SENZA TREGUA
GIORNALE STUDENTESCO COMUNISTA ANNO 1 NUM 0
“La verità è sempre rivoluzionaria” - Antonio Gramsci
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UNO SPETTRO SʼAGGIRAPER LʼEUROPA
SENZA TREGUA è unʼorganizzazione giovanile, di studenti medi ed universitari e giovani lavoratori precari, attiva dal 2008 a Roma. Da sempre in prima linea contro le riforme che in questi anni hanno stravolto la scuola e lʼuniversità pubblica, Senza Tregua è un collettivo che va oltre la sola politica studentesca. Di fronte al crollo della sinistra in questo Paese, ci proponiamo lʼobiettivo ambizioso di ricostruire le basi, a partire dai giovani, della presenza organizzata di una vera sinistra in Italia. In Senza Tregua troverai lʼattenzione ai temi del lavoro, della precarietà, alle questioni internazionali e alla lotta dei popoli contro lʼimperialismo, ad una cultura che combatte il pensiero unico di questo sistema. info: www.senzatregua.org "Senza Tregua": cosa c'è dietro la volontà di definire un giornale studentesco, comunista, in un periodo in cui questa parola è diventata impronunciabile ? C'è la passione e l'impegno dei militanti di una organizzazione studentesca da tre anni in prima linea nella difesa dell'istruzione pubblica e dei diritti degli studenti: una realtà fatta da centinaia di ragazzi come te, attivi ogni giorno nelle scuole e nelle università, che, assieme a migliaia di sostenitori, hanno attraversato i movimenti, le strade e le piazze di questa città in nome della giustizia sociale e di un'altra idea di scuola e di società. Una realtà che merita di essere raccontata - fatta di pratiche, grida, gioie, dolori, sogni e aspirazioni- e che vuole essere compresa. Una realtà a cui fino ad ora è mancato uno spazio dove esprimersi e raccontarsi, e cosa ancora più importante, fermarsi a riflettere. E c'è un obbiettivo ambizioso. Quello di dare alla luce – in un periodo in cui la stampa è in crisi, e in controtendenza rispetto alla migrazione dell'informazione dal cartaceo a internet- un giornale indipendente e di qualità fatto da degli studenti per gli studenti: non un semplice foglio pieno zeppo di notizie e informazioni, magari
noiose e da noi distanti, ma un punto di partenza da cui trarre lo spunto per alzarsi e cominciare a combattere per un mondo diverso, più giusto, e per i tuoi diritti. Perché leggere "Senza Tregua"? Perché dentro queste pagine, ci sei anche tu: i tuoi interessi, la tua rabbia. La nostra rabbia. C'è lo sport e c'è la (contro)cultura, c'è la politica (locale e internazionale) e ci sono i grandi temi al centro dell'attenzione nel mese. C'è tutto il nostro entusiasmo e la nostra ironia. E c'è la tua scuola e la tua facoltà, i tuoi compagni di classe e di corso allʼuniversità, con tutti i problemi che (forse) ben conosci ma su cui non si ha mai modo di riflettere abbastanza: leggere "Senza Tregua" sarà una opportunità unica per conoscerli meglio ed essere più consapevole della realtà che ti circonda e di chi ti sta vicino. Siamo convinti che la conoscenza nella più vasta accezione del termine- sia, oltre che una vera e propria arma in grado di metterci al riparo dalle menzogne e dai ricatti con cui ogni giorno i governi cercano di dividerci e di opprimerci, un'eccezionale strumento per creare identità e unità tra le file di una generazione, la tua (la nostra), che appare sempre più sola e
rassegnata davanti a problemi (come la precarietà e la progressiva distruzione dei diritti acquisiti, istruzione pubblica compresa) apparentemente irrisolvibili e insormontabili, e lasciata in balia di "falsi profeti" vedi i vari "fascisti del terzo millennio", i "popoli viola", i "grilli parlanti" ecc- che, da "destra" come da "sinistra", non fanno altro che tentare di mettere "le pezze" proponendo soluzioni ridicole e imbarazzanti- a un sistema di cose talmente ingiusto e insostenibile da essere irriformabile. Un sistema capitalista che non meriterebbe altro che essere spazzato via. Senza Tregua, anche tramite questo giornale "comunista", si impegna a gettare le basi di questa unità , tanto cercata, ma ancora irrealizzata. Buona lettura.
FRASE DEL MESE “Quando l’ingiustizia diventa legge, la Resistenza diventa un dovere.” Bertold Brecht
Chi si nasconde dietro la crisi? Sono ormai due anni che sentiamo parlare di crisi economica, ma spesso è difficile per uno studente capire cosa accada realmente. Questo articolo è un tentativo di spiegare con parole più semplici possibile, ciò che accade, le sue cause e la possibile soluzione.
Ci
avevano detto che la crisi era finita. Almeno a stare a quanto politici ed economisti si affannavano a dire in televisione e sui giornali. La realtà dei fatti sembra proprio averli smentiti, e non sarebbe la prima volta. Tutti ne abbiamo sentito parlare, per motivare tagli, manovre e sacrifici, ma che cosʼè in realtà questa crisi? Da dove inizia e quali sono le sue cause reali? Nel 2008 il fallimento di una banca, la Lehman Brothers, aprì gli occhi sul mondo della fi n a n z a , s u l m o l t i p l i c a r s i a dismisura delle concessioni di mutui e sui cosiddetti derivati, uno strumento finanziario, simile alle scommesse, in cui le banche avevano investito quote rilevanti del loro capitale. Semplificando, è come se vi foste giocati tutti i vostri soldi alla snai e il vostro portafoglio fosse rimasto pieno di ricevute; una vincita possibile, o unʼaltrettanto possibile perdita. Nel caso di molte banche andò a finire nel secondo modo. Pochi anni prima una bolla immobiliare – ossia lʼaumento dei costi delle case – aveva spinto a concedere con facilità mutui e finanziamenti di varia natura, credendo di poter trarre grandi
guadagni da questa operazione. Ma le cose non andarono proprio così: tanti non riuscivano a pagare i mutui a causa dellʼimpoverimento dei lavoratori, e le case ipotecate, messe allʼasta in quantità considerevole per ripagare le banche del denaro prestato, rimasero invendute. Le operazioni finanziarie sulla bolla immobiliare, le famose scommesse di cui parlavamo prima, amplificarono lʼentità delle perdite. Quando fu chiaro che la maggior parte delle banche erano piene di questi titoli, e quindi di debiti, le banche iniziarono a fallire. La borsa crollò a ritmi vertiginosi e si incominciò a parlare di crisi. Subito tutti diedero la colpa alla finanza. Si iniziò a parlare di un ritorno alla vera economia, alla cosiddetta “economia reale”, basata sulla produzione. In molti segnalarono anche alcune analogie con la crisi del 1929, quando a partire dal crollo di Wall Street, nel mondo si diffuse una crisi senza precedenti, che sembrò travolgere lʼintero sistema capitalistico. Ma se allʼapparenza la finanza può essere considerata responsabile della crisi, tutte queste analisi non spiegano il
perché ad un determinato grado di sviluppo, questo sistema ha la necessità di ricorrere allo strumento fi n a n z i a r i o i n m o d o c o s ì marcato.Stando alle stime pubblicate sul Sole 24 ore questʼestate, lʼinsieme del prodotto interno lordo mondiale – ossia lʼintera ricchezza prodotta su tutto il pianeta – è pari a 74.000 miliardi di dollari. La “ricchezza” prodotta dalle borse mondiali è di circa 50.000 miliardi, dal mercato delle obbligazioni 95.000 miliardi e dai soli derivati 466.000 miliardi. Sommando queste ultime tre voci, si comprende come la finanza da sola arriva a produrre “ricchezza” per oltre 8 volte lʼintero prodotto interno lordo mondiale. Ma a chi vanno questi soldi? Quale livello di redistribuzione hanno? La stragrande maggioranza degli scambi finanziari non sono tassati, o lo sono in modo del tutto inadeguato. Questo accade perché sviluppandosi a livello internazionale è difficile riuscire nellʼimpresa, ma anche e soprattutto perché ogni volta che si è parlato di tassazione degli scambi finanziari, le voci di
