Senza Tregua

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SENZA TREGUA

GIORNALE STUDENTESCO COMUNISTA ANNO 1 NUM I ottobre 2011

“La verità è sempre rivoluzionaria” - Antonio Gramsci


Il ritorno di Karl Q u e s t o s e c o n d o n u m e r o d i "Senza Tregua", che è ancora una volta incentrato sulla drammatica crisi economica e di sistema in corso, i cui effetti continueremo purtroppo a lungo a sentire sulla nostra pelle, si apre con una certezza, in noi, a dire il vero, mai venuta meno: Karl (Marx) è tornato, ammesso e concesso che se ne sia mai "andato", e gode di ottima salute. A decretarlo non è ne qualche nostalgico trombone ne l'ego di chi scrive, ma storici ( non solo marxisti...), economisti, filosofi, persino qualche prete e soprattutto migliaia di persone che scendono in piazza in ogni angolo del mondo in questi giorni, persino a Wall Street. Tutti ben lontani dallo stereotipo tutto italiano dell'orco comunista e concordi nel dire che "il vecchio" sulla crisi inevitabile del sistema capitalistico e i suoi effetti nefasti c'aveva visto giusto. E mentre c'è chi si interroga su una possibile via di uscita a questa crisi e si fa portavoce della (ri)scoperta del pensiero di Marx appellandosi ai contenuti "profetici" di "Das Kapital", noi traiamo spunto da questa ribalta mediatica per porre l'accento su un altro piano altrettanto importante rispetto allʼanalisi. Spesso si cita Marx solo ed esclusivamente per introdurre elementi di analisi del sistema capitalistico, per spiegare processi ed individuare eventuali correzioni. Ma il testamento spirituale lasciato dal filosofo di Treviri, va ben oltre. In una delle sue prime opere Marx segnò la cesura tra il vecchio ed il nuovo mondo che si va a costruire. “I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di cambiarlo” In questo passaggio sta tutta la nostra azione, il non ridursi solo ad analizzare quanto accade, il non essere semplici spettatori di un mondo fatto da altri, ma essere in prima persona protagonisti ed artefici della storia. È questo che tanti di coloro, che dallʼalto di una

cattedra citano Marx dimenticano sempre, la sua teoria non è al servizio dellʼanalisi fine a se stessa, ma del cambiamento e del progresso dellʼumanità. Karl Marx rendendo l'agire politico una pratica di massa ha permesso incubo di ogni capitalista e delle vecchie nobiltà- anche ai poveri, ai sottomessi, agli esclusi di servirsi di questo "strumento" e di tentare e sperimentare l'ebrezza dell'assalto al cielo", dopo secoli di servilismo e fatalistica rassegnazione, a pretendere diritti e dignità: qualcosa che la borghesia aveva già sperimentato nel 1798, e che solo col risveglio europeo del 1848 in piena restaurazione assumerà una dimensione realmente popolare: eccolo svelato, lo "spettro" del comunismo -evocato in copertina sullo scorso numero- ecco perché oggi, come allora, fa tanta paura. È a quellʼidea che noi ci appelliamo, e con tutta la nostra forza e la nostra azione vogliamo rilanciare. E lo facciamo richiamando quell'appello finale di unità tra i lavoratori ("proletari di tutti i paesi, unitevi!, i proletari non hanno da perdere le loro catene, ed hanno un mondo da guadagnare") che riteniamo più attuale che mai, specialmente se ci sforziamo di identificare nei lavoratori sfruttati di allora un simbolo per rappresentate tutti gli oppressi di oggi, vittime delle prepotenze, delle ingiustizie e dell'ipocrisia del capitalismo. Anche questa volta, buona lettura. FRASE DEL MESE “Voi gente per bene che pace cercate, la pace per fare quello che voi volete, ma se questo è il prezzo vogliamo la guerra, vogliamo vedervi finire sottoterra. Ma se questo è il prezzo lo abbiamo pagato, nessuno più al mondo dev'essere sfruttato” Paolo Pietrangeli - “Contessa”

Avremo dedicato più pagine allʼanalisi della crisi economica se la questione del 15 ottobre non avesse raggiunto le dimensioni che ha avuto e con questo la necessità di una riflessione politica, che occuperà parte rilevante di questo numero. In ogni caso il nostro lavoro di informazione sulla crisi non si è fermato. Si tratta di una crisi provocata dalla finanza o le sue origini sono insite nel sistema capitalistico? Per risolverla bastano alcune misure che riducano il peso della finanza, politiche redistributive e qualche correttivo, o è necessario un cambiamento ben più profondo che parta dallʼidea che il capitalismo è la crisi? Si può pensare di correggere questo sistema o è il caso di pensare un diverso modello di sviluppo e di società? Prendendo spunto da alcune riflessioni condotte dalla Rete della Conoscenza, la rete che unisce Unione degli Studenti e coordinamento universitario Link, criticandone alcune analisi e conclusioni, abbiamo creato questo manuale sulla crisi, utile a capirne i meccanismi e a sottolineare alcuni concetti non ancora del tutto condivisi allʼinterno del movimento studentesco e non solo... analisi su: www.senzatregua.org anche su www.issuu.com digitando: “senza tregua”


Non è facile scrivere qualcosa sul 15 ottobre, senza rischiare di cadere in schematismi già pronti o frasi fatte, riuscendo cioè a distanziarsi dai cori di sdegno benpensanti che si sono levati a partire dalle ore successive e allo stesso tempo non essere etichettati immediatamente come “teppisti, violenti, gente che spacca le vetrine…”.

Prima e dopo il 15 ottobre spunti per una riflessione politica. Noi non apparteniamo a nessuna di queste categorie: diciamo apertamente che bruciare una macchina non fa parte del nostro modo dʼagire, non lo riteniamo un gesto utile, ma ci guardiamo bene dallʼannoverarci tra le file di quanti pongono la non violenza come modalità unica della protesta politica. I media in questi giorni hanno fatto di tutto per far emergere il bianco e il nero, due categorie di manifestanti distinte, come se tra di loro non esistesse alcuna possibilità di comunicazione. Ma oltre il dato mediatico è necessario analizzare quello che è accaduto il 15 ottobre, capire le ragioni e dire chiaramente come sono andate le cose. Per fare questo dobbiamo partire da prima del 15, dai tavoli di quel coordinamento 15 ottobre che è stato il promotore della manifestazione italiana. Lʼimperativo in quegli incontri era non parlare di politica, non andare a fondo con lʼanalisi della crisi, non porre questioni importanti sul tavolo. A partire dai comunicati: meglio non dire niente che dire qualcosa che potesse dividere. Ed alla fine non si è detto niente.

Il 15 ottobre italiano portava in piazza una piattaforma che era tutto e niente. Ognuno poteva leggervi parzialmente alcune riflessioni condivisibili, tutti in definitiva non si riconoscevano in quella piattaforma. Se si eccettua chi per fini politici o strumentali a scopi elettorali lo dichiara falsamente, le cose stanno proprio così. Una contraddizione di fondo, non sciolta proprio per mancanza di volontà politica è rimasta tra chi aveva intenzione di utilizzare un vasto movimento dʼopinione per chiedere un cambio di governo, cavalcando lʼonda (il termine forse non è casuale…) dellʼindignazione per orientarla contro Berlusconi, e chi guardava ad un problema più profondo, che coinvolge lʼUnione Europea, le istituzioni internazionali, il cuore del sistema capitalistico stesso. Una contraddizione politica, la cui risoluzione è stata sacrificata sullʼaltare di una presunta unità che si è rivelata per tutta la sua inutilità. Noi riteniamo che lʼunità sia un mezzo e non uno scopo, che essa vada ricercata sulla base di una profonda condivisione politica, di fini politici immediati e a medio lungo periodo, di una condivisione

organizzativa delle modalità della protesta, non un feticcio da esibire mediaticamente, pronto ad esplodere nelle sue contraddizioni al momento opportuno. La prima causa del fallimento del 15 ottobre, è da ricercare nella mancanza di una discussione politica sulle ragioni della protesta e di conseguenza sulla mancanza di una netta scelta di campo, che alla fine si era risolta con una vittoria sostanziale di chi, complice lʼapporto mediatico, avrebbe utilizzato questa piazza come grande adunata pre-elettorale pronta a spalancare la porta ad un futuro governo di centrosinistra. Il problema più grande dei giorni antecedenti al 15 ottobre è che a questa visione politica dominante non si è riusciti a costruire un fronte critico, alternativo sotto il punto di vista politico. La discussione si è spostata invece sul campo della gestione di piazza, delle modalità con cui scendere a manifestare, che dovrebbe essere un elemento derivato, generando ancora una volta confusione ed equivoci. Certo questa reazione è in larga parte comprensibile. Negli stessi giorni si assisteva al nascere di un movimento contro la finanza e lo


