CIFO_settembre 2023

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La strana estate della ristorazione

Cari prof, siate voi gli artefici del cambiamento

Nuove professioni per nuovi ristoranti

Osteria da Oreste

Michele Casalboni

Offrire materia prima di assoluta qualità

Agosto/settembre 2023 sala&cucina n. 72 agosto/settembre 2023Poste Italiane SpaCN/BOEdizioni Catering srl –Via Margotti, 8 –40033 Casalecchio di Reno (BO)contiene I.P.costo copia euro 3,50
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La redazione

Mario Benhur Tondini presidente Edizioni Catering srl

Imprenditore nel settore della distribuzione alimentare, gestisce con il fratello Oscar l’azienda di famiglia a Cavriana (MN), dove ha svolto anche l’incarico di sindaco.

Le competenze maturate sul piano professionale e su quello amministrativo lo hanno portato alla convinzione che il principio della condivisione sia la miglior modalità di crescita. Molte sue iniziative, anche all’interno del gruppo Cateringross (che detiene la titolarità della casa editrice), di cui è consigliere d’amministrazione, vanno in questa direzione. A questo affianca una forte sensibilità per ogni azione che dia valore al suo territorio.

benhurtondini@salaecucina.it

Marina Caccialanza Redazione

Milanese, un passato come traduttrice, da diversi anni giornalista e redattrice per riviste del settore alimentare rivolte al mondo dell’artigianato e all’industria, in particolare nel campo della ristorazione, del dettaglio specializzato e della ricerca. Contribuisce alla realizzazione di importanti libri di comunicazione gastronomica in Italia e all’estero diretti ai professionisti e ai consumatori. Collabora con le redazioni di sala&cucina, Ecod e Trenta Editore.

marina.caccialanza@salaecucina.it

Giulia Zampieri Redazione

Ricorda con esattezza il profumo del primo pane preparato all’età di sette anni.

Forse il suo primo traguardo e, soprattutto, l’inizio di una grande passione: per le cose semplici, per la genuinità, per gli alimenti che crescono e prendono forma. Dopo la Laurea in Scienze Gastronomiche, la specializzazione in comunicazione enogastronomica, e un periodo di alternanza nelle cucine, ha chiara la missione: scrivere per comunicare. Come? Utilizzando gli strumenti di oggi e la curiosità di sempre. Gionalista pubblicista, collabora anche con la guida di Identità Golose.

giuliazampieri@salaecucina.it

Luigi Franchi Direttore responsabile

Prima fotografo di cibo e territori, poi comunicatore, autore di numerosi libri di enogastronomia e di turismo enogastronomico. e infine giornalista di enogastronomia. Tra le sue principali pubblicazioni, scritte e/o coordinate: La prima edizione della Guida al turismo del vino in Italia, per conto del Movimento Turismo del Vino, (1997), I parchi e il turismo enogastronomico (2004), Il marketing delle Strade del Vino edizioni Agra – Rai Eri (2005), Atlante Alimentare Piacentino, con Valentina Bernardelli (2007), “cuo chi, due anime in cucina”, con Alessandra Locatelli, GL.Editore (2009), Dalle Terre Traverse al Po, GL.Editore (2010), ideatore e coautore dei Maestri del lievito madre, Edizioni Catering (2014), coautore della guida online dedicata alla ristorazione Meglio Prenotare, Edizioni Catering, Le interviste (2018) editore Mediavalue. Co-direttore di Food & Book, festival nazionale di editoria enogastronomica luigifranchi@salaecucina.it

Simona Vitali Redazione

Laureata in filosofia, ha lavorato nella comunicazione e organizzazione di grandi eventi a Parma. Ha ricevuto una prima inconsapevole educazione al gusto per il cibo grazie all’ indimenticato oste dell’Osteria di Felino (PR), il nonno materno Massimino. Con gli studi umanistici è poi arrivata una seconda, consapevole, educazione al gusto per l’utilizzo delle parole secondo il loro significato. Poi sono seguiti un corso di Alta Formazione alla scuola Holden e un master in Filosofia del cibo e del vino. Della ristorazione l’affascina il pensiero e la componente umana. Della formazione di settore segue movimenti ed evoluzioni.

s.vitali@salaecucina.it

Gabriele Adani

Grafico

Modenese, appassionato di arte figurativa, fotografia e linguaggi di comunicazione visiva.

Nel 1992 inizia il suo percorso professionale presso una casa editrice. Lavora poi in uno studio grafico e fonda una piccola agenzia di comunicazione in cui ricopre il ruolo di direttore creativo per 18 anni. Viaggiatore, utilizza i frequenti viaggi a Londra e nel Sud Est asiatico per arricchire il suo bagaglio culturale e placare la sua innata curiosità per le altre culture.

Dal 2019 lavora in proprio, occupandosi di fotografia, grafica e consulenze nel campo della comunicazione.

grafica@salaecucina.it

3 | agosto/settembre 2023

Sommario

7 LA LETTERA APERTA

Strana estate per la ristorazione | Luigi Franchi

9 L'EDITORIALE

Nessun allarmismo ma una migliore attenzione | Benhur Tondini

11 L'APPELLO

Cari prof, siate voi gli artefici del cambiamento | Simona Vitali

12 IL CONFRONTO

Michele Casalboni | Luigi Franchi

17 I CUOCHI

Al lavoro! Con passione! | Rocco Cristiano Pozzulo

19 LA NEUROVENDITA

Nuove professioni per nuovi ristoranti | Lorenzo Dornetti

21 L’OLIO AL CENTRO

Ristoranti a tema: la forza attrattiva delle patatine fritte | Luigi Caricato

23 L’OSPITALITÀ

Un buon servizio può salvare un problema in cucina, non il contrario. | Martina Manescalchi

25 LA DIGITAL TRANSFORMATION

L'Intelligenza Artificiale è un supporto, non un sostituto | Claudia Ferrero

27 SCIENZA E NUTRIZIONE

Non chiamatelo solo “forma” | Ferdinando A. Giannone

29 L'ANALISI

Venti d’estate | Giulia Zampieri

32 IL PRODOTTO

Il vitello italiano | Luigi Franchi

35 IL PRODOTTO

Il miracolo del Delta del Po: la Cozza di Scardovari DOP | Simona Vitali

38 IL PRODOTTO

Rompiamo il ghiaccio | Giulia Zampieri

44 IL TERRITORIO

Le ragioni del biologico | Simona Vitali

47 IL VINO

Raìna Il sogno (realizzato) di viticoltura di Francesco Mariani | Giulia Zampieri

50 AMODO LA RETE DEI RISTORANTI ETICI

Osteria Da Oreste | Giulia Zampieri

53 LE PERSONE

I vigneti urbani: la bellezza sostenibile salverà il mondo | Bruno Damini

56 IL TERRITORIO E LA RISTORAZIONE

Macellerie con cucina | Antonella Petitti

62 LA PRODUZIONE

Mozzarella di Bufala Campana DOP Delizie di Latte | Guido Parri

64 I LIBRI

Il gusto di cambiare- Mai paura | Luigi Franchi

66 IL RISTORANTE

In.Treska, lassù tra i monti | Marina Caccialanza

68 LA PIZZERIA

Operaprima a Ostuni | Marina Caccialanza

70 LA DISTRIBUZIONE

Blubai App, un nuovo modello di business | Guido Parri

73 LA PRODUZIONE

FOODART, il menù del futuro | Marina Caccialanza

76 LA PRODUZIONE

Il tartufo di T&C, star al cinema | Marina Caccialanza

78 LA PRODUZIONE

EDITORE

Edizioni Catering srl Via Margotti, 8 40033 Casalecchio di Reno (BO) Tel. 051 751087 – Fax 051 751011 info@salaecucina.it - www.salaecucina.it

PRESIDENTE

Benhur Mario Tondini benhurtondini@salaecucina.it

DIRETTORE RESPONSABILE

Luigi Franchi luigifranchi@salaecucina.it

COLLABORATORI ESTERNI

Luigi Caricato, Bruno Damini, Lorenzo Dornetti, Martina Manescalchi, Elena Monteverdi, Guido Parri,Antonella Petitti

FOTOGRAFIE

Archivio sala&cucina, Archivio Icetop, Claudia D’Elia, Deposit photo.

* L’editore è a disposizione per eventuali crediti fotografici di cui si ignora la fonte

RIVISTA PARTNER di AMODO

PUBBLICITÀ Tel. 331 6872138 marketing@salaecucina.it www.salaecucina.it

PROGETTO GRAFICO

LA RETE DEI RISTORANTI ETICI 2022

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5 | agosto/settembre 2023

Agosto/settembre 2023 sala&cucina 72 agosto/settembre 2023 Poste Italiane Spa CN/BO Edizioni Catering Via Margotti, 40033 Casalecchio Reno (BO) contiene I.P. costo copia euro 3,50
Michele Casalboni Offrire materia prima di assoluta qualità La
Nuove professioni per nuovi ristoranti Osteria da Oreste strana estate della ristorazione Cari prof, siate voi gli artefici del cambiamento N° 72 agosto/settembre 2023
Per abbonarsi: info@salaecucina.it
Unika® Rustic Burger: qualità, innovazione e gusto | Guido Parri

Si è parlato dei due euro per il piattino, di granchio blu fino allo sfinimento, di un pasto rimborsato dall’ambasciata a Tirana, di post scritti da critici gastronomici che si accorgono solo ora che ci si parla addosso come questo: “Riflessione ferragostana. Ieri sera, cena con amici, entrambi professionisti; medici, nello specifico. Si parla del mio mondo e a un certo punto esce un nome, quello di Niko Romito. Mi guardano entrambi con aria interrogativa: “Niko chi?”. E lo scandalo immane che ha animato le bacheche, allora? Provate anche voi, vedrete quanta gente conosce un cuoco italiano fondamentale come lui. ‘Lì fuori’ nessuno ne ha la più pallida idea. Morale della favola, se non la finiamo di parlarci addosso e non iniziamo a far diventare vera cultura il mondo dell’alta cucina, senza arrabattarci attorno a un minuscolo circo (circo, sì, non circolo) di pseudoeletti, siamo destinati a sparire”.

Forse è arrivato il momento di dire che la ristorazione, se non si unisce, se non fa le scelte funzionali a un cambiamento sociale ed economico che sta incidendo sulle vite di milioni di persone, se non comincia a parlare una lingua che è quella del benessere, fisico e psicologico, della storia e della cultura alimentare, quella vera non quella delle favole campestri, se non fa valere il suo peso nell’economia del Paese, in quella del turismo, nell’immagine globale che offre dell’Italia, perderà ogni possibile appeal.

Se per tutta l’estate parlare di ristorazione ha voluto dire considerare questo settore che conta quasi 300.000 piccole e medie imprese quello del piattino a due euro o essere considerata al più basso livello di populismo dai massimi esponenti del nostro governo, anziché affrontare i temi che coinvolgono una filiera intera, fatta da aziende che forniscono le materie prime, da distributori che le scelgono e le consegnano ma prima attrezzano le loro imprese con investimenti notevoli in organizzazione e logistica, significa che dobbiamo ancora fare molta strada per dare rispettabilità al settore come dovrebbe essere.

Il nostro lavoro deve essere quello di far conoscere il bello e il buono della ristorazione, il bello e il buono delle tantissime aziende italiane, ma non solo, che pro-

Strana estate per la ristorazione

ducono per garantire alle brigate di cucina l’obiettivo di rendere piacevole un pasto al ristorante; il nostro compito è quello di far emergere chi specula sul cibo, per fare chiarezza in questo settore rendendolo, per davvero, un esempio straordinario di made in Italy; il nostro ruolo non è quello del gossip, per quello ci sono già anche troppi strumenti, non è quello di esaltare all’ennesima potenza gli chef-star, ma è quello di dar voce a chi lavora bene, presta attenzione ai suoi clienti, li considera il vero valore del proprio ristorante. E solitamente queste persone, questi professionisti non trovano quasi mai uno spazio per raccontare il loro stile di lavoro. Su queste pagine lo facciamo da tempo, sul nostro sito altrettanto. E questo ci rende orgogliosi del nostro lavoro!

luigifranchi@salaecucina.it
Luigi Franchi direttore responsabile
La lettera aperta
7 | agosto/settembre 2023
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Il meglio in cui una mela può trasformarsi

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L’estate italiana 2023 ha visto un turismo di alti e bassi ma vogliamo affermare subito che non serve nessun allarmismo. Ripetere l’estate dello scorso anno sarebbe stata un’impresa eccezionale perché non c’era più la voglia spasmodica di ritornare a vivere del dopo pandemia. Quello che è necessario, però, è comprendere quanto è cambiato il turista che sceglie l’Italia e perché!

Siamo il Paese della bellezza, dell’arte, della storia e questo è un elemento di grande importanza; il richiamo delle nostre coste, delle città d’arte, delle montagne più alte d’Europa è altrettanto evidente; il nostro stile di vita e i nostri cibi sono invidiati da molti nel mondo. Eppure queste connotazioni non sono sufficienti per restare in testa alle classifiche internazionali dei flussi turistici.

Quest’estate ha messo in evidenza le contraddizioni della nostra offerta turistica: se da un lato sono andate a gonfie vele le strutture più nuove, con un’offerta chiara e riconosciuta, i ristoranti dove il livello del servizio e il cibo erano un’evidenza, con prezzi anche alti però con una qualità evidente, apprezzata da un turismo straniero e anche italiano che si può permettere questo tipo di vacanza, dall’altro si riscontra un’offerta nebulosa, con hotel a quattro stelle che non corrispondono minimamente alla classificazione, oppure hotel a due e tre stelle a prezzi siderali, una ristorazione turistica al livello più basso con cifre dai 40 euro in su per due piatti senza arte né parte.

Gli stessi borghi, alcuni di questi classificati tra i più belli d’Italia, senza infrastrutture che possano accogliere adeguatamente i flussi turistici, pochi parcheggi, multe all’ordine del giorno per un nonnulla, ingressi nei borghi squalificanti sul piano della bellezza e dell’accoglienza.

È evidente la mancanza di un sistema territoriale, di una formazione adeguata dei professionisti che operano nel settore turistico. Temi che sono sulla bocca di tutti ma che non hanno ancora risposte adeguate ai tempi.

Tempi questi che, oltre tutto, hanno risentito, quest’an-

Nessun allarmismo ma una migliore attenzione

no e per gli anni a venire, di un cambiamento climatico che ha già causato danni sistemici e di cui sarà sempre più necessario trovare una rapida soluzione, pena la modifica strutturale del settore.

Infine il turista; sono e, ci auguriamo, saranno ancora tanti quelli che sceglieranno l’Italia per un viaggio, una vacanza, una fuga dal quotidiano. Lo fanno per le motivazioni che abbiamo espresso in queste poche righe ma dobbiamo offrire una visione del nostro Paese che sia comprensibile, sicura, senza le sorprese dell’ultimo minuto, che la prima volta possono anche essere simpatiche ma che poi danneggiano irrimediabilmente l’intera offerta turistica.

Approfittiamo dei mesi di bassa stagione per ripensare a quello che non è andato bene in questa estate e cominciamo, tutti, a prendere in considerazione il da farsi per un cambiamento positivo!

Il tempo lo abbiamo, la volontà anche perché per la maggior parte esistono bravi operatori, bravi ristoratori, bravi albergatori. Cominciamo da loro!

benhurtondini@salaecucina.it
L’editoriale Clicca e leggi l’articolo sul web 9 | agosto/settembre 2023

LA RETE DEI RISTORANTI ETICI

2023

LA RETE DEI RISTORANTI ETICI

È un progetto

che vuole dare valore ai ristoranti che abbiano l’etica del lavoro.

Per saperne di più amodo.salaecucina.it dove si può inviare la scheda di adesione

Simona Vitali redazione sala&cucina

Un nuovo anno scolastico è alle porte e, più che mai, tutti i soggetti coinvolti a qualche titolo sono chiamati a fare la propria parte.

C’è chi per le proprie dimensioni elefantiache porta con sé una cronica lentezza nelle decisioni o poco s’azzarda a prendere posizioni decise e chi, nel proprio piccolo, è abituato a muoversi con snellezza, senza zavorre ai piedi... Chi, meglio dei professori può avere una presa diretta sulla formazione e quindi sul futuro professionale dei ragazzi?

“Cari prof.

è a voi che ci rivolgiamo perché in quelle aule o laboratori vi facciate artefici del cambiamento che urge e non può limitarsi ad attendere interventi dall’alto di un ministero, di una rete rappresentativa del vostro comparto, di associazioni di categoria che stanno cercando di mobilitarsi.

Battete i tempi, arrivate voi prima di tutti con la freschezza di un approccio nuovo alla materia, non più schiavo di una didattica obsoleta, guardando ai corsi di aggiornamento come opportunità.

Selezionate voi per primi e proponete ai vostri dirigenti figure professionali che stimate da portare come un regalo ai vostri ragazzi, preoccupati solo che imparino di più, in integrazione al vostro insegnamento.

Stupiteli, i vostri dirigenti, chiedete voi a loro (e non il contrario) di aprire le porte della scuola per portare dentro la vita là fuori. Siate propositivi, per creare nuove collaborazioni fra scuola e mondo del lavoro che si rivelino fruttuose.

Spiegatelo anche voi ai ragazzi com’è nella realtà il mondo della ristorazione, dimostrando di conoscerlo profondamente.

Insegnategli ad amarlo questo mestiere e insegnategli pure che avere ambizioni è sano e può essere una molla che li porterà a realizzarsi, dentro una trattoria o un ristorante di livello, a seconda di quella che si rivelerà la loro vocazione.

Siate il loro faro, dispensatori di consigli anche dopo, quando nel corso della vita dovranno prendere decisioni importanti, cruciali per la professione... siate coloro con cui i vostri ex allievi vorranno condividere risultati, gioie e anche qualche delusione. Dategli la consolazione di non restare soli nei momenti di dubbio che necessaria-

Cari prof. siate voi gli artefici del cambiamento

mente arriveranno.

Siate quelli che verranno nominati, citati per nome e cognome, quando ormai professionisti si troveranno a riconoscere chi ha inciso sulla loro crescita, sulle loro decisioni, sull’amore che hanno maturato per il lavoro.

Emulatevi in questo a vicenda, cari prof, che è l’unico caso in cui copiare non è peccato.

Noi lo sappiamo che fra voi c’è già chi da tempo è su questa linea. Gli insegnati appassionati, travolgenti, ci sono da sempre e da sempre, più di tutti - percependo i tempi che cambiano - sanno trovare i modi giusti per tramettere il mestiere con quell’autorevolezza capace di rimanere impressa nella memoria.

Non ci resta altro che sperare in una grande contaminazione fra voi che porti una rivoluzione dal basso, fra i muri di quelle aule e in senso più ampio di quelle scuole, dove da sempre sono partite le migliori soluzioni.

Noi vi seguiremo per un altro anno intero, statene certi, e non mancheremo di metterci del nostro, se non altro per contribuire a darvi voce, a dare voce al meglio di voi, e soprattutto a farvi entrare in contatto perché nella condivisione possiate molte cose!

s.vitali@salaecucina.it
L’appello
web 11 | agosto/settembre 2023
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Offrire materia prima di assoluta qualità
Luigi Franchi
Autore:
Il confronto Michele Casalboni www.ristoranteterrealte.com Clicca e leggi l’articolo sul web 12 | agosto/settembre 2023
Michele e Francesca

La prima volta che venni in questo ristorante mi posi la domanda sul perché si chiamasse Terre Alte visto che si trovava sulla prima collina romagnola, a neanche 200 metri di altezza, ma la domanda non la feci mai preso com’ero dalla bontà assoluta di quei piatti a base di pesce che Michele Casalboni mi metteva davanti con gesti delicati e semplici. È passato qualche anno da allora ma quel locale, almeno una volta all’anno, mi tornava in mente per come era gestito: il ristorante che meglio di tanti rappresentava quel gusto e quell’ospitalità tipicamente italiana che in tante parti del mondo ci invidiano. Per questo motivo, oggi, Michele Casalboni è il soggetto di questa intervista che comincia proprio da quella domanda mai posta.

Perché si chiama Terre Alte il tuo ristorante?

