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sala&cucina n. 74 novembre 2023 - Poste Italiane Spa - CN/BO - Edizioni Catering srl – Via Margotti, 8 – 40033 Casalecchio di Reno (BO) - contiene I.P. - costo copia euro 3,50

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La Carta di Pietrasanta un documento per Maurizio Urso Carlo Romito

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la ristorazione


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La redazione Mario Benhur Tondini presidente Edizioni Catering srl

Luigi Franchi Direttore responsabile

Imprenditore nel settore della distribuzione alimentare, gestisce con il fratello Oscar l’azienda di famiglia a Cavriana (MN), dove ha svolto anche l’incarico di sindaco. Le competenze maturate sul piano professionale e su quello amministrativo lo hanno portato alla convinzione che il principio della condivisione sia la miglior modalità di crescita. Molte sue iniziative, anche all’interno del gruppo Cateringross (che detiene la titolarità della casa editrice), di cui è consigliere d’amministrazione, vanno in questa direzione. A questo affianca una forte sensibilità per ogni azione che dia valore al suo territorio.

Prima fotografo di cibo e territori, poi comunicatore, autore di numerosi libri di enogastronomia e di turismo enogastronomico. e infine giornalista di enogastronomia. Tra le sue principali pubblicazioni, scritte e/o coordinate: La prima edizione della Guida al turismo del vino in Italia, per conto del Movimento Turismo del Vino, (1997), I parchi e il turismo enogastronomico (2004), Il marketing delle Strade del Vino edizioni Agra – Rai Eri (2005), Atlante Alimentare Piacentino, con Valentina Bernardelli (2007), “cuo chi, due anime in cucina”, con Alessandra Locatelli, GL.Editore (2009), Dalle Terre Traverse al Po, GL.Editore (2010), ideatore e coautore dei Maestri del lievito madre, Edizioni Catering (2014), coautore della guida online dedicata alla ristorazione Meglio Prenotare, Edizioni Catering, Le interviste (2018) editore Mediavalue. Co-direttore di Food & Book, festival nazionale di editoria enogastronomica

benhurtondini@salaecucina.it

luigifranchi@salaecucina.it

Marina Caccialanza

Simona Vitali

Redazione

Milanese, un passato come traduttrice, da diversi anni giornalista e redattrice per riviste del settore alimentare rivolte al mondo dell’artigianato e all’industria, in particolare nel campo della ristorazione, del dettaglio specializzato e della ricerca. Contribuisce alla realizzazione di importanti libri di comunicazione gastronomica in Italia e all’estero diretti ai professionisti e ai consumatori. Collabora con le redazioni di sala&cucina, Ecod e Trenta Editore.

Redazione

Laureata in filosofia, ha lavorato nella comunicazione e organizzazione di grandi eventi a Parma. Ha ricevuto una prima inconsapevole educazione al gusto per il cibo grazie all’ indimenticato oste dell’Osteria di Felino (PR), il nonno materno Massimino. Con gli studi umanistici è poi arrivata una seconda, consapevole, educazione al gusto per l’utilizzo delle parole secondo il loro significato. Poi sono seguiti un corso di Alta Formazione alla scuola Holden e un master in Filosofia del cibo e del vino. Della ristorazione l’affascina il pensiero e la componente umana. Della formazione di settore segue movimenti ed evoluzioni.

marina.caccialanza@salaecucina.it

s.vitali@salaecucina.it

Giulia Zampieri

Gabriele Adani

Redazione

Grafico

Ricorda con esattezza il profumo del primo pane preparato all’età di sette anni. Forse il suo primo traguardo e, soprattutto, l’inizio di una grande passione: per le cose semplici, per la genuinità, per gli alimenti che crescono e prendono forma. Dopo la Laurea in Scienze Gastronomiche, la specializzazione in comunicazione enogastronomica, e un periodo di alternanza nelle cucine, ha chiara la missione: scrivere per comunicare. Come? Utilizzando gli strumenti di oggi e la curiosità di sempre. Gionalista pubblicista, collabora anche con la guida di Identità Golose.

Modenese, appassionato di arte figurativa, fotografia e linguaggi di comunicazione visiva. Nel 1992 inizia il suo percorso professionale presso una casa editrice. Lavora poi in uno studio grafico e fonda una piccola agenzia di comunicazione in cui ricopre il ruolo di direttore creativo per 18 anni. Viaggiatore, utilizza i frequenti viaggi a Londra e nel Sud Est asiatico per arricchire il suo bagaglio culturale e placare la sua innata curiosità per le altre culture. Dal 2019 lavora in proprio, occupandosi di fotografia, grafica e consulenze nel campo della comunicazione.

giuliazampieri@salaecucina.it

grafica@salaecucina.it

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Sommario LA LETTERA APERTA

La carta di Pietrasanta | Luigi Franchi 9 L'EDITORIALE La distribuzione, un comparto in profonda trasformazione | Benhur Tondini 10 IL CONFRONTO Oltre i Gesti a Pietrasanta | Luigi Franchi 13 IL DOCUMENTO La Carta di Pietrasanta | 15 I CUOCHI Il cuoco certificato | Rocco Cristiano Pozzulo 17 LA NEUROVENDITA Arriva il Natale, il segreto è far scartare | Lorenzo Dornetti 19 L’OLIO AL CENTRO L’olio nella mise en place | Luigi Caricato 21 LA DIGITAL TRANSFORMATION Come gestire le mance digitali dopo la Legge di Bilancio 2023 | Claudia Ferrero 23 SCIENZA E NUTRIZIONE Cercare l’equilibrio: parte seconda | Ferdinando A. Giannone 24 LA RIFLESSIONE Le controversie della Passione | Giulia Zampieri 28 L'ANALISI Lo stato dell’arte dei consumi fuori casa | Luigi Franchi 32 LA PASTICCERIA Achille Zoia | Simona Vitali 36 IL VINO Daniele Piccinin | Giulia Zampieri 39 GLI EVENTI Pane Nostrum, il Salone nazionale de i lievitati | Simona Vitali 42 LA DISTRIBUZIONE Un nuovo logo per Nigro Catering | Guido Parri 45 L'INNOVAZIONE Garum project | Luigi Franchi 48 LA FORMAZIONE Dove apprendi e vieni retribuito | Simona Vitali 50 AMODO LA RETE DEI RISTORANTI ETICI Octavin | Giulia Zampieri 53 I CONVEGNI La progettazione gastronomica come approccio multidisciplinare | Marina Caccialanza 56 IL TERRITORIO I Morsi di Joy | Simona Vitali 58 LA STORIA Carême, il primo chef di Francia | Alessia Cipolla 61 LE PERSONE Scaccomatto: lo chef Mario Ferrara ricomincia dagli Orti | Bruno Damini 64 IL TERRITORIO E LA RISTORAZIONE Giovani, virtuosi e affascinati dalle loro radici | Antonella Petitti 68 LA PRODUZIONE La Carne Salada Salumi Reali | Guido Parri 70 LA PIZZERIA La Grotta a Ventimiglia | Marina Caccialanza 72 LA PRODUZIONE Dalla terra alla tavola | Marina Caccialanza 74 LA PRODUZIONE L’importanza dell’abito | Marina Caccialanza 76 LA PRODUZIONE La magia del cestino del pane | Marina Caccialanza 78 LA PRODUZIONE La Filiera di Centro Carni Company: qualità e territorio le due parole chiave al cuore del progetto | Guido Parri 82 I LIBRI Visioni POP di Davide Oldani | Giulia Zampieri

