• Luigi Naretti, Ragazze Beni Amer, Massaua, 1885-1890
LUIGI NARETTI • Un fondo di fotografie ritrovato nella Biblioteca Antonelliana Una lettura di Leonardo Badioli
Taccuini Maltagliati Senigallia 2019
Mostre, fiere, conferenze, convegni, incontri, compongono “l'azione introduttiva” della Biennale, la cui prima edizione, che avrà luogo nel maggio 2020, e le successive, manterranno la forma libera e l'intenzione di celebrare i primi 150 anni di fotografia, 1839-1989.
Una “ipotesi”, da testare collettivamente, intorno ai primi indizi sedimentati di questa età dell'oro del nostro passato: e se il museo ideale del futuro, come la “Boîte-en-valise” di Marcel Duchamp, fosse una valigia contenente una selezione di stampe fotografiche? Una “Boîte-en-musée”.
La Città di Senigallia è stata nominata dal Consiglio Regionale delle Marche “Città della fotografia” un anno fа. La patria di Giuseppe Cavalli, di Ferruccio Ferroni, di Mario Giacomelli e di tanti altri fotografi è riconosciuta luogo d’eccezione, una denominazione di origine controllata culturale.
Il 2, 3 e 4 maggio 2019 ospiterà l’anteprima di un'ambiziosa Biennale di Fotografia, co-organizzata dal Comune e da Serge Plantureux, con la collaborazione di Francesca Bonetti, curatrice ospite.
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Dall'invenzione della fotografia all'avvento dell'oscura era digitale, in un approccio artistico e scientifico alla fotografia come opera e oggetto, la Biennale di Senigallia ci invita a esplorare insieme la ricchezza potenziale di questa storia materiale.
Raggruppate sotto il titolo C'era una volta la fotografia, due mostre sono allestite in due nobili sedi nel cuore della città e saranno visibili anche qualche settimana prima e dopo gli incontri di maggio 2019. Maurizio Mangialardi, Sindaco di Senigallia 21 marzo 2019
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• INDICE •
Succede a volte
• Luigi Naretti, Osterie arabe nel bazar di Taulud, 1885-1890
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Il fondo Luigi Naretti
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Panorama generale di Massaua Pescatori indigeni Vista di Taulud Il Giorno del ramadan Piazzale del cisternone dell'acqua di Monkullo Veduta Generale di Sahati Funzione per l'accensione del rogo del Mascal All’Ospedale militare
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Bibliografia
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© 5OCHE 2019, una pubblicazione della SCBS di Serge Plantureux Via Marchetti, nr 2, 60019 Senigallia (AN) 7
Succede a volte, ai pochi che entrano in quegli archivi in cui è consentito l'accesso diretto, di non trovare la cosa che sta cercando ma di imbattersi in tutt'altro che attrae l'attenzione, per quanto deviante dai suoi scopi. Chi mai – fosse pure un cultore di fotografia o di storia coloniale entrerebbe nell'Archivio Storico della Biblioteca Comunale Antonelliana di Senigallia con lo scopo preciso di prendere contatto con la collezione di scatti di un Luigi Naretti che vi è conservata?
Allineato tra altri sessanta raccoglitori pieni zeppi di immagini della vita amministrativa della città, e segnato sul dorso col numero 29, l'album che la contiene sembra esserci caduto per errore, come un lascito spurio di qualche avventurato personaggio sconosciuto ai suoi concittadini a causa di una prolungata assenza in luoghi lontani. A quale fondo appartiene se appartiene a un fondo, entrato quando e consegnato da chi; e, prima, se le foto che vi sono comprese siano state portate direttamente dall'Africa o acquistate in Italia in quale mercato; e, prima ancora, chi sia questo Naretti, quale uomo, quale fotografo e quanto frequente o raro negli anni attraversati dalla sua attività ? Per chiederci poi, volendo cogliere delle fotografie oggetto modo e luogo, se sappiamo abbastanza delle nostre guerre coloniali in Eritrea, Abissinia, Libia, di nuovo Abissinia - sublimate nel pregiudizio della bonomia italiana e prestamente rimosse dopo il quarantacinque.
• Luigi Naretti, Suonatori abissini, 1893
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Delineata una serie di cerchi concentrici attorno a questa collezione non attesa, siamo già dentro l'opera. Possiamo dunque cogliere al meglio e senza moralismi postumi l'intenzione, la poetica, la tecnica di un fotografo pioniere espresse lungo quindici anni dell'ultimo ottocento.
Ecco dunque il luogo dell'Eritrea in cui Naretti ha deciso di stabilirsi, Massaua. Ecco i personaggi: a noi già noti anche solo per nome, come la coppia imperiale Regina Taitù e Negus Menelik, o un po' meno conosciuti, come un fierissimo Ras Mangascià a cavallo. Ecco poi le genti che il fotografo incontra nei luoghi frequentati o seguendo il procedere della conquista in direzione dell'interno, quali sono appunto i Suonatori abissini e le Ragazze Beni Amer: ritratti che oggi definiremmo “etnici” quasi che non fossimo anche noi altrettanto “etnici” ai loro occhi.
Si può capire che un primo contatto con questo antico mondo e col suo narratore per immagini non può andare oltre la meraviglia o un sospetto déja-vu che ci coglie all'improvviso. Potrebbe bastare.
Del resto una gran parte di noi non conosce per nome le stelle sotto le quali viviamo. Ma quale più ampio orizzonte ci apre il conoscere il mito e le storie che sono e sono state nostre! Proviamoci dunque. Scatto per scatto, pagina per pagina, la lettura di queste immagini travalica i tempi in cui sono state diffuse. E darà luogo a molti racconti. Leonardo Badioli, scrittore
• Luigi Naretti, Regina Taitu e Negus Menelik, Maccalè (Tigrè), 1895
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Senigallia, 10 aprile 2019
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• IL FONDO LUIGI NARETTI •
Prendiamo nota intanto che la raccolta si compone di 45 fotogrammi in carta albuminata di dimensione media intorno ai 210x270 mm, salvo sei di 270x210 mm. Ognuno di essi porta una didascalia che illustra la scena o il personaggio raffigurato, il nome dello studio di fotografia Foto L. Naretti, Massaua - e un numero di serie. Il numero più basso è 6, quello più alto, 322; la maggior parte è sotto 300; in alcune il numero non è riconoscibile. I soli numerati oltre 300 sono tre e portano vedute di Asmara.
Il primo ricorso dell'ignaro trovatore è al troppo disprezzato (dagli studiosi) Wikipedia, per vedere però che non esiste una voce espressamente dedicata a Luigi Naretti; esiste invece quella per Giacomo suo cugino che, partito falegname dal paese natale di Parella del Piemonte nel 1870 insieme con una squadra di carpentieri, con bravura e lealtà aveva saputo conquistare la fiducia del negus del Tigrè e imperatore d'Etiopia Johannes IV e aveva anzi collaborato alla costruzione del suo palazzo-reggia a Maccalè.