“Perché mi piaceva molto quel vino: il Terre Alte di Livio Felluga. Non avevo pensato che potesse essere un marchio registrato e quando si presentò al ristorante Maurizio Felluga ebbi qualche timore. Invece è nata un’amicizia che mi rende orgoglioso e felice, oltre a molte serate fatte appunto con il Terre Alte proprio qui al Terre Alte”.

Raccontami di te, come ti sei avvicinato a questo mondo, come hai aperto un ristorante di pesce in collina e perché proprio qui?

“Ho iniziato a lavorare nella ristorazione a 15 anni, facendo il cameriere durante le stagioni estive sulla riviera romagnola. A 19 anni ho fatto l’incontro della mia vita innamorandomi della cucina grazie a Vincenzo Camerucci, lo chef che ha portato una stella Michelin all’Hotel Lido di Cesenatico negli anni Novanta e che oggi gestisce il suo Camì, un agriturismo a pochi passi dal mare. Poi alcune stagioni in montagna fino a che, con un socio, abbiamo visto questa struttura che stavano costruendo sulla collina di Longiano. Era il 2001, avevamo l’entusiasmo giovanile che ti porta a fare scelte avventate, e decidemmo di aprire un ristorante di pesce in collina. In quegli anni era ancora una novità assoluta mangiare il pesce lontano dalle coste ma noi non ci pensavamo molto, volevamo provarci. Un anno e il mio socio lascia per andare in Giappone e mi chiede di vendere tutto. Avevo trent’anni, un po’ di debiti e ancora credevo in questo progetto. Chiesi allo chef se si sentiva in grado di gestire interamente la cucina e Thomas, questo il suo nome, mi disse di sì. Da allora sono passati 22 anni e Thomas Rivalta è ancora con me, a capo di una cucina apprezzatissima”.

In questi anni del terzo millennio cosa è successo?

“Siamo andati avanti fino al 2009/2010 con il giusto ritmo, senza grandi stravolgimenti, una clientela che si affezionava sempre di più, buoni piatti, poi abbiamo deciso di puntare sul pesce crudo. Era agli albori quel tipo di piatti, all’inizio non si mangiava, ora invece è uno dei simboli del Terre Alte. Con il pesce crudo è cambiato anche il modo di selezionare le materie prime che oggi rappresentano il 35% dei costi del locale. Ne sa qualcosa Matteo Mortani, il nostro capo-partita che, nei 15 anni che è con noi avrà pulito 1200 tonni. Non ultimo il ruolo di Francesca, mia moglie, che ha lasciato il posto in banca per affiancarmi in sala. La sua è una funzione fondamentale. Da quel momento, dopo anni di investimento, possiamo dire che Terre Alte ha raggiunto l’apice del successo, siamo sempre pieni, a mezzogiorno e a sera, tutti i giorni della settimana”.

13 | agosto/settembre 2023
L'estreno del ristorante Terre Alte

Mi stai parlando di persone che sono con te da una vita, di un ristorante sempre pieno: a tuo parere da cosa deriva questo risultato?

“Credo che molto dipenda dal fatto che ho avuto una gavetta robusta e, quindi, riesco a capire le esigenze del mio personale. Oggi siamo in 15, con persone che sono con me da almeno 10/15 anni. Il motivo? Ascoltare tutti, lasciare libere le persone di esprimersi. In cucina io non entro nemmeno, lo chef ha carta bianca su tutto, dagli acquisti al menu. Pagare il giusto chi lavora, fargli fare quello per cui è stato chiamato e non per lavare i vetri del ristorante nel tempo libero. Avere una serietà di gestione, orari giusti, esaudire ogni variazione di giorni liberi se le persone hanno impegni inderogabili. Questo per quanto riguarda il personale. Per i miei clienti, invece, garantire che le ore trascorse al Terre Alte siano belle, serene, senza pensieri, senza formalità pur essendo un ristorante di fascia alta. Offrire materia prima di assoluta qualità e questo è possibile se rispetti, ogni giorno, i metodi di pagamento. Per garantire che un ristorante sia un’azienda

florida è necessario lavorare in tutti i giorni di apertura e, per fare questo, ci sono molti modi, a cominciare dalla localizzazione: vedi, noi siamo in collina ma a un chilometro dalla Via Emilia, a venti minuti da Cesena e dalla riviera, qui si arriva con estrema facilità e si sa che si mangia sempre bene perché abbiamo una linea talmente corta da definirsi giornaliera e, con il pesce, questo è fondamentale”.

Spiegati meglio…

“Il pesce lo puoi ormai comprare in qualsiasi modo: arriva congelato da ogni parte del mondo al tuo indirizzo, grazie a distributori specializzati, ed è buono; puoi acquistarlo al mercato ittico a Milano, il più importante, e trovi di tutto. Ma quello che fa la differenza, per noi, è avere buyer affidabili in ogni mercato delle nostre coste, sapere cosa arriva e a che ora per comprare il meglio ogni giorno. Per questo ti dicevo che spendiamo il 35% del nostro fatturato in materia prima. Un dato esagerato se rapportato alla media della ristorazione che si aggira intorno al

Lo chef Thomas Rivalta Gambero battuto
14 | agosto/settembre 2023
Carpaccio di tonno rosso dell'Adriatico

15/18%! Abbiamo un buyer al mercato di Ancona dove le trattative cominciano ogni mattina alle quattro; in quel mercato compriamo solo pesci di taglia grande che arrivano al ristorante, nelle mani del capo-partita al mattino presto. A Rimini, sempre al mattino alle sei, un altro buyer ci segue nell’acquisto di pesci più piccoli, mentre al pomeriggio apre il mercato a Cesenatico dove compriamo prevalentemente le canocchie. Quelle di Cesenatico sono indiscutibilmente le migliori. Infine un buyer pugliese che, da anni, ci fornisce gamberi viola, cozze pelose, cernie, ricciole e frutti di mare dalla Francia; per capirci, 700/800 ostriche a settimana! Tutto pesce pagato alla consegna grazie ai miei clienti che mi garantiscono l’incasso ogni giorno! Solo in questo modo io riesco a interpretare il mestiere di ristoratore!”

Come cambia il menu a Terre Alte?

“Potrei dire quattro volte all’anno, ma preferisco affermare che cambia in base alla stagionalità del pesce. A volte mi viene da pensare che siamo una pescheria fine che offre un buon servizio… scherzo, ovviamente. Alcuni piatti sono però sempre presenti, soprattutto per la composizione di crudi o per lo spiedino di calamaretti spillo, un autentico piatto che dà dipendenza a detta dei clienti, qualcosa che assomiglia all’illegalità”.

Come hanno fatto a conoscere Terre Alte i tuoi clienti?

“Prevalentemente grazie al passaparola! Non facciamo molta attività social e non abbiamo agenzie che ci curano l’immagine. Conosciamo i nostri clienti, ci chiedono semplicemente di star bene. Ci sono persone che vengono tutte le settimane da dieci anni. Ieri sera avevamo 60

persone, di cui 30 per la prima volta; 25 posso dire di averli conquistati per un ritorno, degli altri cinque forse non mi interessava più di tanto. Non è presunzione ma conoscenza del mestiere. Molti pensano che la nostra sia una cucina semplice ma non è così, il pesce, come ogni materia prima, va conosciuto, trattato con rispetto, sapendo che ogni pezzatura e tipologia è adatta a un determinato tipo di preparazione. Tenendo puliti i frigoriferi, cambiando ogni volta gli involucri che avvolgono un pesce ecc…”

La ristorazione, in questa estate, è stata condizionata da alti e bassi, dal cambiamento climatico che ha spinto le persone a cambiare le destinazioni, dai rincari a volte eccessivi: come valuti il futuro del settore?

“Per noi è stata una delle estati più belle ma non dobbiamo pensare solo a noi stessi e, a questo proposito, non vedo rosa nel Paese. Stipendi inadeguati al costo della vita nella maggior parte dei casi sono un tema che va affrontato in maniera rapida. Per quanto riguarda la ristorazione abbiamo il comparto gourmet che, se non ci fossero i turisti danarosi, sarebbe in crisi. I costi di gestione sono esagerati come la troppa formalità. Non dobbiamo mai dimenticare quello che vuole il cliente, non dobbiamo imporre nelle scelte, altrimenti è la fine!”

Lo chef Matteo Mortani La veranda del Terre Alte scopri Terre alte su Amodo, la rete dei ristoranti etici

La pizza è un’arte che nasce dal cuore.

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Rieccoci dopo un’intensa stagione estiva, fatta di tanto lavoro per il settore della ristorazione e dell’accoglienza, che rappresenta il vero biglietto da visita dell’Italia per turisti e visitatori. Purtroppo, però, per alcuni episodi marginali, ancora una volta è stato messo sotto pressione dai media, sia italiani che esteri. In particolare, episodi riportati dalla cronaca si riferivano ad alcuni scontrini “creativi” da parte di alcuni ristoratori, a cui è stata data una eco troppo ampia rispetto a quella che realmente meritava, contribuendo ancora una volta a danneggiare il “sistema Italia”, al cui Pil (lo ricordiamo) proprio il nostro settore contribuisce in modo significativo. A nostro avviso, invece, occorrerebbe analizzare seriamente il disagio di alcuni ristoratori protagonisti di questi scontrini creativi.

La verità, infatti, è che sulla ristorazione, con questa inflazione, si sono abbattuti numerosi aumenti, tra energia, personale e materie prime che hanno ridotto ai minimi termini i margini di guadagno. E così, qualcuno ha immaginato di potersi far pagare come servizio la parte dei costi fissi, che grava su ogni coperto. La chiarezza coi clienti e il buonsenso, dunque, possono aiutare ad evitare la ribalta, con notizie che nuocciono a tutto il comparto.

Altra nota dolente, la mancanza di personale. Una crisi, quella della disaffezione da parte dei giovani, che sta investendo anche gli istituti alberghieri e il comparto dell’accoglienza italiana. Come Federazione Italiana Cuochi, nelle nostre numerose attività istituzionali e negli incontri periodici con rappresentanti del Governo, stiamo ribadendo l’urgenza di abbassare il costo del lavoro nella ristorazione, affinché i ristoratori possano garantire una maggiore qualità della vita al proprio personale, con l’obiettivo di creare doppie brigate per i servizi di pranzo e cena. Tutto il comparto deve interrogarsi per trovare nuove marginalità e far sì che cuochi e camerieri scelgano di fare questo mestiere per passione e perché è bello prendersi cura degli ospiti, e non perché è l’unica strada per avere un reddito.

Al lavoro! Con passione!

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Terminata così la stagione più intensa, tra le difficoltà elencate ma anche tra tante soddisfazioni di lavoro, FIC riprende le sue numerose attività con al centro i propri associati. Ad ottobre, infatti, riprendono gli eventi che ci vedranno protagonisti, iniziando da HOST Milano (13-17 ottobre), dove all’interno del nostro stand saremo presenti con FIC Academy, alternando nei cinque giorni di intenso programma la formazione professionale, gli incontri istituzionali, i concorsi per allievi e il primo Campionato Italiano di Cheesecake. A seguire, a Bari dal 24 al 26 ottobre, saremo presenti nella splendida Puglia per la nostra Festa Nazionale del Cuoco che, come sta avvenendo da qualche anno, oltre agli appuntamenti di vita associativa, mette insieme focus mirati sulla ristorazione e momenti di formazione in collaborazione con il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste. Vi aspettiamo!

I cuochi
17 | agosto/settembre 2023

Il mondo della ristorazione sta attraversando una fase di grande trasformazione grazie all’avanzamento tecnologico e alle nuove tendenze di mercato. Molte figure emergenti si stanno affermando insieme a quelle della tradizione come chef e camerieri. Tanto che, secondo il recente report di Manpower, sono quasi 400.000 le posizioni destinate ad aprirsi nei prossimi tre anni, che integreranno o completeranno le mansioni dei classici ruoli della ristorazione. Vediamo alcuni esempi di queste nuove professioni.  AAA cercasi “Sommelier

2.0” È un sommelier che ha aggiunto competenze digitali alla propria professione, occupandosi non solo di abbinare vini alle pietanze ma anche della promozione dei prodotti vinicoli digitalmente. Molti ristoranti alla ricerca di una nuova identità vorranno “Food innovator”. Chi sono? Quelli che inventano nuovi prodotti gastronomici e forme di consumo per i clienti. Per alcuni eventi diventa importante avvalersi di un Sushi chef. La presenza di un esperto in questa offerta gastronomica è sempre più richiesta, non solo in ristoranti giapponesi, ma anche per eventi a tema, sempre più attrattivi in alcune location a vocazione turistica o business. Con la crescente popolarità di diete vegane, vegetariane e senza glutine, si osserva una maggiore richiesta di chef specializzato in cibi alternativi. Professionisti abili nella creazione di piatti deliziosi basati su queste esigenze dietetiche. E come non citare il “Digital waiter” È la figura che coordina gli ordini di delivery provenienti dalle varie piattaforme digitali, assegnandoli alla cucina e alla squadra per organizzare la consegna. Molti potrebbero vedere queste nuove professioni come un problema che si somma alla difficoltà di trovare risorse per coprire le esigenze di organico nelle posizioni tradizionali. Fatico a trovare uno chef, figurati se cerco un “food innovator”. Non trovo camerieri, figurati se parlo di “digital waiter”. In realtà forse la soluzione, in parte, è proprio qui. In fondo se chiediamo a un ragazzo di fare il cameriere, la nostra attrattività è ridotta. Se oltre alle attività tradizionali, gli parliamo delle mansioni da “digital waiter”, allora l’interesse per entrare nel mondo della ristorazione aumenta. Comunicare l’idea di una professione moderna, digitale e remunerata correttamente per la

Nuove professioni per nuovi ristoranti

sua importanza trasforma lo stereotipo del portapiatti in gilet nero e camicia bianca, in un ruolo professionale del nostro tempo, tra relazione e strumenti digitali. La stessa cosa vale gli chef. Pensare di restare giorno e notte a cucinare gli stessi piatti, fa proiettare il pensiero delle persone solo ai sacrifici connessi al ruolo. Pensare a un mestiere che richiede continuo studio, innovazione e specializzazione, aggiunge un ingrediente magico al ruolo, compensandone, almeno in parte, i sacrifici. Spesso non si trova personale perché non si riesce a comunicare alle persone una visione di quello che è e sarà il ruolo nel tempo, nella sua modernità attuale e nelle concrete prospettive di carriera. Inoltre, queste nuove professioni potrebbero far accedere al mondo della ristorazione persone che avendo un background diverso, per esperienze e studi, non avevano mai preso in considerazione la sala e la cucina, come concreti e seri sbocchi professionali. Le persone hanno bisogno di prospettiva. Anche grazie alla trasformazione dei ruoli, il mondo della ristorazione potrebbe diventare più attrattivo rispetto ad oggi, lenendo le difficoltà nel recruiting. Come sempre il cambiamento è un problema, o forse una grande opportunità, dipende dalla prospettiva di osservazione.

La neurovendita
19 | agosto/settembre 2023
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Le patatine fritte sono un grande piacere gustativo universale. Piacciono a tutti, anche a coloro che apparentemente le disdegnano. Quando mi reco in un qualsiasi ristorante, che sia una semplice trattoria o un locale gourmet, le ordino sempre, subito, in apertura: le chiamo patatine di intrattenimento. Tutti mi guardano stupiti, quasi fosse una richiesta bizzarra. I commensali con i quali condivido il pasto, e che in un primo tempo dicono di no, alla fine di patatine ne prendono tante, attingendo voracemente dal mio piatto, quasi in una sorta di gara a chi ne consuma di più. È segno che la patatina fritta piace, attrae, anche se per molti versi la si snobba, come fosse qualcosa da destinare ai soli ragazzini. Mi è pure capitato di ricevere un secco no da parte di alcuni ristoratori più raffinati, quasi fosse lesa maestà richiederle: “Noi non ne facciamo. Le può richiedere cotte in tutti i modi, tranne che fritte”. Sbagliano, perché andrebbero proposte con maggiore convinzione le patatine fritte, prestando la massima attenzione visto che piacciono. Per me sono come cartina al tornasole: giudico il ristorante da come mi vengono presentate - e purtroppo debbo ammettere che sono in pochi a rendere un simile portata non dico emozionante, ma quanto meno accettabile, comunque qualcosa di superiore a un giudizio appena sufficiente. Occorre capacità nella scelta delle patate. Ci vuole l’olio giusto e tanta tecnica, invece sembra che si preparino con troppa svogliatezza e noncuranza. Andare al di là delle patate già pronte per essere immerse nel liquido bollente è un buon punto di partenza – senza nulla togliere alle confezioni di patate pre-fritte, che hanno una loro logica e destinazione. Ciò che manca è soprattutto l’attenzione e la cura nel concepire le patatine fritte come qualcosa di unico e speciale. A Londra, addirittura, nel 2016 venne aperto un ristorante a tema: Hipchips. L’esperienza, di per sé unica, ha avuto larghi consensi da parte del pubblico degli avventori, ma non è stato un successo duraturo, vista la chiusura dopo soli tre anni di attività – non ne conosco le ragioni; chissà, forse perché il format presentava lacune e limiti e non ha saputo spaziare e andare oltre, inventando elementi paralleli a supporto delle patatine fritte (anche perché si può essere sì monotematici, ma non certo monomaniaci). Per un ristorante tematico che funzioni ci vuole organizzazione, ma pure un format ben strutturato, in grado di integrare altre opzioni similari. Non di solo patatine fritte vive l’uo-

Ristoranti a tema: la forza attrattiva delle patatine fritte

mo. Anche perché abusare fa oltretutto male alla salute. Tutto ciò l’ho pensato il 13 luglio, il giorno in cui ricorre la “Giornata mondiale delle patatine fritte”. E, a proposito di patate, sono davvero tante le varietà coltivate in ogni angolo del mondo, oltre poi alle tipologie a disposizione (a polpa tenera, soda, compatta, farinosa) e agli stessi oli da utilizzare quale liquido di frittura. Ci si può pertanto sbizzarrire, nel concepire un format dedicato. Si pensi soltanto ai tanti oli disponibili, senza nemmeno trascurare gli extra vergini (perché no?): ve ne sono in commercio davvero tanti e tali tra cui scegliere, alcuni dei quali frutto anche di studi specifici, scaturiti dalla accurata combinazione di diverse tipologie di oli. Occorre dunque partire da qui, per proporre una linea alternativa, diversa e insolita rispetto ai fast food. Qualcosa di inusuale rispetto a un luogo in cui le patatine fritte surgelate rappresentano una tra le voci di maggior profitto, perfino più degli stessi hamburger, come ben si deduce dal libro Fast Food Nation, un long seller di Eric Schlosser. Rispetto ai fast food una trattoria o un ristorante non potranno mai essere competitivi, ma possono senza alcun dubbio dar corpo a una visione alternativa, segnatamente gourmet, che al momento, per esperienza diretta, posso sostenere che non esiste, proprio perché ogni libera iniziativa è limitata e circoscritta ad alcune eccezioni che nemmeno vengono valorizzate e comunicate bene, così da renderle note e creare una nuova tendenza di consumo.

L’olio al centro Clicca e leggi l’articolo sul web 21 | agosto/settembre 2023

Consulente e formatore Teamwork Hospitality

Niente come il servizio offerto all’ospite è in grado di determinarne la qualità dell’esperienza. I clienti sono esigenti e consapevoli e la loro scelta non è stabilita soltanto dal cibo, ma è anche una scelta di gratificazione. Nessuna pubblicità, nessuna immagine coordinata, nessuna strategia di marketing sarà in grado di comunicare e promuovere il ristorante come un servizio soddisfacente e in linea con la filosofia del locale.