critica e le spinte contro queste misure sono state fortissime. Così in tutto il mondo paga molto di più di tasse un normale lavoratore, sulla base del suo stipendio, che non chi specula in borsa. In questo immenso calderone ci sono anche piccoli risparmiatori che con buoni pensione, piccole somme hanno una parte di questo insieme. Ma nella maggior parte dei casi la finanza è in mano a pochi gruppi di speculazione, legati a multinazionali, banche e assicurazioni. Quando nel 2008 questo sistema era sullʼorlo del crollo gli Stati nazionali ricorsero a ingenti prestiti a fondo perduto – senza cioè obbligo di restituzione – alle banche, per salvarle dal fallimento. Per fare questo gli Stati utilizzarono soldi pubblici, andando in questo modo ad aumentare il debito pubblico. Il paradosso della situazione odierna è che gli stessi gruppi che furono salvati in questo modo, detengono la maggior parte dei titoli di credito del debito pubblico. Per di più le tanto famigerate agenzie di rating (Standard and Poors, Moodyʼs ecc..), quelle che decidono quanto è a f fi d a b i l e u n p a e s e n e l pagamento del debito, sono composte dalle stesse persone che siedono nei consigli di amministrazione delle banche, con un enorme conflitto di interessi. Tagliare il rating vuol dire rendere più difficile lʼacquisto di titoli di Stato e quindi far crescere i tassi di interesse, che al loro volta aumentano il debito pubblico. Un debito che è ormai composto in larga parte proprio da interessi su interessi, superando quelli che normalmente sarebbero i limiti dellʼusura. Di fronte a questa situazione il governo ha deciso una manovra da 55 miliardi di euro per frenare la crescita del debito pubblico. Tutto questo a costo di pesantissimi tagli ai servizi pubblici, scuola, università e sanità in testa, e aumento dellʼIVA, lʼimposta sul consumo che paghiamo ogni volta che acquistiamo un vestito, un cd, un libro o qualsiasi altro prodotto. LʼUnione Europea ha già fatto
sapere che di manovre come questa ne servirebbero altre entro fine anno. Alessandro Profumo, ex amministratore delegato di Unicredit, uomo vicino al Partito Democratico, ha addirittura stimato in 300 miliardi di euro lʼimporto della manovra che servirebbe a salvare lʼItalia. Tutto questo è giustificato nel nome dellʼinteresse della nazione e della necessità di salvare lʼItalia dal baratro. Questa truffa dellʼinteresse nazionale è ben nota. Si dice “siamo tutti sulla stessa barca” ma è difficile credere che un manager come Marchionne, che guadagna centinaia di volte lo stipendio di un suo lavoratore, sia nella stessa condizione di una precaria con una famiglia sulle spalle ed un mutuo sulla casa, che a stento arriva a metà del mese. Le barche sono ben diverse, ma la politica non la pensa così. Centrodestra e centrosinistra, confindustria e sindacati confederali (almeno la maggior parte…) sono sostanzialmente dʼaccordo sulla necessità di trovare in questo momento la famosa unità nazionale, e sebbene con alcune differenze, ritengono la manovra necessaria e misure di questo genere indispensabili. Ma è davvero così? E soprattutto cʼè soluzione a questa crisi? La domanda serpeggia tra moltissimi, ma non troverete mai nessuna risposta dalla politica e dagli economisti nostrani, e questa situazione contribuisce in parte allʼenorme allontanamento di larghi strati della popolazione dallʼinteresse per una politica, che non sembra in nessun modo in grado di comprendere il problema, prima ancora che di risolverlo. Ciò che appare evidente è che si tratta di una crisi in cui agli elementi di soluzione non è consentito di svilupparsi con la velocità necessaria. Chi domina – intendendo con ciò governo, opposizione, industriali – non è in grado di risolvere la crisi, ma mantiene un potere fondamentale: evitare che le forze che possono farlo si sviluppino. Tutto ciò in definitiva
Chi domina non è in grado di risolvere la crisi, ma mantiene un potere fondamentale: evitare che le forze che possono farlo si sviluppino. Tutto ciò in definitiva ottiene come unico risultato quello di prolungare la crisi stessa. ottiene come unico risultato quello di prolungare la crisi stessa. Di fronte ai provvedimenti del governo si ha lʼidea di una cura palliativa; il malato non si può curare e si fa solo in modo che stia leggermente meglio, ma ormai tutti hanno perso le speranze di salvarlo. Ma la vera motivazione è che non si può parlare della malattia, perché il suo nome è impronunciabile, o meglio si potrebbe pronunciarlo, ma per farlo si dovrebbero mettere in discussione tutte le leggi fondamentali della nostra economia. Alla base del sistema capitalistico cʼè la logica del profitto; detto in altre parole lʼobiettivo della produzione è guadagnare. Nel fare questo la produzione muta la ragione stesa della sua necessità. Lʼobiettivo è guadagnare, non più soddisfare i bisogni dellʼuomo. Alla lunga tra la necessità del soddisfacimento dei bisogni dellʼuomo e la volontà di trarre profitto, si crea una frattura incolmabile, con la spinta a produrre ciò che consente sempre maggior guadagno. Ma a questo guadagno non è detto che corrisponda un altrettanto bisogno. Prendiamo lʼindustria farmaceutica come esempio. Produrre medicine contro lʼAIDS sarebbe una necessità per lʼumanità, ma la popolazione che andrebbe ad
usufruirne, principalmente del terzo mondo, non ha i soldi per accedere a queste medicine. Ce ne sarebbe bisogno, ma non cʼè possibilità di trarne profitto adeguato. Cavalcare mediaticamente la presenza di qualche virus mutato in una parte del mondo, diffondendo il timore di una pandemia imminente e costringendo gli Stati a comprare ingenti scorte di vaccini, per poi scoprire che la pandemia non cʼè e che tutto si risolve in una banale influenza, crea molto profitto. Ma non cʼentra nulla con i bisogni dellʼuomo. Lʼesempio potrebbe continuare allʼinfinito e basta citare a questo proposito lʼespansione senza limite del sistema pubblicitario, che ha lo scopo proprio di indurre il bisogno, anche dove non cʼè. Già duecento anni fa Karl Marx parlava di questa contraddizione insanabile del sistema capitalistico e ricordava come la sovrapproduzione vada intesa come differenza di produzione tra ciò che da profitto e ciò che soddisfa un bisogno. Eʼ questa sovrapproduzione che innesca una spirale infinita fatta di merce invenduta, riduzione dei posti di lavoro, contrazione dei consumi. Proprio come un cane
LʼUnione Europea in Italia è un taboo. Parlarne male è quasi impossibile, specie a sinistra. Eppure nellʼattuale crisi e nella condizione dellʼItalia lʼUnione Europea ha qualche responsabilità. Quando fu creata la Comunità Europea il suo pilastro fondamentale da subito fu lʼidea della libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali. Creare un mercato unico europeo ed uniformare il livello dei paesi membri era lʼobiettivo principale. Ma a che prezzo? E soprattutto per il guadagno di chi? Non nascondiamo che lʼidea di unʼunione di stati, sia di per sé unʼidea affascinante. La libertà di circolazione ha sicuramente lati positivi e perfino la moneta unica,
che si morde la coda, che nessuno riesce a fermare. Qui entra in gioco la finanza, che è un tentativo di rimediare a questa contraddizione insanabile del sistema capitalistico, facendo soldi con i soldi, ed evitando quindi, o riducendolo al minimo, il contatto con la produzione reale. Ma la finanza è un poʼ come la febbre, non è lʼorigine del male, ma il suo sintomo. Tutto questo è completamente assente nel dibattito politico, non solo italiano, ma anche a livello internazionale. Ma questa crisi non potrà essere definitivamente risolta fino a quando non si metterà in discussione proprio la logica del profitto, base sulla quale tutto il sistema si regge in piedi. Nel frattempo la crisi sta risvegliando i popoli dʼEuropa. In Grecia milioni di lavoratori scendono in piazza contro il ricatto della Unione Europea e delle banche, per rivendicare i loro diritti. Anche in Italia qualcosa inizia a muoversi e Senza Tregua è stata in prima fila in questi giorni per spiegare quanto sta accadendo ed organizzare lʼopposizione a questi provvedimenti.