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sala&cucina n. 74 novembre 2023 - Poste Italiane Spa - CN/BO - Edizioni Catering srl – Via Margotti, 8 – 40033 Casalecchio di Reno (BO) - contiene I.P. - costo copia euro 3,50

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Andrea Chiriatti

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Maurizio Urso

La Carta di Pietrasanta un documento per la ristorazione

N° 74 novembre 2023 EDITORE Edizioni Catering srl Via Margotti, 8 40033 Casalecchio di Reno (BO) Tel. 051 751087 – Fax 051 751011 info@salaecucina.it - www.salaecucina.it PRESIDENTE Benhur Mario Tondini benhurtondini@salaecucina.it DIRETTORE RESPONSABILE Luigi Franchi luigifranchi@salaecucina.it COLLABORATORI ESTERNI Luigi Caricato, Alessia Cipolla, Bruno Damini, Lorenzo Dornetti, Ferdinando Giannone, Rocco Pozzulo, Claudia Ferrero, Elena Monteverdi, Guido Parri, Antonella Petitti FOTOGRAFIE Archivio sala&cucina, Mauro Crespi, Bruno Damini, Carlo Fico, Giulia Nutricati, Deposit photo. * L’editore è a disposizione per eventuali crediti fotografici di cui si ignora la fonte

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La lettera aperta Luigi Franchi

direttore responsabile

Oltre i Gesti, il forum della ristorazione tenutosi a Pietrasanta (LU) e organizzato da Amodo, la rete dei ristoranti etici, con la collaborazione di sala&cucina, ha visto un parterre di esperti confrontarsi sulle problematiche che coinvolgono questo mondo professionale, arrivando a redigere un documento – denominato Carta di Pietrasanta – che vuole raccogliere altri contributi di operatori, associazioni e istituzioni, affinché si provi a dare, in modo unitario e condiviso, risposte certe al settore. È importante provarci, è fondamentale unificare linguaggi e obiettivi di un comparto che, mentre sta attraversando la sua difficoltà più grande, la carenza di risorse umane, è in rapida e costante crescita, come testimoniano i primi dati che emergono in questo scorcio d’anno, avvicinandosi ai 96 miliardi di euro di fatturato complessivo, superando quindi il dato pre-pandemia del 2019. La Carta di Pietrasanta è un documento che affronta quattro tematiche: il servizio di sala, il futuro della cucina italiana e del mestiere di cuoco, la formazione e il personale. Contiene alcune prime soluzioni a questi problemi, soluzioni indicate dal ricco dibattito che si è svolto proprio a Pietrasanta, nel corso di Oltre i Gesti. Non è un caso che a farsene promotore sia stata Amodo, la rete dei ristoranti etici nata proprio nel corso della pandemia per affermare che la ristorazione non è un moloch indistinto ma un insieme di professionalità di cui una parte ha ben chiaro quale è e sarà, negli anni a venire, il suo ruolo. Ma la Carta di Pietrasanta è anche un documento aperto, che vivrà del contributo di tutti coloro che hanno davvero a cuore la ristorazione italiana. Infatti sarà possibile sottoscrivere e integrare, con pensieri e parole coerenti, questo documento, traccia ideale per chi ha il potere di intervenire per migliorare le condizioni di lavoro, gli aspetti formativi, l’attrattività che esercitano le professioni della ristorazione. La Carta verrà inviata alle associazioni di categoria, alle organizzazioni scolastiche, alle istituzioni fino al massimo grado, e sarà a disposizione sul sito di amodo.salaecucina.it e su Chance.org per raccogliere le firme di adesione.

La carta di Pietrasanta Dopo Oltre i Gesti, il documento

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Tra qualche mese, nel corso della prossima edizione di Oltre i Gesti, valuteremo le reazioni a questa Carta sperando che, per una volta, si mettano da parte le voglie di essere i primi della classe, altrimenti non ci siamo. È necessario superare questi atteggiamenti, è importante che il settore trovi unità di intenti se vuole essere ascoltato e considerato, diversamente sarà inutile ogni tentativo di costruire “tavoli” ai ministeri. Tempo perso! Un comparto che vale 96 miliardi di fatturato, che dà lavoro a circa un milione di persone in 190.000 attività di ristorazione, che ha bisogno di almeno 250.000 persone in più, deve avere una voce forte. Per farlo deve pulirsi di tutte le storture degli anni passati, del nero, della malavita che vede nel pubblico esercizio il soggetto debole da sfruttare, e deve diventare un esempio trasparente, efficace, funzionale alla rappresentazione migliore del nostro Paese. Già molto è stato fatto, infatti la ristorazione italiana è una delle componenti del turismo internazionale, è necessario continuare su questa strada.