• Luigi Naretti, Maccalè. Entrata delle truppe nel palazzo del Negus il giorno del Mascal, 1895
È lui probabilmente il riferimento che incoraggia Luigi a trasferirsi in Eritrea.
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Al suo arrivo - in seguito all'occupazione italiana di Massaua nel 1885 come testimonierebbero due vedute della città con quella data - lo zio falegname non si trova più alla corte dell'imperatore, o sta per partire:
Johannes infatti non ha affatto gradito quell'impresa che taglia la strada all'unico sbocco del Tigrè verso il mare, e considera lo sbarco come un atto ostile verso di lui e un primo passo in un programma di conquista italiana dell'Etiopia.
Di lui, abbiamo detto, non esiste una vera biografia; nondimeno l'esame del suo lavoro, in particolare il fatto che nell'ultimo decennio del secolo si venga concentrando una parte consistente della sua opera, consente di accertarne la presenza in Eritrea prima e nel Tigrè poi; e, con essa, di ottenere un'apprezzabile conoscenza della personalità del fotografo e una più facile lettura delle immagini che mette a stampa.
Da quel momento in avanti gli italiani non hanno più buon tempo presso di lui; per Giacomo stesso – malgrado perdurino nei suoi confronti il favore e la stima personale - la presenza si è fatta imbarazzante.
Ha chiesto dunque al suo negus il permesso di tornare a casa; il paese natale lo vede ritornare nel settembre 1886 e ripartire all'inizio del 1888. Ritorna a Massaua, e lì l'amministrazione italiana assume lui e sua moglie Teresa come interpreti e buoni conoscitori del territorio abissino. Ci resta per un anno e poi risale ad Asmara dove resta fino alla sua morte, avvenuta nel 1899.
A sua volta Luigi sposa la vedova e si sistema presso di lei nella città tigrina con le due figlie Angelina e Teresa.
• Luigi Naretti, Massaua. Ragazze beduine portatrici d'acqua, 1885-1890
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• Luigi Naretti, Panorama generale di Massaua, 1889
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Un saggio breve, ma anche illuminante e fondativo, è quello di Silvana Palma dal titolo Fotografia di una colonia. L'Eritrea di Luigi Naretti (1885 – 1900), apparso nel 2002*. Circostanza favorevole è che la rivista si trovi nella disponibilità dell'Antonelliana, per cui non è necessario fare altro che chiederla in prestito. Possiamo così connettere l'opera ai suoi contesti: atti e tappe, documenti e retoriche della prima impresa coloniale italiana attraverso l'occhio del più significativo dei fotografi che operarono in Eritrea, per la qualità e la quantità della produzione fotografica e per il rilievo e l'ampia circolazione che questa all'epoca ebbe a godere.
Un fatto è certo: che il primo periodo della colonizzazione italiana coincide con il boom della fotografia e dei giornali illustrati con fotografie. Esplorazioni e conquiste forniscono una materia suggestiva con la quale si possano compiacere il desiderio di nuove conoscenze e anche il gusto per l'esotico che riempie la fantasia dei lettori. Da tempo l'Inghilterra ha allestito una sezione fotografica ufficiale che attesti il procedere delle conquiste; l'Italia però è troppo nuova, e lo slancio coloniale troppo affrettato perché ne abbia una - l'avrà solo dopo i fuochi di Adua (1896) quando, presso la Brigata Specialisti del 3°reggimento del Genio, sarà costituita la Sezione Fotografica in modo da ottenere quella che viene definita “la fotografia ufficiale”. * numero 109 della rivista Quaderni storici dell'editrice “Il Mulino” interamente dedicato a La colonia: italiani in Eritrea 18
Sono dunque i privati a soccorrere l'informazione con l'iniziativa e con i collegamenti che riescono a intessere.
Seguiamone dunque il percorso, a partire dalla segnalazione di un crescente interesse verso la fotografia storica coloniale, per lungo tempo trascurata come fonte di memoria. Al tempo dell'occupazione di Massaua, per la prima volta si trova in Eritrea il fotografo Mauro Ledru; lo seguono i fratelli Nicotra, come lui siciliani, e si mettono in società.
I tre vanno e vengono per ripetute missioni; e poi Luigi Fiorillo, favorito da contatti con quella concentrazione di fotografi e scambi fotografici che si trova ad Alessandria d'Egitto. A differenza dei colleghi, Luigi Naretti è per restare, e proprio per questo ha aperto uno studio a Taulud, che è una delle due isole sulle quali è adagiata Massaua.
Ma qui serve una mappa. Anche questa conserva e fornisce l'Archivio dell'Antonelliana: una Guida all'Abissinia Settentrionale con le strade che vi conducono da Massaua ad Asmara pubblicata dai Fratelli Treves di Milano, che allega due grandi carte, l'una dell'Abissinia Settentrionale, costrutta dall'autore Cap. Antonio Cecchi e curata dall'Istituto Cartografico Italiano L. Rolla a Roma, l'altra su Gli Italiani in Africa, mutuata dalla Cartografia E. Kerbs di Milano e già pubblicata dal giornale Il Secolo, anch'esso di Milano.
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Vi trova posto una finestrella con l'ingrandimento topografico di Massaua e, appunto, di Taulud, isole entrambe collegate con dighe transitabili tra loro e con la terraferma.
Questa collaborazione con i Treves, editori librari e promotori de L'Illustrazione Italiana, sembra essere il centro focale della distribuzione di immagini che Naretti invierà dalla Colonia Eritrea e dalla prossima Abissinia. Non l'unico, però: ci sono anche L'Illustrazione popolare, La Tribuna illustrata, Il Secolo illustrato, e in generale un'autentica fioritura in quella fine secolo di simili periodici; il che attesta la diffusione e il non difficile rinvenimento oggi di fotografie di Naretti: a Napoli (Società Africana d'Italia presso l'Istituto Universitario Orientale); a Roma (Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente, e Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito); e a Torino (Biblioteca Reale), ma anche in collezioni private o album di ricordi di chi era stato là.
vorrà dire che ci sarà materia per altre perlustrazioni, caso mai ne mancasse.
Possiamo però indicare vicinanze significative alla città, se non proprio alla biblioteca, di fatti e persone che potrebbero orientare un simile approfondimento.
A queste si aggiunge - o almeno viene in cognizione - la collezione dell'Antonelliana. C'è allora modo di saggiarne la consistenza e affrontare la questione omerica di come vi sia giunta la quasi cinquantina di fotografie che conserva.
Forse il tempo intercorso tra l'emersione del fondo dall'archivio e la scrittura di queste note non è stato sufficiente ad acclararlo:
• Luigi Naretti, Massaua. Pescatori indigeni, 1885-1890
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Senigallia pianse tre vittime nella battaglia di Abba Garima presso Adua, un tenente, un sottotenente, un caporale dei quali sono noti i nomi; ma la città non tiene l'elenco dei reduci di quella prima guerra coloniale.
Un'altra prossimità da rilevare è la figura di Filippo Marazzani Visconti Terzi, antica nobiltà piacentina con proprietà e residenze senigalliesi dal Seicento: ebbe incarichi diplomatici a Dessiè, nell'Amara, a partire dal 1886 e rimase in Etiopia fino al 1922.
