BLUBAI_Marzo 2023

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Che

Il Frantoio di Assisi, tra culto dell’olio e ricerca vera

Piero Misuri, un cameriere come si deve

Marzo 2023 sala&cucina n. 67 marzo 2023Poste Italiane SpaCN/BOEdizioni Catering srl –Via Margotti, 8 –40033 Casalecchio di Reno (BO)contiene I.P.costo copia euro 3,50 Mauro Rosati
e cultura per il futuro dell’agroalimentare italiano
Qualità
Vietato sbagliare il dessert nella ristorazione
fine sta facendo la pensione completa?
questa rivista è offerta da

La redazione

Mario Benhur Tondini presidente Edizioni Catering srl

Imprenditore nel settore della distribuzione alimentare, gestisce con il fratello Oscar l’azienda di famiglia a Cavriana (MN), dove ha svolto anche l’incarico di sindaco.

Le competenze maturate sul piano professionale e su quello amministrativo lo hanno portato alla convinzione che il principio della condivisione sia la miglior modalità di crescita. Molte sue iniziative, anche all’interno del gruppo Cateringross (che detiene la titolarità della casa editrice), di cui è consigliere d’amministrazione, vanno in questa direzione. A questo affianca una forte sensibilità per ogni azione che dia valore al suo territorio.

Luigi Franchi Direttore responsabile

benhurtondini@salaecucina.it

Marina Caccialanza Redazione

Milanese, un passato come traduttrice, da diversi anni giornalista e redattrice per riviste del settore alimentare rivolte al mondo dell’artigianato e all’industria, in particolare nel campo della ristorazione, del dettaglio specializzato e della ricerca. Contribuisce alla realizzazione di importanti libri di comunicazione gastronomica in Italia e all’estero diretti ai professionisti e ai consumatori. Collabora con le redazioni di sala&cucina, Ecod e Trenta Editore.

marina.caccialanza@gmail.com

Giulia Zampieri

Redazione

Ricorda con esattezza il profumo del primo pane preparato all’età di sette anni.

Forse il suo primo traguardo e, soprattutto, l’inizio di una grande passione: per le cose semplici, per la genuinità, per gli alimenti che crescono e prendono forma. Dopo la Laurea in Scienze Gastronomiche, la specializzazione in comunicazione enogastronomica, e un periodo di alternanza nelle cucine, ha chiara la missione: scrivere per comunicare. Come? Utilizzando gli strumenti di oggi e la curiosità di sempre. Gionalista pubblicista, collabora anche con la guida di Identità Golose.

giuliazampieri@salaecucina.it

Prima fotografo di cibo e territori, poi comunicatore, autore di numerosi libri di enogastronomia e di turismo enogastronomico. e infine giornalista di enogastronomia. Tra le sue principali pubblicazioni, scritte e/o coordinate: La prima edizione della Guida al turismo del vino in Italia, per conto del Movimento Turismo del Vino, (1997), I parchi e il turismo enogastronomico (2004), Il marketing delle Strade del Vino edizioni Agra – Rai Eri (2005), Atlante Alimentare Piacentino, con Valentina Bernardelli (2007), “cuo chi, due anime in cucina”, con Alessandra Locatelli, GL.Editore (2009), Dalle Terre Traverse al Po, GL.Editore (2010), ideatore e coautore dei Maestri del lievito madre, Edizioni Catering (2014), coautore della guida online dedicata alla ristorazione Meglio Prenotare, Edizioni Catering, Le interviste (2018) editore Mediavalue. Co-direttore di Food & Book, festival nazionale di editoria enogastronomica luigifranchi@salaecucina.it

Simona Vitali Redazione

Laureata in filosofia, ha lavorato nella comunicazione e organizzazione di grandi eventi a Parma. Ha ricevuto una prima inconsapevole educazione al gusto per il cibo grazie all’ indimenticato oste dell’Osteria di Felino (PR), il nonno materno Massimino. Con gli studi umanistici è poi arrivata una seconda, consapevole, educazione al gusto per l’utilizzo delle parole secondo il loro significato. Poi sono seguiti un corso di Alta Formazione alla scuola Holden e un master in Filosofia del cibo e del vino. Della ristorazione l’affascina il pensiero e la componente umana. Della formazione di settore segue movimenti ed evoluzioni.

s.vitali@salaecucina.it

Gabriele Adani Grafico

Modenese, appassionato di arte figurativa, fotografia e linguaggi di comunicazione visiva.

Nel 1992 inizia il suo percorso professionale presso una casa editrice. Lavora poi in uno studio grafico e fonda una piccola agenzia di comunicazione in cui ricopre il ruolo di direttore creativo per 18 anni. Viaggiatore, utilizza i frequenti viaggi a Londra e nel Sud Est asiatico per arricchire il suo bagaglio culturale e placare la sua innata curiosità per le altre culture.

Dal 2019 lavora in proprio, occupandosi di fotografia, grafica e consulenze nel campo della comunicazione.

grafica@salaecucina.it

3 | marzo 2023

7 LA LETTERA APERTA

Devozione? No grazie | Luigi Franchi

9 L' EDITORIALE

La nuova stagione è alle porte | Benhur Tondini

10 IL CONFRONTO

Mauro Rosati | Luigi Franchi

15 LA NEUROVENDITA

Il legame tra musica e comportamenti del cliente | Lorenzo Dornetti

17 L’OLIO AL CENTRO

E se si lanciasse il format oleoteca con cucina? | Luigi Caricato

19 L’OSPITALITÀ

Perché i ristoratori non rispondono alle recensioni? | Martina Manescalchi

21 LA DIGITAL TRANSFORMATION

Le principali tendenze del lavoro per il 2023 nell’ospitalità | Claudia Ferrero

22 LA RIFLESSIONE

Le sfide più grandi | Giulia Zampieri

25 L'ANALISI

Che fine sta facendo la pensione completa? | Luigi Franchi

28 LA FORMAZIONE

Buone pratiche di orientamento scolastico | Simona Vitali

32 AMODO LA RETE DEI RISTORANTI ETICI

Il Frantoio di Assisi, tra culto dell’olio e ricerca vera | Giulia Zampieri

36 LA RISTORAZIONE

Vietato sbagliare il dessert nella ristorazione | Simona Vitali

40 LA SALA

Piero Misuri, un cameriere come si deve | Luigi Franchi

44 LA STORIA DELLA GASTRONOMIA

La Spressa delle Giudicarie | Luigi Franchi

48 IL VINO

Salcheto, un progetto esemplare e contagioso | Giulia Zampieri

51 IL RISTORANTE

Paolo Grando, mica solo ostriche e Champagne | Giulia Zampieri

54 LA PIZZERIA

La rivoluzione è cominciata | Marina Caccialanza

56 LE PERSONE

Maurice von Greenfield: Il mondo nei menu | Bruno Damini

60 GLI EVENTI

Cateringross diventa partner di FIC | Guido Parri

61 GLI EVENTI

Hospitality, Garda Food&Drink, Madia Expo, Horecoast, Levante prof | Guido Parri

62 LA DISTRIBUZIONE

Maddaloni Food Service nuovo socio di Cateringross | Guido Parri

64 LE AZIENDE

Bontà e prestazioni da veri intenditori | Marina Caccialanza

68 LE AZIENDE

Tutta la tradizione pugliese a portata di freezer | Marina Caccialanza

72 LE AZIENDE

Pratici, veloci … e con effetto WOW! | Marina Caccialanza

74 LE AZIENDE

Sprayleggero, record di distribuzione | Marina Caccialanza

76 LE AZIENDE

28pastai, tra storia e innovazione | Luigi Franchi

78 LE AZIENDE

Mamma mia! | Guido Parri

80 LE AZIENDE

La salsa viola di cavolo cappuccio di Demetra | Guido Parri

81 I LIBRI

Tra ghiaccio e bicchieri - L’arte di mangiare il giusto | Luigi Franchi

N° 67 marzo 2023

EDITORE

Edizioni Catering srl

Via Margotti, 8 40033 Casalecchio di Reno (BO) Tel. 051 751087 – Fax 051 751011 info@salaecucina.it - www.salaecucina.it

PRESIDENTE

Benhur Mario Tondini benhurtondini@salaecucina.it

DIRETTORE RESPONSABILE

Luigi Franchi luigifranchi@salaecucina.it

COLLABORATORI ESTERNI

Luigi Caricato, Bruno Damini, Lorenzo Dornetti, Martina Manescalchi, Elena Monteverdi, Guido Parri,Antonella Petitti

FOTOGRAFIE

Archivio sala&cucina, Alessandro Scipioni, Archivio Consorzio Spressa delle Giudicarie, Archivio Il Frantoio, Archivio 28pastai, Archivio Mamma Mia!

* L’editore è a disposizione per eventuali crediti fotografici di cui si ignora la fonte

RIVISTA PARTNER di AMODO

PUBBLICITÀ

Tel. 331 6872138 marketing@salaecucina.it www.salaecucina.it

PROGETTO GRAFICO

Gabriele Adani - www.gabrieleadani.it

STAMPA

EDIPRIMA s.r.l. – www.ediprimacataloghi.com

TIRATURA E DISTRIBUZIONE – 28.900 copie

Ristoranti, trattorie e pizzerie 20.700 – Bar, pub e birrerie 4.000 – Hotel 3.100 – Grossisti e distributori f&b 1.100

Costo copia mensile: 3,50 euro

abbonamento annuo 30,00 euro

Per abbonarsi: info@salaecucina.it

Marzo 2023 sala&cucina n. marzo 2023 Poste Italiane Spa CN/BO Edizioni Catering Via Margotti, 40033 Casalecchio Reno (BO) contiene I.P. costo copia euro 3,50
Qualità e
Vietato sbagliare il dessert nella ristorazione Che fine sta facendo la pensione completa? Il Frantoio di Assisi, tra culto dell’olio e ricerca vera Piero Misuri, un cameriere come si deve
Mauro Rosati
cultura per il futuro dell’agroalimentare italiano
LA RETE DEI RISTORANTI ETICI 2022 Sommario 5 | marzo 2023

AU TH EN TIC

food passion

Tutti i migliori ingredienti più uno... la nostra autentica passione

Rispetto per la stagionalità delle materie prime, “dalla terra in cucina”, dalla raccolta alle preparazioni sapienti, prodotti gustosi e freschi direttamente nelle tue mani. Un’attenta selezione di pomodori conservati in innovative confezioni: polpa, passata, datterini, ciliegini e pomodori pelati... questo è il segreto di Demetra perchè ogni pizza diventi straordinaria. demetrafood.it

Se ne parla, se ne parla e non si agisce! Questa è la sensazione che, spesso, proviamo quando si cerca di affrontare il problema della carenza di personale, in sala e in cucina.

Quando si affronta il tema delle risorse umane sembra che sia tutto complicato, a tratti scivoloso. Allora proviamo a cambiare il modo, cominciando a sostituire i termini; reintroduciamo quello di persone!

Facevo questa riflessione mentre, pensando a quale tema professionale mi stava più a cuore in questo periodo, guardavo il film Il capo perfetto, con Javier Bardem che ne interpreta il ruolo. Un capo che chiede devozione alla sua fabbrica di bilance, che fa ruotare tutta la sua vita attorno ad essa e che, alla fine, resta vittima di questo.

E mi è venuto in mente l’errore, quello principale perché ce ne sono molti altri, che si fa nei colloqui di lavoro: quello di valutare l’assunzione sulla base della devozione a un’idea di ristorazione che è solo nella mente dello chef patron.

In questi anni si è ormai interrotto, fortunatamente, il meccanismo degli chef star. Questo fa pensare che tutto si sia rotto ma non è così. Le persone esistono, non sono solo risorse umane e qui sta il primo cambiamento. Esistono e chiedono di essere valutate su basi diverse dalla devozione. Sulla serietà professionale, sulla condivisione di obiettivi, sul fatto che sono giovani e vogliono imparare quando si tratta di ragazzi e ragazze. Ma se la risposta a questo è quella che ho sentito di recente a un convegno dove uno chef di mezza età ha liquidato la faccenda con un “i giovani non sanno cos’è la fame”, allora di strada da percorrere ne resta ancora molta e il tempo a disposizione è troppo poco.

Per fortuna che non sanno cos’è la fame. I nostri padri hanno fatto di tutto per non farla più provare ai propri figli!

Cosa fare, quindi, durante un colloquio di lavoro? Innanzitutto, da parte del ristoratore, avere le idee chiare. Gli annunci sono pieni di sciatteria, non espon-

gono quasi mai le mansioni per cui si cerca personale: AAA cercasi cameriere non potrà mai attirare né chi ha competenze ma neppure chi ha solo attitudini. Oggi ci sono nuove competenze che emergono in ogni ambito, anche in quello della ristorazione. Adottare un linguaggio diverso diventa obbligatorio!

In sala bisogna guardare e ricercare, ad esempio, la serietà professionale, la capacità di essere empatici, di conoscere le lingue, di avere gusto e piacere del cibo, di essere igienicamente puliti, anche con la barba certo, ma perfetta.

In cucina alla passione, alla duttilità, alla voglia di imparare.

Mi si dirà: ma se non si presentano neppure il primo giorno di lavoro? È vero ma non facciamo un fascio indistinto di tutto. Quelli che non sono in grado di badare a sé stessi restano una minoranza nel mondo.

Pensiamo in un’altra logica; proviamo a coinvolgere, a motivare fin dal primo approccio, a raccontare il bello, perché c’è il bello in questa professione, a spiegare bene il ruolo, la sua importanza per il successo collettivo del ristorante.

Forse, adottando parole nuove si creeranno anche persone motivate!

luigifranchi@salaecucina.it
La lettera aperta
Devozione? No, grazie!
7 | marzo 2023
Clicca e leggi l’articolo sul web

Mancano poche settimane alla Pasqua, cioè a quella festività che, storicamente, segna l’inizio di una nuova stagione per il turismo con tutte le attività annesse. La ristorazione è una di queste, forse quella che meglio di altre ha reagito al lungo periodo pandemico se i dati provvisori del 2022 segnano un recupero e un sorpasso rispetto a quelli del 2019.

Nel 2019 i consumi fuori casa si erano attestati sugli 83 miliardi, nel 2022 si aggirano sui 91 miliardi. Un risultato davvero straordinario ma come è cambiata la ristorazione? Come è cambiato il cliente?

Domande che necessitano di risposte certe, chiare, perché da queste risposte derivano tutte le altre che consentono alla filiera di lavorare al meglio.

Il cambiamento ha luci e ombre, forse sono ancora maggioritarie queste ultime perché la ristorazione, intesa come filiera, si basa sul sentiment, sulla percezione e non su ricerche e studi davvero approfonditi. Ad esempio, si sa solo a grandi linee quanto incide il costo degli alimenti nel bilancio di un ristorante: le stime ci dicono che è un’incidenza del 25/26%, quindi sui 91 miliardi di giro d’affari stiamo parlando di 25/27 miliardi di euro.

Come sono ripartiti? Quali sono le materie prime privilegiate? Oggi c’è una tendenza al vegetale ma non dimentichiamo che la carne, ad esempio, mentre cala negli acquisti retail sta crescendo in quelli del fuoricasa.

Si parla di territorio e di stagionalità e va benissimo, ma il territorio italiano o i mari italiani, da decenni, non riesce, in nessun settore alimentare, a coprire totalmente i consumi.

Argomenti di cui si parla ancora troppo poco e che sono fondamentali per guardare in faccia la realtà. E con la realtà ci sono decine di imprese, da quelle di trasformazione a quelle di distribuzione, che ci devono fare i conti tutti i giorni perché sono quelle che, dalla produzione alla logistica, tengono in vita la ristorazione.

E veniamo al cliente? Come è cambiato? Anche qui

La nuova stagione è alle porte

il dato empirico parla di un cliente più pretenzioso, scostante, che utilizza spesso e volentieri il no-show, concentrato nei fine settimana.

E poi, le indagini statistiche, come l’ultima del Censis, dicono quasi l’esatto contrario: che il 91% dei clienti predilige andare in ristoranti che adottano misure chiare verso l’etica e la sostenibilità: che il 70,5% considera il ristorante una componente fondamentale per migliorare i luoghi pubblici; che il 92,95 considera la convivialità del mangiare e bere insieme uno degli aspetti fondamentali dello stile di vita italiano. Noi crediamo di più a questa indagine che non al dato empirico, ma questo modo di vivere la ristorazione significa anche cambiare molte cose entro o durante la prossima stagione.

Significa avere il personale preparato a soddisfare questi bisogni, significa avere un menu che superi definitivamente quello turistico che fa ancora bella mostra di sé in molti locali dove esiste ancora il turismo di massa. E questo vuol dire proporre piatti che siano buoni, comprensibili, al giusto prezzo.

Abbiamo davanti una stagione interessante, senza ombra di dubbio. Cerchiamo di renderla anche attraente in modo tale che le persone abbiano un ricordo bello e positivo della nostra Italia!

benhurtondini@salaecucina.it
L’editoriale
9 | marzo 2023
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Qualità e cultura per il futuro dell’agroalimentare italiano
www.qualivita.it
Autore: Luigi Franchi Mauro Rosati Parmigiano Reggiano DOP
Il confronto Mauro Rosati Clicca e leggi l’articolo sul web 10 | marzo 2023
Prosecco DOP

Esiste un filo, una trama, che sa unire questa Italia lunga e stretta: la qualità e la cultura. Non ci si pensa quasi mai, ma se questo Paese è rimasto tra i primi posti nelle economie occidentali nonostante tutto quello che sta succedendo è perché ci sono persone e istituzioni che sulla qualità e la cultura hanno creato il loro modo di essere, di lavorare per le nostre comunità.

È per questo motivo che abbiamo fatto questa lunga conversazione con Mauro Rosati, direttore generale di Fondazione Qualivita, una di quelle persone.

Cominciamo con la descrizione di Fondazione Qualivita: la sua storia, le sue funzioni…

“La storia parte dal fatto che Siena, dove la Fondazione ha la sede, ha una sensibilità avanzata sul concetto della qualità nel settore agroalimentare e vitivinicolo. Qui è nata e vive tuttora l’Enoteca Italiana che è stato il primo ente storico a promuovere il vino fin dagli anni ’30 e ha dato vita a Vinitaly, che poi fu spostato a Verona negli anni ’60 per motivi di spazio. Dentro al DNA di questo territorio, nelle persone, nella rete imprenditoriale c’è un attaccamento alle radici qualitative vitivinicole e agroalimentari. Complice di queste radici fu, nel 2000, l’incontro con Paolo De Castro, allora ministro delle Politiche agricole, dove ragionammo sulla mancanza di uno spazio, a livello europeo, per portare a sintesi il sistema delle DOP-IGP che, da qualche anno, stava crescendo. Si cominciava a parlare di prodotti a Denominazione ma solo trattandoli singolarmente. La mia intuizione fu che solo facendo sistema avremo dato forza a tutto il comparto e, per farlo, c’era bisogno di rivolgersi agli stake-holder, ai politici, ai giornalisti e non solo ai cittadini, perché per fare progetti ambiziosi e parlare a milioni di persone ci vogliono risorse elevate. Quindi il nostro obiettivo fu quello di creare un sistema in grado di aumentare l’attenzione verso un mondo, quello dei prodotti agroalimentari di qualità, che poteva incidere nei comportamenti delle persone e in un’economia forte. Allora ero consigliere delegato del Comune di Siena e, in quel ruolo, organizzai la prima edizione di Qualivita, portando le esperienze più avanzate dei consorzi DOP-IGP a livello europeo e non solo italiano, per far capire che quello era un comparto che aveva molto da esprimere. Fu un grande successo e, nel 2002, in occasione della seconda edizione, nacque il primo nerbo di quella che oggi è Fondazione Qualivita, grazie all’impegno di Comune, Camera di Commercio e Provincia di Siena, Regione Toscana e Ministero delle Politiche Agricole. Da parte mia ci fu una disponibilità immediata ad occuparmene perché vedevo all’orizzonte, sul piano personale e provenendo da una famiglia contadina, una valorizzazione del mio passato, e sul piano professionale un contributo a tracciare quel filo rosso che unisce l’Italia: qualità e cultura”.

Andiamo avanti: dopo questa prima azione quali sono state le altre iniziative?

“Venni nominato segretario generale e organizzammo il primo Forum dove Consorzi, Regioni, produttori si confrontarono sui temi relativi alle DOP-IGP. Ne seguirono altri cinque che diedero vita a un Osservatorio che realizzò il primo Rapporto, nel 2003, su quel nuovo

11 | marzo 2023
Pasta di Gragnano IGP

mercato. Un Rapporto che si è sviluppato negli anni e che, ora, si avvale della collaborazione tra la Fondazione e l’ISMEA. Sono, infatti, convinto che solo con i numeri alla mano, si possono rendere concrete proposte e idee. E i numeri del Rapporto testimoniano inequivocabilmente che l’idea originaria di portare a sistema era vincente. Oggi tutti i ricercatori che parlano di DOP e IGP a livello internazionale, guardano al nostro Rapporto come unico esempio a livello internazionale. A questa iniziativa ne seguì un’altra, ideata insieme al professor Luigi Verrini, autorevole componente del comitato scientifico della Fondazione: realizzare un Atlante Qualivita delle produzioni DOP-IGP. Un Atlante che avesse come obiettivo far conoscere disciplinari di produzione che altrimenti nessuno avrebbe mai letto nel loro linguaggio burocratese; i territori con la loro storia dove nascono le produzioni. Un prodotto editoriale dal linguaggio comprensibile che raccogliesse l’insieme delle produzioni. Oggi quell’Atlante porta il simbolo della Treccani, un marchio che fa della qualità dei contenuti una regola aurea. L’edizione del 2022 è una pubblicazione di 1033 pagine che racconta davvero tutta l’Italia di qualità”.