pensa

strapotere delle banche che avrebbe assunto come simbolo una maschera di drago – con ovvio riferimento al futuro governatore della BCE - che manifestava sotto la Banca dʼItalia e il giorno successivo sotto Montecitorio, non appena il governo Berlusconi aveva incassato la fiducia. Un movimento le cui rivendicazioni erano, come spesso accade, appiattite sullʼidea della crisi finanziaria, e che finivano per generare proposte al quanto singolari. Un volto noto del movimento affermava infatti di non essere contro lʼEuropa e di volere gli eurobond (cit. repubblica), ossia la proposta che lʼex primo ministro socialista Giuliano Amato, aveva avanzato al Sole 24 ore in estate. Non certo unʼidea rivoluzionaria, anzi. E non stupisce di certo che poche ore prima del 15 Draghi avesse potuto affermare con totale tranquillità che “quei ragazzi hanno ragione”. A parte le apparenze, purtroppo tanti di quei ragazzi non si sono resi conto di aver chiesto le stesse cose che una parte rilevante del capitalismo sta chiedendo in questi giorni. A questo va aggiunta lʼimmagine che quelle manifestazioni davano di se stesse. Di fronte alla crisi e al peso delle sue conseguenze che si acuisce su vasti strati sociali della popolazione, lʼimmagine – non ce ne vogliano i compagni – di una “carnevalata” in maschera, stride moltissimo con il livello di esasperazione presente nel paese. Comprendiamo che tanti non siano disposti a stare più a questo gioco. Capiamo le difficoltà del rapporto con i media e la necessità di “far parlare di noi”, ma ci chiediamo anche fino a che punto sia possibile sacrificare ogni contenuto per questa necessità. Possiamo cioè far decidere a Repubblica in che modo dobbiamo manifestare? Possiamo spingerci fino al limite del ridicolo in questo gioco al “nuovo” (che poi sa tanto di vecchio…) per ottenere lʼattenzione dei media? Non è la prima volta che i

giornali cercano di dare un volto, un contenuto ed un fine alla protesta. Oggi le manifestazioni appaiono sempre più come quei programmi televisivi che girano da una tv allʼaltra, da paesi a continenti diversi. Si chiama “format”, ed è quello che sta sotto la maggior parte dei programmi televisivi di successo. Il 15 ottobre doveva essere un grande format di manifestazioni. Uguale in tutto il mondo, una protesta allegra, colorata che non mettesse in discussione minimamente questo sistema. Così come in qualche programma spunta il “brutto anatroccolo con la voce bellissima di usignolo”, e subito dopo – guarda caso – ne spuntano decine in tutti gli altri paesi, ovunque sarebbero dovute spuntare tende, proteste tecnologiche, magari con un pensiero a Steve Jobs. Per non dimenticare che il tratto fondamentale di questa protesta è che viaggia su facebook e twitter… insomma unʼalternativa stereotipata, che, oltre lʼapparenza del grande movimento, si risolve nella debolezza di una proposta pienamente compatibile con il sistema capitalistico. Dare lʼimpressione di chiedere un cambiamento radicale per poi non cambiare nulla. Al punto tale che anche Draghi può, con un poʼ di faccia tosta, dare ragione ai manifestanti. Dʼaltronde chi aveva sperimentato per primo il movimento dei cosiddetti “indignados” lo aveva detto per tempo. Basta leggere il commento del PCPE, il Partito comunista dei popoli di Spagna, che da sempre contrario a Zapatero, ammoniva sul tentativo di costruire a r t i fi c i a l m e n t e u n a p r o t e s t a compatibile con le basi del sistema capitalistico. Un grande movimento mediatico che colmasse il vuoto della politica e impedisse lo sviluppo di una proposta rivoluzionaria, lasciando in realtà il sistema ben saldo sulle sue certezze. Insomma, oltre la buona fede di migliaia di persone, lʼaltra faccia di una stessa medaglia… Ma il 15 ottobre non è

stato questo. Poteva essere la farsa, come ne avevamo viste tante o la tragedia, come le premesse lasciavano far presupporre. Ed è stata la tragedia dellʼesplosione di tutte le contraddizioni accumulate in un processo lungo venti anni, che ha portato la sinistra italiana a perdere qualsiasi identità. Ora il nostro compito è capire come ripartire. Noi di Senza Tregua le idee le abbiamo avute sempre abbastanza chiare. Innanzitutto lʼanalisi politica. Siamo di fronte ad una crisi si sistema, la crisi è un dato oggettivo non un qualcosa che si combatte, è il prodotto del sistema capitalistico. Il capitalismo è la crisi e solo assumendo questo punto di partenza è possibile pensare corrette soluzioni, che non possono che tradursi nella necessità della costruzione di unʼalternativa a questo sistema. Non cʼè riforma che possa tenere; non basta una patrimoniale, meno finanza o qualche correttivo. Bisogna attaccare al cuore il sistema, mettere in discussione la logica del profitto motore del capitalismo stesso, non solo della finanza.Eʼ necessario convogliare quella rabbia che la manifestazione del 15 ottobre ha espresso in una


Un nemico, un fronte, una lotta Senza Tregua riparte dagli operai. Il 21 ottobre, a meno di una settimana dalla manifestazione del 15, il nostro collettivo ha dato la sua adesione alla manifestazione degli operai di FIAT e Fincantieri. Anche se allʼapparenza le nostre lotte possono sembrare diverse, andando appena oltre si può vedere che quel sistema che costringe migliaia di lavoratori a vedere ridotti i propri salari, le proprie tutele, addirittura a perdere il posto di lavoro, è lo stesso sistema che ci priva della pubblica istruzione, della possibilità di avere un futuro sicuro e non precario. Unʼoccasione importante quella del 21 ottobre per dire chiaramente che siamo tutti dalla stessa parte della barricata e che il nostro grande forza che punti a rovesciare lo stato di cose presente. A noi non interessa lʼestetica dello scontro fine a se stesso, che spesso maschera altrettanta arretratezza sul piano politico. Noi non abbiamo in mente unʼescalation di scontri, che si risolverebbe solo nellʼesplodere della reazione, come già stiamo vedendo in queste ore.

Quanto accaduto il 15 ottobre è lʼespressione di un malessere diffuso che abbiamo il dovere di convogliare in un percorso realmente rivoluzionario, che è fatto di tappe intermedie, di fini mediati ed immediati, di spostamento dei rapporti di forza oggi a noi del tutto sfavorevoli. Non è un lavoro di poco tempo, perché lʼarretratezza politica ed organizzativa accumulata in anni, non si cancella in giorni. Ciò è tanto

nemico è un nemico comune e si chiama capitalismo. Un nemico, un fronte, una lotta: questo lo slogan che abbiamo utilizzato in piazza, proprio per rimarcare la necessità di una lotta unitaria tra studenti, operai, immigrati. Questa è lʼunità che noi vogliamo: un fronte comune di classe che unisca tutti coloro che vengono schiacciati dalla crisi, andando ben oltre la finta unità di facciata, priva di contenuti ed analisi politiche comuni. Una giornata importante, anche perché è stata la prima a subire le politiche di restrizione alla libertà di manifestare, dopo il 15, sfidate con un piccolo corteo che ha raggiunto Piazza del Popolo. Contro il capitalismo, potere al popolo! più grave di fronte allʼacuirsi della crisi che richiederebbe ben altro livello politico ed organizzativo, ma questo non è frutto di una nostra colpa, semmai di chi ci ha preceduti. Dare una reazione di testa al malessere che si esprime con la pancia, che non vuol dire ricondurre tutto allʼinterno di questo sistema, ma trovare la giusta via per un cambiamento reale. Tutto il resto è oramai sconfitto dalla storia.

Perché Fiat esce da Confindustria? Apparentemente un paradosso, la più grande industria italiana lascerà a gennaio la Confindustria. I giornali hanno subito parlato di una marchetta al governo. La spiegazione appare però limitativa. La risposta sta in un processo ben più importante che coinvolge il sistema capitalistico italiano e a cui la Fiat sembra fare da apripista. Lʼindustria italiana è per la stragrande maggioranza piccola industria, con meno di 50 addetti. Circa lʼ80% delle imprese iscritte a C o n fi n d u s t r i a h a q u e s t e caratteristiche ed una fetta rilevante delle altre è invece impresa, sotto

varie forme, in mano pubblica. Una C o n fi n d u s t r i a s e m p r e p i ù polarizzata tra queste due categorie di imprese. Non stupisce quindi che la Marcegaglia faccia continui richiami a salvare il “sistema Italia”, incalzi il governo su misure da prendere. Solo salvando il “sistema Italia” infatti la piccola impresa e lʼimpresa in mano pubblica possono a loro volta salvarsi. Mentre la grande impresa, FIAT in testa, soffre il “sistema Italia”, ormai non più allʼaltezza della competizione internazionale, che oramai è diventato una propria zavorra per unʼindustria che può vantare

stabilimenti in molti paesi del mondo. La Fiat vuole le mani libere dal contratto nazionale, mentre le piccole imprese sanno benissimo che la fine del contratto nazionale sarebbe lʼinizio di una guerra al massacro che le porterebbe a scomparire. Lʼuscita da Confindustria segna la dimensione dello scontro in atto allʼinterno della borghesia in questo momento. Impressiona lʼattualità degli scritti di Marx sullo schiacciamento della piccola impresa da parte dei grandi monopòli capitalistici. Ancora una volta lʼattualità dei comunisti, che tanto cercano di nasconderci.