Possedeva egli stesso un apparecchio fotografico dei tipi allora in voga fra dilettanti fotografi e con quello aveva documentato alcune figurazioni rupestri preistoriche da lui scoperte.
Una terza forse più promettente è quella del già nominato Antonio Cecchi, pesarese, capitano di marina e primo consulente del governo nell'occupazione di Massaua del 1885; si fermò poco tempo, sufficiente per raccogliere appunti per la sua Guida a L'Abissinia Settentrionale.
Al ritorno da uno dei suoi numerosi viaggi, intanto, il Capitano aveva impalmato una nobildonna di Cesena, Isotta Guidomei, la cui famiglia era imparentata con i senigalliesi Mastai Ferretti dai quali era uscito papa Pio IX.
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È pur vero che tre indizi eterogenei non fanno una prova, ma forse meriterebbero di essere singolarmente esaminati e poi magari scartati quando risultassero svianti.
Naretti dunque si mette al lavoro – abbiamo detto a partire dal 1885 e con maggiore intensità dall'89 in avanti; di modo che sue fotografie compaiono ripetutamente, spesso trasformate in incisioni con procedimento di fotomeccanica, nella rivista dei Treves, L'Illustrazione Italiana, o in quelle concorrenti, o in opere librarie di memorialistica coloniale. I motivi di tanto apprezzamento sono molteplici e tutti significativi.
Riguardano la storia della fotografia non meno della fotografia della storia, per versanti entrambi legati dal filo di una reciproca convalida.
Finalmente si avevano immagini da luoghi lontani in tempi ragionevolmente brevi, e soprattutto immagini capaci di attestare come veramente stavano le cose. Chi avrebbe smentito una fotografia? Con questa presunzione di oggettività la tecnica si era fatta largo in cinquant'anni rubando spazio alla pittura o spingendola verso nuove definizioni. “Riesce così bene in ciò che non è astratto!” diceva Baudelaire dell'amico fotografo Nadar.
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Il vero di Naretti è sorretto e rafforzato, a differenza degli altri suoi colleghi, dall'essere egli residente.
Se dunque Ledru confezionava vedute di Massaua e della vita militare, e i Nicotra cercavano assonanze africane col folklore della loro isola, Naretti può affacciarsi sulla città in cui vive, sulle attività di cui quella vive, sui dintorni; e, accresciuta la sicurezza negli spostamenti, fissare in immagini luoghi, costumi, persone della prima colonia italiana.
Nel suo saggio Silvana Palma elenca gli oggetti dell'interesse del fotografo. Sono 256 immagini da suddividere in 33 voci di cui l'ultima è Altro. Largamente prevalenti sono Panorami e vedute (48) e Realizzazioni italiane - forti, comandi, chiese, ospedali (40); buone terze le Donne indigene (33); poi Notabili e capi indigeni (18), e Truppe indigene, Gruppi indigeni, familiari, etnici, urbani, Eventi coloniali, Attività lavorative africane con minori presenze totali e percentuali. Un confronto tra l'intera opera di Naretti e la parte contenuta nel fondo senigalliese non smentisce la ripartizione più ampia, con qualche differenza che potrebbe delineare la personalità del collezionista.
Perché non si possiede un numero così alto di oggetti in difetto di un'intenzione sistematica.
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• Luigi Naretti, Maccalè. Dopo la funzione pel Mascal, circa 1895 (Un particolare illustra la copertina di questo taccuino)
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Se invece cerchiamo di dare una sequenza alle immagini converrà seguire un ordine meno dettagliato e raggrupparle in categorie più ampie, e insieme ordinarle in ragione del procedere (o del recedere) dell'avanzamento e dell'opera fotografica che lo documenta. Possiamo farne un esame comparato: tranne poche, le foto non portano una data, e tra quelle del fondo Antonelliana nessuna; la stessa numerazione progressiva che il fotografo appone nella didascalia non appare perfettamente diacronica. Facciamo dunque migliore affidamento sull'ordine delle correlazioni.
La città e il porto di Massaua non sembrano offrire l'immagine di quell' “ammasso di case più o meno diroccate e di capanne di stuoia” che aveva così male impressionato due anni prima il viaggiatore pagante Gherardo Monari. Del resto la città ha già una storia: sempre stata un buon porto, dove tra Diga, palazzi coloniali e palazzo del Governatore la prima preesiste all'occupazione italiana e anche il terzo, il palazzo che si trova sulla punta di Taulud, era sorto in precedenza per opera di uno svizzero, Munziger Pascià, perché fosse un Serraglio.
In quanto ai palazzi coloniali, costruiti dopo il 1890 a seguito della fondazione ufficiale della Colonia Eritrea, la loro presenza consente di collocare lo scatto dopo quella data.
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• Luigi Naretti, Massaua. Diga, palazzi coloniali e palazzo del Governatore, circa 1892
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Un buon numero di immagini sono da Naretti dedicate al luogo in cui ha aperto lo studio. Una prima Veduta generale di Taulud non nasconde la povertà delle abitazioni e di chi ci vive, ma solo perché le è inevitabile.
Quando poi, dopo la creazione ufficiale della Colonia Eritrea, potrà fotografare Taulud visto dai palazzi coloniali, Luigi mostrerà agli italiani quei luoghi come cosa che loro appartiene. È questa, se vogliamo, una prima prova della parzialità del messaggio fotografico, non avvertita dall'ermeneutica del secolo ma un po' più evidente oggi.
• Luigi Naretti, Veduta generale di Taulud, Massaua, circa 1885
• Luigi Naretti, Taulud visto dai palazzi coloniali, circa 1892
Il quartiere indigeno è descritto da chi l'ha visto come “un immondezzaio di putrefazione umana”.
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In generale le immagini accarezzano le aspettative. L'impressione che Naretti vuol dare della Colonia è soprattutto quella di una presenza italiana pacifica in un luogo pacificato. “Noi non vogliamo avventure, non guerre di conquista che anzi condanniamo apertamente” aveva detto il capo del governo Francesco Crispi a Torino nell'87; “nostra ambizione è che l'Italia si rifaccia e si espanda là dove spontaneamente vanno i suoi figli”.
Il colonialismo italiano fu sempre ben pasciuto di parole. Eccoci dunque a Massaua In piazza dello Statuto il giorno del Ramadan - intendendo probabilmente la Festa della Rottura che segna la fine del digiuno: l'intitolazione della piazza allo Statuto Albertino incornicia una quieta animazione di grandi e piccini nel rispetto delle usanze del luogo.
Di immagini simili l'Italia ha bisogno per vincere la resistenza di tanti che sono scettici di fronte alla foga di acquistare terra in luoghi lontani, se non del tutto avversi: socialisti, radicali, stampa democratica e addirittura membri del governo, per non parlare dei gesuiti della Civiltà Cattolica, ciascuno con suoi propri argomenti.
