Settentrionale Sicula n°9 estate 2013

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SettentrionaleSicula _ anno 3_ numero 9 _ estate 2013 free press

_APOCALYPSE JOB _COSTITUZIONE PERDUTA _BENI IN COMUNE

(IN)OCCUPATI


Responsabile: Domenico Portaro Ufficio comunale Torregrotta, Via Giotto 39 tel./fax 090.9910632 e-mail: arketorregrotta@virgilio.it torregrotta@pec.italuil.it PATRONATO DELLA UIL

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SettentrionaleSicula


Estate 2013

n° 9

Direttore Mauro Mondello Coordinatore editoriale Isidora Scaglione Redazione Cettina Casella Antonino Giorgianni Isidora Scaglione Rita Lorena Paone Santo Gringeri Igor Cosimo Mento Dario Lo Cascio Emanuela Sciarrone Giuseppe Cassone Antonino Formica Giovanni Passalacqua Progetto Grafico Nunzio Gringeri Paolo Pino Daniele D’Agotino

Editore e Stampa Ass. Centopassi Arci Via XXI Ottobre 419 98040 Torregrotta (Me) Stampa flyeralarm SrL Viale Druso 265, 39100 Bolzano Contatti facebook: settentrionale sicula www.youtube.com/user/SettentrionaleSicula settentrionalesicula@gmail.com http://settentrionalesicula.blogspot.com infoline: 340 72 09 610 “Registrazione n. 11 del 05/12/2011 presso il Tribunale di Messina”.

“Perchè la gente scappa ancora non capiva dall’alto della sua locomotiva; la gente che abbandona spesso il suo paesello lasciando la sua falce in cambio di un martello” Agapito Malteni il ferroviere - Rino Gaetano

L’editoriale

di Mauro Mondello

Certo non è facile crederlo, ma qualcosa, forse, comincia a muoversi. L’incredulità con cui in queste settimane abbiamo accolto alcuni fra i risultati elettorali più inattesi della storia politica siciliana (su tutti la vittoria di Accorinti a Messina), spiega meglio di mille parole in quale baratro si fosse lasciato cadere uno fra i valori più alti conservati da una società democratica: la partecipazione del popolo alla costruzione sociale, e quindi politica, della comunità di cui fa parte ogni cittadino. Purtroppo, in Sicilia la prassi del voto ha sempre seguito un’altra strada, e cioè a dire quella del traccheggio, della convenienza, della sopraffazione, dello scambio insomma, in una logica che ha portato tutti paesi della nostra area, nessuno escluso, allo stato di abbandono palese che possiamo quotidianamente osservare. Si è sempre ragionato, in chiacchere da bar, su quello che Spadafora, Venetico, Villafranca, Rometta, Torregrotta e via dicendo avrebbero potuto essere, se soltanto le guide amministrative succedutesi negli anni avessero guardato un po’ più profondamente agli interessi della collettività, invece che impegnarsi nella consueta girandola di favori, piaceri, abboccamenti, quaquaraquate, secondo una logica di interessi sempre personale, sempre cieca e minuta, sempre drammaticamente disastrosa. Sino a ieri in molti pensavano che in fondo questa fosse la natura dei siciliani e che inutile, dunque, risultasse la battaglia morale contro un’inclinazione talmente congenita, quella del masochismo civile (cioè l’autofustigazione dei propri diritti di cittadino in democrazia), da non permettere alcuna speranza. In modi diversi, secondo percorsi distanti ed opposti, i risultati elettorali usciti dalle urne di Monforte San Giorgio e Valdina, e soprattutto dalla città di Messina, ci dimostrano invece che le cose si possono cambiare, anche in Sicilia, che persino qui, dove tutto è sempre immobile, le persone hanno deciso, finalmente, di mostrare la loro insofferenza, di scrollarsi di dosso la paura. Ora resta la parte più difficile, certo, che è quella dei fatti, delle proposte, dei mutamenti veri e concreti. Staremo qui a guardarli e speriamo di non restare un’altra volta, ancora una volta, delusi. È un sentiero lungo, quello del cambiamento, ma almeno abbiamo cominciato a camminarlo.

Sommario

Apocalypse Job - La crisi occupazionale in provincia di Messina: Duferdofin, Aicon, Dusty pag. 4 di Dario Lo Cascio La Costituzione Perduta pag. 9 di Emanuela Sciarrone Beni in Comune pag. 10 di Isidora Scaglione Post-it pag. 16 Fotodrome pag. 19


EMERGENZA LAVORO

Apocalypse Job di Dario Lo Cascio

La crisi occupazionale in provincia di Messina: Duferdofin, Aicon, Dusty Inutile continuare a “raccontarci storie”. In Italia, e soprattutto al Sud, di lavoro non ce n’è più. La contrazione economica ha finito per colpire ogni settore produttivo. Un crollo a catena, apparentemente irreparabile, come un castello di carte o le tessere del domino. Industria, agricoltura, terziario, edilizia, son tutti venuti giù uno dietro l’altro, sono caduti perché o stanno in piedi tutti o non ci sta nessuno. I dati emessi dalla Camera di Commercio di Messina parlano chiaro: nella nostra provincia la crescita è pari a zero. Se nel 2011 le imprese attive erano 59.875, l’anno successivo sono aumentate solo dello 0,01%. A mantenere costante il numero ci pensano le aziende aperte da stranieri, attualmente circa tremila e con un tasso di crescita stabile del 5% annuo. Se il tasso d’occupazione nella provincia di Messina è stabile, o per meglio dire “stagnante”, usando così l’aggettivo del rapporto della Camera di Commercio, lo è anche quello di disoccupazione. Il primo, il 34,32% (dato del 2012) è circa 10 punti percentuali sotto la media nazionale. Il secondo non va tanto meglio, essendo al 16,65%, comunque inferiore al dato regionale (18,63%), ma ben superiore a quello medio italiano: 10,70% a fine 2012. Recentissime tabelle Istat alla mano, la

disoccupazione in Sicilia è arrivata nel primo trimestre del 2013 al 20,71%. Oltre il punto percentuale in più rispetto all’anno precedente e ben cinque in più in confronto al 2011, quando era al 15%. In Italia, mediamente, è al 12,8%. Ed è comunque il dato più alto in 36 anni di rilevazioni trimestrali. Stiamo volutamente tralasciando i dati relativi alla disoccupazione giovanile, che ci sentiamo di giudicare oltremodo disarmanti. Meno lavoro equivale a minor potere d’acquisto. Ne soffrono i settori che riguardano i beni di prima necessità, l’abbigliamento, l’intrattenimento. Sembra non soffrirne il turismo. Forse pochi lo sanno, ma la sola provincia di Messina nel 2011 ha fatturato il 25% degli introiti regionali derivanti dal turismo proveniente dall’estero. Una cifra che potrebbe crescere ulteriormente, se ci fossero strutture e promozione adeguate, presenti purtroppo solo in poche “isole felici”. Ma, se già la gente fa davvero fatica a decidere di acquistare un jeans o andare al cinema piuttosto che mangiare una pizza fuori, non può e non deve stupire la contrazione del mercato auto, della vendita di immobili e, soprattutto, delle commesse industriali. Potremmo zoomare su decine, centinaia di piccole e medie imprese. Sono 7335 gli operai che hanno perso il posto negli ultimi 3 anni nel solo settore industriale siciliano. Non operai, chiamiamole famiglie,

