ITINERARI INASPETTATI
Barolo,LaMorra,Benevento,MagnanoinTeverina,Monselice, Egna,Montagna,Ora,Anterivo,Caldaro,BadiaaPassignano, SanGrottaGigante,MercatoTrionfale,CibianadiCadore,Isoladi GiorgioMaggiore.
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SOMMARIO
4 Il G7 del turismo - LuigiFranchi
6 Tra La Morra e Barolo, il racconto di una parte di Langhe - JacopoFranchi
16 Benevento è una autentica scoperta di bellezza - LuigiFranchi
24 Mugnano in Teverina, il borgo sopra le nuvole - Simona Vitali
34 Monselice tiene il tempo - GiuliaZampieri
44 Da Egna a Caldaro, passando per Anterivo - LuigiFranchi
56 Badia a Passignano - Guido Parri
62 Calarsi nella Grotta Gigante genera pensieri inaspettati - LuigiFranchi
68 Il Mercato Trionfale di Roma - EugenioNegri
72 Cibiana, in Cadore - Guido Parri
82 Le nozze di Cana, un viaggio tra Louvre e Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia - Maria Cristina Dri
N° 4 dicembre 2024
EDITORE
Edizioni Catering srl Via del Lavoro, 85 40033 Casalecchio di Reno (BO) Tel. 051 751087 – Fax 051 751011 info@ilbelviaggio.it - www.ilbelviaggio.it
PRESIDENTE
Benhur Mario Tondini
DIRETTORE RESPONSABILE
Luigi Franchi luigi.franchi@ilbelviaggio.it
COLLABORATORI
Maria Cristina Dri, Jacopo Franchi, Eugenio Negri, Simona Vitali, Giulia Zampieri
ilBelViaggio n.4 - supplemento a sala&cucina n. 90
PUBBLICITÀ
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PROGETTO GRAFICO
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STAMPA
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Il G7 del turismo
Poche settimane fa si è tenuto a Firenze il primo G7 del turismo, a pochi giorni di distanza dalla seconda edizione, dopo quella di Baveno dello scorso anno, del Forum Internazionale del turismo.
“Non un grande evento il G7”, secondo i taxisti di Firenze che hanno più di altri la percezione del tipo di persone che visitano la città. “Non ha spostato nulla in termini di fatturato”, insistono gli albergatori e i ristoratori.
Non è questo quello che ci preoccupa, anche se in una città come Firenze, che di turismo vive, sentire queste affermazioni un po’ dispiace. Quello che ci preoccupa è la scarsa visione internazionale che questi eventi hanno da parte dei politici italiani che li organizzano.
“Da quando Daniela ha preso in mano le redini ho scoperto che, finalmente, esiste un ministero del turismo”… “Daniela saprà come affermare il nostro turismo”. Questo genere di frasi sono quelle che abbiamo ascoltato nel corso del convegno di apertura del G7. Chi le ha pronunciate? Il suo amico Flavio Briatore che, tra l’altro, ha fatto uno dei migliori interventi, insieme a quello di Arrigo Cipriani. Ma il rischio è quello di gestire una cosa importante come il turismo sotto un aspetto squisitamente amicale; Daniela Santanché è un ministro della Repubblica Italiana e il G/7 un appuntamento internazionale, mica Daniela o Dany… Così come, nella conferenza stampa conclusiva cominciata in anticipo perché probabilmente non avevano molto da dirsi i ministri intervenuti, si è parlato quasi esclusivamente di tematiche che interessano solo l’Italia: l’over-tourism che non deve essere visto come un problema, il sistema dei CIR per gli affitti brevi, l’estetica delle cassettine con le chiavi per entrare nei b&b che rovinano i palazzi. Nessuna riflessione sulla formazione, nessuna sul sistema di lavoro, nessuna comunicazione sul confronto tra diverse nazioni, su come si affrontano problemi di crescita del turismo nei vari paesi.
In pratica viene voglia di dar ragione ai taxisti di Firenze. Alziamo un po’ il livello del confronto, vediamo come gestire la
destagionalizzazione, messa al centro come soluzione di tutti i problemi. Destagionalizzare va benissimo, ci mancherebbe, ma sono mai stati considerati i problemi che comporta una destagionalizzazione?
Non è solo il buono o cattivo tempo che può intervenire nelle scelte di fare una vacanza. Sono tanti altri i fattori: negozi chiusi, paesi deserti, strutture a volte non riscaldate, in generale una situazione di disagio, a volte di tristezza. E non è certo questo che cerca il turista.
Quindi parliamone di destagionalizzazione, certo, ma facciamolo analizzando tutti gli aspetti. Coinvolgendo le associazioni, di commercianti, di artigiani, le amministrazioni comunali, soprattutto quelle dei piccoli borghi d’arte, affinché ci sia una strategia condivisa per fare in modo che i luoghi restino animati.
L’over-tourism non è un problema, si è detto. Probabilmente è vero ma solo se nelle città, ad esempio, per salire in metro non ci si sente sardine o se per chiamare un taxi non si deve restare attaccati al telefono o alle app per decine di minuti. Non riesco a immaginarmi come sarà Roma il prossimo anno con il Giubileo…
Sono tanti gli aspetti che coinvolgono il turismo; di questo si fa spesso vanto la ministra e ha ragione, ma occorre che ci sia coordinamento, e occorre che questo avvenga rapidamente!
Luigi Franchi
direttore responsabile de Ilbelviaggio luigi.franchi@ilbelviaggio.it
Tra La Morra e Barolo, il racconto di una parte di Langhe
Langhe! Qual è l’etimologia di questa parola? Le varianti sono diverse ma la tesi più accreditata è: colline.
E di colline le Langhe ne ospitano a centinaia: dal movimento dolce, ordinate nei loro filari di vite, talmente belle da meritarsi nel 2014 il 50° riconoscimento italiano dall’UNESCO, il primo premiato per il paesaggio culturale legato al mondo del vino.
100 comuni coinvolti, sei zone d’eccellenza, tra cui le colline del Barolo di cui parleremo in questo articolo.
Colline che servono a dare un vino unico, fortemente identitario; colline che sono la base solida su cui sono nati tutti i piccoli paesi con i loro castelli, segno di un rapporto di lealtà e subordinazione con la nobiltà sabauda che, in queste terre, ha anche fatto buone cose; colline che sono nel cuore di uno dei più grandi poeti e scrittori del nostro tempo, Cesare Pavese “Una vigna che sale sul dorso di una collina fino a incidersi nel cielo è una vista familiare, eppure le cortine dei filari semplici e profonde appaiono una
porta magica” scriveva Pavese e ancora “Sempre, ma più che mai questa volta, ritrovarmi davanti e in mezzo alle mie colline mi sommuove nel profondo”.
La Cappella del Barolo
Parte da qui la nostra visita in un piccolo pezzo di Langhe, tra i comuni di La Morra e Barolo. Siamo nel vigneto di Brunate, a metà strada tra i due borghi abitati. Sei ettari di questo vigneto furono acquistati nel 1970 dalla famiglia Ceretto, una delle famiglie più importanti nel mondo del Barolo, vignaioli dal 1937 fortemente legati alla valorizzazione del territorio langarolo. Su questi sei ettari di vigneto, sul catasto, c’era anche una piccola cappella mai consacrata che era da sempre utilizzata dai contadini come riparo in caso di temporali e grandinate. Diroccata e abbandonata per anni la cappella fu recuperata dai Ceretto negli anni ’90, affidandone le cure a due artisti di fama internazionale: David Tremlett e Sol LeWitt. In pochi anni riuscirono a trasformare questo piccolo edificio in rovina in una splendida testimonianza di arte contemporanea.
Oggi la Cappella del Barolo è un’opera vibrante e piena di colore all’esterno, grazie alla maestria di LeWitt, mentre Tremlett si è occupato delle decorazioni interne che infondono calore e serenità.
La Morra
Di questo paese a 500 metri slm posto sulla cima della collina possiamo affermare che è il miglior avamposto per osservare dall’alto la sinuosità del paesaggio langarolo. Dalla sua unica piazza ci si affaccia su un panorama letteralmente mozzafiato per poi disper-
dersi per le vie colme di proposte gastronomiche, culturali, enologiche.
La fondazione di La Morra è da collocarsi tra il XII e il XIII secolo e nel 1342 diventa feudo della famiglia Falletti che tanta importanza ha avuto in queste terre per l’affermazione del vino e di una società rurale che, pur nella fatica, ha sempre lavorato “con fatica per aggiungere terra ad altra terra”, per dirla con le parole di un altro grande scrittore di queste parti, Nuto Revelli
E questo fu grazie ad una legge del 1850, detta Legge Siccardi, che prevedeva l’eliminazione dei privilegi ecclesiastici; molte terre vennero poste sul mercato e i contadini langaroli ne approfittarono estendendo le loro proprietà, con coltivazioni di frumento e cereali, di bachi da seta e, infine, con le colture vinicole che, a partire dall’Ottocento, caratterizzeranno tutto il paesaggio. Complice la svolta di Cavour, ministro dell’agricoltura dell’epoca, che aveva permesso la
stipula di trattati commerciali con numerosi paesi europei, i contadini langaroli videro nella produzione vinicola un ottimo settore dove guadagnare molto e velocemente. Ma torniamo all’attualità: nel comune ci sono, oltre alle numerose chiese del centro storico, almeno quattro particolarità da vedere. Della prima, la Cappella del Barolo, abbiamo già parlato. La seconda è la panca gigante rossa, in frazione Santa Maria, creata dall’artista Chris Bangle che, successivamente, ha incentivato la creazione di altre 25 panche rosse giganti in tutta l’area Langhe-Roero. Sedercisi sopra ti fa sentire bambino, piccolo di fronte alla maestosa bellezza delle colline circostanti.
La terza è un Cedro monumentale del Libano, piantato nel 1856 sui terreni della famiglia Cordero di Montezemolo per celebrare le nozze, che oggi è un autentico capolavoro della natura che spicca tra i vigneti.
La quarta è la cantina Marcarini, nel cen-
tro storico di La Morra, con le sue cantine storiche che arrivano sotto la chiesa di San Sebastiano che ne deteneva la proprietà.
Da sei generazioni la famiglia Marcarini produce vino, in particolare Barolo. Nel loro wine-shop, collegato ai locali di produzione è possibile fare una degustazione guidata e partire alla volta delle cantine storiche.
Barolo
C’è subito una cosa che colpisce quando Barolo ci appare davanti; il suo nucleo abitativo, a differenza degli altri paesi delle Langhe, è racchiuso in una piccola valle che si chiude ad anfiteatro attorno ad esso.
700 abitanti, ogni via sa di vino con le enoteche, le sale degustazione, le cantine, fino ad arrivare al castello che ospita l’Enoteca Regionale del Barolo e un bellissimo museo del vino aperto nel 2010.
Passeggiare per le poche vie di Barolo trasmette senso di pace, sembra che il mondo viaggi al rallentatore e ogni occasione potrebbe essere buona per assaggiare, chiacchierare, godersi la giornata. Noi ne abbiamo scelta una su tante, prima di arrivare al museo del vino. Siamo entrati in un altro museo, quello dei cavatappi. Un museo privato, aperto nel 2016, realizzato dal dottor Paolo Annoni, farmacista. La sua
collezione è composta da 1200 cavatappi e più di 500 sono quelli esposti nelle sale del museo. Il primo brevetto di un cavatappi risale al 1795, ed è dell’inglese Samuel Henshall. Fino al 1728 in Italia era proibita la bottiglia di vetro per il vino; era utilizzata solo per portare il vino dalla cantina alla tavola dell’osteria e, quindi, non necessitava di tappatura.
Furono gli inglesi ad utilizzare, per primi, i tappi in sughero per importare il vino dai paesi produttori.