Due specifiche esigenze orientano in effetti il lavoro fotografico nella colonia: offrire un servizio informativo che sia in quanto tale degno di fede e veritiero, con l'occhio però sempre rivolto all'immaginario dei possibili acquirenti: consenso politico e soddisfazione del gusto per l'esotico.
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• Luigi Naretti, Massaua. In Piazza dello Statuto il giorno del Ramadan, circa 1895
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Sulla stampa illustrata o direttamente attraverso le fotografie acquistate da Naretti, la nobiltà e il medioceto italiani di fine ottocento possono allora visitare le Osterie arabe nel bazar di Taulud (pagina 6) o, sul Piazzale del cisternone dell'acqua di Monkullo apprezzare il rifacimento dell'acquedotto voluto dal generale Baldissera.
In quanto all'acqua, ne potrebbe arrivare anche dai pozzi di Otumlo, ma lì è il “campo della morte”: i nativi sloggiati da Massaua perché inutili si sono accampati in quel lembo di deserto in cui non hanno dove ripararsi, qualcuno si è fatto un tucul, altri dormono sotto una stuoia o sotto un cespuglio oppure sotto niente, sulla nuda terra; non c'è da mangiare e i bambini cercano nello sterco dei cammelli qualche chicco rimasto indigesto. In quel posto “i morti aspettano le iene e i vivi la morte” – scriverà il primo governatore civile in Eritrea dopo i governi militari, Ferdinando Martini. Una serie consistente di fotografie è dedicata alle “vedute”. Sono per la gran parte aperture su luoghi che hanno un significato militare o rilevante per la storia della colonia, in modo da formarne un repertorio. Non manca però, il fotografo residente Naretti, di usare il suo tempo nell'osservazione diretta di popoli e costumi.
Allora non sono più militari e postazioni, casematte e celebrazioni, ma ritagli di vita quotidiana tutto intorno a Massaua. Sono Ragazze portatrici d'acqua o, specificando l'appartenenza etnica, Ragazze beduine portatrici d'acqua (pagina 15) che testimoniano le attività del luogo; Pescatori indigeni, (pagina 21) dove “indigeni” si fa volentieri sinonimo di “primitivi”. • Luigi Naretti, Massaua (Taulud). Piazzale del cisternone dell'acqua di Monkullo, c. 1892
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Oppure, estendendo l'osservazione al retroterra della città, Assaortini venditori di latte - fidando che il compratore sappia qualcosa della regione di Assaorta, estesa dal sud di Massaua fino all'altipiano abissino, e del carattere dei suoi abitanti “ladri e razziatori” come li vede il commissario Teobaldo Folchi*. Non manca alla raccolta un riferimento ai Suonatori abissini (pagina 8), alla loro formazione ritualmente disposta e ai loro specifici strumenti, ancorché strappata al rapporto con l'ascoltatore; del resto l'allestimento teatrale in cui è costruita la fotografia è quello stesso degli studi fotografici tutto tendaggi e colonnine che è in uso in Italia in quegli stessi anni.
Con maggiore facilità Luigi Naretti documenta le etnie locali che hanno accettato la protezione italiana, nel modo anonimo e classificatorio dei tipi, come queste Ragazze Beni Amer (pagina 2) o queste Donne sudanesi poco inclini al sorriso: per quanto l'uso di sorridere al fotografo sia frutto tardivo legato necessariamente alla brevità della preparazione all'esposizione, non sfugge l'espressione di rassegnato fastidio delle persone in posa.
L'attenzione per l'universo femminile nei suoi vari aspetti rimane in lui costante, che lo ritragga sul piazzale di un sifilidicomio o ne smerci in collezione separata le pose adescatrici nei bordelli.
• Luigi Naretti, Assaortini venditori di latte, 1885-1890
* Le note del commissario, a cura di Massimo Zaccaria, Franco Angeli 2009
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Sulle donne abissine gli italiani costruiscono - e il fotografo fissa - il mito di un paradiso naturale deresponsabilizzato e facile da acquistare; ma della loro condizione nella società poco si occupano.
I più perspicaci si accorgono che in Abissinia “la donna è tenuta in condizione durissima. A lei tutte le cure, a lei tutte le fatiche della casa, dalla triturazione dei cereali alla preparazione dei cibi, dalla ricerca e trasporto dell'acqua e della legna alla acconciatura ed abbigliamento del proprio marito e signore. Senza dire di tutte le fatiche e cure della maternità. E quando il marito parte per la guerra essa coi figliuoli e col carico delle provviste e degli utensili domestici deve spesso seguirne e accompagnarne la marcia. Deve poi sopportare col rapido avvizzire della sua bellezza, il contatto e le ingiurie di più giovani e fortunate rivali”.
Questo vede e pensa e scrive il viaggiatore Cecchi, opinione generalmente condivisa, non mancando peraltro chi sostenga che sia tra uomo e donna una sorta di parità nella vita quotidiana.
Le Donne somali ben abbigliate e cariche di ornamenti che vediamo ritratte ad Assab suggeriscono di un viaggio in quel primo insediamento italiano, 450 km circa a sud di Massaua: Naretti ne ricava una Veduta di Assab: Fanale. Posta. Comando a controllo del porto e di una cittadina minima dove davvero non succede mai niente.
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• Luigi Naretti, Assab. Donne somali, 1885-1890
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Lì si trova una Chiesa Cattolica e casa della Missione e, al suo interno, la Scuola della Missione Cattolica Italiana, tre suore e una venticinquina di bambine e ragazzette tutte in posa col lavoro in mano. Niente di più rassicurante circa lo scopo della presenza italiana e niente di più lontano da un teatro di guerra.
• Luigi Naretti, Assab. Scuola della Missione Cattolica Italiana per le ragazze indigene, c.1890
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Del resto la facile occupazione di Massaua aveva illuso dell'agevole conquista di un più ampio territorio; e se pure l'imperatore Johannes non l'ha presa bene e il vassallo ras Alula alza i pugni e minaccia, la bandiera italiana e due colpi di cannone – a Roma ne sono straconvinti – saranno sufficienti a mettere in fuga quei selvaggi.
La città è fatta capitale provvisoria del possedimento d'oltremare: più un programma che una realtà. Il capitano Cecchi vi è presente in qualità di “esperto dei luoghi e dell'ambiente indigeno”; a quel periodo si può ricondurre la stesura della memoria riguardante L'Abissinia Settentrionale. La sua descrizione del percorso che da Massaua conduce all'Asmara si accompagna bene con l'illustrazione delle tappe che ne fa Naretti, ancorché redatte in tempi differenti. L'avanzata è lenta e circospetta: ci mette due anni il corpo di spedizione per arrivare ad occupare Sahati che dista dal mare un 25 km e non più.
“È un'importante stazione di fermata – assicura il Cecchi - , ai piedi di una collina e attraversata da un torrente al cui interno sono scavati pozzi che danno acqua non troppo buona, ma sufficiente a creare intorno una bella verzura.” Dove parla di fermata, però, si riferisce alla via carovaniera, perché la ferrovia che compare nella fotografia - e che verosimilmente ne rappresenta il motivo d'orgoglio – iniziata nel 1887 col breve tratto Penisola di AbdelkaderOtumlo, ci arriverà a Sahati solo nel marzo dell'anno successivo.