GIORNALISMO E DINTORNI

TUTTE PAZZE P’ER PELLICCIA? Ci hanno detto che in poche ore è diventato la «star delle ragazze antagoniste» che, secondo il “Giornale”, lo hanno eletto il più bello dei contestatori. È chiaro che per i giornalisti e i lettori di questo quotidiano le donne sono delle cretinette che passano il loro tempo a stilare classifiche di bellezza, sciogliendosi «in brodo di giuggiole proprio come delle fan adolescenziali davanti all'autografo del proprio divo». Ci hanno detto che gli piace Cicciolina e che cerca «relazioni appassionate» con delle ragazze. Sul fatto che probabilmente gli autori di questi articoli hanno iniziato la loro carriera auto-erotica guardandosi proprio i film di Cicciolina, invece, hanno preferito tacere.Ci hanno detto che fa psicologia ad unʼuniversità telematica, ci hanno comunicato il suo indirizzo, il lavoro dei suoi genitori, i suoi gusti musicali e il titolo dei suoi film preferiti. Insomma, tutti i quotidiani hanno passato giornate a descriverci ogni minimo dettaglio della vita privata di un ragazzo di 23 anni che – senza entrare nel merito (o nel demerito) dellʼatto per cui è diventato “famoso” – sta trascorrendo queste ore in prigione. E così tutti a sghignazzare – “Ahahah, Cicciolina!”, “Ahahaha, la relazioni appassionate!” – mentre si rovina scientificamente una vita: perché “Er pelliccia” sarà condannato e sconterà la sua pena, ma per la storia delle relazioni appassionate rimarrà screditato per sempre. E vicini di casa, professori, datori di lavoro, genitori delle fi d a n z a t e , e c c . e c c . d i l u i , ridacchiando, si ricorderanno questo. Potrà il suo gesto essere ricondotto a un ribellismo giovanile,

ma agli occhi di tutti rimarrà per sempre un fan di Cicciolina. Al di là di ogni riflessione sul corteo del 15, esso ha segnato un punto di non ritorno nel giornalismo: Fabrizio F. aka “Er Pelliccia” non è stato infatti valutato e criticato per le sue azioni, ma è stato screditato attraverso il racconto di particolari della sua vita privata, per di più irrilevanti. Qualcuno ci ha raccontato perché un ragazzo normale, con un normalissimo profilo sui social network, si è messo a lanciare un estintore? Ovviamente no, vende di più inserire la parola “Cicciolina” nel titolo, vende di più mettere alla berlina, deridere, sbeffeggiare una persona che in questo momento non si può difendere. Si chiama gogna pubblica e non ci sembra tanto diversa da quelle gabbie delle piazze medioevali in cui venivano messi i criminali, in modo che ogni “onesto cittadino” potesse deriderli e ricoprirli di sputi. La stessa gogna pubblica di cui sono vittime quanti sono stati fotografati durante il corteo del 15 ottobre – alcuni mentre non facevano assolutamente nulla, se non un cordone, altri a piazza San Giovanni – e schiaffati in una galleria di “Repubblica” intitolata “Caccia al blackbloc”, che ricorda tanto il cartello con scritto “Wanted” dei film western. La situazione è paradossale: i grandi giornali che h a n n o i l P O T E R E d i FA R E lʼopinione pubblica creano un

nemico pubblico (il black block), scovano le foto di INDIVIDUI SINGOLI che possono essere considerati tali e che non sono nella condizione di poter controbattere, li sottopongono alla gogna pubblica e li deridono sghignazzando. E poi, magari, poche ore dopo pubblicano un articolo contro il bullismo…

Reazionari di tutto il mondo unitevi! In principio è stato Di Pietro, si proprio lui, quello che per lʼelettore medio di sinistra era il nuovo messia, ad invocare la nuova legge Reale. Poi è stata la volta di Maroni, in compagnia di noti esponenti di destra e sinistra e una buona dose di giornalisti... In pochi minuti tutte le tensioni tra destra e sinistra sono state spazzate via per lasciar spazio ad un coro unanime di richieste di provvedimenti repressivi. A testimoniare che la dialettica tra destra e sinistra è solo apparente e che tutti vanno dʼamore e dʼaccordo quando cʼè da difendere questo sistema. Per di più la legalità portata a sinistra dallʼantiberlusconismo viscerale e fine a se stesso fa spesso dimenticare che la legge è una sovrastruttura e riflette sempre gli interessi della classe dominante. Meditate gente...


Internazionale

Dopo la Libia, la Siria? Il conflitto in Libia sta terminando; Gheddafi, lʼuomo che aveva guidato la Libia per quarantadue anni, è stato barbaramente assassinato dai cosiddetti ribelli appoggiati militarmente dalla NATO; eppure spunta già un nuovo paese sul quale le democrazie occidentali potranno piantare la loro bandierina: la Siria. Sì, perché è difficile non riconoscere in quello che sta accadendo sul territorio siriano un modus operandi che è già stato più volte sperimentato negli ultimi due decenni (in Iraq, Jugoslavia, Afghanistan e in tutti i paesi delle “rivoluzioni colorate” dellʼex-blocco sovietico). La Siria è un paese che negli anni ha dimostrato di non volersi allineare alle politiche di USA e Israele nel medio oriente e che adesso dovrà pagare il conto di questa scelta di campo.E la paga nel momento più propizio per ridefinire i rapporti di forza nel sud del Mediterraneo: la “Primavera Araba” tanto glorificata quanto male interpretata qui da noi. In questo particolare momento lʼOccidente ha avuto gioco facile a far scattare allʼinterno del paese delle rivolte apparentemente spontanee ma in realtà pianificate con cura, che hanno contribuito a richiamare in piazza il resto della p o p o l a z i o n e , fi n o a d a l l o r a indifferente a quello che accadeva nei paesi vicini, ma che ha colto lʼoccasione per protestare contro le condizioni di vita obiettivamente critiche in cui versa il popolo siriano. Condizioni che erano peggiorate esponenzialmente negli ultimi anni, proprio perché il governo siriano aveva tentato una

riconciliazione tra le potenze occidentali, operando concessioni dal punto di vista politico e soprattutto economico tendenti ad aprire il paese ai mercati internazionali, a privatizzare o al liberalizzare importanti settori dellʼeconomia. Come dicevamo, queste misure non hanno fatto che impoverire parte della popolazione che, ridotta sul lastrico, ha iniziato a sposare le cause delle opposizioni. Opposizioni che in Siria sono sempre esistite ma che, al momento, risultano essere molto frammentate per lʼintervento dei gruppi di ribelli gestiti da Washington piuttosto che da Ankara. Eʼ proprio la Turchia, della quale sono note le mire espansionistiche nellʼarea, ad avere un ruolo fondamentale nel fomentare le rivolte nel paese, addestrando i guerriglieri sul suo territorio e fornendogli armi e appoggio strategico.Col risultato che le forze di sicurezza siriane non si trovano a fronteggiare solo degli sprovveduti e disarmati manifestanti, ma anche dei gruppi paramilitari ben organizzati. Ovviamente le notizie false e tendenziose riportate dai media hanno un ruolo fondamentale nellʼorientare lʼopinione pubblica e quindi nel formare un senso comune che, un domani, se necessario, potrebbe giustificare un intervento straniero sul suolo siriano. Importantissimi sono le reti come Al Arabiya e Al Jazeera, che influenzano la stessa popolazione siriana con una continua attività di

disinformazione che mira ad amplificare, sostenere e, in certi casi, a guidare le rivolte passo passo. Un esempio lampante di come i media abbiano stravolto la realtà è la storia della presunta blogger Amina, una giovane lesbica di Damasco, che attraverso internet raccontava le manifestazioni nel paese. Ebbene, la ragazza è in realtà un cittadino americano di 40 anni che, in buona sostanza, dava sfogo alla sua fantasia. Tra lʼaltro è paradossale che si utilizzi la figura di una ragazza lesbica per perorare la causa di gruppi che nella maggior parte si rifanno a una concezione fondamentalista della religione islamica. Sul fatto che il paese sia retto in maniera autoritaria da Bashar al Assad non cʼè dubbio; è fuori questione anche che le forze di sicurezza del paese e alcune milizie del partito al potere stiano compiendo crimini e abusi. Dʼaltro canto bisogna ammettere che negli ultimi mesi il regime è venuto incontro a molte richieste di riforme sociali; si sta scrivendo una nuova costituzione che dovrebbe essere pronta tra circa 4 mesi. Non bisogna assolutamente cadere nel tranello che le potenze internazionali, con la connivenza dei media, ci stanno tendendo. Il popolo siriano ha il diritto di decidere di se stesso, senza alcuna ingerenza da parte di chi vuole portare ulteriore destabilizzazione nellʼarea mediorientale per giustificare, in un futuro non troppo lontano, azioni di guerra imperialista. Purtroppo tutti, anche le sinistre più o meno radicali, hanno la memoria corta e unʼinfatuazione acritica per le rivolte arabe rischia di ricacciare, come già accaduto nella storia, i paesi aggrediti in un medioevo da cui sarà difficile riemergere.