perché nella maggior parte dei casi sono nuclei monoreddito. Ci vogliamo focalizzare su due aziende “simbolo” dell’area industriale di Giammoro/Pace del Mela e di una ditta con sede a Catania, ma che ormai è “di casa” nel messinese tirrenico: Duferdofin, Aicon, Dusty. Acciaio freddo Per ogni cosa c’è un perché, ma non sarà riduttivo tacciare come colpevole, ancora una volta, la “crisi”? Forse. Perché nel 2009 il Ministro Scajola in persona inaugurò la seconda linea produttiva dell’acciaieria Duferdofin di Giammoro. Non solo prodotti lunghi e profili speciali, destinati al mercato edilizio, ma anche laminazione di profilati mercantili e tondo, per “uso domestico”. Capacità di produzione pressoché raddoppiata e offerta per il mercato varia e competitiva. La Duferdofin – Nucor, che ha sede legale a Brescia e ha altri tre stabilimenti, sembrava credere davvero in Giammoro, con un investimento che fu all’epoca di quasi 100 milioni di euro. La capacità produttiva, ad oggi, sarebbe di circa 800.000 tonnellate d’acciaio all’anno, 125 l’ora. Sarebbe, perché di commesse non ce ne sono, e senza commesse non c’è lavoro. Alla Duferdofin si lavora a “progetto”, si accumulano tante piccoli ordini e si va agli impianti per due o tre settimane ogni paio di mesi. Poi ci si ferma di nuovo, in attesa, o meglio nella speranza, che arri-


vino nuove commesse. Sono 162 i dipendenti che da novembre si trovano in cassa integrazione straordinaria. Vengono loro corrisposti 750 euro mensili, anche con parecchie settimane di ritardo, e da novembre 2013 saranno probabilmente tutti in mezzo a una strada. Perché la cassa integrazione straordinaria sembra l’ultima spiaggia prima della chiusura definitiva. L’acciaio costa, e non solo per la produzione, ma anche e soprattutto per il trasporto. Già nel 2009 si parlava della soluzione definitiva, un molo d’attracco che permettesse di evitare il trasporto su rotaie fino a Milazzo o Messina. Pochi chilometri che incidono pesantemente sui costi. Il pontile sembrava già cosa fatta, lo stesso Scajola affermò che c’erano 25 milioni di euro pronti. La crisi però si abbatté sulla Duferdofin come su tutto il resto. Meno treni, tariffa di trasporto più alta, ricavi che diventano sottili come un foglio di carta. E del pontile se ne perde ogni traccia. Di più, sembra che la stessa azienda abbia dovuto rinunciare a delle commesse provenienti dal Nord Europa, proprio perché i costi di trasporto avrebbero causato una perdita. Lavori che sono stati così assegnati agli stabilimenti di San Giovanni Valdarno e San Zeno Naviglio. In realtà del pontile si parla da quasi vent’anni, dal 1996, quando la Duferdofin attivò il forno. Addirittura sembrava che l’opera fosse già stata appaltata, ma il sogno si è dissolto come una bolla di sapone. La cosa è stata più volte denunciata dai sindacati, e nell’ultimo rapporto sulla crisi del settore industriale, redatta da FiomCgil Sicilia a febbraio 2013, al punto sulla Duferdofin si legge: “subisce ritardi inspiegabili l’iter per la realizzazione del pontile

di attracco in loco, pure finanziato, che costringe l’azienda all’utilizzo dei porti di Milazzo e Messina, con aggravio di costi e connesse problematiche di intasamento viario”. E la politica? La fabbrica al momento sembra non costituire argomento di interesse. Si parla della Fiat, del Muos (l’impianto americano per la comunicazione

ha incontrato i rappresentanti dei lavoratori delle industrie in difficoltà. Tra gli altri ovviamente anche quelli della Duferdofin. Tante belle parole, e la promessa che il nuovo Governo avrebbe messo al primo posto la risoluzione delle vertenze in sospeso. Né dalla Regione, né tantomeno dal Governo – che al momento, si può affermare, non esiste – sono partite azioni

Il ministro Scajola inaugura nel 2009 la nuova linea di laminazione a Giammoro satellitare in costruzione a Niscemi), delle Elezioni Amministrative alle porte. All’Assemblea Regionale Siciliana la Duferdofin non viene nominata da mesi. Il Governatore Crocetta aveva espresso la ferma intenzione di salvaguardare i lavoratori delle industrie dell’isola. Massimo D’Alema è intervenuto il 14 febbraio a Milazzo, dove

concrete. E a pochi mesi dalla scadenza della cassa integrazione tutto quello di cui sono stati capaci sono circostanziali dichiarazioni di solidarietà, che agli operai non servono certo a pagare i mutui. La cassa integrazione straordinaria in Sicilia è passata dai 3,4 milioni di ore del 2005, ai 15 milioni di ore del 2012. Fa qua-


si sorridere la notizia dell’inaugurazione in Nigeria, da parte del gruppo Wempco, di un’acciaieria costata 1,5 miliardi di euro, con in prospettiva ampliamenti per ulteriori 700 milioni, che a pieno regime darà lavoro, tra dipendenti diretti e indotto, a oltre 5500 persone. Questo impianto, che sorge a Ibafo, nello stato federale di Ogun, sud-ovest del paese, da solo sarà capace di soddisfare il 65% del fabbisogno nazionale dello Stato africano. L’Edipower di Milazzo lavora a regime minimo, e si vocifera che nel 2014, con l’inaugurazione dell’elettrodotto Terna Sorgente-Rizziconi, chiuderà i battenti o al più sarà venduta, con le conseguenze del caso. La Raffineria di Milazzo sta subendo la pesante concorrenza degli stabilimenti di raffinazione del Medio Oriente, che trasformano il greggio nelle immediate vicinanze dei luoghi di estrazione. La Duferdofin, con un pontile, forse sarebbe capace di risollevare la sue sorti. Forse, perché se già l’Ilva di Taranto è ormai a un passo dal baratro, la Duferdofin non navigherebbe certo in acque migliori, tenendo in conto anche lo scalo diretto. Impianti e animi dei lavoratori sono intanto sempre più freddi. Scafi in secca Tra la Duferdofin e l’Aicon ci saranno poche centinaia di metri, ma per i 324 dipendenti dell’azienda che fino a qualche tempo fa produceva yacht e motoscafi venduti in tutto il mondo non va meglio. Anzi, tutt’altro. Per loro tutto era finito il 30 gennaio di quest’anno, con una lettera di licenziamento. Ma andiamo con ordine. Perché la Aicon era tutt’altro che in cattive acque negli

