 27 anni che per l’abbonamento urbano pagano 27,00 euro. Per il trasporto su rotaia non si ha notizia invece di accordi tra l’Università e le Ferrovie dello Stato. Esistono delle convenzioni per i pendolari e under 27 tra Tper e trasporto regionale con la carta MiMuovo. L’offerta più rilevante riguarda la possibilità di usufruire gratuitamente del trasporto pubblico urbano se si è in possesso di un abbonamento regionale. Queste agevolazioni però non sono suffcienti per gli studenti. Anche passando da un abbonamento da 220 a 180 euro molti studenti vedono comunque questa spesa come gravosa e non necessaria, a fronte di una situazione in cui dovrebbe essere l’Università a garantire il collegamento tra tutte le sue sedi al fine di favorire la frequentazione delle lezioni e l’accesso a

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a spazi e sedi di studio. Non si comprende per quale motivo gli studenti di scambio internazionale debbano pagare solamente 10 euro simbolici per un abbonamento annuale mentro lo stesso non è garantito agli studenti che vivono sul territorio. Chiediamo inoltre un aumento della frequenza dei pullman laddove si presentano in numero non sufficiente. Il servizio mensa è il più caro dell’intero territorio nazionale ed è gestito dalla ditta privata Elior che paga i suoi lavoratori una miseria. Questo servizio esternalizzato va dunque internalizzato, garantendo la copertura di tutti i posti di lavoro e di tutti i lavoratori, che vanno assunti con contratto regolare. Chiediamo inoltre una dimunizione generalizzata delle tariffe e l’estensione del diritto ai buoni pasti.

NATO e Israele

Il Fronte della Gioventù Comunista denuncia fermamente la collaborazione tra il nostro ateneo ed istituzioni militari responsabili di guerre e crimini in tutto il pianeta. In questo senso ci opponiamo allo svolgimento dei progetti di collaborazione con la NATO che da anni, a partire dal 2006, hanno luogo nell’università. In particolare l’Università di Bologna e il Comando Alleato Trasformazione della Nato (NATO Allied Command Transformation – ACT) hanno siglato un accordo (Memorandum of Understanding ), nel quadro del quale il nostro ateneo e l’Alleanza Atlantica hanno dato il via ad una serie di progetti nell’intento di sostenere la creazione di un network sulla NATO composto da personale NATO, esperti, accademici e “studenti motivati” per approfondire la collaborazione tra le istituzione accademiche e i comandi dell’Alleanza. Il palese obiettivo di questi accordi è quello di reclutare i migliori cervelli degli atenei italiani per gli scopi della NATO. Ci opponiamo fermamente al fatto che la nostra università sia messa al servizio di un’istituzione militare responsabile di guerre e spargimenti di sangue in ogni parte del globo e al fatto che le conoscenze e i saperi che si insegnano nella nostra Università vengano messi al servizio di progetti bellici, in particolare quelli di un’organizzazione militare che non ha niente a che vedere con i reali interessi del popolo italiano, che anzi costringe il nostro paese a spendere miliardi di euro nella difesa e nella partecipazione ad interventi armati lontano dal nostro territorio per fare nient’altro che gli interessi di una cricca di grandi imprese, mentre l’istruzione subisce tagli da oltre un ventennio. I budget per la spesa militare seguono un costante trend di crescita per soddisfare gli impegni nei confronti dei nostri “partner” della NATO ( in primo luogo gli Stati Uniti). Il Fronte della Gioventù Comunista propone la totale cancellazione di qualunque tipo di collaborazione con la NATO, inclusi i progetti “NATO Model Event”, il “Progetto Predict” e il “NATO-Unibo Summer Workshop”. Ci opponiamo altresì alla cooperazione accademica con lo Stato di Israele, chiedendo che l’Università di Bologna si unisca al boicottaggio accademico degli atenei israeliani. Non è possibile sorvolare sulle ripetute, flagranti ed inumane violazioni dei diritti umani e del diritto all’autodeterminazione dei popoli di cui lo stato israeliano è responsabile nei confronti del popolo palestinese e la politica di vera e propria apartheid contro di esso. Chiediamo che l’Università di Bologna esprima una ferma ed inappellabile condanna della condotta terroristica dello stato israeliano e che questa si espliciti con l’immediata cessazione del programma di scambio Overseas con le università israeliane, così come qualunque altra forma di collaborazione accademica.