Queste 1033 pagine stanno a significare una capillarità del sistema: quanto vale oggi?

“I numeri delle DOP e IGP italiane, ai primi di febbraio 2023, ci raccontano di un settore che ha una grande valenza nel comparto agroalimentare italiano. Le DOP e IGP sono in totale 845, di cui 319 legate al cibo e 526 al vino. 581 sono prodotti DOP, cioè quelli che hanno uno specifico legame con il territorio d’origine; 260 IGP, un riconoscimento per un prodotto importante che ha un disciplinare di produzione specifico; 4 STG, che riguarda prevalentemente il mondo delle ricette come nel caso dell’Amatriciana. L’insieme del valore, dato risalente al

2021, è di 7,97 miliardi alla produzione e di 15,82 miliardi al consumo. Gli operatori della filiera sono 198.842 e i consorzi di tutela e valorizzazione 291”.

Numeri effettivamente importanti, che ruolo ha giocato Fondazione Qualivita nel raggiungere questi risultati?

“Prima di rispondere a questa domanda voglio aggiungere un altro dato: le DOP e IGP in Europa sono in tutto 3.069, quindi si può ben capire come l’Italia vanti una posizione di primissimo piano corrispondente quasi al 30% del totale. Cosa significa questo? Che se facciamo sistema questo Paese può diventare ancor più competitivo. Voglio ricordare un altro primato, questa volta come Fondazione Qualivita e qui vengo alla risposta. Nel 2006 abbiamo lanciato la sfida a McDonald’s, c’era allora Mario Resca come ad in Italia, la prima risposta fu “noi siamo americani e facciamo da mangiare come gli americani”. Io gli risposi che ci saremmo rivisti e, nel 2010, insieme anche alla sensibilità di Luca Zaia, a quel tempo ministro delle Politiche agricole, che è stato un grande artefice delle DOP e IGP, tornai da McDonald’s, l’amministratore era cambiato, e nacque il progetto McItaly, portando tanti prodotti DOP e IGP nelle ricettazioni. Un caso unico nella storia del colosso americano che fa cose uguali in ogni parte del mondo tranne che in Italia. Questo ha significato far capire ai produttori e alle filiere che esistono molti approcci per i mercati; la regionalizzazione dei menu McDonald’s ci ha permesso di parlare, inoltre, ai giovani con un messaggio semplice per arrivare alla complessità. Noi avevamo un problema con la chianina di Vitellone Bianco IGP che non si vendeva a sufficienza, convinsi McDonald’s a utilizzare per i suoi hamburger la chianina e, da quel momento, tutte le migliori hamburgherie in Italia usano la carne chianina di Vitellone Bianco IGP.

12 | marzo 2023
Montasio DOP

Un’esperienza, quella di McDonald’s ha aperto tanti fronti, ad esempio per i formaggi; il Pecorino Toscano ha dovuto preparare un prodotto a fette per la multinazionale e questo ha poi dato vita ad una linea di Pecorino Toscano a fette che oggi si vende anche nei supermercati. Cosa voglio dire con questo? Che vincere la resistenza iniziale di McDonald’s ha favorito processi produttivi e distributivi che, diversamente, non sarebbero mai stati analizzati. Oltre al fatto che abbiamo divulgato i prodotti DOP e IGP tra i giovani e non solo tra le massaie e i ristoratori, elevando ancora un poco la cultura alimentare”.

Il cibo italiano come patrimonio culturale; avresti mai pensato di raggiungere questo obiettivo quando hai cominciato vent’anni fa a lavorarci?

“Ti confesso che si, che quello era l’obiettivo a cui volevo arrivare. Nel 2008, quando andavo in trasmissioni come Occhio alla spesa ancora nessuno conosceva la differenza dettata dal simbolo europeo, poi iniziai a fare il consulente di Linea Verde e, infine, con l’EXPO nel 2015 siamo arrivati all’obiettivo di affermare il cibo italiano come patrimonio culturale. Ora ci attendono nuove sfide”.

Quali sono?

“Una in principal modo: legare la ricerca scientifica alle DOP e IGP. Abbiamo fatto, di recente, Italia Next DOP, il primo Simposio Scientifico delle filiere DOP e IGP, dove sono stati presentati 90 progetti di ricerca su queste filiere. Siamo di fronte a un momento di grande evoluzione dell’agroalimentare italiano. Oltre alla sfida della transizione ecologica, dobbiamo affrontare vari attacchi internazionali e, in questo contesto, la ricerca ci ha mostrato, con questa prima edizione del Simposio, una nuova visione della qualità e come le filiere dovranno evolversi per rimanere leader sui mercati. Nel 2050, con la crisi ambientale che sta avanzando velocemente, se non si farà nulla, nelle terre senesi forse non si potrà più fare il Brunello, ad esempio. Occorre quindi diventare parte attiva nella ricerca. In questo i Consorzi possono e devono avere visione: non limitarsi alla tutela ma investire nella ricerca. Così come sul Nutriscore occorre dare risposte e non fare semplici proteste. Il mio obiettivo, in questo, è creare uno strumento di divulgazione scientifica, accessibile come linguaggio, utile per i produttori, essenziale per le persone che tengono alla qualità e alla cultura”.

Un’ultima domanda: quanto incide il marchio DOP e IGP nella ristorazione e quale ruolo possono avere i distributori di foodservice nella sua affermazione nel canale horeca?

“Avere nel menu di un ristorante prodotti a Denominazione è un vanto e fa chiarezza estrema sull’ingrediente. Una delle richieste maggiori da parte degli ospiti di un ristorante è: da dove provengono le materie prime. Bene,

se un prodotto è DOP o IGP capirne la provenienza è molto semplice, inoltre permette al ristoratore di raccontarne la storia. L’imprenditore che fa ristorazione è stato molto bravo sul vino nel corso degli anni ma è stato aiutato proprio dal fatto che quei vini avessero una denominazione. Ora può diventare un grande testimonial anche di altri prodotti. Penso all’olio extravergine, un prodotto davvero simbolo del nostro Paese, del benessere delle persone. Oggi c’è un approccio quasi dilettantesco, lo si considera ancora solo come costo mentre la ristorazione potrebbe fare moltissimo per affermare una cultura dell’olio”.

E il distributore come può valorizzare un prodotto DOP o IGP?

“Lo può fare creando un format di presentazione e di vendita preciso e distinguibile. La formazione, per fare questo, è un elemento essenziale e da parte nostra abbiamo gli strumenti per permettere di capire meglio questo comparto. La narrazione, nel momento in cui si propone un prodotto a Denominazione, è un fattore molto importante che supera ogni logica di prezzo. Raccontare una progettualità di filiera e tenere ben fermo il tema della cultura alimentare può diventare uno straordinario aiuto a tutto il comparto e trasformarsi in un piacere per gli ospiti stessi del ristorante”.

Aceto Balsamico di Modena IGP
13 | marzo 2023
Scopri i numeri di DOP e IGP

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Le neuroscienze hanno dimostrato l’impatto della musica sulle performance mentali, sportive e persino nel guidare i comportamenti d’acquisto Nel 2020, 139 esperimenti hanno dimostrato che ascoltare musica durante l’attività sportiva migliora ossigenazione e resistenza alla fatica. La musica ha inoltre un impatto sulle performance mentali. Nel 2005 venne realizzato un esperimento passato alla storia della psicologia come “effetto Vivaldi”. Le persone quando ascoltano canzoni rispetto a quando nella stanza è presente rumore bianco, una specie di suono senza ritmo e melodia, realizzano prestazioni mentali migliori. La connessione tra suono e comportamenti dei clienti è intensa nel campo della ristorazione Si è dimostrato che una musica sotto i 100 battiti per minuto aumenta la propensione a spendere di più e fermarsi maggiormente per gustarsi il pasto. Al contrario musica con un ritmo più intenso porta i clienti a consumare più velocemente, alzandosi prima da tavola. Come se il ritmo musicale determinasse il tempo della cena o del pranzo.

Uno dei primi esperimenti risale alla fine degli anni ‘90. In un’enoteca si alterna in giornate diverse musica francese e tedesca. Misurando le vendite delle bottiglie, si osserva “curiosamente” che la propensione a comprare Champagne o Riesling è molto influenzata dalla musica nell’aria. Il fatto interessante è che solo lo 0,3% dei consumatori, direttamente intervistato, riteneva che la musica avesse avuto un ruolo nell’acquisto. Nella stragrande maggioranza dei casi, il cliente era guidato inconsapevolmente dalla colonna sonora. Un recente studio svolto negli USA dimostra che una musica rilassante nella hall di un albergo (ambient jazz), determina la riduzione nel sangue di neurotrasmettitori legati allo stress, come il cortisolo. La percezione sonora facilita l’imprinting emotivo positivo nei momenti fondamentali del check-in e del check-out. Ci sono due errori comuni che si trovano spesso nella scelta musicale nell’ambito della ristorazione. La Radio e le Hit. La scelta di trasmettere la radio in sala è inefficace, in quanto la programmazione della

Il legame tra musica e comportamenti del cliente

musica non può essere scelta e le “breaking news” corrono il rischio di far passare l’appetito. Anche le hit, ovvero le canzoni più di moda, sono sconsigliate. I brani in testa alle classifiche o i grandi classici, distolgono l’attenzione dall’esperienza vissuta e accomunano il pasto alla colonna sonora ascoltabile da un’autoradio

L’assenza di musica è sicuramente un fattore negativo. Il cervello “odia” il silenzio. Esiste un automatismo cerebrale che associa silenzio e paura. In una foresta, il silenzio era letto dalle aree emotive come un segnale di imminente pericolo. Questa memoria antica presente nel sistema nervoso si riattiva in un ambiente nuovo e particolarmente silenzioso. L’assenza di stimolazione sonora predispone negativamente, facendo vivere un senso di disagio. La scelta della colonna sonora è fondamentale nel definire l’identità del ristorante. Non esiste la musica giusta “tout court”, perfetta per tutte le occasioni e location. Esiste la colonna sonora adatta al tipo di locale. Qual è la musica che valorizza la proposta di piatti e vini? Quanto tempo voglio che i clienti restino seduti a tavola? Qual è la musica adatta all’esperienza che voglio far vivere al cliente? Mina aveva intuito tutto: “la musica, bella o brutta, seria o ignorante è il rumore dell’anima".

La neurovendita
15 | marzo 2023
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Sarà possibile concepire, alla stregua delle varie cantine con cucina, già presenti in tutte le regioni d’Italia, anche l’analoga formula delle oleoteche con cucina? Alla luce della realtà direi proprio di sì. Oggi, soprattutto in questi primi anni Venti, si registra senza dubbio una sensibilità diversa e maggiore nei confronti degli oli extra vergini di oliva. C’è una conoscenza del prodotto più strutturata, si frequentano le scuole d’assaggio, e anche i consumatori accolgono volentieri le tante segmentazioni di gamma: si va dagli oli ‘dedicati’, pensati appositamente per corrispondere ad abbinamenti specifici, agli oli monovarietali, dai blend tra varie cultivar di olivi ai blend tra oli di diverse origini, dagli oli delicati e tenui per chi è abituato a sapori poco invasivi a oli ricchi di polifenoli e perciò estremamente strong, dagli oli da agricoltura biologica agli oli addizionati con vitamine per renderli altamente funzionali, dagli oli multiregionali o frutto di miscele tra oli di diverse nazioni a oli di territori circoscritti, con l’attestazione di origine DOP e IGP. Insomma, lo scenario che si presenta oggi è piuttosto variegato; e quando l’offerta è così stratificata è sempre un buon segnale, perché significa che esiste un pubblico di oleofili attenti e curiosi. Concepire un ristorante nello stile di una oleoteca con cucina sembrerebbe dunque una soluzione praticabile. Tanto più che inventare nuovi format aiuta sempre chi vuole investire in novità, anche se i rischi di insuccesso non si escludono. Infatti non è un caso che le oleoteche intese in senso tradizionale, presenti in diverse regioni, non riscuotano ancora il meritato successo, nel senso che spesso aprono e chiudono nel giro di pochi anni, o per errori di impostazione, o per improvvisazione. Aprire un negozio è di per sé complicato, se non ci si organizza bene, ma una oleoteca con cucina sarebbe la soluzione vincente, proprio perché non essendo paragonabili ai vini, gli oli si esprimono al meglio (anche sul piano commerciale) soprattutto se proposti in abbinamento al cibo. Qualora si intenda individuare un modello da seguire, allora consiglio i ristoranti -

che è giusto definire a tutti gli effetti ‘oliocentrici’ - di Palazzo di Varignana, a Castel San Pietro Terme, sui colli bolognesi: tra tutti segnalo in particolare Aurevo, nomen omen, a indicare il grande legame con l’olio prodotto nella struttura collocata all’interno del resort tra le campagne che ospitano l’azienda agricola con oltre 3oo ettari olivetati. Scorrendo tra le varie proposte regionali, si segnalano i ristoranti aperti da aziende operanti nel settore dell’olio, che non deludono certo le aspettative, ma l’elenco di ristoranti oliocentrici si fa davvero interessante. Sarebbe anzi il caso di valorizzarli tutti, segnalandoli di volta in volta. Come per esempio in Toscana, il ristorante Antico Uliveto di Seravezza, collocato in una ex casa colonica dedita alla produzione dell’olio, immerso tra gli olivi della varietà autoctona Quercetano e che tuttora propone ai clienti il proprio extra vergine. Fin qui due esempi concreti e di successo, ma la vera sfida sta nel portare il format della oleoteca con cucina nelle città, e soprattutto nelle metropoli, in modo da trasmettere, oltre a una offerta ristorativa, anche un sapere e un’esperienza.

L’olio al centro Clicca e leggi l’articolo sul web 17 | marzo 2023
E se si lanciasse il format oleoteca con cucina?

CLIENTE NON AVRÀ PIÙ DUBBI

IL CLIENTE NON AVRÀ PIÙ DUBBI

SU DOVE VIVERE UN’EMOZIONE!

SU DOVE VIVERE UN’EMOZIONE!

Immagina di fargli festeggiare una Pasqua alternativa, con gli amici del cuore, in un locale che ha sempre solleticato la sua fantasia: il tuo. Le battute con i suoi amici, le loro risate… tutto intorno a lui sembra trasmettere allegria e voglia di stare insieme.

Immagina di fargli festeggiare una Pasqua alternativa, con gli amici del cuore, in un locale che ha sempre solleticato la sua fantasia: il tuo. Le battute con i suoi amici, le loro risate… tutto intorno a lui sembra trasmettere allegria e voglia di stare insieme.

Quasi contemporaneamente si fermano, si scambiano uno sguardo che ti fa capire che hanno scelto il locale giusto per stare bene.

Quasi contemporaneamente si fermano, si scambiano uno sguardo che ti fa capire che hanno scelto il locale giusto per stare bene. Il piatto che gustano è un’esplosione di sapore.

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Martina Manescalchi

Consulente e formatore Teamwork Hospitality

La reputazione dei ristoranti vive anche del rapporto coltivato online con il cliente. E i ristoranti italiani, in questo senso, scontano un ritardo abissale rispetto a quanto fanno i colleghi europei, generalmente più attenti a rispondere a quanto si dice sul loro conto su social e portali. Secondo una ricerca condotta su un campione di ristoranti in tutt’Italia dalla società riminese Teamwork, che si occupa di consulenze per il settore dell’ospitalità, almeno uno su due non risponde mai alle recensioni pubblicate su Tripadvisor, considerato lo strumento più diffuso e utilizzato in tutto il mondo. Tra quelli che rispondono, la quasi totalità si occupa soltanto delle recensioni negative, lasciando senza risposta quelle positive. Insomma, i clienti dedicano del tempo a scrivere complimenti e raccomandazioni su una determinata struttura, generando passaparola positivo e facendo pubblicità gratuita al ristorante e i titolari non si prendono nemmeno la briga di ringraziarli. Per quanto riguarda le recensioni negative, nei rari casi in cui i ristoratori rispondano, il tono utilizzato è spesso sprezzante e aggressivo e assume l’aspetto di uno scontro personale tra il cliente/recensore e il ristoratore. Il ristoratore deve considerare che il cliente che ha pubblicato una recensione negativa è già perduto (forse) per sempre e non ha alcun senso personalizzare la questione. È invece importante rivolgere la risposta all’intera platea dei possibili clienti futuri, offrendo loro un’immagine di affidabilità, cortesia e attenzione alle problematiche espresse dai clienti. Liquidare tutto con poche e semplici battute al vetriolo non risolve nulla, anzi peggiora la reputazione del locale. Certo è difficile per un ristoratore che mette molta passione nel suo lavoro accettare stroncature anche pesanti da parte di persone spesso minimamente preparate a giudicare. Questa dinamica si innesca purtroppo nello stesso modo sia in locali con un posizionamento qualitativo (e di prezzo) medio/ basso, sia nei ristoranti top, in quelli stellati, nei quali si usa perlopiù la stessa glaciale indifferenza alle recensioni anche entusiastiche lasciate dai clienti. Giudicare il lavoro di un ristorante è più difficile rispetto, per esempio, a un hotel, nel quale la qualità può essere più facilmente oggettivata. In un ristorante sono tante le variabili in gioco, spesso la sensibilità dello chef è diversa rispetto a quella del cliente e questo genera disorientamento. Spes-

Perché i ristoratori non rispondono alle recensioni?

so i clienti non capiscono molto bene la filosofia che sta dietro al ristorante e rimangono delusi: in questo senso rispondere puntualmente alle recensioni può dare l’opportunità al ristoratore di spiegare a tutto il mercato il perché un piatto sia stato realizzato in un determinato modo, quali siano le ricerche a monte e la natura della proposta, trasformando una recensione negativa in un messaggio positivo. Se, invece, la recensione negativa è frutto di errori (scortesia, ritardi ecc.) è indispensabile scusarsi, senza mezzi termini, magari spiegandone i motivi. I ristoratori odiano Tripadvisor perché non hanno capito che il mondo attorno a loro è cambiato per sempre. Una volta il rapporto con il cliente iniziava e si concludeva con il servizio, tra aspetti positivi o negativi. Ora la tecnologia ha allargato questo rapporto in un tempo più ampio, tra dimensione social e gestione delle recensioni. Solo con un deciso cambio di mentalità i ristoratori italiani colmeranno questo gap che è, prima di tutto, culturale. Continuando a far bene il proprio lavoro, che è occuparsi dell’ospitalità dei clienti, ma allargando i propri orizzonti all’universo social e curando maggiormente la propria reputazione online. La classifica su TripAdvisor influisce inoltre sull’ordine in cui i ristoranti vengono mostrati nel momento in cui si apre la app da mobile, per cercare ad esempio una struttura nelle vicinanze. Idem per quanto riguarda le recensioni su Google. Restare in coda danneggia quindi reputazione e fatturato.

L'ospitalità
19 | marzo 2023
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La digital trasformation

Chi opera nel settore dell’ospitalità probabilmente ha passato buona parte del 2022 a leggere notizie su come il lavoro stia cambiando e quali sono le problematiche che attanagliano il settore.

Per questo motivo, occorre che i diretti responsabili gestiscano accuratamente gli investimenti in termini di persone e tecnologia, promuovendo un’esperienza positiva per i dipendenti e una maggiore automatizzazione.

Secondo uno studio di Gartner, le principali priorità e sfide HR per il 2023 saranno una leadership efficace e la gestione del cambiamento, seguite da temi come l’esperienza dei dipendenti, il processo di recruiting e il futuro del lavoro.

Ecco le principali tendenze HR per il 2023:

1) Benessere economico dei dipendenti

Con il perdurare dell’aumento del costo della vita, la maggior parte dei dipendenti continuerà a dichiarare che il proprio reddito non terrà il passo con l’inflazione. Per ridurre il rischio di perdere talenti, oltre alla parità salariale e alla revisione delle retribuzioni (dove possibile), si dovranno introdurre modi più creativi per riconoscere e premiare il personale e offrire vantaggi competitivi.

2) Modalità di lavoro flessibile

Si stima che le assunzioni nel settore alberghiero continueranno a essere difficili, per cui le aziende alberghiere e di ristorazione che offrono ai dipendenti una maggiore libertà in termini di quando e come lavorare potrebbero avere la meglio nell’attrarre talenti. Alcuni operatori del settore alberghiero si stanno già muovendo in questa direzione. Per esempio, l’hotel Landmark di Londra, nel Regno Unito, ha introdotto la settimana lavorativa di quattro giorni per i suoi chef. Per favorire la flessibilità nell’industria del turismo, le aziende dovranno investire in nuove tecnologie che offriranno maggiori opportunità di ridurre il carico di lavoro potendo automatizzare tutto ciò che è ripetitivo e a basso valore.

3) Sviluppo personale e di carriera

I datori di lavoro dovranno permettere ai collaboratori, in base alle loro specifiche esigenze ed aspirazioni, di po-

ter apprendere nuove competenze attraverso l’istruzione online e off-line, sfruttando le opportunità offerte dai fondi interprofessionali o dai numerosi bandi regionali e non.