Comincia così la storia dei cavatappi raccontata in maniera puntuale nelle didascalie che accompagnano il visitatore del museo. Una bella esperienza che ci accompagna al museo del vino all’interno del castello che ebbe tanta importanza nella valorizzazione del Barolo. Qui risiedeva Juliette Colbert, chiamata anche Giulia di Barolo, con il marito Carlo Tancredi Falletti Fu lei che, nel 1845, iniziò la coltivazione di
un nuovo vitigno che dette origine al Barolo. Nel museo, chiamato WiMu e uno tra i più innovativi d’Italia, creato da François Confino, si vivono suggestioni quasi oniriche attraversandone le sale. Posto su tre piani si parte dall’ultimo, dove ci si può affacciare sulla terrazza del castello per un colpo d’occhio sul paese e sui vigneti che lo circondano. Qui l’incontro è con i tempi del vino e degli elementi che vi concorrono, il sole, la luna, le qualità del terreno, la fatica dell’uomo. Al secondo piano troviamo il vino nella storia e nelle arti, con un lungo scenario dove viene descritto tutto, dalle prime scoperte in Anatolia e Mesopotamia fino all’Ottocento e oltre.
Il primo piano è invece dedicato alla storia del castello e della famiglia Falletti, con mobili e arredi del tempo. Si è avvertita la necessità, in questo spazio, di preservare l’atmosfera che respirarono, proprio qui, personaggi come Silvio Pellico e Camillo
Benso conte di Cavour, oltre a raccontare le numerose iniziative della famiglia Falletti che, oltre a dare vita al Barolo, diede il primo impulso agli asili per l’infanzia.
Molto altro ci sarebbe da raccontare quan-
do si parla di Langhe: la gastronomia, la produzione di nocciole, i tartufi, le masche, esseri dispettosi pronti a fare scherzi agli ignari contadini ma di questo parleremo più avanti.
Dove dormire
VINEHO
Via delle Viole, 3
Barolo (CN)
Tel. +39 0173 226695
www.langhe-experience.it
Vineho, a Barolo, tra le infinite distese di vigne da cui nasce uno dei vini più pregiati al mondo, affascina con il suo stile dall’eleganza moderna, con appartamenti, piscina a sfioro e piccola Spa.
HOTEL BAROLO
Via Lomondo, 2
Barolo (CN)
Tel. +39 0173 226695
www.langhe-experience.it
Ristoratori e albergatori da tre generazioni, i Brezza hanno tradotto un'autentica vocazione del territorio in un'attività a gestione familiare. Ci si può accomodare per la notte in una delle camere arredate con mobili dell'ottocento piemontese.
Dove mangiare
MASSIMO CAMIA RISTORANTE
Strada Provinciale Alba-Barolo, 22
La Morra (CN)
Tel. +39 0173 226695
www.langhe-experience.it
Sulla strada tra La Morra e Barolo, all’interno della prestigiosa cantina Damilano, è racchiuso l’elegante ristorante dello chef stellato Massimo Camia.
ROSSOBAROLO
Via Roma, 16
Barolo (CN)
Tel. +39 0173 56133
www.ristoranterossobarolo.com
L’osteria si sviluppa su due piani, al piano terra saletta adatta al mezzogiorno con dehors estivo per un totale di circa 40 coperti. Al piano inferiore ospita la sala ristorante che può accogliere circa 35 coperti dove si pranza e si cena circondati dalle etichette del Barolo. Simpatica l’idea di ospitare varie opere di artisti locali e non. Aperti pranzo e cena.
Dove comprare
WINE SHOP MARCARINI
Via Umberto I, 34
La Morra (CN)
Tel. +39 0173 50222
www.marcarini.com
Informale e accogliente il wine-shop offre la possibilità di fare una degustazione, la visita alle cantine storiche e l’acquisto dei vini aziendali. Oltre a fornire preziose informazioni sul territorio.
CON GUSTO
Via Umberto I, 11
La Morra (CN)
Tel. +39 0173 509737
www.congustoshop.com
Nella boutique di Laura Rege Gianas si possono comprare specialità gastronomiche, oggetti di piccolo artigianato, libri che raccontano le Langhe. Ogni cosa trova uno spazio in un ambiente caldo e raffinato.
Benevento è una autentica scoperta di bellezza
Autore: Luigi Franchi
È incredibile come le credenze popolari riescano a resistere allo scorrere dei secoli, seppur ridimensionate. Guardando a questo non ci si stupisce più di tanto se, oggi, le cosiddette fake news dilagano. Le persone hanno evidentemente bisogno di credere in qualcosa di talmente assurdo da renderlo reale.
Penso a questo mentre mi avvicino a Benevento, ancora oggi chiamata la città delle streghe, un appellativo risalente al XV secolo, quando, si narra, attorno a un noce si ritrovavano le streghe che vi giungevano da ogni dove dopo aver volato grazie a un unguento magico con cui si cospargevano il corpo nudo. E lì si svolgevano danze orgiastiche e sabba che duravano intere notti.
Le chiamavano Janare e si diceva che si infilassero nelle case passando sotto le porte. Per impedirlo occorreva mettere davanti una scopa e un sacchetto di sale, in modo che la strega venisse attirata dal contare i fili della scopa e i granelli del sale, fintanto che giungeva l’alba e il sole le scacciava.
Nel saggio Della superstitiosa noce di Benevento (1639) del protomedico Pietro Piperno si narra che le radici della stregoneria della zona beneventana risalgono almeno al VII secolo. Tanti furono i processi, le torture, le condanne nel periodo dell’Inquisizione. Tra il XVI ed il XVII secolo la caccia alle streghe dilaga in tutto il continente europeo, con oltre 12.000 vittime giudicate e condannate a morte.
A Benevento la prima donna accusata di stregoneria fu Matteuccia di Francesco, meglio nota come Matteuccia da Todi, processata nel 1428 e condannata al rogo.
Secondo lo storico beneventano Abele De Blasio, alla fine del XIX secolo nell’archivio vescovile della città erano presenti più di 200 verbali di processi inerenti alla stregoneria, in parte distrutti nel 1860 per non conservare documenti che potessero alimentare le tendenze anticlericali del tempo. Di queste e altre ben più drammatiche storie si parla ancora oggi a Benevento, nel frattempo diventata città Patrimonio Mondiale dell’Umanità UNESCO grazie al complesso monumentale di Santa Sofia, capolavoro di architettura longobarda, e, con un secondo riconoscimento UNESCO, a luglio 2024, dovuto all’attraversamento della Via Appia che ha avuto da sempre nel capoluogo un plurisecolare crocevia strategico, per diramarsi da qui nel duplice tratto della via Appia, con la variante della Via Traiana che parte in prossimità dell’Arco di Traiano, co-
struito tra il 114 e il 117 d.C.
L’Arco, in epoca longobarda, fu inglobato nella cinta muraria, garantendone l’eccezionale conservazione, e venne chiamato Porta Aurea.
L’Arco di Traiano e La Via Appia a Benevento
“Quest’arco è solo la punta dell’iceberg della romanità in questo luogo. – scrive Paolo Rumiz nel suo Appia, il racconto del viaggio lungo l’antica strada romana – Gran parte del resto è nascosto e riusato in altri edifici. Lo capirete in via San Filippo dove una facciata medievale è fatta quasi interamente con resti romani assemblati a caso. Ai tempi dell’Impero, Benevento era il cuore dell’Italia, la sua gente sannita dialogava alla pari con Roma. Basterebbe quest’arco per capirne l’importanza… L’Arco di Benevento
ci impone una scelta. Il bastione di marmo segna l’inizio dell’Appia numero due, chiamata appunto traiana, che raggiungeva Brindisi con un tragitto più breve e costiero anziché lungo i monti dell’Irpinia e della Basilicata”.
Il complesso monumentale di Santa Sofia
I Longobardi trovarono a Benevento il loro rifugio naturale e, nel 760 d.C., il duca longobardo Arechi fece costruire la chiesa di Santa Sofia per accogliervi il popolo germanico. Accanto alla chiesa fu costruito, negli anni successivi, un monastero dove, sotto Arechi II e la moglie Adelperga, che protesse gli studi di Paolo Diacono, fiorirono le dispute dottrinali e le ricerche umanisti-
che, che continuarono nei secoli seguenti, al punto che, intorno al Mille, esso fu centro di attività tale da annoverare ben 32 dottori delle arti liberali.
La chiesa, ora patrimonio mondiale UNESCO, custodisce uno scriptorium che diede vita alla famosa “lettera beneventana” (scrittura beneventana) derivata dai caratteri longobardi ed usata poi in codici e documenti, fino a tutto il XIII secolo, in tutte le regioni del Mezzogiorno, escluse Lucania e Calabria, fino alla Dalmazia ed alle isole Tremiti.
Oggi il monastero accoglie il Museo del Sannio, da visitare se si vuole capire le origini antichissime del popolo sannita.
Il Teatro Romano
Riportato alla luce nel 1920 il Teatro Roma-
no di Benevento è, oggi, uno dei più grandi, più belli e meglio conservati teatri di epoca romana. Venne costruito nel secondo secolo d.C., durante il regno dell’imperatore Adriano, inaugurato nel 126 d. C. Con il suo diametro grandioso di 90 m, in origine poteva contenere fino a quindicimila persone. Per tutto il Medioevo e fino a metà dell’Ottocento il teatro fu spogliato di ogni scultura e venne invaso da case private. La pianta urbana disegnata dal Mazzarini nel 1837 ne è fedele testimonianza. Recuperato nel 1920 per tutto il periodo bellico e post-bellico fu deposito di statue, elementi lapidei ed epigrafi provenienti dagli edifici danneggiati. Nel 1957, dopo un severo lavoro di recupero tornò alla funzione originaria ospitando stagioni di musica lirica e di teatro.
Il liquore e il Premio Strega
Le streghe, ancora loro, hanno suggerito alla famiglia Alberti, di intestare a loro uno dei liquori più famosi d’Italia: lo Strega, appunto.
Nato nel 1860, ancora oggi, arrivati alla sesta generazione dgli Alberti, composizione del liquore e bottiglia mantengono inalterate le origini. Nessuno conosce l’intera ricetta dello Strega: pare che sia composto, in maniera assolutamente naturale, dalla distillazione di circa 70 erbe e spezie provenienti da ogni parte del mondo. Ancora non è chiaro se fu il liquore a rendere famoso il Premio Strega o il contrario, sta di fatto che anche lo Strega letterario, istituito nel 1947, è il più importante premio letterario per libri pubblicati in Italia.
Dove dormire
HOTEL ANTUM
Viale Principe di Napoli 137
Benevento
Tel. 0824 24111
www.antumhotel.it
L’hotel si distingue per un’inclinazione camaleontica che ne inquadra i continui cambiamenti e le mutevoli ambizioni. Se già esiste una piscina dove si praticano yoga in acqua e bagno dei suoni, a fine 2024 l’Antum potrà vantare un piccolo centro benessere, mentre è prevista per il 2025 l’inaugurazione del rooftop.
Dove mangiare
AMA EXPERIENCE RESTAURANT
Viale Principe di Napoli 137
Benevento
Tel. 0824 24111
www.antumhotel.it
Chilometro zero ma non solo: la sfida di Ama Experience Restaurant è sì di racchiudere in piatti dai sapori unici la Campania, il Sannio e Benevento, ma anche quella di offrire un’esperienza gourmet, estremamente curata, a tratti ricercata, sia nella sostanza e filosofia del menù, sia nel profilo di servizio.
COTTON CLUB
Via Annunziata 130/134
Benevento
Tel. +39 328 9499545
A pochi passi dal corso principale i titolari di questa graziosa osteria ben arredata e gestita con garbo sono pronti a soddisfare le vostre curiosità sulla genesi di ogni piatto proposto e sul territorio che lo esprime. Simpatica l’idea di ospitare varie opere di artisti locali e non. Aperti pranzo e cena.
Dove comprare
STREGA STORE
Benevento Stazione
Piazza Vittoria Colonna,8
Benevento
Tel. +39 345 0854589
Qui potete trovare tutto il mondo Strega – liquori, cioccolati, torroni, babà, mostaccioli, panettoni – per continuare, a casa, a provare le sensazioni che vi ha lasciato Benevento.
Mugnano in Teverina, il borgo sopra le nuvole
Autrice: Simona Vitali
Un piccolo borgo, Mugnano in Teverina (VT), adagiato sopra il pianoro di uno sperone di tufo - che quando cala la nebbia nei mattini invernali pare che stia sopra una coltre di nuvole - affacciato su un lembo di Tuscia a nordest di Viterbo, la Valle Teverina, che si snoda sino al confine con l’Umbria.