In primo luogo diffondendo lʼanalisi reale di questa crisi e la consapevolezza della necessità di non pagare il debito pubblico e restituire al mittente – banche e grandi gruppi finanziari - il tentativo di scaricare sui lavoratori e sui giovani il costo della crisi, continuando a trarre profitto sulle nostre spalle. Alcuni mesi fa in Grecia, i militanti del Pame, il sindacato comunista dei lavoratori greci, hanno esposto uno striscione con scritto “organizziamo il contrattacco”. È una parola dʼordine che facciamo nostra, stanchi di anni di guerra di posizione per difendere posizioni destinate alla sconfitta. Non è più tempo di rispondere con controproposte o altre riforme che non troveranno nessuno spazio, è ora di organizzarsi e lanciare un vero e proprio contrattacco. Per il futuro dei giovani, per la libertà dei popoli dʼEuropa. Per un sistema diverso, fondato sulla solidarietà e la giustizia sociale e non sullo sfruttamento dellʼuomo sullʼuomo. Perché il capitalismo non è e non sarà mai lʼultimo orizzonte della storia.
che evita il fastidio del cambio è stata salutata da tutti come una grande innovazione di progresso. Ma guardando un poʼ più in là del nostro naso, la realtà è ben diversa. La perdita della moneta nazionale porta con sé la perdita totale di sovranità monetaria del Paese, impedendo al governo e alla Banca dʼItalia qualsiasi misura di regolazione del valore della moneta. Questo implica anche la perdita di sovranità in materia di pubblica finanza, perché costringe i governi a misure obbligate. La libera circolazione dei capitali rende quasi impossibile una tassazione reale sugli scambi finanziari, pena la fuga dei capitali allʼestero, e rende ogni nostra attività economica (dalle imprese, alla
gestione dei servizi turistici) preda di grandi gruppi imprenditoriali e finanziari internazionali, contro cui non è possibile mettere nessun limite. I lavoratori sono esposti al continuo ricatto di manodopera a basso costo proveniente da paesi della UE di recente ingresso, che hanno lʼobiettivo di livellare al ribasso le tutele e i diritti dei lavoratori. Un governo europeo, non eletto da nessun cittadino, decide in larga parte sulle nostre spalle, e ai Parlamenti nazionali e agli stessi governi, non resta che ratificare decisioni già prese, sempre a favore delle banche, mai dei lavoratori. Forse è ora di iniziare a guardare alla Ue in un altro modo...
Contro lʼUE
Crisi? La risposta dellʼIslanda.
pensa
Mentre il governo affossa il paese con una manovra distruttiva nei confronti delle già vessate classi media e bassa, la frase ripetuta più spesso, il postulato che giustifica ogni picconata scagliata contro lavoratori dipendenti, precari, e di tutti coloro che mandano avanti questa nazione riuscendo a malapena a raggiungere la fine del mese, è la seguente: “LʼEuropa ce lo chiede”. Il senso di questa frase sentita dire tanto spesso in questi giorni è che in Italia, come in Spagna e come già accaduto in Grecia, di fronte allʼincapacità del governo di gestire la crisi, la Banca Centrale Europea ha imposto la realizzazione di una manovra che consentisse di pareggiare il bilancio e ridurre il debito pubblico, ovvero il debito che lo Stato ha nei confronti delle banche.Da nessuna fazione politica è stata messa in dubbio la necessità di obbedire a questo diktat, e il dibattito è stato focalizzato sul come realizzare questa manovra nella maniera meno dolorosa per la popolazione. Ma è sicuro che obbedire allʼEuropa e sacrificarsi per pagare il debito accumulato nei confronti delle banche sia lʼunica soluzione possibile? Nel silenzio generale di tutte le fonti dʼinformazione, proprio da questa crisi è emerso un caso unico nel mondo capitalista occidentale. Fino alla metà del decennio scorso, lʼIslanda aveva un benessere e un tasso di crescita tra i più alti del mondo. Ma nel 2006 le tre banche principali islandesi entrarono in crisi, e nel 2008, quando la crisi coinvolse tutto il mondo capitalista, trainata dal grosso delle borse americane, esse si trovarono in debito di miliardi di dollari, soprattutto verso banche olandesi e inglesi. Il Fondo Monetario Internazionale accettò di aiutare con ingenti prestiti il premier islandese Geir Haarde(a capo di una coalizione conservatrice) a patto che lo stato nazionalizzasse le banche, accollandosi anche i loro
debiti. Quindi il governo presentò una manovra economica che consentisse di restituire alle banche europee creditrici 3,5 miliardi di euro, con una tassa speciale per tutti i cittadini islandesi di circa 100 euro al mese, per 15 anni. Fino a qui la situazione sembra prettamente speculare a quella greca o a quella che si sta profilando in Italia, ma nel 2010 arriva la svolta. Dopo mesi di proteste da parte di tutta la popolazione, nel marzo del 2010, il presidente della repubblica islandese Olafur Ragnar Grimsson si rifiutò di ratificare la manovra, ed indisse un referendum popolare affinché fossero i cittadini a decidere se pagare o meno il debito. Il 93% della popolazione si espresse contro la restituzione del debito, e da questa decisione scaturì lʼira di Olanda ed Inghilterra, che minacciarono di “isolare” economicamente lʼisola, e del FMI che annullò il prestito concesso. Eppure la rivalsa dei cittadini islandesi non si è esaurita, i responsabili della crisi, ovvero i principali dirigenti delle tre banche islandesi, sono stati rinviati a giudizio, e 3 giorni fa lo stesso ex premier Haarde è stato messo sotto indagine per il non avere saputo agire correttamente di fronte alla crisi. E lʼonda di cambiamento non
Il 93% della popolazione si espresse contro la restituzione del debito, e da questa decisione scaturì lʼira di Olanda ed Inghilterra, che minacciarono di “isolare” economicamente lʼisola, e del FMI che annullò il prestito concesso. è finita così: il 27 novembre 2010 vengono eletti 25 tra circa 500 cittadini candidati, per costituire unʼassemblea costituente che andasse a sostituire la precedente, promulgata nel 1944. Ma i membri dellʼassemblea hanno agito dialogando con tutto il popolo, arrivando ad accogliere richieste formulate e sottoscritte dai cittadini attraverso internet, e organizzando assemblee popolari lungo tutto il territorio. Così la prima bozza della nuova costituzione islandese verrà sottoposta al voto del parlamento il prossimo 1 ottobre. Il nuovo governo, formato da una coalizione di sinistra e guidato da Jóhanna Sigurðardóttir (primo capo di governo al mondo dichiaratamente omosessuale), ha difeso il sistema pubblico dallo smantellamento e dalla privatizzazione, ed il futuro dellʼIslanda si prospetta sicuramente più roseo del nostro. NUNC REDIT ANIMUS: Quanto successo dimostra che la sovranità di uno stato non appartiene alle banche o alla comunità europea, e nemmeno ad una classe politica imbarazzante, ma unicamente al popolo.
Quest'estate si sono verificati nell'isola di sua maestà, vari incidenti di ordine pubblico, vere e proprie scene di guerriglia urbana. Interi quartieri sono stati messi a ferro e fuoco, con negozi, abitazioni ed auto devastati. Ma cosa ha scatenato i “riots” inglesi e da chi erano composte le fila dei rivoltosi? A far scattare la scintilla della violenza popolare è stata la morte di Mark Duggan un ragazzo di 26 anni ucciso dalla polizia, ma come spesso accade, non basta un singolo episodio a spiegare da solo quanto avvenuto. Lo si capisce bene analizzando la
composizione sociale di quanti hanno partecipato alla rivolta. Molti di essi sono giovani abbandonati a se stessi per le strade di periferia senza alcun supporto, né territoriale i fondi per i progetti giovanili sono stati tagliati del 75% né scolastico - difatti molti di loro abbandonano gli studi. Per non parlare delle condizioni di povertà; in alcune zone il 44% dei bambini infatti vive sotto la soglia di povertà. Se queste presenti condizioni non bastassero a far ribellare i giovani bisogna aggiungere un futuro di precarietà o disoccupazione. Nel Regno Unito quasi un giovane su 5 è disoccupato. Oltre ai giovani tra i ribelli cʼerano anche disoccupati, lavoratori sottopagati o lavoratori di imprese che avevano subito un processo di delocalizzazione ( come detta il mercato liberista ), e ceto medio impoverito,
quella classe sociale di cui, 150 anni fa, Marx aveva pronosticato lo schiacciamento a livelli di povertà proprio dal capitalismo e dalle sue crisi. A questo contesto deve essere aggiunta la crisi economica e le recenti riforme che il governo conservatore ha preso. Nel regno unito come nel resto d' Europa, per ovviare alla crisi economica la ricetta è: tagli e sacrifici per i più poveri. Ciò che è avvenuto nel Regno Unito al momento non porta con se nulla di rivoluzionario. É importante però avere ben chiaro le cause delle rivolte, e il fatto che sebbene in modo disorganizzato c'è stata una reazione da parte dei più deboli. Ciò fa ben sperare. Se si riuscisse a ricostruire un idea di società basata sull'uguaglianza sociale forse quella rabbia potrebbe trasformarsi in un cambiamento reale della società.