Niente più del comportamento del personale di sala rispecchia la mission del ristorante e resta impresso nella memoria dell’ospite, la cui esperienza si basa soprattutto sulla relazione che riesce a instaurare con il personale stesso. È compito di ogni singolo membro dello staff incarnare e mettere in pratica i valori che compongono l’immagine del locale. Il grado di coinvolgimento deve essere al massimo livello perché venga percepito dagli ospiti. Il personale di sala rappresenta il nome del ristorante in ogni singola attività svolta, mantenendo le promesse fatte nella fase promozionale ed essendo responsabile di ogni dettaglio che compone la percezione dell’esperienza da parte degli ospiti. I camerieri non sono semplicemente dei portavivande, il loro compito principale è quello di capire i clienti e guidarli nella scelta, fidelizzarli e valorizzare al massimo la proposta gastronomica del locale. Quello che per il cameriere è routine, per l’ospite può essere un’occasione unica e speciale, magari pianificata da tempo. Un appuntamento romantico, una riconciliazione, un festeggiamento, una ricorrenza da mettere nel cassetto dei ricordi. Chi accoglie e segue i clienti durante tutto il soggiorno al ristorante deve mettersi nei panni dell’ospite e mettere l’ospite nella condizione di godere pienamente di un vero e proprio spettacolo.

Ecco dunque alcuni degli errori più frequenti che scontentano cucina, proprietà e ospiti:

1. Il Limbo

Capita spesso di essere costretti a fare anticamera per svariati minuti aspettando di essere salutati, accolti e accompagnati al tavolo. In quei minuti, che per l’avventore sono lunghissimi, si semina insoddisfazione e il personale, nei confronti dell’ospite, si mette subito in una posizione di difetto. Una posizione dalla quale sarà poi difficile risollevarsi. Non partite con il piede sbagliato generando fastidio nel cliente prima ancora che si sieda a tavola.

2. Perché negli occhi miei non guardi mai?

Un bravo cameriere è in grado di tenere sotto controllo la sala in ogni momento. Deve guardare i tavoli e gli ospi-

ti, per essere in grado di capire eventuali problematiche o esigenze, in modo da soddisfare l’ospite prima ancora che questo lo chieda. Il più delle volte, invece, capita di doversi sbracciare per attirare la sua attenzione e farsi portare un altro quarto di vino della casa. Guardando gli ospiti si vende di più.

3. Se ti devo chiamare, hai già sbagliato

Non solo guardare gli ospiti, ma anticiparne le richieste. Se il cliente deve chiamare il cameriere, significa che questo non sta facendo bene il suo lavoro. Se la bottiglia di vino è finita, passare a chiedere se se ne desideri un’altra. Se un cliente non sta mangiando, fermarsi a chiedere se ci siano problemi. Il tutto, ovviamente, senza essere invadenti. Essere costretti a chiamare il cameriere (che poi non sente mai alla prima o, vedi sopra, guarda sempre da un’altra parte) non solo è fastidioso per l’ospite, ma anche sintomo di un lavoro svolto con superficialità.

4. I viaggi “a vuoto”

Quante volte la sala è invasa da camerieri che passeggiano tra i tavoli senza fare realmente qualcosa o che si muovono per portare un bicchiere in fondo alla sala, perdendo l’occasione di ottimizzare il servizio? Quelli che vengono chiamati i viaggi a vuoto possono essere un’opportunità per svolgere altre mansioni. Per esempio passare tra i tavoli a chiedere come stia andando, dare un’occhiata al comportamento dei clienti, riempire i calici. L’esempio più banale? Nel momento in cui gli ospiti si siedono, chiedere subito quanta e quale tipo di acqua preferiscano: si eviterà un passaggio inutile e cominceremo prima il servizio. Oltre al fatto che il cliente, avendo già l’acqua in tavola, percepirà diversamente eventuali tempi di attesa.

Un buon servizio può salvare un problema in cucina, non il contrario.
L'ospitalità
23 | agosto/settembre 2023
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pesce come non le avete mai provate

Tutto il sapore della carne in prelibate bontà

La digital trasformation

È ormai risaputo che la tecnologia può migliorare la funzionalità umana. Oggi grazie all’intelligenza artificiale possiamo anche semplificare i processi.

Eppure molti tendono ad associare all’A.I. una connotazione insidiosa, in gran parte a causa di Hollywood. Prendiamo ad esempio un famoso film di fantascienza intitolato “I, Robot”, che tratta di robot altamente intelligenti che occupano posizioni di servizio pubblico, con un epilogo però piuttosto drammatico.

Al centro del film ci sono le tre leggi della robotica, regole inventate da Asimov, che stabiliscono la relazione uomo/ robot. Fondamentalmente: i robot devono ascoltare gli umani, prendersi cura degli umani, aderire alle indicazioni umane.

In ogni caso l’errore è anche quello di relegare l’A.I. solo alla robotica. Questa è una delle innumerevoli applicazioni. Qualche altro esempio? Attraverso l’analisi dei dati, gli esercenti potrebbero identificare tendenze di consumo, previsioni di domanda e gestire in modo più efficace gli approvvigionamenti.

L’IA potrebbe anche contribuire a ottimizzare la pianificazione del personale, prevedendo i picchi di attività e garantendo che ci sia un numero adeguato di dipendenti per soddisfare la domanda.

Inoltre attraverso l’apprendimento automatico e l’elaborazione del linguaggio naturale, le imprese potrebbero monitorare le recensioni online e i commenti sui social media per rilevare eventuali problemi o critiche. Ciò consentirebbe loro di rispondere tempestivamente e risolvere le problematiche, dimostrando una maggiore cura verso i clienti.

Inoltre, l’IA potrebbe essere utilizzata per migliorare la sicurezza alimentare, rilevando potenziali rischi e anomalie nella produzione e nella preparazione dei cibi.

Quali sono le implicazioni per la ristorazione e l’ospitalità? Moltissime. Ecco perché molte conferenze nell’ultimo anno si sono concentrate tutte su questo tema.

E ovunque la conclusione è sempre stata la stessa: sebbene l’IA abbia il potenziale per automatizzare determinate attività e migliorare l’efficienza operativa nel settore horeca, è improbabile che sostituisca completamente tutti i lavoratori del settore nel prossimo futuro.

E questo per vari motivi:

• Interazione umana e servizio personalizzato: l’IA

L'Intelligenza Artificiale è un supporto, non un sostituto

può aumentare questi servizi ma è improbabile che sostituisca completamente la necessità di interazione umana.

• Compiti complessi e specifici del contesto: sebbene l’IA possa aiutare, potrebbe avere difficoltà a replicare il livello di comprensione richiesto per tali compiti.

• Situazioni ed emergenze imprevedibili: gli esseri umani sono meglio attrezzati per gestire questi scenari.

• Preferenze degli ospiti e sfumature culturali: l’IA potrebbe avere difficoltà a raggiungere questo livello di consapevolezza culturale e adattabilità.

• Connessione emotiva ed empatia: questi sono difficili da replicare in modo autentico per l’IA.

L’ultima ragione è che l’intelligenza artificiale non è senziente. Almeno non ancora. Nessuna macchina o robot può sostituire la sensibilità necessaria quando vede un collaboratore triste o replicare la compostezza necessaria quando si ha a che fare con un ospite indisciplinato. Le sue applicazioni quindi sono vaste. E questo è positivo. Quello che non può fare è sostituire l’ospitalità perché, per definizione, l’ospitalità si trasmette con sentimento e amore.

Homer Simpson una volta esclamò: “I computer possono farlo?” Possono fare molte cose, certo, ma ci sono alcune cose che è meglio lasciare agli umani.

25 | agosto/settembre 2023
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Scienza e nutrizione

Biologo e Nutrizionista

Co-founder

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Ben ritrovati, questa volta vorrei condividere alcune mie riflessioni scientifico/nutrizionali su una “forma DOP”, un’icona della tradizione estremamente contemporanea. Il Parmigiano Reggiano è un formaggio stagionato (30% di acqua) di latte vaccino, ricco di proteine (>30%) e di grassi (circa 30% principalmente saturi), con diversi minerali e in particolare calcio. A differenza di altri formaggi e pur essendo molto saporito (deciso gusto “umami” grazie alla presenza di glutammato libero), non contiene un eccessivo contenuto di sale (<1,5%). La sua produzione è regolata da un ferreo disciplinare che parte dall’attenzione all’alimentazione degli animali fino all’utilizzo del latte intero della mungitura del mattino e quello scremato della sera precedente, e viene fatto “cagliare naturalmente” grazie all’aggiunta del “siero innesto” (ricco di fermenti lattici) ottenuto dalla lavorazione del giorno precedente. In particolare nelle stagionature superiori (24, 30, 36, etc.), il Parmigiano Reggiano ha una notevole complessità sia aromatica sia di consistenza: le sue proteine difatti subiscono modifiche paragonabili a quelle di una predigestione, questo porta alla formazione della tipica granulosità e delle occhiature (granuli bianchi agglomerati di aminoacidi liberi); mentre il lattosio sparisce, ovvero si trasforma separandosi in galattosio e glucosio liberi (due zuccheri più semplici), un’aggiunta di dolcezza che si abbina al gusto umami; tutte queste trasformazioni rendono il Parmigiano assai digeribile e ricco di elementi nutritivi ma soprattutto queste evoluzioni sono in grado di esaltare i suoi aromi e rendere più complesso sapore, consistenza e profumi.

E fin qui credo di aver aggiunto poco al vostro sapere, quindi ecco due piccole riflessione extra: da quale latte si parte? quali sono le caratteristiche nutrizionali che mi interessano in cucina?

È utile conosce la razza bovina utilizzata per la produzione (Rossa Reggiana, Bianca Modenese, Frisona, Bruna, etc.) poiché ogni razza produce del latte con caratteristiche nutrizionali, organolettiche e soprattutto proteiche diverse, a parità di alimentazione, tanto che le diverse razze e i relativi blend di latte possono creare un formaggio molto diverso da caseifici a caseificio. La tipologia di foraggi (gli insilati sono vietati dal disciplinare), fieno e/o

Non chiamatelo solo “forma”

erba, in stalla e/o all’aperto, in pianura o in collina e/o montagna influenzano consistenza, gusto e aromaticità, difatti le erbe e i fiori cambiano nelle diverse stagioni e possono creare un formaggio diverso di stagione in stagione e di territorio in territorio. Inoltre la stabulazione in stalla e/o al pascolo e in generale l’attenzione che viene data al benessere animale può aggiungere sfumature e creare un formaggio diverso da stalla a stalla.

È importante sapere che il Parmigiano è un ingrediente concentrato (per ogni 40 kg occorrono circa 550 litri di latte) quindi andrebbe utilizzato in piccole porzioni in cucina, come integratore di proteine, calorie, grassi, sale, etc. ad esempio 30 g di Parmigiano apportano circa 10 g di grassi totali (di cui sei g di saturi) come 10 g di olio, 13 g di burro e 30 ml di panna. Il Parmigiano è un condensato di gusto umami, di sapori, profumi e tante altre sfumature; il suo gusto, nella creazione dei piatti e dei menù, deve essere sempre bilanciato con gli altri ingredienti sapidi/salati/umami come ad esempio salumi, insaccati, olive, capperi, pomodori secchi, etc. quindi è importante fare attenzione ai suoi abbinamenti ed è importante a tal proposito evitare la sua presenza a tutto pasto o in tutti i piatti, ma soprattutto negli antipasti all’inizio dei menù!

Chi sa se in futuro, per formaggi complessi come il Parmigiano, non si parlerà più di forma e basta ma ogni tanto si valuterà anche di “terroir” (suolo, clima, uomo più razza, foraggio, stagione, etc.) come capita oggi per vino e caffè!

27 | agosto/settembre 2023

Venti d’estate

Con l’arrivo di settembre siamo prossimi al giro di boa annuale, è tempo di bilanci estivi. La grande opportunità di un gruppo ampio e variegato come Cateringross è proprio di tratteggiare un quadro completo degli andamenti stagionali, incrociando valori reali a fattori che spesso vengono analizzati sommariamente. Un conto, infatti, è parlare di tendenze collettive, un conto è indagare le specificità del mercato per ogni area o regione, non limitandosi a dire “Nord”, “Sud”, “Centro”.

Abbiamo interrogato alcuni soci del gruppo sulle conferme, le anomalie, i dati della stagione estiva che va concludendosi. Ecco cosa è emerso.

L’analisi
Un’analisi dell’andamento della ristorazione in Italia nei mesi estivi con i contributi di quattro distributori
La consegna delle cozze
28 | agosto/settembre 2023
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Cosa è accaduto nelle aree montane, in particolare in Trentino Alto Adige?

Delle ottime riflessioni arrivano da Peter Foppa, amministratore delegato Foppa Taste Supporter.

“Per buona parte di questa stagione ha inciso molto l’instabilità climatica” - ci racconta Peter, membro del Consiglio di Amministrazione Cateringross, dalla sua sede di Egna - “Lo scorso anno era impensabile trovare pernottamento all’ultimo in alcune settimane tra giugno e settembre. È andata diversamente per il 2023, anche per la sensibile riduzione di alcune attività all’aperto e della scarsa presenza dei motociclisti, condizionati dal tempo imprevedibile. D’altronde la nostra zona lavora a braccio con l’ospitalità, e questa è condizionata dal tempo metereologico. La situazione è andata migliorandosi ad agosto, per esempio la Val Pusteria si è riempita registrando il tutto esaurito. Ma è giusto sottolineare un aspetto: il tempo incide sempre, anche nel periodo invernale, nello stato di salute delle attività ricettive dell’arco alpino, quindi il dato da considerare è quanto è stato acquistato e cosa. Nel nostro caso abbiamo accolto un aumento sia in fatturati che volumi, come avviene normalmente in estate. Rileviamo una costante richiesta dei prodotti di alta qualità, come il roast beef e il filetto, che godono di un’ottima domanda nonostante i prezzi plasmati dall’inflazione. Il nostro territorio è condizionato da molti fattori, quindi non possiamo prevedere come saranno le stagioni ma stando a quanto visto anche nell’ultima

tornata invernale le persone che amano mangiar fuori e bene non mancano”.

Federico Villani, Faic

E nelle città cosa è successo? Un punto di vista puntuale giunge da Federico Villani, amministratore delegato di Faic, azienda impegnata nel food service che presidia due tessuti urbani fondamentali, Roma e Milano. Ciò che è evidente, per il 2023, è una spaccatura piuttosto evidente tra le due metropoli.

“In termini di fatturato possiamo dire che l’estate che ci stiamo lasciando alle spalle ha raggiunto numeri superiori al periodo pre-covid, ma il risultato cambia se parliamo di volumi. Roma si è rivelata relativamente vuota, con presenze ridotte rispetto alle scorse estati. Complice il caldo? Sicuramente, Roma è una città più metereopatica rispetto a Milano, se il tempo non è ottimale o le temperature sono troppo alte il turismo ne risente e i romani se ne vanno. Credo abbia inciso anche la scomparsa di alcune iniziative ed eventi che attiravano persone. Non si può dire lo stesso di Milano, su cui si è lavorato meglio. La città è sembrata più popolata e animata del solito, anche per i tanti cittadini che hanno deciso di non allontanarsi per lunghi periodi dal capoluogo lombardo. Parlando di scelte dei ristoratori, invece, abbiamo constatato un’ottima capacità di reinventarsi in cucina, per far fronte agli aumenti dei prezzi. Mi spiego meglio: non sono cambiate le scelte a discapito della qualità, semplicemente c’è stato più spazio per materie prime meno costo-

29 | agosto/settembre 2023
La distribuzione di Foppa

se con cui realizzare ottimi piatti, seguendo percorsi creativi o che rimandano alla tradizione, a volte per evocare un ritorno alle origini. Faccio l’esempio del grande ritorno della polpetta, ben fatta, senza lesinare sulla qualità degli ingredienti impiegati. Direi che la novità di quest’anno è la consolidazione di alcuni prodotti “sostitutivi”, diventati importanti per molte cucine”.

Emiliano Baldi, Baldi Food

Ci spostiamo sulla riviera adriatica per interpellare Emiliano Baldi, consigliere di Cateringross e amministratore delegato Baldi Food, azienda marchigiana di distribuzione alimentare.

“Sommariamente possiamo dire che la stagione sia andata bene, anche oltre le aspettative. Se rapportiamo l’andamento dell’anno scorso a quello attuale rileviamo che c’era stato sì un ottimo risultato sul piano del fatturato, ma in termini di volumi avevamo registrato una contrazione l’estate scorsa. Quest’anno lo sbilanciamento, per quanto riguarda la nostra area che è ad alta vocazione stagionale, si è riassestato. Crediamo sia dovuto a una maggior dimestichezza, se così possiamo dire, degli effetti dell’inflazione, quindi a una gestione più ottimale degli acquisti da parte delle attività di ristorazione. Non hanno rinunciato alla qualità, nemmeno a fronte di spese più importanti. Questo lo evinciamo anche dalla nostra attività come

produttori di carne: riforniamo locali e catene di ristorazione e nessuno dei nostri clienti ha voluto rivedere la propria scelta qualitativa per risparmiare.

L’altro importante dettaglio da considerare riguarda il prezzo che arriva al consumatore finale, ovvero il cliente del ristorante. Fino allo scorso anno i prezzi nei menu erano rimasti invariati rispetto ai periodi pre-pandemia, nonostante l’inflazione. Oggi non è più così, i ristoratori sono intervenuti ed hanno ritoccato i

La preparazione della pasta fresca FAIC
30 | agosto/settembre 2023
La consegna delle merci

listini. Un’altra considerazione che ritengo importante interessa la scala di priorità delle persone. Questo non è un dato oggettivo che abbiamo tra le mani, ma c’è la sensazione che tanti abbiano declinato alcuni servizi, per esempio quelli legati alla spiaggia, senza rinunciare alla buona tavola. Abbiamo osservato le spiagge, il turismo da passeggio, inferiore rispetto agli scorsi anni. Mentre i ristoranti che lavorano bene sono tutti pieni”.

Angelo Raimondi, Erredi Distribuzione

Corriamo ancora verso sud lungo la Penisola per raggiungere una delle regioni italiane più interessate da grandi numeri nel periodo estivo: la Puglia. Parliamo di mercato, scelte e nuove tendenze con Angelo Raimondi, amministratore delegato Erredi Distribuzione, azienda food service di Monopoli.

“L’analisi che abbiamo adottato in azienda tiene conto di tutte le variabili degli anni precedenti. Il riferimento non può essere il 2022, annata eccezionale per via del sentimento collettivo e della fisiologica crescita post-Covid, caratterizzata da eventi, matrimoni, grande desiderio di viaggio. Nemmeno il 2020 e il 2021, per ovvi motivi, possono essere considerati. Se prendiamo quindi i parametri del 2019 e degli anni precedenti, e li confrontiamo alle settimane appena trascorse, notiamo una crescita costante che ci fa pensare al futuro con ottimismo. Per quanto riguarda la nostra clientela abbiamo assistito al consolidarsi della qua-

lità come discriminante d’acquisto. I ristoratori non hanno abbandonato la strada della selezione attenta delle materie prime, bensì l’hanno rafforzata, anche con un buon margine dettato dall’aumento dei listini” racconta Raimondi.

“Un riferimento interessante, in merito al nostro territorio, riguarda la ridistribuzione del turismo. Quest’anno, al contrario di quanto è circolato sui media, la Puglia ha registrato ottime presenze, era piena. C’è stato un ampliamento delle aree interessate, con il coinvolgimento anche dell’entroterra, per esempio delle Murge. I borghi, le masserie, hanno rappresentato le nuove mete di destinazione e questo non può che far bene a un territorio!”

Cooking room Baldi food
31 | agosto/settembre 2023
La sede di Erredi Distribuzione

Il prodotto

Il vitello italiano

La carne ideale di Casa Vercelli

Qual è la ricetta più famosa realizzata con la carne di vitello? La risposta è facile: il vitello tonnato, o vitel tonné, un classico della cucina piemontese, codificato da Pellegrino Artusi nel suo libro a fine Ottocento. L’abbinamento tra carne bovina e tonno pare che abbia radici nella cucina rinascimentale. Ancor oggi, comunque, il vitello tonnato fa bella mostra di sé nei menu, non solo piemontesi, di trattorie e ristoranti stellati. Il tonno, nella ricetta originale, non c’era, infatti tonné deriva da tanné che, in francese, significa conciato e il piatto era considerato un piatto povero, con carne lessata molto a lungo per farla intenerire. Fu l’Artusi che introdusse la ricetta con il tonno. Abbiamo utilizzato questo incipit non per parlarvi del tonno ma dell’importanza della carne di vitello nella storia alimentare italiana. Oggi c’è qualche resistenza quando si parla di carne di vitello, dovuta, in molti casi, alla cattiva informazione.