Raggiungere questo obiettivo comporterà un cambio culturale soprattutto del management che fino ad ora non ha dato sufficiente spazio a questo aspetto.

4) Capacità di attrarre e assumere talenti

L’indagine di Gartner indica che nei prossimi sei mesi si prevede un aumento della concorrenza per attrarre i migliori talenti.

Data la scarsità di talenti nel settore dei viaggi e del tempo libero, i dipendenti pongono al datore di lavoro nuove esigenze e priorità rispetto alle quali misureranno la propria soddisfazione lavorativa. L’attenzione dei responsabili delle risorse umane si concentrerà quindi sulla corrispondenza tra talento e risultati aziendali.

5) Tecnologia nelle risorse umane

Con l’incremento della tecnologia e la conseguente variazione del rapporto dipendenti/ospiti, le responsabilità dei dipendenti cambieranno. La pandemia ha accelerato l’uso dei codici QR nei ristoranti, modificando il lavoro del personale di sala. Anche l’adozione di metodi di pagamento contactless e digitali influenza il lavoro del cameriere. Questi sviluppi tecnologici evidenziano i potenziali cambiamenti che interessano i lavoratori dell’ospitalità in termini numerici, di funzioni e competenze.

Le principali tendenze del lavoro per il 2023 nell’ospitalità
21 | marzo 2023
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La riflessione

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Le sfide più grandi

Etica e sostenibilità, termini difficili da affrontare (anche nella ristorazione) ma imprescindibili per il futuro

Mentre scrivo questo pezzo raccolgo un indicatore importante: uno dei termini più cercati in rete in relazione all’etica in questi giorni che anticipano la prima Convention di Amodo è l’etica dell’intelligenza artificiale.

Per chi avesse finora ripudiato l’argomento l’intelligenza artificiale (IA) è l’abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali ragionamento, apprendimento, pianificazione e creatività. Un’innovazione che, come altre nell’ultimo decennio, sembra lontana anni luce dalla nostra imperturbabile quotidianità e che invece sta già bussando alle nostre porte con dimostrazioni pratiche sbalorditive.

Ci è difficile segnare i confini di questo cambiamento epocale, prevederne gli esiti, capire cosa sostituirà chi e quanto sarà positivo o negativo il bilancio di una convivenza su larga scala con l’intelligenza artificiale. Però, va detto, è un fatto buono riscontrare che l’uomo si stia interrogando sull’etica, sul rischio che sta correndo la nostra capacità di pensiero.

Sulla possibilità che ciò che è giusto e ciò che è sbagliato vengano confusi, dimenticati dalla ragione, e che a un certo punto ci si affidi irrimediabilmente a qualcunopardon qualcosa - che decida, impari, sviluppi, direzioni al posto nostro.

Nessun discorso sui massimi sistemi e sui benefici e i danni del progresso, non è questa la sede. Solo il desiderio, con questa introduzione, di darvi ulteriore motivo per approfondire il progetto Amodo. Una rete che abbiamo voluto fortemente come redazione e che sin dalla sua origine si è proposta di parlare non di qualcosa di diverso, ma di qualcosa di concreto, auspicabilmente misurabile, fondato su un’etica vera, fatta di azioni e risultati e non di slogan, classifiche, intenti commerciali. Abbiamo voluto mettere sul tavolo le carte “scomode”, visibili, per stimolare un confronto produttivo, con chi ha voglia di starci. Ci auguriamo che assieme agli attuali e futuri aderenti alla rete si riesca a trovare la lucidità su alcuni temi, a portare iniziative utili ad altri ristoratori o per i settori interconnessi all’ospitalità, a stimolare un pensiero etico, a condividere dei modelli virtuosi contrassegnati da grande senso di responsabilità su tutti i segmenti delle filiere.

La sostenibilità, a braccetto con l’etica

Ci proponiamo di narrare modelli simili a quello che vi racconto tra poche pagine, dell’azienda Salcheto di Montepulciano, avanguardista su tutti gli ambiti della sostenibilità. Un realtà che ci dimostra come un sistema possa essere di questa nobile natura, ovvero realmente sostenibile, nell’approvvigionamento, nella trasformazione, nell’economia interna ed esterna e nel rapporto con cliente. Sostenibilità ed etica non sono la medesima cosa ma in questo periodo storico vanno a braccetto più che mai. Perché il pensiero corretto, il pensiero buono che citavo prima, non può prescindere dalla cura e dal rispetto per il futuro, sia in termini sociali che ambienta-

li. Ci racconta Michele Manelli, di cui troverete più in là l’intervista completa:

“Cultura e misurazione sono le parole chiave della sostenibilità e servono entrambe. La prima dà significato, la seconda è essenziale per ottenere il risultato. La sostenibilità è infatti di per sé un concetto quali-quantitativo: la sfida è rispondere a questo concetto con le evidenze. La domanda che ritengo alla base della sostenibilità e dell’atteggiamento etico è: come facciamo a gestire gli elementi presenti, in modo da garantire un luogo giusto e accogliente per le generazioni future? Per il sottoscritto, a cui piace essere concreto, è un problema di gestione a cui bisogna rispondere con informazione, logica e analisi quantitativa”. È proprio così che agiscono da Indigeno - Cucina Terrestre, il ristorante (membro sin dalle prime battute della rete Amodo) collocato all’interno della cantina Salcheto, in cui, prima di costruire, si sono posti degli interrogativi trasversali, a partire dai percorsi degli ingredienti. “Da dove provengono i nostri ingredienti? Il lavoro è stato lungo ma abbiamo stretto il cerchio: le verdure derivano dai nostri orti, la carne proviene solo da oche di allevamento proprietà o da cacciagione locale, le uova sono di Paolo Parisi, il pesce di lago viene pescato da una cooperativa sociale. Questi ingredienti sono dettagli a cui dedichiamo

Stilla, ristorante affiliato ad Amodo
23 | marzo 2023
L'orto nel piatto di Michele Biagiola, uno dei piatti simbolo di Amodo
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la stessa attenzione del protagonista principale: il pane. Abbiamo immaginato la ristorazione attorno al pane ottenuto da farine da grani antichi e lievito madre che per noi è definizione di etica, sostenibilità e condivisione, se nasce proprio così, con lo sguardo agli effetti presenti e futuri. Per il ristorante Indigeno abbiamo investito, al pari della cantina, sul tema dello spreco zero e dell’ottimizzazione energetica”.

Passando al rapporto tra etica e sostenibilità, aggiunge:

“Nella ristorazione penso sia ancora tutto da fare: mancano molti ambiti da indagare e mancano strumenti per un’analisi oggettiva. Come si fa a districarsi in questa giungla di informazioni? È difficile analizzare la veridicità perché non esistono ancora gli strumenti adeguati. La ristorazione è stata per lungo tempo viziata da una mancanza di informazioni nell’ambito della sostenibilità, della gestione del lavoro, della formazione. La comunicazione oggi, oltretutto, tenta di abbattere la possibilità di un approccio sostenibile ed etico perché antieconomico. Ma non è sicuramente questa la strada per risolvere il problema del lavoro, dei pagamenti ai fornitori, del precariato giovanile, della digitalizzazione nel nostro Paese. La soluzione è fare ricerca e applicare”.

Il paradosso della ricerca nei nostri giorni

A proposito di ricerca, dopo aver parlato con lo chef Lorenzo Cantoni (troverete anche in questo caso l’approfondimento all’interno della rivista) e con i bravi professionisti che lo accompagnano nel progetto Il Frantoio, viene da pensare a quando, in alcuni locali, si incontrano informazioni veicolate in modo coerente e preciso e quando invece si trovano approssimazione e non corrispondenza nei fatti.

“L’utilizzo inappropriato di termini come sostenibilità, economia circolare, etica, benessere degli animali… e la narrazione poco aderente alla realtà sono vizi che una

fetta di ristorazione fa davvero fatica a scollarsi di dosso” ci dice Lorenzo.

Un cliente attento, però, lo capisce subito se chi parla conosce davvero ciò che sta raccontando. Per questo siamo convinti che la conversazione con il cuoco o il personale di sala non debba essere una lezione, né un racconto imparato a memoria, ma debba essere oggetto di approfondimento, discussione e scoperta reciproca. Proprio come avviene a Il Frantoio. Poi si deve fare i conti con un paradosso che incontriamo in alcuni ristoranti, che ricalca a un meccanismo odierno: la sovrabbondanza di fonti e strumenti informativi si scontra con la tendenza a dimenticare le notizie nel giro di qualche ora. Pensate a quante volte si legge una notizia, o si fa una ricerca, dimenticandosene i contenuti nel giro di qualche ora. Non solo: oggi c’è l’inclinazione a banalizzare le informazioni, a dare per vero un titolo, una dichiarazione, uno slogan a prescindere, senza appurarne la veridicità…

“La ricerca è una sfida, non è immediata e richiede tempo. La comunicazione all’esterno è l’ultimo passaggio, non il primo” dice Lorenzo Cantoni a tal proposito.

È questo probabilmente ciò che decreta la differenza tra una ristorazione seria, attenta, etica, e una ristorazione che si professa solo tale. Quest’ultima è quella che rischia di perdere i pezzi man mano che avanza il progresso.

Scopri Amodo, la rete dei ristoranti etici
24 |
2023
Il pane di Indigeno Cucina Terrestre
marzo

Che fine sta facendo la pensione completa?

Si apre un grande spazio per la ristorazione esterna

La pensione completa, quella formula che ha connotato l’inizio del turismo di massa negli anni del boom economico del secolo scorso, sta scomparendo.

C’è una colpa in tutto questo? Il primo colpevole, o forse il primo innovatore, è stato il Covid. Negli anni scorsi la crisi che ha colpito gli alberghi ha lasciato un segno profondo; in quel periodo si è cercato di ridurre i costi di gestione, e la voce più importante è stata la ristorazione, alla quale molti alberghi hanno dovuto rinunciare per poter sopravvivere, offrendo ai turisti non più la pensione completa, ma la formula B&B.

A questa causa si aggiungono altre ragioni: crisi del personale che impedisce il servizio su tre turni, cuochi che non vogliono più lavorare su menu banali e pensati solo in funzione organizzativa, una diversa richiesta degli ospiti.

“Quest’anno ho dovuto chiudere la cucina perché il cuoco si era messo con l’animatrice e non combaciavano gli orari per il loro rapporto personale” ci racconta un albergatore di un family hotel. Anche questo è un tema che non si racconta mai quando si parla di lavoro nella ristorazione.

L’analisi
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Le parole di Mauro Santinato, ad di Teamwork

“Trent’anni fa – ci racconta Mauro Santinato – nei miei corsi di formazione avevo già anticipato il problema. Infatti mi chiedevo e chiedevo agli albergatori presenti ai corsi di formazione: ma dov’è che si ordina cosa si desidera mangiare per il pranzo e la cena del giorno dopo? Neppure in carcere. Quella era una violenza psicologica agli ospiti, fatta non per dare il meglio della cucina ma per semplici motivi organizzativi”.

Non poteva reggere questo stato di cose come non può più essere accettabile, nel 2023, servire pranzi e cene dove il pesce pangasio o la pasta più a buon mercato che ci sia domini i menu di pensione completa.

“Oggi non esiste un dato statistico ufficiale ma il sentiment, almeno sulla riviera romagnola che aveva costruito il suo posizionamento sulla pensione completa, ci fa dire che almeno il 50/60% delle pensioni e degli hotel stanno rinunciando alla pensione completa. –afferma ancora Mauro Santinato – Si stanno riposizionando su mezza pensione, brunch, colazioni fino al mezzogiorno. Però quelli diventano spazi vuoti che, ad oggi, nessuno pensa a come utilizzarli. C’è ancora, in questo Paese, una visione dell’hotellerie come servizio dalla sera al primo mattino. Esattamente il contrario

di quello che pensa Sébastien Bazin, amministratore delegato del gruppo Accor, il più grande gruppo alberghiero a livello internazionale: vuole che il 60% dei suoi alberghi siano occupati dalle 7 alle 23”.

Continua Mauro Santinato: “Cosa voglio dire con questo? Che in Italia è più facile rinunciare che pensare alla competitività! Che non si è mai fatto un calcolo economico serio di quanto la ristorazione, se fatta bene, con buone materie prime, più legata al territorio, possa diventare un ulteriore business per l’albergatore. In questo modo, visto che le persone devono comunque mangiare, si apre un nuovo potenziale mercato per la ristorazione esterna”.

Le formule di bed&breakfast

Questa tendenza dovrebbe almeno vedere un riposizionamento del breakfast come momento determinante del pasto di mezzogiorno.

“Anche qui ci sono regole da cui non si può transigere se si offre la formula del b&b. – prosegue Santinato –Oltre ad offrire una camera contemporanea, non uso a caso questo termine che significa, via la moquette, letti senza giunture nel caso di letti matrimoniali, termostato dell’aria condizionata comprensibile, è fondamentale che il breakfast tenga conto della qualità delle materie prime, della diversità di gusti e bisogni dell’ospite, dell’estetica del buffet, del servizio che deve as-

26
marzo 2023
|

secondare l’umore dell’ospite al mattino appena sveglio che è quasi sempre diverso da quello durante il giorno. Fare un breakfast serio e importante richiede personale qualificato, forse più che durante un servizio a pranzo”.

La ristorazione esterna

Il cambiamento in atto coinvolge soprattutto le strutture alberghiere a tre stelle, dove il costo medio di pensione completa è accessibile a chiunque.

Negli hotel di lusso, invece, la ristorazione, oltre ad essere un business ben identificato, rappresenta l’immagine dell’hotel.

Con questo non vogliamo dire che la ristorazione esterna accoglierà i poveracci del turismo, anzi. Per catturare tutta la massa di turisti che si rivolgeranno, da quest’estate, nei ristoranti diventerà fondamentale mettere in campo un corretto rapporto qualità-prezzo, tenendo conto anche di diversi fattori che, fino a tre anni fa, non esistevano neppure.

Il primo fattore è costituito dai dati che il Censis ha elaborato nel secondo rapporto sui consumi fuorica-

sa, presentato in anteprima al congresso Italgrob di Rimini, in occasione di Beer Attraction, nelle scorse settimane: il 91,1% degli avventori apprezza di più i locali che comunicano in modo chiaro e trasparente le proprie scelte sostenibili ed etiche. La sostenibilità e l’etica non costano di più nella gestione di un ristorante. Sono frutto di un preciso comportamento che viene apprezzato sempre di più dagli ospiti di un ristorante.

Quindi, al posto del menu turistico con i fantomatici spaghetti alla bolognese, cominciamo con il mettere fuori dalle porte menu pensati, a volte legati ai territori, ma sempre chiari, comprensibili, identitari. Anche in questo modo si fidelizzano le persone in vacanza!

27
| marzo 2023

La formazione

Autrice: Simona Vitali

Buone pratiche

di orientamento scolastico

Quando le risposte arrivano dalle singole buone scuole o da gruppi di esse

Riprendiamo il filo in materia di orientamento scolastico.

Dopo aver passato in rassegna una sorta di quadro delle responsabilità, evidenziando – una volta tanto – chi, più o meno consapevolmente, svolge il ruolo di detrattore della scuola alberghiera,ora invece iniziamo a raccontarvi di chi con il proprio ingegno, la propria buona volontà, il proprio tempo extra si sta demigliorare le azioni di orientamento scolastico, nelle sue diverse fasi, nobilitando così la propria scuola a caso virtuoso, con il conforto di numeri

L’operazione che andiamo a fare è quella di estrarre in modo mirato, da un campio, particolari azioni che potremmo definire interessanti ma soprattutto efficaci, e pure emulabili. Perché ci sono casi in cui copiare, o meglio lasciarsi contaminare, non è

I primi risultati delle iscrizioni per l’anno scolastico 2023/2024

Innanzitutto però , diamo uno sguardo ai primi dati, forniti dal Ministero dell’istruzione e del merito, circa le iscrizioni per l’anno scolastico 2023/2024 e troviamo ancora in testa i licei, con i loro diversi indirizzi, scelti dal 57,1% dei neoiscritti (contro il 56,6 % dello scorso anno) e in aumento la scelta degli istituti tecnici, che salgono al 30,9% rispetto al 30,7% dell’a.s. 2022/2023. professionali passa dal 12,7% di un anno fa al 12,1%, con una scelta dell’indirizEnogastronomia e ospitalità alberghiera” che si attesta intorno al 4%

ACCOGLIENZA
Roberto Franca, dirigente dell'istituto Alberghiero Santa Marta di Pesaro Clicca e leggi l’articolo sul web

La migrazione da altre scuole: il protocollo di accoglienza

Ma, come si suol dire, “i giochi” non sono ancora chiusi perché di fatto ai ragazzi è concesso un ripensamento: entro il 30 novembre possono decidere di cambiare scelta

In quella fase si assisterà alla migrazione da una scuola all’altra, fenomeno che non va sottovalutato, nel senso che si pone esso stesso come indicatore di un orientamento non ben riuscito. Parlando con il dirigente dell’istituto alberghiero Santa Marta di Pesaro, Roberto Franca, è emerso ad esempio che solo nell’anno in corso sono stati 58 i ragazzi provenienti da altre scuole - perlopiù dal

liceo - che hanno chiesto di essere ammessi all’alberghiero. Per loro al Santa Marta è stato predisposto una sorta di protocollo di accoglienza (riorientamento), così lo hanno chiamato, valido per il biennio, che prevede l’accesso senza esami integrativi (come dice la legge), con inoltre la sospensione del voto nel primo quadrimestre e attività di riallineamento dei programmi. Una volta si chiamava passerella poi l’hanno abolita.

Orientamento in ingresso: gli open year

Giusto questo fatto della migrazione da altre scuole che si perpetra ormai da anni, ha fatto maturare al dirigente dell’alberghiero di Pescara e al suo staff il pensiero di

29 | marzo 2023

provare a intercettarli prima questi ragazzi, mentre stanno frequentando le alle scuole medie (scuole secondarie di primo grado), per aumentare il numero di iscritti.

“Ci siamo detti - ci racconta Roberto Franca - che senza fermarci agli open day potevamo fare gli open year, cioè la scuola aperta tutto l’anno. Non è stato semplice predisporre “l’impianto” nel senso di tararci su questa nuova frequenza: siamo partiti quattro anni fa col progetto, diventando operativi da due anni a questa parte. In sostanza, a maggio dell’anno che precede il nuovo anno scolastico, ci proponiamo direttamente alla scuola media con un’offerta didattica, precisamente una serie di progetti della durata di un anno, i cosiddetti “compiti di realtà” (o UDA, unità di apprendimento). Questi altro non sono che pacchetti pluridisciplinari - e ciò di solito è molto gradito - fra cui ogni classe sceglierà il suo (potrebbe essere la preparazione di un pacchetto turistico, oppure un percorso che riguarda più l’alimentazione magari la tipicità di un paesino dell’entroterra...) che servono per la certificazione delle competenze. I programmi ministeriali infatti non esistono più, ci sono solo traguardi di competenza. Questo vale sia per la scuola media che per quella superiore (scuola secondaria di secondo grado), dove vengono coinvolte la classe seconda dell’una e dell’altra, in una sorta scambio continuo, gemellaggio, fra gli studenti. La cosa interessante è che non proponiamo qualcosa di più ma ci integriamo nel programma di quella classe per quell’anno. In tutto questo il ruolo dei prof è quello di registi: quelli delle medie intanto comprendono pure come la scuola alberghiera sia una scuola del fare, dove si studia in modo diverso, facendo esperienza. Un altro aspetto positivo degli open year è che si rivolgono a intere classi, non a studenti già selezionati, come ci capitava negli open day, dove magari incontravamo solo cinque studenti”.

Coinvolgere gli operatori di settore negli open year

La riflessione del dirigente si fa ancora più interessante quando ci confida un suo intento che si collega all’orientamento finale: “Quello che mi manca, e ci sto lavorando su, è coinvolgere in questi compiti di realtà gli operatori di settore magari anche locali (ristoratori, albergatori...). Io gliel’ho detto più volte: inutile che veniate a fare i discorsi all’interno della scuola alberghiera, non servono. I ragazzi sono già lì, il problema è che sono pochi, noi dobbiamo farli entrare all’alberghiero! Voi mi dovete dare una mano con le scuole medie, quindi anche con i genitori... però, per favore non cominciate a lamentarvi. Dovete trasmettere la passione e la bellezza di fare questa professione,

se no diventa un effetto boomerang. Ecco, questo diventa un orientamento anche per il dopo”.

Massicce campagne pubblicitarie

Sempre in materia di promozione degli istituti alberghieri c’è un aspetto che a nostro avviso non andrebbe trascurato: la comunicazione della reale bellezza del mondo dell’enogastronomia e della ristorazione e della possibilità di entrare a farne parte, iscrivendosi alla scuola alberghiera.

Paolo Aprile, dirigente del Polo Tecnico del Mediterraneo di Santa Cesarea Terme, ci ha messo a conoscenza già da qualche tempo che ci sono intere reti regionali di istituti alberghieri, quindi non singoli istituti, che si stanno muovendo con campagne tv ma non solo, per promuovere l’indirizzo, non il singolo istituto. È il caso della Puglia ma anche della Toscana e del Piemonte. Sarebbe importante che diventassero campagne istituzionali e quindi nazionali e venissero gravitate, fra gli altri canali, anche attraverso quelli televisivi.