Oggi in Grecia, domani in Italia

Ad Atene il 19 ottobre ha inizio il quinto sciopero generale indetto dallʼinizio dellʼanno. Per 48 ore la Grecia è paralizzata. Uffici, scuole, università chiusi, trasporti bloccati, navi ferme nei porti di tutto il Paese. Solo poche settimane prima i Ministeri erano stati occupati dai lavoratori alla notizia dellʼimminente taglio di 30.000 posti di lavoro nel settore pubblico, con la prospettiva di raggiungere in breve tempo i 200.000. Allʼarrivo dei delegati della cosiddetta troika, fondo monetario internazionale, banca centrale europea, unione europea, le autorità greche hanno dovuto mantenere il riserbo sulla località dove si sarebbero tenuti gli incontri, tale la paura di disordini nel Paese. Il 19 ottobre il governo socialista di Papandreou, mette in discussione lʼennesimo pacchetto di misure e tagli, con lʼobiettivo di veder sbloccati gli 8 miliardi di euro di aiuti promessi. Il popolo greco paga a caro prezzo il prestito ricevuto. Gli stipendi dei dipendenti pubblici, che già

avevano perso lʼequivalente di cinque mensilità, sono stati ridotti dal 20, al 50%, anche i salari del settore privato sono stati diminuiti, riduzione della contrattazione nazionale, chiusura del 50% dei posti letto negli ospedali. Solo a fine agosto era stato approvato un disegno di legge che prevede lʼabolizione della gratuità del sistema dʼistruzione pubblico, d e fi n i t o d a P a p a n d r e o u “sovietico”. Ma la presunta cura, quali vantaggi sta portando al popolo greco? Nessuno. La situazione economica continua a peggiorare, a testimonianza che il capitalismo non è in grado di risolvere la sua crisi. Il debito pubblico greco è al 162% del PIL, la recessione è fortissima ed il tasso dʼinteresse che la Grecia paga sui titoli di stato è arrivato alla cifra impressionante del 23%. Un tasso evidentemente insostenibile, cosa che tutti gli economisti sanno bene, ma che viene utilizzato come perenne strumento di ricatto contro il popolo greco, per

spremere come limoni i lavoratori greci ed ottenere quanto più possibile. LʼUnione E u r o p e a fi n a n z i a n d o l a ricapitalizzazione delle banche più esposte ha di fatto già condannato la Grecia e salvato i grandi monopòli e la finanza. Gli scioperi imponenti lanciati in g r a n p a r t e d a l PA M E , i l coordinamento sindacale che riunisce tutti i sindacalisti che si oppongono alle politiche “concertative”, ha visto la partecipazione studentesca con il MAS, fronte militante degli studenti in prima linea, e anche categorie di lavoratori autonomi ed esercenti di piccole attività commerciali. Il Partito Comunista di Grecia (KKE), balzato alle cronache internazionali per lo striscione “Peoples of Europe rise up” esposto dal Partenone, ha apertamente invitato il popolo greco a non pagare aumenti di tasse e bollette. In un comunicato, lʼufficio stampa del KKE scrive: "La bancarotta incontrollata delle famiglie è una realtà" e aggiunge: "La furia nella manovra fiscale è


Scontri ad Atene, nessun parallelismo. Il secondo giorno di sciopero generale ad Atene è stato segnato dalla presenza di forti scontri tra manifestanti del PAME con autonomi ed anarchici. Il PAME stava manifestando in Piazza Syntagma, mentre in Parlamento era in discussione il nuovo pacchetto imposto dalla troika. Un gruppo di manifestanti ha iniziato a lanciare sassi e molotov contro i lavoratori del PAME, tentando di avvicinarsi al Parlamento. Il servizio dʼordine del sindacato comunista si è disposto a difesa dei suoi manifestanti per oltre unʼora. Quando la situazione è divenuta insostenibile dal servizio dʼordine del PAME è partita la carica. In quello stesso momento la polizia, che fino ad allora non era intervenuta, ha iniziato a lanciare lacrimogeni e caricare a sua volta i militanti del PAME, con il risultato che uno di loro, Dimitris Kotzaridis, operaio edile di 53 anni, ha perso la vita in dinamiche ancora da accertare, di certo dopo essere stato colpito alla testa da un sasso e aver respirato molti lacrimogeni. Subito in Italia tutti si sono affrettati a fare i vari parallelismi, Noi

l'ennesima prova che l'offensiva antipopolare non è temporanea e verrà rafforzata in futuro. Viene chiesto di pagare nuove tasse a pensionati poveri con 400 euro al mese, a persone che cercano di sopravvivere con redditi inferiori alla soglia di povertà ufficiale. Ai lavoratori resta ciò che basta per riuscire ad andare al lavoro, tutto il resto deve essere restituito agli industriali, ai banchieri, agli armatori .” Durante lo sciopero 19 e 20 ottobre lʼazione di boicottaggio del pagamento delle nuove tasse ha coinvolto anche i lavoratori dell'azienda elettrica (DEH) che hanno occupato la sede dove vengono stampate le bollette dell'elettricità, bloccando in pratica la stampa e l'invio ai lavoratori della nuova tassa sulla proprietà degli immobili che il governo ha annunciato di abbinare alla bolletta della luce. Il fallimento della Grecia, a causa dei tassi dʼinteresse insostenibili e delle politiche imposte dalla troika, che non hanno fatto altro che peggiorare la condizione economica del Paese è ormai un dato di fatto. A tal punto che qualcuno già si affretta a parlare di “default controllato”. Il Partito

ci permettiamo di sottolineare alcune differenze. Il KKE, tirato in ballo in quanto moltissimi militanti sono comuni al PAME, è un partito rivoluzionario, niente a che vedere con i nostri finti partiti di sinistra. Il PAME manifestava parlando di socialismo e rivoluzione. Tutti i ragionamenti sulla mancanza di prospettiva politica in Italia non possono essere traslati alla Grecia, e nessun parallelismo tra quanto accaduto il 15 ottobre qui può essere valido, da parte di nessuno. Per quanto ci riguarda la prospettiva politica supera sempre la modalità di gestione della piazza e per noi parlare apertamente di rivoluzione e socialismo, convogliare masse sempre più imponenti su un progetto di trasformazione della società, è un lavoro molto più importante del solo lanciare sassi e molotov contro un Parlamento, per quanto corrotto e subalterno esso sia. La nostra piena solidarietà va in ogni caso allʼoperaio morto e alla sua famiglia. Una brutta pagina che proprio non ci voleva. per approfondire www.resistenze.org

Comunista ha denunciato il tentativo da parte del mondo politico greco di costituire ulteriori profitti attraverso la formula della “bancarotta controllata”. Scrive il KKE: “Il popolo deve evitare di cadere nella trappola di scegliere una bancarotta controllata, forma di bancarotta più vantaggiosa per lo stato capitalista, che beneficerà un manipolo di gruppi affaristici con nuovi sostegni statali, mentre si intensificherà l'offensiva antipopolare. Il popolo non deve farsi cogliere di sorpresa. Deve essere pronto, organizzato e determinato in modo che il governo e i partiti dell'Unione come "strada a senso unico" sappiano che pagheranno un prezzo salato per ogni tentativo di sospensione dei salari degli operai, pensionati, lavoratori autonomi e agricoltori. Deve essere rafforzata la lotta popolare e il contrattacco per la difesa del popolo, per la vittoria che arriverà solo attraverso il potere popolare e il ritiro dall'UE". Quanto sta accadendo il Grecia è molto simile a quello che accadrà in Italia nei prossimi mesi, e che in parte sta già accadendo. Molti parametri economici, a partire dal debito pubblico si stanno avvicinando. La manovra di

Berlusconi è solo un piccolo assaggio di quello che accadrà in futuro, e la Grecia ne è un valido esempio. Eʼ nostro compito intensificare in Italia la lotta contro i provvedimenti del governo, guidati dalle istituzioni internazionali, denunciare il carattere di rapina dellʼUnione Europea, dire anche in Italia, come il KKE in Grecia, che lʼunica via dʼuscita reale dalla crisi è la conquista del potere da parte del popolo. Per citare lo slogan del PAME: “Eʼ ora di organizzare il contrattacco”. la curiosità

Un tocco di photoshop e la falce e martello scompare, nella foto proiettata nel programma LʼInfedele condotto da Gad Lerner, un passato in Lotta Continua, ormai molto dimenticato. Che dire... per lʼinformazione, anche di sinistra si può essere indignati, ma non comunisti. Secondo voi perché?


Disastro Scuola Edilizia fatiscente. In alcune scuole salta il POF. La scuola pubblica è “agli sgoccioli”

20 Ottobre, Roma è sommersa dalla pioggia: strade allagate, traffico congestionato, addirittura piove dentro le classi di molti licei, costretti a correre ai ripari e a chiudere (paradigmatici i casi del Socrate e dellʼAlbertelli). Ma doveva arrivare il nuvolone di Fantozzi per farci capire che la scuola pubblica “faceva acqua” già da molto tempo? Vediamo di capirci qualcosa in più… Anche questʼanno la scuola è ricominciata, e nonostante i tagli che da diversi anni a questa parte si stanno accumulando sulla pelle degli studenti (e che fanno passare col nome di “riforme” o di “manovre”) va tutto “più o meno” bene: i professori alla fine si trovano sempre -anche se magari sono precari e insegnano solo per un anno-, le sedie su cui sedersi non mancano mai -e poi sono sempre degli interessantissimi reperti archeologici!-, i gessi ed i fogli con un poʼ di elemosina per le classi si rimediano sempre. Ma è davvero così? Va davvero “più o meno” bene? La scuola è ricominciata, è vero, ma molti dei servizi che fino agli anni passati offriva non esistono più: succede in molti licei, infatti, che per riuscire a garantire i servizi base –il funzionamento delle segreterie, le fotocopie, la carta igienica…– vengono tagliati i cosiddetti corsi “extracurricolari”, e così assistiamo alla progressiva scomparsa di tutti i corsi pomeridiani, o della loro

trasformazione in corsi a pagamento. Eʼ il caso del liceo classico Giulio Cesare, ad esempio, dove i corsi offerti dalla scuola sono diventati tutti a pagamento e tutti a carico degli studenti, o del Plauto, dove addirittura un corso di inglese viene a costare quasi 500 euro. Ancora più curioso il caso del liceo Visconti, dove i professori in un primo momento addirittura non approvarono in blocco tutti i corsi pomeridiani (che anche se fossero stati approvati sarebbero stati comunque tutti a carico degli studenti). Ma allora viene spontaneo chiedersi: e i nostri soldi dove sono finiti? In cosa è stato utilizzato il famoso “contributo studentesco” che lʼanno scorso pagammo, convinti che quei soldi sarebbero serviti per finanziare le attività pomeridiane? Di fatto è stato utilizzato proprio per quei “servizi base” di cui parlavamo prima, perché il Ministero dellʼIstruzione, il Governo ed affini destinano sempre meno soldi alla scuola pubblica, che è costretta a ricorrere a queste “seconde tasse” che gravano direttamente sulle nostre famiglie per poter garantire ancora un servizio decente, ma via via sempre più impoverito e dequalificato. E a guadagnarci, come sempre, sono le scuole private e le famiglie che possono permettersele. E a perderci? Tutti noi…

