In copertina: Orazio Gentileschi, Annunciazione, particolare
I quadri del re. Torino, Europa. Le grandi opere d’arte della Galleria Sabauda nella Manica Nuova di Palazzo Reale Torino, Palazzo Reale, Manica Nuova 4 aprile - 9 settembre 2012 a cura di Edith Gabrielli Comitato scientifico Edith Gabrielli Anna Maria Bava Massimiliano Caldera Walter Canavesio Giorgio Careddu Coordinamento editoriale degli apparati didattici Massimiliano Caldera Referenze fotografiche Archivio Fotografico della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte Emani Orcorte, Torino Restauro delle opere in mostra Doneux e Soci s.c.r.l, Torino Cesare Pagliero, Savigliano (CN) Laboratorio di Restauro della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte Apparati didattici Chiara Accomero, Anna Maria Bava, Germano Boffi, Massimiliano Caldera, Elena Capretti Walter Canavesio, Giorgio Careddu, Federico Fischetti, Edith Gabrielli, Francesco Grisolia Erlend de Groot, Rodolfo Maffeis, Christian Omodeo, Roberta Piccinelli Lavori per il trasferimento della Galleria Sabauda nella Manica Nuova di Palazzo Reale Responsabile del procedimento Gennaro Napoli Progettazione architettonica e allestimenti museali Studio Albini Associati, Marco Albini, Francesco Albini OBR Open Building Research S.r.l. Rick Mather Architects LLP Programmazione museale Aubry & Guiguet Programmation Scpa Progettazione strutturale consolidamento e sicurezza D’Appolonia S.p.A. Progettazione strutturale e documenti tecnico economici Favero & Milan Ingegneria S.p.A. Progettazione impianti Manens - TiFS S.p.A. Consulenza progetto grafico e comunicazione visiva Noorda Design
Consulenza progetto di illuminazione Castagna Ravelli Studio Direttore dei lavori Luisa Papotti Direttori operativi Maria Elena Corrado Almerinda Padricelli Alfredo Napolitano Giuseppe Butera Impresa esecutrice lavori Impresa Generale di Costruzioni – Restauro – Conservazione Impresa Generale di Costruzioni Impianti Geom. Alessandro Palazzo Geom. Vasco Saggion P.I. Luca D’Innocenzo Allestimento Plotini Allestimenti s.r.l. Movimentazione opere e accrochage Arteria s.r..l Ministero per i Beni e le Attività Culturali Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte Direttore Regionale Mario Turetta Segreteria Nicoletta Reposi Antonio Mosca-Onesto Mattia Novarese Ufficio Comunicazione Domenico Papa Maria D’Amuri Francesca Vignaroli Loris Gherra Ufficio Valorizzazione Ilaria Fiumi Sermattei Laura Vaschetti Barbara Tuzzolino Paola Cremilli Ufficio Affari Generali Barbara Debora Viola Ufficio Programmazione LL.PP. Gennaro Napoli Almerinda Padricelli Giuseppina Tinelli
Barbara Vinardi Angela Cappabianca Patrizia Cratere Ufficio Appalti – Contratti e Contabilità Eliana Bonanno Anna Tinto Rossana Trabalza Luisa Nebiolo Domenica Agrillo Luisa Di Prisco Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli Soprintendente Luca Rinaldi Segreteria Rita Surgo Ufficio Tecnico Alfredo Napolitano Giuseppe Butera Carmelo Russo Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte Soprintendente Edith Gabrielli Segreteria Giovanna Fanelli Franca Giacomodonato Coordinamento degli uffici amministrativi Michela Gatti Direttore della Galleria Sabauda Anna Maria Bava Funzionario storico dell’arte Giorgio Careddu
INTRODUZIONE La Galleria Sabauda, forte di una collezione di circa ottomila opere – fra cui oltre milleduecento dipinti – è una delle principali gallerie pubbliche italiane. Ricca di capolavori, come ad esempio le Stimmate di San Francesco di Jan van Eyck, l’Annunciazione di Orazio Gentileschi e il Ritratto equestre del principe Tommaso di Savoia Carignano di Antoon van Dyck, si distingue nel panorama nazionale per l’incidenza di quadri delle scuole pittoriche europee, in particolare delle nordiche. Inaugurata ufficialmente il 2 ottobre 1832, la Galleria fu istituita per volontà di Carlo Alberto, il quale appena asceso al trono volle offrire al “pubblico godimento” il nucleo più significativo delle collezioni di casa Savoia. Il 24 giugno 1860 Vittorio Emanuele II ne fece dono alla Nazione: essa fu così temporaneamente chiamata Regia Pinacoteca Nazionale, passando in consegna al Ministero della Pubblica Istruzione. L’attuale denominazione di Galleria Sabauda venne adottata nel 1932, in coincidenza con il primo centenario. Attualmente è in consegna alla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte, istituto afferente alla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte. All’inizio la Galleria era per lo più costituita da opere provenienti dal Palazzo Reale e dal Palazzo Carignano di Torino, nonché dal Palazzo Durazzo di Genova, entrato in possesso dei Savoia nel 1824. Successivamente il patrimonio si ampliò grazie a vari acquisti e donazioni. Nel 1864 fece ad esempio l’ingresso in Galleria la collezione dei marchesi Falletti di Barolo; più tardi, nel 1930, fu il turno del nucleo messo insieme dall’industriale piemontese Riccardo Gualino, allestito con criteri di casa-museo. La prima sede della Galleria fu Palazzo Madama, in Piazza Castello, per l’esattezza le diciotto sale poste lungo il perimetro esterno del piano nobile. Nel 1848, in seguito al trasferimento nelle stesse sale degli uffici del Senato, il marchese Roberto d’Azeglio, primo direttore della Galleria, anche in vista del netto scadimento delle condizioni conservative – causa di gravi problemi – iniziò a richiedere una sistemazione diversa. Il progetto si realizzò nel 1865, allorché l’intera Galleria fu trasferita nel Palazzo dell’Accademia delle Scienze. Durante gli anni si sono susseguiti diversi lavori di riallestimento: basti qui il richiamo all’intervento di Piero Sanpaolesi e Noemi Gabrielli – da circoscriversi al periodo 1952-1959 – e a quello portato avanti da Giovanni Romano e poi da Sandra Pinto a cominciare dal 1987. Nel 1998 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha deciso in favore di un nuovo trasferimento della Sabauda, orientandosi alla fine per la sede odierna, nota come la ‘Manica Nuova’ di Palazzo Reale. L’edificio, costruito allo scadere del XIX secolo su progetto di Emilio Stramucci, aveva ospitato nel tempo diversi uffici istituzionali, compresi quelli della Regione Piemonte. In vista della nuova funzione museale la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte ne ha avviato il completo riassetto. In attesa che il cantiere si concluda le raccolte della Sabauda – fatti salvi naturalmente i pezzi oggi in mostra – resteranno in deposito presso la ‘Cavallerizza’ del Castello di Moncalieri. Il percorso odierno si pone intenzionalmente come un’operazione “di pubblico servizio”. Il suo obiettivo è in sintesi mantenere fruibile almeno una parte delle collezioni della Galleria Sabauda ed avviare il processo di fidelizzazione del pubblico con la nuova sede. Queste esigenze, sempre valide in un museo dello Stato Italiano, acquistano la forza di un impegno civile quando si consideri il particolare momento storico di Torino, protesa sempre più ad accreditarsi come città d’arte e di cultura. L’itinerario critico lascia da canto ogni velleità antologica o estetizzante e punta invece sul ruolo cardine della Sabauda nella cultura figurativa vuoi italiana, vuoi continentale. I novantacinque pezzi esposti permettono al visitatore di stabilire di volta in volta dialoghi fruttuosi e concreti fra opere di area piemontese ed altre che fanno capo a centri della Penisola e dell’intera Europa.
INTRODUCTION Thanks to a collection of about eight thousand works - including more than twelve hundred paintings - the Galleria Sabauda, i.e. Gallery of the Savoy’s dynasty, must be intended as one of the major Italian museums. With boasting masterpieces such as the Saint Francisreceiving the Stigmata by Jan van Eyck, the Annunciation by Orazio Gentileschi and the Equestrian Portrait of Prince Thomas Francis of Savoy Carignan by Antoon van Dyck, the Sabauda stands out among other Italian art galleries for housing a large number of paintings from other parts of Europe, especially northern Europe. Officially opened on October 2, 1832, the Galleria Sabauda was founded by Charles Albert, who right after his ascent to the throne showed the intention of opening to “public enjoyment” the most significant works of art collected over three centuries by the Savoy. On June 24, 1860 Italy’s first King Vittorio Emanuele II made a gift of it to the nation: it was then temporarily renamed Royal National Gallery, or Regia Pinacoteca Nazionale, and handed over to the Ministry of Education. Today’s name of Galleria Sabauda took over in 1932, in time for its centennial year. At present it’s run by the Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte, an office of the Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte. At first the Galleria Sabauda consisted mostly of works from the Palazzo Reale and Palazzo Carignano in Turin, as well as Palazzo Durazzo in Genoa, acquired by the Savoy in 1824. Later it was expanded through purchases and donations. In 1864 an example was set with the Gallery's acquisition of the collection of the Marquis Falletti di Barolo; in 1930 it acquired the collection of the Piedmontese industrialist Riccardo Gualino, on display as a house-museum. The Galleria was first housed in Palazzo Madama, in Piazza Castello, in eighteen rooms located along the outer perimeter of the first floor, or piano nobile. In 1848, when the same rooms became offices for the Senate, the first director of the Gallery, Marquis Roberto d'Azeglio, began to seek a different location for the works, so to guarantee better preservation conditions. His project was fulfilled in 1865, when the entire gallery was moved into the Palace of the Academy of Sciences. Over the years extensive renovation work was here carried out among others - by Piero Sanpaolesi and Noemi Gabrielli between 1952 and 1959, followed by Giovanni Romano and Sandra Pinto from 1987 onward. In 1998 the Italian Ministry of Cultural Heritage decided to move the Savoy collections elsewhere: the new seat of the Sabauda was to become the Royal Palace’s so-called New Wing, or ‘Manica Nuova’. The ‘Manica Nuova’, built at the end of the nineteenth century to a design by Emilio Stramucci, later housed several institutional offices, including some of the Piedmont Region. So to house the Galleria Sabauda properly, the Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte decided that a complete reorganization of the ‘Manica Nuova’ was needed. Until restoration is completed, the collections - except for those on display today, of course - will be placed in the so-called ‘Cavallerizza’ of Moncalieri Castle. In this delicate transition phase today’s exhibition must be intended as a “public service”. The goals are to keep at least part of the Savoy Gallery collections open to the public and to gain the public’s loyalty vis-à-vis the new site. These aims, which apply to all Italian State museums, are a sort of civil commitment in our case, bearing in mind that Turin in the last years has made every effort to reshape itself as a city of art and culture. The exhibition has no anthological or aesthetic ambitions: it aims instead to highlight the pivotal role of the Galleria Sabauda in the figurative arts and museology in Italy and the Continent. The ninety-five works of art on display give visitors a glimpse of the artistic culture of Piedmont and other centres in Italy, as well as the whole of Europe.
BIBLIOGRAFIA / BIBLIOGRAPHY A. Baudi di Vesme, La Regia Pinacoteca di Torino, in “Le Gallerie Nazionali Italiane”, III, Roma 1897, pp. 35-48 N. Gabrielli, Galleria Sabauda. Maestri italiani, Torino 1971 Conoscere la Galleria Sabauda. Documenti sulla storia delle sue collezioni, “Strumenti per la didattica e la ricerca 2”, a cura di G. Romano, Torino 1982 P. Astrua, La Galleria Sabauda. Storia dell’istituzione, in La Galleria Sabauda di Torino. Guida breve, Milano 2000, pp. 9-15 P. Astrua, Carlo Emanuele Alfieri di Sostegno e Roberto d’Azeglio per la Reale Galleria di Torino, in Diplomazia, musei, collezionismo tra il Piemonte e l’Europa negli anni del Risorgimento, a cura di G. Romano, Torino 2011, pp. 145-172
LE OPERE
Horace Vernet Parigi, 1789 - 1863
Ritratto equestre di Carlo Alberto, Re di Sardegna / Equestrian Portrait of Charles Albert, King of Sardinia, Inv. 742 Olio su tela / Oil on canvas, 407 x 342,5 cm Il percorso significativamente ha inizio con l’effigie del fondatore della Galleria Sabauda, il re di Sardegna Carlo Alberto. L’autore del ritratto, Horace Vernet, ottenne la commissione nel maggio del 1834, portandola a termine nel giugno successivo a Roma – come peraltro attestano la data e la firma – dove ricopriva la carica di direttore dell’Accademia di Francia. Il dipinto, coevo a Il colera a bordo della Melpomene nel Musée des Beaux-Arts di Marsiglia, recupera un modello iconografico che Vernet aveva impiegato a più riprese dal 1824 per i ritratti equestri dello zar Alessandro I di Russia, del duca di Angoulème e di Carlo X di Francia, questi ultimi entrambi nel Museo di Versailles. Il dipinto è giunto in Sabauda nel 1835.
The Equestrian Portrait of Charles Albert, King of Sardinia, was painted by Horace Vernet in Rome in 1834, when he was director of the French Academy. The painter used an iconographic model previously used from 1824 onward.
Bibliografia R. D’Azeglio, Notices esthétiques et biographiques sur certains tableaux du musée de Turin, Torino 1836, p. 1; L. Lagrange, Horace Vernet, in “Gazette des Beaux-Arts”, 15, 1863, p. 443; O. Merson, Artistes contemporains; Horace Vernet, in “La Revue contemporaine“, 15 febbraio 1863, p. 578; [G. Vico], Indicazione sommaria dei quadri e dei capi d’arte della R. Pinacoteca di Torino, Firenze 1866, p. 5; C. Renaudeau, Horace Vernet 1789-1863. Chronologie et catalogue raisonné de l’oeuvre peint, tesi di dottorato, relatore B. Foucart, Université Paris IV Sorbonne, 1999, I, pp. 372-374.
Christian Omodeo
Bernardo Daddi Firenze, 1290 circa - 1348
Incoronazione della Vergine / The Coronation of the Virgin, Inv. 25 Tempera su tavola / Tempera on panel, 64 x 42 cm In origine la preziosa tavoletta doveva essere la parte centrale di un tabernacolo portatile di destinazione privata. L’opera è ormai stabilmente assegnata a Bernardo Daddi. Daddi, a capo di una fiorente bottega, si era formato sulle opere mature di Giotto, quali ad esempio gli affreschi nella chiesa fiorentina di Santa Croce, ai quali peraltro egli stesso aveva collaborato. Una vena poetica e raffinata rivela la sensibilità del pittore per l’arte senese, in particolare per Ambrogio Lorenzetti, come attestano l'elegante linearismo, le forme allungate ed i colori smaltati. Databile nel secondo quarto del XIV secolo, il dipinto ben rappresenta il gusto del ceto mercantile del tempo, che amava circondarsi nelle proprie dimore di oggetti eleganti e ornamentali. L'opera, a lungo attribuita direttamente a Giotto, è giunta in Sabauda nel 1864 con la collezione dei marchesi Falletti di Barolo.
Originally this fine panel was the centre piece of a portable tabernacle for a private owner. It’s now attributed to Bernardo Daddi, an artist with a flourishing workshop, whose works were influenced by his master Giotto and by Sienese art. The work, once referred to Giotto himself, has been donated to the Gallery in 1864 by Marquis Giulia Colbert and Tancredi Falletti di Barolo.
Bibliografia R. Offner, A Critical and Historical Corpus of Florentine Painting. Section III. Volume III. The Fourteenth Century. The Works of Bernardo Daddi, a cura di M. Boskovits con E. Neri, Firenze 1989, p. 75; R. Offner, A Critical and Historical Corpus of Florentine Painting. Section III. Volume V. The Fourteenth Century. Bernardo Daddi and His Circle, a cura di M. Boskovits, Firenze 2001, pp. 294-296; A. Tartuferi, scheda in Da Bernardo Daddi al Beato Angelico a Botticelli. Dipinti fiorentini del Lindenau-Museum di Altenburg, catalogo della mostra, a cura di M. Boskovits con D. Parenti, Firenze 2005, p. 71.
Elena Capretti
Barnaba da Modena Modena, noto dal 1361 al 1386
Madonna con il Bambino / Madonna and Child, Inv. 15 Tempera su tavola / Tempera on panel, 114 x 70 cm La tavola, firmata e datata 1370, si trovava nella chiesa di San Domenico a Rivoli. Barnaba da Modena, dopo un’iniziale attività nella terra di origine, si stabilì a Genova, dove conobbe fra il 1361 e il 1386 una consistente fortuna, fino a divenire il punto di riferimento per la cultura pittorica ligure. I rapporti con la costa favorirono l’approdo in Piemonte delle sue preziose immagini mariane, che trovarono posto nelle chiese di Alba, Tortona e verosimilmente Mondovì, influenzando gli artisti locali. Il dipinto offre un saggio della capacità del maestro di fondere le vivaci e tenere osservazioni realistiche della sua formazione emiliana con la ieratica e fastosa solennità delle immagini bizantine, care appunto alla tradizione genovese. L’ingresso in Sabauda avvenne per acquisto nel 1875.
The panel, signed and dated 1370, was previously in the church of San Domenico in Rivoli. The painter, a native of Emilia, was active in Genoa between 1361 and 1386, producing a blend of Gothic naturalism and Byzantine tradition, highly successful in Liguria and Piedmont. The work’s been purchased by the Gallery in 1875.
Bibliografia G.B. Cavalcaselle, J.A. Crowe, Storia della pittura in Italia dal secolo II al secolo XVI, IV, Firenze 1887, p. 129; V. Viale, Gotico e Rinascimento in Piemonte, catalogo della mostra, Torino 1939, p. 45; B. Berenson, Italian Painters of the Renaissance. North Italian Painters, Londra 1968, p. 28; E. Rossetti Brezzi, Tra Piemonte e Liguria, in Primitivi piemontesi nel musei di Torino, a cura di G. Romano, Torino 1996, pp. 16-21.
Massimiliano Caldera
Mariotto di Nardo Firenze, 1394 - 1424
I quattro Evangelisti / The four Evangelists, Inv. 1-2 Tempera su tavola / Tempera on panel, 82 x 21 cm Le due tavolette, in realtà d’iconografia ancora discussa, erano unite in origine nella medesima cornice di un polittico, insieme ai pannelli già nella collezione Kleinberger di New York. Assegnate in origine a Taddeo Gaddi, sono state poi riferite a vari artisti fiorentini della seconda metà del Trecento, quali Jacopo di Cione e Ambrogio di Baldese. Il corpus di opere di Ambrogio è stato di recente spostato alla fase giovanile di Mariotto di Nardo, pittore tardogotico prossimo ai modi di Jacopo di Cione e del fratello Andrea Orcagna. I pannelli torinesi denotano significative analogie con i Profeti Isaia e Daniele di Mariotto nella Galleria dell’Accademia a Firenze, databili sul 1375-1378. La coppia pervenne alla Sabauda nel 1864 per dono dei marchesi Falletti di Barolo.
Originally the two panels were part of a polyptych. They’ve been recently attributed to Mariotto di Nardo, circa 1375-1378, whose late Gothic in style was influenced by the work of Jacopo and Andrea Orcagna. In 1864 they were donated to the Gallery by Marquis Falletti di Barolo.
Bibliografia M. Boskovits, Pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento, 1370-1400, Firenze 1975, p. 276; S. Chiodo, Mariotto di Nardo. Note per un “egregio pictore”, in “Arte Cristiana”, LXXXVII, 1999, pp. 91-104.
Elena Capretti
Giovanni da Fiesole detto il Beato Angelico Vicchio di Mugello, Firenze, 1395/1400 circa - Roma, 1455
Angeli / Angels, Inv. 4-5 Tempera su tavola / Tempera on panel, 37,5 x 25 cm ciascuna / each Le due tavolette frammentarie, che rappresentano angeli inginocchiati adoranti, in origine dovevano essere inserite entro l'incorniciatura di una composizione raffigurante la Madonna. Riferite agli anni venti del XV secolo, sono state accostate a varie opere dell’Angelico, nel tentativo di individuare l'insieme pittorico di appartenenza: una di tali opere è il ciborio – oggi all’Ermitage di San Pietroburgo – che l'artista realizzò intorno al 1422-1423 per la chiesa di San Domenico di Fiesole. Le tavolette sono state comprate nel 1846 a Firenze presso il barone Ettore Garriod.
Attributed to the young Angelico and dating from the fourteen twenties, the two fragments of paintings were placed alongside other works by the artist in an attempt to identify the painting that they originally belonged to. They’ve been purchased in Florence in 1846 from Baron Ettore Garriod.
Bibliografia J. Pope-Hennessy, Fra Angelico, Londra 1974, p. 232; Fra Angelico, catalogo della mostra (New York), a cura di L. Kanter, P. Palladino, Londra 2006, pp. 121-132; L. Kanter, Reconstructing the Renaissance. Saint James Freeing Hermogenes by Fra Angelico, Fort Worth 2008, pp. 40, 48; A. Cecchi, Contributi alla committenza fiorentina dell'Angelico, in Angelicus pictor. Ricerche e interpretazioni sul Beato Angelico, a cura di A. Zuccari, Milano 2008, pp. 35-48.
Elena Capretti
Jan van Eyck Fiandre settentrionali (?), 1390 circa - Bruges, 1441
Stimmate di San Francesco / Saint Francis receiving the Stigmata, Inv. 7 Olio su tavola / Oil on panel, 29,2 x 33,4 cm La questione attributiva è stata a lungo discussa, anche per l'esistenza di una versione più piccola al Philadelphia Museum of Art. Le indagini tecniche hanno confermato che entrambe le opere uscirono dalla bottega eyckiana: il dipinto della Sabauda costituisce la prima versione, quello di Philadelphia la sua replica autografa. Da notare i lineamenti del volto del santo, degni di un ritratto, la posizione predominante di frate Leone e la somiglianza delle rocce con quelle della Verna. Le due versioni sono state messe in rapporto con il testamento del mercante fiammingo-genovese Anselm Adornes, che nel 1470 lasciò un San Francesco di van Eyck a ciascuna delle due figlie; è probabile che Anselm, quindicenne alla morte del pittore, avesse a sua volta ereditato le opere dal padre. Le Stigmate di San Francesco sono entrate in Galleria nel 1866.