Territorio costellato di borghi arroccati che non tardano ad entrarti nell’anima via via che lo attraversi, complice uno scenario naturale strepitoso di verde, terrazzi fluviali, gole e calanchi.
Ma perché proprio Mugnano in Teverina? Nei dintorni c’è l’imbarazzo della scelta di luoghi più citati...
Perché a Mugnano c’è qualcuno da conoscere, che poi i luoghi parlano attraverso le persone che hanno scelto di abitarli, svelando molte cose...
“Devo assolutamente presentarti il mio amico Antonio, oggi è il giorno in cui panifica”. mi dice Massimiliano Biaggioli, detto Mammo, che nella vita coltiva e trasforma in tutti i modi lamponi e si è specializzato in canditure di frutta e verdura di ogni genere (anche le più improbabili, persino le nocciole ultimamente). Di Antonio Monchini è compagno di trovate nel vero senso della parola. Due spiriti bizzarri, che per alcuni aspetti vanno in direzione ostinata e contraria ma geniali per quello che stanno realizzando, ognuno nel proprio.
“Per Assaggi, salone dell’enogastronomia laziale che inizierà domani – aggiunge Mammo - dove entrambi saremo presenti insieme ad altri piccoli produttori, stiamo sperimentando un bauletto con polvere di lamponi che vorrei farti provare”.
Mentre ci portiamo sul posto in auto inizio a chiedere cosa mi consigli di visitare in zona. Dopo avermi snocciolato qualche dritta Mammo mi dice: “Trovo che anche Mugnano in Teverina, dove stiamo andando, sia molto graziosa, tra l’altro custodisce testimonianze storiche interessanti”. Arriviamo dall’unica strada di accesso al borgo e lasciamo l’auto nel parcheggio prima dell’ingresso nel piccolo centro. Non posso fare a meno di ammirare l’imponente e signorile palazzo che appare, nella sua parte retrostante, alla mia destra.
“Questo - si affretta ad anticiparmi Mammo - è palazzo Orsini, dal nome della potente famiglia che a partire da metà del XIII secolo ne ha preso le redini quand’era castello - facendo ergere contestualmente, al centro del borgo, un’imponente torre cilindrica molto particolare, come strategico punto di ulteriore difesa - fino alla trasformazione, in epoca rinascimentale, di quello stesso castello in
dimora signorile. Oggi è una dimora storica, apprezzata struttura ricettiva di cui sono stati salvaguardati gli originali affreschi, gli ambienti esterni ed interni e l’ampia loggia”.
A questo punto ci addentriamo nel cuore del borgo nell’intimità di vicoli stretti che ci devono condurre al laboratorio di Antonio. Sono fascette di rami da ardere accatastati accanto al muro di una casa, dove c’è una scala che scende, a farmi pensare di essere arrivata. Alle nostre spalle un affaccio strepitoso sulla Valle Teverina, verdissima, che si dispiega in tutta la sua bellezza, una sorta di terrazza sulla valle. Ma che luogo è mai questo!? Ovunque ci si giri è tutto un affaccio che restituisce un grande senso di respiro, a pieni polmoni. Se si pensa che Mugnano dall’alto sembra un lungo pesce per cui arrivati a un’estremità occorre torna-
re indietro, si comprende il senso di questa esposizione.
Entriamo nel laboratorio di panificazione artigianale, ricavato dentro una casetta dove lo svettare di un grande forno a legna acceso, a lato di una finestra con panorama mozzafiato, sortisce un certo effetto. È un luogo non comune, un forno con vista! Antonio è alle prese con la pesa dei panetti. Lavora in modo serrato: il venerdì è unico giorno della settimana dedicato alla panificazione.
Nato qui, sempre vissuto qui, anche quando per 20 anni si recava ogni giorno nella capitale a lavorare presso una società di produzioni televisive, dove da fattorino arriva a occuparsi del controllo di gestione. Da figlio di contadini e di una terra che si è sempre sostenuta grazie alle numero-
se attività agricole, il tempo di dedicarsi all’agricoltura lo trova. In più si appassiona al mondo della panificazione, fino ad arrivare a coltivare anche un piccolo appezzamento a grano, giusto per produrre il suo pane, che non manca di portare in assaggio ai colleghi.
Questo finché non scatta la decisione “quasi incosciente” come dice lui, di lasciare Roma per ripartire dalla sua Mugnano con ciò che ama fare. L’appartamento dello suocero che diventa laboratorio di panificazione, i terreni in affitto in una riserva naturale che nessuno voleva perché particolarmente scomodi e quella dritta di un professore universitario di rivolgersi al Mulino Silvestri di Torgiano per la trasformazione del grano e finalmente la panificazione, fino ad arrivare a cinque tipologie di pane bio da vendere al mercato di Campagna Amica il sabato
mattina. Ma prima, il venerdì pomeriggio, non appena il pane viene sfornato, Tobia, 8 anni, uno dei due figli di Antonio, parte con la sua bici, che insieme al papà ha attrezzato di un carrettino artigianale, per la consegna del pane caldo alle famiglie del borgo.
“Qui – ci confida Antonio - i bambini sono molto liberi di muoversi per il borgo, perdersi per i vicoli e giocare a nascondino, andando da un angolo all’altro. Il borgo è tutto delimitato da muretti. Di questo si rendono conto anche le famiglie che vengono in villeggiatura. Le prime volte sono terrorizzate dal fatto che non vedono il bambino poi si abituano”.
Ora Antonio ha un’altra sfida da affrontare, la più grande, peraltro già in atto: costruire un piccolo mulino per sé, per chiudere finalmente la filiera, grazie alla preziosa con-
sulenza dell’ormai amico Tigellino Silvestri. Tutto questo in un luogo che alla fine ha saputo rassicurarlo.
“Avevo 20 anni quando mi hanno incaricato di divenire segretario poi presidente per due mandati della Comunanza agraria di Mugnano, forma antica - qui ancora in auge - di gestione della proprietà collettiva basata sugli usi civici, portandomi a sentirmi responsabile di questa comunità, a difenderla. In realtà ad un certo punto ho capito che stava difendendo me”.
Non ci sono attività commerciali qui, o meglio, da qualche tempo non ce ne sono più. C’era una bottega ma non è riuscita a sopravvivere. Chi vuole fare le spesa deve andare vicino a Bomarzo. “Insieme a tre o quattro famiglie molto attive – ci spiega Antonio che ora è anche consigliere comu-
nale - non molliamo e abbiamo pensato, intanto che ci stiamo attivando per fare aprire uno spaccio sotto forma di circolo, di far collocare un distributore automatico di bevande e merende nella struttura della Comunanza Agraria, in un punto che si affaccia giusto sull’esterno, perché chiunque possa concedersi un caffè o un te quando lo desidera. La utilizziamo molto: è l’unica cosa che abbiamo. E quando non hai nulla è tantissimo”.
Ci congediamo dal laboratorio e torniamo a ripercorrere i vicoli finché non ci imbattiamo in tre signore sedute sulla panchina davanti alla chiesa dei Santi Vincenzo e Liberato. Ci raccontano che oggi abitano stabilmente il borgo un’ottantina di persone, che in occasione di certe festività o ad agosto, con i ritorni di chi si è trasferito al-
trove, diventano anche 200. È il caso della festa patronale, dal 30 aprile al 3 maggio, quando il paese si anima di festeggiamenti in onore del patrono San Liberato Martire. Il 30 aprile ha luogo l’Alzamaggio, di origine pagana, che celebra il rito propiziatorio della fertilità e della rinascita della terra. Dopo le funzioni religiose gli uomini del paese, riuniti nel Comitato Alzatori, si portano sulle sponde del Tevere alla ricerca del pioppo più dritto e alto, che verrà portato in spalla fino alla piazza del paese e issato con corde e scale. A coronamento i partecipanti si riuniscono a mangiare pasta e salsiccia alla brace, accompagnati da vino locale.
Ci sono luoghi in cui bisogna darsi tempo, non per il troppo da vedere, ma per l’intensità di quello che c’è da raccogliere, che è molto di più. Quando saremo pronti per proseguire il percorso dobbiamo sapere di avere in un raggio di azione contenuto l’imbarazzo della scelta su quali altri borghi visitare.
Il primo certamente non può non essere che Bomarzo, di cui Mugnano in Teverina è una frazione. Non ci si deve perdere il Parco dei mostri, un complesso monumentale risalente al XVI secolo, unico al mondo, che custodisce giganti sculture in basalto di figure mitologiche, mostri, draghi..., e poi dentro un bosco è stata recentemente scoperta una piramide etrusca o sasso predicatore, che risulta essere l’altare rupestre più grande d’Europa. Meritano anche Bassano in Teverina con il suo meraviglioso centro storico; Orte per un’esplorazione dei cunicoli della città sotterranea; Soriano con il castello, la torre di Chia amata da Pier Paolo Pasolini e la faggeta vetusta del Monte Cimino, patrimonio mondiale dell’Unesco; Bagnaia e villa Lante che,con i suoi 18 ettari di parco, rappresenta uno dei più famosi giardini rinascimentali.
Il consiglio è di portarsi su Viterbo verso sera per godersi uno dei quartieri medioevali più grandi d’Europa in notturna. Un piacere che non si può non concedersi.
Dove dormire
PALAZZO
ORSINI
Piazza Vittorio Emanuele III
Mugnano in Teverina
01020 Bomarzo - tel.0761 924106
www.palazzoorsini.it
Per chi desidera sostare a Mugnano in Teverina, in una location che racconta tanta storia e conserva ambienti splendidamente affrescati e conservati
B&B DEI PAPI BOUTIQUE HOTEL
Via del Ginnasio, 8
01100 Viterbo - Tel. +39 347 868 5489
www.bbdeipapi.it
Dimora storica di Viterbo adiacente al Colle del Duomo, sede del Palazzo Papale, e al quartiere medievale di San Pellegrino, amorevolmente gestita da una coppia esperta d’arte, che ha fatto di quel luogo un autentico gioiello.
HOTEL NICCOLÓ V
Str. Bagni, 12
01100 Viterbo - Tel. +39 0761 3501
www.termedeipapi.it/hotel
Per chi, nel suo soggiorno in Tuscia, desidera concedersi un momento confortevole in un ambiente raffinato e, perché no, regalarsi qualche trattamento al Centro Termale.
HOTEL SALUS TERME
Strada Tuscanese, 26/28
01100 Viterbo - Tel. +39 0761 18755
www.hotelsalusterme.it
Trovare più risposte in un unico luogo: oltre alle spaziose camere che ispirano relax anche una Thermal Spa e un ristorante interni.
ANTICA TAVERNA
Via Sant’Agostino, 12
01100 Viterbo - Tel. +39 0761 305502
www.anticatavernaviterbo.it
Ristorante tipico che negli anni si è specializzato nella selezione di carni nazionali e internazionali, fatte frollare nelle proprie celle frigorifere. Ci sono tuttavia altri piatti che vale la pena provare: le pappardelle alla lepre e gli ombrichelli con sugo alla viterbese.
GUR.ME
Via Valle Piatta, 5
01100 Viterbo - Tel.+39 351 744 9598
Tanta ricerca e sperimentazione, partendo dai classici della cucina, nel nome di un cibo che vuole farsi comprendere ed essere buono. Importante scelta di vini.
ROSSO VIGNALE
Piazzale Caduti e Dispersi, 16
01030 Canepina (VT)
Tel. +39 392 4466246
Dividere il proprio tempo tra l’azienda agricola e il ristorante, per essere certi di cosa si porta in tavola. Una scelta inusuale e molto apprezzabile che si sublima in raffinati piatti creativi che strizzano un occhio alla tipicità.
Dove comprare
COOPERATIVA ZOOTECNICA VITERBESE
Via Carlo Cattaneo, 26
01100 Viterbo
Tel. +39 0761 309194 www.zootecnicaviterbese.it
Un canale diretto con i migliori allevatori del territorio e i loro prodotti. Negli otto punti vendita, distribuiti tra Viterbo e provincia, si trovano tante delle eccellenze gastronomiche della Tuscia: carni rosse e bianche, salumi, legumi, paste secche artigianali, formaggi frab cui un ottimo Pecorino Romano Dop a filiera chiusa.