anni 2000. Si viaggiava addirittura a “gonfie vele”, secondo le testimonianze di alcuni ex-dipendenti. Si arrivò addirittura a raddoppiare gli sforzi, aprendo, oltre allo stabilimento di Giammoro, anche quello di Villafranca, con la linea Open. Ingresso in borsa brillante e sorrisi stampati sui volti di dirigenti e dipendenti. Poi, tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, tutto inizia a scricchiolare. La produzione diminuisce, e a Villafranca si smantella tutto, con i lavoratori che vengono trasferiti a Giammoro. Si inizia con i cosiddetti “contratti di solidarietà”: riduzione dell’orario di lavoro, e le ore passate a casa venivano integrate all’80% dall’INPS. C’erano voci di ripresa, si parlava di un rilancio grazie al Salone Nautico Internazionale di Genova. Ma in realtà la situazione era ben diversa. L’Aicon non produceva già più nulla, l’acquisto di materie prime e quindi la costru-

zione di nuovi yacht era bloccata. Si iniziò a mandare in cassa integrazione i lavoratori con contratto a tempo indeterminato, e a non rinnovare i contratti a tempo determinato. E i sindacati? Le istituzioni? Con i primi il rapporto si è incrinato quasi subito, dalle seconde sempre parole vuole e nessuna azione concreta. Gli scioperi e le manifestazioni non sortiscono gli effetti sperati. Passano quindi due anni di sostanziale stasi. Solo a ottobre 2012 l’Aicon è dichiarata ufficialmente fallita. Arriva il curatore, ma serve a poco. Si fa passare Natale, poi vengono spedite le lettere di licenziamento. I lavoratori rimangono con un pugno di mosche in mano, senza cassa integrazione e senza alcun supporto economico. La mobilitazione non si fa certo attendere. Il 10 giugno, alla Commissione Regionale per l’Impiego, le sigle sindacali


2. Sono 244 i lavoratori assunti trapresa a Barcellona, Milazzo, Venetico. per questo servizio. Ben presto Ma non da altre parti. però si è creato un vero e pro- Alcuni comuni hanno infatti optato per prio circolo vizioso: i cittadini ditte private, col rischio di scatenare una hanno iniziato a rifiutarsi di pa- vera e propria “asta” al ribasso per aggare le tasse sui rifiuti, giudica- giudicarsi il contratto. Affidarsi ad aziente esose; l’Ato si è ritrovata im- de esterne era già avvenuto in passato, possibilitata a versare le som- quando si erano verificati stop della racme spettanti alla Dusty, perché colta di durata consistente, dovuti agli non acquisiva il denaro delle scioperi. Adesso siamo alle porte di una libollette e perché aveva i conti beralizzazione del mercato dei rifiuti, con pignorati, essendo in liquida- tutti i rischi che questa pratica comporta. zione; i lavoratori, vedendosi le Da mesi si parla di SRR (società per la remensilità non corrisposte, han- golamentazione del servizio di raccolta riLino Siclari, ex amministratore delegato Aicon no iniziato a scioperare. Di fatto, ad oggi, tutti gli opeCgil, Cisl e Uil non si presentano, facendo rai Dusty vantano diverse mancare il numero legale. Stop ai paga- mensilità in arretrato, dai 7 ai 14 menti e niente mobilità. Il 20 giugno, stipendi (la situazione più grave dopo una manifestazione guidata dall’U- si registra a Saponara). Nei mesi nione Sindacale di Base, viene finalmente scorsi alcuni comuniFoto di Rita L. Paone firmato il decreto che garantisce ai 324 hanno deciso di antilavoratori l’indennità di mobilità. È di cer- cipare il denaro per pagare i lato una vittoria, una piccola garanzia per voratori e garantire il servizio. Ad tutte queste famiglie, ma ora occorre ben esempio Torregrotta ha stanziato altro. quasi 100.000 euro. Ma in media il 60% delle cifre è andato all’azienSpazzatura che scotta da, e solo il 40% ai lavoratori. L’igiene delle nostre città è un bene pri- Il 14 giugno è stato rescisso il conmario. Eppure negli ultimi anni, più e più tratto tra Dusty ed Ato, e i lavovolte, in tutta la costa tirrenica della pro- ratori sono stati sostanzialmente vincia di Messina, ogni Comune ha fatto i parcheggiati, così come i mezzi e conti con l’emergenza rifiuti. Tutto a cau- i cassonetti. A sorpresa, ma non sa di quel “pasticciaccio brutto” che vede troppo di fatto, in alcuni comuni coinvolte Amministrazioni Comunali, Ato i contenitori dei rifiuti sono infatti (le autorità d’ambito territoriale ottimale) “spariti” da un giorno all’altro, ad e Dusty. esempio a Furnari e Torregrotta. La Dusty è impegnata dall’ottobre 2011 Uno spiraglio solo in quelle città nel servizio di raccolta rifiuti in 38 comuni dove la Dusty ha bypassato l’Ato, della provincia, dopo essersi giudicata la stipulando contratti diretti con le Rossella Pezzino De Geronimo, amministratore unico Dusty Srl gara d’appalto bandita dall’Ato Messina amministrazioni locali. Un’azione in-


fiuti), di liberi consorzi tra comuni che gestiranno, tra le altre cose, anche l’”affaire” spazzatura. Di fatto c’è tanta confusione e, soprattutto, poca – per non dire “nessuna” – regolamentazione da parte della Regione. I lavoratori, a ragione, chiedono uniformità di trattamento. Far parte della stessa azienda e avere un lavoro – o non averlo – in base al comune al quale si è stati assegnati fa giustamente rabbrividire. La crisi occupazionale è evidente, dai dati e dai casi presi in esame. Non sono ov-

viamente gli unici, e non possono essere considerati più importanti degli altri. Consideriamoli degli esempi. Sono lo specchio della realtà, di un baratro nel quale stiamo sprofondando ogni giorno di più. Una volta si agiva per garantire un futuro migliore. Oggi il presente dà talmente tanto da fare che al futuro non ci si pensa affatto. Ha detto Zygmunt Bauman: “Fino a pochi mesi fa il lavoro […] era un po’ come l’aria: sempre disponibile quando serviva”. Oggi invece è un lusso che non possiamo permetterci di perdere. Infinite possibilità di scelta, libertà di movimento

e di cambiamento, sono già un vago ricordo. Quello che ci si prospetta davanti, per usare ancora le parole del filosofo polacco, è “un mondo di dure ed ineliminabili realtà, di penuria e di austerità forzata”. Una visione eccessivamente apocalittica? Forse. “Pensare positivo” però, oggi, nella realtà e nei luoghi in cui viviamo, richiede uno sforzo non indifferente. (Hanno collaborato: Giovanni Passalacqua, Isidora Scaglione, Emanuela Sciarrone)