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La Veduta Generale di Sahati è dunque ottenuta dopo questa data. Comunque un capolinea; infatti nel passaggio successivo, dopo Ailet, Naretti incrocia una fila di cammelli: Sabarguma – Carovana proveniente dall'Asmara. Per completare il percorso e arrampicarsi in treno fino all'orlo del Tigrè dove si trova Asmara bisognerà aspettare il 1911.
A Cecchi il villaggio appare suggestivo per l'aspetto tropicale che gli conferisce la vegetazione intorno, favorita dalla temperatura calda e dall'abbondanza d'acqua; non trascura però il capitano pesarese di annotare che proprio a causa di questa ricchezza la località potrebbe prestarsi a un agguato degli Abissini.
• Luigi Naretti, Sabarguma - Carovana proveniente dall'Asmara, circa 1890
• Luigi Naretti, Veduta Generale di Sahati, circa 1890
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Superata Baresa e pervenuti dopo una marcia quasi tutta in salita per 17 km a un altipiano piccolo ma fertilissimo, si offre al viaggiatore una Veduta generale di Ghinda: un centinaio di agricoltori ma fra loro anche uomini di ras Alula che vi tengono presidio e fanno base per l'avanscoperta.
E poi Asmara. È questo un luogo della più grande importanza per gli Abissini: di là dominano tutto il paese sottostante al grande altipiano fino al mare; ras Alula ne ha fatto la sua residenza abituale e la stanza del maggior nerbo del suo esercito. L'agguato di Dogali è la risposta. Ras Alula si presenta davanti a Sahati e impegna la sua schiera in un finto attacco, poi fa un ripiegamento che simula una fuga; aspetta in realtà che il comando italiano invii da Massaua soccorsi a quelli di Sahati; così è infatti.
Aggirato il villaggio, si apposta e attende che arrivi la colonna e poi la assale. Cinquecento morti. Rimbalzano nel mondo dolore e vergogna; sublimati a Roma nell'esaltazione dell'eroismo italiano e nel travisamento enfatico dei fatti. Qui viene intitolata una piazza al numero dei soldati morti; e, in Africa, eretto un Monumento sul colle di Dogali. In tempi successivi, si celebra una messa sul posto del massacro. • Luigi Naretti, Veduta Generale di Ghinda, circa 1890
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• Monumento sul colle di Dogali, c. 1890
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A destra dell'altare è posto il cavalletto che fotografa I gen. Baratieri e Arimondi alla commemorazione di Dogali e il resto degli intervenuti in mesto raccoglimento.
Alla notizia della disfatta, l'attenzione dell'Italia si risveglia; c'è voglia di rivincita; il capo del governo Crispi spinge verso l'impresa risolutiva; le casse dello stato la finanziano; anarchici e socialisti protestano.
Ma la marcia del nuovo generale, Asinari di San Marzano, anzi “la passeggiata”, come la chiama ironicamente chi vorrebbe di più, non va oltre la riconquista di Sahati. Piuttosto, a Massaua si fa festa: vengono inaugurati il Circolo Ufficiali e il teatro, dove, secondo testimonianza, “il nostro artista Narick fece la fotografia a Ligg Gabbadu, uno dei capi più forti e valorosi delle bande alleate”.
Sarà forse questo Narick soltanto il soprannome che Naretti si è dato? Il catalogo di Naretti non contiene nessun ritratto di questo capobanda abissino e dunque non ci sono riprove; per contro, l'Illustrazione Italiana pubblica il 28 dicembre 1890 due stampe – Banchina di fronte al porto di Massaua e Quartier generale degli Irregolari tratte da fotografie di questo G. M. Narick.
Non contiene nemmeno un'immagine di ras Alula; richiesto, il vincitore di Dogali rifiuta di farsi fotografare.
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Com'è dunque questo Alula? “Non bello” lo giudica il giornalista Corazzini, “volgare all'aspetto”, “severo e malinconico ma non feroce e sanguinario”, la bocca “una Siberia del sorriso”. In compenso ce ne sono tre di un personaggio ancora più importante, e di queste l'Antonelliana ne possiede una: Ras Mangascià a cavallo, risalente all'ottobre 1897, ossia dopo Adua, o forse a un tempo precedente, si suppone il 1893, quando lo stesso ras aveva invitato il fotografo italiano a visitare il Tigrè Hausen, dov'era la corte, e poi Adua, Axum, Maccalé, - per un viaggio di quasi tre mesi: erano tempi quelli in cui ancora i militari italiani della fazione tigrina lo avevano amico e ne appoggiavano le ambizioni al comando sull'intera Abissinia. L'aspetto fierissimo lo rende rassicurante quando si parli di lui come di un alleato. Ma è la morte di Johannes a liberare il campo: affaticato dall'ascesa del rivale Menelik – a sua volta sostenuto dai diplomatici italiani di fazione scioana – il negus non riesce a formare alleanze cristiane nella guerra agli islamici del Mahdi in modo da stornare da sé la minaccia coloniale; si sente messo all'angolo e per uscirne decide di giocarsi la vittoria o la vita sul campo di battaglia: da solo affronterà i Dervisci con i suoi tigrini. Ferito gravemente da un'arma da fuoco, in punto di morte riconosce Mangascià come suo figlio naturale e ne legittima la discendenza imperiale.
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Il vuoto che si apre tra i due pretendenti più agguerriti - l'altro è Menelik, che nel frattempo ha ottenuto la sottomissione di tutti i ras del sud e ormai controlla più di tre quanti dell'intera Etiopia - lascia spazio sufficiente agli italiani che risalgano la strada di Asmara e procedano man mano verso la conquista dell'intero Tigrè.
• Luigi Naretti, Ras Mangascià a cavallo, 1893
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• Luigi Naretti, Asmara. Forte Baldissera e R. R. Carabinieri, 1889
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Un anno decisivo questo 1889. Asmara è raggiunta, ma le foto che scatta Naretti, eccetto la facciata di una chiesa abissina, non interessano affatto la città: sono solo costruzioni coloniali: di Forte Baldissera e Caserma dei Carabinieri, di Forte Baldissera e Comando di tappa, di Forte BaldisseraCampamento Genio Militare e Colonia Agricola visti dal Campo Cintato.
La competente attenzione all'aspetto documentale della presenza militare è dunque qualcosa di più di un suggerimento all'acquirente che quei luoghi abbia già conosciuto e praticato; ché, anche trattandosi di panorami, la Vista dalla Chiesa e la Veduta della Chiesa e Case di Ras Alula sono rinforzi alla soddisfazione di vedere compiuta la vendetta sopra il più detestato dei capi abissini. Quando invece l'obiettivo è puntato in direzione della Colonia Agricola, l'immagine che Naretti ne ricava è dell'ordine che accontenta gusti opposti: da una parte l'avidità di un generale che ha avviato una fortissima demanializzazione delle terre strappate agli abissini; dall'altra la voglia di chi, radicalmente avverso all'incetta dei terreni, ha sperato di trasformare l'occupazione in un esperimento di colonizzazione popolare.