Monselice tiene il tempo
La cittadina veneta, porta degli Euganei, trattiene tradizioni ed atmosfere antiche, abbracciando anche il nuovo
Autrice: Giulia Zampieri
Chiudete gli occhi e immaginate di farvi pervadere da un ritmo battente, segnato da variazioni improvvise e coinvolgenti. Immaginate il suono propagarsi all’aperto, accarezzare le mura dei palazzi circostanti, la torre principale, il lastricato della piazza. Quindi essere sostenuto, in sottofondo, da cori incitanti ed energici.
A questo punto dovreste aprire gli occhi e lasciare che quelle armonie primitive, o meglio medievali, si accordino alle immagini. Davanti a voi compariranno decine di persone, soprattutto di giovane età, in abiti di costume, che imbracciano grandi tamburi disegnando delle coreografie, sotto il cielo scuro. Dietro, invece, posteggia un piccolo monte illuminato, con una torre quadrangolare scapitozzata che svetta al centro, tra rocce multiformi e piante, simbolo del Mastio Federiciano
Questo è quanto accade, da 39 anni, a Monselice, agli spettatori in occasione della Giostra della Rocca, manifestazione storica, culturale e sportiva che rievoca il passaggio di Federico II avvenuto in questa cittadina, situata a sud del comprensorio dei Colli Euganei, nel XIII secolo.
Un momento magico, a cui accorrono centinaia di visitatori e appassionati, dalle zone limitrofe e non solo. A sfilare, in una sfida sentitissima, le nove contrade di Monselice.
Non è l’unico evento che caratterizza la Giostra della Rocca: altrettanto fascinosi sono il Corteo Storico (con oltre 2000 figuranti) e il Mercatino Medievale, che si tengono contestualmente al sopra citato Tenzone dei Tamburi. La comunità partecipa attivamente a queste iniziative, allungando con spontaneità i riti e le tradizioni alle nuove generazioni.
Dominante e ottimale
Monselice ha un legame solido, e naturale, con il tempo. Non c’è traccia di polvere nelle parole di chi la abita ma di una spontanea affezione verso la storia e i suoi protagonisti. La caratterizzazione storica è infatti una delle attrattive principali e i monselicesi ne vanno fieri.
L’antica Monsilicis fu abitata sin dall’età del bronzo. Fu dominata
dai Romani; i Longobardi la occuparono nel VII secolo; un passaggio rilevante fu quello di Ezzelino da Romano, luogotenente dell’Imperatore Federico II di Svevia. In epoca medievale fu oggetto del desiderio per le grandi famiglie dell’area, ovvero i Carraresi, i Visconti e gli Scaligeri. Proprio in quegli anni Monselice assunse il suo aspetto fortificato, ancora oggi evidente, a cui deve la nomina di Città Murata del Veneto.
La sua malia per dominazioni e poteri è senz’altro legata alla collocazione geografica: è posta in una posizione strategica, nella porzione meridionale orientale dei Colli Euganei, vicino al comprensorio termale, in un punto di snodo ideale per le rotte commerciali.
Non è l’unica peculiarità rispetto alla sua posizione: Monselice è tappa di ben quattro importanti cammini (la via di Santiago, la via Romea Germanica, la Romea Stata e il Cammino di Sant’Antonio) che ogni anno portano viandanti e pellegrini,
solleticati a sostarvi per l’anima mite e spirituale che si respira.
Osservando dall’alto il centro storico si nota un movimento sinuoso degli edifici, adagiati alle pendici del Colle della Rocca, appena sotto a una stradina che si eleva.
Si tratta della Via Sacra delle Sette Chiese, voluta dalla famiglia veneziana Duodo. La dominazione veneziana fu uno dei capitoli più significativi di Monselice e dei territori circostanti che in quegli anni si costellarono, oltretutto, di numerose ville patrizie, tra cui Villa Emo Capodilista, Villa Pisani, Villa Renier Foscolo (le prime due visitabili).
Passeggiata nel tempo
Se si desidera attraversare la storia di Monselice con una piacevole passeggiata il consiglio è di partire da Piazza Mazzini ammirando dapprima la Torre Civica, poi la Fontana di città disegnata dall’architetto Mario Botta, infine il Complesso di San Paolo (contenente una cripta antica). Sin da
subito pare evidente che in questa città la fusione di epoche e stili diversi sia naturalizzata e integrata. Non vi sono stacchi architettonici irruenti e si respirano sensazioni di pace e vita lenta in qualunque direzione si proceda.
Lasciando sulla destra il Palazzo della Loggetta si può proseguire su via del Santuario incontrando il maestoso Castello Cini che ospita una ricchissima armeria (quasi 1000 pezzi) ed è tutto arredato con pezzi d'epoca (cosa ormai rarissima nei manieri antichi).
Dirigendosi ancora verso l’alto (sì, è un percorso in ascesa ma gradevolissimo) si costeggia Villa Nani - Mocenigo adornata da una scenografica scalinata, quindi si giunge in prossimità di Pieve Santa Giustina accarezzando un numero indefinito di piante di cappero pendenti dalle mura.
Senza accorgersene ci si ritrova ai piedi di Porta dei leoni, imbocco per un delizioso belvedere che si apre sulla pianura.
A quel punto si noterà, poco più avanti, un altro ingresso: la Porta Romana (anche denominata Porta Santa) che sancisce l’inizio dell’ultimo tratto del percorso.
Si tratta dell’area sacra, il Santuario Giubilare delle Sette Chiese, prossimo protagonista per le celebrazioni del Giubileo. La strada è intervallata da sei piccole cappelle, avvolte da un’aria contemplativa, che raggiunge la sua massima efficacia meditativa nelle prime e nelle ultime ore del giorno. Qui bisogna camminare senza fretta, per meditare a fondo o semplicemente stare
Al culmine della salita, oltre a Villa Duodo, si può ammirare l’Oratorio di San Giorgio che custodisce i martiri cristiani trasferiti in
questa sede dal 1651, tra i quali vi sarebbe San Valentino. Ed è proprio la celebrazione di questo santo, che cade il 14 febbraio, uno degli appuntamenti più attesi a Monselice, oltre a quelli già citati, a cui si aggiunge La rocca in fiore, manifestazione in cui la città si arricchisce di fiori e colori per festeggiare l’arrivo della primavera.
Escursioni e dintorni
Monselice si trova a una manciata di chilometri dalla nota Arquà Petrarca ma è anche prossima a molti altri siti d’interesse naturalistico, artistico e letterario. Ci soffermiamo sul primo dato che la presenza dei rilievi euganei è più che un contorno: è il suo spirito.
Il Colle della Rocca, che accompagna la passeggiata verso Villa Duodo, in alcuni periodi dell’anno si può scalare fino in cima,
dove si erge il Mastio Federiciano, collocato a 151 metri d’altezza, con una veduta che arriva a sfiorare persino il mare. Un occhio attento potrà distinguere lungo il cammino lecci, cipressi, pini e altre specie vegetali.
Per godere appieno della particolare vegetazione del Parco Regionale dei Colli Euganei agendo totalmente indisturbati però, il consiglio è di recarsi al Montericco, adiacente al centro storico. È un polmone verde, sorprendentemente eterogeneo, che muta il suo abito a seconda dell’esposizione. È affollato di querce, castagni e piante mediterranee, che circondano sentieri ameni e spesso silenziosi (fatta eccezione per i fine settimana); insomma un contesto ideale per chi non può fare a meno di scoprire un luogo anche attraverso il suo tratto naturale e selvatico.
Per gli escursionisti appassionati c’è, nei din-
torni, davvero l’imbarazzo della scelta: tutto il parco regionale è costellato di sentieri, panorami mozzafiato ed è circondato da un anello ciclabile lungo 63 chilometri.
Una città viva
La vita di Monselice sembra scandita da un ritmo fluido e collaudato. Un po’ come lo sono le esibizioni delle contrade al Tenzone dei Tamburi.
Le ore scivolano via tra quiete e rilassatezza, alternandosi alle vivacità e agli affollamenti dei giorni di festa o dei ritrovi serali. C’è un andare piacevole, sincero, che dona a questa città un attributo importante, a cui IlBelViaggio è particolarmente affezionato: la qualità della vita.
Non v’è apatia, non mancano le botteghe storiche, i ristoranti, i locali, i progetti sociali e i luoghi speciali come il Cinema Corallo,
inaugurato per la prima volta negli anni ’50, denominato sala della comunità, a cui vale la pena fare visita per assistere ad uno degli spettacoli in programma.
I giovani frequentano questa cittadina e i suoi quartieri, tanto che sembrano profetiche le parole con cui il poeta Giorgio Caproni l’ha descritta.
Qua il tempo cade ancora dalle torri.
Qua,
Sulla pietra pulita della notte, ancora la gioventù ha anima e spinta - è esaudita in voce viva.
Un tempo storico, e presente, che a Monselice si trattiene e si tramanda.
Dove dormire
AGRITURISMO BORGO BUZZACCARINI
ROCCA DI CASTELLO
Via Marendole 15
35043, Monselice (PD)
Tel. +39 376 151 6387
www.borgobuzzaccarini.it
Una tenuta raffinata e confortevole, in campagna, a dieci minuti dal centro di Monselice.
Dove mangiare
RISTORANTE LA TORRE
P.za Mazzini, 14
35043 Monselice (PD)
Tel. +39 0429 73752
www.ristorantelatorremonselice.it
Sulla piazza principale una tavola accogliente, su cui sostano piatti semplici, della tradizione, corredata da un servizio attento e da vini del territorio.
BOTTEGA D'ACQUA
Via 28 Aprile 1945, 56
35043 Monselice (PD)
Tel. +39 0429 1708956
www.bottegadacqua.it
Un locale accogliente e informale dove potrete gustare una cucina di pesce tradizionale e innovativa.
INCREDIBILIA
TÈ E LIBRI ESTREMAMENTE INOPPORTUNI
Via 28 aprile 1945, 31
35043 Monselice (PD)
Tel. +39 389 0178384
Un locale speciale in cui acquistare thé, infusi, altre bevande e libri. Si può anche ‘godere’ in loco.
MISTICANZA 54
Via S. Luigi, 27
35043 Monselice (PD)
Tel. +39 0429 73436
www.misticanza.it
Un’enoteca curata e ben fornita, ricca di etichette locali, italiane e straniere, oltre che di prodotti gastronomici. Si può anche consumare in loco.
Anterivo
I fiumi non erano regimentati fino al secolo scorso e nei secoli erano i padroni della terra, scorrevano liberi, dilatati nei loro alvei, così anche l’Adige che, esondando, colpiva il borgo di Egna. Cosa che appare impossibile oggi ma che avveniva con conseguenze, molte volte, drammatiche come si evince da un segno su una delle colonne dei porticati del borgo. Oltre alle esondazioni c’erano anche gli incendi e le case di legno andavano rapidamente distrutte. Comincia così il racconto di Moritz Selva che, insieme a Eleonora Spada, mi accompagnano per lunghi tratti della mia visita in questo territorio. Sono una parte del team di Castelfeder sulla Strada del Vino, la società cooperativa turistica che promuove il territorio tra Egna e Salorno, in provincia di Bolzano.
Sono venuto qui per raccontarvi della più storica Strada del Vino d’Italia, quella di Caldaro, che si estende anche a sinistra dell’Adige fino alle pendici del Monte Corno. Ho scelto di partire da Egna perché mi ha incuriosito il suo essere parte dei Borghi più belli d’Italia, poco citato ma pienamente degno di questo riconoscimento.
“In effetti, rispetto a tutto l’Alto Adige – mi rivela Moritz – siamo il territorio con il minor numero di turisti, ma questo preserva anche l’originalità dei borghi e la vita quotidiana di chi ci abita. Tutto ciò non significa volersi isolare bensì accogliere un turismo più lento, che vuole capire i luoghi”.
Neumarkt – Egna
Troviamo questa scritta quando ci avviciniamo all’uscita autostradale.