luigifranchi@salaecucina.it | novembre 2023

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L’editoriale Benhur Tondini

presidente sala&cucina

Quest’anno, molto probabilmente, la ristorazione, o meglio i consumi fuori casa, chiuderanno con un fatturato che si aggirerà intorno ai 96,5 miliardi di euro, superando la soglia degli 83 miliardi del 2019 e recuperando sul buco di circa 50 miliardi arrecato dalla pandemia. Un risultato eccellente che rende la ristorazione italiana uno dei driver di crescita dell’economia reale. Oltre ad essere uno degli elementi di richiamo del turismo, soprattutto straniero. Come cambia il mondo se pensiamo ai nostri emigrati dell’inizio del secolo scorso che, negli Stati Uniti, erano considerati dei pidocchiosi anche per il cibo che mangiavano. Ed è proprio perché il mondo è in continuo divenire che ritengo importante mettere l’accento su uno dei mestieri che ruotano intorno alla ristorazione e di cui si parla sempre troppo poco: quello del distributore. Un mestiere che sta cambiando pelle per il fatto che si deve stare al passo con i tempi. Un comparto che vale circa 30 miliardi di quei 96,5 di cui parlavo all’inizio; sono più o meno 4.000 i distributori che operano nel food service in Italia, a cui bisogna aggiungere i distributori di bevande. Un comparto su cui stanno mettendo gli occhi in tanti, a cominciare dai grandi gruppi e dalle multinazionali e questo deve far riflettere e spingere i piccoli e medi distributori a fare scelte di aggregazione per non restare schiacciati dalla dimensione e dalla forza dei grandi. Oltre a questa scelta ci sono altre cose da cambiare velocemente: una forza vendita che deve essere sempre più professionalizzante, che conosca i prodotti, le materie prime, su cui fare un grande sforzo di formazione perché oggi, quando si entra in un ristorante per raccogliere un ordine, il ristoratore e il cuoco scelgono sempre meno in base al prezzo più basso bensì in base alla qualità dei prodotti e, di conseguenza, la qualità ha bisogno di essere raccontata per essere riconosciuta. E il lavoro dell’agente di vendita sarà sempre più quello di testimonial della qualità, sarà quello di profondo conoscitore del mercato, delle tendenze. Finirà presto un modello distributivo di tentata vendita,

La distribuzione, un comparto in profonda trasformazione Clicca e leggi l’articolo sul web su camioncini che non riescono a governare e controllare la catena del freddo. I distributori seri sono anche quelli che hanno un corretto rapporto con la logistica, che investono nei loro magazzini aprendo o allargando gli spazi per le celle gelo, che sanno consegnare senza interrompere la catena del freddo, che non lasciano la merce fuori dal ristorante, magari sotto il sole. Questi sono solo alcuni degli esempi di questa professione che deve essere un aiuto al ristoratore, non un problema. Far parte, come distributori, di un grande gruppo significa poter contare su una rete di buyer, di dirigenti che applicano le tecniche di acquisto, comunicazione e marketing per garantire alle aziende associate quelle competenze fondamentali per poter stare sul mercato. Quando si è piccoli non si riescono ad acquisire queste competenze e si resta al palo fino a quando ci si accorge che il mercato che serviamo è cambiato. Ma quando arriva quel momento è già troppo tardi per salvarsi.

benhurtondini@salaecucina.it | novembre 2023

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Il confronto

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Oltre i Gesti a Pietrasanta Un dibattito ricco, pieno di spunti e soluzioni

Da sinistra, Alberto Santini, Giulia Battistini, Stefano Triuzzi, Enrico Cerioni

Amodo la rete dei ristoranti etici ha dato vita alla terza edizione di Oltre i Gesti, dopo le prime due edizioni pre-Covid tenutesi a Milano: un forum che si è svolto il 9 ottobre scorso a Pietrasanta (LU) per raccontare, con la voce degli esperti, i valori e le problematiche della ristorazione. Un comparto che, per diversi motivi, è estremante utile alla collettività: è, infatti, una componente essenziale del turismo, è una delle principali occasioni di convivialità, è cultura gastronomica, giusto per citare alcuni aspetti. La scelta di organizzare l’evento a Pietrasanta, grazie alla collaborazione di Filippo Di Bartola e dell’Amministrazione Comunale, è avvenuta per un motivo molto preciso: perché l’arte con la ristorazione ha molto in comune e perché noi siamo convinti che la bellezza dei luoghi sia un valore fondamentale nella vita delle persone e Pietrasanta, in quanto a bellezza, non è seconda a nulla! La giornata è stata intensa, ricca di riflessioni e di spunti sui quattro temi principali della ristorazione: sala, cucina, formazione e personale. Si sono già dette e scritte un sacco di cose su questi argomenti ma questo forum ha avuto l’ambizione di poter uscire dalle parole e andare ai fatti, indicare le soluzioni,

Autore: Luigi Franchi 10

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raccogliere tutto quello che è emerso dalla giornata in un documento – la Carta di Pietrasanta – su cui andare a coinvolgere altre associazioni e istituzioni per dare risposta alle problematiche di questo settore.

Come rendere attrattivi i mestieri di sala Dopo il saluto del sindaco di Pietrasanta, Alberto Stefano Giovannetti, che ha raccontato come la città d’arte si coniuga con la qualità della ristorazione, è iniziato il forum con il primo degli incontri: il tema verteva su come rendere attrattivi i mestieri di sala. A portare le testimonianze: Alberto Santini, direttore di sala Del Pescatore di Runate a Canneto sull’Oglio (MN), Giulia Battistini, maître di Trattoria da Lucio di Rimini, Enrico Cerioni, maître del Ristorante alla Lanterna di Fano (PU), Stefano Triuzzi, patron del Ristorante I Tre Tenori a Bianello (RE). Il moderatore ha iniziato con una riflessione sul fatto che dare valore alla professione significa renderla attrattiva, con una remunerazione giusta ma anche immagine, perché questi mestieri di sala avranno sempre bisogno delle persone e non dei robot o dell’intelligenza artificiale. Pensiamo solamente a due condizioni che sono fortemente umane e che si incontrano in questa professione: la capacità di muoversi in contesti sconosciuti perché cambiano ogni giorno e quindi la bravura di prevedere l’imprevisto. Creare un ambiente accogliente è il prerequisito perché quei piatti, quel vino, quell’esperienza che viene offerta sia goduta appieno. Un’accoglienza non ottimale ti mette nella condizione di gradire meno un cibo perfettamente confezionato. Quale formazione quindi? La competenza tecnica, ma soprattutto le competenze qualificanti proprie dell’essere umano. Il perfezionare sé stessi, avendo ben chiaro quello che questa professione richiede. Temi che hanno introdotto, con una serie infinita di doIl sindaco di Pietrasanta, Alberto Stefano Giovannetti

mande, gli ospiti: la scuola alberghiera cosa può fare di più in termini di didattica? Quanto conta un abbigliamento consono? Quanto è essenziale la passione? Cosa deve saper fare oggi un cameriere? Perché di un cuoco si sa tutto e di chi ti accoglie e accompagna durante la serata si sa poco o nulla? Cosa occorre per fare di questa professione un aspetto attrattivo? A questo hanno risposto, portando le loro storie professionali, gli ospiti e qui riportiamo, in estrema sintesi, le loro parole.