È il caso, appunto, dei 20 ettari di coltivazioni introdotti - appunto ad Asmara - dal santone agricolo Leopoldo Franchetti per indirizzare e assorbire l'emigrazione italiana. Per gli abissini, però, cambia poco se siano il pubblico o il privato a cacciarli dalla terra; anzi, si vanno convincendo che i Dervisci del Mahdi siano un male minore, perché è vero che compiono razzie di bestiame e di derrate e di ogni altro bene che trovano per via, ma almeno non si prendono la terra come invece vanno facendo gli italiani.
• L. Naretti, Asmara. Forte Baldissera-Campamento Genio Militare e Colonia Agricola, 1889
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Ed è da qui che nasce la defezione di Batha Agos, capo della regione di Akula Guzai che le truppe italo-eritree stanno calpestando nella loro avanzata. Gran danno per gli italiani non poter contare più su quell'aiuto.
Frattanto Menelik si è autoincoronato imperatore di Etiopia, e come tale ha accettato di accordarsi con l'Italia ponendo la sua firma sotto il Trattato di Uccialli. La fisionomia del negus neghesti e della regina Taitù (pagina 10) sono medaglie che circolano ormai dappertutto. Chi ha visto il nuovo imperatore – il viaggiatore Augusto Franzoi per esempio – lo descrive come un uomo “di mezzana statura e robustissimo”, osservando che “dalla sua faccia larga, leggermente toccata dal vaiuolo, dagli occhi vivacissimi e dolci, dal sorriso tranquillo che sempre gli sta sulla bocca ornata di denti grossi ma candidi, subito traspare la fine intelligenza e la bontà”.
• Luigi Naretti, Asmara - Veduta della Chiesa e Case di Ras Alula, 1889
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In quanto alla regina Taitù, divenuta leggendaria in Italia come amazzone invitta e crudelissima, il medico italiano Lincoln de Castro la trova “di presenza non bella, ma forse un dì piacente, dai grandi occhi penetranti, dalla faccia ovale, dal colorito marrone chiaro, dal naso regolare e bocca tumida appena socchiusa per i grossi denti, con una certa asimmetria del tratto che non la deturpa”, e vede in lei segni signorili “Conscia di se stessa e dell'animo del suo compagno, poté completamente conquistarlo. Abissina perfetta, non tollerò che il soffio d'oltramare movesse d'un fuscello quel trono”.
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Si ritiene che Naretti non abbia avuto l'opportunità di fotografare la coppia imperiale, e che le foto inserite nel suo catalogo col numero 209 non siano scattate da lui, ma con molta probabilità ottenute da Leopoldo Traversi che fu a corte medico di Menelik.
La conquista italiana del Tigrè avviene per due vie che collegano Massaua con l'altipiano; quella già detta che conduce ad Asmara e da lì volge a sud verso il Goggiam e lo Scioà, e la carovaniera che più a nord raggiunge il paese dei Bogos. Abbiamo di quel tratto una fotografia del Forte di Cheren ; e, più avanti in direzione di Cassala e del Sudan, una Veduta generale di Agordat. È qui che il colonnello Arimondi entra in contatto con l'esercito del Mahdi e, con manovra brillante, consegna all'Italia la vittoria e a se stesso la promozione a generale per merito di guerra. Una terzo documento è l'Arrivo in Massaua del Generale Arimondi dopo la vittoria di Agordat (21 dicembre 1893). La bella animazione di Piazza Statuto ritorna in forma di celebrazione: la comunità coloniale è tutta lì per fare festa.
L'anno seguente, che è il 1895, Arimondi partecipa come secondo alla presa di Cassala; stavolta la festa per la vittoria è dedicata al generale Baratieri, descritto da Del Boca come geloso dei successi del suo sottoposto e attentissimo nel celebrare i suoi trionfi.
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• Luigi Naretti, Arrivo in Massaua del generale Arimondi dopo la vittoria di Agordat, 1893
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Il fatto curioso – fa caso Silvana Palma – è che la foto, cambiata la didascalia, sia la stessa del trionfo di Arimondi. A volte i fotografi facevano di queste cose.
Il contesto dell'avanzata italiana è dato dal vuoto di potere che si è creato nella regione dopo la morte del negus Johannes: il Corpo d'Africa di Baratieri in poco tempo ha avuto agio di dilagare ben oltre i confini dell'Eritrea, e ben oltre la sopportazione della generalità degli abissini.
Lo contrasta per via il solo ras Mangascià. Per parte sua, il generale ha concentrato metà dell'armata non lontano da Asmara; Naretti deve essere presente, perché propone l'immagine, stavolta, dell'Interno del forte di Addi-Ugrì, con i soldati in posa festiva tra le grandi euforbie (Euphorbia erythraea), quelle stesse succulente che ogni casa da noi oggi può tenere piccole in un vaso. Il forte diverrà presto un villaggio e poi una cittadina che gli etiopi chiameranno Mendefera, parola evocatrice di resistenza che tradotta significa “Nessuno osò”.
Di lì l'esercito muove verso Adua e la occupa in mezzo al fuggi fuggi della popolazione. Mangascià reagisce con i suoi e affronta gli occupanti a Coatit, donde, al termine di una giornata molto contrastata, il suo esercito viene respinto. Inseguiti, gli abissini sono raggiunti a Senafè.
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• Luigi Naretti, Interno, a sinistra, del forte di Addi-Ugrì, circa 1889
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Dall'alto i cannoni italiani li tengono di mira: una mira talmente precisa che al primo colpo il colonnello Ciccodicola centra la tenda del ras e ne provoca la subitanea fuga. Un grande entusiasmo raggiunge Massaua e di lì pantografato rimbalza in Italia.
Nel frattempo Baratieri ha spacciato il colonnello Primavia che gli prenda Maccalè per consegnarla al collaborazionista Agos Tafarì. Quanto mai, il catalogo Naretti propone del luogo inquadrature ben fatte e particolarmente animate - e il fondo senigalliese ne conserva la stampa - con grande coralità della figurazione. Vi è fermata innanzitutto l'Entrata delle truppe nel palazzo del negus nel giorno del Mascal (pagina 13) con tutta la soddisfazione personale del fotografo nel ritrarre il grande palazzo che era stato di Johannes e alla cui costruzione aveva messo mano lo zio Giacomo quando ancora risiedeva presso l'imperatore.
Anche la Chiesa di Maccalè con vista del Forte Galliano che prende il nome di Endà Chidanè Merèt – l'altra a destra è l'ottagonale chiesa di Endà Mariam – è opera sua. In quanto al Forte Galliano, il cui nome etiope è Enda Jesus, l'intestazione italiana data la fotografia a tempi successivi al gennaio 1896 e alla grande, ostinata resistenza che il maggiore e i suoi uomini avevano opposto all'assalto dell'armata abissina.