This small panel’s been first generically attributed to the Flemish School, then to Jan van Eyck. There is another, smaller version of the painting in the Philadelphia Museum of Arts. The two works have been tentatively linked to two panels with the same subject left by the merchant Anselm Adornes to his two daughters in 1470. The Turin’s version became part of the Sabauda in 1866.
Giovanni da Fiesole detto il Beato Angelico Vicchio di Mugello, Firenze, 1395/1400 circa - Roma, 1455
Madonna con il Bambino / Madonna and Child, Inv. 3 Tempera su tavola / Tempera on panel, 105 x 71,5 cm La composizione assimila il tema iconografico della Madonna dell'Umiltà, assai ricorrente nel corpus dell'Angelico, a quello della Madonna in trono, di ascendenza giottesca e tradotto in termini monumentali sempre dall’Angelico nel Tabernacolo dei Linaioli del 1432-1433, ora nel Museo di San Marco a Firenze. Ancora da stabilire risultano l'originaria destinazione dell'opera, così come la datazione, che oscilla fra il 1430 e il 1450. Alla preziosità dell'ornato e alla raffinata sapienza tecnica l'Angelico associa un linguaggio compiutamente rinascimentale, che si riflette nella nitida ambientazione architettonica, nella salda impaginazione prospettica e nella luce tersa e cristallina che trapassa sulle superfici e scandisce i piani. La tavola è stata acquistata nel 1852 a Firenze presso il barone Ettore Garriod.
The original purpose of this work, attributed to Angelico, is unknown. The dating is still controversial, ranging from the 1430s and 1450s. The panel was purchased by the museum in 1852 from Baron Ettore Garriod.
Bibliografia J. Pope-Hennessy, Fra Angelico, Londra 1974, p. 233; Fra Angelico, catalogo della mostra (New York), a cura di L. Kanter, P. Palladino, Londra 2006, pp. 282-283.
Elena Capretti
Rogier van der Weyden e bottega Tournai, 1399 circa - Bruxelles, 1464
Un donatore in preghiera / A donor in prayer, Inv. 32 Visitazione / The Visitation, Inv. 28 Olio su tavola / Oil on panel, 89 x 36 cm; 87 x 36,5 cm I due dipinti costituivano in origine altrettante ali di un trittico. Al centro vi era un’Annunciazione che, confiscata dalle truppe francesi nel 1799, viene generalmente identificata con quella oggi al Louvre di Parigi. Da sempre il trittico è associato a Rogier van der Weyden, ma la sua partecipazione diretta è ancor oggi al centro di un acceso dibattito. Stando alle opinioni più recenti, il maestro avrebbe lasciato gran parte dell’esecuzione degli sportelli ai propri allievi, i quali peraltro collaborarono anche alla scena principale. In un secondo momento – forse nel XVI secolo – la testa del committente fu rimossa e sostituita con un altro ritratto. Lo stemma, presumibilmente originale, appartiene ai Villa, famiglia di banchieri originaria di Chieri, diversi esponenti della quale risiedevano nelle Fiandre. Il trittico fu documentato per la prima volta nell’inventario delle collezioni sabaude del 1635.
The two paintings were part of a hinged triptych documented in the ducal collections of 1635. In the centre there was an Annunciation, confiscated during the 1799 French occupation: this might be the painting now in the Louvre, Paris. The work, attributed to Roger van der Weyden though largely painted by his workshop, was commissioned for a member of the Villa family, bankers from Chieri, who lived in Flanders.
Bibliografia F. Winkler, Der Meister von Flémalle und Rogier van der Weyden, Strasburgo 1913, pp. 78-81, 117, 126-128; D. de Vos, Rogier van der Weyden. The complete works, Anversa 1999, pp. 194-197; Repertory of Dutch and Flemish paintings in Italian public collections. Piedmont and Valle d’Aosta, a cura di B. Meijer, Firenze 2010, II, pp. 292-293.
Erlend de Groot
Desiderio da Settignano Settignano, Firenze, 1430 circa - Firenze, 1464
Madonna con il Bambino / Madonna and Child, Inv. Sculture 2 Marmo / Marble, 103 x 65 x 4,5 cm Il rilievo, databile intorno al 1450, è opera di Desiderio da Settignano, il discepolo più fedele di Donatello. Pur riprendendo i prototipi del maestro, Desiderio li interpretò in chiave sentimentale, con una fine sensibilità espressiva. Il rilievo ‘stiacciato’ assume, nella raffinatezza dell’intaglio marmoreo, effetti pittorici vibranti. Una grazia gioiosa e delicata è la nota dominante dell’opera di Desiderio sin da questo rilievo giovanile. Destinata alla devozione domestica, la Madonna di Torino ebbe una particolare fortuna, attestata da numerose repliche in stucco e terracotta che ne divulgarono l’invenzione. L’opera fu acquistata per la Galleria nel 1850 a Firenze presso il barone Ettore Garriod.
The work, dating from the mid fifteenth century, is by Desiderio da Settignano, Donatello’s most faithful follower. When the Gallery purchased it from Baron Ettore Garriod in 1850 in Florence, it was attributed to Donatello himself. Although based on a prototype by Donatello, Desiderio gave the work a sentimental touch, an expressive sensibility and a joyous and delicate grace.
Bibliografia T. Mozzati, scheda in Desiderio da Settignano. La scoperta della grazia nella scultura del Rinascimento, catalogo della mostra (Firenze), a cura di M. Bormard, B. Paolozzi Strozzi, N. Penny, Parigi-Milano 2007, pp. 200-203.
Elena Capretti
Giorgio Čulinovič detto Schiavone Scardona, 1433/1436 - Sebenico, 1504
Madonna con il Bambino / Madonna and Child, Inv. 192 Tempera su tavola / Tempera on panel, 69 x 61 cm L’opera, che ritrae la Vergine ed il Bambino entro un’edicola marmorea a mezzo tra la finestra rinascimentale e l’arco classico, è firmata dallo Schiavone e risale ai primi anni del suo apprendistato nella bottega di Francesco Squarcione, iniziato nel 1456. I richiami alla cultura archeologica e al repertorio lapidario di Padova e le desunzioni puntuali dal cantiere donatelliano nella basilica del Santo lasciano ipotizzare che l'artista si esercitasse anche nella scultura. Evidenti risultano anche i debiti stilistici nei confronti di Filippo Lippi e di Andrea Mantegna, attraverso il filtro di Marco Zoppo. Il dipinto – identificabile con quello di analogo soggetto notato a fine Settecento da Luigi Lanzi in una raccolta di Fossombrone, nelle Marche – è stata acquistato dalla Galleria Sabauda nel 1879.
The panel was painted by Schiavone in the early years of his apprenticeship in the workshop of Squarcione. It’s one of the few works that might be surely referred to the painter, playing so an important part in documenting the figurative arts in Padua and the Adriatic in the early 1450s. It was purchased by the Gallery in 1879.
Bibliografia L. Lanzi, Storia pittorica della Italia [1795-1796], a cura di M. Capucci, Firenze 1974, II, p. 35; K. Prijateli, Profilo di Giorgio Schiavone, in “Arte Antica e Moderna”, 9, 1960, pp. 47-63, pp. 54-55; A. De Marchi, Un raggio di sole su Filippo Lippi a Padova, in “Nuovi Studi”, I, 1996, pp. 7, 13; S.G. Casu, Giorgio Schiavone e Carlo Crivelli nella bottega dello Squarcione, in “Proporzioni”, I, 2000, pp. 42, 44-45, 46; A. De Nicolò Salmazo, Andrea Mantegna e Padova. 1445-1460, in Mantegna e Padova 1445-1460, catalogo della mostra (Padova), a cura di D. Banzato, A. De Nicolò Salmazo, A.M. Spiazzi, Milano 2006, pp. 21-25.
Chiara Accornero
Antoine de Lonhy Borgogna (?), noto dal 1446 al 1490 circa
San Domenico nello studio / Saint Dominic in his study, Inv. 1133 Tempera su tavola / Tempera on panel, 106 x 45,7 cm Il dipinto è stabilmente riferito ad Antoine de Lonhy che, attivo in Borgogna, Tolosa e Barcellona in qualità di pittore, miniatore e maestro vetraio, dopo il 1462 si trasferì negli stati del duca di Savoia, dove ebbe una lunga fortuna con la sua interpretazione dell’Ars nova fiamminga. Lo sfarzo ornamentale e la luminosa gamma cromatica suggeriscono una datazione al 1460-1470, attestata dal confronto con la Trinità nei Musei Civici di Torino o con le miniature delle Ore di Saluzzo nella British Library di Londra. Il pezzo era parte di un polittico smembrato, che nel 1885 si trovava sul mercato antiquario milanese. Dei suoi cinque scomparti, il San Michele e il San Vincenzo Ferreri risultano irreperibili; la Natività è al Museum Meyer van der Bergh di Anversa, il San Giovanni Battista in collezione privata. Il San Domenico è stato acquisito dallo Stato Italiano nel 1997.
Antoine de Lonhy was active in Burgundy, in Toulouse and Barcelona, before moving in 1462 to Piedmont and Savoy: here he was active until 1490, influencing the local artists with his reinterpretation of the Flemish Ars nova. The present painting was part of an altarpiece for a Dominican church: it was purchased in 1997, while other parts are now in various public and private collections.
Bibliografia G. Romano, scheda in Valle di Susa. Arte e storia dall’XI al XVIII secolo, catalogo della mostra, a cura di G. Romano, Torino 1977, p. 208; G. Romano, Sur Antoine de Lonhy en Pièmont, in “La Revue de l’Art”, 85, 1989, pp. 36-37; G. Romano, Da Giacomo Pitterio ad Antoine de Lonhy, in Primitivi piemontesi nel musei di Torino, a cura di G. Romano, Torino 1996, pp. 197-198.
Massimiliano Caldera
Antonio Benci detto il Pollaiolo Firenze, 1431 - Roma, 1498
Piero Benci detto il Pollaiolo Firenze, 1441 - Roma, 1496
L'Arcangelo Raffaele e Tobiolo / The Archangel Raphael with Tobias, Inv. 182 Tempera su tavola / Tempera on panel, 232 x 165 cm Il soggetto biblico di Tobiolo che, accompagnato in un lungo viaggio dall'Arcangelo Raffaele, trova in un pesce la medicina per la cecità del padre, era molto apprezzato dai mercanti fiorentini del XV secolo. Costoro vedevano infatti nell'angelo il protettore dei loro figli, all’epoca spesso in missione d'affari all'estero. A ordinare l'opere fu probabilmente l'Arte di Mercanzia, che nel 1469 commissionò a Piero del Pollaiolo la serie delle Virtù per la sala del Tribunale, oggi agli Uffizi. La sua datazione, tuttora assai discussa, potrebbe essere fissata sul 1465-1470. Più tardi, nel 1568, fu ricordata nella seconda edizione de Le Vite di Giorgio Vasari su di “un pilastro” di Orsanmichele a Firenze, chiesa posta appunto sotto il patronato delle Arti. Acquistata presso il barone Garriod, è in Sabauda dal 1865.
Mentioned in The Lives of Giorgio Vasari (1568), the panel was painted by the Pollaiolo brothers for Orsanmichele in Florence, the church under the patronage of the trade guilds. It was probably commissioned by the Guild of Merchants, which in 1469 also commissioned Piero del Pollaiolo to paint the series of the Virtues for the court room, now in the Uffizi. The date of the work, which is much debated, could be placed around the years 1465-1470. Purchased from Baron Ettore Garriod, it became part of the Gallery in 1865.
Bibliografia G. Vasari, Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori [1568], a cura di G. Milanesi Firenze 1878-1885, III, p. 291; A. Tartuferi, Il Pollaiolo agli Uffizi e oltre: osservazioni e proposte, in La stanza dei Pollaiolo. I restauri, una mostra, un nuovo ordinamento, a cura di A. Natali, A. Tartuferi, Firenze 2007, pp. 27-28.
Elena Capretti
Hans Memling Seligenstadt, 1430/1446 circa - Bruges, 1494
Passione di Cristo / The Passion of Christ, Inv. 8 Olio su tavola / Oil on panel, 56,7 x 92,2 cm L’opera fu commissionata intorno al 1470 dal celebre banchiere fiorentino Tommaso Portinari, forse in occasione del matrimonio con Maria Baroncelli. Essa raffigura in sequenza oltre venti episodi della Passione, che snodandosi attraverso e intorno Gerusalemme, idealmente consentono di compiere un pellegrinaggio in Terrasanta. Non è chiaro quando il dipinto arrivò in Italia: verso il 1500 era già presso l'ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze, da dove passò nelle raccolte di Cosimo I de' Medici. Vasari lo menzionò in entrambe le edizioni de Le Vite (1550 e 1568); tra il 1570 e il 1572 fu donato a papa Pio V, che lo inviò nel convento domenicano di Bosco Marengo presso Alessandria, dove nel 1814 fu acquistato da Vittorio Emanuele I.
The painting was commissioned around 1470 by the Florentine banker Tommaso Portinari, probably at the time of his marriage to Maria Baroncelli: it was later transferred to the hospital of Santa Maria Nuova in Florence, the collections of Cosimo I de’ Medici and then Pope Pius V, who, between 1570 and 1572, gave it to the Dominican convent of Bosco Marengo, near Alessandria. It was bought by Victor Emmanuel I of Savoy in 1814.
Bibliografia G. Vasari, Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori [1568], a cura di G. Milanesi Firenze 1878-1885, VII, pp. 580-581; M.J. Friedländer, Early Netherlandish Painting. Hans Memlinc and Gerard David [1928], Leida-Bruxelles 1971, I, p. 50; C.E. Spantigati, scheda in Pio V e Santa Croce di Bosco. Aspetti di una committenza papale, catalogo della mostra (Bosco Marengo-Alessandria), a cura di C.E. Spantigati, G. Ieni, Alessandria 1985, p. 264; D. de Vos, Hans Memling. Het complete oeuvre, Anversa 1994, pp. 105-109; Repertory of Dutch and Flemish paintings in Italian public collections. Piedmont and Valle d’Aosta, a cura di B. Meijer, Firenze 2010, II, p. 88.
Erlend de Groot
Giovanni Martino Spanzotti Casale Monferrato (?), 1455 circa - Chivasso (?), Torino, 1526/1528
I Santi Francesco d’Assisi, Sebastiano, Giovanni Battista ed Antonio Abate con il donatore / Four Saints and the donor, Inv. 1038 Le Sante Barbara, Caterina d’Alessandria, Maddalena e Margherita d’Antiochia / Four Saints, Inv. 1039 Tempera su tavola / Tempera on panel, 124 x 66,5 cm; 124 x 67 cm Insieme alla Madonna Tucker nei Musei Civici di Torino e all’affresco raffigurante l’Adorazione del Bambino nella chiesa di San Francesco a Rivarolo Canavese, le due tavole figurano tra i numeri più antichi del catalogo di Spanzotti, membro di una famiglia di pittori lombardi stabilitasi a Casale Monferrato entro il 1470. La sottile scrittura pittorica, la limpida intensità del colore, l’ornata eleganza classica del loggiato sullo sfondo attestano, verso il 1475-1480, l’aggiornata modernità del giovane Spanzotti, che doveva aver compiuto il proprio percorso formativo a Bologna presso Francesco del Cossa. In origine i due pezzi facevano parte del registro principale di un polittico: già conservati presso i padri Rosminiani di Stresa e forse provenienti dalla Val Vigezzo, essi sono entrati in Sabauda nel 1973.
The two paintings were the side panels of a polyptych: they are among the early works of Giovanni Martino Spanzotti, a painter of Lombard origin, active in Casale Monferrato after 1470. The works show the influence of Francesco del Cossa and his workshop in Bologna: they’ve been acquired by the Gallery in 1973.
Bibliografia V. Viale, Gotico e Rinascimento in Piemonte, catalogo della mostra, Torino 1939, p. 61; A.M. Brizio, La pittura in Piemonte dall’età romanica al Cinquecento, Torino 1942, pp. 52-53, 254; R. Longhi, Carlo Braccesco [1942], in Opere complete. VI. Lavori in Valpadana, dal Trecento al primo Cinquecento, Firenze 1973, p. 285; G. Romano, scheda in Soprintendenza alle Gallerie e alle Opere d’Arte del Piemonte. Recuperi e nuove acquisizioni, catalogo della mostra, Torino 1975, pp. 12-15.
Massimiliano Caldera
Filippino Lippi Prato, 1457 - Firenze, 1504
I tre arcangeli e Tobiolo / The Three Archangels and Tobias, Inv. 183 Tempera grassa su tavola / Tempera and oil on panel, 134,5 x 169,5 cm Opera databile intorno al 1477-1478, il dipinto manifesta nelle fisionomie dei personaggi, nello stile calligrafico e nella cromia intensa il debito formativo di Lippi verso Sandro Botticelli: l’artista era entrato nella bottega botticelliana nel 1469, dopo la morte del padre Filippo Lippi, risultandovi effettivamente documentato nel 1472. Insieme alla lunetta con l'Incoronazione della Vergine di Washington – eseguita in collaborazione con Botticelli – e all'Adorazione dei Magi per l'altare Lami di Santa Maria Novella, oggi agli Uffizi di Firenze, il dipinto della Sabauda costituisce una delle prime imprese di Filippino di larghe proporzioni, che gli permisero di avviare un'attività autonoma. La tavola, già nella collezione Mannelli Galilei di Firenze, è stata acquistata nel 1859 presso il barone Ettore Garriod.
A work of Filippino Lippi dating around 1477-1478, the painting shows the influence of Sandro Botticelli, the artist’s master. The work, once in Galilei Mannelli's collection in Florence, was bought for the Gallery from Baron Ettore Garriod in 1859.
Bibliografia B. Berenson, Amico di Sandro, in “Gazette des Beaux Arts”, XLI, 1899, 1, pp. 463-465; C. Gamba, Filippino Lippi e l’Amico di Sandro, in Miscellanea di Storia dell’Arte in onore di Igino Benvenuto Supino, Firenze 1933, p. 476; P. Zambrano, J. K. Nelson, Filippino Lippi, Milano 2004, pp. 325-326; A. Cecchi, scheda in Filippino Lippi e Sandro Botticelli nella Firenze del '400, catalogo della mostra (Roma), a cura di A. Cecchi, Milano 2011.
Elena Capretti
Giovanni Martino Spanzotti Casale Monferrato (?), 1455 circa - Chivasso (?), Torino, 1526/1528
Madonna in trono con il Bambino, i Santi Ubaldo e Sebastiano / Madonna and Child Enthroned with Saints Sebastian and Ubald, Inv. 225 Tempera su tavola / Tempera on panel, 135 x 55 cm; 127 x 38 cm; 103 x 36 cm La firma, che compare sul gradino del trono della Vergine, ha permesso di ricostruire la personalità artistica di Spanzotti attraverso il confronto con le Storie di Cristo affrescate sul tramezzo della chiesa di San Bernardino a Ivrea. La qualità meridiana della luce, la delicata caratterizzazione psicologica delle figure e la sottile scansione prospettica della composizione, avvertibile nonostante il fondo oro, sembrano suggerire una datazione di poco successiva al 1480, in rapporto con le prime scene del ciclo di Ivrea. Il trittico è la ricomposizione di un complesso smembrato, di cui si ignora la collocazione originaria: la Madonna con il Bambino, proveniente da Serralunga di Crea fu acquistata per la Sabauda nel 1899, il San Sebastiano nel 1923, il Sant’Ubaldo, infine, nel 1926.
Spanzotti’s signature, readable on the step of the throne, let us compare it to the frescoes in the church of San Bernardino in Ivrea. The three panels that make up this triptych were acquired by the museum at different times: the Madonna and Child in 1899, the Saint Sebastian in 1923 and the Saint Ubald in 1926.
Bibliografia L. Ciaccio, Gian Martino Spanzotti da Casale, pittore, fiorito fra il 1481 e il 1524, in “L’Arte”, VII, 1904, 11-12, p. 44; A.M. Brizio, Gian Martino Spanzotti, in Miscellanea della Facoltà di Lettere e Filosofia, Serie I, Torino 1936, pp. 110, 111, 113, 117; V. Viale, Gotico e Rinascimento in Piemonte, catalogo della mostra, Torino 1939, pp. 61-62; G. Testori, G. Martino Spanzotti, gli affreschi di Ivrea, Ivrea 1958, p. n. n.
Massimiliano Caldera
Andrea Mantegna e bottega Isola di Carturo, Padova, 1431 - Mantova, 1506
Madonna con il Bambino, San Giovannino, Santa Caterina d’Alessandria e altri santi / Madonna and Child with Saint John, Saint Catherine of Alexandria and other Saints, Inv. 177 Tempera su tavola / Tempera on panel, 80 x 107 cm Il dipinto è riconoscibile nella “nostra dona” promessa in una lettera del 20 giugno 1480 da Federico Gonzaga alla vedova di Galeazzo Maria Sforza, Bona di Savoia. La grande diffusione del modello soprattutto in ambito veronese sembrerebbe giustificare una datazione entro il 1488. L’invenzione del Bambino che poggia il piede sull’avambraccio della madre fa parte delle riflessioni condotte da Mantegna dal 1480, epoca della Madonna con il Bambino e un coro di cherubini della Pinacoteca di Brera e di un disegno della Fondation Custodia di Parigi. L’opera raggiunse il Piemonte forse già in occasione della partenza di Bona da Milano nel 1495 e comunque entro i primi anni del secolo seguente, allorché il gruppo centrale fu citato da un anonimo artista franco-piemontese nella pala oggi all’Accademia di Vienna. Nel 1635 risulta presente nell’inventario delle collezioni sabaude redatto da Antonio Della Cornia.