Dopo questa carrellata di spunti in materia orientamento in ingresso, ne abbiamo in serbo altri sull’orientamento in itinere che saranno l’oggetto del prossimo articolo. Solo in ultima analisi, quindi in un ulteriore articolo, dedicheremo l’intero spazio a una scuola che, a nostro avviso, in questo momento rappresenta il modello ideale, in quanto ha saputo precorrere - anticipando i tempi - le linee guida che il Ministero dell’istruzione e del merito sta dettando per i prossimi anni.

30 | marzo 2023
Agenda 2030 fatta propria dall'Istituto Alberghiero Santa Marta di Pesaro

LA RETE DEI RISTORANTI ETICI

2023

LA RETE DEI RISTORANTI ETICI

È un progetto

che vuole dare valore ai ristoranti che abbiano l’etica del lavoro.

Per saperne di più amodo.salaecucina.it dove si può inviare la scheda di adesione

Amodo, la rete dei ristoranti etici

Autrice: Giulia Zampieri

Il frantoio di Assisi, tra culto dell’olio e ricerca vera

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Non me ne vorranno Lorenzo Cantoni ed Elena Angeletti, il primo chef la seconda proprietaria del ristorante Il Frantoio, se inizio a raccontare questo luogo dalla cittadina che lo ospita. Assisi, un’isola spirituale, oltre che una delle mete più ambite del centro Italia, che ha la capacità di infondere pace e stimolare la riflessione anche a chi non è solito dedicare tempo a queste dimensioni.

La si scopre nella sua silenziosa bellezza arrivando in auto, scorgendola sulla punta nord-occidentale del Monte Subasio, incontrando prima gli ulivi disposti ordinatamente alla base, e poi via via crescendo con lo sguardo individuandone le mura, l’imponente Basilica di San Francesco, il profilo allungato, i dettagli più intimi.

A questo punto c’è un consiglio spassionato che ho da rivolgervi: prima di raggiungere il ristorante

Il Frantoio, che si trova in una posizione panoramica privilegiata nel cuore di Assisi, perdetevi tra le vie del centro. Imboccate i cunicoli, le scalinate nascoste e osservate gli angoli più ameni. Fatelo senza interferenze e senza vaghe parole, ne vale la pena.

Un ristorante con una vista lunga e tanto da raccontare

Il Frantoio, se giungete da sopra, lo troverete al termine di una scalinata. È parte del Fontebella Palace Hotel, un complesso strutturale storico da oltre cinquant’anni dedicato all’ospitalità, voluto da Giovanni Angeletti e oggi curato con grande senso di responsabilità, e non poca energia, dalla figlia Elena

Proprio Elena potreste incontrare una volta varcato l’ingresso de Il Frantoio; qui fa le veci di una defilata padrona di casa che lascia il giusto spazio alla sala, alla cucina, alla lunga vista sulla Valle Umbra, valorizzata congiuntamente da tutti, qui dentro, come se fosse la miglior portata che si possa servire, a prescindere dalle stagioni e dal clima.

Un’ampia vetrata rivolta verso ovest, infatti, consente di ammirare il paesaggio in profondità, includendo le sagome delle abitazioni e particolari traiettorie che si perdono nel verde.

Non serve esporsi molto per scorgere poi il giardino del ristorante, uno spazio che attende i fiori in primavera, da godersi pasteggiando, a pranzo o cena, in bella stagione. Un luogo di pace, in perfetta armonia con ciò che lo circonda, ma che ha molto altro da raccontare.

L’orientamento fiero di Lorenzo Cantoni

Veniamo dunque alla cucina in cui dal 2021 c’è Lorenzo Cantoni, giovane chef umbro che dopo un entusiasmante migrare tra cucine importanti ha trovato l’occasione migliore per ritornare nella propria terra. Un’occasione fortuita, come ama ricordare spontaneamente Elena, ma indubbiamente rivoluzionaria per Il Frantoio: Lorenzo ha portato identità e innovazione alla cucina mettendo al centro l’etica, la ricerca, la tecnica e… l’olio.

Sì, l’olio, un alimento a cui questa insegna si dedica e non solo per il nome. Basta qualche minuto per capire che l’olio e la pianta dell’olivo qui vengono trattati in modo serio.

Sono protagonisti, e non solo per la tinta color oliva della parete, o per i bellissimi tavoli in vetro con le foglie di olivo incastonate (meravigliosi pezzi di artigianato, voluti dallo stesso Lorenzo, che possono provocare una dipendenza tattile), ma per la precisione con cui gli oli extra vergine di oliva vengono narrati, impiegati nei piat-

ti, serviti sin dal momento in cui si prende posto. Niente lezioni accademiche quando ve li racconteranno, bensì spiegazioni comprensibili che danno il giusto valore alle straordinarie produzioni del nostro Paese.

“Ne abbiamo in carta oltre quaranta” ci racconta il maitre Marco Polticchia, servendo il primo a fianco a un pane ottenuto da pasta madre con lievitazione di oltre due giorni. “Qui si ha l’opportunità di provare varietà e blend davvero introvabili” aggiunge.

Gli oli vengono selezionati praticamente da ogni regione d’Italia, offrendo infinite possibilità di abbinamenti gastronomici e di scoperte fuori dalla portata dei comuni ristoranti. Ce n’è anche uno che porta anche la firma di Lorenzo e Elena, l’Elly e Ello, ottenuto da (Moraiolo, Frantoio, Leccino e San Felice); suona come un sigillo di amicizia e del rapporto professionale che scorre tra i due, oltre che essere davvero eccellente. Per gli appassionati, o per chi vuole approcciare al mondo dell’olio, c’è anche una garanzia ulteriore venendo qui: Lorenzo Cantoni è stato insignito nel 2021 del premio Miglior Chef dell’Olio A.I.R.O. (Associazione Internazionale Ristoranti dell’Olio)” e nel 2023 Miglior Ristorante d’Italia per l’utilizzo dell’olio extravergine di oliva per l’associazione nazionale Città dell’olio.

L’etica reale e locale

Lorenzo ha un’idea molto chiara non solo del mondo dell’olio, ma della cucina tutta: il percorso comincia dalla disponibilità che c’è in natura.

Su questo aspetto è intransigente, al punto da introdurre al ristorante le materie prime solo quando sono disponibili e quando l’origine è davvero conosciuta, a costo di asciugare il menu o ripetere alcuni ingredienti nelle voci in carta.

33 | marzo 2023
Elena Angeletti e Lorenzo Cantoni

“Fare ricerca significa sicuramente lavorare sulle tecniche per raggiungere dei risultati inattesi, ma far ricerca per noi significa prima di tutto andare all’origine delle questioni” dice.

Per Lorenzo e la sua brigata vuol dire, e ce lo spiegherà nei minimi dettagli, conoscere il metodo di allevamento dei bisonti adottato Massimiliano Gatti, prima ancora di pensare a come lavorare la pregiatissima carne che ne deriva; o ancora, avere come fornitore di erbe aromatiche un’azienda, La Clerice - Orto Sinergico, condotta dai due giovani fratelli Diego e Davide Narcisi che coltivano con pratiche realmente biologiche ortaggi, frutta e botaniche innescando un circolo sostenibile e sincero.

Diego e Davide sono in piena sinergia con Lorenzo, li ha cercati e voluti lui, e lavorano spalla a spalla… ma solo quando la natura e le condizioni di coltivazione lo permettono!

La tecnica funzionale all’etica

Di relazioni stabili e virtuose con prodotti e produttori potremmo citarne molte altre, ma meritano attenzione anche la ricerca gastronomica e le tecniche messe in campo da Lorenzo. Come sapete non siamo un magazine che riporta meticolosamente gradi, temperature o passaggi di preparazione, e raramente entriamo nei dettagli di piatti, consistenze e sfumature gustative. Ma la ricerca temeraria di Lorenzo in campo tecnologico va raccontata. La costanza e la dedizione gli hanno permesso di arrivare a piatti indubbiamente buoni e tecnicamente complessi, ma che nascondono un significato culturale ed etico che amplifica il piacere, (visto che per noi, e ci auguriamo anche per i nostri lettori, si mangia anche con la testa).

Per esempio il foie gras etico ottenuto dalle frattaglie d’oca lavorate con un blend di oli umbri (la cui narrazione storica sull’origine è molto interessante); oppure lo straordinario burro all’olio d’oliva, un grasso solido, ottenuto da olio extra vergine di oliva, bilanciato, versatile ed esplosivo che viene impiegato in tutte le preparazioni che richiedono il burro. Il consiglio è di assaggiarlo anche al naturale, è una vera sorpresa.

“Abbiamo lavorato assiduamente al burro all’olio. Era assurdo avere un’eccellenza regionale a disposizione e non poterla impiegare in modi alternativi, in sostituzione a prodotti che avremmo acquistato necessariamente fuori dall’Umbria” ci racconta con grande soddisfazione Lorenzo.Insomma dietro alla tecnica qui c’è un modo di far ricerca che non è fine a se stesso; parte da un pensiero, cercando di trasformarlo in qualcosa di concreto.

Ristorante Il Frantoio

Foie gras etico. Foto Andrea Fongo
Via Fontebella, 25, 06081 Assisi PG Tel. 075 812242 www.ristoranteilfrantoioassisi.it

La ristorazione

Vietato sbagliare il dessert nella ristorazione È anche una questione di rispetto

Che sia una coccola, diciamo pure un momento di conforto, un rito irrinunciabile, nel senso di abitudine radicata, o uno sgarro calcolato, magari dopo una settimana di rigore, il momento del dessert al ristorante rivesteper tanti – una sua importante valenza. Per tutti i motivi sopracitati, e anche di più, chiede almeno pari dignità rispetto agli altri piatti e di conseguenza pari attenzione, cura.

Chi tiene alla propria attività non deve mai dimenticare che la valutazione il cliente la fa sul complesso della proposta, di cui il dessert è parte integrante, “voce” all’interno del menù e non cosa a parte.

Ecco perché porsi la questione di non sbagliare il dessert non deve apparire una frivolezza ma piuttosto far maturare la presa di coscienza che, in questo nostro tempo, ci sono tutti gli strumenti non solo per fare bene ma per migliorare continuamente la propria offerta.

Ne abbiamo parlato con figure che ricoprono ruoli diversi all’interno del mondo dolce e lo fanno ai massimi livelli, ognuno nel proprio, chiedendo loro cosa rilevino a questo proposito, quale sia la loro visione ma soprattutto i loro consigli. Perché tutti, dall’osteria al ristorante di livello, ciascuno secondo la propria natura e le proprie possibi-

lità, rispondano al meglio a questo che a tutti gli effetti è un bisogno da soddisfare.

Denis Dianin, Maestro AMPI, è titolare di una boutique-pasticceria, d&g patisserie di Selvazzano Dentro – PD – (interessante format che vira dal dolce al salato, perché ogni momento della giornata trovi una sua risposta). Ha ideato il brand Invero, che per primo ha portato la vasocottura nel mondo del lievitato dolce. È inoltre consulente per aziende produttrici e trasformatrici che operano nel food service.

“Sono spesso in movimento per lavoro e questo mi consente di fare veri e propri tour enogastronomici. Scelgo ristoranti di un certo livello, stellati e non, ma amo anche locali più semplici che esprimano il territorio. Devo dire che mangio sempre molto bene. Quanto al dessert credo che sia una questione di aspettativa Laddove è alta - vale a dire in quei locali di livello dove si tende a strafare cercando l’effetto wow - mi capita che il dolce, quanto a struttura e qualità, risulti deludente. Laddove invece l’aspettativa non è così alta basta un po’ più di ricerca sulla materia prima e qualcosa di rielaborato per restare felicemente sorpreso.

Denis Dianin
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Oggi come oggi ci sono diversi strumenti e soluzioni per non sbagliare il dessert. Chi ha qualche risorsa economica in più può fare formazione e investire in azienda - cosa che stiamo vedendo all’interno di diver si hotel - coinvolgendo un pastry chef che aiuti ad improntare la linea di dessert per piatto, che poi lo staff sarà chiamato a portare avanti. In questo caso c’è un doppio vantaggio: proporre dolci azzeccati e, nel tempo, creare un’indipendenza delle figure dedicate. Altra possibilità è di coinvolgere un pasticcere che possa improntare un prodotto da ristorazione, un dessert al piatto più razionale, contemplando magari anche la piccola pasticceria di cui ha padronanza. Bisogna che il ristorante identifichi la propria personalità e in base a questo scelga, fra queste diverse figure, il consulente più adeguato. Negli altri casi invece, ovvero dove non c’è la forza per fare investimenti, è meglio rivolgersi ad una pasticceria a cui si può chiedere il prodotto in forma di semilavorato, quindi da assemblare, oppure finito (anche semplici monoporzioni da impiattare e decorare). In ogni modo non bisogna dimenticare che il dolce in termini di marginalità ha il suo peso”.

Riccardo Bellaera, Maestro pasticcere APEI, è Corporate Chef Pastry &Baker di Costa Crociere, cioè colui che detta la linea per l’intera flotta per pasticceria, pane e pasta, recentemente insignito del premio Word Pastry Stars 2023 per mano del Maestro Iginio Massari. Solo l’ultimo di altri importanti riconoscimenti ricevuti negli anni che attestano un’operazione straordinaria: portare la qualità nella quantità, facendo del comparto pasticceria di Costa Crociere il suo fiore all’occhiello. Stiamo parlando della capacità di far uscire 12.000 dessert al piatto al giorno “riuscendo a catturare la golosità delle persone” come ama sottolineare l’intransigente Maestro Massari.

“Un percorso non semplice lungo otto anni, in cui con molta determinazione ho cercato innanzitutto di fare accogliere il mio progetto tanto a chi ci doveva investire quanto a chi ci avrebbe lavorato, riuscendo poco alla volta a guadagnare la loro fiducia. L’errore che spesso si

compie nelle realtà strutturate è quello di non considerare che l’executive chef e l’executive pastry chef sono due figure differenti, perché differenti sono il mondo della cucina e quello della pasticceria, per cui uno dei primi passi che ho fatto è stato quello di creare la posizione, portando la figura dell’executive pastry chef a livello di quella dell’executive chef, poi ho creato un food cost solo per la pasticceria, perché potesse avere tutto quello che serviva per affrontare il progetto (statistiche, l’alta tecnologia, materie prime di assoluta qualità...). A tutt’oggi ci sono cuochi che non capiscono cos’è la pasticceria. Non avendo le conoscenze devono fare quello di cui sono capaci. Piuttosto che servire dessert mediocri è meglio acquistarne degli ottimi pronti per la consumazione, si fa più bella figura. C’è un altro aspetto che tengo sempre presente nel definire i nostri menù ed è il farmi comunicare dai colleghi di cucina cos’hanno in programma per il lunch e per il dinner perché il dessert non deve andare in contrasto, ponendosi come quella parte acida che sgrassa, pulisce il palato. E perché la crescita sia tale non bisogna prescindere dalla formazione, essendola pasticceria in continuo movimento. La nostra grande forza in questi anni è stata avere a fianco il Maestro Iginio Massari e Cast Alimenti, in senso più ampio, dove non ho esitato a mandare in formazione i miei collaboratori. Se ci pensiamo un attimo, con tutto quello che abbiamo a disposizione oggi tra scambi possibili, conoscenze da condividere, libri, lo stesso web con le sue sollecitazioni... beh, sbagliare il dessert non è concesso!

Ci sono poi, le Academy, realtà, che nascono in seno ad aziende produttrici agroalimentari per fare cultura del prodotto e pure formazione. Fra tutte ne abbiamo scelta una, che a nostro avviso rappresenta un modello riuscito di come l’azienda debba prendere per mano i professioni-

37 | marzo 2023
Riccardo Bellaera

sti e supportarli nella loro crescita. Si tratta di Chocolate Academy di Barry Callebaut, leader mondiale nella realizzazione di prodotti a base di cacao e cioccolato di alta qualità, che di academie nel mondo ne ha ben 25, in interscambio continuo che potremmo definire con un solo termine: ricchezza.

“Il dessert sta diventando un piatto a tutti gli effetti –riflette Mattia Rota, Food Service National manager di Barry Callebaut– ormai costa quanto un antipasto. A questo punto la qualità diventa un obbligo. È provato che un dessert arricchito di cioccolato abbia più appeal di ogni altro dessert ma in realtà ci siamo attrezzati per dare molto di più del solo prodotto (che già è un mondo per tutti i marchi e relative caratterizzazioni che vantiamo). Parte fondamentale del nostro lavoro infatti è l’attività che svolgiamo con Chocolate Academy per far conoscere l’ancora poco nota materia prima cioccolato e fare formazione a tutti gli effetti attraverso consigli, soluzioni personalizzate, corsi in cui tramettiamo nozioni e ricettazioni ispirazionali...”.

“Partiamo dal presupposto – interviene Diego PoliChocolate Academy Horeca Chef - che la ristorazione, tolti gli stellati, da sempre ha sofferto della mancanza di una figura centrale riguardo il mondo dolce, per cui se in trattoria è la mamma del titolare o magari la moglie a proporre dessert che io definisco autentici, veri, nel ristorante medio-medio/alto viene spesso coinvolto uno chef de partie, magari quello che finisce prima rispetto agli altri, a volte inerpicandosi in pericolosi effetti wow. Ecco è a partire da questo scenario che ci siamo strutturati sia con i prodotti che con l’Academy, attenzionando la qualità degli ingredienti e

l’aspetto dell’esecuzione del dessert”.

“Più si sale lungo questa scala di tipologie di ristorazione – si inserisce Alberto Simionato - Direttore Chocolate Academy - e più si darà importanza ad aspetti differenti. La signora Anna della trattoria può essere contenta di trovare un buon cioccolato in gocce (più facile da sciogliere) e qualche consiglio per migliorare la sua zuppa inglese nella sua esecuzione e presentazione, mentre allo chef applicato si può fare sperimentare un cioccolato più strutturato, più aromatico, suggerendo varianti di ricette possibili. Addirittura c’è una linea di decorazioni in cioccolato che può abbellire gli impiattamenti ed è contemplata anche la promozione del piatto salato di cioccolato, ad opera dello chef Diego Poli. E per chi proprio non si può dedicare abbiamo una bella proposta di semilavorati.”

Cosa manca? Ci pare che non manchi proprio nulla a tutti i livelli di ristorazione, per premiare chi a fine pasto si concede un dessert. Mettere in corpo calorie inutilmente scoccia, per cui ‘vietato sbagliare il dessert nella ristorazione’ va letto quindi anche come una forma di rispetto. Ti

piace l’argomento? Approfondisci!
Diego Poli Mattia Rota Alberto Simionato
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La sala

Autore: Luigi Franchi

Piero Misuri, un cameriere come si deve

Lo abbiamo scoperto in una trattoria di campagna a fare e a dire le cose giuste

Si dice che un bravo giornalista deve avere un acuto spirito di osservazione. Non so se è vero e non so se riguardi me, ma la sera in cui ero a cena in una splendida trattoria di campagna l’occhio si è posto sul gesto di un giovanissimo cameriere che, in un raro momento di pausa, si è fermato per accarezzare le braccia della proprietaria che poteva essere sua nonna.

Quel gesto, unito alla sincerità con cui si era presentato al nostro tavolo, con buoni consigli al posto del menu, mi hanno fatto venir voglia di approfondirne la conoscenza e ne è scaturita questa semplice ma intensa intervista da condividere.

La trattoria si chiama Le Proposte e l’hanno aperta in un minuscolo paese di poche decine di abitanti, Corano di Borgonovo Val Tidone (PC), vent’anni fa Danila Ratti, una sopraffina cuoca di casa e suo marito Luigi. Doveva essere la loro casa quando sarebbero andati in pensione, è diventata una delle migliori trattorie dell’Emilia-Romagna. Ora ci sono la figlia Manuela, il genero Marco, un giovane cuoco che si chiama Riccardo, Luigi è sempre in sala e Danila inizia presto al mattino per fare tutte le preparazioni e poi le piace stare in mezzo agli ospiti a chiacchierare. Esattamente come deve essere una buona

Piero Misuri
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Ma veniamo a Piero Misuri, il ragazzo dell’intervista: quanti anni hai e quali studi hai fatto?

“Ho ventidue anni, mi sono diplomato al Liceo Scientifico, poi mi sono iscritto all’università. Per pagarmi gli studi ho fatto quello che fanno quasi tutti i ragazzi della mia età, da che mondo è mondo. Ho cominciato a fare il cameriere nei fine settimana in un agriturismo della zona, poi il mio amico Riccardo, che fa il cuoco qui a Le Proposte, mi ha detto che cercavano personale. Sono arrivato due anni fa e non me ne vorrei più andare. Qui ho scoperto la bellezza di questo mestiere, mi sono iscritto ai corsi AIS, sto capendo il vino in tutte le sue sfumature di piacere, mi piace stare in mezzo alle persone ma soprattutto vederle trascorrere ore liete anche con il mio piccolo contributo. A tal punto che ho smesso di frequentare l’università per fare bene questo lavoro”.

Un esempio contrario al sentire comune che vede i giovani allontanarsi dai mestieri della ristorazione: cos’è che ti ha fatto propendere per questa scelta e, secondo te, cosa serve per arrestare l’abbandono di questa professione?