Didattica

Nell’università-azienda non vengono risparmiate nemmeno la didattica e le docenze. Pochi professori ordinari ed un esercito di assistenti e ricercatori precari gettati nelle aule per coprire i buchi di insegnamento. Il risultato della politica del risparmio? Meno corsi, meno lezioni. E’ dunque fondamentale promuovere un piano che adegui il rapporto fra docenti e studenti portandolo ad una proporzione corretta per le necessità didattiche, e che dia garanzie di un futuro professionale per i ricercatori a tempo determinato e i dottorandi. Nell’università di Bologna, dal 2010 al 2017, si è assistito ad una diminuzione costante dei professori ordinari (da 809 a 691) a fronte di un aumento dei ricercatori a tempo determinato (da 3 a 326) e dei professori associati che sono passati da 893 a 1056.

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L’Università, nel bilancio, non esita ad affermare che in caso di carenze didattiche è possibile raddoppiare le ore di lezioni frontali previste per i ricercatori. Da questo quadro appare chiaro come l’amministrazione preferisca assumere ricercatori, soprattutto a tempo determinato, che all’occorrenza possano sostituire i professori nell’insegnamento, anziché aumentare le assunzioni di professori e favorire il passaggio da associati ad ordinari. Il bilancio di ogni triennio si chiude in negativo fra ingressi e cessazioni, molto spesso con perdite maggiori tra i professori ordinari. Il FGC si batte per la stabilizzazione di tutti i ricercatori precari, per nuovi finanziamenti destinati agli scatti di fascia e alle assunzioni e per un potenziamento della didattica in modo eguale fra tutti i corsi e i dipartimenti.

Numero chiuso

Con delibera del Senato accademico del gennaio 2019 e approvazione unanime del Consiglio studentesco, 49 corsi su 63 dell’Ateneo saranno d’ora in poi ad accesso limitato. Economia, Lingue, Ingegneria, Scienze Politiche (eccetto Sociologia), Agraria, Farmacia e Biotecnologie, Scienze della formazione e Psicologia non hanno più corsi triennali senza numero programmato. Per Scienze rimane libero solo il corso di Scienze ambientali. Con la delibera si è approvato il test selettivo anche per Matematica, Dams e Scienze della comunicazione. Questa misura è stata giustificata per garantire agli studenti “una degna qualità della didattica” e per risolvere “problemi infrastrutturali e di disponibilità di docenti”, mascherando quella che è stata negli ultimi vent’anni almeno una politica di tagli continui nei confronti del sistema universitario italiano, le cui conseguenze si sono riversate (e si riverseranno ulteriormente) sulle spalle delle famiglie con l’incremento della tassazione e con un aggravamento della possibilità di accesso agli studi superiori per tutti gli studenti provenienti dalle classi popolari. Coloro che entreranno nei corsi saranno quelli che, come per i test di Medicina, avranno avuto la possibilità di seguire corsi specializzati privati e comprare libri costosi per prepararsi ai test, quelli che provengono da condizioni economiche e sociali più favorevoli (che peraltro giocano un ruolo decisivo anche nell’indirizzo scelto alle scuole superiori). In alcune facoltà il numero chiuso può essere giustificato: la retorica della “liberazione dei saperi” non appartiene ai comunisti, dato che ogni sapere acquisito anche in un contesto universitario non risolve la contraddizione tra le competenze tecniche e umanistiche apprese e il loro utilizzo in un sistema rivolto alla valorizzazione del capitale e all’aumento dei profitti delle imprese. Inoltre non ci si può aspettare che in una società tutti facciano i medici o gli ingegneri per poi lasciare che sia la “mano invisibile” del mercato a fare il suo corso: non si farebbe che aumentare la disoccupazione dei laureati. Ma è ovvia a tutti, ad esempio, la situazione in cui per Medicina il numero chiuso costituisce solo un tassello per giustificare la chiusura di presidi su tutto il territorio nazionale e per l’avanzamento dei privati a scapito del pubblico. Vi deve quindi essere una programmazione, in tutti i settori, affinché il numero di laureati richiesti corrisponda alle esigenze economiche del Paese. C’è necessità di concepire un altro sistema sociale ed economico e quindi un altro tipo di università. Ma l’agenda dell’Unibo non è assolutamente questa. L’Università non ha a cuore le sorti degli studenti e così come lo ha dimostrato nella sua inattività sulla questione degli alloggi per i fuori-sede che abbiamo denunciato, con la privatizzazione dei servizi, con i manganelli nelle biblioteche, lo dimostra adesso con questa manovra che serve solo a fare dell’Ateneo un polo d’eccellenza esclusivo, a fronte di un sistema universitario nazionale al collasso. La giustificazione inoltre nasconde il fatto che l’Università ha un patrimonio immobiliare immenso (che peraltro è aumentato di recente) e strutture adeguate che possono essere riutilizzate senza problemi a fini didattici; per non parlare poi dei docenti, il cui quadro è stato delineato nel punto precedente. È ironico che si utilizzi questa come una scusa per tagliare ulteriormente sui corsi di studi, dato che il problema sta a monte. Ci vorrebbero più docenti, e non meno studenti! Non staremo a guardare mentre vengono fatti questi tagli! La didattica non può essere oggetto di speculazioni e di semplici ed ipocriti calcoli di bilancio! In ogni caso non possono pagarne le conseguenze gli studenti delle

