FARE RISTORAZIONE Autrice: Giulia Zampieri
È piuttosto frequente leggere il racconto di una bella esperienza a tavola. Si elogia il cuoco, si decanta la sala, si parla della finezza degli ambienti, dell’equilibrio delle portate, di un boccone fuorviante capace di solleticare i ricordi. Non è così solita invece un’analisi di cosa non è andato in una cena, o in un pranzo… eppure gli episodi che lasciano un po’ interdetti capitano, capitano a tutti. Il racconto del non riuscito rimane in carico alle piattaforme di recensione e ai social. Lì spesso (e non volentieri) si assiste a un accanimento contro i ristoratori, con narrazioni e aneddoti anche di dubbia veridicità, che mettono brutalmente in luce mancanze, prezzi inadeguati, piatti non riusciti. Non ci schieriamo né da una parte né dall’altra: oltre a raccogliere i racconti di chi lavora nelle sale e nelle cucine, a riportare informazioni che potrebbero aiutare nella gestione di un’attività, riflettiamo sulle esperienze vissute a tavola, come clienti, augurandoci che stimolino ulteriori riflessioni. Dunque, qual è la differenza tra una bella esperienza e un’esperienza che non rifaremmo?
I diversi modi di accogliere
Un luogo senz’anima
Il primo impatto con un ristorante è come una stretta di mano. C’è la stretta morbida e calda, quella decisa, quella fiacca, quella forzata. E così c’è anche un ‘benvenuti’ spontaneo e avvolgente o, al contrario, un rigido ‘vi accompagno al tavolo’ che suona come il ‘prego a chi tocca’ davanti al bancone della macelleria. Il cliente di un ristorante non è un numero (non lo è nemmeno quello della macelleria), ma è una persona che ha scelto di trascorre del tempo fuori casa, in un ambiente che gli piace. Ha dato fiducia, ha riposto delle aspettative, paga. Non paga un servizio e nemmeno un pasto: investe per un’esperienza, anche se minima, anche se fosse una pausa pranzo, di piacere. Conosciamo i tempi stretti, le difficoltà che implica la gestione di una sala, l’antipatia di una buona fetta di clientela, a volte davvero supponente e pretenziosa, ma una delle grandi opportunità del ristorante è anche dimostrare come si accoglie a chi non sa essere accolto. Stonerà a chi quotidianamente si scontra con richieste indicibili, modi scontrosi e ineducati - non giustifichiamo questi atteggiamenti - ma chi si occupa di accoglienza per passione e per scelta, se sta leggendo, pensi a quanto una frase, un sorriso o una saggia ironia possano convertire l’indisposto in predisposto, il cliente infelice in felice, la persona sola in persona in buona compagnia. E se dovesse accadere un imprevisto, se dovesse capitarvi di servire il vino alla persona che non l’ha ordinato, o di sbagliare comanda, dite qualcosa, non ignorate l’accaduto. Fatevi vedere umani. Ricordo un episodio avvenuto l’inverno scorso. La sommelier del ristorante stava provvedendo all’apertura di una bottiglia di bollicine, prima dell’inizio del pranzo, e le è partito il tappo. “Da noi è Capodanno tutto l’anno!” ha ironizzato all’istante, mettendo al bando qualsiasi dubbio sulla sua professionalità.
Riflettiamo sulle esperienze vissute a tavola, come clienti, augurandoci che stimolino ulteriori riflessioni. Dunque, qual è la differenza tra una bella esperienza e un’esperienza che non rifaremmo?
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| luglio 2021