Il vitello di Casa Vercelli

È per avere ben chiaro di cosa si sta parlando quando si affronta l’argomento carne di vitello che siamo andati a Casa Vercelli, l’azienda che ha fatto del vitello italiano la propria ragione imprenditoriale da più di sessant’anni. Oggi Casa Vercelli è condotta dai figli dei fondatori,

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Pietro e Vittorio Vercelli che, a metà del Novecento, impiantarono un’attività di commercio di bovini sul mercato nazionale ed estero.

Con il tempo Alessandro e Gian Luca Vercelli si sono specializzati nel vitello italiano, garantito dal marchio Benessere Animale che pongono su tutte le loro confezioni.

Quali sono le caratteristiche dei loro vitelli? Innanzitutto i loro prodotti sono garantiti dalla certificazione di rintracciabilità nelle filiere agroalimentari; vengono preparati solo con carne di vitelli nati, allevati e selezionati in Italia; il particolare colore delle loro carni è determinato dalla giovane età dell’animale e da una dieta a base di foraggio secco e di latte; e al tatto e al palato la carne di Casa Vercelli si rivela vellutata e finissima. Tutti elementi completamente certificati.

Come si alleva il vitello italiano

Il vitello si alleva fino a otto mesi per permettere alla sua carne di raggiungere quel preciso grado di tenerezza e colore. Le vitelle, negli allevamenti di bestiame da latte, sono conservate per il rinnovo della mandria.

I vitelli, invece, lasciano l’allevamento quando raggiungono un peso di circa 280 chilogrammi.

Fino a quel momento l’allevatore deve metterli a loro agio, insegnare a bere, a vivere in comunità. Nel primo mese di vita l’alimentazione è a base di latte e l’allevatore presta loro molta attenzione assicurandosi che stiano bene, mangino bene e si accorge immediatamente se non è così perché l’animale ha le orecchie abbassate.

I vitelli vivono solitamente in gruppi di sei capi in media, questo è importante perché la solitudine provoca stress agli animali. Un’attenzione particolare viene

rivolta al loro comfort e benessere: le stalle sono spaziose, aerate e luminose.

In cucina con il vitello italiano

Esistono almeno 80 ricette della tradizione italiana a base di vitello, a dimostrazione di come questa carne faccia parte di una cultura alimentare che riguarda l’intero Paese.

Questo avviene grazie a diversi fattori: innanzitutto perché la carne di vitello è uno dei primi alimenti offerti ai neonati in fase di svezzamento dal momento che contiene un alto contenuto di ferro, proteine e altri nutrienti molto importanti per la crescita. In secondo luogo perché la carne fresca di vitello è di per sé priva di glutine e sono quindi adatte a chi è intollerante o allergico al glutine.

Inoltre la carne è un alimento composto principalmente da acqua, proteine, grassi e carboidrati. Durante il processo di cottura, le proteine presenti nella carne

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subiscono denaturazione e coagulazione, mentre la reazione di Maillard contribuisce al suo colore e sapore caratteristici. È importante conoscere le temperature di cottura corrette per ottenere la consistenza e il grado di cottura desiderati. La scelta della temperatura di cottura influenzerà direttamente le caratteristiche organolettiche e il risultato finale della carne che si desidera ottenere.

Il vitello italiano ha tempi di cottura molto più brevi rispetto alla carne di manzo e questo, per una cucina

di ristorante, è un elemento importante, soprattutto in questi tempi dove i costi dell’energia incidono pesantemente sul bilancio di un ristorante. La differenza, nel caso di un brisket texano (punta di petto di manzo al barbecue), è di 6,5 ore di cottura a 115 C° per la carne di vitello rispetto alle 12/15 ore per quella di bovino adulto. Questo avviene solo per merito del collagene del vitello che non si è ancora rafforzato alle soglie della pubertà della razza bovina per supportare la crescita muscolare.

Una ricetta simbolo del vitello italiano. Punta di petto di vitello in osso

Le spezie più adatte per il vitello sono le erbe mediterranee come timo, salvia, rosmarino e origano. Io preferisco l’origano e il rosmarino finemente tritati.

Barbecue (kamado): 115-120 °C

Temperatura interna: n/a

Tempo di preparazione: 30’

Tempo di cottura light roast: 240’ (6 ore) .

Medium roast aggiungere 30’ all’ultima fase.

Numero di persone: 8-10

Strumenti necessari: padella, carta stagnola, ...

Procedimento:

Fase 1:

Ingredienti:

Pezzo di petto di vitello con osso di circa 5,5 kg. 30 cl di birra, vino bianco o brodo di manzo per ogni 5 kg di carne, quindi 5-6% del peso totale Rub (mix di spezie per massaggiare; dall’inglese “to rub”) per ogni chilo di carne:

10 g di sale

2,5 g di pepe nero

6 g di rosmarino

4 g di origano

2,5 g di peperone dolce (paprika)

Massaggia la punta con il rub e mettilo nel barbecue a 115-120 °C per 3 ore. Chiudi il coperchio, anche chiamato “dome” o “cupola”, durante ciascuna delle tre fasi di cottura. In questa ricetta è importante mantenere una temperatura bassa e costante.

In questa fase si forma anche lo smoke ring. Importante un piccolo pezzo di legno di ciliegio o altro legno da affumicatura direttamente sui carboni di legna per dare una leggera affumicatura alla punta.

Fase 2:

Togli la carne dal barbecue ponila in una teglia o recipiente in acciaio o ghisa e avvolgila nella carta stagnola o nella pellicola da macellaio. Versa all’interno la birra, il vino o il brodo di manzo. L’alcol rafforza la struttura della gelatina, mentre il brodo ha un effetto neutro. Chiudi bene le pieghe in modo da non perdere umidità. Rimetti il tutto nel barbecue alla stessa temperatura per altre due ore.

L’ambiente umido favorisce come abbiamo visto la trasformazione del collagene in gelatina.

La gelatina che si forma in questo modo una volta raffreddata inizia a sciogliersi intorno ai 25 °C ed è completamente sciolta a 45 °C. Dopo la cottura, la gelatina si scioglie perfettamente in bocca, rilasciando tutti gli aromi. Assicurati di non perderne nulla! Raccogli la gelatina per usarla successivamente come salsa o per preparare gelatine con aggiunta di prezzemolo fresco, ad esempio.

Se desideri un punto di fusione più alto, usa l’agar agar al 5%. In questo modo, puoi utilizzare il liquido per unire gli avanzi di carne insieme alle verdure cotte. Tuttavia, non tutte le verdure sono adatte a questo scopo: gli asparagi e anche la frutta come la papaya o il kiwi inibiscono la formazione della gelatina.

Fase 3:

Nell’ultima ora, metti la punta scoperta (nuda) nel barbecue per farlo asciugare un po’ e formare una crosta. Se desideri una crosta più spessa, lascialo per altri 30 minuti. Infine, lascia riposare il brisket per 15-20 minuti e servilo con la gelatina.

34 | agosto/settembre 2023

Il prodotto

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Il miracolo del Delta del Po: la Cozza di Scardovari DOP

Alle origini di un pregiato mollusco orgogliosamente Made in Italy

Il Delta del Po è un territorio modellato e rimodellato non solo dall’opera di un fiume, il Po appunto, ma anche dal lavoro instancabile dell’uomo, con le sue operazioni di sistemazione idraulica e di bonifica dei terreni. Un impegno immenso, ripagato dalla soddisfazione di ottenere buoni frutti da quella terra così prolifica per cui, qualsiasi cosa si è andata coltivando, ha dato record di produzione. E la tenacia di tener testa a rovinose alluvioni e mareggiate che non hanno esitato a presentarsi nel corso del tempo, ripartendo ogni volta da capo.

Queste sono le condizioni con cui contadini e pescatori hanno imparato a convivere, facendo tesoro delle peculiarità del territorio, tra la campagna con i caratteristici paleoalvei (dossi sopraelevati, disegnati sul terreno da remoti corsi d’acqua), dune fossili, argini, golene, valli di pesce, sacche (lagune) e scanni.

La Sacca degli Scardovari

La Sacca degli Scardovari è una laguna situata nel versante veneto (RO) del Parco del Delta del Po (riconosciuto dal 2015 come Riserva di Biosfera Mab Unesco) che si è formata con il continuo rimodellamento della linea costiera, dovuto all’evoluzione del Delta stesso. Si presenta come un vasto specchio d’acqua, di profondità media di un metro e mezzo, racchiuso tra due foci del Po, Po di Gnocca e Po delle Tolle, attraverso cui comunica - protetto da sottili lingue di terra e banchi di sabbia - con il mar Adriatico.

Questo consente un continuo scambio tra acqua salata e acqua dolce (bassa salinità), fattore che, insieme ad altri, si è rivelato assolutamente favorevole per l’acquacoltura.

La comunità di pescatori e la sua intraprendenza

È il 1870 quando alcune famiglie di pescatori si insediano in zona, precisamente su un bonello (isolotto di sabbia), dove costruiscono capanne di canna palustre e, senza avventurarsi nell’Adriatico, si limitano a pescare in loco la scardova, pesce d’acqua dolce che darà il nome alla frazione. Poco a poco la comunità cresce e viene strutturata in villaggio, connotato dalle tipiche cavàne (case su palafitte), grazie alla nascita, nel 1936, di una cooperativa di pescatori, denominata Delta Padano. In quella fase viene arginata con il sasso, per quasi 18 km, la Sacca di Scardovari.

Dopo l’alluvione del 1966 cambiano di nuovo le dinamiche: la Sacca viene completamente banchinata per proteggere le aree retrostanti e, considerando le favorevoli condizioni dell’acqua ma non solo, si fa strada l’intuizione di iniziare a sperimentare l’allevamento di mitili in piccoli vivai all’interno della Sacca, come alternativa alla pesca in mare.

L’attività nel tempo prende piede e nel 1976, per mettere in relazione fra loro le diverse cooperative sorte nel frattempo, si costituisce il Consorzio Cooperative Pescatori del Polesine Organizzazione Produttori, che consolida l’impegno in direzione della molluschicoltura (vongole veraci, cozze e ostriche rosa), coronato nel 2013 con il riconoscimento della denominazione di origine protetta per la cozza di Scardovari, unica cozza autoctona allevata in Italia a partire da un seme italiano, e l’ottenimento della certificazione biologica (ciclo vitale sostenibile che avviene in acque incontaminate con un microclima ideale).

L’attività di molluschicoltura

più importante in Italia

Oggi il Consorzio, costituito perlopiù da nuclei familiari, conta 1500 pescatori di cui ben 700 donne e molti giovani, figli o parenti dei soci (perché qui il mestiere si tramanda ancora!), è primo in Italia nel settore della molluschicoltura e primo nella provincia di Rovigo come realtà imprenditoriale per numero di occupati. Nel grande orto marino, perché così appare la Sacca degli Scardovari, a ciascun pescatore viene assegnato un appezzamento per la coltivazione di molluschi, che va a disegnare un vero e proprio paesaggio, tra filari e trespoli che fuoriescono dall’acqua.

Come le cozze vengono appese a trespoli in apposite reti e restano sommerse nelle acque salmastre e basse della sacca, così le ostriche rosa - altra specie autoctona oltre alla cozza di Scardovari - sono allevate in filari sospesi sull’acqua, alternando immersione in acqua ed esposizione all’aria (sistema che simula le maree atlantiche), mentre le vongole veraci vengono seminate sui fondali sabbiosi e poi raccolte con rastrelli appositi.

Le peculiarità della Cozza di Scardovari DOP

Un rigido disciplinare detta i criteri di selezione delle Cozze di Scardovari DOP a partire dal fatto che debbano essere necessariamente seminate, allevate, raccolte, lavorate (una prima lavorazione avviene nelle cavane lungo gli argini della sacca) e depurate solo all’interno della Laguna di Scardovari (la Sacca di Scardovari e i territori della frazioni di Scardovari, Cà Mello e Santa Giulia a Porto Tolle, in provincia di Rovigo).

Inoltre devono essere caratterizzate da:

- peso della polpa maggiore del 25% sul peso totale del mollusco

36 | agosto/settembre 2023
Le cavàne La Cozza di Scardovari DOP

- una peculiare dolcezza delle carni dovuta al basso contenuto di sodio (210mg su 100 gr di prodotto)

- carni particolarmente morbide e fondenti con elevata palabilità

Nel 2022 dei 25 mila quintali coltivati nella Sacca di Scardovari ne è stato selezionato e venduto come DOP un migliaio di quintali.

Il gusto-pensiero della chef

Maria

Entrando nella sfera del gusto, abbiamo voluto chiamare in causa una nota ristoratrice e chef, Maria Grazia Soncini della Capanna di Eraclio, che è originaria di Goro e considera tutto il Delta del Po la sua casa e delle cozze in senso più ampio (non solo quelle autoctone di Scardovari che hanno una loro stagionalità), ha quella conoscenza, cultura, che ogni bravo cuoco dovrebbe avere dei prodotti che utilizza. “Le Cozze di Scardovari DOP –ci spiega – le trovo particolarmente morbide: rimangono come soffici rispetto alle altre, che hanno una masticabilità diversa. Altro aspetto non trascurabile è che sono succose e dolci, pur essendo sapide. Sono pure particolarmente grandi e devo dire che quest’anno le ho trovate strepitose, ancora più buone del solito. Io, che sono una golosa, amo assaggiarle mentre si stanno aprendo sotto il coperchio in padella, quando sono ancora molto umide. Scelgo le due più grosse e me le gusto. Quest’anno ho proposto gli spaghettini con le Cozze di Scardovari DOP, cubetti di datterini gialli, erbe aromatiche e crumble piccante all’acciuga, una ricetta che mi ha restituito soddisfazione. Ci sono clienti che sono tornati per questo piatto. Uno, addirittura, me l’ha ordinato a fine pasto!”.

Un bene sempre più prezioso

Tutto ciò a cui viene attributo valore, pregio, viene definito come un bene.

La Cozza di Scardovari lo è per la tenacia di chi l’ha voluta proprio lì, per gli incredibili risultati che ha raggiunto, per la sua straordinaria bontà che allieta i nostri palati. E per l’orgoglio che deve alimentare in noi il pensiero di avere simili unicità dentro il nostro Stivale.

I beni tuttavia, forse per definizione, sono attaccabili, per cui accade non infrequentemente che emerga a un certo punto qualche minaccia per la loro incolumità. È accaduto recentemente anche alla Cozza di Scardovari DOP, che ha visto ridursi la propria stagionalità da tre a due mesi (giugno e luglio), e un acuirsi dell’invasione, nella Sacca di Scardovari, del granchio blu - specie aliena invasiva approdata nell’Adriatico dall’Atlantico la cui presenza è letteralmente esplosa nelle  lagune del Delta del Po e nel  litorale marino da Ravenna a Caorle - il più acerrimo predatore di molluschi (in questa zona anche delle cozze veraci e delle ostriche rosa) a cui, negli ultimi tempi, nemmeno un fitto sistema di cattura sta riuscendo a tenere testa.

Sono molte le iniziative messe in campo a fronte a questa situazione allarmante, a partire dalla forte presa di posizione della Regione che ha chiesto lo stato di emergenza nazionale e ha annunciato che verranno posate 300 nasse per monitorare la diffusione e la distribuzione di questi terribili crostacei.

È fresca la notizia di una start up di Rimini che ha dato il via alla commercializzazione negli Usa del granchio blu pescato in Emilia Romagna: oltre 15 tonnellate di crostacei partite verso le coste della Florida. Il Ministero dell’Agricoltura ha recentemente accolto la proposta dell’Alleanza Cooperative Pesca e Acquacoltura che prevede, per tutti coloro che ne faranno richiesta, il rilascio di un’autorizzazione straordinaria, per tre mesi, all’uso di “nasse/cestelli e reti da posta fissa” per la cattura del granchio entro la fascia 0,3 miglia dalla costa e, ove presente, in prossimità della foce dei fiumi.

In Italia ci sono chef che già da tempi non sospetti lo inseriscono nel proprio menu, come la stessa Maria Grazia Soncini “Sono quattro anni che lo propongo, fritto quando cambia la muta (molecato) oppure cotto a vapore, servito come la granseola, ed è buono, piace”. Un’azione che non ha nulla a che fare con la soluzione del problema ma un suo piccolo contributo può darlo. Proviamo solo a pensare se i tanti cuochi di tutta Italia manifestassero la loro solidarietà veicolando il granchio blu nei propri piatti, si potrebbe contribuire a finanziare interventi concreti in questa fase di emergenza.

Fissate la data sul calendario

Ma torniamo al dunque e prendetene tutti nota: quando si approssimerà il mese di maggio iniziate a chiedere, ai vostri fornitori, le Cozze di Scardovari DOP per giugno e luglio, se vorrete essere stupiti e stupire felicemente i vostri clienti. Ne potrete disporre per un paio di mesi ma siatene certi che proporrete con orgoglio un gran prodotto!

Parola di sala&cucina!

La prima lavorazione nelle cavane

37 | agosto/settembre 2023

Rompiamo il ghiaccio

Di ghiaccio alimentare si parla poco.

Ecco alcuni spunti e le proposte di Icetop, azienda trentina specializzata nel ghiaccio di alta qualità

Seduti attorno a un tavolo di un locale della pedemontana, un gruppo di amici ordina alcuni cocktail, un succo, un aperitivo. All’arrivo del cameriere con il vassoio accade una cosa inaspettata: tutti si sorprendono, prima dell’assaggio, della qualità del ghiaccio contenuto in quei bicchieri. Un ghiaccio bello da vedere, che rimane intatto a lungo e non influenza minimamente il sapore della bevanda. È ciò che accaduto quest’estate alla sottoscritta, e che mi ha portata a conoscere Icetop, un’azienda trentina specializzata nella produzione di ghiaccio di qualità.

Il ghiaccio alimentare

Facciamo prima un passo indietro. È doveroso dire che di ghiaccio alimentare si parla davvero poco nell’informazione di settore. Ed è sbagliato non dare il giusto spazio a un prodotto che entra (o esce) dai locali 365 giorni l’anno, coinvolgendo praticamente tutte le tipologie di attività, dall’hotel al ristorante,

Il prodotto
38 | agosto/settembre 2023
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passando per il bar. Un prodotto la cui qualità può essere facilmente compromessa da manutenzioni non idonee dei macchinari, stoccaggi scorretti, il far economia al ribasso a discapito della qualità.

Il tema è vastissimo e interessa dunque non solo gli aspetti estetici e degustativi, ma anche quelli legati alla sicurezza del consumatore. Riprendiamo una dichiarazione di Bruno Ranellucci, Ceo di Tutor Consulting, uno dei massimi esperti in materia: “La scorretta produzione e conservazione del ghiaccio favorisce l’accumulo di numerosi batteri che, di fatto, condiscono il nostro drink. Un fenomeno diffuso nel nostro Paese, che fa il paio con tante irregolarità presenti nei locali dove si somministrano cibi e bevande. Irregolarità che riguardano, ad esempio, la mancata osservazione delle regole Haccp”. Alcuni battericome l’E.Coli - proliferano anche a basse temperature e possono provocare infezioni e gastroenteriti nell’uomo, pertanto, prima di qualsiasi altra considerazione, è fondamentale che il ristoratore si attenga alle normative riservando le giuste attenzioni a un prodotto che solo apparentemente è trasparente e innocuo. Per chi volesse informarsi, una fonte affidabile è l’Istituto Nazionale del Ghiaccio Alimentare (INGA).

Icetop, il ghiaccio di qualità con acqua dalle alpi trentine

Un’acqua di alta qualità, come quella purissima delle fonti d’alta quota trentine, unita a una speciale tecnologia. È

così che nasce il ghiaccio di alto livello Icetop a Rovereto, brand di riferimento di Ghiacciopuro Srl, azienda fondata quattro anni fa da Mauro Franzoni, presidente Levico Acque, e Matteo Colombi, ex manager Sab Miller. In primis, a fare la differenza, è l’acqua: Icetop impiega acqua di fonte nel cuore delle Alpi trentine. La presenza infinitesima di minerali, infatti, massimizza la resa qualitativa in termini di purezza e densità del ghiaccio, elementi di base di quello che dovrebbe essere considerato un primario ingrediente per il bere, miscelato e non, di qualità.