Le riflessioni Giulia Battistini ha raccontato come l’esperienza di frequentazione estera dei ristoranti di un livello superiore le ha fatto capire quali cose dovessero cambiare nel servizio di sala in Italia. “Nel nostro ristorante abbiamo fatto la scelta di lavorare pesce frollato e questo ci impone di dare risposte all’iniziale sconcerto del cliente che viene la prima volta. Risposte anche scientifiche oltre che tecniche e, per fare questo, abbiamo avviato dei percorsi formativi con biologi marini, nutrizionisti, esperti del settore. Alleggerendo però i toni, adottando la modalità romagnola di accogliere, la più informale e calorosa. Siamo uno staff composto da giovani che non superano i trentacinque anni, vogliamo che i nostri ospiti godano della serata che trascorrono da noi, anche per il fatto che molti arrivano apposta, da lontano, per provare la nostra particolare cucina, non possiamo sbagliare, non possiamo lasciarli insoddisfatti. Questo è il mantra che ci ripetiamo a vicenda dalla sala alla cucina. Come rendere attrattivo il mestiere? Facendo capire la quantità immensa di cose che si possono imparare e divulgare al mondo. E sono certa che la gentilezza dei gesti sia più illuminante di tanta esperienza tecnica. Questo mestiere è talmente vario che non ti permette di annoiarti mai”. Enrico Cerioni ha esordito raccontando le scelte che ha fatto in questi mesi: “Comincio dal dire come non rende-

Momenti del Forum

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La Carta di Pietrasanta un documento per la ristorazione

La ristorazione è un comparto che, per diversi motivi, è estremante utile alla collettività: è, infatti, una componente essenziale del turismo, è una delle principali occasioni di convivialità, è cultura gastronomica, è economia reale. Per questo è necessario dare risposte chiare ai problemi che affliggono il settore quali la scarsa attrattività delle professioni ristorative, la formazione come strumento indispensabile e la difficoltà al reperimento del personale. Amodo, la rete dei ristoranti etici e sala&cucina, magazine di accoglienza e ristorazione, ha avviato un confronto nel forum di Oltre i Gesti che si è tenuto a Pietrasanta (LU), da cui è uscito questo documento che viene inviato alle associazioni di categoria e alle istituzioni, oltre a essere divulgato sui media, dove sono indicate alcune soluzioni.

I servizi di sala La domanda è: Come rendere attrattivi i servizi di sala nei ristoranti in Italia? Innanzitutto è necessario creare un modello organizzativo, versatile ma fermo nei suoi principi, che tenga conto di un corretto rapporto tra lavoro e tempo di vita. Due giorni liberi alla settimana, doppi turni, rispetto e identità delle persone sono le prime azioni da mettere in campo. Formazione interna adeguata al livello del ristorante, stage retribuiti e indicazione

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sull’abito di lavoro quando la persona che serve al tavolo è uno stagista. Le persone, siano esse dipendenti o stagisti, che entreranno in sala, saranno seguiti con attenzione e cura, nel rispetto della loro condizione di apprendimento, con una particolare attenzione a un risultato: che vivano bene, con passione, il loro ruolo affinché ne parlino bene, in ogni occasione. Collaborazione tra istituti alberghieri e ristoratori per adeguare la didattica e permettere agli operatori professionali di entrare nelle scuole per raccontare esperienze concrete di lavoro.

La cucina italiana, come può e deve cambiare Questo è, forse, il momento più alto della cucina italiana, nel Paese e nel mondo, ed è quindi l’occasione per renderla ancora più adeguata ai tempi. Si mangerà sempre più spesso fuori casa, di conseguenza, è necessario che i cuochi e i ristoratori prestino maggiore attenzione alla qualità delle materie prime, da qualsiasi parte provengano, e al benessere psico-fisico; a questo proposito riteniamo che diventi indispensabile un rapporto costante tra i cuochi e i nutrizionisti, i medici, le organizzazioni medico-scientifiche. L’innovazione passa anche da qui, dall’offrire un modello di consumo che, insieme al piacere di star bene al ristorante, sia anche molto attento al benessere salutistico. Non dimenticare, anche, l’ascolto

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del cliente che, oggi, viaggia, confronta, porta emozioni di altri luoghi; il rispetto della nostra cultura gastronomica non deve restare legato a una tradizione antica ma aprirsi a nuovi gusti ed esperienze. È inoltre necessario che la professione del cuoco esca dalla condizione (mai sufficientemente riconosciuta) di lavoro usurante e diventi professione emblematica di un settore, quello della ristorazione, rappresentativo per il nostro Paese. Le cucine devono essere luoghi sempre puliti, con spazi adeguati e tempi di lavoro civili.

La formazione Riteniamo le scuole alberghiere fondamentali per dare continuità alla ristorazione italiana e pensiamo anche che sia deleterio sottoporle a riforme che continuano a sovrapporsi tra loro. Piuttosto chiediamo che quell’autonomia irrisoria concessa alla scuola diventi sostanziale, consentendo la gestione vera e propria (e non simulata) di strutture quali ristoranti, bar, piccoli hotel... che portino profitto e quindi respiro alla scuola stessa, dotata di un manager scolastico, dedito ad amministrare, che si interfacci fra dirigente e docenti. Quanto alla didattica esistono esempi virtuosi come il modello messo a punto dai due istituti professionali per l’enogastronomia e l’ospitalità di Seregno e Saronno, che riconosce agli studenti una certificazione europea (crediti professionali ECVET). Il credito europeo è come un passaporto: può essere letto, misurato, conteggiato in Italia come in tutte le altre nazioni della UE. Questo modello, messo a punto grazie al forte interscambio con Solidus Turismo, contempla un notevole incremento delle ore di laboratorio di quasi il doppio rispetto all’orario ministeriale e altre occasioni di formazione lavoro come la Bottega scuola per le piccole produzioni di nicchia (panetteria, norcineria, vinificazione, gelateria...)

che operano in sinergia con discipline teoriche. Fondamentale l’aggiornamento professionale degli insegnanti tecnico pratici (ITP).

Il personale Il problema non riguarda solo il settore della ristorazione, questo va detto. Occorre però un adeguamento delle condizioni di lavoro e di recruiting. Non servono annunci tipo Cercasi cameriere o Cercasi cuoco, non c’è più nessuno che voglia fare seriamente queste professioni che risponderà ad annunci così. Sono necessarie parole come trasparenza, progetto, coinvolgimento. Le persone scelgono i lavori anche in base a quanto si sentono coinvolte in un progetto, soprattutto in questo settore; scelgono la qualità della vita e non un semplice stipendio. È necessario spiegare con estrema chiarezza in cosa consiste il contratto di lavoro, quale compenso, quale ruolo, quale tempo libero si ha a disposizione. È fondamentale sviluppare un rapporto più concreto e solido tra operatori della ristorazione e associazioni sindacali e di categoria per conoscere come funzionano i contratti di lavoro e come scegliere i metodi più adatti per la selezione del personale. Occorre dare valore ai contratti integrativi aziendali che consentano di dare premi ulteriori in base ai risultati. Il costo del personale deve essere gestito con capacità imprenditoriale, sviluppando la conoscenza di come si determina, in modo preciso e tenendo conto di tutti i costi di gestione del ristorante, il food cost del piatto. È fondamentale dare valore a questa professione e non lo si fa con menu a pochi euro. E, infine, è indispensabile togliersi dalla testa che un dipendente abbia lo stesso impegno dell’imprenditore; la condivisione di un progetto implica anche chiarezza dei ruoli.