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• Luigi Naretti, Chiesa di Maccalé con vista del Forte Galliano, circa 1896
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Ma ecco illustrata la Funzione per l'accensione del rogo del Mascal. Si celebra in occasione della Festa della Esaltazione della Croce, comune a tutta la cristianità, che qui si tiene tra la mezzanotte del 26 e quella del 27 dicembre; e la coincidenza con la fine della stagione delle piogge ne determina la particolarità.
Il momento culminante è dato dall'accensione del sacro rogo, che avviene a mezzogiorno. Dalla forza del fuoco, dalla direzione del fumo, dalle ceneri che restano si traggono auspici per la stagione che seguirà. Naretti ritrae la festa in due momenti: quello dell'accensione e Dopo la funzione del Mascal (pagina 25); e ancora tanto popolo biancovestito nella scena pacifica del grande Mercato di Maccalè (pagina 70). Evento importante, che richiama persone e carriaggi fino al Lago Ascianghi, come a dire per un raggio di cento chilometri e oltre. Qui le folle abissine non mettono paura; emanano soltanto il brusio dei linguaggi sulla piana e il contrappunto in versi dei varii animali.
Anche l'offensiva su Adua ha una sua figurazione che muove da una Veduta generale e poi da una visita ai dipinti che si trovano all'Interno della Chiesa Garamedin. Le chiese abissine portano, oltre alla dedica che qui il fotografo ignora, il nome del signore che l'ha fatta costruire: il più importante Garamedin di questa stagione è figlio del ribelle Batha Agos morto nella battaglia di Halai.
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• Luigi Naretti, Funzione per l'accensione del rogo pel Mascal, circa 1895
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Lungo il percorso, però, l'obiettivo si sofferma ancora su ritratti femminili: quello di una Donna abissina mendicante, della quale percepisce la dignità più che non la povertà, e di una Contadina benestante dell'Entisciò, regione che si estende ampia a ridosso dell'area montuosa di Adua e di Axum: qui ras Mangascià aveva il suo accampamento prima di rassegnarsi, sconfitto, alla fedeltà verso l'imperatore Menelik.
Se cerchiamo nella figura della contadina quali segni di agiatezza la contraddistinguano, possiamo aiutarci con la lettura degli appunti di Antonio Cecchi sull'Abissinia Settentrionale: “le vesti e l'abbigliamento degli abissini presentano grande semplicità così negli uomini come nelle donne. Per gli uomini brache bianche di cotone fino al ginocchio, sui fianchi una cintura a replicati giri, sulle spalle e fino ai piedi un manto (sciammà); per le donne un'ampia e lunga camicia, la cintura e lo sciammà. La qualità della stoffa è la sola differenza fra le classi povere e ricche. In tutti, e in ispecie nelle donne, smania di ornamenti alle orecchie, ai polsi, al collo, alle dita. Fra questi spesso qualche sacro amuleto”.
Da quasi un anno Menelik preparava la guerra: l'articolo 17 del Trattato di Uccialli ne era il movente: un malinteso nella traduzione creato appositamente per far credere al mondo che l'Etiopia si legava alla protezione italiana in modo obbligatorio, e non facoltativo come l'intendeva lui.
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• Donna abissina mendicante 1885-1890
• Contadina benestante dell'Entisciò 1885-1890
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Per arrivarci in forza il nuovo negus neghesti aveva prima ottenuto consenso e autorità dalla gran parte dei grandi ras locali, condotti all'unità dell'impero etiopico sotto la sua corona; insieme poi avevano costituito un esercito formidabile per numero e attaccamento alla causa nazionale, fornito di carriaggi e di bestiame, e armato di fucili e cannoni non meno numerosi ed efficienti di quelli del Corpo Militare italiano.
Mai stato così florido, negli anni immediatamente precedenti, il mercato delle armi in quel quadrante; condotto soprattutto dai francesi tra i quali spicca come comprimario il nome del poeta Arthur Rimbaud. A quel punto non avrebbe più potuto dire “Je est un autre” come ai tempi della prima gioventù.
Le operazioni cominciano il 1 dicembre 1896, e si concluderanno con una grave disfatta degli italiani. Non ci sono però documenti fotografici di questa guerra; è pur vero che le prime fotografie di guerra erano state scattate quarant'anni prima; ma l'Etiopia non era la Crimea e sotto il maglio di centomila uomini gli occupanti avevano altro a cui pensare che non fossero fotografie con un'esposizione lunga nel mezzo della mischia. Il solo presente fu qui Mauro Ledru, che però perse tutto per mettersi in salvo. In realtà l'attenzione della stampa italiana sugli avvenimenti d'oltremare era in quei mesi altissima.
• Arthur Rimbaud, Autoritratto, Harar, 1883 courtesy Wikimedia Commons, Bibliothèque Nationale
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Tant'è che L'illustrazione Italiana decise di spacciare il suo cofondatore e direttore artistico Eduardo Ximenes, che però arriva quando ormai lo scontro è terminato. Ritirate le armi degli occupanti sulla linea di Asmara, un accordo permette agli italiani di tornare sul luogo del massacro per seppellire i propri morti. Alla pietosa spedizione prese parte Ximenes e ne ricavò un libro, Sul campo di Adua, con illustrazioni prodotte da lui con la macchina fotografica o con la matita. Della sua Etiopia restano fotografie di situazioni non belliche o peribelliche, in numero prevalente nel libro che racconta di Adua; ma su quelle delle azioni militari prevalsero le qualità di disegnatore che Ximenes aveva, capaci di altissima qualità illustrativa e documentale. Così iconizzate si ricordano le disfatte di Amba Alagi, Maccalè, Seetà, Alequà e da ultimo di Abba Garima presso Adua: abissini come selvaggi inferociti e morte eroica di tanti italiani.
Dal fondo Naretti dell'Antonelliana vengono invece immagini non di caduti in battaglia ma, Dal Campo del Negus, una Veduta di Adua e di Amba Carima e dei Resti delle amputazioni agli ascari e dei pazienti morti durante l'operazione.
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Il costume di punire i traditori in questo modo orrendo è descritto con particolari dal nostro Antonio Cecchi dove parla del costume degli Abissini. Lo dovettero subire gli ascari cristiani ai quali fu imputata l'onta del tradimento per essersi schierati dall'altra parte.
“La pena inflitta ai traditori, ai sacrileghi, ai ribelli ed ai colpevoli dei più gravi delitti è l'amputazione della mano o del piede, e qualche volta dell'una e dell'altro”. L'esecuzione spetta ai capi-negarit (capi tamburi).
Se è regalato di qualche moneta dai parenti del condannato, il carnefice si munirà di un coltello bene affilato ed ammaestrerà il paziente (curioso l'uso letterale di questa parola alla quale per noi è associata un'aspettativa di guarigione e non certo l'esecuzione di una condanna!) in qual modo debba presentare al ferro la mano od il piede, affinché i tendini ben distesi rendano sicura, più facile e meno dolorosa l'amputazione. Se invece non avrà avuto nulla, il carnefice adoprerà un coltello cattivo e v'impiegherà maggior tempo. È poi sorprendente il sangue freddo col quale gli Abissini – come molte altre popolazioni africane – subiscono questa pena; e non è raro il caso che il mutilato, in ispecie se appartiene ad alta classe sociale, colla mano rimastagli raccolga quella caduta e la scagli in faccia al giudice soprastante l'esecuzione.