The painting, datable before 1488, was probably sent by Federico Gonzaga to the Duchess of Milan, Bona of Savoy, in the 1490s and became immediately very famous, as testified by a piedmontese painting (Vienna, Gemäldegalerie der Akademie den Bildenden Künste).
Bibliografia P. Kristeller, Andrea Mantegna, Berlino-Lipsia 1902, p. 358; J. Byam Shaw, The Italian Drawings of the Frits Lugt Collection, I, Parigi 1983, pp. 216-217; R. Lightbown, Andrea Mantegna, Milano 1986, p. 464; G. Agosti, Su Mantegna, Milano 2005, pp. 361-362; D. Thiébaut, scheda in Mantegna 1431-1506, catalogo della mostra, a cura di G. Agosti, D. Thiébaut, Parigi 2008, pp. 224-226.
Chiara Accornero
Ambrogio da Fossano detto il Bergognone Fossano, Cuneo, 1451/1456 - Milano, 1523 (?)
Consacrazione di Sant'Ambrogio / Consecration of Saint Ambrose, Inv. 184 Predica di Sant'Ambrogio davanti ai santi Agostino e Monica / Saint Ambrose preaching in front of Saints Augustine and Monica, Inv. 185 Olio su tavola / Oil on panel, 31,5 x 33,5 cm ciascuna / each I piccoli pannelli, insieme al Miracolo delle api nella Kunsthalle di Basilea e al Sant’Ambrogio e l'imperatore Teodosio nell’Accademia Carrara di Bergamo, componevano una predella raffigurante la vita di Sant’Ambrogio, patrono di Milano, tratta dalla relativa biografia scritta da Paolino da Milano. Il gradino faceva parte della pala dipinta dal Bergognone intorno al 1490 per la sesta cappella a sinistra della certosa di Pavia. Nel cantiere certosino l'artista lombardo fu impegnato fra il 1488 e il 1495 con dipinti ad affresco, pale d'altare e piccole tavolette come quelle della Sabauda. La coppia entrò in Galleria nel 1864 acquistate presso Luigi Berretta di Pavia.
The two small panels, together with another two now in the Kunsthalle in Basel and the Accademia Carrara in Bergamo, also depicting two episodes from the life of Saint Ambrose, were part of the predella of an altarpiece dedicated to the saint, painted by the Lombard painter around 1490 for the Certosa di Pavia. The works were purchased by the Gallery in 1864.
Bibliografia L. Beltrami, Ambrogio da Fossano, Milano 1895, p. 121; F. Mazzini, scheda in Arte lombarda dai Visconti agli Sforza, catalogo della mostra, Milano 1958, p. 125; G. Giacomelli Salvadori, scheda in Ambrogio da Fossano detto il Bergognone, catalogo della mostra (Pavia), a cura di G.C. Sciolla, Milano 1998, pp. 214-216.
Elena Capretti
Ambrogio da Fossano detto il Bergognone Fossano, Cuneo, 1451/1456 - Milano, 1523 (?)
Madonna con il Bambino / Madonna and Child, Inv. 174 Tempera su tavola / Tempera on panel, 70 x 49,5 cm La tavola è ormai accreditata alla fase tarda del Bergognone, come dimostra l’affinità con altre opere coeve, inclusa la Madonna con il Bambino del Museo Poldi Pezzoli di Milano. La fisionomia della Madonna e la sua acconciatura, con i capelli raccolti ai lati delle tempie e coperti da un lieve velo trasparente, riprendono le opere del Perugino presenti in Lombardia dall'ultimo decennio del Quattrocento. Dai tempi del soggiorno presso il cantiere della certosa di Pavia, Bergognone riuscì ad assolvere a numerose richieste di tavolette destinate alla devozione privata, spesso ripetendo motivi e schemi compositivi con livelli di qualità disomogenei. La tavola fu donata al museo dall'incisore Michele Bisi nel 1857.
The painting has now been steadily recognized as a late Bergognone’s work, contemporary to other similar works such as the Madonna and Child in the Poldi Pezzoli Museum in Milan. The panel was donated to the Gallery by the engraver Michele Bisi in 1857.
Bibliografia L. Beltrami, Ambrogio da Fossano, Milano 1895, p. 121; G.C. Sciolla, Glosse al Bergognone, in Itinerari d'arte in Lombardia dal XIII al XX secolo. Scritti offerti a Maria Teresa Binaghi Olivari, a cura di M. Ceriana, F. Mazzocca, Milano 1998, p. 129; M. Natale, scheda in Museo Poldi Pezzoli. Tessuti sculture metalli islamici, Milano 1987, p. 31.
Elena Capretti
Gaudenzio Ferrari Valduggia, Vercelli, 1475 circa - Milano, 1546
Polittico di Sant’Anna / Polyptych of Saint Anne, Inv. 205, 206, 209, 2110 Tempera su tavola / Tempera on panel, 87 x 57 cm ciascuna / each Insieme a due tavole con l’Arcangelo Gabriele e la Vergine Annunciataora presso la National Gallery di Londra, i quattro dipinti componevano il polittico richiesto nel 1508 a Gaudenzio Ferrari dalla confraternita di Sant’Anna a Vercelli. La commissione sancì l’ingresso di Gaudenzio nella città, dove sarebbe rimasto attivo fino al 1534. Accanto agli affreschi del 1507 nella cappella di Santa Margherita nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Varallo e alla pala del 1510 per la collegiata di Arona, gli scomparti dichiarano le coordinate stilistiche del giovane artista: da una parte, la riflessione sul Perugino, come dimosra l’Eterno Padre, che cita il polittico dell’umbro per la certosa di Pavia; dall’altra, l’interesse per le nuove proposte prospettiche di Bramantino a Milano. I quattro pannelli entrarono in Sabauda nel 1865.
The four paintings, along with two others depicting the Archangel Gabriel and the Virgin of the Annunciation, both now in London’s National Gallery, were part of the altarpiece commissioned in 1508 to the painter by the Confraternity of Saint Anne in Vercelli. References to Perugino and Bramantino show young Gaudenzio Ferrari’s desire to renew the local figurative style, still tied to Spanzotti. The four paintings were purchased by the Gallery in 1875.
Bibliografia A.M. Brizio, La pittura in Piemonte dall’età romanica al Cinquecento, Torino 1942, pp. 100, 209; G. Testori, scheda in Mostra di Gaudenzio Ferrari, catalogo della mostra (Vercelli), Milano 1956, pp. 94-95; V. Viale, Gaudenzio Ferrari, Torino 1969, p. 11, tav. III; G. Romano, Eusebio Ferrari e gli affreschi cinquecenteschi di Palazzo Verga a Vercelli, in “Prospettiva”, 33-36, 1983-1984, pp. 136-137.
Massimiliano Caldera
Gian Giacomo de Alladio detto Macrino d’Alba Alba, noto dal 1495 al 1528
Madonna in trono con il Bambino, i Santi Giovanni Battista, Giacomo, Gerolamo, Ugone e angeli / Madonna and Child Enthroned with Saints John the Baptist, James, Jerome, Hugh and angels, Inv. 246 Tempera su tavola / Tempera on panel, 350 x 193 cm L'ancona, firmata e datata 1498, proviene dalla certosa di Valmanera, presso Asti. La solenne composizione ambientata sotto un arco di trionfo e le citazioni dall’antico indicano che il pittore piemontese si era formato nei cantieri della Roma di Sisto IV, in rapporto con il Pinturicchio. Come dimostrano il polittico per i Francescani di Alba del 1495 circa, ora allo Städelsches Kunstinstitut di Francoforte, o quello realizzato nel 1499 per l’abbazia di Lucedio su ordine di Annibale Paleologo, ora nel Palazzo Vescovile di Tortona, la proposta figurativa di Macrino conobbe fra Quattro e Cinquecento una significativa fortuna presso la corte dei marchesi di Monferrato. L’ancona è entrata in Sabauda nel 1871 per acquisto.
The altarpiece was made in 1498 for the Carthusian monastery of Valmanera, near Asti. Macrino d’Alba, despite his Piedmontese origins, did his training in Rome, in the last decades of the fifteenth century, probably in the workshop of Pinturicchio; once back to Piedmont, he worked for the court of the Marquis of Monferrato. The work’s been acquired by the museum in 1871.
Bibliografia L. Motta Ciaccio, Macrino d’Alba. Derivazione artistica, in “Rassegna d'Arte”, VI, 1906, 10, pp. 149-153; G. Bistolfi, Macrino d’Alba. Appunti su la vita e su le opere di un pittore piemontese del secolo XV, Torino 1910, pp. 56, 169; V. Viale, Gotico e Rinascimento in Piemonte, catalogo della mostra, Torino 1939, pp. 102-103; E. Villata, Macrino d’Alba, Savigliano 2000, pp. 69-74, 133-137.
Massimiliano Caldera
Scultore della Svizzera occidentale o della Savoia
Madonna con il Bambino / Madonna and Child, Inv. 755 Legno scolpito, dipinto e dorato / Polychrome and gilded wood, 132,5 x 40 x 35 cm L’opera, che rivela la propria indubbia ascendenza settentrionale nel voluminoso panneggio a pieghe taglienti e nell’attenzione realistica, trova i migliori riscontri stilistici in alcune sculture lignee realizzate a cavallo fra XV e XVI secolo in aree come la Savoia e la Svizzera occidentale. Alcuni confronti possono stabilirsi in particolare con il catalogo del cosiddetto Maestro della Pietà degli Antoniti. Il pezzo è stato acquistato per diritto di prelazione sul mercato antiquario di Torino nel 1956 con il riferimento a uno scultore della Valle d’Aosta.
The sculpture’s chronology falls between the end of the XVth and the beginning of the XVIth century. The piece seems stylistically to be akin to other examples of wooden sculpture from western Switzerland and Savoy, two areas that up to early decades of the sixteenth century were culturally very close to the Aosta Valley. It’s been bought by the Gallery in 1957 in the antiquities market in Turin.
Bibliografia N. Gabrielli, Galleria Sabauda. Maestri italiani, Torino 1971, p. 269.
Massimiliano Caldera
Gerolamo Giovenone Vercelli, 1490 circa - 1555
Madonna con il Bambino, i Santi Abbondio e Domenico, la committente Ludovica Buronzo e i figli Pietro e Gerolamo / Madonna and Child with Saints Abbondio and Dominic, the donor Ludovica Buronzo and her children Pietro and Gerolamo, Inv. 231 Tempera su tavola / Tempera on panel, 180 x 119 cm La tavola, firmata e datata 1514, fu commissionata dalla vedova del referendario ducale di Carlo di Savoia, Domenico Buronzo, per la propria cappella nella chiesa domenicana di San Paolo a Vercelli. Ambientata sotto un padiglione di gusto classico, la pala dichiara la propria dipendenza da Defendente Ferrari nei colori tersi e preziosi e nell’attenzione ai dettagli. In alcuni brani, invece, si riconosce già la reazione dell’artista agli stimoli di Gaudenzio e in modo particolare al polittico di Sant’Anna: Giovenone, che aveva fatto da garante per il più giovane collega nel 1508, scelse così di abbandonare le raffinate sottigliezze di Defendente a favore della moderna linea gaudenziana. L’opera è stata donata nel 1839 alla Sabauda dal marchese Cusani di Sagliano.
The altarpiece was painted in 1514 for the Buronzo family chapel in the church of Saint Paul at Vercelli. It shows how Giovenone, the founder of an important family of painters from Vercelli, had gone beyond the style of his early years, akin to Defendente Ferrari, and was influenced by the first works of Gaudenzio Ferrari. The altarpiece’s been donated to the Gallery in 1839.
Bibliografia V. Viale, Gotico e Rinascimento in Piemonte, catalogo della mostra, Torino 1939, pp. 115-116; G. Romano, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari e gli inizi di Bernardino Lanino. Testimonianze d’archivio e documenti figurativi, in Bernardino Lanino maestro a Vercelli. Opere e committenti, in Bernardino Lanino e il Cinquecento a Vercelli, a cura di G. Romano, Torino 1986, p. 29.
Massimiliano Caldera
Bernard van Orley Bruxelles, 1491/1492 - 1542
Scena non identificata (recto), Uno sgherro, San Giovanni Evangelista conforta la Vergine, un committente in preghiera e uno stemma (verso) / Unidentified scene (recto), A thug, the Virgin comforted by Saint John the Evangelist, the donor and a coat of ar, Inv. 317 Olio su tavola / Oil on panel, 95 x 106 cm L'opera faceva parte di un’ancona, della quale sopravvive un secondo scomparto ora ai Musées Royaux des Beaux-Arts di Bruxelles: il recente restauro ha riportato alla luce sul retro la stessa grisaille presente anche sull’altra tavola. L'attribuzione a van Orley è da tempo fuori discussione, come del resto dimostrano i tipici caratteri filoitaliani. Meno chiara è invece l’iconografia. Wauters identifica il polittico con quello commissionato nel 1515 dalla confraternita della Santa Croce a Veurne e perciò ne interpreta il soggetto come Carlo il Calvo consegna a Veurne le reliquie di Santa Walpurga. Più di recente altri studiosi ritengono invece che la scena raffiguri Il re di Francia trasmette le reliquie della Passione o in alternativa Carlo Magno depone nella cattedrale di Aquisgrana il piatto e il calice dell’Ultima Cena.
The panel was part of a hinged polyptych with another piece today in the Musée Royal des Beaux-Art in Brussels. On the back of both paintings there traces of two scenes, in monochrome, painted on the exterior of the closed altarpiece. The Turin’s panel has been variously interpreted: some scholars recently identified it as The King of France handing over the relics of the Passion or Charlemagne placing the dish and chalice of the Last Supper in Aachen Cathedral.
Bibliografia A.J. Wauters, Le retable de Sainte-Walburge commandé en 1515 à Bernard van Orley par la confrérie de la Sainte-Croix de Furnes, Bruxelles 1899; Repertory of Dutch and Flemish paintings in Italian public collections. Piedmont and Valle d’Aosta, a cura di B. Meijer, Firenze 2010, II, pp. 166-167.
Erlend de Groot
Francesco Raibolini detto il Francia Bologna, 1450 circa - 1517
Deposizione / The Deposition, Inv. 202 Olio su tavola / Oil on panel, 251 x 183 cm Il dipinto, firmato e datato 1515, proviene dall’altare della famiglia Torcello, nella chiesa di Sant’Ilario di Casale Monferrato. Esso raffigura Cristo deposto dalla croce, sorretto da San Giovanni Evangelista e da Santa Maria Maddalena, pianto dalla Madonna e osservato da San Giuseppe d’Arimatea e da Sant’Alberto Carmelitano. Il linguaggio severo e sintetico che contraddistingue l’ultimo periodo del Francia emerge dall’impaginazione dell’opera e dai gesti dei santi: esso può confrontarsi con altri numeri del suo catalogo, come per esempio quelli ora nella Galleria Nazionale di Parma e nella National Gallery di Londra. Il dipinto è entrato in Sabauda nel 1835, come dono del conte Pio Sordi di Torcello.
The painting, signed and dated 1515, was originally installed in the church of Saint Hilary in Casale Monferrato, where the Torcello family had an altar. The formal and concise style characteristic of Francia’s later works is evident in the layout of the painting and the gestures of saints: other similar paintings are to be found in the National Gallery of Parma and the National Gallery in London. It’s been acquired by the museum in 1835, as a gift from Count Pio Sordi di Torcello.
Bibliografia G. Lipparini, F. Francia, Bergamo 1913, pp. 92, 95, 96, 98, 100; G. Romano, Casalesi del Cinquecento. L’avvento del manierismo in una città padana, Torino 1970, p. 63; E. Negro, N. Roio, Francesco Francia e la sua scuola, Modena 1998, p. 205.
Roberta Piccinelli
Defendente Ferrari Chivasso, Torino, 1480/1485 - dopo il 1540
Polittico di Sant’Ivo / Polyptych of Saint Ives, Inv. 1061 Tempera su tavola, legno intagliato e dipinto / Tempera on panel, polychrome wood, 345 x 270 cm Il polittico si trovava sull’altare della famiglia Lingotto nella collegiata di Santa Maria della Scala a Moncalieri. La predella non è pertinente al complesso originario, al pari delle due sculture lignee con l’Arcangelo Gabriele e l’Annunciata. La sua datazione intorno al 1520 è attestata dal confronto con la Madonna del Popolo della parrocchiale di Ciriè del 1519 o con l’Adorazione del Bambino con il Beato Warmondo nel duomo d’Ivrea del 1520, in cui si riconosce lo stesso solenne respiro compositivo unito a una meticolosa preziosità d’esecuzione. Defendente Ferrari collaborò a partire dal primo decennio del Cinquecento con Giovanni Martino Spanzotti, dal quale ereditò il ruolo di punto di riferimento per la pittura nel Piemonte sabaudo. L’opera, acquistata nel 1875 dal senatore Federico Rosazza, è stata ceduta alla Sabauda dai suoi eredi nel 1982.
The altarpiece was originally on the altar of the Lingotto family, who probably commissioned it. Like the two wooden statues on the cymatium, the altar step, depicting the Stories of Mary Magdalene, does not belong to the altarpiece, although by the same author. Defendente Ferrari was a pupil and assistant of Spanzotti, and took over his workshop when he died. The work, dated around 1520, was purchased in 1982 for the Gallery.
Bibliografia G. Curto, Cavalcaselle in Piemonte. La pittura nei secoli XV e XVI, Torino 1981, p. 54; S. Sartori, I dipinti dalle Chiese, in Studi e restauri per Moncalieri. Dipinti dalle Collezioni Civiche, dalle Quaderie Sabaude, dalle Chiese, catalogo della mostra (Moncalieri), Torino 1995, pp. 42-43; E. Occhiena, M.G. Imarisio, D. Surace, Moncalieri riflessa tra permanenze, documenti e memoria, Moncalieri 1999, pp. 126-128.
Massimiliano Caldera
Benvenuto Tisi detto il Garofalo Ferrara (?), 1481 - 1559
Disputa di Gesù al Tempio / The dispute in the Temple, Inv. 196 Olio su tavola / Oil on panel, 72 x 56 cm Il dipinto è ormai concordemente attribuito a Garofalo: con i Santi Antonio da Padova, Antonio Abate e Cecilia del 1523, ora nella Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma, la tavola è un esempio della vena naturalistica e classicheggiante tipica dell’artista negli anni venti del XVI secolo. L’ordinata impaginazione spaziale dell’opera, con i personaggi disposti a semicerchio attorno a Cristo, ricorda i modelli raffaelleschi della Disputa del Sacramento e della Scuola di Atene nelle Stanze Vaticane, mentre i debiti verso Giulio Romano vengono dichiarati nella ripresa della colonna tortile e nella plasticità delle figure. La Disputa, nel corso tempo assegnata anche a Raffaello ed a Ludovico Mazzolino, proviene dalla collezione del principe Eugenio di Savoia.
The work, dating from the 1520s, is similar in style to the classical and naturalistic paintings of Garofalo: the ordered spatial layout is reminiscent of Raphael’s the Dispute and the School of Athens in the Vatican Stanze, while his debt to Giulio Romano can be seen in the spiral column and the plasticity of the figures. The panel comes from Prince Eugene of Savoy’s Viennese collection.
Bibliografia A. Venturi, Quadro di Ludovico Mazzolino nella R. Galleria di Torino, in "Archivio Storico dell'Arte", III, 1890, p. 159; A.M. Fioravanti Baraldi, Benvenuto Tisi da Garofalo tra Rinascimento e Manierismo. Contributo alla catalogazione delle opere dell'artista dal 1512 al 1550, in "Atti dell'Accademia delle Scienze di Ferrara", 54, 1976-1977, pp. 75-76; A.M. Fioravanti Baraldi, Il Garofalo. Benvenuto Tisi pittore (1476 ca.-1559). Catalogo generale, Rimini 1993, p. 182.
Roberta Piccinelli
Ludovico Mazzolino Ferrara, 1480 circa - 1528 circa
Benvenuto Tisi detto il Garofalo Ferrara (?) 1481 - 1559
Madonna con il Bambino e santi / Madonna and Child with Saints, Inv. 195 Olio su tavola / Oil on panel, 109 x 93 cm L’opera è ormai stabilmente giudicata una realizzazione a due mani di Mazzolino e Garofalo: l’uno è autore della tavola, l’altro della cornice, ove si distinguono Cristo benedicente, San Benedetto e Santa Barbara. Partendo dal catalogo di Mazzolino alcuni studiosi la datano al 1514, in rapporto alla Sacra Famiglia con San Nicola da Tolentino ora presso la National Gallery di Londra, altri invece al 1524, mettendola a confronto con la Sacra Conversazione degli Uffizi. L’opera, fin dal 1525 nei beni del cardinale Ippolito d’Este, compare negli inventari seicenteschi del cardinale Ludovico Ludovisi; è entrata in Sabauda nel 1889 per acquisto dalla collezione Pericoli a Roma.
The painting’s attributed to Mazzolino and Garofalo jointly. Dating is still a problem, with both 1514 and 1524 being proposed. The sober and austere architecture highlights the vivid figures in the scene painted by Mazzolino, framed by paintings of Christ with Saints Benedict and Barbara by Garofalo. It's been acquired by the Gallery in 1889 from the Pericoli collection in Rome.
Bibliografia A. Venturi, Ludovico Mazzolino, in “Archivio Storico dell’Arte”, III, 1890, p. 464; R. Longhi, Officina ferrarese [1934], in Opere complete. V. Officina ferrarese, Firenze 1956, p. 118; S. Zamboni, Ludovico Mazzolino, Milano 1968, pp. 16, 48, 56; S. Zamboni, Ludovico Mazzolino: una primizia ed altri inediti, in “Prospettiva”, 15, 1978, pp. 59, 62.