L’altro elemento distintivo Icetop è l’impiego della tecnologia Hoshizaki che assicura forme geometricamente perfette e dimensioni inconfondibili, nonché una superficie di scambio termico ottimizzata. Il ghiaccio Icetop, dunque, garantisce al professionista un’elevata resa estetica e una degustazione performante, ed è per questo che ha preso piede in tutta Italia, entrando in insegne di riferimento dall’Alto Adige alla Sicilia, dal Friuli al Piemonte.

39 | agosto/settembre 2023

Ci parla di lacune e margini del settore Matteo Colombi. “Come in tutte le categorie merceologiche anche per il ghiaccio si sta affermando il prodotto di qualità. È cercato e richiesto da chi vuole garantire al proprio cliente un certo tipo di servizio. In termini di durata Icetop garantisce una performance molto superiore a quelle standard. E poi ci sono i vantaggi sul piano estetico e soprattutto la garanzia di un’acqua pura, non contaminata. Un grande tema che dovrebbe essere affrontato dai locali italiani è proprio quello della salubrità e qualità dell’acqua, l’ingrediente più delicato e sottovalutato di tutti”.

La gamma Icetop punta a soddisfare qualsiasi esigenza, con prodotti pensati per tutti gli impieghi. Si può scegliere tra il classico cubetto, che conferisce luce ad ogni cocktail esaltandone la brillantezza senza alterarne il gusto; sfera, compatta e cristallina, elegante, ideale per qualsiasi drink di livello, con un lento processo di scioglimento. O ancora il cubotto, ideale per esaltare distillati di pregio e dare un tocco distintivo al servizio, come nel caso dell’Americano. E poi il pilet, un formato classico, perfetto per tutti i tipi di drink “caraibici”, in particolare i pestati.

Quanto conta il ghiaccio per un professionista

Cosa ne pensano i professionisti della mixology?

Ne abbiamo parlato con Enrico Chillon, padovano di lunga esperienza nel settore.

“Il ghiaccio incide per l’85% - 90% sulla qualità del bere, sia che si tratti di un cocktail shakerato sia che sia un distillato. Influisce sulla durata e la qualità della bevuta. Io prediligo un ghiaccio puro, compatto, cristallino, che valorizzi il drink senza alterarlo. Ci sono due alternative: o si acquista un ghiaccio di alta qualità da un fornitore di fiducia o ce lo si auto produce. La seconda strada implica una cura maniacale della macchina utilizzata, con pulizie frequenti e controllo dei filtri. E, naturalmente, una macchina di partenza all’altezza, come la giapponese Hoshizaki che utilizzo da diversi anni con ottimi risultati”. Mentre il pubblico cosa ne pensa? Coglie l’importanza del ghiaccio in un cocktail?

“La percezione del cliente è migliorata nel tempo anche se alcuni vedono ancora il ghiaccio come concorrente del drink, non come alleato. Altri clienti, più sensibili, apprezzano le attenzioni e si godono il drink con tempi più lenti, quelli dettati da un ghiaccio ben fatto e non utilizzato solo per riempire il bicchiere”.

40 | agosto/settembre 2023
Enrico Chillon
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Autore: Luigi Franchi

Autrice: Simona Vitali

Le ragioni del biologico

Fare una scelta non basta, bisogna saperla

sostenere: l’impegno di Progetto Agricolo

Fasano

Dal mare alle colline, questa è l’estensione di Fasano, cittadina alle porte del Salento e della Valle d’Itria, baciata da un clima mite e dotata di una terra ricca e fertile , prodigiosa per certi aspetti.

La terra rossa mista a ciottoli calcarei che conferisce al terreno un ottimo drenaggio e consente la coltivazione di orticole sensibili a pieno campo, le acque salmastre dei pozzi artesiani nei terreni prospicienti il mare che donano una caratteristica sapidità a ortaggi come il pomodoro Regina (presidio Slow Food) e il barattiere (ortaggio tipico pugliese, un incrocio tra il cetriolo e il melone giallo) e pure i seminativi associati agli oliveti nella piana degli ulivi millenari, sono certamente tutti tratti di unicità di un territorio che quanto ad altre ricchezze non è certo disadorno, tra insediamenti rupestri , masserie, parchi naturali, le Terme di Torre Canne direttamente sul mare...

Quando la posta in gioco è la salute: Progresso Agricolo Fasano si apre anche al bio

È il 1977 quando nasce Progresso Agricolo Fasano, cooperativa di conferimento di prodotti agricoli voluta da un gruppo di agricoltori, che nei primi anni si dedica a produzione e commercializzazione di olio poi dal 1984 inizia ad aprirsi ai prodotti ortofrutticoli della zona (i pomodori Regina, i barattieri, i fiori di

territorio
Il
Pomodori Regina 44 | agosto/settembre 2023
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zucca, le patate di Polignano) per arrivare a trattare, nel corso degli anni, una grande varietà di ortaggi. Una struttura e a un’organizzazione moderna e all’avanguardia (uno stabilimento di 200 metri quadrati tra oleificio, magazzino ortofrutticolo e due linee di lavorazione complete per ortaggi) hanno consentito alla cooperativa di guadagnare un buon posizionamento, nel mercato italiano ed estero, con la commercializzazione dei prodotti nella grande distribuzione organizzata.

Nicola Pentassuglia, che è agricoltore e presidente di Progresso Agricolo Fasano, ci racconta che la cooperativa ha affrontato investimenti importanti negli ultimi anni, quando ha deciso di ripensare il modo di lavorare in agricoltura, chiedendosi pure cosa si aspettasse il consumatore.

“Guardando al passato, negli anni ‘80/’90 - spiega il presidente - in agricoltura si usavano prodotti senza regole, cioè senza avere la misura di quali fossero gli effetti, perché non educati alla cultura del loro utilizzo. Ad un certo punto il legislatore si è accorto di questo problema e pure noi agricoltori ci siamo resi conto del fatto che nell’utilizzare questi prodotti eravamo i primi a rischiare la salute.

C’è chi ce l’ha pure rimessa.

Quindi la tutela della salute nostra e del consumatore è stato il nostro movente. Guadagnare qualcosa in più ma rimetterci la salute non mi sembra una grande idea”.

Oggi sono sette i soci della cooperativa che si sono convertiti al biologico per un areale di 200 ettari.

In più, lato consumatori, si è presa coscienza che nessuno più mangia per fame ma per stare bene.

Ora, se questo è vero, e io credo che sia vero, noi dobbiamo intercettare nel mercato persone interessate a questo discorso e quindi disponibili a riconoscere che la strada dei prodotti bio, comportando un certo lavoro e certi sacrifici, ha dei costi diversi dal convenzionale. Fare capire queste e altre ragioni è quanto intendiamo ottenere con il progetto PABIO, che attraverso una serie di iniziative (partecipazioni fieristiche, coinvolgimento di diversi soggetti della filiera, dai buyer ai consumatori finali) intende promuovere il valore dell’agricoltura biologica in questo territorio. Ci sono poi altri soggetti che dovrebbero fare la loro parte: la sanità in primis ma anche la stampa, per esempio. E che sia chiaro che il convenzionale, che peraltro la nostra stessa cooperativa gestisce in larga parte, non va demonizzato: in Italia le attenzioni ci sono. Il problema piuttosto riguarda l’Europa: ci sono principi attivi autorizzati in Francia, Spagna ma non in Italia. Il problema si pone quando la Spagna inonda l’Italia dei suoi prodotti”.

Prendersi davvero cura dell’ambiente

Parlando emerge il lato pasionario di Nicola Pentassuglia, che si fa grido di dolore quando si entra nel vivo del tema ambiente, più che mai collegato al bio. Davanti ai nostri occhi imponenti ulivi secolari, e proprio questi gli muovono un certo tormento.

“Noi abbiamo il dovere di prenderci cura di ciò abbiamo intorno. Guardate che alberi! - esclama indicandoceli con la mano – sono meravigliosi ma vanno curati”.

Il suo pensiero corre alla Xiylella “Sono andato a Carovi-

Coltivazione associata (gli ortaggi tra gli ulivi)
45 | agosto/settembre 2023
Nicola Pentassuglia, presidente di Progresso Agricolo

gno: ‘mo se muoio l’inferno l’ho già visto. Là è apocalisse!

Se andiamo avanti così, nel giro di pochi anni accadrà la stessa cosa anche qui! I nostri figli ci malediranno! Da agricoltore dico che tutto è nato sì dal virus importato ma la malattia si propaga se ci sono le condizioni: se sono protette e nutrite le piante resistono meglio. Anche l’abbandono e lo spopolamento delle campagne gioca la sua parte... Non si è dato credito alla scienza ed è successo l’inevitabile. Guardi come l’hanno risolta gli spagnoli: come è nato il focolaio hanno mandato l’esercito a eliminare le piante infette. Qui abbiamo le mani legate: troppi vincoli, troppi impedimenti. Se io scopro di avere un albero infettato nella mia proprietà non sono nemmeno libero di abbatterlo. Ormai sono sfibrato, mi va il sangue al cervello ogni volta che ne parlo. È una cosa assurda. E guardate che io per primo ho fatto istanze!”

I numeri del bio

Alziamo lo sguardo da Fasano e spostiamolo sul posizionamento del bio a livello globale. Ci assiste il 24esimo report  The world of organic agriculture 2023 riferito al 2021, curato dall’Istituto di ricerca sull’agricoltura biologica Fibl in collaborazione con  Ifoam, la Federazione delle associazioni del biologico a livello mondiale, da cui emerge un quadro positivo per l’agricoltura biologica globale. In Europa, in particolare, altri 0,8 milioni di ettari sono stati convertiti al biologico, +4.4% rispetto al 2020, portando la superficie agricola europea coltivata a bio a 17,8 milioni di ettari. E qui l’Italia si posiziona al terzo posto con 2,2 milioni di ettari di terreno agricolo, dopo Francia e Spagna e al primo posto per il numero di produttori bio, con oltre 75mila operatori sui 440mila attivi in Europa.

Sul fronte dei consumi, nel 2021, la spesa media per i prodotti bio è stata di 65,7 euro per persona, registrando un sostanziale raddoppio nel decennio 2012-2021. Le

vendite 2021, tuttavia, hanno subito un rallentamento, evidenziando un incremento del 3,8%, molto inferiore rispetto al +15% registrato l’anno precedente, a causa dell’inflazione e preoccupazioni per la sicurezza alimentare in termini di approvvigionamento tra conflitti bellici e crisi climatica.

Cosa manca

Rimane un gap culturale da colmare nei consumatori, per cui è necessario informarli, metterli più a conoscenza dei valori del bio, educarli a comprare meno con gli occhi, perché è meglio un frutto più saporito ma con qualche piccolo segno di uno perfetto che sa di poco. Comportamento che si riflette in quella deriva commerciale per cui ci si rifiuta di immettere sul mercato vere e proprie partite di prodotto per piccole inezie estetiche “perché il consumatore non acquisterebbe”.

E se si lamenta di un costo un poco più elevato i motivi sono reali e spiegabili, a partire dall’incidenza della manodopera che questo metodo comporta sia per effettuare rotazione delle colture che per rimuovere erbe infestanti, essendo bandito l’utilizzo di pesticidi ed erbicidi.

Il bio è sulla buona strada certamente ma se ci sbloccheremo da certe fisime e la smetteremo di andare a cercare informazioni in contesti discutibili come i social, acquisendo invece più consapevolezza del suo valore con elementi corretti alla mano, si creeranno le condizioni di ulteriore crescita del settore.

Sul fronte degli agricoltori, per come la vede Nicola Pentassuglia, il lungimirante presidente di Progresso Agricolo, “non saranno molti quelli che torneranno indietro.

I giovani – osserva - sono più sensibili, più istruiti di noi: capiscono il problema e le possibili conseguenze. Non credo di essere solo io fortunato ad avere in cooperativa ragazzi così!”

La composizione delle ramasole di pomodoro Regina con il filo di cotone

Il vino

Raìna

Il sogno (realizzato) di viticoltura di Francesco Mariani

Quante modalità avete per conoscere un vino? L’apertura da voi di una bottiglia, la visita in cantina, l’incontro a eventi e fiere. E se siete ristoratori ne aggiungereste sicuramente una quarta: l’assaggio proposto dal rappresentante. Parlando con appassionati e addetti ai lavori è emerso che una delle strade più affascinanti è assaggiare senza sapere di cosa si tratti, facendosi trasportare dall’esigenza di conoscere chi c’è dietro.

Personalmente mi è accaduto con i vini di Raìna, azienda biodinamica di Montefalco (PG) che porta il nome di Francesco Mariani.

Da un pensiero a un progetto Francesco è partito da lontano… per tornare a casa. Dopo gli studi filosofici ha lavorato all’estero, quindi è rientrato in Italia per occuparsi sia di cucina che di sala. Da sempre ha bazzicato nel mondo del vino, respirando l’aria di cantina e il profumo di mosto nell’azienda del padre, a Montefalco, in provincia di Perugia. Un’attività fino ad allora segnata da metodi tradizionali e da un approccio convenzionale, entrambi stretti a Francesco.

“Sono rientrato nel 2007 e quando ho messo piede in azienda ho capito che non mi riconoscevo in quel modo di concepire e fare. Avevo un orientamento diverso, a cui ho dato seguito nelle successive stagioni. Dal 2009 abbiamo iniziato a produrre rispettando le pratiche biologiche. Nel 2012 ho avvertito il bisogno di un’ulteriore virata, verso il biodinamico” ci racconta.

“Credo che produrre, coltivare un progetto, significhi prendersi la responsabilità di un’idea personale. Mi sono fatto carico di questa responsabilità quando ho deciso di dedicarmi a Raìna. Avevo bisogno di vinificare personalmente, di metterci del mio, di contrastare l’omogeneità”.

Gli chiedo di spiegarmi cosa intende.

“La presenza di enologi e agronomi in una determinata area geografica tende ad appiattire le identità. Credo che si debba lavorare in senso opposto, cioè valorizzare le diversità di un territorio e la

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Grappoli di Spoletino
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personalità di un’azienda, rispettando sicuramente la strada della qualità, ma mettendoci del proprio”.

I vini Raìna

Non c’è controprova migliore che l’assaggio dei suoi vini. Sono vini di grande beva, che raccontano un territorio e delle scelte accurate. A proposito della bevibilità Francesco ci dice: “Sono convinto che si debba dare una svolta nel modo di approcciare al vino. Non mi ritrovo nel concetto di ‘bicchiere importante’, cioè di un vino granitico, di cui berresti solo un calice. Mi piace l’idea che se apri una bottiglia a tavola, in qualsiasi occasione, tu riesca a finirla. Per questo ho direzionato Raìna su vini di grande beva, dal sorso agile, che siano accessibili e comprensibili a tutti. Non voglio che generino distanza ma che avvicinino, che siano fruibili e lascino la libertà a chi assaggia, senza raccontare note di degustazione”

Insomma, come abbiamo colto più volte dai contributi di questa rubrica, la tendenza del vino oggi è di vestirsi di un abito facile, decifrabile, accessibile.

Attenzione, però, comprensibilità non significa assenza di contenuti. E nemmeno trascurare importanti elementi culturali. Spulciando nel sito di Raìna balza all’occhio l’ampio spazio dedicato alle stagioni, con dettagli su tutte le operazioni che vengono effettuate in ogni periodo dell’anno.

“Le stagioni sono l’essenza della biodinamica. L’errore di narrazione in questi anni è stato creare un cir-

colo chiuso. Non basta dire biodinamico, bisogna spiegare cosa significa e dare la possibilità alle persone di avere gli strumenti per capire”.

La comunicazione e la distribuzione

Specie negli ultimi anni è cambiato il ruolo dell’etichetta nella comunicazione del vino.

Oggi molte raccontano l’anima dell’azienda, quali sono i principi di produzione, o mettono in risalto una peculiarità territoriale. Nel caso di Raìna è stato Francesco a pensarle e a voler mettere al centro un attore protagonista: l’albero.

“Abbiamo voluto rappresentare tutta la figura dell’albero, nella sua totalità, come l’albero della vita. L’ispirazione è ancora una volta la biodinamica: vogliamo trasferire a chi prende in mano la bottiglia che la radice è il cervello, il pensiero, mentre la chioma è il recettore di energia”.

La libertà di espressione, nel caso di Raìna, interessa non solo l’aspetto figurativo e degustativo. Riguarda anche la componente commerciale.

Da cinque anni, infatti, Francesco ha scelto di percorrere la strada autonomamente.

“Avevo bisogno di maggiore libertà con i clienti, quindi abbiamo optato per una relazione più facile e gestibile. Non sembra ma è davvero importante per un produttore potersi raccontare, essere vicino ai propri interlocutori”.

Nel sito dell’azienda è possibile trovare la lista comple-

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Francesco Mariani

ta di riferimenti degli agenti in Italia, divisi per regioni, e all’estero, divisi naturalmente per nazioni. Che questo bisogno, da parte dei produttori, di raccontarsi in modo diretto ai clienti finali, non possa essere uno spunto utile per tutti coloro che si occupano di distribuzione.

Il Vermouth Raìna

È difficile resistere alla tentazione di assaggiare un vermouth come il Numero Uno di Francesco Mariani. Prima di tutto per la particolarità della bottiglia, con l’etichetta che tiene fede al profilo dell’albero. Qui però non è nero, bensì pieno di colori, supponiamo per rappresentare la moltitudine di ingredienti che conferiscono aromaticità al vermouth. L’altra ragione per cui è difficile resistere all’assaggio è l’abbondanza e la finezza dei profumi, che vanno dalla liquirizia alla china, dalla genziana alla cannella, dal rabarbaro agli agrumi, fino alle note balsamiche.

“Il nostro è un vermouth artigianale, l’abbiamo prodotto per la prima volta nel 2016. Avevo in testa di sostituire il passito con un altro prodotto. Il passito è un vino difficile, con una capacità di vendita sempre più limitata. Così, ispirandomi a Veronelli, parlando con addetti ai lavori e cercando di anticipare alcune tendenze, ho cavalcato l’onda del vino aromatizzato, da base Sagrantino. Ne è nata una bottiglia versatile, un incontro tra Sagrantino chinato e vermouth”. Un bicchiere che sa farsi riconoscere e che ha un

grande potenziale in termini di abbinamento. C’è chi lo propone a fine pasto, chi lo miscela e chi lo propone in accompagnamento a veri e propri piatti, come selvaggina o carni rosse.

Il nostro interessante viaggio per andare oltre alla bottiglia e conoscere Francesco Mariani si conclude con una riflessione che val la pena riportare. Gli abbiamo chiesto se e come è entrata la filosofia nel suo modo di fare il vino.

“Ho a che fare tutti i giorni con piante, processi e prodotti vivi, quindi metto in atto una filosofia pratica. Mi interrogo ogni giorno su come risolvere i problemi, apportare correzioni, migliorare il mio lavoro. È un approccio molto concreto, indispensabile per fare il viticoltore come ambisco ad esserlo io”.

Raìna case sparse, 42, 06036 Turri PG Tel. 347 601 4856 www.raina.it
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Fiori tra i filari Il vermouth Raìna da Il Frantoio di Assisi

Amodo, la rete dei ristoranti etici

Autrice: Giulia Zampieri

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Osteria Da Oreste Un

rinnovamento che passa per le scelte

L’Osteria Da Oreste a Sant’Arcangelo di Romagna è intrecciata ad una parola: rinnovamento. Non rivoluzione (come scrissi, sbagliando, al mio primo incontro con questo locale).

Rinnovamento perché chi ci è entrato - Nicola Fanti, Lucia Chiavari, Giorgio Rattini e Alessandro Gotti - ha pensato a come traghettare un luogo storico in uno spazio contemporaneo, dando vita a una finestra conviviale fondata sull’etica e le buone abitudini, che sa accogliere chiunque.

Il rinnovamento dell’osteria

I colori accesi degli arredi, le stelle appese al bancone, i grandi tappeti e l’atmosfera curiosa che per anni hanno caratterizzato Osteria Da Oreste dal 2020 hanno lasciato il posto a tavoli e panche in legno, appendiabiti a tutta parete, luci calde e fiori freschi che colorano minimali mise en place. Uno stile nuovo e attuale, nell’abito e nei contenuti.