“Vuol dire nuovo mercato, perché Egna è sempre stato un punto di riferimento commerciale importante per il suo territorio. Nuovo mercato sostituisce vecchio mercato, come si chiamava fino al 1189 quando fu distrutta. Ma andiamo con ordine. – mi suggerisce Moritz, mentre mi accompagna alla chiesa parrocchiale – La chiesa fu ricostruita in questo posto, ai margini del quartiere popolare, ma il paese si è sviluppato più in alto, per ripararsi dalle esondazioni”.
Una chiesa che raggruppa diversi stili – dal romanico al gotico al barocco – e che, al suo interno, vanta affreschi degli anni ’30 a tema religioso ma che riproducono visi dei nobili e dei ricchi che finanziarono le opere, infatti sono tutti biondi e con gli occhi azzurri.
A Egna è sempre stata applicata una regola che diede grande prosperità al borgo: una concessione, nel 1309 da parte del sovrano reggente duca Ottone, del “diritto di fermo e di deposito delle merci”. I mercanti che transitavano dovevano fermarsi almeno una notte! Infatti la cittadina era il più importante porto fluviale del Tirolo del Sud e i beni che arrivavano dovevano qui essere depositati.
Il nome italianizzato – Egna – deriva dai nobili residenti, gli Enn, proprietari del castello che domina il borgo.
Dalla chiesa si raggiunge Via Andreas Hofer, il condottiero del popolo tirolese contro gli invasori francesi ai primi dell’Ottocento. La via è definita popolare, con portici, una volta stretti, una volta bassi, una volta grandi, che, oggi, conferiscono una particolare bellezza urbanistica al borgo; a metà della via c’è quella che era, al tempo di Hofer, la casa dell’ufficiale giudiziario dove una stanza era adibita a prigione, in cui Andreas Hofer trascorse la sua ultima notte prima di essere portato a Mantova davanti al plotone di esecuzione. Secondo la leggenda, nelle mani aveva un crocifisso ornato di fiori. Non si fece bendare e disse: “Io sto davanti a colui che mi ha creato e in piedi io voglio consegnargli la mia anima”.
Da via Andreas Hofer si raggiunge la bella piazza di Egna, con la fontana che eroga acqua freschissima e da qui si può andare a visitare il Museo di cultura popolare che descrive le abitudini di vita degli abitanti del borgo.
Con Moritz ed Eleonora è venuto il momento di celebrare il prodotto più importante di Egna: il Pinot Nero.
Per farlo raggiungiamo il wine shop di Castelfeder dove, oltre ai vini dell’azienda, scopriamo anche i vini dei partner e degli amici della famiglia Giovanett; un’ottima degustazione chiude questa prima parte della visita.
Montagna
L’altro borgo che vale la pena scoprire è Montagna, non foss’altro che per la posizione, più alta di Egna, che consente una vista straordinaria sulla sottostante valle dell’Adige. Da Montagna ci si ricongiunge con il sentiero del Pinot Nero, una variante della Strada del Vino, che si inoltra tra i vigneti e le cantine che, in questa zona, hanno nomi famosi come Franz Haas, giusto per citarne uno. Inoltre, sempre a Montagna, esiste un tratto di ferrovia costruita dagli austriaci per scopi bellici durante la Grande Guerra che oggi è una splendida pista ciclabile e una passeggiata pedonale.
Al ristorante Goldener Löwe, dove un tempo c’era il tribunale e questo fa un certo effetto, Eleonora Spada mi racconta dei Krampus: “L’effettivo giorno del Krampus è il 5 dicembre, ma in Alto Adige, il periodo che va da fine novembre al giorno di San Nicolò (6 dicembre) vede l’imperversare dei Krampus. I “Tuifl”, che significa “diavoli” in dialetto altoatesino, non sono però diavoli veri e propri, ma si tratta di una figura spaventosa che risale all’epoca precristiana. Oggi, molto spesso, il Krampus accompagna San Nicolò e si occupa dei bambini che non sono stati buoni. Il Krampus indossa una maschera di legno intagliata e delle pelli di capra, le quali spesso sprigionano ancora un odore molto particolare. Sull’addome vengono legati dei campanacci per fare più rumore possibile, inoltre vengono utilizzate anche una verga o delle catene di ferro” mi spiega e mi immagino la paura, quando nell’antichità, apparivano nelle notti senza illuminazione.
A Ora per scoprire la terra del Lagrein
Prima di parlare del vino Lagrein mi piace descrivere la bellezza e la serenità di questi luoghi, dovuta probabilmente alla posizione privilegiata in cui si trovano. Per farlo
utilizzo le parole tratte dal Viaggio in Italia di Goethe: “Da Bolzano a Trento si percorre una valle sempre più ubertosa. Tutto ciò che fra le montagne più alte comincia appena a vegetare, qui acquista forza e vita: il sole brilla con ardore e si crede ancora in un Dio”.
Mentre penso a questa frase storica arriviamo alla cantina Luis, ai margini del centro abitato, dove ci accoglie, orgoglioso della scelta che ha fatto, Luis Oberrauch: aprire la propria cantina e produrre il Lagrein in questa zona vocata, grazie ai terreni di porfido che connota questa terra.
“Sono direttore tecnico in una delle più importanti cantine dell’Alto Adige, Castel Englar, e questo mi dà molte soddisfazioni ma aprire la mia piccola cantina è, probabilmente, il sogno realizzato della mia vita”.
Ce lo racconta, mentre sul retro della casa dove c’è la cantina storica, arriviamo alla vigna di proprietà, con le galline che scorrazzano intorno.
“Questa zona è fatta da tanti piccoli appezzamenti, esposti al caldo della vigna che, con il cambiamento climatico, rende il Lagrein particolarmente riuscito. I miei due ettari e mezzo, nei prossimi anni, mi daranno un Lagrein eccellente, ne sono certo. Durante tutte le lavorazioni in vigna posso contare sulla mia famiglia che mi da una mano, nel senso letterale della parola, poiché ogni attività viene fatta manualmente”. Ha un entusiasmo contagioso Luis, i suoi vini sono qualcosa di unico e, infatti, hanno un mercato prevalentemente straniero e nella ristorazione di un certo tipo. È proprio vero, mettere i piedi in vigna ti cambia la vita.
Anterivo, dove si incontra una strega buona
Sono bravi i ragazzi del team di Castelfeder, del resto Lukas Velasco, il direttore, me lo aveva detto: “Cercheremo di farti vedere cose e incontrare persone inaspettate”.
Mi vengono in mente le sue parole mentre stringo la mano a Angelika Gschnell “Anterivo è nato nel 1321 quando il Re della Boemia ha dato il diritto al suo custode di questa zona, la contea di Enn, di erodere il bosco per costruire dieci masi, che sono ancora rappresentati nello stemma comunale. Tutto si decideva qua e, nella carta che scrisse il Re di Boemia, i proprietari dei dieci masi erano esentati da tassazioni per l’eternità. Non fu così, durò solo un secolo, ma è stato un vantaggio perché, senza tasse, questo piccolo borgo, oggi, sarebbe pieno di palazzi, ville, grattacieli. Meglio pagare le tasse e restare qui, in un luogo pieno di serenità”, mi accoglie con queste parole la stria del Morel, - “si, sono una strega, ma buona, mi chiamano così da quando ho cominciato a occuparmi di erbe” - prima di parlarmi del lupino di Anterivo.
“Il lupino – mi dice - è menzionato, per la prima volta, nel 1887 nella biografia del principe vescovo di Graz, nato ad Anterivo. Viene citato un surrogato di caffè che
chiamavano caffè di Anterivo, ottenuto da un lupino di fiore blu”.
Nelle sue memorie scrive che questa leguminosa permetteva “persino ai più poveri di realizzare un piccolo guadagno”.
La polvere, essendo leggera, era infatti trasportata facilmente dalle donne che giungevano a piedi nelle aree vicine della Bassa Atesina, del Cavalese e di Capriana per commercializzarla e quindi ottenere un’integrazione al reddito.
Camminiamo su strade di porfido, in mezzo a case di porfido, a fontane e scale di porfido; è la pietra del Monte Corno, ideale terreno sabbioso per coltivare questo lupino, perché non trattiene l’acqua. Le case e le malghe qui sono coperte di legno di larice, un legno molto duraturo e, quindi, adatto a questo scopo.
“Qui facciamo ancora molte cose con il lupino, a maggior ragione da quando è diventato presidio Slow Food. Il caffè, la birra, il cioccolato, un formaggio aromatizzato con il caffè di Anterivo. Poi ve li fa-
remo degustare tutti, per avere un vostro parere, ma adesso raggiungiamo un campo di lupini, anche se siamo fuori stagione forse qualche fiore riusciamo a vederlo”.
Questa è davvero una storia fantastica, se poi raccontata da una donna che, per passione, si è licenziata dal suo lavoro impiegatizio per mettersi a fare corsi sulle erbe, diventa ancor più speciale.
“Ne coltivano quattro o cinque chili all’anno e i contadini lo fanno esclusivamente per mantenere questa tradizione, infatti lo trovate in vendita solo nel negozio del paese”.
Mentre saliamo verso il campo ci imbattiamo in alcune porte con dei numeri segnati con il gesso: chissà cosa significa. Sembra che la stria del morel mi legga nel pensiero: “Vedi quei numeri e quella sigla? È un’usanza praticata nelle Alpi e nella Germania cattolica. Nella notte tra il 5 e il 6 gennaio nelle case si fa una piccola precessione in tutte le stanze con l’incenso ringraziando per quello che ci è stato
dato nell’anno appena trascorso. Poi, con il gesso, si cambia il numero dell’anno sulla porta e la sigla sta a significare Casa Mia Benedicta. La cerimonia si chiude a tavola mangiando una minestra d’orzo e gli ultimi biscotti di Natale”.
Ogni casa, notiamo, fuori ha un cumulo ordinatissimo di legna, sembrano tante opere d’arte. “Sono le case di chi sceglie di raccogliere ciò che resta nel bosco, dopo che è stata tagliata la legna. Si va in Comune, si riceve una porzione di bosco e si va a raccogliere gratuitamente. In questo modo il bosco resta sempre pulito”.
Basta poco per dare voce alla coscienza civile, qui lo fanno. Una bella lezione, non c’è altro da dire!
“Ecco, siamo nell’orto, e siamo fortunati: riusciamo a vedere qualche piantina ma se si vogliono vedere i campi blu bisogna venire in estate. Sono piante che devono essere controllate ogni due-tre giorni altrimenti scappa il chicco del lupino. Questa pianta è pelosa, anche nel fiore, si metto-
no i chicchi uno per uno appena si scioglie la neve. Abbiamo quindici orti, di cui cinque solo per la vendita”.
Prima di salutarci entriamo in negozio per portarci a casa il caffè di Anterivo.
Ci spostiamo a destra dell’Adige
Non possiamo non fare un salto sull’altra sponda, in quel di Caldaro dove, attraversando colline stracolme di ordinati filari, il clima sempre mite fa venire in mente quanto sia vero il detto che Caldaro è il primo
paese del Mediterraneo per chi proviene dal nord Europa. Lo stesso toponimo richiama il caldo, la mitezza. È un paese vocato al turismo del vino, come Beaune in Borgogna, tutto ruota attorno a questa bevanda dionisiaca. All’ingresso del paese si trova il wine center, una struttura moderna, proprietà della cantina Kaltern, dove mi fermo per una breve degustazione e l’acquisto dei vini. Poi torno verso casa con il pensiero che forse un solo articolo non basa per raccontare questo territorio! Caldaro aspettaci!
Dove dormire
HOTEL
DAS ALTE RATHAUS
Piazza Principale 8
39044 Egna (BZ) - Tel. +39 0471 813 715
www.dasalterathaus.com
Ricavato nel municipio della città vecchia vi offre otto accoglienti camere doppie e cinque eleganti camere a tre letti, arredate con mobili naturali, legno chiaro e tessuti pregiati.
MANNA RESORT
Doladizza, Vicolo Klamm, 3
39040 Montagna (BZ) - Tel. +39 0471 143 0095
www.mannaresort.it
15 microcosmi, 15 diverse personalità. Ogni Junior Suite si apre sulla propria terrazza privata, affacciata sul parco della biopiscina e a sfioro sul mare d’ossigeno dell’ampia valle – tre di queste dotate anche di sauna privata.