Roberta Piccinelli
Pietro Grammorseo Mons (?), noto dal 1521 al 1531
Battesimo di Cristo / The Baptism of Christ, Inv. 1080 Tempera mista su tavola / Tempera and oil on panel, 177 x 79 cm Il dipinto, firmato e datato, costituiva lo scomparto centrale del polittico ordinato nel 1523 da Margherita Guiscardi per il proprio altare nella chiesa francescana di Casale Monferrato. In origine lo completavano altri scomparti: nel registro principale, ai lati dello stesso Battesimo, si trovavano i Santi Barbara e Antonio Abate – attualmente disperso – ed i Santi Antonio da Padova e Defendente, anch’esso in Sabauda; nel secondo registro la Crocifissione, Dio Padre, i Santi Vincenzo e Margherita ed i Santi Giacomo ed Eusebio, tutti irreperibili. L'artista fiammingo, approdato a Casale, dove s’imparentò con gli Spanzotti, fu coinvolto nelle novità settentrionali e lombarde del primo XVI secolo, come dimostra la sua eccentrica rilettura della Vergine delle Rocce di Leonardo. Il Battesimo è stato acquistato nel 1986 dalla Cassa di Risparmio di Torino.
The panel was at the centre of an altarpiece commissioned in 1523 by Margherita Guiscardi for the family altar in the church of San Francesco in Casale Monferrato. Before it was dismantled it also contained a panel with Saint Anthony of Padua and Defendente, also in the museum. Pietro Grammorseo, a native of Flanders, moved to Casale in 1521, marrying into the Spanzotti family. His figurative style shows both the influence of northern culture and an original interpretation of the Milanese paintings of Leonardo.
Bibliografia G. Romano, Casalesi del Cinquecento. L’avvento del manierismo in una città padana, Torino 1970, pp. 26-28; G. Romano, Un ‘Battesimo di Cristo’ di Pietro Grammorseo, in “Bollettino d’Arte”, 43, 1987, pp. 109-116; S. Baiocco, Grammorseo, Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, 58, Roma 2002, p. 411.
Massimiliano Caldera
Giovanni Gerolamo Savoldo Brescia, 1480/1485 - dopo il 1548
Madonna in adorazione del Bambino con i Santi Gerolamo e Francesco d’Assisi / The Virgin and Saints Jerome and Francis of Assisi adoring the Child, Inv. 453 Olio su tela / Oil on canvas, 90 x 137 cm Ormai ascritto al catalogo di Savoldo, il dipinto mostra echi della sensibilità nordica e leonardesca dell’autore nella resa azzurrognola del paesaggio, della componente lombarda nel naturalismo delle figure maschili e la condivisione di suggestioni venete analoghe a quelle di Lorenzo Lotto. L’opera è da fissarsi negli anni venti del XVI secolo, in prossimità della pala di Pesaro oggi a Brera, realizzata tra il 1524 ed il 1525, e prima della Madonna con il Bambino e due committenti nelle Collezioni Reali di Hampton Court: quest’ultima, datata 1527, ne costituisce infatti una variante. Il dipinto proviene dalle collezioni di Carlo Felice, dov’era attribuito a Pordernone.
In this painting Savoldo blends the Flemish tradition with echoes of Leonardo and Venetian painters. A later replica can be found today in the British Royal Collection at Hampton Court, which is dated 1527. The canvas comes from the royal collections of Charles Felix.
Bibliografia O. Mündler, in J. Burkhardt, Der Cicerone, a cura di O. Mündler, Lipsia 1869, p. 995; F. Lechi, G. Panazza, scheda in La pittura bresciana del Rinascimento, catalogo della mostra (Brescia), a cura di F. Lechi, Bergamo 1939, p. 317; C.E. Gilbert, The Works of Girolamo Savoldo, New York 1955, pp. 71, 173-174, 188; A. Boschetto, Giovan Gerolamo Savoldo, Milano 1963, tav. 61; C.E. Gilbert, scheda in The Genius of Venice 1500-1600, catalogo della mostra, a cura di J. Martineau, C. Hope, Londra 1983, pp. 204-205; F. Frangi, Savoldo. Catalogo completo dei dipinti, Firenze 1992, pp. 67-69.
Chiara Accornero
Maestro delle Mezze Figure Femminili Anversa (?), attivo dal 1520 al 1540 circa
Crocifissione / The Crucifixion, Inv. 315 Olio su tavola / Oil on panel, 103 x 28 cm; 103 x 64 cm; 103 x 28 cm Basandosi sulle acconciature e gli abiti delle figure femminili, Alessandro Baudi di Vesme attribuì quest'enigmatica tavola al cosiddetto Maestro delle Mezze Figure Femminili: attualmente con questa sigla si intende in realtà un gruppo di pittori attivi tra il 1520 e il 1540 nelle Fiandre, probabilmente ad Anversa. I forti influssi rinascimentali sembrano derivare principalmente da Jan Gossaert, citato almeno due volte da questi maestri sconosciuti. Si suppone che tali artisti possano essersi formati nella bottega di Joachim Patinier, i cui paesaggi esercitarono sul loro linguaggio una certa influenza. Il trittico è citato per la prima volta nel 1851, quando già si trovava in Sabauda: lo stendardo del Sacro Romano Impero può suggerire una provenienza o una committenza tedesche.
The triptych has been attributed to the conventional name of ‘The Master of Female Half–Lengths’. Today scholars believe that this conventional name covers the products of a group of still anonymous painters, who were active in the second quarter of the sixteenth century in Antwerp or in the whole Flanders: it is in the Renaissance style of Gossaert and reminiscent of Joachim Patinier as regards the landscape. It’s first mentioned in the Gallery collections in 1851.
Bibliografia E. Konowitz, The Master of the Female Half-Lengths Group, eclecticism, novelty, in “Oud Holland”, 113, 1999, pp. 1-12; Repertory of Dutch and Flemish paintings in Italian public collections. Piedmont and Valle d’Aosta, a cura di B. Meijer, Firenze 2010, II, p. 75.
Erlend de Groot
Polidoro Caldara detto Polidoro da Caravaggio Caravaggio, Bergamo, 1499 circa - Messina, 1543 circa
Sant’Alberto Carmelitano / Saint Albert the Carmelite, Inv. 991 Tempera su tavola trasportata su tela / Tempera on panel transferred to canvas, 168,5 x 105,5 cm La tavola è stata da tempo riconosciuta a Polidoro e identificata come uno dei laterali di un polittico per la chiesa del Carmine a Messina, smembrato dopo il terremoto del 1783. Insieme a un Sant’Angelo Carmelitano oggi in collezione privata, essa affiancava un perduto scomparto centrale raffigurante la Trasfigurazione. Visione prepotente, dal marcato scarto proporzionale fra il gigantismo del santo che calpesta la Lussuria, innalzandosi come un Jin arabo sull’avampiano nel frastaglio di luce bianca del cartiglio e lo sfondo ruinista in lontananza, l’opera si data ai primi anni trenta del Cinquecento. Il dipinto fu acquistato dallo Stato nel 1957 come opera di Tanzio da Varallo e poi trasportato su tela per ragioni di conservazione.
The work was originally part of a polyptych for the Carmelite church in Messina, dismantled after the 1783 earthquake. It’s a painting of great impact and naturalism, dating from the early 1530s. It was bought in 1957 and transferred to canvas.
Bibliografia P. Pouncey, J.A. Gere, Italian drawings in the Department of Prints and Drawings in the British Museum. Raphael and his circle, Londra 1962, I, p. 116; A. Marabottini, Polidoro da Caravaggio, Roma 1969, I, pp. 192-199, 247, 277, 328; P.L. de Castris, scheda in Polidoro da Caravaggio fra Napoli e Messina, catalogo della mostra (Napoli), a cura di P.L. de Castris, Milano-Roma 1988, p. 108; P.L. de Castris, Polidoro da Caravaggio. L’opera completa, Napoli 2001, pp. 356-372.
Rodolfo Maffeis
Gaudenzio Ferrari Valduggia, Vercelli, 1475 circa - Milano, 1546
Madonna in trono con il Bambino, i Santi Bobone ed Eligio vescovo ed un angelo musicante / Madonna and Child Enthroned with an Angel Musician between Saints Bobone and Eligius, Inv. 49 Olio su tavola / Oil on panel, 198 x 224 cm La pala si trovava sull’altare della confraternita degli Scalchi, intitolata ai Santi Eligio e Bobone, nella demolita chiesa di Santa Maria di Piazza a Casale Monferrato. Fu eseguita entro il 1534, quando Francesco Spanzotti s’impegnò a dipingere o a far dipingere la predella. La bella invenzione del Bambino che sfugge all’abbraccio di Maria fu più volte replicata nell'entourage gaudenziano. Negli anni trenta il pittore stava attendendo con aiuti a importanti commissioni, come gli affreschi della chiesa di San Cristoforo a Vercelli, databili fra il 1532 ed il 1534. La serena eleganza compositiva e l'effusione sentimentale di cui Gaudenzio dà prova in questa tavola saranno per tutto il XVI secolo un punto di riferimento per gli artisti locali, soprattutto per il giovane Moncalvo. Il dipinto è entrato in Sabauda per acquisto nel 1870.
The altarpiece was completed in 1534 for the altar of the Confraternity of Saints Eligius and Bobone in the church of Santa Maria di Piazza in Casale Monferrato: the work, painted at the same time as the frescoes in the church of San Cristoforo in Vercelli, belongs to the painter’s mature phase and became an important model for local painters of the sixteenth century. It’s been purchased in 1870.
Bibliografia G. Romano, Casalesi del Cinquecento. L’avvento del manierismo in una città padana, Torino 1970, pp. 83-84; P. Manchinu, scheda in Il portale di Santa Maria di Piazza a Casale Monferrato e la scultura del Rinascimento tra Piemonte e Lombardia, catalogo della mostra (Casale Monferrato), a cura di G. Agosti, J. Stoppa, M. Tanzi, Milano 2009, pp. 107-109.
Massimiliano Caldera
Luca Cambiaso Moneglia, Genova, 1527 - El Escorial, 1585
Adorazione dei Magi / The Adoration of the Magi, Inv. 384 Olio su tavola trasportato su tela / Oil on panel transferred to canvas, 225 x 160 cm L’opera è considerata un lavoro fondamentale per delineare l’attività giovanile del pittore: essa è databile sul 1548-1550 ed è quindi da accostare alla Resurrezione della chiesa dei Santi Giacomo e Filippo a Taggia e agli affreschi del palazzo di Antonio Doria a Genova. La rappresentazione è ancora caratterizzata dal gigantismo delle forme e dalla ricerca di un maggiore bilanciamento compositivo, raggiunto solo nei primi anni cinquanta. La profondità dello spazio risulta contrassegnata dai movimenti delle figure rese con accentuati effetti chiaroscurali. Nel dipinto, che denota nessi con la coeva produzione di Pellegrino Tibaldi, sono evidenti influssi michelangioleschi e beccafumiani. Essa proviene dalle collezioni Durazzo di Genova, dov’era giunta probabilmente nel corso del XVIII secolo.
The work is unanimously regarded by critics as an important early work from the years 1548–1550. The painting, as with the parallel works by Pellegrino Tibaldi, shows obvious influences from Michelangelo and Beccafumi. The painting comes from the Durazzo collection in Genoa.
Bibliografia A. Griseri, Una traccia per il Cambiaso, in “Paragone”, 75, 1956, pp. 18-29; B. Suida Manning, W. Suida, Luca Cambiaso. La vita e le opere, Milano 1958, p. 149; L. Magnani, Luca Cambiaso da Genova all’Escorial, Genova 1995, pp. 35-36, 44; P. Astrua, La quadreria del Palazzo Durazzo di Genova e la Reale Galleria di Torino durante la Restaurazione, in Da Tintoretto a Rubens: capolavori della collezione Durazzo, catalogo della mostra (Genova), a cura di L. Leoncini, Milano 2004, pp. 81, 83; L. Magnani, scheda in Luca Cambiaso un maestro del Cinquecento europeo, catalogo della mostra (Genova), a cura di L. Magnani, Cinisello Balsamo 2007, pp. 214-215.
Giorgio Careddu
Agnolo di Cosimo detto il Bronzino Firenze, 1503 - 1572
Ritratto di gentildonna / Portrait of a Lady, Inv. 262 Olio su tavola / Oil on panel, 109 x 85 cm L’opera, databile al 1550-1555, si colloca nella vasta produzione ritrattistica del Bronzino, particolarmente intensa anche dopo il soggiorno romano e sviluppata sulla scorta degli esempi di Andrea del Sarto e del Pontormo. L’effigiata, già ritenuta Eleonora di Toledo, è stata recentemente identificata in Cassandra Bandini, moglie del banchiere fiorentino Pierantonio, a sua volta riconosciuto nel Ritratto di uomo ora nella National Gallery di Ottawa. I suntuosi panneggi, resi in modo dettagliatamente realistico, sarebbero da mettere in relazione con la famiglia dell’effigiata, il cui zio e nonno materni erano appunto mercanti di sete. Il dipinto proviene dalla collezione Durazzo di Genova, acquistata da Carlo Felice nel 1824.
The work, dating from the years 1550-1555, was part of the Durazzo collection, purchased by Charles Felix in 1824. The portrait, once believed to be of Eleonora of Toledo, was recently identified as Cassandra Bandini, wife of the famous Florentine banker Pierantonio.
Bibliografia R. Longhi, Un ‘San Tomaso’ del Velasquez e le congiunture italo-spagnole tra il Cinque e il Seicento [1927], in Opere complete. II. Saggi e ricerche 1925-1928, Firenze 1967, p. 119; A. Emiliani, Il Bronzino, Busto Arsizio 1960, tav. 74-75; M. Brock, Bronzino, Parigi 2002, pp. 84-87; C. Johnston, scheda in Leonardo da Vinci, Michelangelo and the Renaissance in Florence, a cura di D. Franklin, catalogo della mostra, Ottawa 2005, pp. 244-247; C. Johnston, scheda in Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici, a cura di C. Falciani, A. Natali, catalogo della mostra, Firenze 2010, p. 270.
Giorgio Careddu
Daniele Ricciarelli detto Daniele da Volterra Volterra, 1509 circa - Roma, 1566
San Giovanni Battista decollato / Saint John the Baptist beheaded, Inv. 260 Tempera grassa su tavola / Tempera and oil on panel, 177 x 141 cm Con un'impaginazione di grande impatto visivo, il dipinto rappresenta il corpo del Battista riverso a terra, mentre l'aguzzino sta per raccogliere la testa decollata che poserà sul vassoio di Salomè. L'opera è forse da identificarsi con la pala per l'altare dell'oratorio di San Giovanni Decollato a Roma, commissionata a Ricciarelli nel 1551. L'intensa articolazione plastica e la monumentale resa anatomica, insieme alla forte tensione emotiva e religiosa, sono tratti propri del linguaggio di Daniele da Volterra, fra i più stretti seguaci di Michelangelo, oltre che suo amico affezionato. Daniele reinterpreta il plasticismo del Buonarroti in termini personali, con suggestioni derivate da primi manieristi fiorentini quali Rosso Fiorentino e Pontormo e vivaci interessi luministici. Menzionato da Giovanni Cinelli nel 1677 in Palazzo Niccolini a Firenze, il quadro venne comprato nel 1840 da Ettore Garriod.
The work could be identified as belonging to the altarpiece in the oratory of San Giovanni Decollato in Rome, commissioned to Daniele da Volterra in 1551. Mentioned by Giovanni Cinelli in 1677 in Palazzo Niccolini in Florence, the painting was purchased in 1840 from Baron Ettore Garriod.
Bibliografia H. Voss, Die Malerei der Spätrenaissance in Rom und Florenz, Berlino 1920, p. 130; Fointainebleu e la Maniera italiana, catalogo della mostra, a cura di F. Bologna, R. Causa, Napoli 1952, pp. 38, 39; F. Sricchia Santoro, Per Daniele da Volterra, in “Paragone”, 18, 1967, 213, pp. 24, 25; R.P. Ciardi, B. Moreschini, Daniele Ricciarelli. Da Volterra a Roma, Milano 2004, pp. 230-232; V. Romani, Daniele da Volterra amico di Michelangelo, in Daniele da Volterra amico di Michelangelo, catalogo della mostra, a cura di V. Romani, Firenze 2003, pp. 46-47, 54.
Elena Capretti
Paolo Caliari detto il Veronese e bottega Verona, 1528 - Venezia, 1588
Cena in casa di Simone Fariseo / The Feast in the House of Simon the Pharisee, Inv. 452 Olio su tela / Oil on canvas, 411,6 x 474,5 cm La tela fu realizzata tra il 1555 e 1556 per il refettorio del monastero dei Santi Nazaro e Celso a Verona, dov'era inserita in un complesso apparato decorativo, probabilmente ad affresco. Il dipinto, che inaugurò la celeberrima serie delle Cene, costituisce uno dei vertici della produzione giovanile di Veronese, al tempo impegnato a muovere i suoi primi passi sulla scena veneziana con la decorazione del soffitto della sacrestia e della navata di San Sebastiano. Venduta per una cifra elevatissima alla metà del Seicento a Giovanni Filippo Spinola, l’opera fu portata a Genova con l’impegno di fare eseguire una copia destinata a sostituire l’originale. Documentata nella collezione Durazzo dal 1739, fu acquistata da Carlo Felice nel 1824 e raggiunse Torino nel 1837, nonostante le opposizioni dei genovesi.
The painting was made between 1555 and 1556 for the monastery of Saints Nazarius and Celsus in Verona. It is a fine example of the early work of the painter and was the first in a series of spectacular portrayals of evangelical feasts. Bought by Giovanni Filippo Spinola and then belonging to the Durazzo family in Genoa, it was purchased in 1824 by Chatles Felix and taken to Turin by Carlo Alberto in 1837.
Bibliografia T. Pignatti, F. Pedrocco, Veronese, Milano 1995, I, p. 136; L. Leoncini, Una ‘Cena in casa di Simone’: l’originale di Paolo Caliari, la copia genovese di David Corte: storia di un quadro e delle sue repliche, in Palazzo Reale di Genova: studi e restauri 1993-94, Genova 1997, pp. 125-146; C. Bertolotto, P. Boccardo, scheda in L’età di Rubens. Dimore, committenti e collezioni genovesi, catalogo della mostra (Genova), a cura di P. Boccardo, Milano 2004, pp. 472-474.
Chiara Accornero
Bernardino Lanino Mortara o Vercelli (?), noto dal 1528 al 1581
Compianto sul Cristo morto / The Lamentation over the Dead Christ, Inv. 42 Olio su tavola / Oil on panel, 197 x 143 cm Il dipinto, firmato e datato 1558, si trovava in origine sull’altare dei Pecchio nella chiesa di San Lorenzo a Vercelli. La composizione innesta e rielabora due differenti modelli di Gaudenzio Ferrari: l’uno è il cartone con la Pietà dell’Accademia Albertina di Torino, tradotto in pittura nella tavola oggi allo Szépművészeti Múzeum di Budapest; l’altro è il Compianto, anch’esso oggi in Sabauda. Il soggetto, già affrontato da Lanino nella tavola del 1547 per la chiesa di San Giuliano a Vercelli, fu particolarmente frequentato dal pittore, che ne ripropose più redazioni. Nel 1658 il Compianto fu trasportato a Torino per ordine di Carlo Emanuele II e installato in Palazzo Ducale.
The painting, signed and dated 1558, was originally on the Pecchio altar in the church of San Lorenzo in Vercelli. This grandiose composition elaborates on two different paintings from Gaudenzio Ferrari late period, the cartoon with the Pietà in the Accademia Albertina in Turin and the famous Lamentation of Christ, also in the Sabauda. In 1658 it was moved to Turin by order of Charles Emmanuel II and became part of the ducal collections.
Bibliografia G. Galante Garrone, scheda in Opere d’arte a Vercelli e nella sua Provincia. Recuperi e restauri, 1968-1976, catalogo della mostra, a cura di F. Mazzini con G. Romano, Vercelli 1976, pp. 27-30; C. Mossetti, G. Romano, schede in Bernardino Lanino, catalogo della mostra (Vercelli), a cura di P. Astrua, G. Romano, Milano 1985, pp. 78-82; A. Quazza, Repertorio delle opere di Bernardino Lanino, in Bernardino Lanino e il Cinquecento a Vercelli, a cura di G. Romano, Torino 1986, p. 266; P. Manchinu, Vicende, temi e figure delle botteghe gaudenziane a Vercelli: le chiese degli ordini mendicanti e la committenza locale, in Arti figurative a Biella e a Vercelli. Il Cinquecento, a cura di V. Natale, Candelo 2003, p. 135.
Massimiliano Caldera
Bartholomeus Spranger Anversa, 1546 - Praga, 1611
Giudizio Universale / The Last Judgement, Inv. 6 Olio su rame / Oil on copper, 116 x 148 cm Il Giudizio Universale di Spranger è la rielaborazione di un piccolo trittico del Beato Angelico, attualmente agli Staatliche Museen di Berlino. Il dipinto fu realizzato intorno al 1570-1571 per papa Pio V, all'epoca proprietario anche dell'originale angelichiano, e collocato nel convento domenicano di Bosco Marengo. Spranger, secondo Carel van Mander, appena ebbe preso servizio presso il papa “dipinse, su una lastra di rame, un Giudizio universale grande sei piedi, assai ricco di detagli e con oltre cinquecento volti raffigurati; questo lavoro è tuttora conservato nel monastero denominato Il Bosco, tra Pavia e Alessandria, sul sepolcro di Pio V, e venne realizzato in quattordici mesi”. L'opera dovette chiaramente essere un saggio del talento e dell'abilità del giovane artista, che non si limitò a seguire pedissequamente l'antico modello ma apportò diversi cambiamenti.