LA COSTITUZIONE PERDUTA

di Emanuela Sciarrone

Una costituzione è per definizione permanente nel tempo e limitatamente modificabile, al contrario di una legge definita, invece, “tendenzialmente stabile”. Che in Italia i valori stabiliti dalle leggi non siano da tutti rispettati è risaputo. Ancor più noto, purtroppo, è lo spiccato talento creativo della nostra classe politica, abile nel dar vita in poche ore ad ordinamenti giuridici ad hoc da sfoderare in momenti più o meno critici. Doppiamente preoccupante, però, è il fatto che tra i loro “arnesi di lavoro” vi sia anche il nostro statuto, basamento di un’esistenza degna di essere definita civile. Il fine giustifica i mezzi, è vero. In questo caso, però, si tratta di un fine sordido che fa uso di un mezzo che rappresenta la mera sostanza del nostro Paese. Stefano Rodotà parla di “manutenzione” della Costituzione Italiana ma è triste ammettere che nella Serva Italia, di dolore ostello, sia in corso il barbaro tentativo di stravolgimento del potere esecutivo. Inebriato dal profumo di favoritismo, il Parlamento assiste silente allo sconquasso dei diritti umani e del rigore costituzionale. Ma il volgo no. L’oligarchia dei “nominati” di Montecitorio

ignora, infatti, che il 25 e il 26 giugno del 2006 il 61,32% della popolazione si recava alle urne per respingere la legge di revisione costituzionale.

In Italia sarà anche diffuso l’analfabetismo di ritorno ma quasi sedici milioni di cittadini conoscono e difendono la loro Costituzione.

Foto di Rita L. Paone


VUOTI A PERDERE

Beni in Comune di Isidora Scaglione

“Nell’accezione popolare viene definito bene comune uno specifico bene che è condiviso da tutti i membri di una specifica comunità”(http://it.wikipedia.org/wiki/ Bene_comune). Scuole, palazzi amministrativi, cimiteri, strade, piazze e monumenti sono solo i più evidenti beni di proprietà comunale. In verità vi è una molteplice quantità di immobili e altre proprietà in possesso delle nostre amministrazioni, spazi pubblici spesso inutilizzati, lasciati a marcire e abbandonati al loro funesto destino. È questa ad esempio la situazione in cui versano molti beni comunali ricadenti nella fascia tirrenica compresa tra San Pier Niceto e Villafranca Tirrena. Dopo un accurato studio delle visure catastali, analizzate paese per paese, e un’attenta supervisione degli stessi immobili, è emerso l’enorme potenziale in termini di proprietà demaniale in seno alle amministrazioni locali. Si tratta spesso di strutture cadenti e fatiscenti, a volte inagibili, un tempo utilizzate come scuole, mattatoi, caserme, ricoveri. È il caso ad esempio del mattatoio di Torregrotta, di quella che doveva essere una “Casa protetta per anziani” a Spadafora, dell’ex ufficio di collocamento di Valdina, del complesso conventuale

di San Francesco di Paola a Monforte San Giorgio. Una semplice ricerca sui beni immobili nella disponibilità di alcuni Comuni del nostro territorio basta per mettere a fuoco la situazione: un enorme numero di immobili comunali non catastati, altri in fase di catastazione da anni, altri ancora per i quali è praticamente impossibile ottenere informazioni specifiche o giungere alle origini della loro costruzione. In molti casi lo stato di noncuranza cui sono stati abbandonati gli immobili testimonia il disinteresse dilagante mostrato da parte dei vari amministratori alternatisi nel corso degli anni. In molti altri contesti emerge invece imperante e contrario l’eccessivo interesse da parte dei medesimi amministratori di cui sopra a cambiare la destinazione d’uso dei suddetti beni comunali, per perseguire interessi personalistici, facilitare questo o quel progettista di fiducia e quindi rimpinguare le proprie tasche e quelle dell’emerito professionista grazie anche alla partecipazione a bandi pubblici per progetti mai realizzati. E nel frattempo gli edifici restano vuoti, incompiuti e scalcinati, spesso colpiti da atti di vandalismo. Eppure nella maggior parte dei casi non appare eccessivamente complicato, agli

occhi dei cittadini, immaginare come un bene ormai in decadenza possa tornare a nuova vita. Avendo come unico e ultimo interesse il benessere e l’agio per tutta la collettività sembrerebbero quasi scontate le soluzioni da adottare per evitare che queste strutture, teoricamente utilissime per la collettività, restino solo degli immobili fantasma. Tanti Comuni della nostra area sono sprovvisti di servizi sociali di pubblica utilità di primaria importanza: asili nido, case di riposo per anziani, edifici scolastici degni di essere così chiamati, centri di aggregazione giovanile e molto altro ancora. Osservando l’operato dei nostri amministratori locali, invece, emerge chiaramente la mancanza di volontà politica per ottimizzare e sistemare le risorse già presenti sul territorio, ove si preferisce piuttosto investire ingenti somme di denaro per la costruzione di nuove strutture, spesso anch’esse abbandonate poco dopo al loro destino. Per non parlare poi delle amministrazioni che hanno proceduto in questi anni a bandire all’asta, ai fini dell’alienazione, alcune proprietà comunali, nella fattispecie terreni di diverse tipologie, con l’obiettivo di accumulare guadagni per le casse comunali. Un fine solo appa-


rente, dato che moltissimi di questi beni, nonostante le procedure d’asta, non sono mai stati acquistati e restano ancora oggi nella piena disponibilità delle varie amministrazioni sparse sul nostro territorio tirrenico. L’ utilizzo dei beni comuni è di norma disciplinato da un apposito regolamento comunale in base al quale singoli individui o gruppi di cittadini, per esempio riuniti in associazioni, possono richiedere, a titolo oneroso o gratuito a seconda dei casi, di usufruire di un determinato bene immobile, nel rispetto delle norme previste dal regolamento. Sarebbe pertanto auspicabile che di contro a decenni di noncuranza politica e amministrativa, dal basso, direttamente dai cittadini, potessero partire valide iniziative volte a riappropriarsi dei beni collettivi. È ad esempio quanto è successo a Messina nei mesi scorsi attraverso l’occupazione di importanti immobili ricadenti nel territorio cittadino. Il Pinelli occupato Era il 15.12.2012 quando a Messina venivano occupati i locali dell’ex Teatro in Fiera, subito ribattezzato col nome del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli alla vigilia dell’anniversario del suo suicidio (di Stato) avvenuto dentro la questura di Milano nel 1969. Una rete di associazioni, collettivi e liberi cittadini, con l’obiettivo principale di dare una risposta antifascista alla scelta di Forza Nuova di tenere