Dove mangiare
L’ORANGERIE
Doladizza, Vicolo Klamm, 3
39040 Montagna (BZ) - Tel. +39 0471 143 0095
www.mannaresort.it
All’interno del Manna Resort un luogo dell’anima. Dall’amore per i giardini d’inverno a tutto ciò che è buono al palato, uno spazio vocato alla cucina mediterranea, capace di tessere il filo dei ricordi fino ai sapori dell’infanzia.
Dove comprare
GOLDENER LÖWE
Piazza della Chiesa 11
39040 Montagna (BZ) - Tel. +39 0471 819844
www.goldenerloewe.it
Oltre ai piatti tipici altoatesini come canederli o Kaiserschmarrn, vengono preparate anche specialità mediterranee e internazionali.
WINE SHOP CASTELFEDER
Via della Madonna, 8/1
39044 Egna (BZ) - Tel. +39 0471 812 928
www.castelfeder.it
Nel wine shop si possono fare anche degustazioni individuali con visite guidate alla cantina a Kurtinig/ Cortina sulla Strada del Vino.È possibile, inoltre, acquistare anche i vini delle aziende amiche di Castelfeder.
WINE CENTER
Via Stazione 7
39052 Caldaro (BZ) - Tel. +39 0471 966067
www.kellereikaltern.com
Il winecenter non è una semplice vinoteca con una vasta selezione dei vini di Caldaro e specialità altoatesine, bensì anche un luogo d'arte e cultura.
AMALIA PERNTER
St.-Andreas-Platz 3
39040 Salorno (BZ) - Tel. +39 0471 23 70 61 www.amaliapernter1896.at Norman e Thomas Ventura sono i più giovani e gli ultimi sarti di pantaloni di cuoio, chiamati “Lederhosen”, dell'Alto Adige. Norman, il maestro artigiano, ha imparato il mestiere dai tre leggendari fratelli Gebhard di Bressanone. Essi lo hanno formato come autentico sarto di Lederhosen. Nel 2021, insieme al fratello Thomas Ventura, ha fondato il marchio “Amalia Pernter”, 125 anni dopo l'apertura del negozio della trisnonna e omonima Amalia Pernter.
Badia a Passignano
Quando visito le regioni del centro Italia, con l’Appennino che, al contempo, unisce e divide, mi chiedo sempre com’era il paesaggio nei secoli scorsi, come è mutato, se è mutato, che ordine avessero i vigneti e gli uliveti, se i castelli e i borghi medievali fossero così belli come sono ora?
Una domanda che trova risposta in qualche dipinto ma che ritorna ogni volta, anche qui, a Badia di Passignano, un bellissimo minuscolo borgo a “32 chilometri da Firenze, dal lato del mezzogiorno”, come scrive in un piccolo libricciuolo Don Germano Fornaciai nel 1903.
Ed è proprio lui che ci aiuta, con qualche risposta, alle domande di cui sopra.
“Un’antica ed illustre Badia Vallombrosiana, la quale colle sue mura merlate, colle cinque torri, che le fan corona, ha l’aspetto d’un munito castello medievale, un’artistica Chiesa, tanto cara e tanto devota, ricca di quadri, di affreschi e di altri lavori pregevoli, con la sua leggiadra cupola, col suo campanile alto e massiccio, superbo delle sue quattro campane, il cui suono armonioso si spande lontano, lontano; una Canonica, una Fattoria, alcune case modeste, ma pulite, lungo la strada che conduce in Pesa: ecco Passignano”.
Poco o nulla è cambiato da quel 1903, le campane si sentono ancora, lontano nei campi, grazie al fatto che tutto intorno ci sono uliveti, vigne e boschi, poche abitazioni, nessun paese.
La struttura stessa del borgo è identica a quella descrizione, si sale lungo un viale circondato da cipressi e si arriva in una piccola piazza quadrata dove trovano spazio la chiesa principale e l’ingresso al monastero; un luogo che sa di storia, di religione, di pace.
La facciata della chiesa di San Michele Arcangelo è semplicissima, a pietre quadrate e, sulla sommità, ospita una statua in marmo bianco, risalente al XII secolo, che raffigura San Michele Arcangelo.
All’interno si trova, dal 1580, il santo corpo di San Giovanni Gualberto, morto proprio a Passignano il 12 luglio 1073. Il fondatore di
Vallombrosa ha una storia che, a raccontarla, non bastano queste pagine e, quindi, vi rimandiamo alla visita al borgo. Membro di una nobile e ricchissima famiglia fiorentina abbracciò la fede e, come e prima di Francesco, visse una vita di povertà, rigore e preghiera.
Il monastero
L’aspetto esterno è quello di un forte militare, ma quello interno è tipico di un monastero, con il chiostro a farla da padrone. Sono numerose le vicende storiche di questo monastero, riaperto al pubblico solo nel 2011. Del cenobio originale dell’anno mille non è rimasto nulla; tutto venne incendiato e distrutto nel 1255; la ricostruzione avvenne nel 1266 sotto la direzione dell’abate Rug-
gero dei Buondelmonti. L’abbazia venne soppressa il 10 ottobre 1810 in seguito alle disposizioni napoleoniche che vietavano le congregazioni religiose.
Dal 2011, invece, si possono visitare tutti gli spazi del monastero, compresi il chiostro, il refettorio con il quadro dell’Ultima cena del Ghirlandaio, le cucine rimaste estranee ai rifacimenti ottocenteschi.
Le cantine Antinori
In quella che Don Germano Fornaciai nel 1903 qualificava come fattoria oggi probabilmente trovano spazio i vini del marchese
Antinori che a Passignano ha collocato una delle sue cantine.
Sono splendide e antiche, sono del X secolo, situate proprio sotto il monastero. Soffitti a
volta, mura possenti, capaci di mantenere naturalmente umidità e temperatura costante per tutto l’anno. Qui affina il Badia a Passignano, in legni di rovere ungherese.
Il paesaggio intorno
Siamo nel Chianti, il paesaggio non può che essere quello dei vigneti dove nasce uno
Dove dormire
dei vini più famosi d’Italia, ma anche di uliveti e boschi. Un paesaggio, questo si, che probabilmente è rimasto intatto da secoli. Solo le strade asfaltate ne hanno modificato in parte la struttura, ma è grazie ad esse che oggi l’Italia è il paese più amato e tra i più visitati al mondo. Non demonizziamole troppo!
Via Roma, 191
50028 Barberino Tavarnelle (FI)
Tel. (+39) 055 8073333
www.borgodicortefreda.com
55 camere arredate con cura in stile toscano, curate negli arredi e nei decori, mantengono il fascino della villa toscana senza rinunciare al comfort. La struttura offre anche un servizio di ristorazione.
CHIANTI CRAFT HOUSE
Strada di Badia, 7
50028 Badia a Passignano (FI)
Tel. +39 347 342 4261
La Chianti Craft House si trova a Passignano e offre un ristorante. L'appartamento dispone di vista sul giardino. Nell'appartamento troverete l'aria condizionata, due camere da letto, due bagni, un soggiorno, una cucina completamente attrezzata con lavastoviglie e bollitore.
Dove mangiare
OSTERIA DI PASSIGNANO
Via Passignano, 33
Badia a Passignano (FI)
Tel. +39 055 8071278
www.osteriadipassignano.com
Un elegante ristorante fra mura antichissime. La cucina si può fregiare di uno chef che mantiene un solido contatto con il territorio. Il menu è stagionale e pensato per supportare i due elementi di spicco della proprietà: l’orto e il vino.
BAR DIVINO
Via Passignano 14
Badia a Passignano (FI)
Tel. +39 338 8047520
www.divinoristorantechianti.it
Il Bar Divino di Andrea (e famiglia) merita una visita. Il luogo è incantato, il sorriso è abitudine. E si mangia e si beve affacciati… sulla grande bellezza. Salumi, formaggi, crostoni, ma anche uno spazio ristorante.
Dove comprare
LA BOTTEGA DI BADIA
Via Passignano, 33
Badia a Passignano (FI)
Tel. +39 055 8071278
www.osteriadipassignano.com
La Bottega si trova all’interno di Osteria di Passignano. Qui è possibile acquistare e degustare un’ampia selezione delle etichette Marchesi Antinori prodotte in alcuni dei territori più vocati al mondo, anche da degustare al calice. Oltre ai vini, è presente un’attenta selezione di oli e produzioni artigianali di altre eccellenze del territorio.
Calarsi nella Grotta Gigante genera pensieri inaspettati
È immensa, la più grande del mondo, profonda 252 metri, la Grotta Gigante fu scoperta, per la prima volta, nel 1840 da Anton Frederick Lindner, che si calò con una corda fino al fondo della Grande Caverna nella speranza, poi disattesa, di raggiungere il fiume sotterraneo Timavo. Questa ricerca si rendeva necessaria per fronteggiare l’emergenza idrica in cui si trovava la città di Trieste, a quel tempo parte integrante dell’impero austro-ungarico.
Nel 1890 vi fu una seconda esplorazione, da parte del Club Touristi Triestini e nel 1897 lo speleologo Giovanni Andrea Perko ne compilò un referto che faceva presagire tracce di vita nei secoli e nei millenni precedenti. La sua esplorazione portò la grotta ad avere un nome di riconoscimento – Kaiser Dom – in onore dell’imperatore Francesco Giuseppe I
Immaginate cosa significasse calarsi con una corda nel vastissimo buio di questa grotta, quale coraggio da parte di quegli uomini, ma è solo in questo modo che noi, oggi, possiamo comprendere, almeno in parte, la storia della Terra magari comodamente seduti in poltrona leggendola su un libro.
Il Carso, nella preistoria fu uno dei territori frequentati da gruppi di nomadi o seminomadi che utilizzò, e questo lo sappiamo grazie al ritrovamento di reperti, le grotte sotterranee per rifugiarsi. Sono, infatti, 180 le grotte nel Carso dove sono stati rinvenuti manufatti. Così come furono utilizzate come stalle per la pastorizia o come sede di ritualità, nel caso della Grotta del Mitreo dove venne rinvenuto un santuario.
Andiamo avanti con le date e arriviamo al 1905 quando i soci del Club Touristi Triestini acquistano i terreni soprastanti alla grot-
ta e ai due ingressi per avviare il progetto turistico della Grotta Gigante. Il primo gruppo di turisti la visitò nel 1910, grazie al fatto che le guide si dotarono di lampade ad acetilene a grande disco parabolico per illuminare i tratti visitabili. Si aprì di fronte a loro uno spettacolo mozzafiato, in quell’antro c’erano millenni di lavoro instancabile dettato dallo scorrere dell’acqua. Stalattiti e stalagmiti che si cercavano, accumulando queste ultime un millimetro di pietra ogni vent’anni dato dalle gocce che cadevano dall’alto spiaccicandosi sulla base della stalagmite. Un’operazione che perdura ancora e lo si vede bene dall’altezza della stalagmite chiamata Ruggiero, ha 100.000 anni e sta aspettando con infinita pazienza di ricongiungersi con la stalattite che la anima. Che storie d’amore incredibili.
Fu nel 1957 che l’utilizzo turistico della Grotta Gigante divenne costante grazie al primo impianto fisso di illuminazione, da quel momento si costruirono percorsi sicuri come quello attuale che comprende 500 scalini antiscivolo per la discesa e altrettanti per la risalita.
Nel 2005 fu scoperto un nuovo ramo della Grotta che porta la sua profondità a 252 metri sottoterra. In quella parte si può andare con gli speleologi che fanno da guide esperte; si tratta, infatti, di pozzi verticali che si possono osservare dalla Sala dell’Al-
tare risalendo i 500 gradini lungo la via intitolata a Carlo Finocchiaro, lo speleologo più famoso del Friuli Venezia Giulia. Negli anni ’50 esplorò le grotte di mezza Italia e, verso la fine dei suoi anni, scrisse un libro descrittivo della Grotta Gigante.