The work is a revised version of a small triptych by Fra' Angelico now in Berlin’s Staatliche Museen; it was painted around 1570-1571 for Pope Pius V, who already owned Angelico’s painting, and placed in the Dominican convent of Bosco Marengo: the many differences to the original reveal the young painter’s independence and originality.
Bibliografia K. van Mander, Het Schilderboeck [1604], a cura di R. de Mambro Santos, Roma 2000, p. 295; K. Oberhuber, Die stilistische Entwicklung im Werk Bartholomäus Spranger, Diss., Vienna 1958, pp. 230-231; M. Henning, Die Tafelbilder Bartholomäus Sprangers (1546-1611). Höfische Malerei zwischen “Manierismus” und “Barock”, Essen 1987, pp. 18-20; Repertory of Dutch and Flemish paintings in Italian public collections. Piedmont and Valle d’Aosta, a cura di B. Meijer, Firenze 2010, I, p. 229.
Erlend de Groot
Bartolomeo Passerotti Bologna, 1529 - 1592
Perseo libera Andromeda / Perseus and Andromeda, Inv. 254 Olio su tela / Oil on canvas, 210 x 174 cm Il dipinto, restituito di recente al pittore bolognese da Daniele Benati, è collocabile fra il 1572 ed il 1575. Esso presenta debiti iconografici e descrittivi con l’opera di soggetto analogo dipinta nel 1570 da Giorgio Vasari per lo studiolo di Francesco I de' Medici in Palazzo Vecchio a Firenze. Il brano di natura morta sulla destra della tela contribuisce a mettere in risalto gli interessi scientifici di Passerotti, che appartengono alla temperie culturale naturalistica bolognese di Ulisse Aldrovandi. In primo piano, tra fiori, erbe, foglie lanceolate e conchiglie scaturisce un drago in forma di pescecane, di cui è comparso in asta a Londra nel 1978 un interessante disegno preparatorio. Il Perseo è entrato in Sabauda nel 1842 per acquisto.
The painting, dating from around 1572 to 1575, is indebted to the Perseus and Andromeda painted by Vasari in 1570 for the studiolo of Francis I de’ Medici in the Palazzo Vecchio in Florence. The still life on the right also highlights the scientific interests of Passerotti, influenced by the cultural climate established by the Bolognese naturalist Ulisse Aldrovandi. It’s been acquired by the museum in 1842.
Bibliografia H. Bodmer, Il Correggio e gli emiliani, Novara 1943, p. XLII, tav. 112; D. Benati, Una “Lucrezia” e altre proposte per Bartolomeo Passerotti, in “Paragone”, 32, 1981, 379, pp. 27, 30; A. Ghirardi, Bartolomeo Passerotti, in Pittura bolognese del ‘500, a cura di V. Fortunati, Bologna 1986, p. 546; C. Höper, Bartolomeo Passerotti, Worms 1987, II, p. 157; A. Lugli, Il laboratorio di Ulisse Aldrovandi: iconografia e cultura antiquaria, in Palazzo Poggi, a cura di A. Ottani Cavina, Bologna 1988, p. 164; A. Ghirardi, Bartolomeo Passerotti pittore (1529-1592). Catalogo generale, Rimini 1990, pp. 175-176.
Roberta Piccinelli
Scultore attivo in Piemonte
Busto di Emanuele Filiberto / Bust of Emmanuel Philibert, Inv. Sculture 19 Marmo / Marble, 72 x 55 x 23 cm L’opera, che rivela uno spiccato gusto francese, è parte di un insieme di busti: oggi divisi fra la Galleria Sabauda e i Musei Civici di Torino, essi raffigurano la duchessa Margherita di Valois, il duca Emanuele Filiberto ed il duca Carlo Emanuele fanciullo. La vicenda attributiva si presenta particolarmente complessa. Smentita o comunque messa in forte dubbio per vari motivi la tradizionale assegnazione a Leone Leoni, si è avanzato anche il nome del pittore di corte sabaudo Alessandro Ardente, la cui attività scultorea, per quanto attestata dalle fonti, rimane ancora misteriosa. Il busto reca il collare dell’Annunziata, conferito al duca nel 1568, ma non ancora il collare dei Santi Maurizio e Lazzaro, conferitogli nel 1573: l’esecuzione dovrebbe cadere perciò fra questi due termini cronologici.
The work is part of a set of marble busts now in the Galleria Sabauda and Turin’s Musei Civici. They represent the Duchess Margaret of Valois, Duke Emmanuel Philibert and Charles Emmanuel I as a boy. Emanuel Philibert is here shown in a cuirass, with sleeves of mail, gorget and ruff collar. The bust bears the insignia of the Holy Annunciation, awarded to Duke in 1568, but not the insignia of Saints Maurice and Lazarus, conferred on him in 1573: the bust must therefore have been made some time between these two dates.
Bibliografia A. Angelucci, Arte e artisti in Piemonte (documenti inediti e note), in “Atti della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti”, II, 1878, pp. 63-64; L. Planischig, Italienische Renaissance – Plastiken aus der Sammlung Foulc, Parigi 1929, p. 215; L. Mallè, Le sculture del Museo d’Arte Antica, Torino 1965, pp. 206-208; A.M. Bava, Antichi e moderni: la collezione di sculture, in Le collezioni di Carlo Emanuele I di Savoia, a cura di G. Romano, Torino 1995, pp. 150-154.
Walter Canavesio
Scultore attivo in Piemonte
Busto di Margherita di Valois / Bust of Margaret of Valois, Inv. Sculture 18 Marmo / Marble, 72 x 52 x 23 cm L’opera appartiene a un insieme di busti in marmo oggi divisi tra la Galleria Sabauda e i Musei Civici di Torino, che raffigurano appunto la duchessa, il marito Emanuele Filiberto e il figlio Carlo Emanuele. Smentita o comunque posta in serio dubbio la tradizionale attribuzione a Leone Leoni, per l’autore si è avanzato anche il nome del pittore di corte sabaudo Alessandro Ardente: l’attività di Ardente come scultore, sebbene attestata dalle fonti, è tuttavia ancora avvolta dal mistero. Il busto va datato poco prima del 1574, anno di morte della duchessa, figlia di Francesco I e sorella minore del re di Francia, Enrico II. La tradizione ottocentesca colloca l’intera serie dei busti nella Grande Galleria del Palazzo Ducale, distrutta da un incendio.
The work is one of the marble busts now in the Galleria Sabauda and Turin’s Musei Civici. They portray the same Duchess Margaret of Valois, Duke Emanuel Philibert and Charles Emmanuel I as a boy. The bust must be dated shortly before 1574, the year of the Duchess’ death. Marguerite de Valois (1523–1574) was the daughter of Francis I and sister of King Henry II of France.
Bibliografia A. Angelucci, Arte e artisti in Piemonte (documenti inediti e note), in “Atti della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti”, II, 1878, pp. 63-64; L. Planischig, Italienische Renaissance – Plastiken aus der Sammlung Foulc, Parigi 1929, p. 215; L. Mallè, Le sculture del Museo d’Arte Antica, Torino 1965, pp. 206-208; A.M. Bava, Antichi e moderni: la collezione di sculture, in Le collezioni di Carlo Emanuele I di Savoia, a cura di G. Romano, Torino 1995, pp. 150-154.
Walter Canavesio
Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone Morazzone, Varese, 1573 - Piacenza (?), 1626
Allegoria della provincia di Susa / Allegory of the Province of Susa, Inv. 738 Olio su tela / Oil on canvas, 345 x 190 cm Il dipinto e l’Allegoria della provincia di Saluzzo di Giovan Battista della Rovere detto il Fiamminghino – anch’essa in Sabauda – sono le uniche tele superstiti di un ciclo di sedici con le personificazioni delle terre del dominio sabaudo: esse furono commissionate dal duca Carlo Emanuele I ai maggiori artisti lombardi per l’arredo parietale del salone del Castello di Torino (oggi Palazzo Madama). La loro esecuzione deve fissarsi tra il 1608 – allorché le Province furono ricordate nella descrizione degli apparati festivi per le duplici nozze delle principesse sabaude Margherita e Isabella con i duchi di Mantova e di Modena – ed il 1620, in occasione del matrimonio tra Cristina di Francia e Vittorio Amedeo I.
The work was part of a series of large paintings commissioned by Duke Charles Emmanuel I to the best Lombard artists of the time to decorate the walls of the hall of Turin's Castle (now Palazzo Madama); it was painted as early as 1608 or, at the latest, 1620.
Bibliografia M. Gregori, Il Morazzone, catalogo della mostra (Varese), Milano 1962, pp. 101-102; G. Romano, Artisti alla corte di Carlo Emanuele I: la costruzione di una nuova tradizione figurativa, in Le collezioni di Carlo Emanuele I di Savoia, a cura di G. Romano, Torino 1995, p. 27; C.E. Spantigati, scheda in Maestri lombardi in Piemonte nel primo Seicento, catalogo della mostra, a cura di A.M. Bava, C.E. Spantigati, Torino 2003, pp. 76-77; J. Stoppa, Il Morazzone, Milano 2003, pp. 189-190.
Anna Maria Bava
Giovanni Battista Crespi detto il Cerano Romagnano Sesia, Novara, 1573 - Milano, 1632
Madonna con il Bambino, i Santi Francesco, Lorenzo e un frate / The Virgin and Child with Saints Francis, Lawrence and a friar, Inv. 159 Olio su tela / Oil on canvas, 330 x 226 cm La pala venne eseguita dal Cerano per legato di Lorenzo Giorgis, morto nel 1623, cui si deve la sistemazione dell’intera cappella intitolata a San Francesco, nella chiesa torinese di Santa Maria al Monte dei Cappuccini. Nella moderna struttura compositiva Cerano tenne conto delle sperimentazioni già messe in atto nella Madonna con il Bambino, i Santi Antonio da Padova e Siro del duomo di Pavia, realizzata dopo il 1619. La profonda densità della stesura pittorica indica tuttavia un’esecuzione più tarda, intorno allo scadere del terzo decennio del Seicento. Nelle figure della Vergine e del Bambino si distinguerebbe un intervento precoce di Melchiorre Gherardini. L’opera rimase in situ fino al 1869, quando fu ceduta dai frati alla Sabauda.
The altarpiece comes from the church of Santa Maria al Monte dei Cappuccini in Turin. It was painted by Cerano at a late stage in his career, around the end of the 1630s, at the bequest of Lorenzo Giorgis, who died in 1623. In 1869 it was sold to the Sabauda.
Bibliografia F. Bartoli, Notizia sulle pitture sculture e architetture che ornano le chiese e gli altri luoghi pubblici di tutte le più rinomate città d’Italia, I, Venezia 1776, p. 34; G. Testori, Mostra del Manierismo piemontese e lombardo del Seicento, catalogo della mostra, Torino 1955, p. 46; M. Rosci, Mostra del Cerano, catalogo della mostra, Novara 1964, p. 100; M. Rosci, Il Cerano, Milano 2000, pp. 232-233; C. Arnaldi di Balme, scheda in Maestri lombardi in Piemonte nel primo Seicento, catalogo della mostra, a cura di A.M. Bava, C.E. Spantigati, Torino 2003, pp. 80-81; M. Dell’Omo, scheda in Il Cerano 1573-1632. Protagonista del Seicento lombardo, catalogo della mostra, a cura di M. Rosci, Milano 2005, pp. 184-185.
Anna Maria Bava
Guglielmo Caccia detto il Moncalvo Montabone, Asti, 1568 - Moncalvo, Asti, 1625
Stimmate di San Francesco / Saint Francis receiving the Stigmata, Inv. 156 Olio su tela / Oil on canvas, 241 x 159 cm Il dipinto fu realizzato per l’altare dei Faussone nella chiesa francescana di San Tommaso a Torino. Nel rappresentare San Francesco svenuto sorretto dagli angeli, Moncalvo illustrò il tema delle Stimmate secondo l’iconografia post–tridentina, che privilegiava l’aspetto patetico dell’evento. Per la preziosità dei colori, l’eleganza compositiva e la raffinata riproposizione delle figure angeliche l’opera si colloca nella fase tarda della fortunata attività del pittore monferrino, poco prima della sua morte: in quel periodo Caccia si mise in luce per le influenze caravaggesche, derivate dalla conoscenza delle opere casalesi di Nicolò Musso, ed il conseguente uso di una gamma cromatica scura, con tonalità livide e cupe. La tela rimase in situ fino al 1857, quando fu venduta alla Sabauda.
The painting was originally in the Franciscan church of Saint Thomas in Turin; it dates from the late phase of the successful career of the painter piedmontese, who typically used a range of colours with darker tones. It’s been sold to the Sabauda in 1857.
Bibliografia F. Bartoli, Notizia sulle pitture sculture e architetture che ornano le chiese e gli altri luoghi pubblici di tutte le più rinomate città d’Italia, I, Venezia 1776, p. 50; G. Romano, scheda in Guglielmo Caccia detto il Moncalvo (1568-1625). Dipinti e disegni, catalogo della mostra (Casale Monferrato), a cura di G. Romano, C.E. Spantigati, Torino 1997, pp. 126-127.
Anna Maria Bava
Francesco Cairo Milano, 1607 - 1665
Orazione nell’Orto / The Agony in the Garden, Inv. 106 Olio su tela / Oil on canvas, 93,5 x 65 cm La datazione dell’opera cade poco prima del 1635, durante il soggiorno torinese di Cairo, nominato nel 1634 pittore di corte di Vittorio Amedeo I, a ridosso perciò del San Sebastiano curato da Irene di Tours. L’opera, quando messa a confronto con le redazioni giovanili del medesimo tema conservate nella Pinacoteca di Brera, nei Musei Civici di Milano e nella collezione Rosenberg a Parigi, mostra negli effetti chiaroscurali e nella resa naturalistica degli strumenti della Passione posti ai piedi di Cristo l’affievolirsi dei debiti dell’artista verso la tradizione lombarda e la sua apertura verso la cultura caravaggesca. Poco dopo l’esecuzione la tela fu inserita nel 1635 da Antonio Della Cornia nell’inventario delle collezioni sabaude, che elenca ben dodici dipinti di Cairo, quattro dei quali alla fine approdati in Galleria.
The work first appears in the inventory of the Savoy collections compiled by Antonio Della Cornia in 1635. It dates from just before that year, just after the Saint Sebastian cured by Irene now in Tours, during Cairo’s stay in Turin, as the court painter of Victor Amedeus I in 1634.
Bibliografia G. Testori, Mostra del Manierismo piemontese e lombardo del Seicento, catalogo della mostra, Torino 1955, p. 61; A. Griseri, scheda in Mostra del Barocco Piemontese, catalogo della mostra, a cura di V. Viale, Torino 1963, II, pp. 54-55; F. Frangi, Francesco Cairo, Torino 1998, pp. 55, 78, 242; E. Ragusa, scheda in Maestri lombardi in Piemonte nel primo Seicento, catalogo della mostra, a cura di A.M. Bava, C.E. Spantigati, Torino 2003, pp. 84-85; C. Goria, scheda in De Van Dyck à Bellotto. Splendeurs à la cour de Savoie, catalogo della mostra (Bruxelles), a cura di C.E. Spantigati con P. Astrua, A.M. Bava, S. Damiano, Torino 2009, p. 131.
Anna Maria Bava
Nicolò Musso Casale Monferrato, 1585/1590 - 1623/1627
Cristo che porta la croce al Calvario / Christ carrying the cross, Inv. 1086 Olio su tela / Oil on canvas, 265 x 177 cm L’opera, databile all’inizio del secondo decennio del Seicento, appartiene agli anni romani dell’itinerario artistico di Nicolò Musso, che risiedeva nell’Urbe fin dal 1607. Essa mostra un’adesione profonda ai modelli del Caravaggio maturo. Nei lineamenti del giovane raffigurato sullo sfondo a sinistra si riconoscono quelli dello stesso Musso, noti tramite l’Autoritratto nel Museo Civico di Casale Monferrato, che riprende l’espediente messo in atto da Merisi nel Martirio di San Matteo. Il dipinto si appoggia per l’impaginazione e per molti particolari alle incisioni di Dürer. Riconoscibile nell’inventario del 1638 della collezione romana del marchese Vincenzo Giustiniani, è stato donato alla Sabauda nel 1990 dalla Cassa di Risparmio di Torino.
The work belongs to the early years of the artistic career of Musso, who was already residing in the papal city in 1607. His work was greatly influenced by Caravaggio. The painting appears in the 1638 inventory of the Roman collection of Vincenzo Giustiniani; it was donated to the museum in 1990.
Bibliografia G. Romano, Nicolò Musso, Torino 1990; A.M. Bava, Nicolò Musso a Roma e a Casale Monferrato, in Percorsi caravaggeschi tra Roma e il Piemonte, a cura di G. Romano, Torino 1999, pp. 202-205; A.M. Bava, scheda in Caravaggio e i Giustiniani. Toccar con mano una collezione del Seicento, catalogo della mostra (Roma), a cura di S. Danesi Squarzina, Milano 2011, pp. 320-323.
Anna Maria Bava
Antiveduto Gramatica Roma, 1569 - 1626
Il suonatore di tiorba / The theorbo player, Inv. 93 Olio su tela / Oil on canvas, 119 x 85 cm L'opera, tolta per la prima volta al catalogo di Caravaggio da Voss – che vi ha riconosciuto un frammento di un Concerto a tre figure – è stata assegnata ad Antiveduto Gramatica da Roberto Longhi. Su questa base è stata proposta una sua possibile identificazione con il frammento della “Musica di mano di Antiveduto” citato nell’inventario della collezione romana del cardinale del Monte, redatto nel 1627. Nulla impedisce però che il dipinto fosse un soggetto autonomo, dato che esistono copie con la sola figura del suonatore. Nell’itinerario artistico di Gramatica l’opera si colloca vicino alla Santa Cecilia di Salinas in Spagna del 1611 e mostra la profonda conoscenza del pittore dello stile e dei temi cari a Merisi. La tela è entrata in Sabauda per lascito dei marchesi Falletti di Barolo nel 1864.
In Gramatica’s artistic career the painting is close to his Santa Cecilia now in Salinas, Spain, dated 1611. It shows the painter's deep understanding of the style and themes dear to Caravaggio. It’s been acquired by the Gallery in 1864, bequeathed by the Marquis Falletti di Barolo.
Bibliografia H. Voss, Caravaggios Frühzeit. Beiträge zur Kritik seiner Werke und seiner Entwicklung , in “Jahrbuch der Preussischen Kunstsammlungen”, 44, 1923, p. 79; R. Longhi, Quesiti caravaggeschi: registro dei tempi [1928], in Opere complete. IV. “Me pinxit” e Quesiti caravaggeschi, Firenze 1968, p. 139; G. Papi, Antiveduto Gramatica, Soncino 1995, p. 89; R. Randolfi, A. Triponi, Antiveduto Grammatica, in I Caravaggeschi. Percorsi e protagonisti, a cura di A. Zuccari, Milano 2010, II, pp. 442-443; G. Papi, scheda in Roma al tempo di Caravaggio 1600-1630, catalogo della mostra (Roma), a cura di R. Vodret, Milano 2011, pp. 216-217.
Anna Maria Bava
Jean Valentin o Jean de Boulogne detto Valentin de Boulogne Coulommiers, 1591 - Roma, 1632
San Gerolamo / Saint Jerome, Inv. 144 Olio su tela / Oil on canvas, 105 x 147 cm L’opera si ispira ai dipinti di analogo soggetto realizzati da Caravaggio ed ora nella Galleria Borghese di Roma e nella cattedrale della Valletta a Malta. In particolare, ne recupera il formato orizzontale, che accentua l’impatto visivo del busto ed il gesto del braccio del santo. Questa soluzione permise inoltre a Valentin di inserire una natura morta di eccellente fattura. Alcuni dettagli, come le dita tozze del santo, attestano che si tratta di un’opera giovanile, databile intorno al 1618-1622, e confermano che la Maddalena nel Musée de Beaux-Arts di Chambéry è forse la copia antica del suo pendant oggi disperso. Il dipinto, giunto probabilmente a Torino grazie ai legami stretti a Roma dal piemontese Cassiano dal Pozzo con l’ambiente francese, è segnalato nel 1635 nell’inventario della quadreria di Carlo Emanuele I.
Painted around 1618-1622 and arrived in Turin before 1635, the painting was inspired by the works on the same subject by Caravaggio: this in particularly true for the horizontal cut, which is used to highlight the saint's body. Valentin painted another version around 1625-1628.
Bibliografia R. Longhi, A propos de Valentin [1958], in Opere complete. XI. Studi caravaggeschi, Firenze 2000, II, p. 215; A. Griseri, L’autunno del Manierismo alla corte di Carlo Emanuele I e un arrivo ‘caravaggesco’, in “Paragone”, 12, 1961, 141, p. 26; Valentin et les caravagesques français, catalogo della mostra, a cura di A. Brejon de Lavergnée, J.P. Cuzin, Parigi 1974, pp. 136-138; M. Mojana, Valentin de Boulogne, Milano 1989, pp. 80-81; P. Astrua, scheda in La buona ventura di Georges de La Tour e aspetti del caravaggismo nordico in Piemonte”, catalogo della mostra (Torino), a cura di P. Astrua, A.M. Bava, C.E. Spantigati, Milano 2003, pp. 24-25.
Christian Omodeo
Antonio d’Errico detto Tanzio da Varallo Riale d’Alagna, Vercelli, 1580 circa - Varallo, 1633
I Santi Pietro e Marco / Saints Peter and Mark, Inv. 372 Olio su tela / Oil on canvas, 122 x 126 cm Il dipinto proviene dall’orfanotrofio di Santa Lucia a Novara: non è possibile accertare se sia stato commissionato fin dall’origine per questo luogo oppure vi sia giunto nel XIX secolo. La tela appartiene alla produzione matura di Tanzio, ma nella realistica espressività della scena sono ancora vive quelle reminiscenze caravaggesche apprese durante il giovanile soggiorno romano. Stilisticamente essa può accostarsi alla Visitazione di San Brizio a Vagna, databile al 1626, quando la gamma cromatica dell’artista divenne più cupa e corposa, con forti effetti chiaroscurali. Nel Museo Reale di Copenaghen si conserva un disegno preparatorio per la figura di San Marco. La tela è stata acquistata per la Sabauda nel 1946.