la propria adunata siciliana a Messina, ha voluto con quest’azione riportare l’attenzione sulla tematica dei beni comuni, non usufruibili e dismessi, praticamente abbandonati. L’occupazione voleva restituire ai messinesi un bene fondamentale per la crescita civile e culturale della città. Ha avuto inizio da quel momento una serie di assemblee cittadine volte al coinvolgimento della collettività sia per l’organizzazione delle varie attività da svolgere all’interno dei locali occupati, sia per costituire veri e propri tavoli tecnici che potessero in modo costruttivo fornire delle proposte sul recupero del teatro. Da anni quest’ultimo è al centro del dibattito politico cittadino giacché l’intera cittadella fieristica, che si estende per ben 30 mila metri quadrI e nella quale ricade il teatro, è oggetto di un contenzioso aperto tra l’ente fiera – fallimentare e in attesa di un commissario liquidatore – e l’autorità portuale, che ha ereditato dal demanio marittimo le concessioni degli spazi all’atto della sua costituzione nel 1994. Da quel momento il teatro ha vissuto decenni di incuria e abbandono. L’autorità portuale, nell’assemblea pubblica del 17 dicembre, nella persona del suo pre-

sidente dott. De Simone, ha ribadito le linee guida necessarie per un concorso di idee internazionale relativo all’uso della cittadella fieristica, ponendo come termine ultimo per la definizione delle stesse il 19.12.2012. La stessa autorità portuale ha istituito una commissione consultiva finalizzata alla definizione del bando di gara per l’affidamento in concessione demaniale marittima dell’area fieristica. Tale commissione è composta da rappresentanti di istituzioni pubbliche e da privati. In particolare si insiste sull’ “imprescindibile” vocazione turistica dell’area in questione, ritenendo che il waterfront debba essere rivitalizzato attraverso attività di crocierismo e diportismo.


Gli occupanti accusano l’autorità portuale soprattutto perché essa intende predisporre un bando rivolto ad un unico soggetto privato al quale affidare in concessione l’intera area fieristica, spendendo quasi 4 milioni di euro. Ne intravedono quindi solo obiettivi economici e personalistici, tendenti all’ulteriore sottrazione degli spazi alla collettività e alla consegna degli stessi nelle mani di investitori privati. Inoltre viene puntata l’attenzione sul fatto che, ricostruendo il teatro ex novo, oltre ad impiegare un’ingente somma di denaro non necessaria, si violerebbe la sentenza della Corte Costituzionale n.309 del 2011, appunto perché il bene verrebbe sottratto alla destinazione pubblica.

Il 22.12.2012 gli occupanti hanno riaperto alla cittadinanza anche l’Ex Irrera a Mare, altra importante porzione della cittadella fieristica anch’essa simbolo del degrado culturale della città e ulteriore bene comune privatizzato dall’autorità portuale. I rapporti tra quest’ultima e gli attivisti occupanti sono divenuti sempre più tesi, soprattutto quando la questura forzatamente ha impedito l’accesso ai locali. Intanto dagli occupanti è stato intrapreso un percorso costituente per il riconoscimento giuridico del Teatro in Fiera Pinelli, dell’Ex Irrera a Mare e di tutta la cittadella fieristica come beni comuni, in virtù del fatto che “il bene comune non è dato, si manifesta attraverso l’agire condiviso, è il frutto di relazioni sociali tra pari

e fonte inesauribile di innovazioni e creatività. Il bene comune nasce dal basso e dalla partecipazione attiva e diretta della cittadinanza. Il bene comune si autorganizza per definizione e difende la propria autonomia sia dall’interesse proprietario privato sia dalle istituzioni pubbliche che governano con logiche privatistiche e autoritarie i beni pubblici”. (dalla bozza di Statuto per la costituzione della “Fondazione Teatro Valle Roma bene comune) Il 06.02.13 è stato costituito un Comitato aperto denominato “Teatro in Fiera Pinelli Centro per l’Arte, la Cultura e la Ricerca Bene Comune” per dare veste giuridica alla pratica collettiva costituente di difesa e valorizzazione dei suddetti beni e per governarli politicamente. Purtroppo però il 14.02.13 le forze dell’ordine hanno proceduto allo sgombero forzato del Pinelli, per questo divenuto itinerante attraverso l’occupazione di altre zone della città, di altre ZTL (zone temporaneamene liberate), come la Galleria Inps e la chiesa sconsacrata di via Peculio Frumentario. La situazione è divenuta sempre più critica giacchè occupanti e sostenitori del Teatro in Fiera Pinelli sono stati convocati in questura per un atto di sanzione amministrativa pecuniaria da 2500 a 10000 euro a causa del blocco stradale dopo lo sgombero del 14 febbraio. Nei giorni precedenti 10 degli occupanti erano già stati colpiti da denuncia.


Tutti al parco… L’08.0813 gli occupanti pinelliani, riprese le forze, hanno deciso di occupare un altro spazio abbandonato e dismesso della città: il parco Aldo Moro sito in via Regina Margherita, uno spazio verde di circa 13.000 metri quadrati, centro di raccolta durante il terremoto,con terrazzo panoramico, due strutture coperte collegate e ristrutturate da poco (con foresteria e sale studio-ricerca da ammobiliare), una stanza sotterranea per i magnetometri dell’INGV, un rudere/casa del guardiano, reperti archeologici e natura rigogliosa. Dal 1949 il Comune di Messina ha dato il parco in comodato d’uso all’Istituto di Geofisica e Vulcanologia di Roma che ha installato, all’interno delle strutture esistenti nel parco, delle strumentazioni di rilevamento dei dati sismografici. Il contratto tra il Comune e l’INGV prevedeva che l’istituto mantenesse le aree verdi accessibili alla cittadinanza e ben curate. Da circa 19 anni (da quando l’INGV non utilizza di fatto le strutture), invece, nel parco versano incuria e abbandono. Gli occupanti hanno incontrato in assemblea un intermediario dell’INGV, Giuseppe D’Anna, secondo il quale l’ente due anni fa ha ristrutturato i beni immobili presenti nel parco in vista di un nuovo centro di ricerca. L’Osservatorio ha ospitato apparati scientifici funzionanti fino al 2008 ma è rimasto privo di personale da quando, nei primi anni ’90, l’ultimo custode è andato in