La sala dell’osteria Da Oreste ci ricorda che nella ristorazione non tutti gli intenti devono essere scritti e sbraitati e che le cure e i dettagli hanno un potere narrativo più efficace. Entrano dentro, lasciano sensazioni, stimolano il desiderio di ritornare.

Così anche la cucina: “Da quando abbiamo aperto ci siamo concentrati su pochi obiettivi. Il primo è accompagnare le persone nella presa di consapevolezza, ovvero abituarli a mangiare e bere bene valorizzando le produzioni sostenibili. Sulla carta sembra semplice e ripetitivo, ma è un approccio più che mai necessario. Il presente e il futuro hanno bisogno di questo” racconta Giorgio Rattini uno dei quattro soci nonché chef di cucina. “Implica proporre piatti buoni, nati da scelte precise, mantenendo prezzi popolari che possano avvicinare tutti”.

Il menu dell’Osteria Da Oreste è sempre stato ripartito in modo originale. Non la canonica divisione, ma un ‘invito a’ scandito dalle espressioni Per condividere, Per proseguire, Per finire.

La sala di Osteria Da Oreste

“Anche noi stessi ci rinnoviamo. - precisa Giorgio - Il tempo, le nuove idee e le nuove esigenze diventano azioni. Nel menu abbiamo aggiunto Per Accompagnare. Sentivamo il bisogno di dedicare uno spazio a sé al mondo ai vegetali di stagione. Chiamarli contorni non ci piace, non è quello che si meritano!”.

L’etica non è mai una passeggiata

Con Giorgio continuiamo a cavalcare il tema delle scelte. “Lavorare mettendo al centro un pensiero etico non è semplice. Dietro ci sono tanti sforzi sul piano della ricerca e dell’informazione, e può generare anche delle difficoltà di gestione. Parlando di materie prime, quando si rispetta la stagionalità è naturale che sia più complesso gestire il menu. Noi lo rinnoviamo una volta al mese, integrandolo con proposte fuori menù dettate dai prodotti freschi che puntualmente ci arrivano dai nostri fornitori. Lavoriamo con produttori di prossimità, ci danno quello che raccolgono o producono solo quando ce l’hanno. È molto più ostico fare ristorazione in questo modo, con la variante dell’imprevedibilità, rispetto al mantenere invariato lo stesso identico menu per diversi mesi”.

Un esempio fresco fresco riguarda la cipolla bionda di Santarcangelo detta anche cipolla dell’acqua, un prodotto riesumato dall’Associazione Tempi di recupero che sta diventando Presidio Slow Food.

“È buonissima ma ha un periodo di vita limitato. Non è adatta per l’essiccazione e quindi per il periodo inverna-

le. E cosa fa, il ristoratore, se un prodotto ha un margine di tempo limitato? Non la utilizza? No, ha senso farne uso nel suo momento migliore. Noi per esempio l’abbiamo proposta come fuori menu in tre piatti, tra cui la Tarte tatin di cipolla dell’acqua con tartufo estivo e fonduta di pecorino. L’utilizzo genera richiesta, quindi favorisce anche l’affermazione del prodotto, la sua diffusione, quindi la sua tutela”.

La voglia d’insieme

Osteria Da Oreste ha aderito sin da subito ad Amodo, la rete dei ristoranti etici, sposando i principi enunciati nel decalogo, che vanno dal rapporto con i fornitori e il personale, dallo studio alle modalità di racconto. Ma le buone pratiche qui vanno anche oltre il perimetro del locale.

I ragazzi dell’osteria sono profondamente convinti che fare squadra tra ristoratori e ristoratori, ristoratori e produttori o artigiani sia possibile e possa concimare il cambiamento di cui abbiamo bisogno.

“Si è creato un movimento bello tra i nuovi, un clima di partecipazione e condivisione che fa bene. È tutto coerente alle nuove volontà delle persone: stare all’aria aperta, trovare significato in ciò che mangiano o bevono, respirare ambienti gioviali, sereni, comunitari. Lo abbiamo visto in questi anni: se gli attori si parlano si creano situazioni con queste caratteristiche. Per questo siamo convinti che la ristorazione si rinnoverà. Anzi lo sta già facendo!”.

scopri Osteria Da Oreste su Amodo, la rete dei ristoranti etici Osteria Da Oreste Via Pio Massani, 14 47822 Santarcangelo di Romagna (RN)
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Tarte tatin di cipolla dell’acqua con tartufo estivo e fonduta di pecorino

Le persone

Autore: Bruno Damini

“Quando la città era collegata direttamente con la sua campagna, della campagna assumeva e succhiava proprio gli umori fertili della cultura”. Al riallacciarsi del legame culturale fra città e campagna ci esortava il poeta bolognese Roberto Roversi. Le vigne urbane che ancora resistono in diverse città italiane e nel mondo, sono un patrimonio storico-culturale e di biodiversità, testimonianza di tempi remoti in cui orti e vigne aprivano squarci di verde nell’intricato tessuto di città d’impianto medievale. I vini che ancor oggi se ne ricavano derivano spesso da varietà antiche, in alcuni casi sono esemplari e biotipi rarissimi nel panorama ampelografico di quei territori

La Urban Vineyards Association (non casualmente U.V.A.) nasce a Torino nel 2019 per tutelare e diffondere la realtà del Vigneto Urbano come modello per uno sviluppo sostenibile degli spazi abitati. Nel giro di pochi mesi raggiunge la notorietà internazionale e oggi conta 13 associati da Italia, Francia, Stati Uniti, Spagna, Grecia, presto anche Giappone, Germania e Repubblica Ceca. Il Vigneto Urbano rappresenta un patrimonio rurale, storico e paesaggistico di elevato valore culturale e turistico, perché realizza l’incontro tra passato e futuro, campagna e città, lavoro e tempo libero, tradizione e innovazione. Una sintesi perfetta dei valori che possono guidare l’operato del nostro Paese nell’affrontare le sfide stabilite dalle Nazioni Unite con gli SDG (Sustainable Development Goals) per la capacità di offrire risposte concrete, piccole ma esemplari, alle sfide di questo secolo, e di influire positivamente sulle opportunità e gli stili di vita della popolazione dei centri urbani.

Il torinese Luca Balbiano è partito dalla sua esperienza di recupero della  Vigna della Regina, nell’omonima villa sabauda di Torino, vigneto reale dei Savoia con 400 anni di storia, lasciato al suo destino da oltre mezzo secolo. La famiglia Balbiano, produttore di riferimento per il Freisa di Chieri e i vini della collina torinese, ha messo anima e cuore su un progetto che ha contribuito a ridare al capoluogo di una delle regioni vitivinicola più importanti al mondo la sua unica vigna urbana produttiva. Questa esperien-

Da una conversazione con Luca Balbiano, presidente U.V.A. Urban Vineyards Association
www.urbanvineyards.org/it Clicca e leggi l’articolo sul web 53 | agosto/settembre 2023
I vigneti urbani: la bellezza sostenibile salverà il mondo

za ha spinto alla ricerca di realtà simili sparse in Italia nel mondo. Così hanno preso contatto con la Confrérie de Montmartre, che gestisce la storica Cuvée du Clos Montmartre, poi con la vigna del Castello di Schönbrunn a Vienna. Nel 2018 hanno invitato a Torino tutti i viticoltori urbani che sono riusciti a trovare e da questo manipolo di visionari nasce la Urban Vineyard Association che si fonda su due presupposti: individuare i minimi comuni denominatori con le storie e le tradizioni che ciascun vigneto porta avanti, a individuando le soluzioni ai problemi comuni della viticoltura urbana. Sono tematiche comunicazionali, strutturali e logistiche perché fare vigna in città non è la stessa cosa che farlo in campagna. Hanno fissato criteri rigidi per entrare a far parte dell’associazione, individuando realtà che hanno una volontà di salvaguardia culturale, ambientale e anche turistica, perché tutte le vigne di Urban Vineyards sono piccoli scrigni di storia molto spesso non conosciuti, sia per le loro piccole dimensioni che per la ridotta capacità di comunicare da soli.

Gli ultimi due vigneti associati sono quelli di Barcellona e Salonicco. Villa Regina purtroppo è stata tolta alla famiglia Balbiano perché trattandosi di una concessione di proprietà del Ministero dei Beni Culturali il lavoro di recupero della vigna è stato talmente buono da renderla appetibile al punto che il Ministero l’ha fatta oggetto di un bando pubblico che aveva come elemento determinante la maggiore offerta economica. Purtroppo in questo bando non è stata data alcuna indicazione e vincolo sul mantenimento del vitigno. Peccato, perché quel progetto aveva un valore estetico, culturale e dal punto di vista enologico e agronomico. Svuotandolo di quei contenuti non si capisce più cosa possa diventare. Il nuovo concessionario non ha ancora manifestato l’intenzione di fare parte dell’associazione, è auspicabile che lo faccia. Da quella vigna i Balbiano hanno prodotto Freisa con varie annate che sono ancora in cantina in attesa di essere presentate. Quella vigna non rientrava in alcun disciplinare di produzione, i Balbiano ne hanno ottenuto il riconoscimento di Cru di Chieri DOC Superiore, Vigna Villa della Regina. Ne hanno prodotto circa 4.000

bottiglie numerate all’anno, più 70 magnum, 16 doppi magnum e due Balthazar, parte dei quali ogni anno viene venduta in un’asta benefica per raccogliere fondi per diverse associazioni.

Non tutte le vigne che fanno parte di Urban Vineyards sono produttive perché alcuni sono reimpianti piuttosto recenti, come Venezia che in ottobre presenterà la sua prima annata; Siena è ancora in fase di micro vinificazione sperimentale.

Le condizioni di adesione all’associazione sono vincolanti: innanzitutto avere il vigneto in un contesto urbano, che sia accessibile ai visitatori, connesso con la cultura e la storia della città e che sia percepito dalla popolazione come luogo di valore storico e culturale. Tutti questi aspetti vengono valutati da una commissione che raccoglie le candidature e valuta i dati.

La quota associativa è molto modesta perché il loro ideale è permettere anche a realtà molto piccole di fare parte di Urban Vineyards. La quota d’ingresso è di 650 Euro poi le quote associative annuali sono di soli 150 Euro. L’attività di scouting è costante. Attualmente il consiglio direttivo sta valutando quattro nuove candidature. Quasi tutte le vigne associate producono vino, alcune non lo producono ancora ma lo produrranno. Queste sono le vigne associate fino ad oggi:

- Vigna della Regina, Villa della Regina, Torino. www.vignadellaregina.it

Dietro la Gran Madre di Dio, ci troviamo di fronte allo spettacolo austero ed elegante di Villa della Regina e della sua vigna dalla quale si produce una DOC di Freisa.

- La Vigna di Leonardo da Vinci, Casa degli Atellani, Milano. www.vignadileonardo.com/it

Risale alla fine del ‘400 la Vigna di Malvasia di Candia Aromatica data in dono al genio toscano da Ludovico il Moro per la realizzazione dell’Ultima Cena. È situata nella cornice rinascimentale della Casa degli Atellani. A pochi metri da Santa Maria delle Grazie.

- Le Vigne ritrovate, Venezia www.lagunanelbicchiere.it

L’associazione culturale Laguna nel Bicchiere ha recupera-

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to e cura 5 vigneti: due nelle isole di San Michele e Sant’Elena in monasteri del XIII secolo, uno alla Giudecca, uno a Malamocco e un altro nell’isola delle Vignole. Oltre a loro a Venezia esiste anche La Vigna Murata con la Tenuta Venissa, nell’isola di Mazzorbo Se si candidasse la prenderebbero in considerazione con grande attenzione.

- San Francesco della vigna, Venezia. È il più antico Vigneto Urbano della città lagunare, si compone di tre chiostri: due adibiti a orto e vigneto, il terzo utilizzato per la raccolta dell’acqua piovana per l’irrigazione. Le prime uve si sono raccolte nel 2022 e le circa 900 bottiglie prodotte saranno vendute per scopi benefici dal Gruppo Santa Margherita che ha preso a cuore il vecchio Clos.

- Vigna del Gallo, Orto botanico di Palermo https://planeta.it/news/oggi-la-vigna-del-gallo-intitolata-diego-planeta/

Racchiude 95 vitigni autoctoni, patrimonio inestimabile della viticoltura siciliana e testimonianza tangibile della biodiversità dell’isola. Il progetto coinvolge il Sistema Museale dell’Università degli Studi di Palermo e dal Consorzio di tutela vini Doc Sicilia, con la collaborazione della Facoltà Universitaria di Agraria.

- Etna Urban Winery, Catania www.etnaurbanwinery.it

Antica e rinomata vigna alle pendici dell’Etna, recuperata alla periferia di Catania dopo decenni di abbandono.

- Senarum Vinea, Siena. Gorgottesco, Tenerone, Salamanna, Prugnolo Gentile, Rossone, Mammolo, sono i vitigni “reliquia” coltivati nel Vigneto Urbano di Siena, riscoperti, con l’impiego di tecniche agricole antiche, grazie a Senarum Vinea e al Laboratorio di Etruscologia e Antichità Italiane dell’Università degli Studi di Siena, con l’Associazione “Città del Vino” e l’Azienda Agricola Castel di Pugna.

- Clos de Montmartre, Parigi www.comitedesfetesdemontmartre.com

Di proprietà della città di Parigi, è gestito dal Comité des Fêtes et d’Actions Sociales de Montmartre – Paris 18ième. Il vigneto è stato salvato dalla speculazione edilizia nel 1933, grazie dall’impegno della società civile del quartiere.

Conta 1800 viti, con 30 varietà diverse, e la sua produzione è dedicata al sostegno delle associazioni locali.

- Clos de la vigne du Palais des Papes, Avignone https://compagnonscotesdurhone.fr

Unico vigneto intra-muros AOC in Francia, patrimonio mondiale dell’UNESCO, la vigna si affaccia sulla città storica e sul Rodano, all’altezza del ponte interrotto di Saint Bénézet, dalla cima del Rocher des Doms, il terrazzamento-giardino dei papi avignonesi. È affidato alla Compagnons des Côtes du Rhôn.

- Clos des Canuts, Lione

www.republiquedescanuts.com/pages/la-vigne/la.html

Situato nel Parc de la Cerisaie a Croix-Rousse (ex distretto dei lavoratori della seta detti “canuts”) di proprietà della città di Lione, è gestita dalla Rèpublique des Canuts, la realtà associativa più rappresentativa della città, promotrice del folklore e delle tradizioni locali.

- Rooftop Reds, New York www.rooftopreds.com

Nella primavera del 2016, Rooftop Reds lancia il primo Vigneto Urbano produttivo a New York City creato con i crowdfunding. Producono 200 bottiglie all’anno e la persona che se ne occupa, David, è un enologo che ha studiato in Francia e possiede una propria azienda.

- La Vigna Comunale, Salonicco. Nella primavera del 2013 la città avvia uno spazio di viticoltura urbana. Vitigni di aromatica Malagouzia, Golden Robola, Xinomavro e Agiorgitiko vengono piantati in un’area urbana dove precedentemente si trovava l’officina meccanica del Comune, col supporto della popolazione, grazie alla collaborazione con l’azienda vitivinicola Ktima Gerovassiliou e l’esperienza della Facoltà di Agraria dell’Università Aristotele di Salonicco.

- Can Calopa de Dalt - L’Olivera, Barcellona https://olivera.org/en/wines/ Situato nel cuore del Parco Naturale di Collserola, questo casale del XVI secolo conserva l’ultimo vigneto produttivo della città. Qui L’Olivera produce vini e oli d’oliva biologici, promuovendo un progetto no profit per le persone a rischio di esclusione sociale.

Autrice: Antonella Petitti

Macellerie con cucina

La tradizione pugliese dei fornelli: evergreen anche per l’estate 2023

Mangiare ai “fornelli” è un’abitudine pugliese dalle lunghe radici. In pratica si tratta di macellerie che, con l’arrivo della sera, cuociono e propongono la carne che vendono. Quasi sempre non c’è servizio al tavolo, anche se con gli anni la tradizione si è evoluta dando vita a vere e proprie osterie che ruotano attorno ad alcuni grandi classici. Il loro nome deriva da quello dei forni a legna utilizzati per la cottura, su cui in genere la carne non viene grigliata ma lasciata cuocere a fuoco indiretto. In soccorso vengono gli spiedi, i quali consentono di mettere la carne in posizione verticale. Ciò permette al grasso di sciogliersi cadendo sui carboni, non andando a incidere eccessivamente sulla consistenza, sui sapori e profumi della carne.

Dove si trovano i fornelli pugliesi?

Le macellerie con cucina tipiche sono ormai diffuse in diverse zone della Puglia, ma l’area tradizionale – in cui continuano a mantenere lo stile caratteristico – va dalla provincia di Bari a quella

Il territorio e la ristorazione
56 | agosto/settembre 2023
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di Brindisi, con qualche indirizzo nel tarantino. È qui che si concentrano i fornelli più interessanti, luoghi in cui indugiare a lungo in compagnia. Alcuni dei borghi di Puglia dove si concentrano i migliori locali sono Sammichele di Bari, Laterza, Santeramo in Colle, Cisternino, Locorotondo e Ceglie Messapica.

I grandi classici dei “fornelli”

Entrare in uno dei tradizionali fornelli pugliesi è uno degli obiettivi più comuni per chi trascorre le sue vacanze nella lunga regione del tacco italiano. Tovagliato a quadretti, un bicchiere di vino, freselle con il pomodoro, olive, formaggi e verdure miste. Ma quali sono le specialità di carne che è bene non perdere?

Bombette

Rappresentanti indiscusse della carne al fornello sono le bombette: bocconcini di carne arrotolata ripieni di formaggio. In genere, si utilizzano le fettine di capocollo e al loro interno si unisce il canestrato pugliese, un prodotto DOP realizzato con il latte delle pecore di razza Gentile. Ogni macelleria ha la sua ricetta, in taluni casi cambia la tipologia di carne, ma anche il ripieno con l’aggiunta di pancetta e l’utilizzo di caciocavallo.

Gnummareddi (o Turcinieddhri)

Difficile trovare una macelleria pugliese che non li abbia, anche se si tratta di una specialità diffusa in diverse regioni del Mezzogiorno. Gli gnummareddi sono involtini a base di interiora di agnello o capretto, tenuti insieme dal budellino. Ogni zona li propone anche in altre preparazioni, oltre che cotti al fornello. Ad esempio, a Locorotondo si servono “suffuchete”. In pratica sono cotti in umido per alcune ore con un brodetto realizzato con cipolla, pomodoro, sedano, alloro e peperoncino. Vengono serviti con generoso Pecorino grattugiato.

Braciole (o Brasciole)

Sono amatissime cotte nel sugo, ma le brasciole sono presenti anche nel misto di tipicità proposto dai fornelli. Si tratta di involtini di carne di cavallo (tra le carni più amate in Puglia) farciti con un po’ di aglio e

prezzemolo tagliuzzato. In taluni casi si uniscono anche lardo e Pecorino.

Zampina

Arrotolata a spirale, è la salsiccia tagliata a punta di coltello per eccellenza in Puglia. Nata a Sammichele, è ottenuta con primo taglio di bovino mischiato a ritagli di ovino e suino. L’impasto viene poi condito con pomodoro, formaggio, basilico, peperoncino, pepe e sale. Anche in questo caso ogni macelleria ha il suo impasto che cerca di non svelare mai completamente!

9 fornelli per addentare la tradizione

Sono tanti i borghi pugliesi per cui vale un viaggio o, almeno, una gita fuori porta. E, sempre più spesso, a guidare la scelta è un particolare piatto o prodotto da provare. Ecco 10 fornelli da non perdere, i quali si distinguono per qualità, storia o offerta gastronomica.

Antica Macelleria Lassandro

Santeramo in Colle (BA)

Una macelleria antica, con radici lunghe che risalgono alla prima attività di famiglia del 1799. Il lavoro per loro comincia con lo scegliere gli animali direttamente nell’allevamento. Fa parte del progetto “Carni Pugliesi”, realtà consortile nata per garantire qualità e tracciabilità delle carni locali.

Braceria La Tradizione – Sammichele di Bari (BA)

A 28 chilometri da Bari, Sammichele merita una visita. Patria della zampina, in questa macelleria nata nel 1988 è possibile degustare anche carpacci e tartare. Particolare attenzione anche ai vini locali.