“Non lo so cosa serve, di certo so cosa piace a me. E forse queste condizioni di lavoro che ho trovato potrebbero essere da esempio per molti altri ristoratori. Qui ho trovato una famiglia, vera! Si condivide tutto, i successi, le sere storte, i pasti, gli orari che non sono mai imposti. Danila è veramente una nonna per me, anche se è giovane di spirito come una ragazza della mia età. Lo stipendio è adeguato, puntuale, e se devo fare qualche ora in più mi viene chiesto e non imposto. Ecco, queste condizioni non

sono così diffuse nella ristorazione italiana. Un ragazzo di sala non viene quasi mai coinvolto nella condivisione del successo di una serata, anche se buona parte di quel successo è dipesa probabilmente da lui”.

Un’analisi realistica; e qui come si svolge nel dettaglio il lavoro?

“Pur avendolo cerchiamo di non mettere in tavola il menu. Forse è un’arma a doppio taglio perché l’ospite non vede il prezzo ma siamo una trattoria, entrando si capisce subito quale potrà essere la spesa. Raccontare bene i piatti ci aiuta a stabilire un rapporto diretto con l’ospite, capirne lo stato d’animo di quella serata e comportarci di conseguenza. Il dietro le quinte, ad esempio il momento dei pasti per il personale, è sempre una grande gioia, perché mangiamo sano e bene, soprattutto perché, pur confrontandoci, scherziamo molto. Uno degli scherzi

Danila e Luigi
41 | marzo 2023
interno de Le Proposte

che non mi piacciono, però, è quando mi dicono che devo far da mangiare io per tutti: lì vado in panico e cerco di barattare quell’incombenza con mille altri lavori”.

Hai detto che stai facendo il secondo anno del corso di sommelier: prima quanto sapevi del mondo del vino e quanto oggi?

“Non sapevo nulla. Bevevo qualcosa a pranzo o cena ma senza neppure guardare l’etichetta. Vivere accanto a Marco in sala mi ha fatto capire che dovevo colmare questo divario. Sapevo raccontare perfettamente i piatti ma sul vino era silenzio totale. Il corso AIS e gli insegnamenti di Marco mi hanno cambiato la vita. Ho scoperto quali piaceri assoluti può dare un abbinamento perfetto”.

Ti piace di più il ruolo di sommelier o quello di cameriere?

“Qui il sommelier è Marco e va benissimo così, perché è davvero molto bravo e contemporaneo. Se vuoi che ti confessi perché mi piace stare in sala è il fatto che non sei mai da solo. Quelli che dicono che non fanno questo mestiere perché sono impegnati nel weekend mi fanno

sorridere. A stare in sala hai il mondo intorno, persone diverse e storie diverse ogni sera. È questo che bisogna valorizzare di questa professione: la varietà di situazioni che nessun weekend riuscirebbe mai a dare. E un’altra cosa: le persone che vengono al ristorante ci vengono per avere due/tre ore di tregua dal quotidiano. Noi dobbiamo garantire questa tregua!”

Come si fa, secondo te?

“Vedi, uno dei limiti della ristorazione, specie quella alta, è il modo asettico che, a volte, si vive. Strutture che sembrano chiese silenziose dove ti mettono in mano il menu come un libro di preghiere. Gesti misurati, toni di voce che, spesso, sono talmente bassi che non capisci cosa ti stanno proponendo. Consigli su come tenere le posate e come mangiare quel piatto. Questa non è tregua!”

Come vedi il tuo futuro?

“Per ora e spero per molto tempo ancora qui! Sono giovane, devo imparare ancora tanto e la scuola di questa famiglia è straordinaria. Hai detto bene quando mi hai chiamato dopo aver visto quel gesto. Provo un grande affetto per tutti loro e lavorare dove, oltre alla obbligatoria serietà professionale, ci sono anche sentimenti condivisi che vale la pena di vivere”.

Le Proposte Loc. corano, 35 Borgonovo Val Tidone (PC) Tel. 0523 845503 www.ristoranteleproposte.it
Tortelli di zucca
42 | marzo 2023
Pisarei e fasō

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La storia della gastronomia

Autore: Luigi Franchi

La Spressa delle Giudicarie

Una storia bella e antica

Uno dei formaggi di montagna più antichi; la Spressa delle Giudicarie è, infatti, citato nelle prime Regole di Manez e Spinale del 1249 con la dicitura “Il buon formaggio sano e bello da Monte Spinale”.

Capite che qui di storia da raccontare ce n’è veramente tantissima, a cominciare dal capire cosa sono queste Regole di Manez e Spinale che esistono ancora oggi, nel 2023!

Le Regole di Manez e Spinale

“Questi usi non sono abusi, non sono privilegi, non sono usurpazioni; è un altro modo di possedere, un’altra legislazione, un altro ordine sociale che inosservato discese da remotissimi secoli fino a noi... Sono i discendenti di un intero popolo... che pasceva i suoi bestiami in tutta l’ampiezza dei suoi confini...”, queste parole le scriveva Carlo Cattaneo, il filosofo illuminista esponente del pensiero repubblicano federalista dell’Ottocento, per spiegare che le Regole di Manez e Spinale erano un modello di governo del territorio che si equiparava al rapporto inscindibile tra una popolazione e il suo territorio, una partecipazione condivisa alla gestione del patrimonio comune, un uso necessariamente equilibrato e regolato delle risorse naturali, essenziali per la vita della comunità. La Comunità delle Regole di Spinale e Manez è una pro-

prietà collettiva costituita da terreni e beni immobili posti nei comuni catastali di Ragoli e Montagne, nelle Giudicarie Centrali, in Trentino, che in passato costituivano l’antica Comunità di Preore con le sue Vicinie. Tra questi beni immobili c’erano allora e ci sono tutt’oggi anche gli alpeggi e le malghe dove si produce la Spressa delle Giudicarie.

L’alpeggio, una pratica tradizionale immutata nei secoli

Siamo sulle Alpi Giudicarie, nella Val Rendena che ha dato il nome a una razza autoctona di bovino introdotto in questi territori circa mille anni fa.

Fino all’anno mille, infatti, in alpeggio si conducevano greggi di pecore e capre ma intorno al 1100 ebbe luogo un cambiamento radicale nella scelta del bestiame. I feudatari alpini decisero di rifornire gli alpeggi con i bovini, portando pecore e capre nel fondovalle. I motivi non sono definiti chiaramente ma si suppone che fossero di natura economica: più latte, più formaggio. Tutto questo portò a un regolamento ferreo sui confini e le proprietà che rimase tale per tutti questi secoli.

Oggi di malghe attive ne sono rimaste poche, l’attività che vi si svolgeva (pascolo, mungitura, lavorazione del latte, stagionatura) è organizzata diversamente per molti

44 | marzo 2023
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motivi ma non mancano, in quest’area, grazie al turismo che si è diffuso le intenzioni e le proposte per riportare in loco le tradizionali attività: parliamo in primo luogo della lavorazione del latte direttamente in sito.

Di certo resta il fatto che il formaggio che vi si produceva non ha smesso di esistere, anzi. Oggi, infatti, la Spressa delle Giudicarie si avvale anche della Denominazione di Origine Protetta.

Il metodo di produzione

Dal “buon formaggio sano e bello” del 1249 alla Spressa da polenta come si chiamava fino a qualche decennio orsono, la Spressa delle Guidicarie DOP non ha cambiato tanto i suoi metodi di produzione, li ha solo codificati come è giusto che sia, passando dalla tradizione orale a un disciplinare di produzione che rende sempre perfetta ogni forma.

Per la produzione viene utilizzato il latte di due o tre mungiture consecutive di bovini prevalentemente di razza Rendena, che viene stoccato e parzialmente scremato per affioramento naturale.

Il latte viene poi riscaldato in caldaia con fuoco a legna o con vapore, quindi addizionato con caglio di origine bovina. La coagulazione avviene alla temperatura di circa 35°C, per un periodo di 20-50 minuti. Il taglio della cagliata, effettuato con lo spino, si protrae fino a ottenere granuli delle dimensioni di un chicco di riso. La semi-cottura avviene a una temperatura di circa 42°C e dura al massimo 30 minuti. Poi la cagliata è lasciata a riposo per non oltre 65 minuti, quindi viene effettuata l’estrazione e la messa in fascera. La durata della lavorazione, dall’aggiunta del caglio all’estrazione della cagliata, può variare da un minimo di 90 a un massimo di 150 minuti, a seconda delle condizioni tecniche di produzione. Le forme sono fatte sostare nella zona di pre-salatura per almeno 24 ore. La salatura vera e propria può essere fatta

a secco, per un periodo che varia da un minimo di otto a un massimo di 12 giorni; o in salamoia, per 4-16 giorni.

Segue la stagionatura in appositi locali a una temperatura variabile fra 10 e 20°C. Il prodotto giovane viene stagionato per un minimo di tre mesi, mentre il prodotto stagionato per almeno sei mesi.

Il formaggio che se ne ricava è a pasta semidura, di forma cilindrica, con un sapore dolce nella versione giovane e leggermente amarognola in quello stagionato.

Gli utilizzi in cucina

La Spressa delle Giudicarie DOP, tagliata a listelli e cucinata con la polenta, dà vita a un piatto squisitamente tradizionale: la carbonera.

Questo per quanto riguarda la tradizione ma ci sono mille altri modi per utilizzare la Spressa delle Giudicarie in un ristorante, magari facendo bella mostra di sé in un carrello dei formaggi raccontandone la storia antica e il bellissimo territorio dove si produce. E questo piace molto agli ospiti.

Infine, un consiglio: la Spressa delle Giudicarie DOP si può acquistare, per i ristoratori, da Ingros Rendena (tel. 0465 502530), un distributore che fa parte del gruppo Cateringross, un consorzio di 40 aziende presente su tutto il territorio nazionale, quindi la possibilità di poterla assaggiare anche su un carrello dei formaggi in Sicilia è possibilissimo.

Per saperne di più sul Consorzio della Spressa delle Giudicarie
Stagionatura della Spressa delle Giudicarie
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Salcheto, un progetto esemplare e contagioso

Autrice: Giulia

Nella moltitudine di storie che il mondo moderno ci propone rintracciare un modello vero, da emulare, è abbastanza difficile. Spesso il modello ideale risulta dall’aggregazione di più esperienze: c’è chi fa bene quello, chi fa meglio l’altro, chi eccelle in quell’altro ancora. E si prova così, da narratori o da attori principali, a delineare il mosaico perfetto, vincente in ogni ambito. Perché dico questo introducendovi alla storia di Salcheto, azienda sorta trent’anni fa ai piedi in una delle località del vino più famose d’Italia? Perché questa attività rappresenta l’eccezione. Salcheto, che si raggiunge lasciandosi alle spalle Montepulciano per poi ritrovarsela davanti, è un bellissimo modello per chiunque voglia approcciare al mondo del vino, dell’agricoltura, e pure dell’accoglienza, in modo sostenibile e virtuoso.

La prima Salcheto

Oggi la vediamo come un’azienda vitivinicola biologica e biodinamica di riferimento nel distretto del vino Nobile di Montepulciano, ma sino ai primi anni Novanta era una semplice fattoria multicolturale. Il nome Salcheto venne preso in prestito da un ruscello che ancora oggi traccia, a sud, una vallata di salici, delineando il confine dell’azienda.

Salcheto a sua volta deriva da salco, in toscano antico salice, un albero storicamente importante nei territori vitivinicoli perché i suoi rami si impiegavano per legare le viti.

Ancora oggi questa pianta ha un posto d’onore nel cuore dell’azienda: oltre ad esserne diventata il logo e il simbolo, viene continuamente reimpiantata per creare biomasse da cui trarre energia. E sarà proprio l’ottimizzazione energetica uno dei temi focali di questo racconto.

Da fattoria ad azienda modello per la sostenibilità realmente applicata
Il
48 | marzo 2023
vino Clicca e leggi l’articolo sul web

Una rivoluzione pensata per un miglioramento globale

La rivoluzione vera e propria dell’attività inizia a partire dal 1997 con l’arrivo di Michele Manelli, emiliano di nascita e parlata, ma di pensiero assolutamente globale, che prima in modo silente, poi con scelte dichiarate ed eclatanti, ha introdotto delle idee rivoluzionarie.

Sin dal primo momento, con la nuova guida di Michele, i temi sociali e ambientali hanno infatti influenzato il metodo di lavoro di Salcheto, stimolando a un certo punto la nascita di un nuovo corso.

“Ho sentito il bisogno di approfondire i modelli di impresa etica che cominciavano a maturare alla fine degli anni 90” - racconta Michele. “Allora i temi della responsabilità sociale d’impresa stavano fiorendo. Abbiamo iniziato a proiettarci su una nuova visione di Salcheto. Doveva essere un’impresa in grado di assumere un ruolo di leva nella società, oltre che ha produrre ottimo vino, rispettoso del territorio, senza solfiti, e improntato alla grande bevibilità. Dovevamo riprogettarci sotto molti aspetti, analizzando il nostro ruolo e quello degli attori della filiera”.

Dai primi anni 2000 gli investimenti interessarono nuovi obiettivi. Si attuarono mosse e progetti molto ambiziosi, toccando macro e micro aspetti dell’attività vitivinicola e delle attività connesse, come l’ospitalità e la ristorazione.

“Rifacemmo interamente la cantina sfidando l’autonomia energetica, introducendo il concetto “off-grid”, dove il risparmio di energia è la prima fonte di approvvigionamento. Abbiamo iniziato a chiederci come poter misurare la nostra prestazione ambientale nei nostri processi e nei nostri prodotti. La risposta è arrivata come esito di un progetto importantissimo, su cui ha lavorato per più di un anno un gruppo di lavoro. È il Carbon Footprint, un indice che ci permette di controllare l’energia e la materia direttamente e indirettamente consumate lungo il processo e quindi ridurre le emissioni di gas clima-alteranti connesse” spiega Michele aggiungendo preziosi dettagli sulla complessità del progetto.

Salcheto è dunque la prima azienda al mondo ad ottenere il certificato la Carbon Footprint di una Bottiglia di Vino (secondo lo standard ISO 14064, nel 2010). Un traguardo che ha segnato il passo per molte altre attività con la stessa ambizione, ma ha anche dato il là ad una serie di interventi sul metodo di lavoro interno e sull’analisi di filiere esterne, dimostrando come la misurazione non debba essere il punto di arrivo, ma la casella di partenza per un proficuo percorso migliorativo.

Gli interventi di Salcheto in questi anni hanno riguardato tutte le sfere di produzione, anche quelle meno visibili agli occhi: dalla depurazione e riciclo della totalità delle acque reflue (incluso quelle derivanti dal lavaggio delle macchine irroratrici) alla differenziazione del 98% dei materiali di scarto nell’isola ecologica; dall’autoproduzione di concimi all’utilizzo di materiali legnosi derivanti da fonti controllate e foreste gestite in maniera responsabile. O, parlando di packaging, dalla scelta di impiegare bottiglie più leggere che riducono notevolmente l’impatto ambientale.

Inoltre Salcheto si è adeguata ad altri due importanti indici, che concorrono, insieme al Carbon Footprint, a definire la norma Equalitas-Vino Sostenibile: il Water Footprint: per razionalizzare l’uso dell’acqua ed abbatterne qualsiasi inquinamento, e l’Indice Biodiversità, che monitora la qualità biologica del suolo e dell’ecosistema aziendale.

Ce lo spiega Manelli: “Il meccanismo che si innesca quando si vuole essere davvero sostenibili è contagioso. Si inizia a lavorare con metodo, avendo chiaro dove si vuole arrivare. Salcheto ha immaginato una biodiversità misurata sia in qualità che in qualità e per questo stiliamo Bilancio di Sostenibilità ed abbiamo sviluppato un attento controllo di gestione della sostenibilità, conforme allo standard EQUALITAS, ente di certificazione che è emerso come pioniere nel movimento della sostenibilità. Sul nostro esempio nel 2011 è stata inaugurata la carta di Carbon di Montepulciano e molte aziende vinicole si sono ispirate

Michele Manelli

al metodo per coltivare una sostenibilità ambientale reale, misurabile, oggettiva”.

Sostenibilità sociale e sicurezza sul lavoro

La pandemia, lo ripetiamo frequentemente su queste pagine, ha segnato un punto di svolta nei rapporti di lavoro e nelle modalità di gestione del personale, facendo emergere delle enormi arretratezze del sistema. Ma c’è chi, come Manelli e la sua azienda, ci lavora da tempo.

“Sin da quando sono arrivato avevo chiara l’esigenza di riformare le relazioni con chi lavora in Salcheto.

Nel 2015 abbiamo investito soprattutto in qualità della gestione, convinti che codificando ci si obblighi a rispettare meccanismi che diventano automatismi. Potrei farvi degli esempi concreti di azioni svolte a favore dei dipendenti. Per esempio diamo a tutti la possibilità di condividere la propria esperienza in azienda, di raccontarci al termine di ogni anno il loro bilancio annuale; effettuiamo delle rilevazioni anonime, dando l’opportunità a tutti di esprimere situazioni di disagio, qualora ce ne fossero. La formazione è un altro tema essenziale, dev’essere garantita per promuovere una crescita personale e aziendale. Siamo stati la prima cantina italiana ad aver adottato un piano Welfare per i propri dipendenti. Cerchiamo di creare partecipazione, di far sentire tutti parte essenziale di Salcheto, di fornire informazioni trasparenti sui termini dei contratti di lavoro - strumento utilizzato generalmente in modo promiscuo - e elargiamo premi legati alle performance sociali e ambientali”.

Chiediamo a questo punto a Michele come vivono i collaboratori questo approccio.

“La fase iniziale è stata segnata da alcune perplessità ma poi il legame si consolida. L’attaccamento è percepito in molte occasioni. Quando si investe sulla sostenibilità sociale la produttività mediamente si alza, proba-

bilmente per la voglia di restituire all’azienda ciò che si riceve in termini di attenzione, ascolto, riconoscimento. Il lato, se vogliamo, più ostico, è che le aspettative del lavoratore o del potenziale lavoratore aumentano. Ma questo non è un problema, come deduciamo dalle candidature che ci arrivano dall’esterno”.

A chi crede che la sostenibilità non sia applicabile o sia una strada antieconomica rispondono i fatti. Affidandosi a questo modello esemplare e contagioso Salcheto riesce bene in tutto. Nel vino, con una produzione apprezzata in Italia e all’estero che si aggira sulle 400.000 bottiglie annue; e nell’accoglienza, offrendo un’esperienza memorabile di soggiorno, a tu per tu con Montepulciano, e una tavola speciale al ristorante Indigeno soprastante la cantina.

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L'orto Scopri Indigeno Cucina Terrestre
marzo

Autrice: Giulia Zampieri

Paolo Grando, mica solo ostriche e Champagne

Oste, selezionatore di ostriche e cultore di Champagne, ci racconta la sua storia e la sua visione dell’accoglienza

Il centro di Feltre negli ultimi anni ha visto nascere un posto speciale, in via 31 Ottobre, al numero 26. Un piccolo locale di circa 25 metri quadri, avvolto interamente dalla pietra, creato lavorando la roccia, legno e materiali naturali. A fare da tavolini dei massicci pezzi di pietra levigata incastonati alle pareti, mentre il bancone centrale con la vetrina a vista, ospita bottiglie, ostriche, formaggi e tante altre eccellenze. Fuori c’è scritto Enoteca Contemporanea, dentro c’è il volto di Paolo Grando

Prima ancora di sedersi è inevitabile chiedersi che storia ci sia dietro, vista la particolarità inusuale del format in una località di montagna come Feltre, solita a boccali di birra e piatti della tradizione. La scopriamo, tra un calice e l’altro, dal racconto di Paolo.

Dai romanzi su stoffa ai romanzi in vigna

“Ho una storia particolare, sono autodidatta” - attacca Paolo. “Sono finito in questo settore per necessità dopo aver studiato grafica pubblicitaria a Milano e aver creato un marchio di Streetwear andato però in una direzione diversa da come lo avevo sognato. Ho iniziato poi a muovermi come imprenditore nella ristorazione provando sulla mia pelle errori e traguardi. Non ve la racconto tutta ma ho avuto una cicchetteria, una pizzeria, una gastronomia. Poi ho incon-

Il ristorante
Paolo Grando Clicca e leggi l’articolo sul web

trato Greta, mia moglie, e la sua famiglia che vive e lavora da sempre nel mondo Design e nell’Arte Contemporanea. Intanto un altro calice, un’altra riflessione di Paolo: “Quando, assieme a Greta e la sua famiglia abbiamo trasformato questo luogo in Enoteca Contemporanea ho capito che la parola d’ordine doveva essere unicità. Abbiamo ragionato sull’accoglienza, sul messaggio che volevamo trasmettere, sullo stile dell’ambiente, e molto sulla proposta. Ho osservato tanto e ho fatto esperienza, è il percorso obbligato per chi capisce mano a mano cosa vuole diventare”.

Guardandosi attorno in enoteca si scorgono ulteriori dettagli, come la grande ghiacciaia dei vini in mescita, anch’essa in pietra lavorata a mano. C’è molta attenzione all’artigianato, all’arte, al design, alla natura anche nell’arredo.

‘L’oste’, vien da dire anticipandolo

“Sì! Avevo capito che volevo fare l’oste in un posto unico e che desideravo dare risalto agli artigiani del gusto. Sono partito anche qui da zero, con un corso di avvicinamento al vino. Il primo che mi ha colpito? Lo Champagne, fu inevitabilmente amore a prima vista”.

Continua allungando un altro assaggio: “Non mi sono mai fermato. Ho studiato, assaggiato, condiviso vini con chi frequenta questo mondo da molti più anni di me, ho viaggiato e scovato tanti bravissimi vignaioli so-

prattutto nel mio territorio. Produttori che lavorano nel piccolo e bene ce ne sono, anche nelle mie Dolomiti”.