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“Compiuta l'amputazione, la gamba e il braccio sanguinanti vengono, lì per lì, immersi in un vaso d'olio quasi bollente, usato come stiptico; il quale medicamento però talora viene negato, ed allora il paziente, privo di qualsiasi soccorso, finisce spesso esangue sul luogo stesso dove subì la mutilazione”.
Massaua. All'ospedale militare di Abd-el-Kader gli ascari mutilati dagli abissini ad Amba Carima sono accolti e esposti all'obiettivo come una pietosa quanto golosa per i lettori della stampa illustrata - curiosità propria del costume locale. Rispetto al dolore degli italiani – ai quali non toccherebbe comunque un simile scempio – la vista degli ascari mutilati è proposta come schermo della loro sofferenza, e insieme metonimia dell'eroismo e della benevolenza che attribuiscono a se stessi.
Involontariamente l'aggressione italiana aveva innescato e poi corroborato la formazione di un unico stato nazionale, non più il paese diviso e feudale degli abissini ma la nazione e lo stato che dopo si chiamano Etiopia.
Osserva Ximenes che, dopo la sconfitta, “Baratieri era arrivato dall'altopiano e sceso alla stazione di Taulud profondamente accasciato”: da nuovo Garibaldi a responsabile del disastro militare un precipizio di cui non vede il fondo. I tempi seguiti alla sconfitta, unico caso in cui i colonialisti furono respinti dalle forze di un popolo intero, furono per un trentennio di semplice consolidamento nella colonia Eritrea.
Massaua intanto offriva il Panorama generale di una città cresciuta in commerci e nel numero degli abitanti, ormai 16 mila in prevalenza non eritrei - senza altre smanie di risalire l'Acrocoro Abissino. • Luigi Naretti, Massaua. All’Ospedale militare di Abd-el-Kader. Gli ascari mutilati dagli abissini ad Amba Carima, 1896 66
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Altrettanto inconsapevolmente Naretti, cercando di documentare la nascita di un impero, aveva contribuito alla nascita di un altro impero, tuttora dominante: quello dell'immagine. Il suo lavoro ottenne in premio una medaglia d'oro nell'Esposizione di Torino del 1898.
Di lui poche notizie ancora. Nel 1899 le sue fotografie portano ancora la dicitura “Fot. Naretti Massaua”; e il catalogo che egli redige porta l'intestazione “Fotografia Eritrea di Luigi Naretti, Massaua. Premiata con medaglia d'oro all'Esposizione Generale Italiana di Torino 1898. Catalogo delle vedute e costumi dell'Eritrea e del Tigrè”.
Nel proporne la vendita, Naretti garbatamente scrive: “Egregio Signore, ho l'onore di informare la S.S. che nel presente Catalogo è annotata una completa collezione delle Fotografie in persona da me eseguite nei frequenti viaggi che ho fatto nell'interno del Tigrè e nella Colonia Eritrea. Ella troverà pertanto in dette fotografie una svariata raccolta di usi, costumi e vedute dei singoli paesi da me visitati, nonché dei principali capi ed ufficiali nostri periti. Per il che mi ritrovo in grado di eseguire qualsiasi album mi venisse ordinato. Nella speranza quindi di ricevere qualche sua ambita ordinazione, ho l'onore di sottoscrivermi Suo dev.mo Luigi Naretti.”
Nel 1900 Naretti riceve una lettera e un dono che Vittorio Emanuele di Savoia Conte di Torino ha voluto inviargli “come ricordo delle cortesie usategli durante la sua permanenza in colonia”.
Nel 1904 non figura nell' “Elenco alfabetico dei negozianti esercenti nella Colonia Eritrea”; ma nella Collezione Faitlovich – l'orientalista polacco che fu in Etiopia in quell'anno – alcune fotografie sono segnate dalla dicitura “Premiata Fotografia Eritrea L. Naretti; e, l'anno seguente, da “Naretti Luigi, Fotografia, Asmara, Hamasien”, che è la regione in cui Asmara si trova. Un Diploma d'onore è assegnato al fotografo nell'Esposizione di Asmara tenutasi in occasione del I° Congresso Coloniale 1905. Nel 1911 l'Annuario dell'Istituto Coloniale lo elenca come titolare di un cinematografo.
• Fotografia Eritrea di Luigi Naretti, Catalogo delle vedute e Costumi, Massaua, 1898
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Nel 1915, in occasione del terremoto che colpisce Abruzzo, Lazio, Molise e Campania, Naretti dona 320 cartoline illustrate.
Luigi Naretti muore nel 1922 e l'intero archivio consistente in cinquecento lastre, inutilmente richiesto dal governo coloniale, viene venduto dalla vedova all'altro fotografo residente ad Asmara, Aldo Baratti. Sarà dunque da lui che le stampe continueranno ad essere acquistate lungo tutto il ventennio che segue. Leonardo Badioli
• BIBLIOGRAFIA • Antonio Cecchi, L'Abissinia Settentrionale e le strade che vi conducono da Massaua, Milano, Treves, 1888. Ferdinando Martini, Nell'Affrica Italiana, Milano, 1891.
La guerra Italo-Abissina. Bullettino illustrato, Milano, Treves, 1896. La rivista, che uscì̀in 35 numeri, contiene molte fotografie di Luigi Naretti.
Napoleone Corazzini, L'Africa e il Popolo Italiano, Roma, Perino, 1896.
Eduardo Ximenes, Sul campo di Adua. Diario marzo-giugno 1896, Milano, 1897.
Lincoln De Castro, Il primo caso di ginecologia forense in Abissinia, in La ginecologia moderna, III, 8, estratto, 1910. Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Bari, Laterza 1976.
Luigi Goglia, Fotografia e colonialismo. Il caso italiano, Messina, Sicania 1989.
Luigi Goglia, Africa, colonialismo, fotografia (1885-1940), in Fonti e problemi della politica coloniale italiana, atti del convegno Taormina-Messina 23-29 ottobre 1989, II, edito dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, 1996.
Silvana Palma, Fotografia di una colonia. L’Eritrea di Luigi Naretti (1885-1900), in Quaderni storici, 109, a. XXXVII, n. 1, aprile 2002.
Massimo Zaccaria (a cura di), Le note del commissario, Milano, Angeli 2009. • Luigi Naretti, Mercato di Maccalé, circa 1895 (particolare)
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Questo taccuino maltagliato curato da Serge Plantureux è stato stampato il 15 aprile 2019 (Servizi Centrali della Biennale di Senigallia), via Marchetti 2, Senigallia in 1500 copie, da IGO, Chemin des Amours au Poiré-sur-Vie Courtesy Biblioteca Antelloniana - Senigallia ISBN 978-88-32191-06-6