Macelleria Rosticceria Tamborrino – Laterza (TA)

Dal 1950 un riferimento per la carne di qualità, dove è possibile anche fermarsi a provare alcune specialità, oltre alla classica carne al fornello. Previa prenotazione è possibile gustare “A’ Callaredd” (agnello in umido con cicorielle di campo) e “U’Sucaridd” (salsiccia di maiale a punta di coltello con funghi cardoncelli in sughetto di pomodorini). Tra le proposte Crushi e Crushimi, ovvero una sorta di sushi realizzato con la carne di Laterza.

Bombette della Braceria Semeraro Le Braciole della Macelleria Iurlaro

Braceria Semeraro – Brindisi

Soprattutto d’estate in Piazza Mercato c’è spazio per lunghe serate in famiglia. Ottima carne, gran parte riservata alla preparazione di specialità tradizionali.

Ma c’è anche altro per tutti gli appassionati di carne di qualità. Imperdibili le polpette al forno.

Arrosteria del Vicoletto – Cisternino (BR)

Nel centro storico di Cisternino un indirizzo dal sapore classico. Qui è possibile scegliere la carne al bancone e sedersi a degustare tutte le specialità cotte al momento al fornello.

Macelleria Iurlaro

San Michele Salentino (BR)

Pochi fronzoli e sapori antichi. Dal 1985 un indirizzo di riferimento per gli amanti della carne di qualità.

Soprattutto bombette, proposte con molte varianti, ma anche ottime braciole di cavallo, trippa e turcinieddi.

La Rosticceria l’Antico Borgo – Cisternino (BR)

Vicoli stretti e bianchi e odore di carne ai fornelli. Anche Cisternino ha le sue tappe, qui oltre alla carne ai fornelli è possibile anche degustare un piatto di orecchiette. Diritto di nomina per le braciole d’asino. Fattorie Grottamiranda Azienda Agricola Tedesco – San Vito dei Normanni (BR)

Indirizzo perfetto per chi apprezza la filiera corta. Quest’azienda agricola familiare alleva la carne che propone e si diletta anche nella gran parte dei prodotti che porta in tavola. Occasione per entrare a contatto con la natura e con i produttori.

Braceria dei Santi – Ceglie Messapica (BR)

Oltre alla carne c’è di più. In questo caso non un classico fornello che rivende carne, ma un indirizzo in cui assaggiare tutte le specialità tipiche e anche tanta buona cucina casereccia.

La Zampina dell'Arrosteria del Vicoletto
58 | agosto/settembre 2023
Macelleria Lassandro Crushi e Crushimi della Macelleria Rosticceria Tamborrino

Fritturista. Numeri, non aria fritta!

Il Fritturista è un prodotto professionale che garantisce alte performance in frittura sia in termini di utilizzo sia nella qualità del fritto.

L’esclusiva formulazione è a base di olio di semi di girasole alto oleico ad alto contenuto di acido oleico addizionato con estratti naturali di tocoferoli e acido citrico.

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Mozzarella di Bufala Campana DOP Delizie di Latte

Una scelta che non lascia dubbi in merito alla qualità: infatti i prodotti dell’azienda La Marchesa rappresentano in maniera precisa l'eccellenza della produzione lattiero casearia della Campania, il territorio di riferimento per la Mozzarella di Bufala Campana DOP: Sulla base di criteri oggettivi - la sapienza dei maestri casari e i continui controlli microbiologici e chimici che fanno di questi prodotti un connubio tra genuinità e qualità – il gruppo Cateringross ha inserito, tra le nuove referenze a marchio Delizie di Latte quattro formati di Mozzarella di Bufala Campana DOP, prodotte dall’azienda La Marchesa: una busta a ciuffo da 250 grammi, una busta da 200 grammi, una busta da 250 grammi con cinque

mozzarelline da 50 grammi, una busta con 10 mozzarelline da 25 grammi e una busta termosaldata da 125 grammi, oltre a una Burrata di latte di bufala con panna da 125 grammi.

La decisione di scegliere La Marchesa come fornitore è data dal fatto che è un’azienda con una lunga esperienza e solidità nel settore, infatti quest’anno compie i suoi primi trent’anni di vita. Raggruppa cinque aziende agricole che operano in filiera chiusa, con gli allevamenti in proprietà dove le bufale sono tenute allo stato semibrado, quindi con alimentazione da pascolo di giorno e ricovero in stalle di sera con integrazione alimentare di insilato di mais e fieno di medica e mangime.

La produzione

DI BUFALA CAMPANA D.O.P.

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I libri

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Autore: Luigi

Scienze gastronomiche, economia, finanza, ecologia si snodano in un dialogo felice tra Carlo Petrini, presidente dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, e Gaël Giraud, prete, economista e teologo. Un libro che è un dialogo orientato a in dicare le vie per cambiare il futuro del nostro pianeta, andando verso la transizione ecologica come strada per la felicità.

La prefazione di Papa Francesco è una perla di saggezza, speranza e autenticità. “Il buono che appare come bello porta con sé la ragione per cui deve essere compiu to”scrive Papa Francesco nelle prime righe e si inoltra spiegando l’origine bellica del PIL quando il punto di riferimento era rappresentato dall’industria delle armi e, anche per questo, non può essere la “prospettiva economicista che sembra disprezzare il lato umano dell’economia, sacrificandolo sull’altare del profitto come metro assoluto”.

Nel dialogo, sollecitato dalle domande di Stefano Arduini, Petrini e Giraud si trovano in accordo su più concetti assolutamente originali come il ruolo delle giovani generazioni nel cambiamento necessario. Dice Petrini: “Noi “vecchi” abbiamo tolto la facoltà di azione dalle mani dei nostri figli, ma adesso cominciano a emergere i prodromi della loro ribellione. Giovani donne e giovani uomini che oggi… sono disposti a cambiare pensieri e comportamenti, scegliendo in modo più consapevole e lungimirante”.

Il gusto di cambiare Mai paura

Franchi Mai paura

Orso Maria

Giovanni Brera

Cinquesensi editore

Pag. 105

euro 15,00

di cambiare

Gaël Giraud, Carlo Petrini

Slow Food Editore –

Libreria Editrice

Pag. 167

Euro 18,00

Gli fa eco Giraud: “La comunità è essenziale perché è sull’individualismo che hanno prosperato la cultura e l’economia neo-liberiste che ci stanno portando al disastro”.

Un confronto che scorre veloce e che indica alcune strade per risolvere questi disastri, ad esempio il ruolo importante delle municipalità. La rete delle C40, Cities Climate Leadership Group, un gruppo di 97 città che rappresenta un dodicesimo della popolazione globale e un quarto dell’economia mondiale. In Italia ne fanno parte Roma, Venezia, Milano. “Le agende politiche delle città sono decisamente più agili di quelle degli stati… è quindi possibile progettare città più piccole, dense, senza auto, collegate da treni e inserite in uno spazio agro-ecologico che serva da assorbimento di carbonio”. Uno dei molti esempi contenuti nel saggio

Scrive in apertura Orso Maria Giovanni Brera: “sono l’ultimo rimasto della nidiata di Gianni Brera. Sono spesso sollecitato a raccontare qualcosa di originale e vero sul suo mondo che altrimenti sparirebbe. Questa volta me l’ha chiesto/consigliato mia moglie. Quindi obbedisco con l’unico imperativo che è possibile rivolgere a una signora: comandi, farò quel che potrò”.

Nasce così questo libro che è una sorta di dizionario di Gianni Brera dall’A alla Z e oltre.

Parole che, per il grande giornalista, avevano un significato preciso come il No. “Non lo diceva spesso, anzi, preferiva, come tutti, dire di si. Il suo no, però, era squillante e definitivo, come quello della sorella, maestra Alice. Quel che è certo è che non gli piaceva comandare e per evitarlo aveva abbandonato la direzione della Gazzetta dello Sport, primo direttore sotto i trent’anni nella storia del nostro giornalismo”. Si finisce con la Z di Zot! “Un attimo ed è andato, lasciando come tutti un buco incolmabile. La sera prima si era abbuffato di Ragot d’oca. La fine che si augurava. Non ha neanche dovuto digerire”.

Sono poche pagine, un centinaio, ma qui si conosce davvero chi è stato e cosa è stato Gianni Brera.

64 | agosto/settembre 2023

AU TH EN TIC

food passion

Tutti i migliori ingredienti più uno... la nostra autentica passione

Rispetto per la stagionalità delle materie prime, “dalla terra in cucina”, dalla raccolta alle preparazioni sapienti, prodotti gustosi e freschi direttamente nelle tue mani. Un’attenta selezione di pomodori conservati in innovative confezioni: polpa, passata, datterini, ciliegini e pomodori pelati... questo è il segreto di Demetra perchè ogni pizza diventi straordinaria.

demetrafood.it

Autrice: Marina Caccialanza

In.Treska, lassù tra i monti

Non è un rifugio ma un ristorante in alta quota. Immerso nella natura, tra le guglie del Latemar, per offrire una proposta culinaria “all’altezza” del luogo

Dalla terrazza panoramica lo sguardo abbraccia la vastità dei monti e, lassù, a 2.200 metri di altezza, il fascino dell’immensità è la sensazione dominante prima di essere avviluppati in un’esperienza dei sensi di cui la cucina è solo un elemento, ma è quello che la completa.

Chiamarlo rifugio sarebbe riduttivo e non renderebbe onore né identità a ciò che è il ristorante Treska, perché va oltre il luogo, aldilà del panorama, e rappresenta la maestria dei suoi protagonisti che hanno saputo evolvere il concetto di montagna e creare un ambiente moderno, accogliente e orientato all’eccellenza.

Nel cuore dello Sky Center Latemar, all’arrivo della seggiovia Tresca – da qui il nome, un gioco di parole che intriga e incuriosisce – In.Treska è un progetto recente nato dalla passione e dall’esperienza di André Sudarovich e di suo figlio Dario, in cucina e in sala e, grazie alla proprietà della struttura, la Regola Feudale di Predazzo, dà vita a un luogo dove tradizione e innovazione s’incontrano allo scopo di elevare la semplicità della cucina a occasione di convivialità, attraverso la sapiente elaborazione di un menù creato da materie prime eccellenti, con una visione ampia e competente, proposto con eleganza semplice e perfetta.

Non si arriva per caso quassù. Ma non è difficile arrivarci. Bastano passione per la montagna, buone gambe e voglia di aria pulita. Soprattutto, la consapevolezza di trovarsi in un luogo speciale, immersi in un ambiente unico. Giunti dal sentiero, in seggiovia o in funivia, il premio è sedersi al tavolo del ristorante e assaporare le specialità che offre.

Dario Sudarovich accoglie con un calice dall’ottima cantina e spiega: “Siamo esperti di montagna e competenti di cucina e ospitalità; quando abbiamo deciso di partecipare al bando per la realizzazione del lo-

Il
ristorante
Dario e André Sudarovich Clicca e leggi l’articolo sul web

cale abbiamo pensato che fosse importante distinguerci dagli altri locali vecchio stile, un po’ scontati. Insomma, in una zona dove ci sono decine di rifugi di montagna che propongono, certamente con successo e popolarità, lo stesso cliché di piatti tipici e rustici, noi vogliamo offrire uno stile che identifichi e aggiunga valore all’esperienza che il cliente vive con noi. Vogliamo distinguerci e lo facciamo con piatti studiati a partire dalla materia prima che deve essere di alto livello, per una proposta raffinata nella sua semplicità, originale nel concetto, personale nella realizzazione”.

Un ristorante dall’identità ben precisa e studiata nei minimi particolari. L’elemento portante, protagonista del menù, è la carne, di diverso tipo, provenienza e lavorazione, dal pollo al manzo e al cervo, cotta alla brace in un forno speciale, il josper, dove la griglia a carbone raggiunge gli 800°C e aggiunge quel tocco in più che fa la differenza. Occorre competenza e capacità, soprattutto occorre un’idea ben precisa di ristorazione.

“Ci distinguiamo – afferma Dario Sudarovich – perché siamo un ristorante di condivisione. Significa che ci piace proporre la possibilità di condividere il pasto tra i commensali. I nostri clienti sono in massima parte sciatori in inverno, turisti di ogni tipo in estate; in generale, amanti della buona carne, a diversi livelli. Per loro abbiamo studiato un menù, stagionale, con un paio di antipasti e un primo che cambia ogni giorno, una zuppa, e con la portata principale basata sulla condivisione dei piatti allo scopo di offrire a tutti un modo per gustare ciò che più piace e di provare, al tempo stesso, nuove soluzioni: una grigliata mista dalla quale ognuno può attingere ciò che preferisce. Serviamo la carne su un piatto di ghisa, in mezzo al tavolo, e ogni taglio di carne ha una salsa di accompagnamento. I commensali si scambiano i sapori, assaggiano un po’ di tutto. Questo favorisce la convivialità e rispecchia l’anima del luogo; è un metodo che risponde perfettamente a questo tipo di servizio e la gente non spende eccessivamente: fa passare il messaggio che da noi si mangia bene a un prezzo abbordabile. In abbinamento abbiamo un’ottima selezione di vini e il concetto

è: da noi puoi mangiare la carne che ti piace, bianca o rossa, selvaggina locale o tagli esotici. Non siamo un ristorante gourmet, non lavoriamo tanto la materia prima, ma è sempre di ottima qualità, questo è importante. Puoi trovare cervo, manzo, pollo, di solito il piatto finisce con 2 o 3 costate alla fiorentina, da condividere naturalmente. In inverno abbiamo l’agnello, le costate di asino, di cavallo. Insomma, per tutti i gusti, per ogni palato, anche il più esigente”.

È il bello della condivisione, spiega Diego: “Si parte dal concetto che dobbiamo dare la possibilità anche a chi non ama la carne rossa, o la carne al sangue, di gustare il pasto e quindi ecco il petto di pollo cotto a bassa temperatura nel fieno e poi grigliato nel josper; le costine di maialino iberico; la braciola di maiale da pascolo con il suo grasso e la cotenna. In un gruppo di persone c’è sempre chi la vuole al sangue chi più cotta, più grassa o più magra. Il segreto è l’assortimento, la varietà, per sorprendere e accontentare tutti e a tutti regalare un’esperienza appagante”.

Sciatori, gitanti, giovani e meno giovani. In.Treska si arriva a piedi, sciando, in funivia e, per chi non cammina, in estate, Diego organizza cene con trasporto: “Li vado a prendere con la jeep, perché siamo in alta montagna ma proprio per questo vogliamo condividere il nostro mondo con tutti”.

È la montagna degli anni 2000: nuova, moderna e inclusiva, accogliente e rilassante, soddisfacente in tutti i modi. È un modo nuovo di proporre la ristorazione di alta quota; non solo per rudi montanari ma per tutti, perché non c’è niente di meglio di riunirsi comodamente intorno a un tavolo gustando specialità prelibate e ammirando un panorama mozzafiato, serviti con garbo e simpatia. E l’insegna fa l’occhiolino, è In.Treska.

In.Treska Sky Center Latemar Oberegger/Pampeago/Predazzo www.intreska.it
67 | agosto/settembre 2023

La pizzeria

Operaprima a Ostuni

I sapori e i profumi della Puglia si ritrovano nel menù elegante e curato di questo ristorante immerso tra le bellezze della candida Ostuni

Un progetto di ristorazione che nasce dalla passione per la cucina e per la propria terra. Giuseppe De Giovanni, pizzaiolo di formazione, ha dato vita a un luogo dove pizza, carne o pesce diventano espressione delle specialità che una terra ricca di aromi e gusto come la Puglia offre e, grazie a una rilettura moderna della tradizione, ne trasmette i valori.

“Abbiamo aperto nel 2019 – racconta De Giovanni – e dopo sei mesi ci siamo ritrovati nel turbine delle chiusure dovute alla pandemia ma non è stata un’esperienza negativa, anzi, ci ha offerto l’opportunità, attraverso l’asporto e le diverse fasi che sono succedute, di calibrare e modulare il nostro lavoro meticolosamente. Gli anni che si sono susseguiti sono stati positivi e ci hanno fornito l’ossigeno per recuperare: è stato quasi un banco di prova, una preparazione allo sviluppo dell’attività, di cui oggi siamo molto soddisfatti”.

La pizza è il punto di partenza, poi il locale si trasforma, lentamente, in ristorante di carne e pesce. Oggi, infatti, l’80% dell’attività riguarda la ristorazione e il 20% la pizzeria che rimane, comunque, un elemento importante. Un menù ricco, che viene rinnovato ad ogni cambio di stagione, e che accoglie soprattutto materie prime e prodotti del territorio, attraverso una ricerca accurata della qualità più eccelsa che si esprime in piatti della tradizione e in interpretazioni culinarie moderne.

Spiega Giuseppe De Giovanni: “Abbiamo una clientela mista, locale e turisti, e pertanto dobbiamo accontentare le aspettative di tutti. I turisti cercano, naturalmente, la tipicità della cucina tradizionale pugliese - le orecchiette, fave e cicoria - ma i clienti abituali, del posto, che a questa cucina sono abituati, desiderano sperimentare piatti di gastronomia più contemporanea. Per questo, accanto alla tradizione proponiamo alternative moderne, ricette che vengono studiate accuratamente per accattivare e ingolosire con ricercatezza”.

Clicca
68 | agosto/settembre 2023
e leggi l’articolo sul web

Prodotti locali, genuini, costituiscono la base dell’arte culinaria di Operaprima che si intuisce fin dal nome del locale; un nome che vuole suggerire, quasi poeticamente, come proprio dall’arte e dalla maestria del pizzaiolo nascano espressioni di nobile valore.

Le pizze, oltre una trentina di varianti in carta, sono una vera specialità: “Faccio impasti a lunga lievitazione –spiega Giuseppe – di almeno 48 ore ma anche più lunghi. Preparo generalmente tre tipi di impasto: uno classico, con farine 00 di 5 Stagioni; uno con i cereali, perché è una variante molto richiesta oggigiorno; e infine un impasto realizzato con una farina rustica di un mulino locale che presenta un sapore più deciso. Per la pizza di 7 cereali è necessario aggiungere una percentuale di farina bianca per assicurare il giusto apporto di glutine e permettere la lunga lievitazione. Ho studiato personalmente il giusto equilibrio delle farine e riesco a proporre una rosa di varianti piuttosto interessante proprio perché dotata di alternative che abbracciano tutti i gusti della clientela”. Anche le farciture sono studiate per accontentare al meglio e i prodotti, di qualità e soprattutto locali, sono elemento indispensabile, scelti secondo la stagione e in base al menù.

“La scelta è vastissima – spiega De Giovanni – perché disponiamo di un assortimento di specialità davvero ampio. Ci manca il tempo di fermarci a riflettere e studiare nuovi menù ma lo ritengo un dovere. Operaprima è un locale che fa 200/300 coperti ogni sera, ho uno staff di 18 dipendenti, e lavoriamo davvero molto. Mi piace praticare un controllo molto accurato sulle materie prime e gli ingredienti che utilizziamo in cucina: visitare le aziende, testare i prodotti, capirli e assaggiarli prima di studiare nuove ricette. Questo richiede tempo ma è un esercizio che stimola la creatività, lo ritengo importante e gli dedico molte energie”.

Una continua ricerca della qualità, dunque, dell’origina-

lità che deriva dalla conoscenza di ogni singolo elemento che va a comporre la proposta, di pizza o di piatto non importa, perché offrire il meglio possibile è quasi una missione per Giuseppe De Giovanni, da tutelare e mantenere malgrado le difficoltà che si incontrano lungo il percorso. Riflette, infatti, sull’attualità: “Abbiamo dovuto, come molti di noi, ritoccare i prezzi quest’anno perché gli aumenti delle materie prime hanno inciso notevolmente sul bilancio generale. Abbiamo fatto delle scelte, per esempio inserire piatti più semplici, per dare al cliente la possibilità di godere di alternative accessibili. Da noi puoi consumare un pasto completo di alto livello ma puoi anche decidere di cenare con un poké o un’insalata o una pizza semplice. Le polemiche che si sono scatenate quest’estate non riguardano tutti gli operatori del settore turistico e lo vogliamo dimostrare proprio accogliendo e dando possibilità di scelta consapevole a tutti i nostri clienti, indipendentemente dal loro potere di spesa. Serve una programmazione attenta ma la qualità non cambia, è sempre al primo posto”.