Siamo arrivati sul fondo del percorso, un’imponente sala dall’incredibile volume di 365.000 metri cubi e dall’altezza di quasi 100 metri. È qui che si possono fare le fotografie ma è anche il posto dove riflettere su questa esperienza unica e forse impossibile da raccontare. Siamo scesi verso il centro della terra, le prime cose che mi vengono in mente sono i libri che leggevo da adolescente, quelli di Jules Verne, che stimolarono in me la passione per i viaggi, per la scoperta dei luoghi. Poi penso a come e quando l’uomo comune ha capito la circolarità della terra; probabilmente quando adottò uno stile di vita stanziale, circa 10.000 anni fa con l’avvio delle pratiche agricole, guardando ogni sera la volta celeste per carpirne i movimenti. Infine mi rendo conto del silenzio che c’è, qui a 100 metri sottoterra. Un silenzio immenso, rotto solo dalle incessanti cadute delle gocce d’acqua che perdura da milioni di anni.
Una volta usciti andate sul Monte Grisa, a pochissimi chilometri, per guardare dall’alto il golfo di Trieste e il Castello di Miramare, ma quella è un’altra storia che vi racconteremo.
Per visitare
Le prenotazioni si fanno telefonando ai numeri +39 389 1626295 e +39 040 327312
Oppure scrivendo a info@grottagigante.it
GROTTA GIGANTE
Borgo Grotta Gigante, 42/A 34010 Sgonico (TS)
Dove dormire
AGRITURISMO OSTROUSKA
Località Sagrado, 1
Sgonico (TS) - Tel. +39 040 2296672
www.ostrouska.com
Situato a Sgonico, a 12 km dalla stazione ferroviaria di Trieste e a 13 km da Piazza Unità d'Italia, l'Agriturismo
Ostrouska offre un giardino e la vista su una strada tranquilla. La struttura si affaccia sul giardino e sul cortile interno e si trova a 11 km dal Castello di Miramare. Offre anche servizio di ristorazione.
Dove mangiare
ANTICA TRATTORIA SUBAN
Via Comici, 2
Trieste - Tel. +39 040 54368 www.suban.it
Aperta dal 1865 ha visto quattro generazioni di osti portare avanti la multiculturalità della tradizione gastronomica triestina. Suban è custode di ricette storiche che ne hanno fatto l’osteria per eccellenza dei triestini.
AGRITURISMO GRUDEN-ZBOGAR
Loc. Samatorza, 47 34011 SGONICO (TS) - Tel. +39 040 229191
www.grudenzbogar.com
L'agriturismo offre ospitalità e propone cucina tipica mitteleuropea, piatti che si rifanno alle tradizioni austriache, slovene, italiane, balcaniche e mediterranee. L’ingresso si affaccia sulla stalla dell’azienda agricola, separata da una porta a vetri che offre una splendida vista.
Il Mercato Trionfale di Roma
Sono 46 i mercati alimentari di Roma ma quello che ci interessa descrivere perché da solo potrebbe meritare un viaggio nella capitale è il Mercato Trionfale che, con le sue 273 postazioni è uno dei più grandi mercati d’Italia e d’Europa, oltre al fatto che qui si trova l’intera o quasi Italia gastronomica, con Parmigiano Reggiano e Grana Padano, Prosciutto di Parma e di San Daniele, paste artigianali di grande qualità come quelle del Pastificio Gentile, verdure di ogni tipo, carni preziose e particolari e pesci dei mari italiani, giusto per citare alcune tra le centinaia di materie prime che si possono acquistare ogni giorno, ad eccezione della domenica. Un mercato che esiste dall’Ottocento quando si affacciava su viale Giulio Cesare, per subire successivamente, negli anni ’30 del secolo scorso, il trasferimento in Via Andrea Doria; un quartiere a quel tempo, estremamente popolare e ai margini della campagna. Al mercato si fermavano con cavallo e carrozza chi andava fuori città, per fare scorta per sé e per gli animali.
Poi la svolta definitiva: l’11 marzo 2009 il mercato trova la sua sede al coperto, in un palazzo di nuova costruzione, tutto di vetro e cemento, che avrebbe dovuto ospitare asili nido, sedi distaccate dell’università, uffici pubblici nei piani superiori. Nel 2015, sulle scale esterne del palazzo l’artista Diavù ha realizzato due originali murales con il volto di Anna Magnani, bellissimo. Al piano terra le porte si aprono, ogni mattina alle 7 su una folla vociante, allegra, scanzonata come può esserlo quella degli ambulanti. Si raccolgono molte storie parlando con loro: storie di prodotti, storie di agricoltura, storie di vita. Come quella di Silvio Marsan e dei
suoi polli, allevati all’aperto, in libertà, nelle quattro aziende agricole poste nel viterbese. Allevati all’aperto vuol dire che dispongono di ampi spazi per ogni animale e che l’alimentazione è rigorosamente rispettata con la naturalità di ciò che mangiano: la loro dieta è, infatti, composta solamente da orzo, triticale, favino, mais e soia biologici, in aggiunta all’aria pulita delle campagne e alle erbette spontanee. Ne consegue una carne sana e buona.
Oppure dai signori Lupi di Norcia, che al Trionfale, hanno almeno quattro banchi dove ti accolgono, con squisita gentilezza, anche a pranzo, con i formaggi e i salumi; li trovate al 224 con banchi stracolmi di ogni bontà italiana. Da non perdere.
O ancora il banco di Peppino che lo ha ereditato dai nonni rientrati dall’America, emigrati di ritorno: “Mio nonno aveva già il banco nel 1928. Portava le uova e gli animali vivi a cui “tirava il collo” qui al mercato”. Era proprio una delle prime licenze la sua, la tengo ancora come ricordo” racconta il nipote, mentre spiega a due signore le differenze
tra uova convenzionali e uova biologiche. Ma oltre alle storie dei singoli banchi è l’aria che si respira al Mercato Trionfale la cosa che colpisce di più. Vedere giapponesi, coreani, cinesi, americani aggirarsi tra i banchi con le facce stupite, vederli comprare borse di alimenti (dove poi li consumeranno Dio solo lo sa) felici di quegli odori, di quei sapori fa ben sperare che il nostro Paese sappia ritrovare il piacere e il gusto dei gesti semplici, delle relazioni quotidiane, delle parole scambiate.
Hanno ancora un ruolo i mercati, più di uno: diventare luoghi di attrazione vera; fornire informazioni dettagliate su quello che si sta comprando e non confezioni di plastica dove tutto è già deciso a monte da un ufficio marketing; favorire le condizioni di scambio di culture, di ricette, di bellezza.
E poi, dal Mercato Trionfale sono pochi i passi che ci separano dall’ingresso in un altro stato: quello Vaticano, con tutto quello che contiene, in termini di arte e cultura. Vale il viaggio!
Dove dormire
MASSINI CITY GARDEN
Largo Vincenzo Ambrosio, 9 Roma
Tel. +39 06 40075792
www.massinicitygarden.com
A 3,1 km dai Musei Vaticani, il Massimi City Garden offre un giardino, un parcheggio privato, un ristorante e un bar. Questo hotel a 4 stelle propone una reception aperta 24 ore su 24, il servizio concierge e la connessione WiFi gratuita. La sistemazione è non fumatori e dista 3,2 km dallo Stadio Olimpico di Roma.
Dove mangiare
GLI ESPLORATORI
Via Trionfale, 88 00195 Roma
Tel. +39 345 7197647
www.gliesploratori.it
Un po’ ristorante, un po’ enoteca e un po’ anche libreria: così è Gli Esploratori, un locale che vuole approfondire territori ed enogastronomia di varie parti del mondo passando per la tavola, i calici e le pagine dei libri. Il menu cambia periodicamente con focus su regioni italiane oppure altri paesi del mondo
BIANCA TRATTORIA
Circonvallazione Trionfale, 94/96 00195 Roma
Tel. +39 06 6922 9068
www.biancatrattoria.it
Davide Del Duca e Andrea Marini — già chef e maître di Osteria Fernanda a Porta Portese — hanno raddoppiato gli sforzi nel 2023, aprendo anche Bianca. Una trattoria moderna con pietanze aderenti alla tradizione romana, proposte però con il tocco di uno dei più solidi chef di Roma.
MERCATO TRIONFALE
Via Andrea Doria
00192 Roma
Tel. +39 392 123 9242
Cibiana, in Cadore
Tra chiavi, murales e musei nelle nuvole
Il Cadore fa venire in mente molte cose: lo sci, la vacanza, la prima guerra mondiale, le località famose a livello internazionale come Pieve, la strada che porta a Cortina d’Ampezzo ma a noi ha incuriosito quella piccolissima deviazione che porta a Cibiana. Un minuscolo comune, 330 abitanti in tutto rispetto ai 2.172 di un secolo fa, famoso nel mondo dell’artigianato per essere il distretto delle chiavi.
Qui c’erano tantissime piccole fucine che producevano chiavi d’ogni sorta, grazie alle miniere di ferro attive fin dal ‘400. Questa è una valle chiusa, dove ci si rifugiava per sfuggire a guerre, violenze, devastazioni. Prova ne sono alcuni ritrovamenti - monete di origine longobarda – rinvenuti dopo un incendio nel 1836.
Ma perché proprio le chiavi come oggetto di lavoro? Perché, ai tempi della Serenissima, qui c’era il ferro per le chiavi, il legno per i forni e l’acqua per il raffreddamento ma la risposta completa non ve la diamo, ve la facciamo trovare visitando il piccolo ma curato museo che c’è nel centro storico di Cibiana. Un museo gestito da volontari, alcuni dei quali in pensione dopo una vita a produrre chiavi e quindi ben consapevoli della storia. Ascoltarli non può essere che un piacere.
Vi diciamo solamente questo: fu nel 1949, appena finita la guerra che Romano Bianchi decise di riunire la sua e le altre piccole fucine in un’unica grande azienda – la Errebi – che oggi è una SpA leader di mercato.
I murales
In questi territori, isolati per lunghissimo tempo, la memoria orale era una necessità e a Cibiana questa memoria, dagli anni ’80, è diventata arte. È in quel periodo che nascono i murales che riportano Cibiana ad essere una destinazione. Murales che hanno un preciso obiettivo: raccontare sulle pareti delle case la storia e la vita di questo territorio. Arrivano artisti anche dal Giappone e dall’Unione Sovietica, tutto gli abitanti mettono a disposizione le loro case, anche nelle frazioni, da allora ogni anno nuovi dipinti si aggiungono raccontando anche gli aneddoti di queste genti. Ad oggi, da un’idea di Osvaldo Da Col e di un importante artista, Vico Calabrò, sono una sessantina i murales. Raccontano di chiavi, di produzione del carbone vegetale per il riscaldamento delle case, di lettere di emigrati in Argentina, di fabbri, casari, mugnai, gelatieri (poco lontano da qui, a Zoldo, è nato il gelato italiano), di homo faber. È un autentico viaggio nella memoria di secoli concentrato in una manciata di chilometri che vale davvero fare, a
piedi o in bicicletta, in alcuni casi come a Cibiana di Sotto attraverso le splendide case in legno dell’epoca.
Ma non è finita…
Poco lontano c’è il Passo Cibiana, a 1530 metri, che collega il Cadore con la Valle di Zoldo ma soprattutto, dal 2002, da qui parte un piccolo pullman per raggiungere Monte Rite, a 2180 metri slm, per raggiungere il museo più alto d’Europa.
Museo nelle nuvole è stato chiamato e fa parte del circuito dei Messner Mountain Museum Dolomites, un insieme di musei che raccontano la storia della montagna e, in particolare, delle Dolomiti attraverso i temi del ghiaccio, dell’alpinismo, delle esplorazioni, delle arti e dei mestieri.
Il museo delle nuvole è stato ricavato da una fortezza militare, fatta costruire nel 1912, prima dello scoppio della Grande Guerra, per difendersi dagli eventuali attacchi austro-ungarici che la abbandonarono nel 1918. Tra le sue rovine trovarono poi rifugio i partigiani, mentre nel dopoguerra la strut-
tura venne utilizzata come magazzino. Nel 2002, Anno delle Montagne proclamato dall’ONU, venne inaugurato il Museo nelle nuvole che raccoglie testimonianze artistiche, video, oggetti che parlano dell’esplorazione e dell’alpinismo sulle Dolomiti. Sopra la fortezza sono state ricavate delle specie di osservatori che permettono di osservare tuttala catena montuosa che circonda Monte Rite: Monte Schiara, Monte Agnèr, Cimon della Pala, Monte Civetta, Marmolada, Monte Pelmo, Tofana di Rozes, Sorapis, Antelao.