The canvas belongs to the painter's later period. It is stylistically akin to the Visitation in Vagna, dating from 1626, where Tanzio used a darker range of colour with strong chiaroscuro effects. It was purchased for the Gallery from the orphanage of Saint Lucia in Novara in 1946.
Bibliografia F.M. Ferro, Tanzio da Varallo. Catalogo critico dei dipinti e dei disegni, in “De Valle Siccida”, 1, 1999, pp. 109-111; F. Frangi, Itinerario di Tanzio da Varallo, in Percorsi caravaggeschi tra Roma e il Piemonte, a cura di G. Romano, Torino 1999, p. 146; P. Astrua, scheda in Tanzio da Varallo. Realismo, fervore e contemplazione in un pittore del Seicento, catalogo della mostra, a cura di M. Bona Castellotti, Milano 2000, pp. 149-152.
Anna Maria Bava
Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino Cento, 1591 - Bologna, 1666
Il figliol prodigo / The return of the prodigal son, Inv. 121 Olio su tela / Oil on canvas, 192 x 203 cm Il dipinto fu eseguito nel 1617 a Bologna per l'arcivescovo Ludovisi, insieme alla Risurrezione di Tabita ora nella Galleria Palatina di Firenze, alla Susanna e i vecchioni del Prado e al Lot e le figlie del Monastero dell’Escorial, vicino Madrid. La tela rappresenta egregiamente la prima maturità del pittore per la mirabile sintesi tra gli impianti monumentali di Ludovico Carracci e l'impetuoso colorismo di Ippolito Scarsella. A questi anni risale la fama di Guercino, che poco dopo, nel 1621, sarebbe giunto a Roma al seguito del Ludovisi, eletto papa con il nome di Gregorio XV. La tela compare nell'inventario delle collezioni sabaude fin dal 1631.
The canvas was painted in 1617 for the Archbishop of Bologna, along with three other canvases. The scholarship considers this painting to be an example of his early Bolognese phase, in which he blended the monumentality of Ludovico Carracci with Scarsellino’s use of colour.
Bibliografia G. Mancini, Considerazioni sulla pittura [1619-1621], a cura di A. Marucchi, L. Salerno, Roma 1956-1957, p. 245; G.P. Bellori, Le vite de' pittori, scultori et architetti moderni, Roma 1672, p. 30; C.C. Malvasia, Felsina Pittrice. Vite de' Pittori Bolognesi, Bologna 1678, p. 258; G. Campori, Raccolta di cataloghi ed inventari inediti, Modena 1870, p. 76; D. Mahon, Il Guercino. Dipinti, catalogo della mostra, Bologna 1968; L. Salerno, I dipinti del Guercino, Roma 1988, p. 114, n. 33; D.M. Stone, Guercino. Catalogo completo dei dipinti, Firenze 1991, p. 51; D. Mahon, Il Guercino, 1591-1666, catalogo della mostra, Bologna 1991, pp. 70-72.
Germano Boffi
Orazio Lomi detto il Gentileschi Pisa, 1563 - Londra, 1639
Annunciazione / The Annunciation, Inv. 161 Olio su tela / Oil on canvas, 289 x 198 cm L’opera fu dipinta nel 1623 a Genova e subito inviata a Carlo Emanuele I di Savoia. Come nella Visione di Santa Francesca Romana di Urbino e nella Santa Cecilia di Washington, le citazioni dalla pittura caravaggesca, tanto cara al duca – si guardi ad esempio la tenda, ripreso dalla Morte della Vergine di Merisi, ora al Louvre – si uniscono ad un colorismo brillante e prezioso. L'impianto compositivo si ispira a modelli quattrocenteschi fiorentini, in linea con l'impeccabile dottrina disegnativa della pittura rinascimentale toscana e dei precetti dell'arte controriformata. Ne esiste una versione ridotta nella chiesa di San Siro a Genova.
The work was painted in 1623 by Gentileschi in Genoa and sent to the Duke of Savoy as evidence of his artistry. The influence of Caravaggio can be seen together with a clear and refined use of colour; the layout harks back to fifteenth century Florentine paintings.
Bibliografia F. Baldinucci, Notizie de' professori del disegno da Cimabue in qua, [1681], a cura di F. Ranalli, Firenze 1975, III, pp. 711-713; R. Longhi, Gentileschi padre e figlia [1916], in Opere complete. I. Scritti giovanili 1912-1922, Firenze 1961, pp. 219-283; R. Ward Bissell, Orazio Gentileschi and the poetic tradition in caravaggesque painting, University Park 1981, pp. 139, 179; Caravaggio e i suoi. Percorsi caravaggeschi in Palazzo Barberini, catalogo della mostra (Roma), a cura di C. Strinati, R. Vodret, Napoli 1999, pp. 38-40; M. Newcome Schleier, scheda in Orazio e Artemisia Gentileschi, catalogo della mostra, a cura di K. Christiansen, J.W. Mann, Milano 2001, pp. 198-201; M. Cataldi Gallo, The Sauli collection, two unpublished letters and a portrait by Orazio Gentileshi, in “The Burlington Magazine”, CXLV, 2003, pp. 345-353.
Germano Boffi
Francesco Albani Bologna, 1578 - 1660
L'elemento dell'acqua / The element of water, Inv. 481 Olio su tela / Oil on canvas, Ø 180 cm Il tondo è il più noto della serie dei Quattro elementi, commissionata nel 1625 dal cardinale Maurizio di Savoia all’artista, il quale aveva già eseguito le celebri Storie di Venere e Diana per la villa del cardinal Scipione Borghese. Il tema di Galatea trionfante, che domina l'idilliaca composizione, è ripreso dalle Immagini di Filostrato, in linea con il gusto classicista e l'erudizione letteraria dell'aristocrazia romana del tempo. I quattro tondi, memori dell'insegnamento di Annibale Carracci, si caratterizzano per il lirismo e la preziosità pittorica tipici dell'Albani, tanto lodati dai biografi del Seicento. La serie giunse a Torino nel 1633: fu collocata prima nella Villa della Regina, per poi entrare nel 1692 nelle raccolte di Vittorio Amedeo II.
The painting’s part of the The Four Elements series, painted in 1625 for Cardinal Maurice of Savoy. The theme of Galatea, taken from the Imagines of Philostratus, is an indication of his patron’s taste for erudition. It came to Turin in 1633 and was first hung in Villa della Regina.
Bibliografia C.C. Malvasia, Felsina Pittrice. Vite de' Pittori Bolognesi, Bologna 1678, pp. 157-160; C. Volpe, Guido Reni e un'impresa per gli “Incamminati”, in "Paragone", 5, 1954, 57, pp. 3-12; C. Volpe, Francesco Albani in L'ideale classico del Seicento in Italia e la pittura di paesaggio, a cura di F. Arcangeli, Bologna 1962, n. 42; A. Griseri, scheda in Mostra del Barocco Piemontese, catalogo della mostra, a cura di V. Viale, Torino 1963, II, pp. 55-56; E. van Schaack, An unpublished letter by Francesco Albani, 1578-1660, New York 1969; D. Benati, Qualche osservazione sulla attività giovanile di Francesco Albani, in "Paragone", 32, 1981, 381, pp. 48-58; C.R. Puglisi, Francesco Albani, New Haven 1999, pp. 18-20, 146.
Gemano Boffi
Giangiacomo Sementi Bologna, 1580 - Roma, 1636
Morte di Cleopatra / The Death of Cleopatra, Inv. 117 Olio su tela / Oil on canvas, 170 x 130 cm L’opera spetta al pittore bolognese Sementi, allievo di Calvaert, Albani e Reni. Essa si colloca per stile nella fase romana del pittore, vicino alla Madonna in gloria e santi della chiesa di Sant'Agostino a Veroli del 1626 e risente della serie di personaggi femminili contornati da brani di gusto antiquariale dipinti da Reni verso il 1625-1626. Anche lo schema compositivo segue il modello reniano, per la precisione la Cleopatra apparsa sul mercato antiquario nel 1833 e successivamente passata in collezione privata a Firenze. È possibile che l’opera di Sementi appartenesse al cardinale Maurizio di Savoia, suo protettore a Roma. Nel 1734 è documentata nella raccolta del principe Eugenio di Savoia a Vienna.
It is not known whether the painting by Sementi was made for Cardinal Maurice of Savoy, the artist’s patron in Rome. The work belongs to the painter’s Roman phase (1626-1627) and is based on Reni’s Cleopatra, dated 1626-1627. The work is documented in 1734 in Prince Eugene’s collection in Vienna.
Bibliografia G. Baglione, Le vite de' pittori, scultori et architetti: dal pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a' tempi di Papa Urbano Ottavo nel 1642 [1642], Roma 1935, p. 344; C.C. Malvasia, Felsina Pittrice. Vite de' Pittori Bolognesi, Bologna 1678, p. 245; D. Ferriani, Una aggiunta a Giovan Giacomo Sementi, in “Notizie da Palazzo Albani”, 21, 1992, 2, pp. 23-26; La scuola di Guido Reni, a cura di M. Pirondini, E. Negro, Modena 1992, pp. 327-336; E. Negro, A. Cottino, Carracci e dintorni, trenta quadri per un’esposizione. Torino 1996, pp. 3-58 n. 26; S. Ebert-Schifferer, scheda in Guido Reni e l'Europa. Fama e Fortuna, catalogo della mostra (Francoforte-Bologna), a cura di S. Ebert-Schifferer, A. Emiliani, E. Schleier, Bologna 1988, p. 162; F. Giannini, Giovan Giacomo Sementi, in Il prestigio dell'arte: dipinti dal XVI al XIX secolo, a cura di D. Benati, Bologna 2009, pp. 49-52.
Germano Boffi
François du Quesnoy Bruxelles, 1597 - Livorno, 1643
Busto del cardinale Maurizio di Savoia / Bust of Cardinal Maurice of Savoy, Inv. 722 Marmo / Marble, 84,3 x 87 x 40 cm Il busto fu eseguito da François du Quesnoy nel 1635 a Roma, dove il cardinale Maurizio di Savoia (1593-1657) frequentava attivamente gli ambienti culturali della corte di papa Urbano VIII Barberini. L’opera mostra leggere varianti rispetto al modello in terracotta conservato al Museo di Roma. Altissimo esempio di effigie solenne dall’eloquenza trattenuta, è uno dei rari busti del genere certamente assegnabili all’artista fiammingo. Rispetto alla ritrattistica dal vero, in quegli anni esplorata sino a vertici assoluti da Bernini, du Quesnoy predilesse un indirizzo classicista e idealizzante ispirato all’Antico, che raggiunge il capolavoro nella Santa Susanna scolpita nel 1633 per la chiesa romana di Santa Maria di Loreto. Il busto è in Sabauda dal 1832.
The bust of Cardinal Maurice of Savoy (1593-1657) was made by François du Quesnoy in Rome in 1635. It is one of the few documented portrait busts by the Flemish sculptor, whose work was of a classical idealizing style inspired by the study of classical art.
Guido Reni Bologna, 1575 - 1642
San Giovanni Battista / Saint John the Baptist, Inv. 149 Olio su tela / Oil on canvas, 112 x 92 cm L'immagine del Battista risalta contro uno sfondo eseguito con pennellate soffici e fluide. Il dipinto, uno dei più tardi esiti della riflessione di Reni sull'ideale di bellezza classica, si colloca alla metà degli anni trenta del XVII secolo, quando il segno pittorico dell’artista si fece sfumato e meno definito: esso può dunque accostarsi per stile al San Sebastiano citato in collezione Gerini nel 1825 e poi passato sul mercato antiquario, al San Giovanni Battista a figura intera della Dulwich Gallery di Londra e a quello nella chiesa di San Salvatore a Bologna. L’opera, elencata nella collezione del principe Eugenio di Savoia e poi menzionata dal viaggiatore francese Lalande a Torino nel 1786, fu prelevata dalle truppe napoleoniche nel 1799, per poi venire definitivamente restituita alle raccolte sabaude nel 1815.
This painting is one of the best examples of the ideal of classical beauty and belongs to Reni’s later period, around 1635. It was in Eugene of Savoy’s collection in Vienna and mentioned by Lalande in 1786: taken by the French in 1799, it returned to the Savoy family in 1815.
Bibliografia J. Lalande, Voyage en Italie fait dans les années 1765 & 1766, Parigi 1786, p. 77; C. Gnudi-G.C. Cavalli, Guido Reni, Firenze 1955, tav. 159-161; L'opera completa di Guido Reni, a cura di E. Baccheschi, Milano 1971, n. 174; C. Casali Pedrielli, scheda in Guido Reni (1575-1642), catalogo della mostra, Bologna, 1988, p. 156; D.S. Pepper, Guido Reni. L'opera completa, Novara 1988, pp. 281-282.
Germano Boffi
Nicolas Poussin Les Andelys, 1594 - Roma, 1665
Santa Margherita / Saint Margaret, Inv. 115 Olio su tela / Oil on canvas, 248,5 x 152,5 cm Il dipinto, ispirato alla medievale Legenda Aurea, raffigura Santa Margherita che mette in fuga Satana sotto forma di drago. L’opera non è citata dalle fonti: l’analisi stilistica consente di datarla intorno agli anni 1636-1639 e di apprezzarne alcune raffinate soluzioni formali, come il fluente drappeggio sul corpo della santa. Si è ritenuto a lungo che Poussin realizzasse la tela per un committente piemontese: in realtà prima del 1670 essa si trovava certamente a Parigi, dove poterono copiarla vuoi Antoine Bouzonnet-Stella in un dipinto del 1667 oggi in raccolta privata, vuoi François Chauveau in un’incisione. Nel 1683 la tela fu esposta presso l’Hôtel de Sennecterre, per poi entrare nella collezione di Eugenio di Savoia a Vienna.
Made around the years 1636-1639, the painting arrived in Turin in 1741, together with the collection of Prince Eugene of Savoy. The subject is that of the Golden Legend and depicts Saint Margaret of Antioch overcoming a dragon, a satanic symbol, thanks to her cross.
Bibliografia R. Longhi, La "Santa Margherita" della Pinacoteca di Torino, in “Bulletin de la Société Poussin”, II, 1948, pp. 5-7; A. Blunt, The paintings of Nicolas Poussin. A critical catalogue, Londra 1966, n. 104; P. Rosenberg, scheda in Nicolas Poussin, catalogo della mostra, Roma 1977, pp. 171-172; J. Thuillier, Nicolas Poussin, Parigi 1994, p. 256; A. Cifani, F. Monetti, Poussin dans les collections piémontaises aux XVIIe, XVIIIe et XIXe siècles, in Poussin et Rome, atti del convegno (Roma 1994), a cura di O. Bonfait, C.L. Frommel, Parigi 1996, II, p. 761; M. Szanto, Le dessin ou la couleur? Une exposition de peinture sous le règne de Louis XIV, Ginevra 2008, pp. 108-109, 145.
Christian Omodeo
Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino Cento, 1591 - Bologna, 1666
Santa Francesca Romana / Saint Frances of Rome, Inv. 134 Olio su tela / Oil on canvas, 194 x 177 cm Benché operoso nella fase centrale e matura della carriera dalla natia Cento, ovvero in una posizione relativamente periferica, Barbieri anche grazie al ricorso ad un’ampia bottega costituì uno dei pittori più influenti del suo tempo. L’opera gli fu commissionata nel 1656 dai monaci olivetani di Bologna e l'anno dopo donata a Cristina di Francia dall'abate Orafi. Guercino qui ripropose un prototipo messo a punto molti anni prima, tra il 1637 e il 1638, nella tela di medesimo soggetto per la chiesa di Santa Maria in Organo a Verona. Il linguaggio cadenzato, austero e devoto, legato a un’originaria destinazione ecclesiastica, trasformarono ben presto l’opera della Sabauda in un modello per la pittura religiosa dei decenni successivi.
Made in 1656 in Bologna, the painting came to Savoy the following year. The work had a great influence on the religious paintings of the following decades. A prototype is the canvas on the same subject painted by Guercino in 1637- 1638 in Verona.
Bibliografia C.C. Malvasia, Felsina Pittrice. Vite de' Pittori Bolognesi, Bologna 1678, p. 270; L. Salerno, I dipinti del Guercino, Roma 1988, p. 380, n. 315; D.M. Stone, Guercino. Catalogo completo dei dipinti, Firenze 1991, p. 310; M. di Macco, scheda in La regola e la fama. San Filippo Neri e l'arte, catalogo della mostra (Roma), a cura di A. Costamagna, Milano 1995, pp. 560-565; M. di Macco, ‘Critica occhiuta’: la cultura figurativa (1630-1678), in Storia di Torino. IV. La città fra crisi e ripresa (1630-1730), a cura di G. Recuperati, Torino 2002, p. 415.
Germano Boffi
Jan Brueghel il Giovane Anversa, 1601 - 1678
Vanitas / The Vanity of Human Life, Inv. 307 Olio su tavola / Oil on panel, 64 x 106 cm Nel 1631 Jan Brueghel il Giovane offrì a Cristo Immerseel un dipinto più antico d'identico soggetto – eseguito da suo padre Jan Brueghel il Vecchio (Anversa, 1586-1625) e da Rubens – e contestualmente ne fece due copie. L’opera in questione, firmata dall’autore, potrebbe identificarsi con una delle due copie, a giudicare dalla qualità esecutiva decisamente inferiore rispetto agli standard abituali sia di Jan il Vecchio che di Rubens. La raffigurazione allude chiaramente alla Vanitas: un’immagine di Cristo, sostenuta da un putto, si trova in mezzo alle vane tentazioni terrene, nella forma di tesori, giochi, oggetti scientifici ed artistici. Dietro all’immagine una personificazione della Vanitas – o anche della Vista – sorregge una torcia, mentre un altro putto fa le bolle di sapone ed orologi segnano il trascorrere del tempo. La tavola fece il suo ingresso nelle collezioni sabaude fin dal 1631, allorché è documentata come “opera fiammenga”.
The signed panel could be one of the copies made in 1631 by Jan Brueghel the Younger of a painting made by his father Jan Brueghel the Elder (Antwerp, 1568-1625) together with Rubens. The painting, centered on the concept of Vanitas, symbolized by a putto and various objects, is documented as part of the Savoy collections as early as 1631.
Bibliografia A. Barricelli, Un’allegoria di Jan Brueghel nella Galleria Sabauda, in “Critica d’Arte”, 21, 1974, 137, pp. 63-76; Repertory of Dutch and Flemish paintings in Italian public collections. Piedmont and Valle d’Aosta, a cura di B. Meijer, Firenze 2010, I, p. 114.
Erlend de Groot
Antoon van Dyck e bottega Anversa, 1599 - Londra, 1641
Amarilli e Mirtillo / Amaryllis and Myrtillo, Inv. 348 Olio su tela / Oil on canvas, 122 x 145,5 cm Il soggetto è desunto da Il Pastor Fido del Guarini, edito nel 1585: Mirtilllo, travestito da ragazza, dopo essersi aggiudicato una gara di baci tra le ninfe è qui ritratto mentre restituisce il premio della vittoria, una ghirlanda di fiori, alla propria amante Amarilli. L'artista trattò il soggetto in tre quadri. Il più antico, eseguito intorno al 1631 per il luogotenente olandese Frederick Henry e venduto nel 1713 al principe-vescovo di Schönborn, si trova oggi allo Schloss Weissenstein di Pommersfelden. La tela in Sabauda ne è una replica in buona parte autografa: al maestro debbono ascriversi almeno le figure, contraddistinte da un’elevata tenuta qualitativa. La composizione, in particolare la ninfa distesa sulla destra, si ispira ad uno dei Baccanali di Tiziano per Alfonso d'Este, per l'esattezza quello oggi al Prado. Presso École Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Parigi se ne conserva un bozzetto ad olio. Il quadro si trova in Sabauda fin dal 1832, proveniente dalla collezione di Eugenio di Savoia.
The Flemish master painted the subject three times. The original version was painted around 1631 for the Dutch Stadtholder Frederick Henry. The high quality of the Turin version, which was bought as an original by Prince Eugen of Savoy, indicates that the master himself was partly responsible for it – at least for the figures. The subject of the painting is taken from Guarini’s Il Pastor Fido, dated 1585. Myrtillo, disguised as a girl, wins a kissing contest among nymphs, and returns the garland he has won to his lover Amaryllis who was the judge of the contest.
Bibilografia S.J. Barnes, N. de Poorter, O. Millar, H. Vey, Van Dyck. A complete catalogue of the paintings, New Haven-Londra 2004, pp. 292-294.
Erlend de Groot
Bottega di Antoon van Dyck Anversa, 1599 - Londra, 1641
San Sebastiano e l’angelo / Saint Sebastian and the Angel, Inv. 351 Olio su tela / Oil on canvas, 160 x 155 cm L'opera, da ascriversi ad uno o anche più collaboratori di van Dyck e contraddistinta da un dettato pittorico particolarmente morbido, è una bella replica da un originale del maestro fiammingo già presso l’Ermitage di San Pietroburgo e disperso durante la seconda guerra mondiale. I forti influssi italiani indicano come il prototipo fosse stato dipinto poco dopo il ritorno dell'artista dalla Penisola, in un periodo compreso tra il 1628 e il 1632. La posa di San Sebastiano sembra ispirata a modelli della scultura ellenistica, come ad esempio il Satiro ebbro della Glyptothek di Monaco. Un disegno preparatorio per la figura del santo è conservato nella Fondation Custodia di Parigi. L’ingresso della tela in Sabauda è avvenuto per acquisto nel 1851.