Londonʼs burning
London's burning cantavano i Clash negli anni 70/80, e brucia anche ora a più vent'anni di distanza insieme ad altre città del Regno Unito.
Què pasa en America Latina?
A causa dei riflettori da tempo puntati esclusivamente sul Medio Oriente, è passato relativamente inosservato quel forte vento di rivoluzione che da diversi anni a questa parte sta soffiando in quello che gli Stati Uniti chiamavano il "cortile di casa ". Chiamavano, perchè le cose sono cambiate. Complice la "guerra al terrorismo" che vede gli Stati U n i t i i m p e g n a t i d a l l ' 11 Settembre 2001, dopo tanto tempo l'America Latina non è più un "obiettivo prioritario". Questa situazione, nuova per quest'area da sempre costretta a sopportare l'ingerenza degli yankees, ha permesso in sempre più paesi lo sviluppo e il consolidamento di partiti, sindacati e movimenti di ispirazione democratica e popolare, un fatto senza precedenti nella storia dell'America Latina. In pochi anni l'area simbolo dello strapotere americano si è trasformata nel continente con più governi social-comunisti del mondo. Ma andiamo con
ordine. In principio è stato il Venezuela. Questo paese, ricco di petrolio e di risorse naturali, ma i cui proventi finivano tutti nelle tasche delle multinazionali straniere, aveva visto la qualità della vita dei suoi abitanti abbassarsi sempre di più nel corso degli anni novanta, a causa delle privatizzazioni e dei tagli imposti al governo venezuelano dagli Stati Uniti. Stanchi di questa situazione, i venezuelani si organizzarono per le prime vere elezioni democratiche del Dicembre 1998. Guidato dall'allora ufficiale dell'esercito Hugo Chavez, il Polo Patriotico, composto da tutti i partiti della sinistra (socialisti, comunisti, socialdemocratici) ottenne una schiacciante vittoria sui conservatori, grazie soprattutto all'immenso supporto ricevuto dalle fasce più povere della popolazione. Insediatosi al governo ai primi di Febbraio, Chavez non perse tempo: dopo nemmeno un mese venne varato il Plano Bolivar 2000, che per la prima
volta fornì a grandi fasce della popolazione istruzione, assistenza medica e servizi di vario genere, lussi fino ad allora riservati solo ai più benestanti. Forte del consenso popolare, nella primavera del 1999 promosse il primo referendum della storia del Venezuela, per riscrivere quella costituzione ritenuta ingiusta e obsoleta, uno scomodo residuo dei passati governi. La risposta popolare fu strabiliante: quasi il 90% dei venezuelani si disse favorevole alla proposta. Con questa nuova costituzione, che garantiva il diritto all'istruzione, alla casa e alla salute, e difendeva i diritti delle minoranze indigene, e avendo vinto con una percentuale anche maggiore delle precedenti le elezioni del 2000, il governo di Chavez continuò con ancora più decisione le sue politiche a favore dei lavoratori. Politiche che erano ovviamente malviste dal governo americano, che nel 2003 fi n a n z i ò e a p p o g g i ò
segretamente un colpo di stato delle destre, che in breve presero il controllo dei centri nevralgici della capitale e catturarono lo stesso Chavez. I golpisti non avevano però fatto i conti con il popolo, che scese nelle strade in massa per fermare questo colpo di stato e liberare il loro presidente democraticamente eletto. Caso più unico che raro, ci riuscirono: l'esercito si ritirò, i golpisti si arresero e Chavez fu liberato; il colpo di stato appoggiato dalla CIA fallì, e gli USA dovettero rinunciare alle loro mire imperialiste sul Venezuela. Avendo visto in faccia la brutalità dell'imperialismo americano il governo venezuelano decise di accelerare i propri sforzi, e per il Venezuela iniziò una nuova fase, quella del Socialismo del XXI Secolo, basato su tre principi fondamentali: il potere popolare, la giustizia sociale e la sovranità nazionale. In quegli anni infatti sorsero consigli di fabbrica e comitati di quartiere in ogni zona del paese, garantendo al popolo venezuelano un altissimo livello di partecipazione alla politica, vennero aperti un gran numero di negozi gestiti dallo stato che garantivano beni di consumo di vario genere a prezzi popolari, per andare incontro alle esigenze dei meno abbienti, e l'influenza degli Stati Uniti nella politica venezuelana, prima pressoché totale, diminuì drasticamente. Grazie agli enormi risultati del suo governo, Chavez vinse le seguenti elezioni del 2006 con poco meno di
3/4 dei voti, un risultato che rifletteva chiaramente la popolarità e l'efficacia di queste politiche, finanziate con i proventi di quelle imprese (in particolare petrolifere), ora nazionalizzate e spesso controllate dai lavoratori stessi, che in altri tempi sarebbero andati nelle tasche delle multinazionali. Ancora adesso il Venezuela continua la sua lotta per una società più giusta ed equa, continuando a raggiungere risultati nel campo dell'istruzione e della sanità sempre più vicini agli standard dei paesi occidentali, mentre intanto tesse relazioni sempre più strette con i governi "amici" della regione tramite l'ALBA, nata per favorire gli scambi commerciali tra i paesi dell'America Latina. Proprio all'ALBA appartengono alcuni dei paesi che sulla scia del Venezuela riuscirono a liberarsi dal giogo degli USA e ad avviare i programmi sociali più efficaci. Per primo fu l'Equador nel 2005, quando l'Alianza PAIS (Patria Ativa I Soberana) guidata da Rafael Correa, forte anche del sostegno degli Indios (quasi il 25% della popolazione), vinse le elezioni e avviò una serie di riforme volte a eliminare la povertà, entrando più volte in conflitto con il Fondo Monetario Internazionale e gli Stati Uniti stessi, rifiutando le loro direttive, ma garantendo ai lavoratori uno stato di crescente benessere dopo anni di instabilità. Nello stesso anno in Bolivia anche Evo Morales, leader del MAS (Movimiento Al Socialismo), ex-
A
maggio di questʼanno, il presidente cileno Sebastian Pinera, in un discorso tenuto alla nazione ha annunciato unʼimminente riforma del sistema formativo. Il cardine della riforma è lʼidea che il sistema scolastico sia un “bene di consumo” e che pertanto il controllo statale sullʼistruzione debba cedere il passo al ricorso ai privati. Lʼistruzione, come abbiamo visto anche nel nostro Paese, non è più un servizio che lo Stato assicura ai cittadini, indipendentemente dalla loro condizione economica, ma qualcosa su cui trarre profitto. Questa riforma ha scatenato unʼ enorme ondata di proteste studentesche in Cile, che è andata avanti per tutta lʼestate. Gli studenti chiedono al contrario un sistema dʼistruzione pubblico e la possibilità di accesso per tutti, senza discriminazioni. Lʼaccesso alla scuola comporta infatti per la maggioranza degli studenti cileni, la necessità di chiedere prestiti e contrarre debiti elevatissimi. Imponenti manifestazioni studentesche a cui si sono uniti anche i sindacati ed i partiti dʼopposizione hanno paralizzato il Cile per giorni interni.Il 21 agosto mezzo milione di persone si riuniscono in una marcia culminata con un concerto in cui intervengono anche gli Inti Illimani, e torna a risuonare El pueblo unido. Leader della protesta, la giovane studentessa comunista Camilla
Camilla conquista il Cile
Vallejo. La protesta si sta ora allargando e sta assumendo sempre più i tratti di una 1rivolta popolare contro il governo. Nonostante uno studente, ucciso negli scontri con la polizia, la protesta continua. E stando ai sondaggi ottiene il 77% del consenso della popolazione cilena, contro un consenso del governo che è oramai sceso sotto il 30%.