E tra tanta scelta, confida: “Se la bottiglia viene finita vuol dire che era quella giusta. È uno dei motti infallibili a cui mi affido oggi per scegliere il vino”.

Galeotta fu quell’ostrica

Se non ci sono strade già segnate in partenza possono accadere cose inaspettate. E così, dando ascolto a un suo collaboratore che voleva proporre ostriche in enoteca, Paolo si imbatte in un campo davvero vergine per la ristorazione, non solo di montagna.

“Le ostriche non mi piacevano neppure ma l’ho ascoltato e abbiamo provato a ordinarle. Poi un giorno, per capire come potevamo migliorare il servizio, gli ho detto: fammi vedere come si apre ‘sto sasso! Da lì è stata una continua scoperta corredata da viaggi, assaggi, tanto studio. Mi sembrava uno spazio davvero ricco di informazioni a cui pochissimi facevano caso. A quelli a cui lo raccontavo pareva assurdo che mi stessi così tanto dedicando all’ostrica in un paese circondato dalle Dolomiti. Rispondo sorridendo che è l’ostrica che mi ha cercato, io l’ho accolta e ora vado a cercare lei”.

Riassumere in poche righe il lavoro di ricerca di Paolo sarebbe ingiusto, tanto gli ha dedicato in approfondimento in queste stagioni, battendo le coste francesi ma anche quelle italiane, per comprendere sistemi di

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allevamento e differenze.

Conviene dunque, anche se non si è degli amanti di questo straordinario mollusco, farsi accompagnare da precise e romantiche spiegazioni. È quasi certo che cambierete approccio anche solo per il fascino con cui ve le presenta.

“Come per il vino anche l’ostrica è figlia del suo allevatore” dice.

“Ogni ostrica ha sfumature gustative e consistenze diverse. Non si può far altro che assaggiarle, provare a capirle, e sicuramente vedere come vengono accudite dagli artigiani del mare. Questa è un’ostrica esclusiva che selezioniamo dalla Normandia. Senti che carattere! Sto codificando l’esperienza con l’ostrica per avvicinare sia le persone che ne sanno sia i clienti che ne sono totalmente estranei. Quasi mi diverto di più quando un cliente mi dice di non amarle affatto, mi ci riconosco quando ero agli inizi!”

Paolo è diventato un punto di riferimento nel Nord Est (e non solo) in materia: è selezionatore ed ha alcuni consigli per i ristoratori.

“Le ostriche non sono un prodotto difficile da vendere. Bisogna però imparare a raccontarle, non servirle in un anonimo plateau dove solo un cartellino ne dichiara la provenienza. C’è tanto da tirare fuori sulla narrazione di questo piccolo miracolo del mare, a me per esempio piace dire che sono anche la storia del nostro passato visto che in questa zona ne sono stati trovati alcuni fossili. Poi

non bisogna svenderle, il prezzo è importante; e capire che non gravano sui bilanci di un locale; hanno una shelf life di diversi giorni. Infine l’abbinamento con il vino: va pensato, non banalizzato. L’accostamento talvolta è molto delicato, ma può regalare un’esplosione in bocca e un’esperienza memorabile”.

Un’accoglienza che non ha bisogno di lavagne

Siamo quasi alla fine degli assaggi e della conversazione con l’oste. Ci sarebbe ancora molto da dire, anche sul suo rapporto con il giovane Lucjan, un ragazzo gentile e preparato che affianca Paolo nell’attività e fa le sue veci quando non è presente in enoteca.

“Per un anno da quando è arrivato abbiamo parlato di servizio più che di prodotti. Avrai notato che non abbiamo una lavagna con le proposte, raccontiamo tutto a voce.” Sicuramente, oltre ad aver affinato un pensiero pulito sul vino, le ostriche e i prodotti buoni, Paolo ha acquisito una propria visione dell’ospitalità

“Stiamo vivendo un buco storico nel settore dell’accoglienza. Ho capito che non contano il numero di bottiglie in carta o l’abbondanza di cui ti circondi nel tuo locale. Conta il servizio, la competenza, la presenza, più che il calice venduto. Conta la tua esperienza, ciò che lasci alle persone che vengono, magari perché hanno scelto tra altri posti proprio il tuo. Il fatto di saperle capire e ascoltare decreta, secondo me, l’essere accoglienti o meno”.

Enoteca Contemporanea
31 Ottobre, 26
Feltre BL
347 977 5707 www.enotecacontemporanea.it Selezione di formaggi
Via
32032
Tel.
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Paolo Grando

Abbiamo incontrato su queste pagine Stefano Canosci, patron di Pizzeria Chicco a Colle Val d’Elsa, soltanto un anno fa e, oggi, lo ritroviamo più maturo, più determinato che mai, profondamente impegnato a fare, come ama definire lui stesso, di Chicco un luogo speciale, unico e inimitabile.

Ha raggiunto il suo obiettivo, un locale tutto suo; ha saputo interpretare la sua attitudine naturale per l’accoglienza e il suo spirito imprenditoriale orientandoli verso un format di pizzeria moderno e identitario; non si ferma e continua la sua crescita armato di un’apertura mentale che lo indirizza verso obiettivi stimolanti in una costante sfida con se stesso.

Insieme è meglio

Stefano Canosci ha costruito una squadra coesa da Chicco, convinto che fare squadra significhi reciproco scambio e collaborazione, significhi rispetto. Secondo lo stesso principio ha fatto delle scelte: metodi di lavorazione, materie prime, ingredienti, selezionati dopo aver incontrato e sperimentato le potenzialità delle aziende produttrici e dei fornitori, condiviso con loro obiettivi e ideali.

Per creare la sua linea, oggi orientata su diversi canali – perché la pizza è vocazione, è creatività e non solo tecnica – Stefano sa che deve mantenere uno standard elevato e studiare le ricette con una visione più ampia del convenzionale, che punti a realizzare obiettivi ispirati a valori importanti: l’etica del lavoro, la sostenibilità ambientale, la salubrità, il piacere edonico. Perché tutto quello che gira intorno alla cucina è cruciale ma un piatto – e una pizza oggi è un piatto a tutti gli effetti – deve soprattutto essere buona, gustosa, deve appagare il palato e i sensi così come l’anima e la coscienza.

Con questo spirito Stefano Canosci continua la sua collaborazioe con il mulino Agugiaro&Figna e le sue farine 5 Stagioni

“Per fare una buona pizza -afferma Stefano - il punto di partenza è la farina. Sono talmente convinto della qualità delle farine 5 Stagioni che ho abbracciato la filosofia del mulino. Ho aderito e sono diventato testimonial del movimento Un Sacco di Cambiamento, un’iniziativa che ha come obiettivo stimolare l’attenzione per i territori e i luoghi e promuovere attraverso buone pratiche e l’esempio il valore della sostenibilità intesa a livello sociale, ambientale, culturale ed economico.

Ho trovato interessante il progetto perché ciò che viene enunciato nel manifesto risponde al mio ideale di comportamento. Abbracciare la filosofia del biologico non vuol dire annullarsi in esso ma attingere e modulare le nostre azioni coerentemente con la situazione personale, cercando di sensibilizzare il cliente che, comunque, ha sempre l’ultima parola. Il termine sostenibilità deve comprendere anche la sostenibilità economica”.

Un menu contemporaneo, il futuro è la scarpetta

La continua ricerca è alla base dei piatti di Chicco. La sostenibilità e la salubrità un im-

Autrice: Marina Caccialanza Foto: Alessandro Scipioni
La rivoluzione è cominciata
La pizza è in continua evoluzione, da cibo popolare è diventata un piatto moderno, oggetto di studio e perfezionamento nei metodi e negli ingredienti, nella proposta intrigante e raffinata.
Pizzeria Chicco ne è un esempio interessante
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La pizzeria Clicca e leggi l’articolo sul web

pegno. Spiega Stefano: “Ho scelto di dividere il menù in due sole stagioni e rivolgermi a diverse fonti di approvvigionamento: dal contadino fino ad aziende serie e affidabili cerco il meglio, perché ho preso un impegno con i miei clienti ai quali cerco di proporre un’alimentazione corretta in tutti i sensi: il miglior modo per educare non è imporre ma offrire capacità di scelta. Spiegare cosa porto in tavola e perché, è un dovere”.

Nascono così, da differenti punti di vista e ideali ben radicati i nuovi menù di Chicco, a partire da quella che è diventato un’icona: la scarpetta.

Scarpetta è piacere oltre le convenzioni, è memoria. Chi non ricorda il godimento provato nell’intingere un pezzo di pane nella pentola del sugo o raccogliere l’intingolo rimasto sul piatto dopo una pietanza particolarmente gustosa? È la memoria infantile ed è un attimo di piacere assoluto. La prima versione è un omaggio ad Antonello Colonna, suo mentore e ispiratore. La focaccia con la trippa era, infatti, la sua entrée di benvenuto. Da qui nascono ricette originali e innovative: “Era il momento giusto per una provocazione – racconta – la pizza non più come cibo di strada e nemmeno piatto gourmet (termine abusato) tanto in voga”. Il momento di cedere alla trasgressione, per fare “scarpetta”. Un piatto fondo largo il doppio del normale, sul fondo un padellino con all’interno una base generosa di sugo ricoperto dagli spicchi di pizza. Sopra gli spicchi, il topping e altre parti di intingolo. Inevitabilmente lo mangi con le mani. Intuizione geniale e tocco da maestro. Una declinazione che trae ispirazione dalle ricette tradizionali italiane, poi la svolta verso nuovi intingoli “all’italiana” con prodotti rigorosamente italiani e, soprattutto, stagionali.

Se una scarpetta non basta…

Allora arriva il nuovissimo menù Salute & Benessere, ideato in collaborazione con aziende che producono materie prime biologiche e di alta qualità. È un menù di livello superiore che segue un ideale etico e realizza il giusto compromesso tra innovazione culinaria e sostenibilità, tra piacere e concretezza. Un modo per offrire al cliente una scelta alternativa basata sulla consapevolezza oltre che sul gusto.

Stefano Canosci, con le sue innovazioni in cucina, urla un vero e proprio inno alla libertà e continua il suo cammino con nuove idee, come la sua pizza fritta, un classico della pizzeria partenopea popolare. Qui si va oltre. “Non mi piaceva l’idea del solito fritto a stuzzichini da mangiare svogliatamente prima della pizza principale e, allora, io la faccio grande come una pizza normale, la servo in un piatto largo 33 cm, tagliata in 4 parti, con sopra un topping caldo: diventa un piatto unico, può essere il fritto di benvenuto, ma condiviso”.

Infine, da Chicco, è arrivata la “scrocchiarella”, è sempre pizza ma quella sottile, fine, croccante che ha il suo

pubblico affezionato ma aveva bisogno di un pizzico di vivacità, di essere sdoganata da prodotto di basso livello. La scrocchiarella di Stefano deve la sua particolarità all’impasto, equilibrato, e al condimento, realizzato con ingredienti selezionati con cura.

E per ultima, una novità assoluta per Chicco: la pizza in pala che, spiega Stefano: “è servita in un modo un po’ diverso dal solito. Si chiama i Crostini e viene tagliata a quadratini e servita in 4 pezzi. Sui crostini, non la solita fetta di pane ma una base di pizza, e i sughi classici delle bruschette: fegatini, fagiano ecc. specialità tipiche che in questo modo tornano prepotentemente alla ribalta”. E la rivoluzione della pizza è servita.

Scopri Pizza Revolution

Le persone

Autore: Bruno Damini

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Maurice von Greenfield: Il mondo nei menu

È più ambizioso essere l’enciclopedia vivente dei tre stelle Michelin del pianeta o il più grande collezionista di menu storici al mondo? Maurizio Campiverdi, capitano d’azienda, accademico della cucina, scrittore, ma soprattutto bon vivant, è riuscito in tutte e due le imprese. Fino al 2007 aveva visitato tutti i 286 tre stelle di ogni latitudine per poi smettere quando la crescente influenza del continente asiatico ha reso difficile seguirne la proliferazione.

Tanti i volumi che ha scritto in proposito, l’ultimo edito da Maretti Tre stelle Michelin – Enciclopedia dell’alta ristorazione mondiale, storia dei ristoranti tristellati dal 1933 al 2020; questi alcuni suoi titoli precedenti Mangiare da re nei migliori cinquanta ristoranti del mondo, Viaggiare da re e Dormire da re nei cento migliori alberghi del mondo, tutti e tre editi da Ponte Nuovo.

Numerosi scritti, saggi e curatele riguardano la passione per i menu. Tutto ha inizio negli anni Cinquanta quando, adolescente, ogni estate andava con la madre e l’autista a fare un giro in Francia. Lei era molto interessata ai grandi ristoranti, lui era affascinato dagli enormi menu dalla grafica pregevole. Cominciò a raccoglierli in quelle circostanze e da allora non ha mai smesso arrivando a definirsi mali-

Maurizio Campiverdi

ziosamente come uno dei più celebri e riconosciuti i ladri di menu al mondo, anche se per ottenerli molto spesso gli è bastato offrire una mancia di una certa importanza al maître.

Quando il suo interesse giovanile cominciò a trasformarsi in collezionismo il padre lo esortò ad adottare uno pseudonimo per coltivare quel suo passatempo, riservando agli affari il nome di famiglia. Così Maurizio Campiverdi assunse il nom de plume franco-anglo-germanico Maurice von Greenfield

Per passare dai menu contemporanei a quelli storici dovette aspettare un’asta di Parker Barnett a New York nel corso della quale si assicurò dei pezzi molto interessanti, a scapito del suo più grande competitore, la New York Public Library, che allora deteneva la più grande collezionista di menu del mondo. Nelle sue mire c’era già l’obiettivo di spodestarla da questo primato.

Iniziava così un avventuroso percorso parallelo alla sua attività imprenditoriale: mentre trattava la compravendita di enormi partite di riso in ogni continente andava a caccia di rarità per la sua crescente raccolta.

Quando a Londra venne messa in vendita la collezione Mosimann, Sotheby’s lo informò. La sua fama di collezionista era già ben consolidata. Lo chef bistellato Anton Mosimann aveva cucinato per cinque primi ministri al No. 10 di Downing Street, per quattro generazioni della British Royal Family in occasione delle visite di capi di stato, fra cui quattro presidenti degli Stati Uniti. La sua era considerata la più importante collezione di menu d’Inghilterra. Campiverdi andò a Londra due

giorni prima dell’asta per prendere visione dei cento lotti scoprendo che nel raccoglitore numero 88 c’era una busta che conteneva tre menu del Titanic provenienti dalla collezione del duca di Atholl che Mosimann aveva comprato una ventina d’anni prima. Nel corso dell’asta, stranamente, il battitore finì per favorire un concorrente interessato al solo lotto numero 88 e glielo aggiudicò senza dare il tempo a Campiverdi di rialzare la posta. Il nostro si aggiudicò alla fine tutti e 99 gli scatoloni che fece caricare su un camioncino che aspettava fuori facendolo partire subito in direzione dell’Italia. Certo, mancava il lotto numero 88, ma una mano previdente aveva trasferito in precedenza i tre menu del Titanic nella scatola numero 86…

La sua collezione è considerata da tempo la più importante del mondo con oltre 70.000 menu fra i quali dominano pezzi di rilievo storico con quotazioni significative sul mercato collezionistico.

Impossibile elencare tutte le rarità, a cominciare dal menu dei Savoia del 1907, primo anno in cui la casa reale ne decise la stesura in italiano, abbandonando il francese adottato presso tutte le corti europee. L’orgoglioso Dîner Parisienne del Capodanno 1870, durante l’assedio a Parigi poco prima della proclamazione della Comune, fotografa una situazione drammatica: gli animali dello zoo, e non solo, sono l’estrema risorsa alimentare degli insorti. Non ha menù dello yacht Elettra di Guglielmo Marconi ma quello dei festeggiamenti in onore dello scienziato italiano nel 1903 al Savage di Londra, club di gentiluomini viaggiatori presieduto anche dal futuro re

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1927, Charles Lindbergh festeggiato con un grande banchetto a New York di ritorno da Parigi dopo la celebre e solitaria trasvolata atlantica. Il menu è un volume di 24 pagine, di grande formato, ricco di fotografie e documenti

Edoardo VII, figlio della regina Vittoria. Ci sono quelli della Marmite a Parigi, i cui menù erano firmati da artisti come Toulouse-Lautrec.

Nel 1978, il presidente della Repubblica Francese Valéry Giscard d’Estaing ricevette a Parigi il presidente USA Jimmy Carter. Una litografia originale di Marc Chagal in 99 esemplari rende prezioso il frontespizio di quel menu. Nel 1927, il capitano Charles Lindbergh venne festeggiato con un grande banchetto a New York di ritorno da Parigi dopo la celebre e solitaria trasvolata atlantica. Il menu è un volume di 24 pagine, di grande formato, ricco di fotografie e documenti. E ancora, il matrimonio fra il principe di Galles e Lady Diana Spencer, i menu del castello di Windsor, la collezione completa di quelli del Quirinale, menu fustellati con lettere impresse in oro zecchino o addirittura a sbalzo su lamine d’argento per il duemila cinquecentesimo anniversario dalla fondazione dell’impero persiano celebrato nel 1971 a Persepolis, e poi pranzi o cene ufficiali di dittatori, re e imperatori di regni che non esistono più.

Merita un racconto a parte l’acquisizione dei menu per l’incoronazione dello Zar Alessandro III avvenuta a Mosca nel 1883, fra i suoi pezzi più importanti. Un giorno Campiverdi venne informato che il granduca Nikolaj Romanoff, erede al trono degli zar, voleva vendere i suoi menù imperiali per elargire il ricavato a un ente benefico a sostegno di profughi russi indigenti. Voleva venderli a un solo collezionista che fosse uomo di cultura e che gli risultasse simpatico. Il granduca abitava in un attico in avenue Hoche a Parigi e non dava certo la sensa-

zione di avere bisogno di liquidità. Nel corso dell’incontro l’interrogò a lungo sulla storia dei Romanoff e sulla storia dei menu e del collezionismo. Alla fine gli disse: sono disposto a cederglieli. Altezza imperiale, se lei mi dice quanto richiede… E il granduca scrisse una cifra su un pezzo di carta. Corrispondeva esattamente al massimo che si era prefisso di pagare, qualcosa come 25.000 Euro di oggi. Gli disse che avrebbe fatto fare un bonifico sulla sua banca per poi andare a ritirare i menu quando sarebbe stato comodo. Al che lui rispose che aveva capito con chi aveva che fare, di prendere subito i menu e successivamente andare in banca facendolo avvertire a bonifico effettuato. Poi gli regalalò anche trenta menu di pranzi che si scambiava con il duca di Windsor, re Edoardo VIII, di grande interesse per un collezionista. Il menù ha certamente un grande passato, sul futuro immediato Campiverdi ha forti dubbi. I grandi ristoranti con tre stelle che ha visitato negli ultimi anni propongono poco più che dei pezzi di carta che non ha senso collezionare se non in ricordo di quei pranzi. Fra i menu più belli oggi ci sono quelli in seta del Gaddi’s di Hong Kong. Chi ha sempre fatto menu meravigliosi in Italia è Dal Pescatore a Canneto sull’Oglio, e lui ne possiede la collezione completa.

Quanto ai menu dei pranzi ufficiali non succede più che si dia l’incarico ad un artista, per fare qualcosa di originale. Il momento attuale è molto triste. Se dovesse dare un consiglio esorterebbe i ristoratori a un rilancio del menu perché si rendano conto che anche quello è il loro biglietto da visita.

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1903, Guglielmo Marconi festeggiato al Savage Club di Londra

Autore: Guido Parri

Cateringross diventa partner di FIC

La firma dell’intesa è avvenuta a Beer Attraction a Rimini

L’ultima edizione di Beer Attraction ha visto la FIC-Federazione Italiana Cuochi primeggiare tra le aree espositive più interessanti, grazie ad un calendario eventi di tutto rispetto: il Campionato di Cucina Italiana, la selezione del Bocuse d’Or, Trofeo Lady Chef, Trofeo Miglior allievo, European Grand Prix 2023: Global Chefs Challenge sono solo alcune delle manifestazioni che hanno alimentato l’area FIC, con un palco centrale dove il professor Alex Revelli Sorini ha condotto, con grande professionalità, decine di interviste a cuochi e aziende partner di FIC. In questo contesto è avvenuta anche la firma di partnership tra FIC e Cateringross, il primo gruppo cooperativo di distribuzione in Italia.

Le parole di Andrea Marchi, presidente di Cateringross

La firma dell’intesa tra le due realtà è stata fatta in Sala Ravezzi, in occasione di un Forum organizzato da Cateringross sulle strategie commerciali, di marketing e cmunicazione e di servizi che il gruppo dovrà adottare nei prossimi mesi.

Con la partecipazione di Rocco Pozzulo, presidente nazionale FIC, Carlo Bresciani, presidente di FIC Promotion, Seby Sorbello, responsabile eventi FIC, si è svolta la cerimonia della firma.