The painting is a workshop’s replica of a van Dycks’s painting once in Saint Petersburg’s Hermitage, which was lost in Word War II. The original dated from around 1628-1632; a preparatory drawing is preserved at the Fondation Custodia, Paris. The saint’s pose seems to be inspired by Hellenistic sculpture, such as the Drunken Satyr in Munich’s Glyptotek. The canvas’s been purchased by the Sabauda in 1851.
Bibliografia H. Vey, Die Zeichnungen Anton van Dycks, Bruxelles 1962, pp. 198-199; E. Larsen, The paintings of Anthony van Dyck, Freren 1988; S.J. Barnes, N. de Poorter, O. Millar, H. Vey, Van Dyck. A complete catalogue of the paintings, New Haven-Londra 2004, p. 287; Repertory of Dutch and Flemish paintings in Italian public collections. Piedmont and Valle d’Aosta, a cura di B. Meijer, Firenze 2010, I, p. 218.
Erlend de Groot
Antoon van Dyck Anversa, 1599 - Londra, 1641
Ritratto equestre del principe Tommaso Francesco di Savoia Carignano / Equestrian Portrait of Prince Thomas Francis of Savoy Carignan, Inv. 743 Olio su tela / Oil on canvas, 315 x 236 cm Tommaso Francesco di Savoia-Carignano (1596-1656) fu governatore provvisorio delle Fiandre nel periodo compreso tra la morte di Isabella Clara Eugenia nel 1633 e l'arrivo del cardinale Ferdinando d'Asburgo nel novembre 1634. Nel suo ritratto equestre, pagato nel gennaio 1635, è raffigurato nelle vesti di comandante delle truppe spagnole, piuttosto che in quelle di governatore. I drappeggi e l'imponente colonna sottolineano la sua potenza, mentre i cieli nuvolosi sullo sfondo potrebbero richiamare le difficoltà del suo incarico. Come Bellori avrebbe notato nel 1672, questo ritratto equestre, di per sé uno dei più famosi di ogni tempo, si ispira al Carlo V di Tiziano, oggi al Prado. Se tuttavia nel modello cinquecentesco il cavallo è ripreso al trotto, van Dyck volle raffigurarlo in atto di eseguire una figura, forse un'impennata, così da evidenziare il totale controllo che il principe aveva della situazione politica e militare.
In 1634 Thomas Francis of Savoy Carignan was for a short period the Spanish governor of Flanders, and it was on this occasion that he had an equestrian portrait painted to emphasize his role and power, highlighted by the rearing horse, the draped column and the cloudy sky in the background: the painting, for which the artist was paid in 1635, was modelled on Titian’s Charles V now at the Prado.
Bibliografia G.P. Bellori, Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni [1672], a cura di E. Borea, Torino 1976, p. 277; S.J. Barnes, N. de Poorter, O. Millar, H. Vey, Van Dyck. A complete catalogue of the paintings, New Haven-Londra 2004, pp. 347-349.
Erlend de Groot
Antoon van Dyck Anversa, 1599 - Londra, 1641
I figli di Carlo I d’Inghilterra / The three eldest children of King Charles I of England, Inv. 285 Olio su tela / Oil on canvas, 151 x 154 cm Questo ritratto del principe Carlo, della principessa Maria e del duca di York Giacomo, nati dal re d’Inghilterra Carlo I Stuard rispettivamente nel 1630, 1631 e 1633, costituisce una delle opere più famose di van Dyck. Alcune lettere nell'Archivio di Stato di Torino confermano che il quadro fu commissionato nel 1635 dalla regina Enrichetta Maria come dono alla sorella Cristina di Francia, moglie di Vittorio Amedeo I di Savoia. Il re, insoddisfatto del dipinto, richiese alcune modifiche, che tuttavia non vennero mai realizzate. Una seconda versione, eseguita nello stesso anno ed ora in Buckingham Palace a Londra, mostra Carlo vestito da adulto in giacca e pantaloni, abiti probabilmente più adeguati al suo ruolo di erede al trono e perciò maggiormente graditi al re.
The portrait depicts the children of Charles I, King of England: Prince Charles (born 1630), Princess Mary (born 1631) and James, Duke of York (born 1633). The work, one of van Dyck’s the most famous, was sent by Queen Henrietta Maria of Bourbon to her sister Christina, wife of Victor Amadeus I of Savoy. Another version, with some differences, also dated 1635, is preserved in Buckingham Palace in London.
Bibliografia Lettres de Henriette-Marie de France, Reine d’Angleterre, à sa soeur Christine Duchesse de Savoie, a cura di H. Ferrero, Torino 1881, pp. 40, 43; A. Wheelock, scheda in Van Dyck Paintings, catalogo della mostra, a cura di A. Wheelock, S.J. Barnes, J. Held et alii, Washington 1990, pp. 284-287; J. Egerton, scheda in Van Dyck. 1599-1641, catalogo della mostra (Anversa e Londra), a cura di C. Brown, H. Vileghe, Anversa 1999, pp. 295-297; S.J. Barnes, N. de Poorter, O. Millar, H. Vey, Van Dyck. A complete catalogue of the paintings, New Haven-Londra 2004, pp. 477-479.
Erlend de Groot
Pieter Paul Rubens Siegen, 1577 - Anversa, 1640
Ercole nel giardino delle Esperidi / Hercules in the garden of the Hesperides, Inv. 1059 Deianira tentata dalla Furia / Deianira tempted by the Fury, Inv. 1060 Olio su tela / Oil on canvas, 246 x 168,5 cm; 245 x 168 cm Le due tele, per quanto di medesime dimensioni, tratte entrambe dalla leggenda di Ercole e a quanto si sa mai separate, potrebbero non essere state concepite en pendant, come lascia intendere la discrasia di scala delle figure. Il modello della figura virile sembra essere l'Ercole Farnese, che Rubens utilizzò anche in altre occasioni. La pennellata estremamente vigorosa indica uno stadio avanzato nella carriera dell'artista: si riconosce infatti l'influsso dell'ultimo Tiziano, studiato dal pittore nel suo secondo viaggio alla corte spagnola nel 1628. I dipinti sono forse successivi alla committenza per la Torre de la Parada, alla quale Rubens lavorò dalla fine del 1636 fino al 1638. Documentati in collezione genovese nel 1780, sono entrati in Sabauda dopo il 1980.
The two paintings, similar in size and from the same hand, were not necessarily companion pieces: in fact, a strong discrepancy in the proportions of the two subjects is evident. Both paintings show the strong influence of the late Titian; they belong to the artist’s late period, after 1638.
Bibliografia J. Held, The Oil Sketches of Peter Paul Rubens. A Critical Catalogue, Princeton 1980, p. 323; M. Jaffé, Rubens. Catalogo completo, Milano 1989, p. 348; P. Boccardo, Un avveduto collezionista di pittura del seicento: Pietro Maria Gentile. Un inventario, un Reni inedito e alcune precisazioni su altre opere e sull’esito di una quadreria genovese, in Studi di Storia dell’Arte in onore di Denis Mahon, a cura di M.G. Bernardini, S. Danesi Squarzina, Martellago 2000, pp. 212-213.
Erlend de Groot
Rembrandt van Rijn Leida, 1606 - Amsterdam, 1669
Ritratto di vecchio dormente / Portait of old man sleeping, Inv. 41 Olio su tela / Oil on canvas, 52 x 41 cm Il dipinto, ormai stabilmente riferito a Rembrandt giovane e datato 1629, è identificato con l’opera descritta nel 1641 nel testamento dell'artista Jacques de Ghyn III. Esso spicca per la tavolozza monocroma bruna dove affiorano, quasi invisibili, alcuni particolari come le aringhe sulla parete o le pinze accanto al camino; al contrario il volto e le mani del vecchio sono intensamente illuminate. Oggi si ritiene che la posa alluda al peccato mortale dell'Accidia, come viene descritta nel Libro dei Proverbi (19:24): “Il pigro tuffa la mano nel piatto, ma stenta persino a riportarla alla bocca”. Si è ipotizzato che la tela costituisse un regalo del poeta Constantijn Huygens al suo amico benestante de Ghyn, come allusione divertita alla sua vita oziosa. Essa è stata acquistata dalla Sabauda nel 1866 con il nome di Jan Lievens.
The painting, dated 1629, has been identified in a painting mentioned in the 1641 will of the artist Jacques de Ghyn, who could have received it as a gift from his friend the poet Constantijn Hygens. The work, which plays on the contrast between the brightly lit face of the old man and the darkness of the background, dates from Rembrandt’s early period. It’s been purchased by the museum in 1866 with an attribution to Jan Lievens.
Bibliografia J. Bruyn, B. Haak, S.H. Levie, P.J.J. van Thiel, E. Van de Wetering, A corpus of Rembrandt Paintings, I, 1625-1631, L’Aia-Boston-Londra 1982, pp. 202-207; E. van de Wetering, B. Schnackenburg, The Mystery of the young Rembrandt, catalogo della mostra (Kassel-Amsterdam), Kassel-Wolfratshausen 2001; R. Van Straten, Rembrandts Leidse Tijd. 1602-1632, Leida 2005, pp. 109-110; Repertory of Dutch and Flemish paintings in Italian public collections. Piedmont and Valle d’Aosta, a cura di B. Meijer, Firenze 2010, II, p. 188.
Erlend de Groot
Pieter Saenredam Assendelft, 1597 - Haarlem, 1665
Interno della chiesa di Sant’Odulfo ad Ossendelft / Interior of Saint Adolphus church in Assendelft, Inv. 310 Olio su tavola / Oil on panel, 46 x 63 cm Pieter Saenredam, notoriamente uno specialista nel ritrarre interni di edifici ecclesiastici, si applicò in due circostanze alla chiesa di Sant’Odulfo ad Assendelft, sua città natale: la seconda di queste vedute si trova oggi nel Rijksmuseum di Amsterdam e risale al 1649. La datazione dell’opera di Torino, che reca la firma dell’artista, non è chiara: oggi pare possibile fissarne l’esecuzione agli anni quaranta, anche se alcuni critici la spostano fino al 1665. Il pastore sembra potersi identificare con un parente dell’artista stesso, Johannes Junius, che predicò nella chiesa tra il 1612 e il 1633. Esiste inoltre un disegno firmato presso il Rijksprentenkabinet di Amsterdam: il foglio, privo di figure e databile 1633, mostra anche parte del coro ed il transetto settentrionale della chiesa. Il quadro fu acquistato per le raccolte sabaude nel 1737 a Venezia.
The work is signed by Pieter Saenderam, a Dutch painter specializing in church interiors: only two of his paintings, however, depict Saint Odulphus in his hometown during a mass, one at the Rijksmuseum in Amsterdam, dated 1649. This one is based on a 1633 drawing now in Amsterdam’s Rijksprentenkabinet. It is unclear when the panel was painted: most likely in the 1640s. It became part of the Savoy collections in 1737.
Bibliografia P.T.A. Swillens, Pieter Jansz Saenredam, schilder van Haarlem, 1597-1665, Amsterdam 1935, pp. 10, 35, 50, 66-67; G. Schwarz, M.J.Bok, Pieter Saenredam. De schilder in zijn tijd, L’Aia 1989, pp. 80, 93, 98, 256-57; Repertory of Dutch and Flemish paintings in Italian public collections. Piedmont and Valle d’Aosta, a cura di B. Meijer, Firenze 2010, II, p. 209.
Erlend de Groot
Salomon Koninck Amsterdam, 1609 - 1656
Profeta o Ritratto di un rabbino / A Prophet or a Portrait of a Rabbi, Inv. 753 Olio su tela / Oil on canvas, 60 x 48 cm L'attuale attribuzione a Salomon Koninck risale al XIX secolo e sembra ormai generalmente condivisa. In passato l’opera è stata spesso riferita a Rembrandt, come dimostra fra l’altro la didascalia in calce ad una stampa di Philibert Boutrois, il quale la riprodusse fra il 1804 ed il 1814. Koninck dipinse sovente profeti, filosofi e letterati alla maniera di Rembrandt, del quale fu allievo e imitatore: non a caso, uno dei due disegni correlati – quello oggi nella Fondation Custodia a Parigi – va adesso sotto il nome di Rembrandt. Non pochi dubbi solleva l’iconografia. Poiché lo stesso modello è riconoscibile in diverse altre opere della cerchia di Rembrandt, sembra verosimile che la tela rappresenti un profeta o un altro personaggio biblico, invece del ritratto dal vero di un rabbino, come ritenuto tradizionalmente.
The painting, in the past referred to Rembrandt, is now attributed to his follower and imitator Salomon Koninck. The subject is traditionally identified with a rabbi, though he may well be a prophet or a biblical character.
Bibliografia J.W. von Moltke, Govaert Flinck. 1615-1660, Amsterdam 1965, p. 240; W. Sumowski, Drawings of the Rembrandt School, VI, New York 1982, pp. 3406, 3408; W. Sumowski, Gemälde der Rembrandt-Schüler, III, Landau-Pfalz 1986, p. 1648; Repertory of Dutch and Flemish paintings in Italian public collections, a cura di B. Meijer, Firenze 2010, I, p. 312.
Erlend de Grott
Jacob van Ruisdael Haarlem, 1628/1629 - Amsterdam, 1682
Paesaggio con pastori / Landscape with shepherds, Inv. 59 Olio su tavola / Oil on panel, 52 x 67 cm Jacob van Ruisdael al principio della carriera risentì in modo notevole dell'influsso di paesaggisti più anziani di Haarlem come Pieter de Molyn e Salomon van Ruisdael, che dipinsero vedute delle vicine dune. Quest’opera, che reca la firma dell’artista e mostra proprio un paesaggio di dune con un piccolo ruscello, pastori e viaggiatori, ne è un buon esempio: lo stile e la composizione risultano simili a lavori datati 1646 e 1647, come per esempio la tela conservata all’Ermitage di San Pietroburgo o l’altra già in raccolta privata a Duisburg. Sono caratteristici i grandi alberi posti al centro, che schermano la composizione lasciando tuttavia filtrare un poco di luce tra le foglie. Le figure erose dei pastori sulla destra sembrano essere state aggiunte in un momento successivo. Il quadro si trova in Sabauda fin dal 1832, proveniente dalla collezione di Eugenio di Savoia.
This signed painting, dating from about 1647 judging from similar works dating from 1646 to 1647, is an example of the early work of the painter, influenced by the Haarlem landscape painters Pieter de Molyn and Salomon van Ruysdael. It came to the Savoy collections from the collection of Prince Eugene of Savoy.
Bibliografia S. Slive, Jacob van Ruisdael. A complete catalogue of his paintings, drawings, and etchings, New Haven-Londra 2001, p. 436; Repertory of Dutch and Flemish paintings in Italian public collections, a cura di B. Meijer, Firenze 2010, II, p. 206.
Erlend de Grott
Paulus Potter Enkhuizen, 1625 - Amsterdam, 1654
I quattro tori / The four bulls, Inv. 57 Olio su tavola / Oil on panel, 57,5 x 67,5 cm Paulus Potter fu uno degli animalisti più famosi del Seicento olandese. Talento molto precoce, egli firmò la prima opera già a quindici anni, nel 1641. Giunto stilisticamente a maturazione alla fine degli anni quaranta, l’artista produsse quadri di bestiame per una clientela agiata a Delft, L'Aia ed Amsterdam, città dove soggiornò rispettivamente nel 1646, nel 1649-1652 ed infine nel 1652-1654. Il dipinto, firmato e datato 1649, è tipico di questo periodo maturo: gli animali risultano ripartiti in due gruppi, uniti visivamente dal movimento e dalla direzione degli sguardi; il loro aspetto imponente è accentuato dalla scelta di metterli fianco a fianco, in contrasto con la vegetazione particolareggiata in primo piano e una minuscola città in lontananza. Il quadro si trova in Sabauda fin dal 1832, proveniente dalla collezione di Eugenio di Savoia.
Potter, the best known of the seventeenth century Dutch animal painters, was active in Delft in 1646, The Hague from 1649 to 1652 and Amsterdam from 1652 to 1654. The painting, signed and dated 1649, is an example of his mature work. It came to the museum in 1832, after having been part of the collections of Prince Eugene of Savoy.
Bibliografia T. van Westrheene Wz, Paulus Potter. Sa vie et ses oeuvres, L'Aia 1867, p. 169; A. Walsh, Paulus Potter. His works and their meaning, Diss., Columbia University 1985, p. 193; Repertory of Dutch and Flemish paintings in Italian public collections, a cura di B. Meijer, Firenze 2010, II, p. 183.
Erlend de Groot
Gerard Dou Leida, 1613 - 1675
Giovane donna alla finestra con un grappolo d’uva/ Young Woman at the window with a bunch of grapes, Inv. 37 Olio su tavola / Oil on panel, 38 x 29 cm Il dipinto, firmato e datato 1662, si caratterizza per il tocco estremamente raffinato e l'impaginazione compositiva delle opere mature del maestro. La gabbia del cardellino potrebbe essere un'aggiunta successiva, come lascerebbe pensare la sua assenza in una seconda versione dell’opera, oggi in Buckingham Palace a Londra. Il gesto della ragazza che afferra delicatamente un grappolo d'uva ricorda un emblema del poeta olandese Jacob Cats: “eer is teer” – “l'onore è fragile” – allude al sottile equilibrio in amore tra il vizio e la virtù. Il dipinto potrebbe aver fatto parte della collezione de Bye, esposta nel 1665, prima di giungere in quella del principe Eugenio di Savoia.
The painting, signed and dated 1662, is a fine example of Dou's style: it may well have belonged to the de Bye collection, exhibited in 1665; later it belonged to the collection of Prince Eugene of Savoy in Vienna.
Bibliografia W. Martin, Het leven en de werken van Gerrit Dou beschouwd in verband met het schildersleven van zijn tijd, Diss., Leiden University 1901, no. 228; W. Martin, Gerard Dou. Des Meisters Gemälde, Stoccarda-Berlino 1913, ill. 110; R. Baer, The Paintings of Gerrit Dou (1613-1675), Diss., New York University 1990, n. 86; Repertory of Dutch and Flemish paintings in Italian public collections, a cura di B. Meijer, Firenze 2010, I, pp. 200-201.
Erlend de Groot
Pier Francesco Mola Coldrerio, Canton Ticino, 1612 - Roma, 1666
Paesaggio con due figure che si arrampicano / Landscape with two figures climbing, Inv. 112 Olio su tela / Oil on canvas, 110 x 148 cm L’opera non ha mai cessato di affascinare gli studiosi, vuoi per l'alta qualità, vuoi per i connessi problemi critici. Fra le attribuzioni proposte, quella a Pier Francesco Mola sembra ora la più convincente. Il vigoroso paesaggio richiama infatti opere certamente autografe del maestro svizzero, come per esempio il Mercurio e Argo di Oberlin o il Figliol prodigo di Rotterdam; l'esecuzione sembra poter essere fissata all’inizio degli anni cinquanta, una fase in cui Mola, tornato stabilmente a Roma dopo le esperienze di Venezia e Bologna, indirizzò la sua ricerca verso forme semplificate e monumentali, portando a piena maturazione il suo talento per le ambientazioni paesistiche. Quanto ai due personaggi che si arrampicano su un albero, essi sono stati talora letti come Ida e Linceo, anche se la loro identificazione definitiva rimane incerta. La tela entrò in Sabauda nel 1840.
The work poses a fascinating problem as regards the identification of both the unusual subject and the painter. As regards the latter, the most likely is Pier Francesco Mola active in the early 1650s.
Bibliografia R. Buscaroli, La pittura di paesaggio in Italia, Bologna 1935, p. 260;S. Rudolph, Pier Francesco Mola: la monografia di R. Cocke e nuovi contributi, in “Arte illustrata”, 5, 1972, p. 350; L. Salerno, Pittori di paesaggio del Seicento a Roma, Roma 1977-1980, II, p. 572.
Federico Fischetti
Filippo Lauri
Cerchia di Mario Nuzzi detto Mario de’Fiori
Roma, 1623 - 1694
Apollo insegue Dafne / Apollo and Daphne, Inv. 607 Olio su tela / Oil on canvas, 86 x 72 cm Le ghirlande floreali istoriate con scene mitologiche o religiose costituirono un fortunato ‘genere’ pittorico introdotto in Italia dal fiammingo Daniel Seghers nel terzo decennio del Seicento. L'opera – insieme al suo pendant, anch’esso in Sabauda– si colloca nel contesto di botteghe romane specializzate ed è databile al terzo quarto del secolo. L’attribuzione delle figure a Filippo Lauri è suggerita da simili prove in piccolo formato che l’artista eseguì frequentemente. Malgrado Lauri stesso – come del resto attestano le fonti – talora si facesse carico in prima persona di fiori e nature morte, è probabile che in questo caso la parte floreale spetti ad un secondo artista: la tela pare riconducibile alla cerchia di Mario Nuzzi, detto Mario de’ Fiori, con il quale Lauri fra l’altro realizzò nel 1659 la Primavera, oggi in Palazzo Chigi ad Ariccia.
The painting is believed to be the result of collaboration between the Roman artist Filippo Lauri, a prolific painter of religious and mythological scenes in small format, and an artist specialized in flower painting from the school of Mario de’ Fiori. It dates from the third quarter of the seventeenth century.
Bibliografia E. Battisti, Profilo del Gobbo dei Carracci, in “Commentari”, 5, 1954, p. 302; G. Panazza, Le opere d’arte di Torino e dintorni descritte da Francesco Paglia, in Scritti di storia dell’arte in onore di Vittorio Viale, Torino 1967, pp. 74-75.