Cade un soffitto, al Socrate sale la rabbia degli studenti. Un mese prima del terzo anniversario della morte di Vito Scafidi, il ragazzo che il 22 novembre 2008 perse la vita in classe a causa della caduta di un controsoffitto, a Garbatella avviene lʼennesimo episodio che mette in risalto la degradante condizione degli edifici scolastici italiani. È il 20 ottobre, giorno che ricorderete bene per il forte temporale che ha colpito Roma e che ha causato ingorghi in tutta la città. Per gli studenti del Liceo Classico Socrate il timore di tornare a casa bagnati o di restare imbottigliati nel traffico non è stato l ʼ u n i c o p r o b l e m a : fi n d a l l e primissime ore lʼacqua ha iniziato ad entrare in diverse aule dellʼedificio. Intorno alle 9:30 nel corridoio del piano terra un pezzo di controsoffitto cade addosso ad un ragazzo, si allaga la biblioteca adiacente dove i computer vengono coperti con sacchi di plastica, i libri si salvano protetti dal vetro degli scaffali e quellʼala della scuola viene resa inaccessibile. Per il rischio di ulteriori crolli non è possibile continuare le lezioni così gli studenti maggiorenni lasciano lʼedificio firmando il permesso dʼuscita


In classe con caschi ed ombrelli

anticipata e grazie allʼautorizzazione telefonica dei genitori, dopo essersi radunati nellʼAula Magna, sono usciti anche i ragazzi minorenni. Nonostante siano stati chiamati i pompieri non si è presentato nessuno, non è mai stata fatta ispezione seria ma solo visite ufficiali dalle quali risulta, in tutta falsità, la sicurezza della scuola che è in ogni evidenza sovraffollata, surriscaldata dʼestate e gelida dʼinverno e di scarsissima stabilità! Una della cause dellʼallagamento pare sia il malfunzionamento delle tubature di scolo, che sono le stesse dal 1971, quando il Socrate venne costruito in forma di prefabbricato, nella prospettiva di sostituirlo con una struttura definitiva dopo dieci anni. Siamo nel 2011 e la struttura è esattamente la stessa. Ovviamente il problema edile del Socrate non si limita alle tubature ma a tutto lʼedificio, che avrebbe bisogno di un radicale intervento di ristrutturazione. Lʼente responsabile dellʼedilizia scolastica è la Provincia che ora come negli ultimi anni non è in grado di sostenere le spese per tali interventi per la mancanza di fondi o dei vincoli imposti del patto di stabilità. Al contrario di ciò che molti dei suoi studenti credono, purtroppo il Socrate non è lʼunica scuola ad avere seri problemi di edilizia: a Roma ci sono diversi istituti con infiltrazioni di acqua e umidità, finestre rotte, bagni inagibili, fili

elettrici scoperti, uscite di sicurezza sbarrate o inesistenti, aule caldissime dʼestate e con problemi di riscaldamento dʼinverno. In alcuni istituti vengono periodicamente trovati cadaveri di uccelli o roditori e le relative feci. Già lo scorso anno Senza Tregua ha raccolto in un dossier tutti i documenti riguardanti la fatiscenza delle scuole romane a scopo di denuncia e trattandosi di un aspetto di primaria importanza il nostro interesse e impegno per risolvere questa piaga non potrà che aumentare.

La singolare protesta degli studenti dellʼAlbertelli, che il giorno prima avevano visto la propria scuola allagarsi. Gli studenti, rimandati a casa dal Dirigente Scolastico hanno tenuto una partecipata assemblea il giorno successivo ed hanno deciso di entrare a scuola con caschi ed ombrelli per manifestare la loro preoccupazione riguardo la condizione della scuola. Anche lʼAlbertelli è una delle scuole segnalate nellʼinchiesta di Senza Tregua dello scorso anno...

Anche se poco è cambiato... la lotta non si ferma. Un anno fa noi di Senza Tregua pubblicammo una dettagliatissima inchiesta sullʼedilizia scolastica. Trenta istituti superiori analizzati, da dentro le mura a fuori il raccordo, per trovarne solo 3 a norma (http:// www.senzatregua.org/?p=903#more-903). I mille trambusti della crisi e della finanza non possono farci dimenticare il nostro diritto più essenziale, quello a non morire, a scuola, non dimenticando mai Vito di Rivoli, morto in classe per un crollo nel 2008. Per questo, a un anno di distanza, torniamo a verificare quelle 27 scuole, con la speranza che qualcosa sia cambiato e che, magari, quella crepa larga 5 cm sul soffitto non ci sia più a fare paura. Torniamo in prima linea per trovare altri edifici, forse messi ancor più male, che non sono stati inclusi nella vecchia inchiesta. Torniamo al Falcone e Borsellino, sperando che non siano più stipati come polli e la palestra non abbia ancora crepe così grandi da far vedere la luce del Sole fuori. Torniamo al Righi succursale o al Lattanzio, sperando che stavolta le uscite di sicurezza non siano chiuse con il lucchetto. Andremo, però, anche in tanti altri istituti, perché “la scuola cade a pezzi” vorremmo che fosse solo un modo di dire. E anche tu puoi fare qualcosa, non è mai troppo tardi. Se il tuo edificio scolastico cade a pezzi, contattaci. Scrivi a edilizia_scolastica@libero.it


Controcultura

Wu Ming: Asce di guerra.

Specialmente in seguito ai fatti che il 15 ottobre a Roma e in tutta Italia hanno aperto le gabbie all'opinionismo più concitato e dato adito a ondate di indignazione e denuncia che avremmo sospettato voler essere rivolte a tutt'altro destinatario, abbiamo pensato di aprire questa pagina di recensione con un libro che ha la pretesa di dare una spiegazione storica e psicologica a fatti di violenza,di rivalsa ed odio, non dissimili da quelli a cui assistiamo oggi. "Asce di guerra"(di Wu Ming) nasce dall'incontro di un collettivo di 5 scrittori bolognesi con i testimoni diretti della Resistenza e del Dopoguerra italiani e la singolare personalità di Vitaliano Ravagli,nato a Imola nel '34 e quindi troppo giovane per essere partigiano nel '43 ma inevitabilmente contagiato da quei sentimenti di rivalsa e odio che lo porteranno a combattere la sua guerra di liberazione molto lontano da casa. Ad attualizzare le pagine nate da interviste e documentazioni subentra la figura immaginaria di Daniele

Zani, avvocato della Bologna contemporanea che,incuriositosi dell'esperienza partigiana della propria famiglia,si ritrova ad allargare il campo d'indagine all'intera vicenda della Resistenza finendo sulle tracce dell'ormai vecchio Vitaliano.I capitoli scorrono in un'alternanza di presente e passato costantemente accomunati dall'inquietudine e dal desiderio di verità da una parte e vendetta dall'altra:Daniele e Vitaliano sono figli di quel processo storico e politico che,in due diverse occasioni,ha sentito il bisogno di attutire i contrasti ed offuscare la memoria proponendo,per contro,un più pacifico senso democratico e una diffusa moderatezza di toni e modi. Una sorta di balsamo per lenire le tensioni generate prima dalla guerra partigiana e dalla situazione di totale anarchia in cui incorreva l'Italia del '45,poi dagli anni di piombo del terrorismo e delle stragi. A questa condotta moderata e 'balsamica' Wu Ming oppone una versione dei fatti reale,inquadrata in un contesto storico e documentata direttamente. Ai concetti generici di violenza, vendetta e terrorismo vengono sostituite le persone, ognuna con la propria individualità e la propria esperienza. Il desiderio di rivalsa e la conseguente necessità di farsi giustizia sono il frutto della delusione nei confronti di uno Stato che a colpi di amnistia cancella ogni differenza e livella tutte le responsabilità. Chi ha dato il sangue per liberare l'Italia non può accontentarsi di una medaglia al valore di fronte al lassismo di politici e magistrati, non può ritrovarsi in piazza, vent'anni dopo, a tu per tu con gli stessi fascisti ora 'messi in regola' dallo Stato. Non certo senza l'istinto, ancora una volta, di imbracciare le armi per conto proprio.