sindacalista e appartenente alla etnia Aymara, vinse le elezioni presidenziali con più del 50% dei voti, grazie al supporto decisivo dei contadini poveri e delle minoranze, divenendo il primo presidente Indios della storia del paese. Avviò una vasta riforma della terra, nazionalizzò industrie e miniere precedentemente nelle mani delle multinazionali straniere e ridiede dignità alle varie etnie Indios da sempre represse dal governo centrale. Gli sforzi del governo di Morales furono premiati quando nel 2009 il MAS vinse ancora con il 64% dei voti, raggiungendo percentuali anche più alte nelle zone più arretrate e in difficoltà del paese, a riprova del forte sostegno popolare del presidente.Altro importante membro dell'ALBA è il Nicaragua, dove il Frente Sandinista de Liberación Nacional tornò al governo nel 2006, dopo essere stato rovesciato nel 1990 a causa di una feroce guerra civile foraggiata dagli Stati Uniti. Il presidente Daniel Ortega continuò il lavoro iniziato nel 1979 e interrotto dieci anni dopo: alfabetizzazione della popolazione, aumento della spesa sociale e lotta alla povertà causata da anni di guerra e sfruttamento. A causa della pressione degli Stati Uniti i risultati sono stati più modesti che negli altri paesi, ma la segunda revolucion sandinista continua.Per quanto appartenga a un'altra fase della storia dell'America Latina, è
importante segnalare che anche l'isola di Cuba è parte dell'ALBA, e anzi bisogna sottolineare che molti di questi processi democratici ancora in atto non sarebbero probabilmente avvenuti senza l'appoggio (i medici e gli insegnanti cubani per decenni hanno portato il loro aiuto nelle regioni più remote del Sud America, nonostante le d i f fi c o l t à l e g a t e a l l ' e m b a r g o statunitense tuttora in atto) e soprattutto l'esempio dato dalla rivoluzione cubana: non è un caso che molte delle riforme e dei programmi attuati si ispirino infatti a quest'ultima.Condivide lo stesso spirito rivoluzionario di questi paesi (pur non aderendo all'ALBA) il Brasile, una nazione dalle grandissime potenzialità, ma schiacciato da decenni di corruzione e malgoverno. Luiz Inacio Lula da Silva, capo del Partido dos Trabalhadores (di ispirazione socialista) vinse le elezioni del 2002, e varò una serie di riforme in favore dei lavoratori e avviò una serie di progetti con l'obiettivo di aiutare i più poveri, in un paese dove la fame, le malattie e la criminalità mietevano ancora innumerevoli vittime. I risultati positivi di queste politiche gli assicurarono la vittoria anche nel 2006, e questo secondo governo fu incentrato principalmente sul rafforzamento dell'economia brasiliana, tramite incentivi alle imprese e resistendo alle privatizzazioni e alla pressione delle
banche. Nel 2010 il Partido dos Tr a b a l h a d o r e s v i n s e a n c o r a , stavolta guidato da Dilma Rousseff (con un passato di guerrigliera contro il regime militare alle spalle), e conta di proseguire lungo la strada tracciata negli anni precedenti. Il Brasile è ora l'ottava economia più grande del pianeta, il suo indice di povertà è costantemente in calo e le sue conquiste nel campo dell'educazione e della sanità sono riconosciute a livello mondiale.Altri governi di sinistra, ugualmente progressisti ma più moderati, nacquero in altri paesi dell'America Latina come il Paraguay, dove l'Alianza Patriótica por el Cambio guidata dal carismatico ex-cardinale Fernando Lugo ottiene buoni risultati dalla sua elezione nel 2008; l'Uruguay, dove il Frente Amplio di ispirazione socialista guida dal 2004 il paese verso la giustizia sociale e la stabilità economica; l'Argentina, dove il Partido Justicialista lotta per rimettere in sesto il paese dopo la catastrofe dei "bond argentini". Anche l'Honduras poteva vantare un moderato governo di centro-sinistra, spazzato via però da un colpo di stato militare nel 2009. Dopo decenni di povertà e di sfruttamento l'America Latina sta trovando nel socialismo la sua via al progresso, tra mille difficoltà e sacrifici, ma con risultati positivi riconosciuti da tutto il mondo. E noi?
Quellʼ11 settembre dimenticato In occasione del decimo anniversario dellʼattacco alle Torri Gemelle lʼinformazione italiana ha dato ampio spazio alle immagini dellʼaccaduto ed a programmi di approfondimento sullʼargomento. Ma cʼè un altro 11 settembre, che viene sempre dimenticato. Era il 1973 e un golpe militare guidato dal generale Pinochet, con lʼappoggio ed il sostegno della CIA e del governo degli Stati Uniti, rovesciò il governo di Salvador Allende, democraticamente eletto dal popolo cileno. Henry Kissinger, segretario di stato americano affermò che non si poteva “stare a guardare mentre un paese diventava comunista per colpa dellʼirresponsabilità del suo popolo”. Noi quellʼ11 settembre del 1973 non lo dimentichiamo.
Un viaggio nella scuola pubblica che inizia in questo numero con lʼinchiesta condotta da Senza Tregua sullʼaumento del costo dei libri di testo. Quali le truffe più diffuse, quali le possibili soluzioni per garantire realmente a tutti lʼaccesso allʼistruzione.
Cara scuola Per chi suona la campanella? Stando ai dati ufficiali sono circa 8 milioni gli studenti che anche questʼanno frequenteranno le scuole italiane di ogni ordine e grado. In crescita il numero degli studenti al centro e al nord-ovest, in calo al sud, nelle isole e al nord-est. Il primo impatto delle famiglie sarà, come al solito, con i rincari dei libri di testo. Lʼanno scorso Senza Tregua ha condotto unʼindagine su circa 80 scuole romane da cui risultò che il 56,88% delle 2.129 classi analizzate superavano la soglia stabilita per legge dal Ministero. Lʼinchiesta - reperibile sul nostro sito www.senzatregua.org mise in luce le differenze tra le diverse tipologie di scuole. Risultarono ovviamente dati abbastanza prevedibili: i licei classici in testa con una spesa media di circa 320 euro lʼanno, seguiti da licei scientifici , con una spesa di poco inferiore. Gli istituti tecnici scendevano a circa 250 euro ed i professionali a meno di 200 euro. Tutto questo al netto di spese aggiuntive (vocabolari, materiale) molto sentiti anche nei licei artistici e nei linguistici. Questʼanno abbiamo aggiornato la nostra
inchiesta - che sarà presto disponibile sul sito - ma i risultati non sono di certo migliorati. Tra le truffe rilevate, quella dei libri consigliati, un modo losco di aggirare i tetti ministeriali, facendo figurare testi utilizzati a tutti gli effetti, come facoltativi. Ma la truffa ben più grande è giocata dalle case editrici. Nonostante i buoni propositi e i proclami di Ministro appena eletto, il dominio delle case editrici sui libri di testo resta sempre immutato. Gli aggiornamenti dei libri sono nella stragrande maggioranza dei casi solamente di facciata. Basta inserire nuove pagine inutili, magari di qualche collegamento che non ha direttamente a che fare con il programma, per creare una nuova edizione, che nella sostanza n o n d i ff e r i s c e i n n u l l a d a l l a precedente, salvo costituire un ostacolo allʼacquisto a prezzi inferiori dei libri usati. Unʼaltra truffa ricorrente è lʼaumento progressivo del costo di un libro di testo a seconda dellʼanno. Se si prendono ad esempio alcuni dei più noti e diffusi libri di testo di materie che proseguono per più di un anno specie gli ultimi tre anni - arrivano ad aumentare anche del 50%. Ad esempio un libro di storia, o di filosofia, stessa casa editrice, stessa collana, stesso autore arriva a costare molto di più lʼultimo anno.