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Il pubblico

Il buffet pubblico organizzato dal Ristorante Filippo

re attrattivo il mestiere di sala; in sala ci sono nato, ho mosso letteralmente i primi passi da bambino, ho visto la fatica di questo mestiere, il rischio dell’annullamento dei rapporti personali e affettivi. E io non voglio arrivare a questa condizione di vita. Quindi prima di un colloquio con un potenziale collaboratore cerco di capire la passione che la persona in questione prova per questo mestiere; poi gli faccio vedere come lavoriamo e quale rapporto abbiamo con il nostro personale. Infine ho l’obbligo di rimettere mano agli orari di questa professione, da noi i ragazzi hanno diritto a due giornate di riposo settimanale. Infine abbiamo dato vita a una rete di 24 ristoranti a Fano dove condividiamo l’obiettivo di non farci concorrenza sleale, organizzando i giorni di chiusura e, dal punto di vista della ricerca di personale andiamo insieme nelle scuole alberghiere o agli eventi con una proposta omogenea e adeguata ai bisogni di oggi”. Stefano Triuzzi ha spiegato il suo esordio, alberghiero, lavoro a Londra, acquisizione di regole fondamentali per poter svolgere bene questa professione: “C’è troppa poca libertà in questo lavoro e pochissima considerazione delle persone coinvolte. Oggi siamo solo in due in sala nel nostro ristorante, probabilmente perché abbiamo trovato la condizione ideale per dare il servizio che noi vogliamo. Esiste un problema di didattica nelle scuole, ferma a trent’anni addietro. E questo è il primo aspetto da risolvere. Come rendere attrattivo il mestiere di sala? Probabilmente lavorando sulla comunicazione; cercando di dar vita a trasmissioni che riescano a esaltare il bello della professione. Una sorta di MasterMaître”. Alberto Santini, quarta generazione alla gestione Del Pescatore, tre stelle Michelin: “La nostra forza è data dal fatto che ogni generazione, dal 1925, ha portato al ristorante la propria visione garantendone la contemporaneità. Sia io che mio fratello siamo cresciuti nel ristorante, mangiavamo lì ogni giorno, i miei compagni di scuola venivano a mangiare con noi. In questo modo abbiamo capito tutte le dinamiche della ristorazione. Una delle cose che mi piace pensare è che i nostri collaboratori abbiano delle emozioni che accompagnano il lavoro e una delle cose che mi piace fare è cogliere quello che vogliono

e sanno fare: abbiamo una ragazza che lavorava in sala ma aveva una predisposizione per la pasticceria, l’abbiamo collocata nel suo mondo. Oggi per rendere attrattivi i mestieri di sala è necessario che le persone che vi lavorano stiano bene, in ogni occasione, cominciando da ciò che mangiano, con pasti equilibrati. Il passaparola resta ancora l’arma più potente per farci conoscere. Se noi iniziamo a far star bene chi lavora con noi, queste persone lo racconteranno, agli amici, alla scuola alberghiera dalla quale provengono, a tutti coloro che chiederanno qualcosa. Immaginatevi se un nostro dipendente anziché dormire in condizioni ideali e mangiare bene in orari consoni si trovasse in una camerata con altre dieci persone e mangiasse pastasciutte fatte alla bell’e meglio, non sarebbe certo un buon testimonial. Pensate se arriva a casa dopo diciotto ore distrutto cosa penserebbero i suoi genitori e cosa direbbero al bar. Si comincia da queste dinamiche ad avviare il cambiamento, poche cose come vedete, che ogni ristoratore può realizzare. Cominciamo tutti a fare la parte che ci compete. Da quando sono piccolo sento dire che le scuole alberghiere non formano gli studenti ma questo è un ragionamento troppo vasto, ogni scuola ha le proprie peculiarità. Sta anche a noi prendere i ragazzi che escono dall’alberghiero con molte nozioni accademiche e accompagnarli nel mondo del lavoro, spiegare loro che ogni ristorante è un mondo a sé, fare programmi interni di formazione, valorizzare le singole professionalità, creare il dialogo tra noi e le scuole alberghiere”. A questa sessione ne sono seguite altre tre - sulla cucina, sulla formazione, sul personale – oltre a due lectio, coinvolgendo oltre a Giulia Battistini, Enrico Cerioni, Stefano Triuzzi e Alberto Santini, Fausto Brozzi, Paul Bartolotta, Maurizio Urso, Filippo Di Bartola, Stefano Pistollato, Carlo Romito, Giovanni Guadagno, Marco Feruzzi, Filippo Sinisgalli, Niccolò Palumbo, Simone Rosetti, Andrea Chiriatti e Laura Roncaccioli. Le loro testimonianze verranno pubblicate sul prossimo numero di sala&cucina.

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(Fine prima parte – continua sul prossimo numero)


I cuochi Rocco Cristiano Pozzulo Presidente nazionale FIC

In occasione dell’ultima edizione di HOST 2023, conclusasi qualche giorno fa a Fiera Milano, nel nostro stand FIC Academy siamo tornati su un argomento che ci sta molto a cuore, delicato e tanto attuale. “La professione del Cuoco: mestiere usurante?”, questo il titolo della tavola rotonda, che abbiamo organizzato con alcuni nostri dirigenti nazionali FIC e con, interlocutore principale, il vicepresidente vicario del Senato della Repubblica, Gian Marco Centinaio. Già da diversi anni, infatti, stiamo portando avanti alcuni studi e ricerche con medici ed esperti di settore su centinaia di nostri associati intervistati e i risultati sono stati portati in Commissione Lavoro e dal sottosegretario di Stato per il Ministero del Lavoro, Claudio Durigon. Da tali dati emerge che non sempre le condizioni usuranti della nostra professione sono legate alla mole di lavoro della giornata o della serata, ma bastano spesso quelle due o tre ore di servizio particolarmente stressanti. Da qui, la nostra prima proposta importante: quella di creare la “doppia brigata”, che diminuirebbe già certi rischi e che viene applicata in altri Paesi. Altro aspetto fondamentale che abbiamo affrontato, quello del “cuoco certificato”, con la possibilità di creare un vero e proprio Albo o, se vogliamo, un Ordine che possa garantire la reperibilità di personale appunto qualificato, che sarebbe positivo sia per chi in cucina ci lavora sia per chi dei prodotti cucinati ne usufruisce, cioè i clienti e i consumatori finali. L’alto tasso di imprese nel mondo della ristorazione oggi in Italia non sempre è indicativo di cucina di qualità. Chi viene impiegato in queste cucine? Chi manipola e lavora gli alimenti che saranno consumati? Si conoscono i processi e le trasformazioni che il cibo subisce con le diverse tecniche di cottura. Grazie alla presenza e agli interventi del senatore Centinaio, come annunciato durante i lavori della tavola rotonda, potremmo fare in modo che questi argomenti molto attuali per la nostra professione vengano messi nell’agenda del Governo e del Parlamento. Lo stesso vicepresidente del Senato ha affermato che sarebbe buono e opportuno che ci fosse una legge che impone che in cucina a preparare e somministrare alimenti ci fosse un cuoco certificato. Per quanto la liberalizzazio-