Chi ha dato il sangue per liberare l'Italia era lo stesso che, nei famosi anni dell'immediato dopoguerra (boom economico, favolosi anni sessanta e quant'altro) e seguenti, tornava in fabbrica a spendere la propria vita per il benessere della classe borghese. Chi avrebbe potuto avere tutto il diritto di lasciarsi alle spalle la propria condizione sociale dell'anteguerra e dimenticare, nel dopoguerra, le atrocità subite e commesse (parliamo di uomini, sempre e solo di uomini) ha ritrovato la propria condizione invariata e ancor meno considerata, e la propria lotta, nel migliore dei casi, paragonata in tutto e per tutto a quella dei nemici. Vitaliano Ravagli, per questo, impazzisce letteralmente: sparare diventa la ragione di vita e la difesa contro un sistema infame e lontano che lo ha abbandonato. I sentieri dell'odio (così intitolati tutti i capitoli in cui è protagonista) sono quelli che fisicamente lo portano in Indocina, ma che psicologicamente lo hanno già addestrato a confrontarsi con torture, stupri, saccheggi e morti che non conoscono schieramento né età. La libertà diventa una questione di sangue, chi non lo ha vissuto non può comprenderlo e chi non ha l'elasticità mentale per comprenderlo è un nemico. E il paragone con il conflitto odierno? Non abbiamo una guerra mondiale alle spalle, non siamo vecchi partigiani, abbiamo orizzonti diversi e molto più complessi ed articolati. Il nostro nemico non mostra un volto concreto, agisce subdolamente tra coscienze narcotizzate e democratico perbenismo e nutrendosi di quegli stessi veleni dati in pasto all'opinione pubblica. D'altra parte non esistono strumenti concreti, una prospettiva politica lineare, una decisione diffusa e salda. Ma se è vero che le radici affondano nella capacità di ascoltare


“The Only Band That Matters” , l'unica band che conti, cosi sono soprannominati i Clash, gruppo storico punk rock , una delle band più celebri e acclamate durante il periodo d'attività (1976-1986) formazione dei Clash vedeva Joe Strummer alla voce e seconda chitarra, Mick Jones alla chitarra solista, Paul Simonon al basso e Nicholas Bowen Headon, soprannominato Topper Headon, alla batteria. Nessuno come loro ha saputo unire, anticipando in questo una serie di band anni '90 (Mano Negra, Gang, Rancid), il punk rock con il reggae, il dub, lo ska, facendosi notare non solo per la loro bravura ma anche per l'originalità che dimostravano. Erano generi musicali molto diversi tra loro accomunati solamente dalla nascita e diffusione nei giovani emarginati, in cerca di riscatto sociale e cambiamenti. La band raggiunge l'apice del successo con l'album "London Calling", in questo il punk rock viene affiancato ad altri generi come il rockabilly, il reggae e lo ska britannico. L'album è considerato una pietra miliare,il tema politico è molto frequente:"London Calling" è una delle espressioni utilizzate dal Generale Charles De Gaulle, padre della Resistenza, ai microfoni di Radio Londra, "Spanish Bombs" ricorda la guerra civile spagnola; "The Guns of Brixton" manifesta la grave situazione del quartiere popolare londinese abitato da immigrati.I Clash sono tra i primi gruppi ad utilizzare la musica per manifestare ed esprimere problematiche politiche; condividevano gli ideali di fondo del la propria rabbia e di non chiudersi in un mondo che condanna sempre e comunque qualsiasi impennata, nella sensibilità di percepire l'ingiustizia come il nemico maggiore e la diseguaglianza come il peggiore fallimento, è altrettanto vero che a queste stesse sensazioni abbiamo ora la possibilità di dare una risposta e una prospettiva. Per superare la diffidenza che suscita un discorso

Storia della musica

movimento punk del tempo contro la monarchia e il sistema, rifiutando però la corrente del "No Future" che avevano creato i Sex Pistols, altro storico gruppo punk. Tutte le loro idee politiche vengono trasmesse tramite le loro canzoni, per esempio in "White Riot" incoraggiano i ragazzi bianchi a manifestare contro il sistema, come i loro coetanei neri, in Career Opportunities criticano la carenza di posti di lavoro in Inghilterra, Clampdown è al tempo stesso un ricordo dei crimini nazisti ed una critica al sistema capitalista; potremmo citare tutti i brani della band e trovare un significato profondo in ognuno di loro. Si schierarono con enorme entusiasmo al fianco di Rock Against Racism e della Anti-Nazi League, chiarendo così a tutti la loro posizione multiculturale, in quel periodo le questioni dell'immigrazione e del razzismo del genere, capirne i moventi, è necessario un viaggio a ritroso nel tempo. E' necessario superare l'orrore del sangue e riappropriarsi di quelle storie dense di risposte e ancora vividamente idealiste, dove gli ultimi protagonisti impugnano ancora le armi. Capire con quale sottile manovra e perché a queste voci è stato impedito di parlare direttamente, quando era il

stavano dividendo pericolosamente il Paese, diedero il loro supporto al movimento Sandinista e ad altri movimenti marxisti dell'America Latina, attribuendo il nome "Sandinista" al loro triplo album. Anche durante il periodo di massimo successo I Clash non vennero corrotti dal denaro e, anche attraverso liti con la loro casa discografica, mantennero bassi i costi dei biglietti e dei souvenirs. Essendo tra i fondatori del movimento punk rock si può dire che abbiano influenzato più o meno tutte le produzioni musicali successive, non va dimenticato che "The Magnificent Seven" è ritenuta la prima canzone hip hop della storia. In conclusione, chi meglio di Joe Strummer può descrivere i Clash: "Penso che la gente dovrebbe sapere che noi dei Clash siamo anti-fascisti, contro la violenza, siamo anti-razzisti e per la creatività. Noi siamo contro l'ignoranza". Joe Strummer Dicembre 1976 momento, preferendo parafrasarle sui libri di storia in termini moderati e dimessi. E' necessario trovare in questi termini la vera indignazione, lucida e determinata a non cedere nulla. Capire, infine, che se queste sono le risposte non è più possibile cercare il sentiero del dialogo e della crescita costruttiva, che le storie non sono che asce di guerra da disseppellire.


Palazzo delle Esposizioni

Realismi socialisti, grande pittura sovietica 1920-1970 e unʼampia monografia su Rodčenko, esponente dellʼavanguardia sovietica di inizio ʻ900, sono due delle mostre che Roma ospita in occasione dellʼanno della collaborazione culturale tra Italia e Russia. Palazzo delle Esposizioni fino allʼ8 gennaio 2012

Dallʼavanguardia al realismo sovietico Ci fu un tempo in cui arte e politica andarono di pari passo in un rapporto di condivisione di contenuti e finalità, che spezzò ogni legame meccanico tra cultura e potere, generando lʼadesione dei migliori artisti nel progetto di trasformazione della società. La Rivoluzione dʼOttobre, aprì nella Russia feudale zarista, uno squarcio che liberò lʼimpulso di movimenti culturali che hanno pochi eguali per importanza ed innovatività nella storia europea del ʻ900. Movimenti spesso dimenticati e costretti allʼoblio dopo la caduta del socialismo reale in URSS, oggi parzialmente restituiti alla luce dalle due mostre del Palazzo delle Esposizioni. Nei primi anni successivi alla Rivoluzione dʼOttobre ebbero notevole rilievo artisti dʼavanguardia come i costruttivisti Malevič ed El Lisitskij, il poeta Majakovskij, Stanislavskij, il cui metodo ancora oggi è seguito nelle maggiori scuole teatrali, il

grande cineasta Ejzenštejn: si trattava di geniali sperimentatori di nuovi linguaggi, ai quali i rivoluzionari affidarono lʼopera di promozione ideologica senza condizionarne la libertà espressiva. In questo arco temporale si inserisce Aleksandr Rodčenko - a cui il Palazzo delle Esposizioni dedica unʼampia retrospettiva - che è stato in assoluto il più famoso fotografo sovietico della prima metà del ʻ900. Si tratta di un artista poliedrico che si è cimentato agli inizi del secolo con pittura, design, teatro, cinema, grafica e fotografia. Le immagini esposte provengono dal primo museo russo dedicato alla fotografia, il museo casa della fotografia di Mosca: si tratta di circa t r e c e n t o o p e r e t r a f o t o g r a fi e originali, fotomontaggi e stampe vintage. Il fotografo scriveva nel 1928: “Se si desidera insegnare all'occhio umano a vedere in una nuova maniera, è necessario

mostrargli gli oggetti quotidiani e familiari da prospettive ed angolazioni totalmente inaspettati e in situazioni inaspettate; gli oggetti nuovi dovrebbero essere fotografati da angolazioni differenti per offrire una rappresentazione completa dell'oggetto”.


Quellʼavanguardia, che tanto aveva prodotto sotto il profilo ideale e di adesione allo spirito della Rivoluzione cederà lentamente il passo allʼesigenza della costruzione del socialismo e negli anni della seconda guerra mondiale allʼesaltazione della resistenza sovietica di fronte allʼavanzata nazista. “Unʼarte comprensibile per le masse” era quella evocata da Lenin e dal commissario popolare per lʼistruzione Lunacarskij, che darà vita al Realismo Socialista. Fu in particolare negli anni successivi alla morte di Lenin, avvenuta nel 1924, che si assistette al progressivo crescere delle teorie realiste propagandate da Stalin ne “il marxismo e la linguistica”e da Ždanov, ritenuto lʼarbitro della linea culturale del partito. La mostra presenta un arco temporale molto lungo che va ben oltre il consueto limite critico stabilito con la fine della II guerra mondiale e dunque espone opere del secondo novecento fino agli anni immediatamente precedenti l a p e r e s t r o j k a d i G o r b a č ë v. Indubbiamente i dipinti più interessanti, anche se rivestono un carattere spesso quasi illustrativo sono quelli degli anni del grande impulso sovietico, fino al mitico assedio di Stalingrado del 1942-43. In essi i pittori sottolineano momenti rilevanti della vita quotidiana del popolo russo che va costruendo la società sovietica, oppure grandi

episodi storici del 900 che vedono lʼesercito protagonista. Gran parte dei dipinti dedicati alla vita proletaria, soprattutto dei contadini e degli operai, riprende per tecniche pittoriche e stile esecutivo la grande tradizione figurativa del tardo ottocento europeo, che aveva di fatto aperto la strada allʼattenzione analitica verso la vita quotidiana. A sostegno del ritorno a un linguaggio pittorico di tipo tardoottocentesco, venne messa a punto una nuova teoria estetica, nota come "Teoria del riflesso", fondata sull'assunto affermato dal materialismo dialettico e ribadito da Lenin secondo cui ogni percezione era il riflesso, l'immagine specchiata della realtà. La pittura realista divenne lo strumento attraverso cui esprimere la fede nel futuro luminoso del popolo sovietico.