Federico Fischetti
Gaspar van Wittel detto Gaspare Vanvitelli Amersfoort, 1647 - Roma, 1736
Il Colosseo e il Foro Romano / The Colosseum and the Roman Forum, Inv. 884 Olio su tela / Oil on canvas, 53 x 107 cm L’olandese Gaspar van Wittel, italianizzato in Vanvitelli, si stabilì a Roma intorno al 1674, dove si specializzò nel genere della veduta ‘esatta’, ovvero resa con una moderna e puntigliosa attenzione verso il dettaglio topografico. Il dipinto, firmato e datato 1711, fa parte insieme ad altri due anch’essi in Sabauda – vale a dire La darsena di Napoli ed Il Colosseo e l’arco di Costantino – di una serie documentata già nel 1754 in un gabinetto attiguo alla “camera della tavola” nel Palazzo Reale. Le esatte circostanze del suo arrivo a Torino non sono note: è possibile che la serie fosse stata acquistata a Roma da Vittorio Amedeo II per mezzo del suo corrispondente Martinotti o in alternativa di Filippo Juvarra, il quale del resto notoriamente era in rapporto con van Wittel.
The painting, signed and dated 1711, together with two other of the same author now in the Sabauda – The harbour of Naples and The Colosseum and the Arch of Constantine – is documented as being in the Royal Palace in 1754. It is not known how the three works came to Turin: they were probably purchased in Rome under the order of Victor Amadeus II.
Bibliografia C. Mossetti, Vittorio Amedeo II duca. Orientamenti artistici nella capitale sabauda, in Filippo Juvarra a Torino. Nuovi progetti per la città, a cura di A. Griseri, G. Romano, Torino 1989, p. 263; L. Laureati, scheda in G. Briganti, Gaspar van Wittel e l’origine della veduta settecentesca [1966], a cura di L. Laureati, L. Trezzani, Milano, 2002, pp. 152-153; L. Laureati, scheda in Gaspare Vanvitelli e le origini del vedutismo, catalogo della mostra (Roma-Venezia), a cura di F. Benzi, C. Strinati, Roma 2002, p. 110.
Massimiliano Caldera
Adrien Manglard Lione, 1695 - Roma, 1760
Marina al calar del sole / Marina at sunset, Inv. 339 Olio su tela / Oil on canvas, 96 x 133 cm Come attestano la firma e la data 1726, il dipinto insieme al suo pendant – vale a dire il Porto di mare – è frutto della commissione di Giovanni Battista Orengo, agente a Roma del re di Sardegna. Orengo riferì alla corte sabauda l’interesse verso Manglard in una lettera coeva: “nel genere di marine, paesi, vedute e cose simili – egli scrisse – non abbiamo chi l'eguagli, né chi sappia meglio adattarvi le figure proporzionate”. La capacità nella resa delle figure fu uno dei punti che permisero al pittore francese di consolidare la propria fama nell’ambiente romano e di ricevere commissioni prestigiose, come quella affidatagli nel 1732 dal principe Rospigliosi per decorare la sua villa di Maccarese.
In 1726, the King of Sardinia commissioned two paintings from Adrien Manglard, the Marina at sunset and the Seaport. The date, confirmed by the signature on the painting: "A. Manglard, 1726", places these works in a period when Manglard received prestigious commissions.
Bibliografia F. Boyer, Les artistes français et les amateurs italiens au XVIIIe siècle, “Bulletin de la Société de l’Histoire de l’Art français”, 1936, p. 219; A. Griseri, scheda in Mostra del Barocco Piemontese, catalogo della mostra, a cura di V. Viale, Torino 1963, p, 75; O. Michel, Adrien Manglard, peintre et collectionneur (1695-1760), in “Mélanges de l'Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes”, 93, 1981, pp. 823-926; S. Maddalo, Adrien Manglard 1695-1760, Roma 1982, pp. 99-100.
Christian Omodeo
Francesco Solimena Canale di Serino, Avellino, 1657 - Barra, Napoli, 1747
Eliodoro cacciato dal Tempio di Gerusalemme / The Expulsion of Heliodorus from the Temple, Inv. 381 Olio su tela / Oil on canvas, 175 x 227 cm La tela fa parte di una serie di quattro dipinti a tema biblico, eseguita tra il 1720 ed il 1725 su incarico di Vittorio Amedeo II ed allusiva alle virtù del potere regio: al pari di altre due redazioni, l’una al Louvre, l’altra nella Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma, è da considerarsi la replica autografa di un bozzetto realizzato da Solimena per il celebre affresco nella chiesa del Gesù Nuovo a Napoli. L’opera, già a Torino nel 1724 – almeno un anno prima cioè che l’affresco di Napoli fosse concluso – appare in linea con il gusto arcadico introdotto alla corte sabauda da Filippo Juvarra. Affresco e tele correlate rappresentano l’approdo del processo di revisione classicista avviato da Solimena sulla via di sperimentazioni antibarocche e di nuove esigenze di purismo visivo, attingendo, con la mediazione di Preti e Giordano, al Raffaello delle Stanze e ai maestosi modelli di Veronese e Tintoretto.
Replica of a sketch for a fresco in Naples’s church of the Gesù Nuovo, the painting was sent to Turin in 1724 as part of a series of four paintings on biblical subjects. Solimena’s classical style, modelled on Raphael and Venetian paintings, blends in well with the court’s Arcadian taste, introduced by Filippo Juvarra.
Bibliografia F. Bologna, Francesco Solimena, Napoli, 1958, pp. 114-115, 194, 272-273, 276; N. Spinosa, scheda in Civiltà del Settecento a Napoli, catalogo della mostra (Napoli), Firenze, 1979, I, p. 176; M. di Macco, I pittori ‘napoletani’ a Torino: note sulla committenza negli anni di Juvarra, in Filippo Juvarra a Torino. Nuovi progetti per la città, a cura di A. Griseri, G. Romano, Torino 1989, pp. 272-277; N. Spinosa, scheda in Settecento napoletano. Sulle ali dell’aquila imperiale. Napoli e il viceregno austriaco (1707-1734), catalogo della mostra, Napoli 1994, pp. 248-250.
Francesco Grisolia
Sebastiano Ricci Belluno, 1659 - Venezia, 1734
Salomone adora gli idoli / King Solomon worships idols, Inv. 470 Olio su tela / Oil on canvas, 152 x 175 cm Il dipinto fu eseguito nel 1724 a Venezia, su commissione di Vittorio Amedeo II, come sovrapporta per l’appartamento della principessa di Piemonte nel Palazzo Reale di Torino, en pendant con il Ripudio di Agar, anch’esso in Sabauda. La tela rappresenta il punto di partenza di una serie d’incarichi realizzati dall’artista di Belluno per la corte piemontese, sotto la regia di Filippo Juvarra. L’opera cade nella piena maturità del pittore, tra la coppia di Sacrifici di Dresda, la pala per il duomo di Saluzzo del 1723 e quella per la cappella di Sant’Uberto della Venaria Reale del 1725. Insistente è la ripresa del modello veronesiano nella gamma cromatica luminosa e cangiante – caratteristica poi di Giambattista Tiepolo – nell’attenta resa dei tessuti e dei metalli e, infine, nell’impianto scenografico dello sfondo, forse riferibile al nipote Marco Ricci.
The painting was commissioned by Victor Amadeus II in 1724 to decorate the apartment of the Princess of Piedmont in the Royal Palace. It inaugurates the last decade of the painter’s work, when he was most influenced by Paolo Veronese.
Bibliografia J. Daniels, Sebastiano Ricci, Hove 1976, pp. 119-122, 124-125; C. Mossetti, Vittorio Amedeo II duca. Orientamenti artistici nella capitale sabauda, in Filippo Juvarra a Torino. Nuovi progetti per la città, a cura di A. Griseri, G. Romano, Torino 1989, pp. 265-266; R. Pallucchini, La Pittura nel Veneto. Il Settecento, a cura di M. Lucco, A. Mariuz, G. Pavanello, F. Zava, Milano 1995, I, pp. 50-51; A. Rizzi, scheda in Sebastiano Ricci, catalogo della mostra (Passariano), a cura di A. Rizzi, Milano 1989, p. 40; A. Scarpa, Sebastiano Ricci, Milano 2006, pp. 68, 310.
Chiara Accornero
Giuseppe Maria Crespi Bologna, 1665 - 1747
San Giovanni Nepomuceno confessa la regina di Boemia / Saint John of Nepomuk confesses the Queen of Bohemia, Inv. 434 Olio su tela / Oil on canvas, 185 x 150 cm L’opera, siglata dall’artista, raffigura San Giovanni Nepomuceno in atto di confessare la regina Giovanna di Boemia: secondo la tradizione, il santo sarebbe stato martirizzato nel 1393 proprio per essersi rifiutato di rivelare al re Venceslao IV quanto nella circostanza aveva appreso dalla sovrana. La cronologia oscilla fra il 1729, anno di canonizzazione di San Giovanni Nepomuceno, e il 1741, data della Vergine Annunciata nell’oratorio di Santa Maria Maddalena a Bologna. Crespi, da acuto osservatore della realtà quotidiana, restituì con intima partecipazione i dettagli più umili della scena: rispetto alla celebre Confessione oggi a Dresda, la tela si segnala per la naturalezza e la semplicità dei toni narrativi, raggiunte anche grazie a una illuminazione più morbida. Il quadro fu acquistato a Bologna nel 1743 da Carlo Emanuele III, attraverso la mediazione dell’abate Salani, suo agente.
The painting was purchased in Bologna by an agent of Charles Emmanuel III in 1743: the dating proposed for the work ranges from 1729, the year when the saint was canonized, to 1741, the year the artist painted the Virgin of the Annunciation in the Oratory of Santa Maria Maddalena in Bologna. In this painting Crespi, an attentive and keen observer of everyday life, depicts the most humble details with sobriety and intimacy.
Bibliografia M. Levey, The eighteenth-century Italian Painting Exhibition at Paris: some corrections and suggestions, in “The Burligton Magazine”, CIII, 1961, pp. 139-143; M. P. Merimann, Giuseppe Maria Crespi, Milano 1980, pp. 269-270; G. Viroli, scheda in Giuseppe Maria Crespi 1665-1747, catalogo della mostra (Bologna-Stoccarda-Mosca), a cura di A. Emiliani, A.B. Rave, Bologna 1990, pp. 274-275.
Roberta Piccinelli
Claudio Francesco Beaumont Torino, 1694 - 1766
Giunone chiede ad Eolo di scatenare i venti contro la flotta troiana, Didone riceve Enea / Juno asks Aeolus to unleash the winds against the Trojan fleet, Dido receiving Aeneas, Inv. 1053 Olio su tela / Oil on canvas, 192,5 x 124 cm Il dipinto costituisce uno dei bozzetti per la decorazione della volta della cosiddetta Galleria del Beaumont che, collegata alle sale di rappresentanza del Palazzo Reale, è oggi sede dell’Armeria Reale. La volta del fastoso ambiente, progettato da Filippo Juvarra e proseguito da Benedetto Alfieri, presenta grandi riquadri dipinti a olio su muro con le Storie di Enea. L’incarico fu affidato al pittore di corte Beaumont, educato a Roma presso Francesco Trevisani. L’esecuzione, da circoscriversi fra il 1738 e il 1742, rivela nel cromatismo ricco e sonoro, nelle spettacolari quinte architettoniche e nella grandiosa orchestrazione compositiva un’attenta rivisitazione del tradizionale repertorio figurativo del XVI e del XVII secolo. Il bozzetto è entrato in Sabauda per acquisto nel 1981, con Venere chiede a Vulcano le armi per Enea, suo compagno.
The painting is a sketch for one of the paintings about Aeneas realized between 1738 and 1742 by Claudio Francesco Beaumont in the gallery attached to the Royal Palace, now the seat of the Armeria Reale. It was purchased in 1981 together with its companion piece, Venus asks Vulcan to provide weapons for Aeneas.
Bibliografia A. Griseri, scheda in Il tesoro della città: opere d’arte e oggetti preziosi da Palazzo Madama, catalogo della mostra, a cura di S. Pettenati, G. Romano, Torino 1996, pp. 150-151; P. Venturoli, La Galleria del Beaumont: un cantiere ininterrotto da Carlo Emanuele III a Carlo Alberto, Torino 2002, pp. 17-18; P. Venturoli, Un cantiere ininterrotto, in L’Armeria Reale nella Galleria Beaumont, a cura di P. Venturoli, Torino 2008, pp. 109-113.
Massimiliano Caldera
Bernardo Bellotto Venezia, 1721 - Varsavia, 1780
Veduta di Torino dal lato dei Giardini Reali / View of Turin from the Royal Gardens, Inv. 467 Olio su tela / Oil on canvas, 152 x 198 cm L’opera, che reca una firma apocrifa, fu commissionata al pittore da Carlo Emanuele III tra la primavera e l’estate del 1745 insieme alla Veduta dell’antico ponte sul Po, anch’essa in Sabauda. La tela raffigura la città con una larga apertura verso occidente sui giardini e il retro di Palazzo Reale, vale a dire tra il Bastion Verde e il profilo dei campanili che diradano sino allo sfondo dell’arco alpino: non è difficile perciò metterla in rapporto con la politica di riqualificazione urbana e il riallestimento del palazzo promossi contestualmente dal sovrano. Bellotto era stato chiamato a Torino probabilmente a seguito delle sue fortunate prove nell’entourage lombardo dei conti Simonetta. Le due vedute, la prima commissione ufficiale dell’artista, ormai emancipato dalla bottega del celebre zio Antonio Canal, detto il Canaletto, aprono la strada ad altri spettacolari panorami urbani, compresi quelli successivamente realizzati in varie città del nord Europa, fra cui Dresda.
From the garden and the back of the Royal Palace the View extends westward to the Bastion Verde and the city’s bell towers. It was commissioned in the spring/summer of 1745 by Charles Emmanuel III together with another of the ancient bridge over the Po: the two vedute represent the first official assignments given to the young artist, who had only recently left Canaletto’s workshop.
Bibliografia S. Kozakiewicz, Bernardo Bellotto, Milano 1972, I, p. 44, II, p. 66; C. Mossetti, G. Romano, schede in Bernardo Bellotto. Verona e le città europee, catalogo della mostra (Verona), a cura di S. Marinelli, Milano 1990, pp. 98-101; E. Peters Bowron, scheda in Bernardo Bellotto 1722/1780, catalogo della mostra (Venezia-Houston), a cura di B.A. Kowalczyk, M. da Cortà Fumei, Milano 2001, pp. 132-133.
Chiara Accornero
Pompeo Batoni e bottega Lucca, 1708 - Roma, 1787
Enea fugge da Troia / Aeneas escapes from Troy, Inv. 150 Olio su tela / Oil on canvas, 100 x 122 cm L’opera può ascriversi al 1750 circa: si distingue per le stesse figure appena allungate e le vivaci stilizzazioni caratteristiche di una precedente Fuga di Batoni, oggi in collezione privata a Lucca e datata 1743. L’esecuzione lascia presumere l’intervento della bottega, spesso attiva nelle repliche delle composizioni più richieste: altre due versioni del tema si conservano a Firenze, l’una nella Galleria Palatina, l’altra in collezione privata. Riverberi e anatomie, cromie e architetture si fondono grazie a un disegno di chiara matrice toscana. Il classicismo batoniano appare plasmato su citazioni da Guido Reni e da Federico Barocci. Il quadro fu donato nel 1773 a Vittorio Amedeo III da Luigi Gerolamo Malabaila, conte di Canale ed è citato in una lettera al ministro del re di Sardegna insieme al pendant, l’Ercole al bivio, anch’esso oggi in Sabauda.
The painting is dated about 1750: other signed versions can be found in Lucca and Florence. Batoni’s classicism appears here modelled on the work of Federico Barocci and Guido Reni. The work was donated in 1773 by Luigi Girolamo Malabaila di Canale to Victor Amadeus III.
Bibliografia E. Emmerling, Pompeo Batoni, sein Leben und Werk, Darmstadt 1932, pp. 52, 123, 124; A. Griseri, scheda in Mostra del Barocco piemontese, catalogo della mostra, a cura di V. Viale, II, Torino 1963, p. 119; I. Belli Barsali, Mostra di Pompeo Batoni, catalogo della mostra, Lucca 1967, pp. 128-130; A.M. Clark, E.P. Bowron, Pompeo Batoni. A complete catalogue of his works with an introductory text, Londra 1985, p. 257; P.P. Quieto, Pompeo Girolamo de’ Batoni, Roma 2007, pp. 276-278.
Francesco Grisolia
Lorenzo Pecheux Lione, 1729 - Torino, 1821
Ercole affida Deianira al centauro Nesso / Hercules entrusts Deianira to the centaur Nessus, Inv. 1077 Olio su tela / Oil on canvas, 100 x 73 cm Il dipinto rappresenta Ercole sulle sponde del fiume Eveno, in atto di affidare la moglie Deianira al centauro Nesso. Come conferma un’incisione di Francesco Bartololozzi, esso fu commissionato a Pecheux nel 1762 da Jacques-Laure Le Tonnelier, Bailli de Breteuil e ambasciatore dell’ordine di Malta a Roma tra il 1758 e il 1777, nell’ambito di una politica di aperto sostegno della colonia di artisti francesi attivi sulle rive del Tevere. La figura di Nesso trae spunto dai celebri reperti classici nei Musei Capitolini noto come i Centauri Furietti, anche se pare evidente un parallelo rapporto con il Nesso e Deianira di Guido Reni oggi al Louvre. Appena ultimata, l’opera fu esposta en pendant con il Polifemo e Galatea di Pompeo Batoni, oggi al Nationalmuseum di Stoccolma. Un tempo anche riferita ad Andrea Appiani, la tela è entrata in Sabauda per acquisto nel 1986.
The painting shows Hercules entrusting his wife Deianira to the centaur Nessus on the banks of the river Evenos. It was commissioned from Pecheux by Jacques-Laure Le Tonnelier de Breteuil in 1762 together with a painting by Pompeo Batoni of Polyphemus and Galatea now in Stockholm’s Nationalmuseum.
Bibliografia G. Nicodemi, La pittura milanese nell’età neoclassica, Milano 1915, p. 91, tav. 32; L.C. Bollea, Lorenzo Pecheux, maestro di pittura nella R. Accademia delle Belle Arti di Torino, Torino 1942, pp. 26, 32-33, 367-368, 39; F. Corrado, Un capitolo sul neoclassicismo. I dipinti di Lorenzo Pecheux alla Galleria Sabauda, in “Piemonte Vivo”, 24, 1990, pp. 13-14, 16-17; P. de Polignac, scheda in La Fascination de l’Antique 1700-1770. Rome découverte, Rome inventée, catalogo della mostra (Lione), a cura di J. Serra Raspi, F. de Polignac, Parigi 1998, pp. 82-83.
Christian Omodeo
Anton Raphael Mengs Aussig, 1728 - Roma, 1779
San Pietro in cattedra / Saint Peter Enthroned, Inv. 142 Olio su tela / Oil on canvas, 167 x 123 cm Sulla base di una lettera dello stesso Mengs il dipinto è databile al 1774-1775 e perciò si colloca nell’ultima fase della carriera dell’artista boemo, per l’esattezza durante il secondo soggiorno spagnolo. Il soggetto, per molti aspetti simile al prototipo di un filosofo, si distingue per un raffaellismo depurato da ogni naturalezza, cerebrale e scultoreo, un goût grec che lo differenzia dagli esiti contemporanei di Pompeo Batoni e Domenico Corvi. Forse il dipinto va identificato con la tela di analogo soggetto che, donata a monsignor Vincenti al momento di lasciare Madrid, nel 1776 passò sempre per dono a Pio VI. L’opera è arrivata in Galleria nel 1864 per lascito dei marchesi Falletti di Barolo. Una seconda versione, contrassegnata da pari qualità e dimensioni, si conserva all'Albertina di Vienna.
Dating from 1774-1775, during Mengs's second trip to Spain, the canvas was acquired in 1864 by bequest. More cerebral and sculptural in style than Raphael, it differs from the more spontaneous classicism of other contemporary painters. A second, identical version can be found in the Albertina in Vienna.
Bibliografia G. N. d’Azara, C. Fea, Opere di Antonio Raffaello Mengs, primo pittore del re cattolico Carlo III, Roma 1787, p. XLV; S. Roettgen, Anton Raphael Mengs 1728-1779, Monaco 1999, II, pp. 147-148.
Francesco Grisolia
Filippo Collino Torino, 1737 circa - 1800
Ignazio Collino Torino, 1724 – 1793
Flora / Flora, Inv. Sculture 33 Marte / Mars, Inv. Sculture 3 Marmo / Marble, 157 x 60 x 43 cm; 166 x 65 x 43 cm Le due statue fanno parte di un gruppo di quattro destinate al Palazzo Reale di Torino e rimaste incompiute nello studio di Ignazio Collino alla sua morte, nel 1793: le altre due raffigurano Mercurio e Cerere. I marmi furono scolpiti nel bianco statuario proveniente da una cava della Valle Soana scoperta e fatta aprire dai due fratelli artisti e ben illustrano la fase finale del percorso di Filippo ed Ignazio, ormai apertamente indirizzata nei temi e nelle forme verso il recupero creativo delle memorie della classicità, anche grazie al ricorso ad elementi assimilati durante la loro giovanile esperienza romana. Una delle quattro sculture – probabilmente la Flora – fu realizzata dal solo Filippo dopo la morte del fratello. Nel 1809, sotto il Governo napoleonico, un terzo scultore, Giacomo Spalla, venne forse chiamato a completarne due.
The statue is part of a group of four sculptures (Flora, Mars, Mercury, Ceres) originally intended for the Royal Palace of Turin but left unfinished by Ignazio Collino in 1793. One of four statues, perhaps the Flora, was accomplished by Filippo on his own after the death of his brother. The sculptures clearly illustrate the final stage of Collino’s artistic development, now openly classical, assimilated to elements from his youthful experience in Rome.
Bibliografia M. di Macco, scheda in Cultura figurativa e architettonica negli Stati del re di Sardegna, a cura di E. Castelnuovo, M. Rosci, Torino 1980, I, pp. 40-41; P. Astrua, Le scelte programmatiche di Vittorio Amedeo duca di Savoia e re di Sardegna, in Arte di corte a Torino da Carlo Emanuele III a Carlo Felice, a cura di S. Pinto, Torino 1987, p. 119.
Walter Canavesio
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