pensione. Dopo il 2008 ha sostanzialmente cessato di funzionare, anche se D’Anna ha dichiarato che il rilevatore geodetico gps non ha mai cessato di raccogliere dati e di inviarli ai centri di elaborazione. Gli ultimi accordi stipulati con il Comune di Messina, oltre a non essere stati rispettati, non tengono conto del contratto originario del 1949 che sanciva la “cessione a titolo gratuito” del parco, prevedendo però la restituzione dell’area e degli immobili al Comune in caso di cessazione dell’utilizzo da parte del beneficiario della donazione. Nel 2006 il sindaco Francantonio Genovese aveva rinnovato la concessione del complesso all’INGV, esplicitando la condizione che prevedeva la cura e l’apertura al pubblico di almeno una parte degli spazi verdi. Nel marzo del 2009 in un incontro tra l’assessore all’Arredo urbano della Giunta Buzzanca Elvira Amata e l’INGV, emerse che il sito non sarebbe stato interamente utilizzabile come parco pubblico per ragioni legate alla delicatezza delle apparecchiature presenti. Le ultime notizie risalgono a gennaio 2012 quando è stato un siglato un accordo di collaborazione tra l’ente e Palazzo Zanca, che avrebbe dovuto permettere all’amministrazione comunale di poter usufruire di una parte dello spazio. Ad oggi, però, il parco Aldo Moro resta chiuso, anzi richiuso dopo che con l’ennesima azione repressiva gli occupanti sono stati

forzatamente allontanati e impossibilitati a rientrarci. Liberiamoci Il 25 aprile i pinelliani hanno riprovato ad entrare al teatro in fiera, senza successo perché esso risulta completamente blindato. Così hanno deciso di continuare la loro infervorata protesta occupando la Casa del Portuale di via Valore, ex sede della Cooperativa Italia che ha operato per decenni nel settore della movimentazione merci del porto della città. In seguito al cambiamento delle tariffe e alla delocalizzazione delle attività la cooperativa è arrivata al collasso e ha avviato le procedure di mobilità per 31 lavoratori. Anche questa volta lo scenario che i pinelliani si sono trovati di fronte agli occhi all’atto della riapertura è stato quello dell’abbandono, del saccheggio e della devastazione. L’impianto elettrico sradicato, gli uffici abbandonati, documenti sparsi ovunque, attrezzature lasciate a marcire. La zona è quella già interessata dalla gravissima scelta del Comune di Messina di svendere il Mercato Ittico, gli ex silos granai e gli ex magazzini generali (questi ultimi destinati, come previsto qualche mese fa prima di un intralcio burocratico, alla ditta Vinciullo, indicata come contigua a Cosa Nostra nelle relazioni della commissione parlamentare antimafia). Molteplici sono state in questi mesi gli appuntamenti culturali svoltisi alla Casa


del Portuale, che ad oggi costituisce un importante centro di riferimento per gli eventi di formazione ed informazione, i seminari, gli workshop, gli eventi musicali. La cultura insomma dilaga tra le pareti della vecchia Casa abbandonata, ennesimo simbolo di una rivolta dal basso, partecipata e costruttiva. Beni comuni: da Messina all’Italia Le occupazioni di beni demaniali che hanno interessato il messinese negli ultimi mesi si inseriscono nel più ampio contesto italiano della lotta per i beni comuni. Fra il 1991 e oggi, al fine di ridurre il debito pubblico, l’Italia ha dismesso, anzi sven-

duto, beni per un valore di 1400 miliardi di euro. Nel 2007 fu istituita una commissione parlamentare, presieduta dal Prof. Stefano Rodotà, per studiare e proporre una riforma del Libro III della Proprietà del Codice Civile. Il disegno di legge, presentato in Senato, non è mai stato discusso. Una proficua alleanza fra la cultura giuridica e le lotte legate ai beni comuni ha soprattutto focalizzato l’attenzione sulla rilettura di norme costituzionali, quali la funzione sociale e l’accesso alla proprietà di cui all’art. 42 e il riconoscimento di comunità altre all’art. 43. Il 13 aprile al Teatro Valle Occupato a Roma si è tenuta la prima assemblea del-

la Costituente dei Beni Comuni. Il lavoro dei costituenti ha avuto come principale obiettivo l’indagine degli strumenti giuridici volti a fornire una vera e propria legislazione a favore del riconoscimento dei suddetti beni. La loro istituzione, come categoria di beni, e la produzione di norme che ne regolino la tutela, le condizioni economiche, le forme di finanziamento, la gestione, la fruizione, costituiscono l’obiettivo fondamentale dei costituenti.


BENI COMUNALI INUTILIZZATI Torregrotta - Sono di proprietà del Comune terreni di varia natura per un totale di circa 80.000 mq. L’unica struttura attualmente inutilizzata è quella del Mattatoio, abbandonato da diversi decenni e attualmente inagibile.(Isidora Scaglione) Monforte San Giorgio - I beni non catastati sono la maggioranza: fra questi, anche il palazzo comunale. Il complesso conventuale di San Francesco di Paola è una struttura agibile e non utilizzata, se non saltuariamente da qualche associazione. Sono di proprietà comunale terreni per un totale di circa 8000 mq. (Isidora Scaglione) Venetico - I terreni di pertinenza del Comune risultano avere un’estensione pari a circa 80.000 mq. L’area ex Condor, attualmente inutilizzata, costituisce il bene immobile più grande e più fatiscente poiché in stato di abbandono da anni, essendosi susseguiti nel tempo vari progetti mai realizzati per l’utilizzo della vasta area. (Isidora Scaglione) Rometta - Sono 167 i terreni di proprietà comunale distribuiti su tutto il territorio romettese. Molti dei quali utilizzati per il passaggio di tubature sotterranee. In totale sono 30 invece le strutture inutilizzate. Nell’elenco delle visure catastali compaiono, ad esempio, le strutture di Piazza Margherita, 7 e Vittorio Emanuele II, 30. (Emanuela Sciarrone) Valdina – Fra i beni comunali non utilizzati 11 vigneti (il totale è di circa 8000mq), 5 uliveti (circa 700mq), 3 terreni seminativi (1000 mq) e 4 incolti (500mq). I beni non catastati sono l’ufficio Urp a Fondachello, utilizzato dall’associazione Iris e dall’Urp del Comune di Valdina, e l’ex ufficio di collocamento, in uso con assegnazione ufficiosa alla comunità degli anziani della frazione di Valdina e senza un’assegnazione ufficiale dalla fine degli anni ‘90. Edifici pubblici indicati alienabili e messi in vendita dal Comune: scuola materna di Tracoccia (libera da un paio di mesi, prima in affitto alla chiesa evangelica), abitazione di 2 piani in piazza Chiesa Madre a Valdina, libera da sempre, scuola elementare di Valdina, attualmente in affitto ad una società di ristorazione. (Santo Gringeri) San Pier Niceto – Sono 5 le strutture catastate, inutilizzate e ristrutturate di proprietà del Comune site in Corso Italia e in via Prestipaola. Non catastate, ma di proprietà comunale, sono le scuole in contrada Pietrazze e il Macello, che è stato adibito da qualche tempo a isola ecologica, almeno sulla carta. Particolare il caso delle abitazioni nella via Prestipaola, edifici ristrutturati nell’ambito della valorizzazione del quartiere Marrella e di cui si vorrebbe cambiare la destinazione d’uso per farne botteghe di artigianato. (Giovanni Passalacqua) Spadafora - La visura catastale dei territori e delle strutture di proprietà del Comune di Spadafora consta di 20 edifici e 229 terreni. La più importante di queste è la nota “Casa protetta per anziani” un edificio di circa 1000 mq rimasto incompiuto ed inutilizzato: mancano totalmente gli arredi. Un caso a parte è quello degli ex campi da tennis di Via San Martino, rimasti fatiscenti e abbandonati. Nel 2011 è stato finanziato un cantiere per il ripristino delle strutture e per la riconversione dei campi da tennis in campi da calcetto, un progetto non portato a termine per la mancanza della necessaria copertura finanziaria. Attualmente parte della struttura è utilizzata dall’Associazione “Eccoci”, una delle rare buone notizie in materia di utilizzo degli spazi comunali (non sfruttati). Ancora, per alcuni terreni siti nei pressi della nuova stazione ferroviaria, esiste dagli anni 80’ un progetto destinato alla creazione di un nuovo campo di calcio. Di questo restano solo delle parziali mura di cinta e, al momento, è in corso la riconversione di esso a eliporto per casi di emergenza, dopo l’ipotesi, subito accantonata, di trasformarlo in un impianto fotovoltaico. Infine un’ultima, parzialmente buona, notizia, in merito al famigeratamente famoso Museo dell’Argilla: dopo anni di attesa pare si sia finalmente vicini alla sua definitiva attivazione. (Giuseppe Cassone)