Il Realismo socialista divenne, nelle parole del pittore ufficiale del regime Sergej Gerasimov, un'arte "socialista nel contenuto e realista nella forma" Tra gli artisti più importanti citiamo Kustodiev il cui dipinto “il bolscevico” del 1920, manifesta ancora suggestioni oniriche tratte dalla pittura di Chagall, con forti connotati simbolisti ed una riproduzione quasi fiabesca dei processi rivoluzionari. Con l'affermarsi dell'espressione "Realismo socialista", coniata ai massimi livelli politici e ufficializzata nell'ottobre del '32, divenne più chiaro il tipo di arte che il partito si aspettava dagli artisti collettivizzati. I concetti chiave erano la "fedeltà al partito" (partijnost') e il "contenuto ideologico" (ideijnost'). Eʼ interessante osservare una curiosa illustrazione di Rublev del 1935 che r a f fi g u r a S t a l i n i n v e r s i o n e domestica ed informale, lontano da quella che solo qualche anno dopo sarebbe divenuta unʼimmagine ufficiale e retorica. Tanto ci sarebbe da dire e da scrivere sulla pittura sovietica, ma vi lasciamo il gusto di una visita alla mostra, che vi farà aprire gli occhi su unʼarte per troppi anni sepolta dalla fine del socialismo realizzato. Il palazzo delle esposizioni è gestito dallʼazienda Palaexpo, del comune di Roma, con tariffe elevate anche per gli studenti. Per fortuna il primo mercoledì del mese dalle 14 alle 19 lʼingresso è gratuito per gli under trenta, consigliamo a tutti di visitare la mostra in quelle date.


LA CONDIVISIONE DELLA CULTURA ED IL PROFITTO Nella lunga sequela di ossequiosi messaggi di cordoglio provenienti dagli ambienti e dai soggetti più disparati in seguito alla morte di Steve Jobs, sono stati due quelli che hanno destato più scalpore, almeno qui in Italia: i manifesti affissi dalla federazione romana di SEL, e la dichiarazione rilasciata da Richard Stallman(uno dei fondatori del progetto GNU – Linux), che si è detto felice del fatto che il fondatore di Apple non lavori più. Ma forse non sono del tutto chiare le cause e le reazioni di questi due casi mediatici, perciò proviamo un poʼ ad approfondirle: Richard Stallman ha fondato il più grande progetto al mondo per la diffusione di software liberi, oggi Linux è uno dei sistemi operativi più diffuso al mondo, e grande sostenitore del progetto Copyleft, ovvero di quella gestione del diritto dʼautore che permetta ad un autore di decidere come le sue opere debbano essere utilizzate. Le opere sotto licenza copyleft possono perciò essere diffuse in qualsiasi modo da chiunque, lʼimportante è che non sia a scopo di lucro. Quindi un libro sotto questa licenza noi possiamo scaricarlo, stamparlo e fotocopiarlo, un album od un film possiamo condividerli con chi vogliamo e come vogliamo. In questʼottica le dichiarazioni di Stallman nei confronti di Steve Jobs sono comprensibili, perché egli ha giudicato lʼormai scomparso CEO di Apple per ciò che era: un capitalista spietato senza troppi scrupoli. Il sistema operativo da lui creato è

rigido e non personalizzabile, ma soprattutto fa sì che il materiale multimediale sia reperibile solo attraverso i suoi software, solo a pagamento, e con il tassativo divieto di condividerlo ad altri utenti. Insomma egli era un fervido sostenitore del Copyright, del diritto dʼautore che non ci consente nemmeno di mettere della musica ad una festa senza pagare i contributi per il materiale che utilizziamo(e seppure questo sia un caso limite, una caso del genere può portare a multe molto salate), e su questa normativa oppressiva ha costruito una grossa fetta dei suoi guadagni. Ciò che invece lascia veramente allibiti è lʼatteggiamento di Sinistra Ecologia e Libertà, o meglio della sua sezione romana, che ha reso omaggio al personaggio decorando addirittura con i suoi colori il simbolo della multinazionale da lui creata. A questo gesto, criticato immediatamente da gran parte della sinistra, ha cercato di rimediare Nichi Vendola, sconfessando il gesto, dicendo però che “Il genio di Steve Jobs ha cambiato in modo radicale, con le sue invenzioni, il rapporto tra tecnologia e vita quoti-

diana”. Ebbene, se lʼha fatto, chi sostiene davvero il software ma innanzitutto la libera diffusione della cultura, lʼha fatto in negativo. Il modello del copyright, per chiunque si dica progressista, democratico o comunista, per chiunque creda in una società di uomini uguali ed ugualmente liberi, è un modello sbagliato. Eʼ un modello che permette di utilizzare un prodotto o unʼopera solo dietro un corrispettivo in denaro che non corrisponde al costo materiale della sua riproduzione, ma al costo imposto dal mercato, dal profitto. Anche chi sostiene la libera diffusione della cultura, dei prodotti multimediali, chi pensa che il un libro debba poter esser letto da chiunque, sia esso un romanzo capolavoro o un libro di testo di scuola, e che esso non debba sottostare alle leggi del profitto, ma debba essere appannaggio di tutti, come la licenza Copyleft consente, considera personaggi come Steve Jobs dei grandi imprenditori, solo che questo non dovrebbe essere considerato una celebrazione. ' '

La mela di Nichi

Il caso

A poche ore dalla morte di Steve Jobs, Roma viene invasa di manifesti di SEL con il simbolo del partito di Vendola come sfondo della mela della Apple. Un clamoroso abbaglio preso dalla federazione romana del partito, secondo lo stesso Vendola. Quel che è certo è il fascino che un certo capitalismo ha su questa sinistra allʼamericana, che sparla di Cuba ed è sempre pronta a fare sfoggio del suo apprezzamento per qualche capitalista di turno, da Draghi a Jobs. Whatʼs America....


Cruciverba

ORIZZONTALI 1. Le riunioni ad Arcore, 4. Il... monito di Puccini nel Turandot; 12. Quello dei prof spesso è letale; 14. Un genere musicale; 15. Pare che quelli dei politici siano ben imbiancati; 16. Giudice per le Indagini Preliminari; 18. A volte ci finiscono i dittatori...; 21. Sono due nella ferrovia; 22. Si dice di locale alla moda; 23. Settembre fa la loro ricchezza; 25. Isola socialista delle Antille; 26. All cops are bastards.B; 29. Era più probabile averne ancora a fine mese; 30. Il... principio della dottrina; 32. LA DEFINIZIONE DEL MESE; 37. Gattona fuori dal pub; 38. Due romani; 39. Un mare lucano; 41. Andata; 42. Personal Computer; 44. I Paesi Baschi; 46. La rete inglese; 47. La sua rivoluzione fu una lunga marcia; 48. L'unificatore delle nazioni Jugoslave; 50. Le vocali in birra; 51. La rivolta inglese; 54. Il vero nome di Dracula; 57. Non manca ai militanti di Senza Tregua; 58. Le pari in mani; 59. Nel movimento è preceduta da “no” VERTICALI 2. Gruppi di Azione Patriottica; 3. L'..articolo del matador; 4. In mezzo alle ante; 5. La fine del rodeo; 6. Calano alla fine dello spettacolo; 7. Sulla Tiburtina hanno rimpianto la sua arca; 8. È compact quello che si ascolta; 9. Rimini; 10. El pibe de oro; 11. Sigla di una squadra di calcio della capitale; 13. La sigla dell'Irlanda; 16. il personaggio del mese scorso (per fidelizzare il lettore…); 17. Imprudenti, sconsiderate; 18. Così è il terreno sul quale non piove; 19. In un palazzo sono collegati dalle scale; 20. Il peccato di tracotanza per gli antichi greci; 24. È intestinale quello di Iannone; 27. L'uccello tanto amato da molti poeti; 28. Un'unità di misura della pressione; 31. Priamo ne fu il re; 33. In fondo ai Carpazi; 34. L'Emiliano rivoluzionario messicano; 35. I ...cong che combatterono contro gli americani; 36. Marca giapponese di cellulari; 40. Durante quelle di marzo morì Giulio Cesare; 41. Ingegnere; 43. Senza Tregua; 45. Ne volano tante l'ultimo giorno di scuola; 47. Il me dei francesi; 49. La tassa sui prodotti che è stata aumentata di recente; 52. L'inizio dell'illecito; 53. Il centro dell'Adda; 55. Il simbolo del Litio; 56. Gli estremi di Diderot