“La vista più spettacolare sulle montagne che ritengo le più belle del mondo si gode proprio dal tetto e dalle torrette di vetro del MMM Dolomites! Sono nato nel 1944 in val di Funes, sotto il gruppo delle Odle. I miei nonni, originari di Antermoia, di Colle Santa Lucia, del Renon e di Santa Maddalena in val di Funes, provenivano tutti dalla regione dolomitica. Per questo io mi sento figlio delle Dolomiti. Nella mia vita ho scalato 3500 montagne. In quasi cento viaggi fuori dall’Europa ho conosciuto molte vette e catene montuose, dalle Ande alle Rocky Mountains, dalle montagne dell’Antartide a
quelle dell’Oceania, del Giappone e dell’Alaska. E tuttavia non ho mai visto un mondo di roccia dalle forme più belle di questo: si pensi, ad esempio al gruppo delle Odle, al Sassolungo e alle strapiombanti pareti nord delle Tre Cime di Lavaredo. Già da bambino ero stupito e meravigliato da tanta varietà. Impressioni insuperate. Il mio ritorno in Alto Adige è dunque anche una dichiarazione d’amore alle Dolomiti. Le Odle sono il punto fermo nella mia vita da avventuriero” afferma Messner in un video che si può vedere e ascoltare nel museo. Dolomiti che – come è scritto in una didascalia del Museo nelle nuvole – “devono il proprio nome a Nicholas Théodore de Saussure, studioso francese del Delfinato. In onore del connazionale Déodat Gratet de Dolomieu (1750 - 1801), l’uomo che per primo descrisse le particolari caratteristiche di questa pietra che non reagisce affatto, o solo minimamente, al contatto con l’acido cloridrico diluito. In suo onore fu data nel 1792 la denominazione di “dolomia” al minerale delle alpi calcaree meridionali tra Spalti del Toro e Brenta, tra Sass de Putia e Schiara”.
Dove dormire
BAITA DEONA
Via Pianezze, 61
Cibiana di Cadore (BL)
Tel. +39 0435 540169
www.baitadeona.it
Una baita in larice calda e accogliente come un vecchio “tabià”, ma con una concezione architettonica nuova, integrata al paesaggio e che lo porta anche al suo interno attraverso le grandi finestre. Questo è l’intento della nostra nostra famiglia di boscaioli da generazioni, legati a questo territorio e soprattutto a questi boschi.
Dove mangiare
TAULÀ DEI BOS
Via Masariè, 51
Cibiana di Cadore (BL)
Tel. +39 0435 450157
Accogliente locale, un tempo storico tabià (fienile) e ristrutturato con cura ed eleganza diventando anche centro culturale, albergo diffuso e sala convegni che ospita mostre e organizza attività e concerti.
RIFUGIO REMAURO
Passo Cibiana (BL)
Tel. +39 348 6906457 www.rifugioremauro.it
Ristrutturato interamente sia all’interno (2006) che all’esterno (2008), vi conquisterà con la sua cucina tipica ma molto raffinata e inoltre, offre l’opportunità di soggiorno invernale ed estivo in stanze confortevoli, dotate di servizio privato e tv satellitare
EMPORIO DA BELLINO
Via Masariè, 166
Cibiana di Cadore (BL)
Tel. +39 0435 74037
L´emporio “da Bellino” propone tanti oggetti di artigianato locale, tra cui i famosi scarpete, di velluto e anche ricamati. E tutto ciò che occorre per le escursioni in montagna, comprese le cartine e le mappe dei sentieri, utilissime per muoversi con sicurezza sul Monte Rite, sede del “Museo nelle nuvole”, e sul Sassolungo.
Le nozze di Cana, un viaggio tra Louvre e Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia
È un imponente telero, 666x990 cm, olio su tela, quello che Paolo Caliari detto il Veronese (Verona 1528-Venezia 1588) dipinge per il cenacolo dell’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia. Il soggetto del dipinto sono le Nozze di Cana e le ha volute rappresentare nel vigore del ‘500 veneziano. Il progetto del refettorio è dell’architetto Andrea Palladio che, con grande abilità, realizza questo spazio con volte a botte e finestre semicircolari, creando giochi di luce che valorizzano gli ambienti. Veronese dipinge la parete di fondo e il risultato è sorprendente, colori, cielo, prospettiva e terrazzo regalano alla sala l’effetto di una finestra aperta sul mondo.
Il contratto
Il 6 giugno 1562 è la data della stipula del contratto tra i frati benedettini e il pittore. I dettagli sono molto precisi: il tema doveva essere quello nuziale, l’opera doveva riempire completamente la parete di fondo e dare l’impressione di uno spazio aperto. Questo lavoro lo impegnò fino al 6 ottobre del 1563 quando il Veronese firmò l’avvenuto pagamento da parte dei frati per 324 ducati.
Il tema
…Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino». E Gesù rispose: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora». La madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà». Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: «Riempite d›acqua le giare»; e le riempirono fino all›orlo. Disse loro di nuovo: «Ora attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono… (Gv 2,1-11)
Le colonne ai lati del dipinto si aprono come un sipario e sul proscenio di questa terrazza-palcoscenico è vivace il racconto delle Nozze di Cana. Gli ospiti sono riuniti attorno ad una tavola a ferro di cavallo.
Al centro Gesù che guarda diritto verso lo spettatore, è riconoscibile dall’aureola e dalla luce che emana la sua figura. La madre, e due apostoli vestiti in abiti antichi sono accanto a lui. Maria, con la mano semi aperta simulando la mancanza di un bicchiere, sembra dire al Figlio «Non hanno più vino». I servi si accorgono che il vino manca rovesciando brocche e giare dalle quali non esce niente.
…La madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà»…
Il servo dal vestito giallo inclina la Giara, decorata con motivi classici, verso la brocca, ed ecco uscire il vino; il miracolo è compiuto; dietro di lui il coppiere vestito in abiti eleganti e damascati osserva il
calice contenente il vino quasi come un moderno sommelier; accanto lo Scalco principale con l’abito e il bastone rosso, guarda incuriosito il coppiere, e con la mano alzata quasi a chiedere “allora com’è?... È buono?”. Compito dello Scalco durante le cerimonie era quello di controllare che tutto si svolgesse senza intoppi, nella totale soddisfazione degli ospiti.
Sul lato sinistro un servitore di colore offre allo sposo il calice con il vino, la sposa, al suo fianco è sorpresa e l’invitato dall’abito blu chiede al servo alle sue spalle la provenienza del vino e il chiacchiericcio generale sembra spargersi tra gli invitati. Il vino c’è e la festa può continuare; i musicisti al centro riprendono a suonare e intrattenere gli ospiti. Tra loro riconosciamo i pittori più famosi del ‘500 veneto come l’autoritratto di Paolo Veronese vestito in bianco che suona la viola da gamba; Tiziano con la tunica rossa al contrabasso; il Tintoretto con la seconda viola e Jacopo da Bassano il flauto.
A sinistra, sopra la balaustra marmorea, alcuni servi si arrampicano portando piatti e vassoi, mentre lo spenditore sul tavolo è concentrato a scrivere quanto gli viene detto.
Al centro, il macellaio è intento a tagliare l’agnello, esattamente sopra a Gesù come richiamo all’agnello sacrificale, mentre la clessidra al centro dei musicisti richiama il tempo che scorre inesorabile. Vestito di verde è il maggiordomo della casa, con la spada e una mano sulla bisaccia, accanto a lui un nano con abiti da intrattenitore, adornato da gioielli e con un pappagallo verde sulla spalla, lo guarda quasi in attesa di istruzioni.
Il Veronese non lascia nulla al caso, è attento in tutti i particolari, la tavola è divinamente imbandita e curata, ogni commensale ha piatto e posate, il cibo non manca, e sono ben visibili le mele cotogne simbolo di amore e fecondità, datteri e uva. Una dama è in-
tenta ad utilizzare uno stuzzicadenti mentre non lontano un ospite straniero guarda incuriosito i rebbi di una forchetta. Un’estesa porzione di cielo fa da sfondo, porta luce grazie agli azzurri, ai grigi, ai bianchi e alla bella torre che svetta sopra la festa. Ritratti, pose ed espressioni fanno parte di questa bella fotografia d’altri tempi che intrattiene e racconta a modo suo il Vangelo e uno spaccato di quella società.
I personaggi presenti nel dipinto
Andrea Pampurio, abate di San Giorgio;Giulia Gonzaga (1513-1566), nobildonna lombarda; Marcantonio Barbaro (1518-1595), uomo politico e diplomatico veneziano; Solimano il Magnifico (1494-1566) sultano e califfo dell’impero ottomano; Maria I d ‘Inghilterra (1516-1558) regina d’Inghilterra e d’Irlanda; Carlo V d’Asburgo (1500-1558) re di Spagna; Vittoria Colonna (1490- 1547) poetessa e intellettuale romana; Daniele Barbaro (15181595) cardinale e intellettuale veneziano. Sono solo alcune delle personalità famose che il Veronese ha dipinto e ha voluto tra gli invitati per la sua versione delle “Le Nozze di Cana”. Si contano ben 133 personaggi, tra soldati, nobili, prelati, servitori, giullari e poi ancora un cane si affaccia dalla balaustra, altri due sono legati di fronte ai suonatori, e uno vicino agli sposi, seduto a simbolo di fedeltà. Un gatto gioca con una giara. Mentre dall’alto una dama getta dei fiori sui commensali che curiosamente guardano verso l’alto.
Gino Damerini ( Venzia 1881- Asolo 1967), importante giornalista della cultura veneziana scrisse nel suo libro L’isola e il cenobio di San Giorgio Maggiore: “Illusionista di genio nell’interpretazione della spazialità architettonica, ambientando a sua volta il tema sacro in una scenografia teatrale, per movimento di piani, disposizione al modo di quinta delle architetture (inequivocabilmente palladiane) sul fondo di cielo chiaro
che apre la parete, studiatissima regia dei movimenti di gruppi di figure e tutto entro un’esaltazione di colori timbrici luminosissimi”.
I colori
Il veronese sa dosare i gialli, i verdi, i rossi e gli azzurri nelle tinte intense o lievi. Ha a sua disposizione i migliori pigmenti che poteva trovare a Venezia e utilizza l’orpimento per il giallo; i lapislazzuli per il blu; il cinabro per il rosso vermiglio e il bianco piombo per le schiariture. Ingegno, arte e resa prospettica sono il suo talento e distribuendo in modo perfetto i colori riesce a dare prospettiva, serenità ed espressione.
11 settembre 1797
Il dipinto rimase nel refettorio dell’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia fino all’11 settembre del 1797 quando Napoleone lo trafugò, assieme ad altre opere, per riempire il museo del Louvre. Vista l’imponenza della tela, i francesi ebbero questa brutta idea di tagliarla in diverse parti per trasportarla in Francia. Alcune delle opere trafuga-
te ritornarono in Italia; questa, assieme ad altre, purtroppo si trovano ancora in Francia. Antonio Canova venne incaricato da Pio VII per chiedere il rientro delle opere italiane e quando si rivolse al direttore del Louvre a proposito di questo capolavoro, il direttore sentenziò che era troppo pericoloso riportarlo in Italia e che il dipinto si sarebbe potuto danneggiare. Adesso che abbiamo tutti i mezzi e le tecnologie, non ci dovrebbero essere più scuse poco convincenti. Il telero si trova nella sala della Gioconda, dove tutti accedono per ammirare il capolavoro di Leonardo e così ha, in parte, la fama di essere l’opera che ha visto più spalle al mondo. Attualmente, all’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia è esposta una copia, realizzata con moderne tecnologie che sono state in grado di riprodurre l’originale nei minimi particolari compresi i segni del tempo. L’isola di San Giorgio Maggiore merita il bel viaggio. Il complesso palladiano è ricco bellezza, e solo accedendo all’ingresso monumentale del refettorio si comprende quanto Le nozze di Cana restituiscano al luogo la sua completezza.
Ospitalità riflessa.
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