Il cuoco certificato

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ne abbia i suoi indubbi vantaggi, può comunque creare delle storture. Ecco, nel mondo della ristorazione questi rischi di storture ci sono e ne possiamo pagare prezzi molto alti, come lo scarso reperimento di personale altamente qualificato. È chiaro che i risultati dei nostri studi portano in tale direzione e applicare queste proposte, la “doppia brigata” e il “cuoco certificato”, non porterebbe vantaggi solo a Federcuochi ma all’intera nostra categoria. Infine, ringrazio i nostri dirigenti nazionali FIC, che hanno riportato l’attenzione su alcuni aspetti fondamentali per le giovani generazioni di cuochi: innanzitutto, ritrovare la dignità e la bellezza di questo lavoro, che è una scelta di vita; essere consapevoli che è cambiato l’approccio con la professione, con le nuove tecnologie e con i nuovi metodi di cottura; abbandonare l’immagine dello chef star della tv e ritrovare un profondo legame con la realtà, per comprendere effettivamente quale sia la vera importanza di svolgere questo mestiere.

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Per amore della buona cucina, abbiamo esaltato i sapori della natura. Legumi, cereali, verdure: una linea completa di cotti a vapore, che garantisce agli chef ingredienti di alta qualità, genuini, buoni e pronti da utilizzare, senza sprechi e senza perdite di tempo. Scopri l’intera gamma su www.valfruttagranchef.it


La neurovendita Lorenzo Dornetti ceo Neurovendita

Arrivano le feste. Un momento fondamentale per il mondo del food & beverage. Ci sono pranzi che coinvolgono intere famiglie. Le aziende organizzano momenti conviviali con i propri collaboratori. Gruppi di amici festeggiano insieme. Voglio condividere uno dei principi chiave della Neurovendita per poi applicarlo al mondo della ristorazione. Parto da una premessa. Cos’è la felicità? I filosofi scriverebbero trattati. I poeti molte pagine ricche di pensieri. Per un neuroscienziato prestato al business come me, è un picco di dopamina. Tutti noi vogliamo clienti felici nel nostro locale. Mangiare stimola la dopamina nel sistema nervoso. Postare i piatti scelti sui social o fare stories con le foto delle persone con cui si condivide il pasto stimola la dopamina. Bere stimola la dopamina, inibendo la sua sostanza antagonista, la serotonina, riducendo la timidezza. Come possiamo fornire ancora un picco di dopamina ai nostri clienti? Possiamo usare il “principio di scartamento”. Una mole immensa di studi dimostrano che per il cervello l’atto di scartare qualcosa aumenta la dopamina. Il picco di dopamina avviene quando il cervello apre la confezione dell’oggetto. L’atto di togliere la carta ed il fiocco stimola la sostanza alla base della felicità. Ci sono interi prodotti che fondano la loro strategia di marketing sul concetto di scartamento. Basta guardare il successo commerciale delle bambole LOL per capire quanto la dinamica sia potente per il cervello. Le LOL sono state create da Isaac Larian. In pochi anni hanno battuto in termini di vendite Marvel e Barbie. Oltre 10 miliardi di dollari il giro d’affari. Le LOL diversamente dalle altre bambole che sono disponibili immediatamente aprendo la scatola, sono all’interno di una palla, la “blind bag”. Prima di arrivare alla bambola, la bimba deve interagire con sette strati di sorprese, portate a nove nelle ultime edizioni. Nel primo strato si trovano indicazioni di dove si trova la bambola nella palla. Nel secondo ci sono stickers

Arriva il Natale, il segreto è far scartare Clicca e leggi l’articolo sul web che la completano ed indicano cosa può fare. Negli altri sono posizionati gli accessori che la caratterizzano. Da molti anni si conosce che l’azione di scartare un pacco-regalo alza la dopamina nel cervello più della vista del regalo. Questa dinamica è esasperata nelle LOL. La bimba tocca la LOL come risultato finale di una serie di azioni di “scartamento”. Questo stimola la dopamina, la molecola della felicità nel cervello. La bambina non ha tutto e subito, ma apre, scopre, legge e solo alla fine ha la sua bambola. L’effetto wow è packaging. Come possiamo applicarla al mondo della ristorazione? Ci sono molti modi. Il minimo comune denominatore deve essere far scartare qualcosa al cliente. Ci sono molte modalità. Ad esempio, si può iniziare il pasto con un regalo da scoprire, o presentare il menù all’interno di una busta sigillata da aprire. Alla fine del pasto, si può offrire un dono per creare un ricordo memorabile. In definitiva, far sì che i clienti siano coinvolti nel processo di scartamento è una strada diretta verso la felicità. È la Neurovendita a confermarlo. | novembre 2023

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L’olio al centro Luigi Caricato oleologo