“Questo accordo consentirà a Cateringross di entrare in una famiglia, quella di FIC e dei suoi partner, che può

incidere in maniera forte sullo sviluppo, la crescita e il sostegno di un settore, quello della ristorazione italiana, che contribuisce in larga misura a quel 13% di PIL generato dal turismo nel nostro Paese. Inoltre aiuta a creare un rapporto molto più stretto ed efficace tra i nostri 40 soci presenti su tutto il territorio italiano e le delegazioni provinciali e regionali della FIC nell’organizzazione di eventi, workshop, cooking show, presentazioni di prodotti, che sono alla base di ogni iniziativa di promozione dell’intera filiera del food service”.

Le parole di Rocco Pozzulo, presidente nazionale FIC

“Siamo molto contenti di dar vita a questa partnership con Cateringross. I motivi sono i più diversi ma la sintesi di tutto questo è data proprio dalle similitudini che ci distinguono. La FIC vanta 16.000 iscritti, raggruppati in delegazioni provinciali che, sul territorio, hanno la giusta autonomia di gestione; con un gruppo come Cateringross che ha la stessa filosofia si potrà fare un grande lavoro comune sui singoli territori e, come gruppo, rafforzare il nostro peso a livello nazionale. Inoltre siamo attentissimi, come voi, ai temi della formazione, l’unica leva per garantire continuità a questo comparto. Mi auguro, dunque che questa firma sia l’inizio di un rapporto solido, concreto, efficace per antrambi”

Gli eventi
Da sinistra Luigi Franchi, Rocco Pozzulo, Andrea Marchi, Carlo Bresciani e Seby Sorbello
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Autore: Guido Parri

Hospitality, Garda Food&Drink, Madia Expo, Horecoast, Levante prof Il

mondo dell’ho.re.ca. riparte alla grande

Una nuova stagione che si sta rivelando molto interessante, quella del 2023, per il canale ho.re.ca. Le prime avvisaglie si sono potute vedere nelle fiere di gennaio e febbraio: Sigep, Hospitality, Beer Attraction. Hanno tutte fatto il pieno di professionisti alla ricerca non del prezzo ma di nuove idee e proposte per le cucine e le sale dei loro locali.

Hospitality e Garda Food&Drink

A Hospitality il gruppo ROAT, la divisione ittico dei distributori del Nord-Est (Marchi, Foppa, F.lli Tondini, RZ Service) ha vissuto quattro giorni con uno stand sempre frequentatissimo, con oltre 1.000 visitatori. A Garda Food&Drink, svoltasi a Peschiera sul Garda a fine febbraio la F.lli Tondini di Cavriana (MN) ha potuto incontrare, prima della stagione, i ristoratori gardesani presentando le nuove proposte: “Un workshop molto interessante, quello di Garda Food & Drink, perché è mirato a un’area geografica molto importante per il turismo e, di conseguenza, per la ristorazione: quella del Lago di Garda e delle province di Verona e Mantova che vedono la presenza di almeno 28 milioni di turisti” spiega Benhur Tondini.

Madia Expo

Dal 26 al 28 marzo, a Villa Foscarini Cornaro di Gorgo al Monticaro (TV), si svolgerà la 10° edizione di uno degli eventi più belli nel mondo dei consumi fuori casa: Madia Expo.

Organizzato da Madia spa, distributore di San Quirino (PN) che opera in Friuli Venezia Giulia, Veneto, Austria e Slovenia, vedrà la partecipazione di oltre 80 aziende di food&beverage presentare le loro produzioni dedicate al canale ho.re.ca.

“Ritorniamo a fare Madia Expo dopo due anni di rallentamento causato dalla pandemia. – afferma Alessandro Piazza, amministratore di madia spa – In questo lungo periodo non siamo però stati fermi, abbiamo in-

contrato nuove aziende che fanno prodotti di assoluta qualità e che saranno presenti all’evento. Ci auguriamo il successo che ha accompagnato le precedenti edizioni e, ai nostri clienti, un anno di grandi soddisfazioni”.

Horecoast

Il 12 e il 13 aprile, negli spazi della Stazione Marittima di Salerno, andrà in scena Horecoast il Salone delle Eccellenze. La manifestazione, giunta alla nona edizione, non smentisce la sua versione itinerante nei luoghi belli della Campania. Lo scorso anno fu a Paestum. L’evento è organizzato dalla Lamberti Food, insieme ad altri partner, per far conoscere le novità di food&beverage agli operatori professionali del fuori casa di questa regione.

“Nove anni fa, quando iniziammo, ci sembrava di essere mosche bianche, ora siamo il punto di riferimento preciso di molti pizzaioli e ristoratori della Campania e, in parte, del Sud-Italia” commenta Vincenzo Lamberti, amministratore dell’azienda di Cava de’ Tirreni (SA).

Levante prof

Levante Prof è una fiera B2B dedicata ai professionisti del settore che coinvolge tutti i comparti e gli utenti del mondo food con lo scopo di valorizzare il made in Italy tecnologico ed eno-agroalimentare. In programma alla Fiera del Levante di Bari dal 12 al 15 marzo vedrà la partecipazione, per la prima volta, di Erredi Distribuzione, azienda di Monopoli che opera in tutta la Puglia, Basilicata e parte della Calabria.

“Partecipiamo per la prima volta, con un grande spazio espositivo coinvolgendo anche diverse aziende del food-service. – racconta Angelo Raimondi, uno dei soci di Erredi – Siamo, infatti, convinti che partecipare a una fiera di questa portata prima dell’apertura della stagione sia un segnale molto forte rivolto ai nostri clienti che potranno conoscere direttamente le nostre nuove proposte”.

Gli eventi
61 | marzo 2023
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La distribuzione

Autore: Guido Parri

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Maddaloni Food Service nuovo socio di Cateringross

L’azienda calabrese sceglie Cateringross per crescere ancora di più

La Maddaloni Food Service nasce nel 1995 da un’idea del papà, Claudio Maddaloni, degli attuali soci, i figli Massimiliano, Marco, Mattia, Maurizio, Monica e Martina.

È un’azienda multiservizi specializzata in distribuzione nei canale HO.RE.CA., pasticceria, gelateria, panificazione, e nel food & beverage, fino alla realizzazione completa di progettazione interna di arredi, impianti e attrezzature professionali. La continua evoluzione, ricerca della qualità e formazione ha permesso loro di fornire al mercato risposte che anticipano i tempi.

La struttura vanta 6000 mq di coperto, di cui 1500 mq destinati alla gestione dello spazio freddo tra surgelato, fresco e super fresco ! Inoltre i 6000 mq di piazzale ospiteranno i nostri partner x eventi e fiere a livello regionale con appuntamenti annuali. Oltre 20 agenti dislocati sul territorio calabrese garantiscono un passaggio almeno settimanale di consulenza presso i clienti, le consegne sono garantite giornalmente su quasi tutte le provincie da una flotta interna di oltre 20 mezzi adibita per il trasporto multi temperatura.

Ma il vero cuore? la vera casa?

Posizionata nella parte anteriore sovrastante della struttura, nasce un’aula formativa sala DEMO, con annesso show room per la vendita di macchine e attrezzature nuove e usate, con un servizio interno di assistenza post vendita.

È in quest’aula formativa che i clienti hanno la possibilità di frequentare corsi per poter stare al passo con i tempi. “In un futuro fatto di qualità, tecnologia e innovazione è importante che, oltre al buon cibo anche le attrezzature nelle cucine professionali siano all’altezza dei tempi. Cucinare un buon piatto in cucine mal funzionanti, dove la qualità del lavoro ne risente pesantemente non è più accettabile. Oggi, con industria 4.0 si possono fare investimenti che sono assolutamente necessari. Pensiamo al fatto che in Italia esistono più di mezzo milione di frigoriferi professionali, di cui probabilmente due terzi sarebbero da cambiare. Un frigo professionale moderno consente di risparmiare quasi 1.000 kw/anno, Moltiplicati per mezzo milione di frigo pensate che servizio si farebbe all’ambiente e all’economia” afferma Massimiliano Maddaloni.

Perché Cateringross e non un altro gruppo

“Abbiamo scelto di aderire a Cateringross perché è un gruppo con una storia consolidata, con regole precise di rispetto e patrimonializzazione, composto da persone perbene. Del gruppo ci parlò un socio, Angelo Raimondi di Erredi Distribuzione, e poi è avvenuto il contatto con la sede e siamo qui”, prosegue Massimiliano.

Ed è proprio selezionando accuratamente i marchi tra i più prestigiosi e avendo una cura particolare nei confronti del cliente che l’azienda Maddaloni vuole diventare Leader nel settore alimentare e delle attrezzature professionali nella Regione Calabria.

Il cliente al primo posto, le loro esigenze sempre al centro dell’attività. “Questo approccio è basato sull’esperienza e la competenza del personale della nostra azienda: non solo gli esperti che si occupano dei nostri clienti, ma anche la conoscenza riguardo i prodotto trattati e la capacità d’innovazione dei nostri team fanno si che il cliente guadagni sempre il tempo necessario per dedicarlo ad altro, in un’epoca di grandi cambiamenti uno dei pochi valori destinato a restare costante è la qualità del nostro tempo, e noi crediamo in questo” conclude Massimiliano.

Autrice: Marina Caccialanza

Bontà e prestazioni da veri intenditori

Dal 1856 Cirio è lo  specialista del pomodoro 100% italiano: oltre 160 anni di esperienza che ne hanno fatto una delle marche simbolo della nostra cucina apprezzata in tutto il mondo.

Da questa passione è nata la linea Cirio Alta Cucina, dedicata in esclusiva ai professionisti della ristorazione che puntano sempre all’eccellenza, nella qualità e nei risultati.

I prodotti della gamma offrono l’inconfondibile gusto verace del pomodoro italiano, selezionato e lavorato con cura per garantire il massimo sapore e la migliore resa ad ogni ricetta.

Cirio Alta Cucina è una gamma completa, pensata per soddisfare le esigenze e la creatività di ogni cuoco con un pomodoro di assoluta eccellenza, versatile nelle prestazioni e dalla migliore resa: dai primi piatti della tradizione ai secondi più ricercati, dai contorni saporiti fino alla pizza.

La materia prima al centro

Prodotto iconico della dieta mediterranea, i Pelati Cirio Alta Cucina vengono coltivati nella zona di eccellenza, la Puglia, per garantire un prodotto dalle caratteristiche inimitabili.

Maturi al punto giusto, di colore rosso vivo e dal calibro grande e uniforme, grazie all’attenta selezione della materia prima, i Pelati Cirio Alta Cucina sono la massima espressione del pomodoro. In virtù della ricca salsatura, così densa e corposa, e dell’elevato peso sgocciolato, i Pelati Cirio Alta Cucina vantano un’elevata resa in cucina, superiore alla media, garantendo il rispetto del food cost.

Adatti ad ogni tipo di preparazione, anche la più difficile e complessa, danno il meglio in cotture prolungate, in particolare come base per primi piatti. Perfetti nella classica concassé possono essere passati al cutter prima

Pelati Cirio Alta Cucina, espressione di una cucina genuina, innovativa, gustosa e di alta qualità, per soddisfare le esigenze e la creatività di ogni cuoco
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della cottura per ottenere un risultato liscio e vellutato. Frullati a fine cottura con olio evo a filo e basilico a crudo faranno riscoprire il gusto unico del simbolo della cucina italiana, il classico spaghetto al pomodoro e basilico, presentato in chiave moderna. Il loro sapore fresco e rotondo li rende perfettamente adatti anche alle preparazioni a freddo come una panzanella, una bruschetta o un gazpacho. Grazie all’elevata qualità e all’ottima resa, i Pelati Cirio Alta Cucina sono quindi l’ideale complemento delle ricette di una ristorazione che ricerca le eccellenze per garantire il migliore risultato nel piatto.

I Pelati Cirio Alta Cucina sono espressione di una cucina genuina, innovativa, gustosa e soprattutto di alta qualità perché ottenuti utilizzando la migliore materia prima, rigorosamente no OGM, coltivata in Italia con tecniche agronomiche all’avanguardia e sottoposta a rigorosi controlli lungo tutta la filiera, raccolta e lavorata nell’arco di 24 ore per preservare il sapore autentico del pomodoro.

Riconoscimenti e autorevolezza

Importanti collaborazioni legano il brand Cirio Alta Cucina al mondo dei professionisti della ristorazione: tutta la gamma Cirio Alta Cucina si fregia dell’importante riconoscimento “Approvato dalla Federazione Italiana Cuochi (F.I.C.)”. Cirio Alta Cucina è infatti l’unico pomodoro scelto dalla F.I.C: si tratta di un sigillo autorevole che premia la qualità superiore e il gusto unico dei suoi prodotti e un impegno costante nella creazione di un rapporto sempre più qualificato con il mondo dei professionisti della ristorazione.

Il brand storico del made in Italy alimentare ha stretto un’importante partnership con l’Associazione Verace Pizza Napoletana, nata nel 1984 per la difesa e la valorizzazione della pizza prodotta e lavorata secondo le tradizioni napoletane, rientrando nell’Albo dei Fornitori Approvati dell’Associazione come prodotti legati alla filiera produttiva della “vera pizza napoletana”. Infine, da alcuni anni Cirio Alta Cucina è diventato il pomodoro ufficiale di ALMA – La Scuola Internazionale di Cucina Italiana con sede a Colorno, in provincia di Parma.

Pomodoro pelato confit, “ghiacciata” di mozzarella di bufala e caviale al basilico

Ricetta di Fabio Potenzano, Chef della Nazionale Italiana Cuochi

Per 4 persone

Pelato confit

I Pelati 8

Aglio 3 spicchi

Scalogno 2

Scorza di arancia e limone

Timo e maggiorana freschi

Sale, pepe, olio evo q.b.

Tagliare I Pelati a metà per la lunghezza. Condire con tutti gli ingredienti e lasciare appassire in forno a 80°C con valvola aperta per 1 ora.

Ghiacciata di mozzarella

Mozzarella di bufala 250 g

Abbattere a -18°C la mozzarella. Grattugiare al momento.

Caviale al basilico

Estratto di basilico 200 ml

Acqua minerale 50 ml

Agar agar 2,5 g

Olio di semi di arachidi 1 l

Olio evo q.b.

Versare l’olio di semi in un contenitore largo e mantenere a +4°C fino al momento dell’utilizzo. Portare a ebollizione l’acqua con l’agar agar. Unire l’estratto di

basilico. Far cadere delle gocce sull’olio di semi freddo. Recuperare le piccole sfere e conservare in olio evo.

Dressaggio

Adagiare il pelato confit su un letto di briciole di pane al pomodoro, realizzato frullando pane fresco con Doppio Concentrato da Pelati. Completare con la ghiacciata e il caviale di basilico.

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67 | marzo 2023

Autrice: Marina Caccialanza

Tutta la tradizione pugliese a portata di freezer

Surgital lancia un nuovo formato ispirato alla tradizione culinaria pugliese, i Troccoli di Laboratorio Tortellini®Alta Tradizione, marchio storico e punto di riferimento del foodservice per quanto riguarda la pasta fresca surgelata.

Un formato di pasta di origini antiche

I Troccoli sono spaghetti a sezione triangolare realizzati con semola di grano duro, farina di grano tenero tipo “00”, acqua e sale, il cui nome deriva dalla forma ritorta dovuta al mattarello – detto troccolaturo - dotato di lame circolari che sagomano l’impasto.

In pratica, per fare i Troccoli, le massaie pugliesi utilizzano un mattarello che un tempo era di metallo e oggi è perlopiù di legno; presenta delle lame circolari molto caratteristiche con le quali si “torce” l’impasto.

Il troccolaturo uno strumento molto antico, citato già da Bartolomeo Scappi nella sua Opera dell’arte del cucinare

del 1570, e il suo nome deriva appunto dal latino torculum, cioè torcere.

I nuovi Troccoli Laboratorio Tortellini® - Alta Tradizione sono rustici e spessi, per questo richiedono una rigorosa cottura al dente; è una tipologia di pasta che risulta molto versatile e si presta ad accogliere tanti condimenti diversi. Si sposano bene, infatti, con condimenti ricchi e sughi importanti, come il ragù, il più comune in Puglia, con cui vengono cucinati la domenica: il tipico sugo della festa, preparato con carne di maiale, braciole di cavallo, pancetta farcita e salsicce; oppure si accompagnano perfettamente con i funghi cardoncelli tipici del luogo o, ancora, con i frutti di mare.

I Troccoli sono una novità frutto della continua ricerca di Surgital, che amplia la rosa di ricette da inserire in menù, offrendo un prodotto regionale da proporre attenendosi fedelmente alla tradizione oppure da rivisitare a seconda della creatività dello chef.

68 | marzo 2023
I nuovi troccoli Laboratorio Tortellini®, i nuovi spaghetti a sezione triangolare di Surgital, ampliano la dotazione di pasta lunga dei migliori ristoranti. Per clienti che amano piatti rustici e caserecci
Le
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I Troccoli offrono, come tutti i prodotti Surgital, un’eccellente valore di servizio: sono anche veloci da cuocere, bastano 5/6 minuti in acqua bollente per servire una pasta a regola d’arte, da condire o spadellare a piacere. Propongono un’alternativa di pasta lunga, che diversifica la dotazione di formati in cucina e incontra i gusti di chi cerca piatti più tradizionali, rustici e caserecci.

I mastri pastai di Surgital hanno saputo ricreare e poi surgelare la forma e la peculiare consistenza di questo tradizionale formato di pasta pugliese verace, caratte-

Troccoli mantecati al ragù di polpo e riccioli di ricotta salata

I Troccoli si possono servire saltati anche solo con il sugo ottenuto e utilizzare il polpo come seconda portata.

Ingredienti per 4 persone

Troccoli 440 g

polpo fresco o surgelato 1 kg

passata di pomodoro 1 l

1 foglia di alloro

Prezzemolo 10 g

1 spicchio di aglio

olio EVO 50 g

sale fino 5 g

vino bianco 100 ml

peperoncino piccante 2 g

ricotta salata 50 g

ristiche che conquistano il palato e portano in tavola tutto il gusto della cucina genuina.

Caratteristiche e suggerimenti d’uso

Minuti di cottura 5/6 peso di un nido 55 g peso consigliato per porzione 110 g resa per porzione dopo la cottura 165 g resa dopo la cottura 50% n° di porzioni per cartone 13 peso cartone 1,5 kg

Preparazione

Pulire, lavare e tagliare grossolanamente i tentacoli di polpo.

Rosolare i pezzi di polpo in una casseruola con olio EVO, aglio in camicia e alloro.

Bagnare con vino bianco e lasciare evaporare prima di aggiungere la passata di pomodoro. Aggiustare con sale e peperoncino e far cuocere il sugo per 40 minuti ca. Cuocere i Troccoli in abbondante acqua salata per 5/6 minuti circa e saltare con la salsa ottenuta.

Servire i Troccoli caldi con una generosa manciata di prezzemolo tritato e riccioli di ricotta salata realizzati al momento.

Troccoli saltati alle gonadi di riccio di mare, su cremoso di cima di rapa

Per preservare il sapore dei ricci di mare è molto importante mantecarli insieme ai Troccoli a fuoco spento.

Ingredienti per 4 persone

Troccoli 440 g 10 ricci di mare freschi

cime di rapa 200 g

olio EVO 10 g

sale fino 5 g

cerfoglio fresco 10 g

Preparazione

Aprire i ricci di mare e tenerne da parte la polpa (ca. 80\90 g).

Immergere le cime di rapa nell’acqua bollente salata per 10 minuti; una volta scolate, frullarle con l’acqua di cottura e olio EVO a filo, in modo da ottenere una crema fluida e omogenea.

Cuocere i Troccoli in abbondante acqua salata per 5/6 minuti, scolare e saltare con la polpa di riccio, mante cando il tutto con l’acqua di cottura per ottenere una

70 | marzo 2023

Autrice: Marina Caccialanza

Pratici, veloci … e con effetto WOW!

Velluto Déco è una linea che nasce dall’esperienza, gusto e qualità di Cameo Professional ed è ideale per far crescere rapidamente il proprio business.

Con la linea dei Velluto Déco, Cameo Professional propone soluzioni innovative e di tendenza.

Studiata per i professionisti della ristorazione e della pasticceria artigianale, la nuova linea di Cameo Professional offre un tocco di classe a ogni preparazione di pasticceria: da oggi è più semplice decorare i semifreddi, le mousse e tutte le torte gelato utilizzando Velluto Déco, il prodotto che dona più eleganza e più personalità a ogni dessert.

I Velluto Déco sono pratici, veloci … e con effetto WOW!

Velluto Déco è burro di cacao spray dal bellissimo effetto vellutato, studiato appositamente per donare un’elegante finezza e un grande impatto visivo alle superfici dei dolci.

La gamma, tutta nel formato da 400ml, è composta dai 4 colori più alto-vendenti, adatti ad armonizzarsi con ogni abbinamento cromatico e gustativo: bianco, giallo, rosso e marrone.

Inoltre, Velluto Déco decora (e protegge) in modo impeccabile piccole e grandi superfici di dessert congelati. È ideale per tutta la pasticceria creativa da ristorante, albergo o artigianale; è perfetto per le creazioni di cake design.

Come è nata l’idea di Velluto Déco e a chi si rivolge? Velluto Déco è la risposta che mancava ai professionisti dell’hotellerie, della ristorazione tradizionale, del catering: poiché la necessità di rendere il dessert piacevole e coinvolgente è una delle carte vincenti su cui puntare nel fuoricasa.