La spiegazione è molto facile. Una volta fatto una anno o addirittura due con un testo è difficile, e anche controproducente, cambiarlo. le case editrici lo sanno bene e ne aumentano il costo, certe di ricavarne vantaggio. Così il paradosso è che sono proprio gli ultimi anni, spesso, ad essere i più costosi, proprio per questo motivo. Il fatto è che lʼistruzione non dovrebbe essere un qualcosa su cui trarre profitto. Noi di Senza Tregua da tempo sosteniamo la necessità di una vera rivoluzione nel campo dei libri di testo. Internet e le nuove frontiere che la tecnologia ha aperto consentono il superamento di questo sistema e la cessione a titolo gratuito di testi su supporti informatici. In poche parole al posto di comprare un libro, di cui alla fine si usano, si e no, un terzo delle pagine, avere gratuitamente i testi on line ed utilizzare quanto necessario. Certo questo vuol dire mandare via lʼidea del profitto dalla scuola e nessun governo ha intenzione di farlo. Ma magari sarebbe un modo per evitare che gli studenti del Sud, nord -est e delle isole continuino ad abbandonare la scuola. Questa apparentemente può sembrare unʼaltra storia, ma secondo noi, non lo è del tutto... il viaggio continua
Il test della Grattachecca “Nei pressi del noto Liceo Tacito di Roma si trova la “grattachecca di Sora Maria”, molto nota tra i giovani romani. Sapresti indicare quali sono i gusti tipici serviti? Menta, limone, amarena, cioccolato…” Tutto bene se non fosse che la domanda è stata presentata agli aspiranti studenti di medicina che si presentavano alle durissime selezioni imposte dal numero chiuso per la facoltà dellʼuniversità La Sapienza. Questa della grattachecca è solo lʼultima - e certamente la più simpatica - delle trovate che ogni anno animano questi test. E subito sono scoppiate le polemiche contro la presenza di una domanda, ritenuta effettivamente abbastanza inutile
ed inopportuna. Ma il ragionamento non dovrebbe fermarsi qui. Questa domanda testimonia lʼassurdità del modello del test che sempre di più si sta diffondendo nellʼuniversità, ed ora anche nella scuola. Lʼidea del nozionismo, incarnato dalle famose domande di “cultura generale” alla fine è proprio questa. Domande che cʼentrano poco o nulla con lʼambito per il quale dovrebbero essere poste; nessuna possibilità di ragionamento, ma solo una crocetta da mettere. Spesso poi si scopre che la soluzione non è così univoca come sembra e molti test vengono annullati o rivisti successivamente. Questa storia della grattachecca tuttavia rischia di far passare in secondo piano quelle che sono le reali problematiche legate ai test universitari e alla politica del numero chiuso. Prendendo proprio
lʼesempio di medicina, tutti sono convinti che i medici siano in sovrannumero e che nei prossimi anni, senza la politica del numero chiuso, ci sarebbero più medici ed infermieri di quanti ce ne vorrebbero. Lʼidea è radicatissima, ma niente di più falso. Tra pochissimi anni, causa il numero chiuso ed una precisa scelta di politica economica, non ci saranno medici sufficienti per garantire la copertura attuale del sistema sanitario nazionale. Per non parlare poi della composizione sociale di quanti riescono nellʼimpresa. Senza contare favoritismi e trucchi di vario tipo, sono sempre di più i frequentanti di medicina che hanno un parente medico, o vengono da famiglie di medio/alti professionisti. Sono gli unici a potersi permettere gli studi...altro che grattachecca!
E la Gelmini ci riprova con lʼInvalsi Evidentemente al Ministro non è bastata la sonora bocciatura ricevuta dagli studenti lo scorso giugno. In occasione delle prove di valutazioni dellʼInvalsi a Roma il boicottaggio toccò cifre record. La campagna di sensibilizzazione degli insegnanti da parte dei Cobas, e degli studenti effettuata da Senza Tregua riuscirono a far saltare la valutazione statistica in moltissime scuole. Ma a quanto
trapela da alcune indiscrezioni al ministero si sta lavorando ad un progetto di legge che inserisca il test invalsi direttamente come terza prova dʼesame. Dopo la scuola elementare e la terza media, si chiuderebbe definitivamente il cerchio su questa storia. Ma giuriamo al Ministro che le cose non andranno così lisce e che lʼopposizione degli studenti non
sarà cosa da poco. La terza prova è già un caos così, ci manca solo che diventi prova nazionale e per di più con le solite crocette che come capitato lʼanno scorso - si sbaglia sempre a correggere. Per di più se lʼobiettivo è finanziare le scuole in base ai risultati e dividere scuole di serie A e di serie B, rispediamo al mittente la proposta.
Sogno eretico
Il primo marzo di questʼanno Michele Salvemini, in arte Caparezza, ha pubblicato “Il sogno eretico”, quinto album di una carriera ricca di successi, che lo ha accreditato come uno degli artisti più interessanti del panorama italiano Questo rapper “atipico” ha attirato la nostra attenzione per la sua capacità, allʼinterno di una realtà musicale sempre più superficiale e prevedibile come sta diventando quella del nostro paese, di trattare tematiche di un certo peso e rimanere originale nello stile, ottenendo comunque grandi apprezzamenti dal pubblico e dalla critica. Il suo ultimo lavoro, come si intuisce dal titolo, segue come filo conduttore il tema dellʼeresia, lʼesaltazione di un pensiero libero, mai piegato a nessun tipo di dogma, che sappia provocare e
liberare lʼuomo da tutte quelle false verità che lo rendono schiavo. Caparezza ci mostra subito di avere una certa familiarità con alcuni degli eretici più importanti della storia, impersonando, nella “title track” dellʼalbum, Giovanna dʼArco, Savonarola e Giordano Bruno, tutti e tre morti sul rogo per le loro azioni ed il loro pensiero dissonante con la morale della società in cui vivevano. Non può mancare poi un riferimento a Galileo, costretto dalla Chiesa a rinnegare il proprio pensiero; lʼartista, sfruttando il presto reale dellʼesposizione del dito medio dello scienziato, (che effettivamente si può ammirare allʼinterno del “museo della scienza di Firenze”) , immagina una rivalsa del pensiero laico attraverso questa “nuova reliquia”. Ma Caparezza non si limita a rievocare gli eretici del passato e in tutto il CD ripropone
questo atteggiamento provocatorio verso i temi più disparati; da un certo tipo di televisione in “Cose che non capisco”, a la falsa sicurezza che si crede di avere nelle proprie case in “House Credibility”, dalle profezie apocalittiche deʼ “la fine di Gaia”, fino a un industria musicale tutta concentrata sulle apparenze e completamente dimentica della sostanza in “chi se ne frega della musica”, lʼartista deride la realtà contemporanea, e forse vale anche in questo caso il detto secondo il quale si ride per non piangere.
Impeccabile nel suo lato comico, poi, il rapper pugliese si mostra capace di affrontare anche temi profondi, con un tono diverso dal consueto,
come in “non siete stato voi” che forse è quello che descrive meglio lʼ Italia allo sfascio, ricolma di ipocrisia, divisa fra le leggi ad personam fatte per un premier e un opposizione praticamente inesistente che ormai tutti conosciamo bene. Dʼaltronde su questo tono continuano vari altri pezzi come “Legalize the premier” , scritto in collaborazione con Alborosie, e “Goodbye Malinconia”, il cui ritornello è cantato da Tony Hadley, senza poi dimenticare però che il degrado della vita politica italiana è parallelo a quello della sua realtà sociale e culturale e infatti nella “Marchetta di Popolino”, a sua detta “il pezzo più violento che abbia mai scritto da quando scrivo con consapevolezza” Caparezza mischia riferimenti ai personaggi del celebre fumetto “Topolino” alla descrizione di un popolo ipocrita, doppiogiochista, opportunista e avido, quello che può essere prodotto da una realtà sterile, priva di alternative, nella quale cultura e informazione sono completamente nelle mani delle classi dirigenti. In conclusione crediamo che questo artista sia uno dei pochi allʼinterno della musica commerciale italiana che, nonostante le mille contraddizioni, riesce ancora, con i suoi testi, a criticare con consapevolezza la realtà che ha davanti e ad essere un “eretico” dei tempi moderni.
Cinema indipendente
Di me cosa ne sai?
“Immaginate un paese che ha solo il 40 per cento della popolazione con un diploma di scuola superiore, e che è al settantunesimo posto nel mondo per la libertà dellʼinformazione, subito dopo la Namibia e le isole Salomone, immaginate, continuare a immaginare, perché di un paese come questo cʼè ancora quasi tutto da raccontare.”