L’arte di apparecchiare la tavola è fondamentale. Non so quanto oggi si presti concretamente attenzione all’olio extra vergine di oliva in sala (a pensier mio ben poca), ma ciò che è evidente a tutti è la mancanza di una cultura del ménage, un tempo invece molto meticolosa e precisa. Oggi, a parte le eccezioni - e in particolare nei ristoranti di alto lignaggio - si trascura moltissimo la cura del set da tavola, quella relativa alla collocazione di olio, aceto, sale e pepe. Si trascura nel senso di una manifesta disattenzione per tali elementi, ritenuti a torto marginali perché finalizzati a una loro svelta utilizzazione. Si trascura il ménage anche nel senso di una vera e propria ripetuta sciatteria – non di tutti, però. Capita spesso di trovare bottiglie d’olio poste per lunghe ore sui tavoli in attesa che arrivi l’ora dei pasti nei luoghi turistici e di maggior flusso. Bottiglie esposte al sole, talvolta anche aperte. Capita ovunque, per carità. In Italia e all’estero. Sembra che certi elementi siano l’equivalente quasi di un segnaposto, di un oggetto qualsiasi. Ha senso tutto ciò? Non sarebbe più opportuno e lecito darsi delle regole? Non fosse altro che per garantire la qualità del prodotto. Al sole, o comunque, in una collocazione errata, l’olio, così come gli altri condimenti, si deteriorano. Non è forse il caso di riprendere le buone abitudini di un tempo, quando in un ristorante veniva riservata la massima attenzione al servizio in tavola? Un tempo ormai lontano si trovavano fantastici e scenografici ménage da tavola in argento, oggi si opta per soluzioni più disadorne e minimaliste, spesso piuttosto basiche. Non sarebbe invece il caso di rivedere la mise en place, seppure in un’ottica più aderente ai tempi, più pratica e snella, ma rispettosa delle varie materie prime? Questo tema, a me molto caro, sarà approfondito e indagato in maggio, in occasione del Forum Olio & Ristorazione a Milano: l’olio nella mise en place. In realtà tale pratica, per una serie di circostanze negative e infauste, sta pure scomparendo. L’unica occasione/eccezione è l’olio di intrattenimento e di benvenuto. A inizio pasto, prima di consultare il menu e in attesa della prima portata, si possono proporre gli oli in degustazione. E ci sono tanti modi per farlo. Con questa strategia da un lato scorre in modo

L’olio nella mise en place Clicca e leggi l’articolo sul web rapido e interessante il tempo dell’attesa e, in più, si dà l’opportunità al cliente di predisporre il palato ad accogliere le pietanze. È soprattutto in una simile logica ad aver senso la predisposizione di una “carta degli oli” in un ristorante, proprio perché funzionale. Cosa occorre fare? Lavorare sulla formazione del personale di sala. Perché l’olio va raccontato: bastano poche battute, quelle essenziali. Ci pensa il design a fare il resto. Secondo le direttive di una autorità in materia, l’architetto-designer Alessia Cipolla, il sommelier (o chi per lui) verserà l’olio come per il vino presentando l’olio da sinistra e versando la bottiglia con anti-goccia da destra, prestando attenzione al quantitativo. Il pane – chiarisce la designer – sarà sempre posizionato a destra o posto in un cestino facilmente raggiungibile dai commensali. Se servito in una piccola salsiera/ oliera, questa verrà poggiata sulla parte destra del coperto, nella posizione consona a tutte le salse a lato del bicchiere da acqua e da vino. Oppure – chiarisce Alessia Cipolla – potrà essere predisposto al centro del coperto un piatto a diversi scomparti adatti a ricevere più oli controllandone la quantità versata: si tratta di una degustazione, di conseguenza la quantità deve essere minima. Di questo e molto altro si argomenterà a Milano, in maggio, nel corso della settima edizione del Forum Olio & Ristorazione organizzato da Olio Officina, di cui la rivista “sala&cucina” è media partner.

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La digital trasformation Claudia Ferrero

Digital Strategist & Evangelist

Nel 2023 i pagamenti digitali nel settore della ristorazione sono aumentati del 44,4% rispetto all’anno precedente (Fonte: Osservatorio Caffè e Ristoranti Cashless 2023). Nel primo anno senza restrizioni legate alla pandemia, le transazioni cashless nei caffè e ristoranti hanno continuato a crescere significativamente su tutto il territorio nazionale, a dimostrazione di quanto esercenti e consumatori siano ormai a loro agio con queste modalità di pagamento. In primis i numerosi turisti internazionali che frequentano il nostro Paese, abituati a pagare qualsiasi importo con la carta e ben disposti ormai anche a lasciare le mance attraverso questi supporti. Non poteva quindi sfuggire al governo questo fenomeno che, con la legge di Bilancio 2023, ha introdotto alcuni provvedimenti importanti, con l’obiettivo di abbassare il carico fiscale da una parte e agevolare un’occupazione regolare nel settore della ristorazione, contribuendo all’emersione del lavoro nero dall’altra. In buona sostanza la novità è che le mance pagate al personale dei settori della ristorazione e dell’attività ricettive sono tassate in via diretta dal datore di lavoro / sostituto d’imposta con un’imposta sostitutiva di Irpef con aliquota del 5%, comprensiva già delle addizionali regionali e comunali. Una riduzione che potrà valere però solo entro il limite del 25% del reddito incassato nell’anno di riferimento e su quei lavoratori titolari di reddito da lavoro subordinato non al di sopra, nell’anno anteriore, a 50.000 euro. Per poter quindi gestire agilmente nuovi flussi di denaro, i gestori dovranno affidarsi a dispositivi per i pagamenti più moderni rispetto ai precedenti, in grado di raccogliere le mance direttamente con il POS e registrare ogni pagamento ricevuto. Grazie a questi supporti infatti non solo si possono gestire le mance in modo facile e intuitivo, ma anche creare un profilo dipendente e monitorare tutti i movimenti di cassa generati. Tra l’altro, questi strumenti sono utili anche per una gestione globale del personale perché rendono possibile: • •

la creazione di profili per ogni dipendente la gestione delle entrate e delle uscite

Come gestire le mance digitali dopo la Legge di Bilancio 2023 Clicca e leggi l’articolo sul web • l’impostazione di benefit e sconti Ovviamente al datore di lavoro spetterà poi di segnalare l’importo erogato sulla busta paga alla voce “erogazioni liberali” in quanto le cifre dovranno corrispondere con le entrate extra e al collaboratore indicare tali somme ricevute nella dichiarazione dei redditi. In ogni caso tutto ciò esula dal come dividere le mance con i dipendenti. Questo aspetto è ovviamente discrezionale e ogni attività può decidere le regole che più ritiene opportune. Probabilmente l’unico aspetto sul quale riflettere riguarda come dividere equamente le mance raccolte, dato che, anche coloro che lavorano dietro le quinte (che non hanno un rapporto diretto con i clienti), ricoprono ugualmente un importante ruolo nell’assicurare un servizio corretto e gradevole al cliente tanto da indurlo a lasciare la mancia. La questione è solo all’apparenza di poco conto. Dividere tra tutti i lavoratori le mance è senz’altro il modo più corretto di procedere, in quanto permette a chiunque nel team di vedere riconosciuto il proprio impegno ma ancora una volta la tecnologia viene in aiuto agevolando il rapporto di fiducia tra proprietà e collaboratori grazie ad una maggiore trasparenza e controllo. | novembre 2023