Post-it

IL FUTURISTA

di P. Daveru

Lo strappo di Mussoloni La Carta Costituzionale, nata dalla Resistenza, è bella, emulata lodata, ne hanno fatto una Corte, hanno costruito un Arco, Benigni l’ha spettacolarizzata da par suo, e, pertanto, nel 2030 dopo tempeste e maree, uragani e tornado populisti, pifferai magici e urlatori di slogan pubblicitari, illusionisti, nostalgici dell’ordine e dell’ingiustizia, Mussoloni strappa la Carta, gli toglie l’anima e la veste di nuovo che sembra una puttana. Ne descriviamo i dettagli più lascivi del corpo costituzionale mussolonizzato. Lavoro Lo scopo fondante della Repubblica è l’Impresa, l’Intrapresa, la Presa, che è libera di agire a proprio piacimento. Il lavoratore ha diritto a quello che riesce a guadagnarsi, il resto è sacrosanto profitto. Gli imprenditori hanno diritto allo sciopero e alla delocalizzazione. Uguaglianza Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge con le dovute eccezioni previste dalla legge. Dovere dello Stato è promuovere la ricchezza, la bellezza

esteriore ed il sesso sicuro. Quelli che non ce la fanno non hanno che da imparare da quelli che ce l’hanno fatta. Istruzione Viene abolita l’Istruzione Pubblica. Chi può e ha voglia studia, gli altri si devono adattare ai lavori manuali. Viene abolito dalle scuole di ogni ordine e grado il Marxismo, la storia del Movimento Operaio, La Psicanalisi, la Letteratura e la Rivoluzione Francese. Protezione ambiente patrimonio storico ed artistico La neo Costituzione valorizza il paesaggio e l’ambiente a fini turistici. A tal uopo si liberalizza la costruzione di alberghi, casinò, casini, bordelli, porti, biporti, triporti, laghi artificiali, canali, dighe, strade, autostrade, tav, aeroporti, funivie, seggiovie, ponti e sottoponti, sopraelevate, anelli e tante altre preziosità. Religione Ogni cittadino è libero di professare la religione che vuole, può iscriversi a sette, a chiese ortodosse, eretiche, scismatiche, animiste o spiritiche, ma tutte devono essere conformi allo spirito della Neo Repubblica. Sono spulciate dal lessico le parole amore, solidarietà e ama il tuo prossimo come te stesso che è un precetto comunista. La bestemmia è severamente punita, dipende sempre però dal contesto

in cui viene enunciata. Le tasse Lo Stato riconosce che costringere i cittadini a pagare le tasse è un’azione estorsiva e opera per la loro abolizione, pertanto stabilisce un’unica aliquota del 10% uguale per tutti, che siano abbienti o meno abbienti. Il legislatore nell’interpretare lo spirito della Neo Nazione stabilisce che colui che superi il miliardo in averi venga nominato Benefattore della Repubblica e venga omaggiato dai connazionali. Il Presidente della Repubblica Il Presidente della Repubblica viene eletto ogni 7 anni, rinnovabili all’infinito. Il Presidente può indire una guerra, rompere uniteralmente un trattato internazionale, emettere una condanna a morte mediatica, ordinare il coprifuoco, emettere una fatwa, unire in matrimonio e pronunciare il discorso di fine anno a reti unificate. Una menzione particolare è dedicata al precursore della Neo Repubblica Giorgio I , Giorgio II Napolitano. Guerra e pace La Repubblica ripudia il pacifismo di onusiana memoria: Chiunque, stato canaglia, grumo terrorista, nuova popolazione emergente intaccherà i sacri interessi della Nazione, verrà


colpito con forza e abbattuto. Aerei invisibili manovrati a distanza da uomini intelligenti scaglieranno su di loro bombe al fosforo bianco, bombe a grappoli, bombe incendiarie, gas urticanti, piogge acide, gas nervini, formiche atomiche, mosche tze tze Una volta spento il focolaio, le trattative del dopo guerra sono affidate ad un rampollo della dinastia dei Letta, specialisti di inciuci e larghe intese, in attesa della guerra che verrà. Libertà di espressione e di stampa Ogni cittadino è libero di esprimere il proprio pensiero, sempre con il dovuto rispetto per le autorità, alla cui immagine è severamente proibito abbinare funzioni fisiologiche e organi sessuali. Sui giornali, in televisione, sul web, non devono essere riportate notizie che fanno calare il Pil o alzare lo spread.