È di questo paese che Valerio Jalongo nel suo film “Di me cosa ne sai” vuole raccontare. Presentato nelle sale a Ottobre d e l 2 0 0 9 , i l fi l m n a s c e dallʼesigenza di indagare le cause della progressiva scomparsa del cinema italiano dal grande mercato internazionale, iniziando dalla crisi degli anni Settanta e dalla diaspora allʼestero dei produttori De Laurentiis e Ponti. Il film è costruito attraverso il montaggio di interviste a personaggi importanti come Mario Monicelli, filmati dʼepoca, scene di capolavori italiani come Salò, o le centoventi giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini, a proposito del quale Jalongo si chiede se oggi sarebbe ancora possibile produrre e soprattutto distribuire un film del genere. I brani documentari sono intervallati dalla storia del regista Felice Farina, e della sua - ormai annosa - battaglia contro i “fondaroli”, falsi produttori che ingannano gli autori promettendo finanziamenti destinati poi a scomparire. Molto suggestivo è il racconto del viaggio compiuto dal regista, insieme a Liliana Cavani, alla ricerca dellʼunica copia superstite di un suo film degli anni Settanta non posseduto nemmeno dalla Cineteca Nazionale di Roma: lʼavventura ha termine in un capannone della campagna lucana, dove si trovano centinaia di “pizze” dismesse dai depositi dei produttori, tra cui quelle della
casa produttrice dello zio del regista, Clementelli, che ha chiuso qualche anno fa. Tra le cause della decadenza individuate da Jalongo, è importante quella costituita dagli investimenti sui grandi centri commerciali, dotati di circuiti multisala posseduti dalle case produttrici multinazionali come Medusa film, con la conseguente chiusura delle piccole sale e dei cinema dʼessai, per più di trentʼanni fautori della presentazione al pubblico del cinema dʼautore. Mancando un contatto tra il pubblico e il cinema dʼautore, i produttori non sono incoraggiati a investire su film che sembrano improponibili dal punto di vista redditizio e commerciale. Jalongo ricorda la causa legale intentata da Federico Fellini - con lo slogan “non sʼinterrompe unʼemozione” - contro le televisioni commerciali di Silvio Berlusconi che interrompevano continuamente la visione dei film con spot pubblicitari,. Una causa profetica perché oggi, a più trentʼanni di distanza, è impossibile godere della visione, scevra di pubblicità, di un film in televisione, su qualsiasi rete. Il gusto e lʼamore per il cinema non vengono dunque incoraggiati nei giovani, che trovano nella televisione fin da piccoli lʼunica fonte di contatto con il racconto filmico. Importante in questo senso è la scena in cui il mitico Teatro Cinque di Cinecittà, in cui si celebrarono anche i funerali di Fellini, è meta di code di ragazzine in attesa di partecipare alla registrazione della trasmissione “Amici di Maria de Filippi”. Lo stile del regista è asciutto ed essenziale, ma non privo di momenti di autentica poesia e di nostalgia nel ricordo della grande storia del cinema italiano dʼautore, tra gli anni Sessanta e Settanta.
Dopo un inspiegabile ritardo, esce finalmente anche nelle sale italiane “This is England”, film datato 2006 di Shane Meadows. Il regista, oramai autorevole voce del cinema indipendente britannico, ha fatto di un crudo realismo, quasi brutale, e dellʼindagine sociale i suoi marchi di fabbrica e questo film, considerato forse il suo lungometraggio meglio riuscito,
ne è la dimostrazione
This is England
Gran Bretagna, siamo nel 1983: Margaret Thatcher, baluardo del conservatorismo britannico, guida un paese che oramai sta esaurendo i frutti del “boom” economico e per le classi più povere torna a farsi preponderante lo spettro della disoccupazione e della povertà, mentre “lʼimpero” va ad impelagarsi in una nuova guerra (quella per “riconquistare” le isole Falkland), gli “ultimi della società” oramai disillusi dopo le grandi ondate di protesta di inizio anni ʼ80 (le famose “Riot”) neanche provano più a ribellarsi. In questo periodo fanno anche la loro ri-comparsa gli “skinhead”: figli senza speranza e senza futuro del sottoproletariato urbano che sul finire degli anni ʼ60, unendo la “working class” ad elementi della cultura “rude” (come la musica ska e reggae), avevano dato vita ad una nuova sottocultura, un nuovo movimento che faceva della conflittualità e della violenza (anche nellʼapparire, con anfibi e capelli rasati a zero) il modo per dar voce al loro ribellismo ed esprimere il loro rifiuto verso questa società. Eʼ su questo sfondo che prende le mosse la storia dei nostri personaggi: in una qualsiasi realtà periferica inglese –nella realtà Nottingham–, Shaun è un
dodicenne solo, senza il padre (morto nella guerra delle Falkland) e senza amici, costantemente preso in giro dai suoi compagni di scuola. Tutto cambia quando un giorno incontra un gruppo di skin che con i loro passatempi e la loro spensieratezza riescono a farlo sentire finalmente accettato e parte di un gruppo, e così Shaun, aderendo al loro stile di vita e sposandone i canoni (la “cerimonia” del taglio dei capelli, lʼacquisto degli anfibi, solo per citare alcuni episodi), è finalmente realizzato, fa le sue prime esperienze e trova un equilibrio. Equilibrio però condannato a durare ben poco, stravolto dal “ritorno in società” di Combo (Stephen Graham), uno skin che uscito dal carcere e tradito lo spirito originale di questa sottocultura è diventato una semplice pedina del “National Front”, partito di estrema destra che prova a rispondere alla disoccupazione ed alla crisi con la demagogia e la semplice parola “immigrazione”. Cʼè chi si lascia abbindolare e chi invece si oppone, il gruppo si divide, la spensieratezza originaria, stritolata dalla violenza insensata, va perdendosi, le uscite in gruppo cedono il posto a raduni di neofascisti, ed il sogno di Shaun di
vivere così si traduce in un incubo, una spirale che lo costringe a crescere, in un lento declinare verso la tragedia…Vincitore di numerosissimi riconoscimenti, Meadows, accantonando gli stereotipi ed i cliché “da giornale”, riesce ad unire in questo film una lucida analisi del movimento skin con le vicende personali –ed il degenerare– di un singolo gruppo, creando in una narrazione da romanzo quasi un saggio, senza mai scivolare però nella mera cronaca documentaristica e senza accantonare mai le persone stesse con le loro vicende, inserisce perfettamente le loro storie “nella Storia”, nel contesto storico in cui vivono e dal quale sono influenzati; coinvolge ed emoziona con forza ed immagini crude ma anche con sobrietà, senza mai scadere nel “dramma strappalacrime”, ponendo lʼattenzione su persone ed argomenti che di attenzione non ne hanno mai ricevuta. Cullati da una colonna sonora esemplare e rapiti dalle riprese e dalle immagini quasi fotografiche, ci si può lasciar affascinare dalla semplicità e dalla bravura quasi spontanea degli attori (eccettuato Graham sono stati tutti scoperti per questo film) per unʼora e quaranta di ottimo film.
IL PERSONAGGIO DEL MESE IL GENERALE SENZA NOME. Nacque nel 1911; Nel 1945 sconfisse lʼesercito dellʼimpero giapponese ad Hanoi; Nel 1954 sconfisse lʼesercito francese liberando il Vietnam dalla dominazione coloniale; Nel 1975 sancì la sconfitta dellʼesercito del Vietnam del Sud e di quello degli USA; Nel 1982 abbandonò ogni attività militare e politica per continuare a lottare per le sue idee da semplice cittadino; il 25 agosto scorso ha compiuto 100 anni. Ottenne il riconoscimento internazionale del suo valore attraverso due celeberrime operazioni militari, considerate dei veri e propri capolavori di strategia bellica, ovvero: La battaglia di Dien Bien Phu, o v e s c o n fi s s e l ʼ e s e r c i t o coloniale francese, attaccando ed assediando una delle sue principali basi operative, che permise al Vietnam di ottenere, con gli accordi di Ginevra del 1954, lʼindipendenza dalla Francia; Lʼoffensiva del Têt, ovvero un attacco a sorpresa scatenato su tutte le città principali del Vietnam del Sud, che durò due giorni, dal 29 al 31 gennaio del 1968, che non produsse nessuna conquista rilevante sul campo, ma portò allʼattenzione del mondo occidentale la realtà della guerra del Vietnam, spostando notevolmente il favore dellʼopinione pubblica verso la causa dei Vietcong. Stiamo parlando quindi di uno
Cruciverba
dei più grandi generali della seconda metà del XX secolo, di uno dei maggiori teorici della guerriglia, del più stretto collaboratore e amico di Ho Chi Minh, del simbolo vivente della lotta per la liberazione dal dominio imperialista e da quello capitalista. Ed il suo nome è…. SOLUZIONI NEL PROSSIMO NUMERO