DEFINIZIONE DEL MESE

Per i Francesi, la Bastiglia. Per i Russi… Stiamo parlando dellʼatto più celebre della Rivoluzione Russa, o meglio della Rivoluzione dʼOttobre. La sera del 6 novembre 1917( il 24 ottobre per il calendario giuliano) era scoppiata a Pietrogrado lʼinsurrezione bolscevica, che aveva iniziato ad occupare tutti i centri di potere e di controllo della città. Mentre il primo ministro Kerenskij fugge, la gran parte dei ministri si rifugia in quella che sin dal 1732 era la residenza ufficiale degli Zar. La sera del giorno successivo i Bolscevichi li attaccheranno, per espugnarli la mattina dellʼ8 novembre, conquistando lʼintero edificio. Il nome dellʼedificio, che darà il nome allʼoperazione della sua presa, operazione che verrà considerata come lʼatto principale della rivoluzione, è il…


“Freak Brothers”. Intervista Continua il nostro viaggio allʼinterno delle curve di sinistra che animano il calcio italiano e europeo. Oggi parliamo con i compagni della Curva Est della Ternana

Domanda: Spesso i media presentano gli ultras come la parte peggiore della società. Sappiamo però che non è così: i Freak Brothers, per quanto r i g u a r d a Te r n i , s o n o a t t i v i promotori di molti progetti sociali. Potete raccontarcene alcuni? Risposta: I Freak Brothers sono una realtà storica nellʼambito della tifoseria italiana in generale, e di Terni nello specifico. Sono stati un punto fondamentale di aggregazione attorno al quale sono ruotati tutti gli strati che hanno composto il tessuto sociale ternano e anche numerosi progetti sociali, sin dalla fine degli anni 70. Essendo Terni una città con una forza lavoro che si sviluppa grazie a grandi impianti (Acciaieria, Industrie chimiche), cʼè sempre stato un forte legame fra la curva e la popolazione, composta prevalentemente dal proletariato. I componenti più “anziani” dei Freak continuano ad essere un punto di riferimento importante per i gruppi più giovani, infatti oggi è più corretto parlare di Curva Est in generale, anche se nel corso degli anni si sono avvicendati una serie di gruppi che hanno provato a tenere alto il nome dei Freak, come il gruppo WorkingClass e il gruppo più recente degli Ultras-07. Il nome è cambiato, ma la tipologia di impegno no: le persone che vivono la curva si sono sempre

schierate a difesa di importanti istanze, quali la difesa del contratto nazionale del lavoro per i metalmeccanici e il sostegno dei cassaintegrati, rinforzando le battaglie che gli operai hanno portato avanti, come ad esempio la lotta della Basell: uno stabilimento chimico che dà lavoro a moltissime persone, e quindi terreno fertile per le speculazioni e per la cassaintegrazione. Un altro progetto che ci sta molto a cuore è il Memorial Amici Scomparsi, un torneo di calcio annuale in cui si gioca per ricordare i compagni e amici che ci hanno lasciato, nel corso degli anni, per mantenere sempre vivo il loro ricordo e stare vicini alle famiglie. Il ricavato delle giornate poi è stato sempre stato donato in beneficenza, o a famiglie in difficoltà che dovevano sostenere dei costi elevati per far operare i figli gravemente malati. In ultimo, non certo per importanza, posso citare il mini torneo che abbiamo organizzato in memoria delle morti bianche. Terni tutta è molto sensibile al tema, proprio per la presenza sul nostro territorio di una delle filiali centrali dellʼAcciaieria Thyssen, da sempre oggetto di battaglie sindacali interne contro lo smembramento a cui si assiste da anni, e successivamente al centro del ciclone per via del terribile incendio di Torino, anche se non mancano incidenti proprio sulla

nostra divisione ternana. Incidenti sul lavoro allʼinterno dellʼAcciaieria sono molto frequenti e questo torneo è stato organizzato proprio per sostenere economicamente le famiglie delle vittime. D: La politica negli stadi viene sempre più messa da parte negli ultimi anni; molti gruppi che in passato si dichiaravano di sinistra adesso sguazzano nellʼapoliticità. Voi siete tra quelli che non si sono piegati a questa logica. Perché? Cosa fate per combattere questo fenomeno? R: La maggior parte delle curve sono cambiate perché anche i tempi sono cambiati. Lo stadio è un poʼ lo specchio della società, o almeno degli strati sociali economicamente medio-bassi. Allʼimpoverimento culturale generale e al distaccamento dallʼimpegno della società tutta, anche allʼinterno delle curve si è assistito pian piano allo smembramento di quei gruppi che si ritrovavano sotto la stessa bandiera, soprattutto quella rossa. Questo tipo di situazioni sono terreno fertile per lʼattecchimento “dellʼapoliticità”, che a nostro avviso non ha alcun senso, o meglio è la maschera dietro alla quale si nascondono tutti quei gruppi di destra, anche estrema. La società ha bisogno della politica, della buona politica. In queste condizioni


possono prendere piede deviazioni pericolosamente a destra, che si nascondono sotto le buone intenzioni delle istanze sociali, ma è solo un modo per depistare dalla loro vera natura. Questi fenomeni però hanno avuto la meglio in grandi città, in realtà difficilmente gestibili o variegate, mentre Terni ha una forte tradizione politica a sinistra, è stata una città che ha fatto una forte Resistenza durante la lotta per la liberazione del Nazi-Fascismo, e queste inclinazioni ancora fortunatamente non sono andate perdute. Come gruppo poi, spesso in collaborazione con i ragazzi del centro sociale Germinal Cimarelli, si organizzano presentazioni di libri di argomenti correlati, dibattiti, proiezioni di film, rievocazioni storiche, tutte con lo scopo di mantenere vivo lʼinteresse e informare la popolazione. D: Partecipate ai Mondiali Antirazzisti. In cosa consistono? R: La nostra adesione e partecipazione ai mondiali antirazzisti è unʼeredità di qualcosa nato alla fine degli anni 90 e portato avanti in principio dai Freak Brothers e di cui andiamo molto orgogliosi. Eʼ un momento annuale unico, in cui varie tifoserie, associazioni, centri sociali e semplici persone si incontrano, giocano a pallone, mangiano, bevono e si divertono: in realtà, non si fa niente di diverso da quello che dovrebbe essere una

normale convivenza civile fra ambienti diversi, interazione fra persone in contesti meticci,mescolati. Eʼ unʼoccasione importante per sottolineare come si possono eliminare i pregiudizi e costruire un modo diverso di convivenza multiculturale. Sullo stesso stampo, proprio a Terni, abbiamo organizzato per diversi anni il RAI (Raduno Antirazzista Italiano), in collaborazione con altre tifoserie di sinistra, con cui da sempre si è portato avanti il valore dellʼantifascismo. Purtroppo negli ultimi anni le poche risorse e lʼallontanamento dalla curva per motivi di repressione a cui siamo stati sottoposti ci ha portato a non poterci occupare in modo adeguato di questo aspetto; ma è una volontà che rimane sempre forte e un valore in cui crede tutta la curva D: Avete stretto nel tempo diversi gemellaggi, sia in Italia che in Europa. Come nascono queste esperienze? R: L'amicizia con i ragazzi del Sankt Pauli è nata circa 10-12 anni fa, durante le nostre trasferte a Bergamo, per seguire lʼAtalanta con cui cʼè un gemellaggio ancora più longevo. A dire il vero, sono anni ormai che cʼè una profonda amicizia fra noi e i ragazzi bergamaschi, nato in principio sempre per la nostra inclinazione politica a sinistra. Si andava spesso a Bergamo e, da quando abbiamo trascorso del

tempo con i ragazzi di Amburgo è nato un vero e proprio amore; anzi, in realtà, siamo noi in principio ad aver fatto colpo su di loro, probabilmente per la nostra spontaneità e per il nostro essere grandi compagni (e compagnoni). Ogni campionato scendevano a Terni almeno 2-3 volte lʼanno organizzandosi con pullman o pulmini, quindi in numero discreto. Noi siamo andati per la prima volta in visita ad Amburgo circa 5-6 anni fa per il torneo di Alerta Network, rete europea antifascista alla quale abbiamo aderito e soprattutto contribuito a creare. Un altro aspetto che ci ha portato a testare lʼambito europeo, a fare gli ultras allʼestero oltre che in trasferta, è stata la consapevolezza del cambiamento dei tempi a cui stavamo assistendo: dopo aver subito le conseguenze di leggi speciali e provvedimenti restrittivi, era giunto il momento di esportare la nostra voglia di tifo. Un aspetto che ammiriamo molto del loro mondo è la gestione collettiva della società, pratica che da noi sarebbe veramente impensabile. Vorrei concludere citando unʼaltra importante amicizia nata negli ultimi anni, sempre internazionale, che tra lʼaltro lega anche i tifosi del Sankt Pauli: i ragazzi dello standard Liegi del gruppo Ultras Inferno si sono dimostrati molto simili per pratiche e contenuti a noi e ai ragazzi di Amburgo, e da 2-3 anni ci muoviamo in trasferta per partecipare ai tornei omologhi ai nostri per dare il nostro contributo.

SENZA TREGUA Eʼ un giornale prodotto interamente da studenti del collettivo “Senza Tregua”, e non riceve finanziamenti esterni di alcun genere. Se sei interessato a scrivere o a partecipare alle nostra attività inviaci una mail allʼindirizzo: collettivosenzatregua@hotmail.it Questa edizione del giornale è disponibile sul sito www.senzatregua.org, le edizioni precedenti sono scaricabili liberamente dal sito www.issuu.com, basta cercare “senza tregua” e troverai tutto il nostro materiale. continua a seguirci su www.senzatregua.org



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