Il Volo della Manta di Paolo Pino

Capitolo 5 Sto salendo sul treno che mi porterà da lei. Con un po’ di fortuna, riesco a trovare ciò che cercavo: uno scompartimento vuoto. Stranamente il vagone non è molto affollato, anche se ormai settembre è iniziato da giorni. Finalmente ho avuto il coraggio di prendermi ciò che davvero desidero con tutta l’anima. Ogni cellula del mio corpo è concentrata su un obiettivo ben preciso. Entro nello scompartimento, e mi siedo all’ultimo posto accanto al finestrino, dando le spalle al locomotore. Guardo fuori attraverso i vetri imperlati dalla pioggia, e quello che vedo è desolazione pura: palazzine fatiscenti ingrigite dallo smog. Sulle ringhiere di alcuni balconi

sono ancora stese delle lenzuola dai colori vivaci, coperte da teli di plastica. Ciò che mi aspetta è lontano anni luce dall’essere così lugubre e triste. Già quando si inizia a muovere il treno, in mezzo al grigiore cittadino, sento la mia anima che fa un sospiro di sollievo. Il paesaggio resta fermo sugli stessi colori per un centinaio di chilometri. Anche quando per un breve tratto la ferrovia costeggia il mare, non è il mare che ci si immagina. Una distesa grigio-marrone che sembrerebbe più denso di quello che dovrebbe essere. Triste anche il mare, qui. Le nuvole attraversano il cielo fino alla costa a nord, dove qualche spiraglio di sole sta cominciando a fare capolino, colpendo la superficie del mare e facendola friggere d’oro. Man mano che si scende verso sud, ci si rende conto che si stanno raggiungendo luoghi più allegri. Non parlo delle persone che ci vivono, o delle condizioni sociali nelle quali sono immerse, che, per carità, sono lungi dall’essere allegre. Parlo proprio dei luoghi, le praterie, le montagne, le spiagge, i paesini (le case che li compongono). Sembrano dire: «Che bello essere qui. Siamo felici di essere qui e per questo siamo felici». E il tempo sembra assecondare questa mia sensazione, le nuvole si allontanano e il sole mi scalda da dietro il finestrino, asciugando le gocce di pioggia che lo costellano. E’ come se si aprisse una porta su un altro mondo. Mentre il treno corre dritto sulle sue rotaie, con quel suo modo sicuro, mi ricordo delle mille volte che ho fatto lo stesso viaggio, per raggiungere mete diverse. Mi rendo conto


che mi manca molto la musica. Prima d’allora non avevo mai fatto un viaggio senza musica. Mi piaceva assecondare il paesaggio che scorreva fuori dai finestrini con il fluire delle note all’interno della mia testa. Che musica si addice ad un gabbiano che plana lento sull’acqua? Un bel brano jazz strumentale, si incastona perfettamente ad una strada che si inerpica su una collina, si vedono i muri a secco che riparano dalla rupe, e immagino il ritmo in levare che si sente quando si sale da lì con un’auto, muretto/aria/muretto/aria, ffu-ffa... ffu. Ricordo perfettamente un pezzo hard-rock fluttuare verso dei nuvoloni neri che si muovevano lenti su dei picchi altissimi ed innevati, in un inverno di tanti anni fa, quando ero un ventenne ancora adolescente. Poco era cambiato, ora probabilmente sono un trentenne infantile, come se al crescere dell’età regredissi mentalmente. E mentre faccio queste considerazioni, forse per uno strano gioco dei sensi, man mano che mi allontano dalla città, l’euforia che mi aveva aiutato ad attraversare le distese di cemento e asfalto inumidito, mi abbandona lentamente, l’adrenalina che mi aveva attraversato cessa di fare il suo lavoro, e cado in un sonno profondo. Sogno. Sono sulla spiaggia. E Martina mi attira col suo richiamo da sirena. E’ lì, dentro l’acqua, a pochi metri dalla riva. Sembra pomeriggio, ma non ci giurerei. Infatti, un attimo prima di tuffarmi in acqua il sole è alto sulla mia testa, osservo la mia ombra sulla sabbia, che sento calda sotto i miei piedi, ma non tanto da scottarmi. Dopo essere riemerso invece, il sole tramonta

dietro un gruppo di isole aggrappate all’orizzonte, colorando di rosso il cielo e le nuvole, che sembrano stracci appesi ad un filo immaginario. Osservo ancora un po’ le sagome nere delle isole in lontananza, ma mi sembrano troppo vicine. Poi me ne rendo conto: Martina non c’è più e io sono solo, al largo. Ho nuotato sott’acqua, e ho fatto chilometri senza accorgermene, in pochi istanti. Sono assalito da un senso di ansia e di abbandono immenso. Mi sveglio di soprassalto, in una stazione che non riesco a riconoscere subito. Non so che ore sono, ma a giudicare dalla luce avrò dormito circa tre ore. Manca poco ormai, e sarò lì dove dovevo essere già tempo fa. So che Martina ha affittato una casa in un paesino sul mare a circa quattro ore di treno dalla mia città. E so che vi si sarebbe trattenuta per tutto il mese di settembre. Mi ha detto che avrebbe potuto lavorare da lì, approfittandone per allontanare i fantasmi della sua vita precedente. Tutto ad un tratto il peso mentale del sogno mi fa trasalire, come se riportato alla realtà improvvisamente. Come se di nuovo la mia vita precedente tentasse di tornare ed impadronirsi di me. Scaccio con vigore quella sensazione, ma il mio nuovo me fa fatica a tornare. Resto così sospeso in una condizione in bilico, mentre osservo i passanti della stazione allontanarsi, c’è un signore calvo, con una pelle abbronzata che non si addice al periodo, che saluta con vigore un giovanotto dall’aria strafottente. Ancora soprappensiero per la mia nuova condizione – una farfalla che cerca la luce del sole e rotea attorno ad un lampione? – scatto

quasi in un urlo quando vengo richiamato dal controllore. Affannato cerco nelle tasche del pantalaccio asciugatosi ormai dopo ore di aria condizionata, e gli porgo il biglietto. Lui mi guarda come se avesse davanti uno strano esemplare di una razza animale in estinzione, uno stupore allegro, come a chiedersi: «toh, guarda un po’, c’è ancora qualche esemplare». Poco prima di arrivare a destinazione un riflesso incondizionato mi fa alzare. Solitamente, durante i miei viaggi, mi preparo una ventina di minuti prima per essere il primo a scendere, prendendo i bagagli dal portapacchi. Guardo in alto e sorrido, ricordandomi di non avere portato altro con me che i pochi indumenti sudici che indosso. Mi risiedo accanto al finestrino pensando che posso godere delle visioni e dei pensieri fitti e dolci che le accompagnano al posto della musica, fin quando il treno non si fermerà alla prossima stazione. Sceso dal treno, mi rendo conto che qui il calendario non conta, conta l’aria che si respira, fresca ma ancora estiva. Penso che l’incontro con Martina non dovrà essere duro e immediato, come un’auto che si va a schiantare a tutta velocità su un muro. E’ anche una visione troppo cinematografica per essere vera - i due innamorati che corrono l’uno contro l’altro a braccia aperte sulla spiaggia - e anche se andasse così, finirebbe per apparirmi comica, sminuendo l’alone di sensazioni e sentimenti coltivati con dovizia e lentezza - come si può curare un fiore raro in un ambiente ostile - e mai sbocciati in un vero e proprio contatto fisico.


Fotodrome

Right Here Right now, Lungomare Fondachello (foto di _Paloma _Naborre)



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