ORIZZONTALI 3) Lʼimperatore che nominò senatore un cavallo 6) rivolta in inglese 7) ucciso dai fascisti il 30 settembre 1977 8) in questo momento è un sistema in crisi 10) lo sport con il terzo tempo 11) In Libia, In Afghanistan e in Iraq 13) Il CT dellʼArgentina ai mondiali 2010 14) Lʼisola della rivoluzione di Fidel 15) PERSONAGGIO DEL MESE, vedi foto e descrizione 16) Per la Banda Bassotti “in ogni città”. Da qui partì lʼavanzata dellʼArmata Rossa contro la Germania nazista 18) Lo sport più seguito dagli italiani 19) “Lʼindagatore dellʼincubo” dei fumetti. VERTICALI 1) In Val di Susa non passerà 2) Presidente cileno che si uccise per non cadere nelle mani di Pinochet 4) LʼErnest che scrisse “Per chi suona la campana” 5) Il leader dei Nirvana 9) Spezzò le sue catene e fece tremare Roma con una rivolta 12) La band inglese di “London calling” 17) Sigla della Repubblica Democratica tedesca (iniziali tedesche)
pensa
Walter Rossi
Nel '77 l'Italia era un Paese profondamente diviso e in lotta al suo interno: da un lato abbiamo il Governo democristiano presieduto da Andreotti, impegnato nel tenere sotto controllo una popolazione di giovani e lavoratori sempre più irrequieta, mentre dall'altro c'è un movimento di giovani e proletari che lotta avanzando rivendicazioni radicali e ottenendo crescenti simpatie da parte del resto della popolazione La violenza politica, la repressione poliziesca, e finanche le stragi di Stato avevano portato ad un innalzamento della tensione in tutta la penisola: si pensi già solo alla strage dell'Italicus, a quella di Piazza della Loggia a Brescia o a quella di Piazza Fontana, si pensi ai giovani uccisi dalle guardie e dai fascisti, come Giorgiana Masi o Benedetto Petrone (per limitarci al '77), si pensi agli scontri nelle piazze e alle retate di arresti preventivi... In questo contesto maturarono i fatti che portarono all'omicidio di Walter Rossi, giovane militante comunista di Monte Mario. Il 29 settembre 1977 a Piazza Igea vennero sparati tre proiettili ad Elena Pacinelli, 19 anni. Per protestare contro il ferimento di questa compagna, Walter ed altri ragazzi organizzarono un volantinaggio alla Balduina. Dalla sezione del Movimento Sociale Italiano (il partito che con Fini fu
Alleanza Nazionale) uscirono un gruppo di fascisti che, seguendo un sopraggiunto blindato della polizia si avvicinarono di soppiatto ai compagni e, al momento giusto, spararono colpi di pistola uccidendo Walter e ferendo un benzinaio. I poliziotti presenti, quindici in tutto, vennero accusati di complicità con gli aggressori. In particolare tutti i testimoni presenti assicurarono che nulla venne fatto per fermare i fascisti e che, viceversa, le "forze dell'ordine" per diversi minuti impedirono i soccorsi a Walter sia colpendo chi cercava di avvicinare il giovane agonizzante a terra, sia evitando di chiamare un'ambulanza. Nessuno di essi, però, subì provvedimenti giudiziari.A distanza di più di 30 anni Walter, la sua famiglia e i suoi amici aspettano giustizia. Noi abbiamo capito che in questi casi la giustizia non passa per le aule giudiziarie!Per lʼassassinio di Walter i responsabili ci sono e
sono noti. Secondo una testimonianza di Valerio Fioravanti durante il processo per la strage di Bologna, a sparare a Walter Rossi furono Cristiano Fioravanti ed Alessandro Alibrandi. Non si fece neanche un processo perché Alibrandi morì e Cristiano Fioravanti riuscì a far ricadere la tutta la questione su di Alibrandi, non più in grado di rispondere. Quel giorno in via delle medaglie dʼoro cʼera anche Flavia Perina, senatrice di Futuro e libertà ed ex direttrice del Secolo dʼItalia. Ancora oggi gran parte della classe dirigente di questa città e di questo paese ha responsabilità dirette o indirette nellʼomicidio di Walter e di altre tristi pagine di quegli anni. Anche questʼanno, come ogni 30 settembre, ci sarà un corteo per le vie di Balduina per ricordare Walter Rossi e gli altri compagni caduti, per dire che le loro idee sono anche le nostre! Noi ci saremo!
Sport popolare
St. Pauli è un quartiere di Amburgo. Eʼ sede di un grande distretto a luci rosse. Qui hanno vissuto e suonato i Beatles prima di diventare famosi. Eʼ stata la culla della cultura punk in Germania negli anni ʼ80. Ed è anche il luogo dove, nel 1910, è stato fondato lʼF.C. Sankt Pauli, la squadra “più-di-sinistra” dʼEuropa; una squadra che da anni viene gestita dai tifosi in prima persona e che non ha mai svenduto il suo nome per questioni di marketing; una squadra che non vince mai, che raramente vede la Serie A ma che sugli spalti fa sempre il tutto-esaurito; la prima squadra ad avere nello statuto come principi fondanti lʼantirazzismo e lʼantifascismo. Abbiamo fatto qualche domanda agli Ultrà Sankt Pauli per sapere qualche cosa in più su quella che ormai è una leggenda. Il Sankt Pauli dalla sua nascita viene gestito attraverso lʼazionariato popolare, una modalità che permette a tutti i tifosi di poter prendere decisioni riguardo alla vita del club. Potete spiegarci in cosa consiste
Intervista agli Ultrà Sankt Pauli
esattamente? Il St.Pauli, come altre società di calcio tedesche, è un'associazione sportiva. A differenza delle società italiane, a St.Pauli non esiste un proprietario milionario del club. Il St.Pauli è dei soci. Oltre al calcio ci sono altre sezioni sportive come il rugby, ciclismo, boxe, scacchi e molte altre. La base della società è costituita dall'assemblea dei soci, che a St.Pauli sono circa 15.000. L'assemblea elegge un Consiglio di amministrazione che nomina dai 5 ai 7 candidati per la presidenza. Il presidente è poi votato dall'assemblea dei soci. I soci si dividono in soci attivi e soci passivi. I soci attivi sono coloro che praticano sport nelle varie sezioni sportive. I soci passivi, invece, sono semplici sostenitori del club pagando una quota molto bassa. Tutti i soci hanno il diritto di prelazione su abbonamenti e biglietti delle partite e sconti sul merchandising. I soci passivi inoltre possono usufruire di riduzioni anche per le partite in trasferta. Il diritto più importante di tutti i soci, tuttavia, è il voto all'interno dell'assemblea. I soci passivi sono organizzati
nell'AFM (Abteilung Foerdernde Mitglieder), ovvero la “sezione dei soci sostenitori”. L'AFM finanzia direttamente l'attività delle squadre giovanili ed è attiva in numerosi progetti sociali destinati soprattutto ai giovani della società. Tra questi: la casa dello “studente-giocatore”, l ´indirizzo al lavoro, la casa del socio e del tifoso. In conclusione, è vero che i tifosi hanno la possibilità di decidere sulle sorti e sulle decisioni della loro squadra del cuore, è vero che in questo modo non possono essere considerati dei “clienti” come succede altrove, ma è anche vero che la reale forza dei tifosi nei confronti dei processi di commercializzazione del football sta nel protagonismo e nell'organizzazione che riescono a darsi. In Italia avete un gemellaggio con la Ternana. Come è nata questa amicizia? L'amicizia coi Ternani è l'amicizia più vecchia che abbiamo. I primi contatti esistevano già prima della fondazione del gruppo nel 2002. Sono stati alcuni dei fondatori del gruppo che si sono innamorati della Ternana ed i suoi tifosi visitando
l'Italia. La cosa che ci ha sempre affascinato dai ternani non è solo il tifo organizzato che nei tardi anni novanta era una cosa abbastanza nuova in Germania ma soprattutto la loro mentalità di essere ultras. Come St.Pauli pure la Ternana non ha mai vinto qualcosa, quindi siamo tutti i due cresciuti come perdenti. Siamo tutti un po' diversi e freak e quindi ci piace stare insieme. Poi ci tiene insieme la politica che facciamo dentro e fuori lo stadio che è antifascista e antirazzista. Ci ha inspirato molto vedere la Curva Est che esprime sempre al sua
posizione politica anche rispetto a tifoserie di destra. Sono molti anni che l'amicizia viene vissuta ed è molto bello vedere che anche i giovani ultras continuano a vivere questa tradizione nonostante i problemi che i ragazzi di Terni hanno con la società Ternana. Partecipate ai Mondiali Antirazzisti o ad altre manifestazioni simili? Noi come gruppo Ultrà Sankt Pauli non partecipiamo ai Mondiali Antirazzisti. Sosteniamo lo scopo di combattere il razzismo e altre forme
La lotta è Senza Tregua
di discriminazione dentro e fuori gli stadi ma lo facciamo in altro modo. Organizziamo insieme alla tifoseria attiva di Sankt Pauli un torneo Antira dove invitiamo solamente gruppi che sono attivi nella lotta antifascista. Lo stesso vale per il torneo di Alerta che viene organizzato sempre da un gruppo della rete e che si svolge ad anni alterni rispetto al torneo Antira di Sankt Pauli. *ringraziamo i compagni della Ternana per lʼaiuto nella realizzazione di questa intervista.
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ed. settembre 2011
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