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classi popolari, che vedono così pararsi di fronte un altro ostacolo (oltre alle tasse, al caro-libri, all’incremento degli affitti ecc.) per l’accesso agli studi superiori! Gli studenti devono far sentire la loro voce e opporsi a questa ingiustizia.

Non serve un cambio, ma una rivoluzione!

Davvero è impossibile pensare ad un sistema d’istruzione universitario che sia accessibile a tutti e al servizio dell’intera collettività e non delle esigenze delle imprese e dei grandi monopoli capitalistici per incrementare sempre più i loro profitti? L’Italia è tra gli ultimi posti del mondo per investimento di fondi destinati all’istruzione in rapporto al Prodotto Interno Lordo. La Repubblica di Cuba, che ha un PIL uguale a quello della Puglia e una popolazione di 11 milioni di abitanti, investe circa il 23% del PIL nell’istruzione, nonostante un criminale ed illegale embargo imposto dagli Stati Uniti. Il risultato è che l’istruzione è gratuita dalle elementari all’università. Agli studenti sono garantiti i libri di testo, i trasporti, le mense, lo sport, la possibilità di scegliere il proprio percorso formativo sulla base delle proprie capacità. Tutte cose che sono assenti nel nostro ordinamento. Gli studenti universitari percepiscono addirittura uno stipendio mensile e un alloggio gratuito se fuori-sede, a patto di essere in regola e al passo con gli studi. Nessuno deve lavorare per poter studiare: è la collettività che sostiene interamente le spese di studio di ciascuno affinché un domani possa contribuire all’avanzamento economico, politico, culturale e sociale del paese. Cuba è oggi all’avanguardia nel mondo per i traguardi raggiunti nell’istruzione e nella sanità, grazie ad un sistema che è riuscita a creare con la Rivoluzione socialista. Sono queste le sue più grandi ricchezze, garantendo a tutti questi diritti fondamentali e facendo si che su di essi non si crei alcuna logica di profitto. In Italia, invece, il sistema d’istruzione è completamente asservito alle logiche del capitale, allo sfruttamento delle conoscenze per l’incremento dei profitti dei grandi monopoli e per il saccheggio di nazioni e popoli interi. Le rivendicazioni immediate portate avanti da questo programma non possono perciò che costituire un tassello ed un inizio di una più generale lotta per rovesciare lo stato di cose presente, per prefigurare un differente modello di sistema dove trionfino i valori di giustizia sociale e solidarietà, nella certezza del lavoro e di una reale democrazia, ovvero il socialismo-comunismo. Per questo non basta un cambio, serve una Rivoluzione! Anche nel nostro Ateneo, portiamo avanti questa battaglia e facciamo valere i nostri diritti contro un sistema ingiusto!

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