È anche la risposta che mancava ai professionisti del bar/ bistrot multifunzione, format in forte crescita negli ulti-

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2023
Da Cameo Professional, Velluto Déco, una nuova linea per i professionisti del dolce
Le
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marzo

mi anni e, perfino, ai professionisti delle gelaterie/pasticcerie che nella vetrina, infatti, necessitano di prodotti in grado di attirare la clientela e, soprattutto, distinguersi dalla concorrenza.

Velluto Déco è un prodotto dalle molteplici caratteristiche:

• è pronto all’uso, a temperatura ambiente

• è a base di burro di cacao e con estratti vegetali

• è adatto anche per vegetariani

• è senza glutine

• senza lattosio

• senza olio di palma

• è dotato di certificazione Kosher

• è un prodotto ad altissima resa: ogni bomboletta è in grado di decorare più di 40 dessert da 80g. All’interno dell’ampia gamma di prodotti di Cameo Professional, i Velluto Déco vanno ad arricchire l’assortimento dei prodotti servizio Spray, composta dagli ormai noti Dora Facile, Gelatina e Staccante.

Autrice: Marina Caccialanza

Sprayleggero, record di distribuzione

L’olio spray è nato negli USA prima degli anni ’80, e oggi quasi il 90% delle famiglie ha una bomboletta di olio spray in casa. Dov’è l’innovazione, dunque? L’olio spray prodotto dagli americani da 40 anni è miscelato con i gas propellenti e con conservanti, oltre che con acqua e altre sostanze. Hanno usato la tecnologia più a portata di mano (quella usata per la lacca per capelli e vernici): l’olio per essere spruzzato viene miscelato a propellenti e ad additivi che servono per emulsionare il tutto e messo in una normale bomboletta di alluminio.

Sprayleggero, invece, utilizza per primo al mondo una speciale tecnologia che permette di mantenere l’olio integro e naturale al 100%, separandolo dal propellente, che in questo caso è semplice azoto alimentare.

In un flacone Sprayleggero, l’olio è contenuto all’interno di una sacca sigillata dentro al flacone in alluminio. All’interno del flacone, attorno alla sacca, è immesso

azoto alimentare che resta sempre separato dal contenuto della sacca.

Quello che viene erogato, dunque, è puro olio – e nient’altro – perché nell’olio non sono contenuti propellenti o additivi chimici.

“Abbiamo rischiato molto, ma abbiamo avuto ragione del nostro coraggio - racconta Adriano Mantova, Direttore Commerciale di Compagnia Alimentare Italiana –. Non molti avrebbero fatto altrettanto: noi abbiamo investito quasi 1 milione di euro nel solo impianto pilota della nuova tecnologia, senza sapere se il prodotto si sarebbe venduto. E invece l’intuizione era giusta e i mercati di tutto il mondo hanno risposto a una velocità come mai era successo prima a una piccola azienda come la nostra. Negli anni ’80 l’olio di oliva extravergine era di per sé un’innovazione all’estero, e grazie alla dieta mediterranea e al Made in Italy ha avuto un enorme successo in tutto il mondo. Ma oggi non è più

www.alimentareitaliana.it
La più grande e l’unica innovazione nel settore dei condimenti degli ultimi 30 anni: Sprayleggero è in 65 Paesi al mondo, e non solo!
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2023
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una innovazione per nessuno, nemmeno per gli eschimesi”.

La combinazione di offerta rivoluzionaria di Sprayleggero non poteva che dare risultati straordinari: nessuno pensava potessero arrivare in così breve tempo. 65 Paesi al mondo vendono Sprayleggero nelle principali catene di supermercati.

Il vizio d’innovare

“Il vizio di innovare” nella famiglia Mantova c’è sempre stato: è loro l’invenzione dell’ormai iconica bottiglia marasca (negli anni ’70), dell’olio novello e degli oli di oliva aromatizzati (’85), dell’olio non filtrato nella bottiglia da latte tradizionale (’90), e altre ancora.

Compagnia Alimentare Italiana ha fatto della ricerca e sviluppo la prima e forse unica ragione della propria esistenza. Di qui un forte impegno nell’innovare, di qui l’idea di produrre un olio spray, ma 100% naturale.

La tecnologia ‘Sprayleggero’ non è solo il miglior modo per consumare un olio, perché permette di dosarlo perfettamente e di assumere se si vuole minore quantità a parità di sapore. Oggi è anche e soprattutto il miglior modo per conservare l’olio: lo speciale sistema a tenuta stagna continuata (anche dopo ogni uso) è l’unico capace di evitare all’olio ogni contatto con l’aria o la luce, che sono agenti ossidanti.

A quest’elemento Sprayleggero ha aggiunto un altro primato mondiale: una scelta infinita di oli, tra cui gli oli extravergine di oliva aromatizzati naturalmente con decine di spezie diverse, da quelle tradizionali italiane alle spezie salutistiche orientali come curcuma o

zenzero. Vi sono poi tutti gli oli nutraceutici più attuali: di avocado, di cocco, di semi di lino, di vinacciolo, e molti altri: il filo conduttore è sempre il benessere. Possiamo razionalizzare il tutto in due principali linee di prodotto: quella a base di olio extra vergine di oliva 100% italiano e quella nutraceutica.

Il protagonista indiscusso degli oli in spray è sicuramente l’Olio Extra Vergine di Oliva 100% italiano. Partendo da questa eccellente materia prima, la linea si apre alle aromatizzazioni cha vanno dalle più classiche – aglio, limone, peperoncino, basilico, rosmarino, cipolla – alle più stravaganti – curcuma, zenzero - alle più fantasiose come arancia e pepe nero.

Il fil rouge della linea di prodotti nutraceutici, invece, è la salute del corpo: integrato all’interno di una dieta varia ed equilibrata e di uno stile di vita sano, ciascun olio garantisce un beneficio specifico.

Tra questi prodotti annoveriamo l’olio di noce, l’olio di avocado, l’olio di riso, l’olio di semi di lino, l’olio di vinaccio, l’olio di sesamo tostato e l’olio di cocco liquido.

Perché portare sprayleggero nei propri locali?

Sprayleggero è la soluzione contro gli sprechi che i ristoratori aspettavano da sempre. Il suo utilizzo offre numerosi vantaggi:

1 bottiglia di olio spray da 250 ml equivale a 3 bottiglie tradizionali da 1L.

Utilizzare Sprayleggero è un metodo facile e veloce e permette di condire oltre 200 piatti.

Non dimentichiamo che Sprayleggero si utilizza non solo in cucina, ma è l’ideale da portare a tavola. Infatti, spruzzando l’olio se ne usa meno. L’innovativo flacone di Sprayleggero permette di ridurre i consumi del 90% a parità di condimento, riducendo quindi consumi e prodotto utilizzato.

Basti pensare che un flacone da 250 ml corrisponde a circa 3 litri di olio in una normale bottiglia di vetro, quindi Sprayleggero consente di risparmiare, usando lo stesso quantitativo di olio che si userebbe con una tradizionale bottiglia.

Nello specifico, 1 porzione di spray eroga 1,8 ml di olio mentre una bottiglia tradizionale eroga 15 ml di olio. Ecco quindi dimostrata la riduzione dei consumi del 90%.

Garantire la qualità non è mai stato più semplice e conveniente. Per questo il motto di Compagnia Alimentare Italiana è + QUALITÀ - SPRECO.

75 | marzo 2023
Scopri Sprayleggero

Autore: Luigi Franchi

28pastai, tra storia e innovazione

Innovare nella pasta è il sogno di molti ma è un prodotto talmente radicato nell’immaginario del mondo che può apparire difficile farlo.

Non è stato così per il pastificio “28pastai di Gragnano (NA), nel cuore della storia della pasta; basta approcciare all’innovazione con intelligenza, come ha fatto Elena Elefante, Ceo di quest’azienda nata nel 2019 con un obiettivo molto chiaro e ambizioso: realizzare una pasta di alta qualità distinguibile da tutte le altre per colore, sapore e profumo.

Un obiettivo che è costato due anni di lavoro prima di approcciare al mercato e due tonnellate di pasta per sperimentare. Ma andiamo con ordine.

L’origine del nome: 28pastai

“L’azienda sorge alla sommità della Valle dei Mulini dove, a inizio Ottocento, si ottenevano le farine per la pasta di

Gragnano, nel vecchio stabilimento che fu di Emidio Di Nola. La valle alimentava, con la sorgente Forma i 28 mulini e i relativi 28 pastifici dell’epoca. Da qui il nome ma non solo: – racconta Elena Elefante – su ogni confezione delle nostre paste c’è l’abbinamento con le storie dei 28 pastai dell’epoca”.

Storie come quella di Gioacchino, innamorato della musica ma senza un soldo per poterla imparare. Un giorno, mentre era a bottega da un pastaio, per caso provò a suonare ‘nu’ maccarone’ come un piffero. Uscì un suono strano ma tanto bastò. Con il tempo Gioacchino imparò che la pasta è proprio come la musica: si sente con il cuore.

La ricerca e l’innovazione

Come si riesce a innovare in questo mondo dove la tradizione è un elemento fondamentale per comunicare?

76 | marzo 2023
Zero pesticidi e glifosati, poco amido, minor tempo di cottura sono solo alcune delle caratteristiche di questa pasta
Le aziende Clicca e leggi l’articolo sul web

“L’innovazione nella pasta si è sempre e, spesso, solo ricercata in nuovi formati e questo è stato l’errore. Ci sono già trecento formati di pasta italiana, non ne servono molti altri. – afferma Elena Elefante – Piuttosto bisogna cambiare nella standardizzazione dei processi che rende la pasta indistinguibile ed è quello che abbiamo fatto noi”.

Tutti i formati dei 28pastai sono realizzati non con semole convenzionali ma con una miscela, brevettata, di cinque grani italiani provenienti in prevalenza dai territori molisani e abruzzesi: “Non solo – continua l’amministratrice dell’azienda – Siamo anche la prima azienda di pasta al mondo che certifica tempi e temperature di essicazione, oltre ad essere la prima pasta di Gragnano che traccia tutta la filiera. I nostri segreti li sveliamo tutti nel QR Code che c’è in ogni confezione. Aprendo il QR ode si viene a conoscenza dei paesi da cui proviene il grano duro, delle certificazioni di origine del grano, del biologico, della qualità e della tracciabilità di filiera. Il tutto con il procedimento della blockchain che non consente altro che la verità. Inoltre si trova anche la certificazione di zero pesticidi e glifosato.”.

Ma non è finita, la pasta di 28pastai è particolarmente adatta alla ristorazione, per due caratteristiche fondamentali per uno chef: “Con la nostra ricerca, che ci è costata inizialmente due tonnellate di pasta utilizzata, abbiamo ridotto i tempi di cottura, rispetto a qualsiasi altra pasta artigianale, di almeno due minuti; poi abbiamo lavorato sull’eccessivo rilascio d’amido, creando una sorta di maglia glutinica che intrappola l’amido rendendo più digeribile la pasta, più adatta al legame con i sughi e non costringe gli chef a cambiare troppo spesso i bollitori”.

Il prezzo

il prezzo, anche se sembra un’assurdità, è ancora un elemento di differenziazione nelle motivazioni d’acquisto da parte della ristorazione e pensare al processo produttivo, ai temi dell’innovazione e della sostenibilità che guidano le strategie di 28pastai può sembrare che le loro paste

costino decisamente di più rispetto alle altre presenti sul mercato, ma anche qui c’è la sorpresa.

“Far pagare ricerca, innovazione e sostenibilità interamente al consumatore finale non farà mai decollare nessun processo di miglioramento della pasta e del mondo intero. – spiega Elena Elefante – Viviamo in un periodo storico dove tutti devono fare la loro parte per migliorare le qualità della vita propria e degli altri. Essere imprenditori, oggi, significa anche questo. La nostra pasta non è più cara delle altre. Ha più cose, come quelle che ho spiegato, delle altre, ma questo non significa un costo superiore. Rispetto al mercato delle paste di Gragnano ci collochiamo al centro dei diversi prezzi di mercato”. Di diverso c’è una cosa: che questa pasta va assaggiata per capirne tutte le potenzialità, infatti, conclude Elena, “abbiamo numerosi chef che ci hanno aperto le porte delle loro cucine dopo averla provata”.

Elena Elefante, Ceo di 28pastai

Autore: Guido Parri

Mamma mia!

Chi non lo dice di fronte a una sorpresa positiva?

Dopo la denuncia di BBC Future relativa al fatto che il produttore indiano di tessuti Welspun aveva venduto agli hotel di lusso di mezzo mondo 750.000 lenzuola e federe etichettate come cotone egiziano, il cotone migliore del mondo per morbidezza e durevolezza, ma che egiziano non era, parlare di un’azienda siciliana che offre ogni specifica informazione sui suoi prodotti per il breakfast negli hotel fa sicuramente bene a tutto il settore.

Dimostra, ancora una volta, che l’essere artigiani, come in questo caso, o industria, in altri, nel settore alimentare in Italia è un valore che, forse, non riusciamo a cogliere in tutta la sua pienezza.

Mamma mia!

Giuseppe Augello è un signore distinto che, in una fiera, colpisce per la sua naturale eleganza. Non solo di abiti ma di comportamento! È questo, oltre ad un nome che incuriosisce ad avvicinarti al suo stand a Hospitality a Riva del Garda!

Mamma mia! è il nome di questa azienda che propone,

con un packaging decisamente intrigante, confetture, creme e nettari.

“Sono della mia Sicilia” comincia così la nostra conversazione. “Abbiamo bisogno di offrire un’immagine diversa di questa meravigliosa isola e, con questo spirito, ci sia-

Oggi è diventato il nome di prodotti che di sorprendente hanno tanto
Le aziende
78 | marzo 2023
Giuseppe, Danila e Damiano Augello
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mo proposti di dare vita a un laboratorio artigianale a Siracusa per le nostre produzioni” prosegue Giuseppe. C’è qualcos’altro che spinge il signor Giuseppe a dar vita a questa impresa. Lui ha un lavoro che, da anni, lo riempie di soddisfazione: il concessionario della Xerox, per cui opera in tutta Italia. Non fatichiamo molto a conoscere tutta la verità.

“Mio figlio Damiano ha una passione talmente grande per il cibo che lo ha portato a farne uno scopo professionale e abbiamo deciso, io e mia moglie Danila, di aiutarlo in questo”.

Lo dicevamo che Giuseppe è un signore distinto e ora ne

abbiamo conferma.

“Nel giugno 2020 abbiamo aperto un laboratorio dove poter lavorare bene i prodotti siciliani, arance, pistacchi, fichi e quant’altro: basse temperature, cotture veloci ecc… E intanto che facevamo le prove pensavamo a quale nome dare ai nostri prodotti. Mamma mia fu l’espressione che Damiano disse assaggiando un nettare che stavamo producendo e quello, immediatamente, divenne il claim che oggi campeggia sulle confezioni. Sa di italianità, persino in Giappone lo sanno pronunciare e ne conoscono perfettamente il significato”.

La qualità certa

“Era da molto tempo che ci eravamo stancati di mangiare cose immangiabili – afferma Giuseppe Augello – ed era così per tutta la famiglia. Anche quella è stata una molla decisiva! Ci siamo chiusi in laboratorio per due anni, nel periodo Covid, per provare, sperimentare, infine produrre. Però un prodotto come il nostro necessita di essere assaggiato per capirne l’eccellenza. Usiamo solo prodotti provenienti da coltivatori siciliani che conosciamo direttamente. Pochissimi zuccheri, nessun altro ingrediente che quello principale di cui si riesce a riconoscere profumi, sapori e colori originari”.

In effetti all’assaggio si apre un mondo di sensazioni di benessere che non hanno pari.

Il mercato di riferimento

“Siamo presenti sul mercato solo da un anno – prosegue il signor Giuseppe – ma abbiamo già delle piccole soddisfazioni. Una catena alberghiera, di quattro hotel di lusso, sta lasciando i fornitori che aveva per far entrare Mamma mia! Abbiamo una rete di agenti che si sono formati in azienda per presentare i nostri prodotti nel migliore dei modi. Non guardiamo e non puntiamo le nostre strategie sul fattore prezzo, In Xerox ho capito che il prezzo è l’ultimo dei fattori da considerare quando c’è un prodotto che ha una qualità indiscussa. Siamo più cari della media perché siamo artigiani; produciamo 3.500 vasetti piccoli e 1.200 grandi al giorno, pur in presenza di un sistema produttivo scalabile che può arrivare, in pochi mesi, a misure completamente diverse. Ma oggi siamo così e, quindi, non possiamo contare su un forte potere contrattuale nell’acquisto dei materiali di confezionamento che hanno un’incidenza importante sul costo finale”.

Una visione trasparente, chiara, di dove si vuole collocare Mamma mia!, sapendo comunque che il prezzo di una crema o una confettura, per caro che sia, è sempre troppo poco rispetto a prodotti che con i cibo non hanno nulla a che fare. Lamentarsi per una confettura che, al massimo, arriva a costare otto euro e non dire nulla per i trenta euro che arriva a costare un involucro di pura plastica per proteggere il cellulare è da stupidi!

79 | marzo 2023

La salsa viola di cavolo cappuccio di Demetra

Demetra continua nella sua strategia di ampiezza di assortimento con la consapevolezza che i suoi prodotti sono sempre più utili a una ristorazione che soffre di mancanza di personale nelle cucine. Infatti l’azienda valtellinese ha, da sempre, adottato la formula di mettere in produzione ingredienti semilavorati, puliti e senza spreco che si basano su materie prime di eccellenza come l’ultima specialità che presentiamo, con una ricetta tipo: una salsa a base di cavolo cappuccio viola preparata con cipolle, olio e aceto di vino.

Dal gusto leggermente acidulo è indicata sia per gli utilizzi a caldo che a freddo, ideale per farcire pizze o panini e per la preparazione di primi piatti o paste ripiene.

La ricetta

Gnocchi di pane al cavolo viola, crema al gorgonzola, finferli e peperoni cruschi

Ingredienti per quattro persone:

300g pane bianco senza crosta

80g Salsa viola di cavolo cappuccio Demetra

200g Crema poche “al gorgonzola dop” Demetra

60g Gallinacci piccoli trifolati Demetra

50g burro

n.4 Peperoni cruschi Demetra

n.1 uovo

q.b. latte

q.b. farina bianca 00

q.b. Salvia liofilizzata Wiberg

Preparazione

Ammollare il pane bianco tagliato a cubetti con poco latte e la salsa di cavolo viola, aggiungere l’uovo e la farina necessaria per raggiungere la densità desiderata. Formare delle sfere di circa tre centimetri e cuocere in abbondante acqua salata, scolare e condire con il burro, la salvia e i gallinacci.

Servire in un piatto piano con la crema di gorgonzola ben calda sulla base e guarnire con i peperoni cruschi sbriciolati.

Le aziende
www.demetrafood.it
80 | marzo 2023
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Tra ghiaccio e bicchieri

Un libro che vale davvero il piacere della lettura. Quante volte, davanti a un cocktail, ci siamo domandati l’origine, chi lo aveva inventato, per quali strani percorsi era arrivato a quella miscelazione?

Bene, il libro di Gabriele Palumbo ci dà una risposta per almeno 21 dei cocktail che hanno fatto la storia della mixology, con storie tra leggenda e realtà che ci fanno fare un viaggio nel tempo, nella New York di fine Ottocento, a Cuba, in Francia giusto per citare qualche luogo di varia umanità, cme scrive lui stesso, raccontato nel libro.

Nella prefazione cita, con queste parole, come dietro a un cocktail, c’è sempre un pezzo di storia: “Avete presente il cocktail Sazerac? Uno dei primi cocktail ad essere stati codificati, tramandati e messi su carta. Il Sazerac nasce con il cognac, poi verso la fine dell’800 arrivò la fillossera, un parassita che distrusse la maggior parte delle vigne europee... No vino, no cognac e il Sazerac si trasforma, tanto che tutt’oggi viene preparato con del bourbon”.

Questo è solo un assaggio delle storie racchiuse nel libro, ma rende benissimo l’idea che si tratti di una lettura sorpendente!

Tra ghiaccio e bicchieri

Gabriele Palumbo

Book Sprint Edizioni

Pagg. 144

Euro 16,90

L’arte di mangiare il giusto L’arte di mangiare il giusto

Dominique Loreau

Giunti editore

Pag. 311

Euro 14,00

www.giunti.it

Un libro dirompente mi viene da dire: Dominique Loreau, filosofa della leggerezza, abita da più di quarant’anni in Giappone, un paese che l’ha ispirata nella ricerca dell’arte di vivere bene. Su questo principio si basa questo libro, frutto di una ricerca condotta con grande determinazione per individuare il maggior numero di aspetti possibile sui problemi legati al peso: dietetici ma non solo, anche quelli psicologici, comportamentali e culturali.

Leggerli significa avere a disposizione molti spunti di riflessione e cura, infatti nel libro vengono individuati, e descritti con un linguaggio semplice e piacevolissimo da leggere, metodi estremamente efficaci per acquisire consapevolezza e trovare le soluzioni per vivere bene, star bene con il proprio corpo, trovare un nuovo modo di nutrirci senza forzature, senza strappi o rinunce. Non si tratta di una nuova dieta bensì di assumere informazioni essenziali per raggiungere l’obiettivo di star bene, non solo esteticamente, ma con l’autostima necessaria a farlo. Un invito a riprendere in mano la nostra vita a partire dall’alimentazione!

libri www.booksprintedizioni.it Autore: Luigi Franchi
I
81 | marzo 2023

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