Operaprima Corso Vittorio Emanuele II, 48 25034 Orzinuovi (BS) 72017 Ostuni BR www.operaprima.ristorantepizzeria.it 69 | agosto/settembre 2023

Autore:

Guido Parri Blubai App, un nuovo modello di business

Che cosa rende dinamiche, oggi, le tecniche di vendita nella distribuzione food service, senza svilire il ruolo degli agenti, ma anzi rafforzandone le competenze?

Questa domanda se la sono posta in Blubai, distributore food e beverage di Cesenatico, associato a Cateringross, nel periodo Covid, quando tutto era fermo e non si avevano prospettive chiare per il futuro del settore. Già porsi la domanda in quel periodo significava nutrire speranza, guardare avanti, ma la cosa più importante è stata trovare la risposta e renderla praticabile, come ci racconta Fabio Fortuna, responsabile marketing dell’azienda romagnola.

“Era necessaria un’innovazione tecnologica. In quel periodo diventava l’unico mezzo per restare in contatto e quindi abbiamo pensato ad un’App con cui i nostri clienti potessero restare in contatto con noi. Dopo un’approfondita ricerca per capire se ne esisteva una che rispondesse alle nostre esigenze abbiamo lanciato il cuore oltre all’ostacolo e ne abbiamo creata una da zero”.

Blubai App

“Volevamo uno strumento che esaltasse il ruolo dei nostri agenti e non qualcosa che bypassasse la loro importantissima funzione. Con la nostra App infatti il cliente può si fare l’ordine in autonomia, a qualsiasi ora; abbiamo creato un modello talmente didascalico e semplificato che anche un bambino saprebbe usarlo. Questo lascia spazio ai nostri agenti di svolgere un compito nuovo, più prezioso e funzionale ad aumentare il grado di fedeltà dei nostri clienti: infatti l’agente, grazie alla App che permette di fare l’ordine ha più tempo per svolgere quel ruolo consulenziale sempre più richiesto e apprezzato dai nostri clienti. Può offrire indicazioni più precise sui prodotti, ragionare di valori importanti quali il food cost delle materie prime, le provenienze, gli utilizzi. Senza perdere in fatturato, in-

La distribuzione
70 | agosto/settembre 2023
www.blubai.it Clicca e leggi l’articolo sul web

fatti l’ordine anche sulla App prevede la percentuale che spetta agli agenti”.

In pratica con questa App si ottiene anche il risulta to, mai sufficientemente valorizzato, di cosa significa, in termini di tempo, fare un ordine per un agente di vendita.

“È proprio così! – continua Fabio Fortuna – Con la App lasciamo al cliente la possibilità di divertirsi, decidendo lui il tempo da dedicare all’ordine ma anche fargli capi re quanto è il tempo che noi gli dedichiamo e quanto di quel tempo lo vogliamo ottimizzare fornendo consulenza vera!”

Come funziona la Blubai App

“Dopo un primo lancio abbiamo voluto dare un ulte riore aggiornamento per premiare fedeltà e buoni comportamenti dei nostri clienti. Durante l’ultima edi zione di Beer Attraction, a Rimini, abbiamo integrato l’App con un sistema a punti sui prodotti che Blubai tratta in esclusiva. La somma di quei punti, in funzione degli ordini, offre ai nostri clienti dei vantaggi accedendo a cataloghi personalizzati, vincendo ombrelloni, calici, secchielli portaghiaccio, oppure sconti sul prossimo ordine. Inoltre ogni prodotto delle migliaia di referenze che abbiamo in assortimento è accompagnato da una scheda tecnica con le informazioni utili: descrizione, il prezzo, il confezionamento e le eventuali promozioni attive. Serve a ricevere istantaneamente promozioni mensili, offerte speciali e comunicazioni

aziendali, permettendo all’agente di riferimento di avere una visione puntuale dello stato degli ordini”. Sono circa 200 i clienti che utilizzano la App: “Fidelizzati al 95%! Un altro dato è molto importante: – afferma Fabio Fortuna – il cospicuo aumento di fatturato e di referenze vendute. Un catalogo ormai è una cosa enorme da portarsi in giro: con la App si riesce a trovare molto più velocemente il determinato prodotto, provare le novità”. Non restare mai fermi è la chiave di lettura in un settore come quello della distribuzione food service.

71 | agosto/settembre 2023

Autrice: Marina Caccialanza

FOODART, il menù del futuro

Ogni giorno Unilever Food Solutions affianca gli Chef nel loro lavoro, li ispira nelle loro creazioni e contribuisce al loro costante aggiornamento professionale, coerentemente con la sua missione: “Support, Inspire, Progress”. Unilever Food Solutions pensa, produce e propone al mondo della ristorazione prodotti innovativi ad alto valore aggiunto e sviluppa soluzioni efficaci, sicure e su misura con un’attenzione costante alla qualità e alla sostenibilità delle materie prime.

Leader mondiale di prodotti alimentari per gli Chef, opera in Italia e in altri 65 Paesi nei 5 continenti. Il suo ruolo è quello di esploratore e precursore, ma anche di garante di conoscenze ed esperienze sviluppate in tanti anni di presenza sul mercato ai massimi livelli, con un occhio sempre attento ai trend del mercato del fuori casa e all’e-

voluzione del gusto.

Tra i marchi Unilever Food Solutions presenti nelle cucine professionali italiane: Knorr Professional, The Vegetarian Butcher, Maizena, Carte d’Or Professional, Pfanni, Calvé, Hellmann’s.

Le tendenze del Menù del Futuro

Unilever Food Solutions ha recentemente pubblicato il Future Menu Trends Report 2023, sviluppato in collaborazione con oltre 1.600 chef di 25 paesi nel mondo, dal quale sono emerse 8 tendenze globali. Tra queste, “Tradizione Moderna” e “Cucina Sostenibile” sono state evidenziate come rilevanti per l’Italia e su queste è stato costruito il progetto formativo FOODART – Il Menù del Futuro.

73 | agosto/settembre 2023
Il progetto formativo 2023 di Unilever Food Solutions prevede nuovi temi, collaborazioni con chef stellati e format diversi, fruibili live on demand
La produzione Clicca e leggi l’articolo sul web

Tradizione Moderna: il cliente di oggi è evoluto e predisposto alla sperimentazione, desidera mangiare bene, è curioso e si appassiona al racconto di come è stato ideato un piatto, cosa c’è dietro la preparazione di una ricetta e a quale tradizione appartiene. Partendo dalla cultura gastronomica lo chef ha il compito di reinterpretarla e proporla in chiave nuova, è il racconto della memoria del gusto in una costante evoluzione di profumi, sapori, consistenze e forme, di ingredienti e tecniche, che fondendosi tra loro si trasformano in nuove combinazioni sensoriali; è rispettosa (re) invenzione.

• Cucina Sostenibile: nasce dalla consapevolezza che lo chef è sempre più spesso chiamato a svolgere il ruolo di garante della sostenibilità in cucina, caratterizzata da comportamenti consapevoli e responsabili che aiutano a comprendere quali sono le conseguenze che possono originarsi dalle scelte prese, la loro ricaduta economica e il loro impatto ambientale e sociale. Ideare una ricetta e realizzare un piatto senza sprecare nulla, utilizzando ad esempio parti animali e vegetali una volta considerate scarti, richiede una nuova visione di cucina, capace di tenere saldamente ancorato

il legame con il territorio e le tradizioni nel pieno rispetto dei sapori.

Il menù del futuro e gli chef stellati il progetto FOODART

Arricchito quest’anno di molte novità, FOODART esplora i bisogni e le sfide future dello chef e fornisce soluzioni e strumenti per affrontarle con successo, anche con la collaborazione di esperti del settore e chef stellati. 6 i grandi nomi di quest’anno: Chicco e Bobo Cerea, Tommaso Foglia, Roberta Merolli, Diego Rossi e Giovanni Solofra, oltre a Pierluca Ardito, Chef e Team Coach della Nazionale Italiana Cuochi e Giuseppe Buscicchio, Executive Chef Unilever Food Solutions. Tutti gli argomenti sono declinati nel libro FOODART – Il Menù del Futuro, ricco di spunti e ispirazioni, scaricabile dal sito www.unileverfoodsolutions.it, e attraverso due differenti format che vedono il coinvolgimento dei grandi chef stellati:

1. FOODART “A casa di …”. 6 eventi in livestreaming in diretta dalle cucine degli stellati. Gli chef interpretano la propria personale idea di “Tradizione Moderna” e di “Cucina Sostenibile” con la realizzazione di ricette originali e la chiacchierata con il giornalista, scrittore e sommelier Antonio

Lo chef Giuseppe Buscicchio Veg Charcoal Tortellini
74 | agosto/settembre 2023
Variazione di fragole, mousse, geleè e polvere con sablè di frolla, frangipane, crema pasticcera, lemon curd e menta fresca

Iacona e l’Executive Chef Unilever Food Solutions Giuseppe Buscicchio.

2. FOODART “A tu per tu con …”. 12 webinar live e on demand di 30 minuti durante i quali gli chef raccontano con le loro ricette e in un’intervista inedita con il giornalista enogastronomico Giuseppe Gaspari, tecniche e segreti della “Tradizione Moderna” e della “Cucina Sostenibile”. In conclusione Giuseppe Buscicchio, Executive Chef Unilever Food Solutions, da oltre 25 anni membro della Federazione Italiana Cuochi, affiancato dal giornalista, scrittore e sommelier Antonio Iacona, risponde alle domande dei partecipanti al webinar.

I prossimi appuntamenti del progetto FOODART – Il Menù del Futuro

Il progetto FOODART è realizzato in partnership con Federazione Italiana Cuochi, che da anni affianca Unilever Food Solutions nello sviluppo di proposte formative innovative.

Gli appuntamenti con FOODART – Il Menù del Futuro riprendono a settembre, dopo la pausa estiva. Due gli appuntamenti FOODART “A casa di …”.

• 24 Ottobre con Chicco e Bobo Cerea, Chef del ristorante 3 Stelle Michelin “Da Vittorio” a Brusaporto in provincia di Bergamo.

• 21 Novembre con Roberta Merolli, Pastry Chef del Ristorante 2 Stelle Michelin “Tre Olivi” di Paestum.

Sette gli appuntamenti FOODART “A tu per tu con …”.

• 12 settembre con Tommaso Foglia, Pastry Chef, già 1 Stella Michelin, giudice di Bake off Italia e Cake Star – Pasticcerie in sfida.

• 19 settembre con Chicco e Bobo Cerea, Chef del ristorante 3 Stelle Michelin “Da Vittorio” a Brusaporto in provincia di Bergamo.

• 26 settembre con Roberta Merolli, Pastry Chef del Ristorante 2 Stelle Michelin “Tre Olivi” di Paestum.

• 3 ottobre con Pierluca Ardito, Chef e Team Coach della Nazionale Italiana Cuochi.

• 12 ottobre con Diego Rossi, Chef della Trattoria Trippa di Milano.

• 7 novembre con Tommaso Foglia, Pastry Chef, già 1 Stella Michelin, giudice di Bake off Italia e Cake Star – Pasticcerie in sfida.

• 28 novembre con Giovanni Solofra, Chef del ristorante 2 Stelle Michelin “Tre Olivi” di Paestum.

Per rivedere gli appuntamenti passati e iscriversi ai futuri è sufficiente registrarsi qui:

www.unileverfoodsolutions.it/ispirazione-per-gli-chef/food-art/calendario_livestreaming.

html

e qui:

www.unileverfoodsolutions.it/ispirazione-per-gli-chef/food-art/calendario_webinar_atupertucon.html

75 | agosto/settembre 2023

Le aziende

Autrice: Marina Caccialanza

Il tartufo di T&C, star al cinema

Una bella storia italiana, di successo e di impegno costante in azienda, con uno stretto legame al territorio grazie alla lavorazione del tartufo: raccolto, acquistato, selezionato con metodo “artigianale“, trasformato in prodotti per i diversi canali di retail ristorazione e semilavorati per Industria per arrivare alle tavole di tutti.

Il legame dell’azienda con il territorio marchigiano è fortissimo: T&C Tartufi nasce ad Acqualagna (PU) dalla passione per il tartufo del suo fondatore Ulderico Marchetti, ancora oggi attivo e presente in azienda insieme alla seconda generazione, le figlie Lidia e Lorenza con i rispettivi coniugi e con un socio amico fraterno.

Da sempre la T&C Tartufi collabora con la ristorazione; dagli chef stellati ai giovani chef, protagonisti contem-

poraneamente della grande tradizione italiana e della ricerca e sperimentazione continua.

La vasta gamma di prodotti al tartufo di T&C permette all’horeca di avere a menù piatti al tartufo tutto l’anno con un food cost chiaro e prevedibile e un’azienda seria che ha acquisito nel tempo tutte le maggiori certificazioni che seguono gli standard globali della sicurezza alimentare.

L’origine comune a tutti i players del food italiano è che possono avvalersi di una biodiversità unica al mondo e di prodotti del territorio speciali.

T&C Tartufi risponde alle necessità della food industry internazionale customizzando i suoi prodotti a misura del cliente. L’industria alimentare è il tipico partner di T&C nella produzione di salumi, formaggi, pasta e snack tartufati.

della
Tino Vettorello
Cinema di Venezia
Il tartufo di T&C s.r.l. sarà una delle eccellenze di punta
ristorazione dello chef internazionale
alla Mostra del
l’articolo sul web 76 | agosto/settembre 2023
Clicca e leggi

Il trasferimento nella nuova sede ha arricchito ulteriormente le capacità produttive, la tecnologia dei macchinari e la creatività del team Ricerca e Sviluppo. L’attenzione alla sostenibilità e alla qualità di vita dei collaboratori chiude, in questo nuovo stabilimento, un circolo virtuoso.

Il tartufo di T&C s.r.l. alla Mostra del Cinema di Venezia

L’azienda ha impiegato, e continua a farlo, tutte le sue energie nella trasformazione del frutto più prezioso della terra da oltre 30 anni e il tartufo di T&C s.r.l. sarà una delle eccellenze di punta della ristorazione dello Chef Internazionale Tino Vettorello, anche quest’anno presente alla Mostra del Cinema di Venezia.

Il tartufo di T&C sarà, infatti, protagonista degli eventi, party, aperitivi e cene che verranno organizzate nelle aree dello Chef.

Il tartufo, del resto, è diventato negli anni un esempio italiano di lusso, di gusto, di facilità di utilizzo da parte delle cucine stellate internazionali, impreziosendo ogni piatto da protagonista.

Tino Vettorello è uno Chef Internazionale, maestro nel collegare la creatività delle sue interpretazioni culinarie ad aspetti salutisti, utilizzando solo ingredienti di alto livello qualitativo.

Lo “Chef delle Star” creerà, nel menù della Terrazza Biennale e del Ristorante Interno al Casinò, un piatto innovativo e profumato al tartufo di T&C che sarà fatto degustare ai numerosi imprenditori, vip, talent che come ogni anno verranno a gustare il buon cibo italiano.

Questa esperienza sarà sicuramente un momento importante per il mondo T&C e per il Made in Italy universalmente riconosciuto come valore inestimabile.

77 | agosto/settembre 2023

La produzione

Clicca e leggi l’articolo sul web

Unika® Rustic Burger: qualità, innovazione e gusto, i valori che da sempre accompagnano i nostri prodotti.

Unika®, il marchio di Centro Carni Company SpA dedicato alla ristorazione, è eccellenza nella carne bovina, sintesi perfetta tra esperienza nella selezione delle materie prime, tradizione nella lavorazione e cura dei dettagli, un punto di riferimento per tutti coloro che desiderano una materia prima di elevata qualità, pronta all’uso e senza compromessi. Costantemente il team di ricerca&sviluppo lavora a miglioramenti e novità e proprio la voglia di migliorare ha permesso l’ingresso in gamma di 4 referenze di burger surgelati, gourmet, perfetti per ogni utilizzo in cucina. 4 referenze già lanciate qualche anno fa sul mercato e ora rinnovate.

Sono i burger gourmet “rustic”, dalla consistenza “rustica”, con grana grossa, morbidi e succosi, ricchi di gusto, che ricordano la consistenza.

Scottona, Aberdeen Angus Sired, Bovino e Chianina: quattro tipologie che possano permettere al ristoratore quattro esperienze culinarie diverse, per dare al cliente finale un prodotto completo, gustoso e unico.

La ricetta prevede l’uso di carne selezionata e altri pochi ingredienti. Non c’è glutine, né lattosio, perché si vuole esaltare la sapidità della carne e permettere anche a chi ha esigenze particolari di poter assaporare questi prodotti senza pensieri.

La scottona si caratterizza per la succosità e per avere delle carni marezzate; L’Aberdeen Angus Sired ha un gusto deciso, il bovino è più delicato e la Chianina, una delle eccellenze italiane, ha un sapore caratteristico. I burger sono tutti da 200g, ottimi in un panino gourmet, accompagnato da birre artigianali e anche da soli, con un contorno di stagione.

78 | agosto/settembre 2023

SCOPERTO L’ELISIR DI LUNGA VITA IL SEGRETO È NELLE NOSTRE VERDURE

I RISULTATI DI UNO STUDIO SU 40 PAZIENTI

Un importante progetto di ricerca per la cura della steatosi epatica avviato dall’ospedale IRCCS “Saverio de Bellis” di Castellana Grotte (BA) è stato per la nostra azienda motivo di grande orgoglio. L’obiettivo era monitorare i miglioramenti della malattia su 40 pazienti, la sfida consisteva nel lasciare lo stile di vita immutato inserendo solo una porzione al giorno delle nostre verdure, in sostituzione di una di carboidrati. Ringraziamo il team di ricerca: il Prof. Giovanni De Pergola, il Direttore Scientifico Prof. Gianluigi Giannelli e la ricercatrice Sara De Nucci.

Concept: Studio Sergio Supino

La steatosi epatica è una patologia purtroppo molto diffusa nella nostra società che dai sintomi più lievi come un’eccessiva stanchezza, scarsa lucidità e irritabilità, spesso evolve in fibrosi epatica con il rischio di tumore al fegato. Oltre a portare gravi conseguenze, al momento questa malattia non ha una cura farmacologica.

Regresso della malattia, dimagrimento,

di tutti i parametri vitali

I risultati sono stati sorprendenti secondo il team di ricercatori, con un miglioramento generale del benessere dei pazienti, una significativa perdita di peso e una riduzione della steatosi epatica e dei primi segni di fibrosi. Un vantaggio importante è che la modesta modifica della dieta, mantenendo invariato lo stile di vita dei pazienti, rende l’aderenza al programma molto semplice e sostenibile dal punto di vista economico. La regressione della steatosi epatica e dei segni iniziali di fibrosi è un risultato inaspettato che supera le migliori aspettative, aprendo nuove prospettive sulla possibilità di modificare il corso di questa insidiosa patologia, attualmente priva di trattamenti farmacologici.

Con la nostra profonda conoscenza nel settore e competenza acquisita grazie agli anni di lavoro quotidiano a stretto contatto con la terra, abbiamo fornito quattro delle nostre eccezionali referenze, caratterizzate da un elevato contenuto di sostanze benefiche che aiutano a contrastare l’accumulo di trigliceridi nel fegato.

Cime di rape, Germogli di Torzella, Cicoriella e Senape selvatica di campo sono le verdure identificate in termini di contenuto di sostanze benefiche per gli organi su cui si voleva agire. Lo studio di tre mesi prevedeva la sostituzione di una porzione di carboidrati con una di queste verdure, senza apportare altre modifiche allo stile di vita, nel pasto scelto dai partecipanti al test.

Nutriamo il corpo e l’anima attraverso l’alimentazione sana

Il panorama che ha dato avvio a questa ricerca è estremamente positivo e ci riempie di speranza. La gioia suscitata da questo studio è incontenibile e ci motiva ulteriormente a coltivare verdure uniche che non solo guariscono, ma rispettano anche il pianeta. Richiedi il catalogo al tuo distributore e scopri tutte le nostre straordinarie referenze per il benessere dei tuoi ospiti su www.spiritocontadino.com.

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