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Scienza e nutrizione Ferdinando A. Giannone Biologo e Nutrizionista Co-founder ARNAFOOD LAB

Abbiamo già visto in un articolo precedente che può essere molto utile analizzare o almeno prestare più attenzione nei piatti e/o nei menù alle caratteristiche di ogni ingrediente oltre a soli aspetti enogastronomici e ad esempio analizzare: sapore, colore, profumo, consistenza, parte del vegetale o dell’animale, categoria merceologica, caratteristiche nutrizionali, tipologia di cottura, contenuto di acqua, stagione, etc. Ritengo che questa tipologia di esercizio sia molto utile per bilanciare piatti e/o menù da diversi punti di vista, ma soprattutto sarà in futuro un valore aggiunto per coloro che nel mondo della ristorazione ne comprenderanno il potenziale e soprattutto ne sapranno comunicare il valore. Provate a pensare al gusto dei vostri piatti e ingredienti (amaro, dolce, acido, salato, umami), al loro colore (nero, blu-viola, marrone, rosso, arancio, giallo, verde, bianco e tutte le loro sfumature), alla loro consistenza (duro, croccante, morbido, gommoso, cremoso, liquido, etc.), alle principali caratteristiche nutrizionali (carboidrati, grassi, proteine, zuccheri, fibre, acqua, etc.), al tipo di cottura (crudo, marinato, fermentato, stagionato, sbianchito, saltato, brasato, arrostito, etc.) e a qualsiasi altra caratteristiche credete sia utile per analizzare un ingrediente o un piatto. Alcuni gusti, consistenze e cotture ad esempio possono essere più utili all’inizio del pasto poiché stimolano la digestione e attivano la salivazione; quindi come entrée e/o antipasto sarebbe interessante proporre il gusto acido e l’amaro, le sensazioni fresche e piccanti, le consistenze croccanti e liquide che obbligano a masticare e le cotture brevi o assenti che mantengano i colori accesi e gli ingredienti ricchi di acqua e fibre ma poveri di grassi e carboidrati. Ad esempio proviamo ad analizzare alcuni piatti che spesso mi è capitato di trovare tra gli antipasti: pensate ai pinzimoni, alle giardiniere, alle puntarelle alla romana, ai carpacci e alle tartare oppure alle olive e cremini all’ascolana, ai taglieri di formaggi e salumi del territorio, a gnocco e tigelle, alle frittelle di baccalà e alle frittatine… quindi cosa mettere effettivamente all’inizio del pasto? Sicuramente, all’inizio del pasto, meglio il primo gruppo di antipasti con acidità, amari, freschezze, elemen-

Cercare l’equilibrio: parte seconda Clicca e leggi l’articolo sul web ti crudi, croccanti e ricchi di acqua; mentre il secondo gruppo di piatti sarebbe più idoneo posticiparli in avanti nel menù, lontano dagli antipasti, poiché ricchi di grassi e carboidrati, sapidità e umami, colori attenuati, consistenze morbide e gommose, cotture aggressive e sapori intensi. Difatti iniziare un pasto con un antipasto misto, a base di salumi e formaggi, rischia di irritare la mucosa della bocca e leggermente di “bruciare” la lingua senza considerare la disidratazione e quindi la perdita di sensibilità nel gusto e nell’olfatto. Questo vale per gli accostamenti tra ingredienti nei piatti o sulle pizze, dove alternare almeno i gusti e i colori secondo regole ben precise, può aiutare da vari punti di vista: pensate a una pizza con zucca, cavolo nero, ricotta e nocciole rispetto a una con pomodoro, crudo, parmigiano e aceto balsamico; oppure pensate a una pasta con broccoli, salsiccia, zafferano e scorza di limone rispetto a quella condita con radicchio, gorgonzola, speck e noci; e questo studio sarebbe ancora più utile quando si tratta di abbinamenti tra portate nei menù fissi dove anche solo una “progressione ragionata” di gusti, colori, consistenze e cotture darebbe la possibilità di apprezzare al meglio tutti i piatti dall’antipasto al dolce. E ricordate che ogni tanto osservare i vostri piatti e più in generale il lavoro del ristoratore da diverse angolature e con occhi diversi è utile e necessario anche rispetto alla sostenibilità delle risorse e all’impatto ambientale… al prossimo mese! | novembre 2023

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La riflessione

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Autrice: Giulia Zampieri

Anna Maria Pellegrino

Le controversie della Passione Riflessioni sugli abusi e le errate interpretazioni di questa parola nel nostro settore Nell’ultimo mese ho prestato molta attenzione ai contesti in cui viene impiegata la parola passione nel mondo del cibo e dell’ospitalità. Tutto è nato da una sequenza di post, rintracciati sui social, in cui cuochi o responsabili di sala ostentavano questo termine per raccontare un traguardo appena raggiunto (l’inserimento in una guida, l’uscita di un nuovo menu, il ricevimento di un premio). Non ci è voluto tanto per registrare la stessa tendenza oltre che sul digitale anche sul piano reale. Su insegne di locali e botteghe, sui furgoncini trasporta-cibo, nei menu di ristoranti e pizzerie… sono sufficienti un paio di giorni con gli occhi vigili per trovare almeno dieci esempi di attività “fatte con passione”.

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Giovanni Solofra e Roberta Meroli


Ristorante Toscano

Da qui la domanda: possibile che la narrazione di questo settore sia così povera di vocaboli? Possibile che ci si sia così tanto omologati nel linguaggio, nei contenuti, nel modo di definire la propria professione? E poi, quanto si sa effettivamente della parola passione?

L’utilizzo è proprio o improprio? Partiamo da quest’ultimo quesito: quanto se ne sa. Ho chiesto ad Anna Maria Pellegrino, gastronoma, cuoca, docente, presidente dei food blogger italiani e consigliere Apci, di ragionarci assieme. “Inizierei dal significato primo del vocabolo. Treccani dice che, nell’uso comune, la passione è un sentimento intenso e violento (per lo più di attrazione o repulsione verso un oggetto o una persona), che può turbare l’equilibrio psichico e le capacità di discernimento e di controllo. Insomma, qualcosa che è in grado di domarci, come ci racconta il suo senso etimologico, estremamente intenso. Non è un’espressione positiva, c’è una componente di sregolatezza, di sofferenza, a cui tendenzialmente non si bada” mi fa ragionare subito Anna Maria. Mentre parla il pensiero va alle cucine e alle sale dei ristoranti italiani: quanti si sono fatti sopraffare dalla passione per il proprio lavoro negli scorsi anni? Quanti hanno trascorso - o continuano a trascorrere - un numero sconsiderato di ore con la divisa senza ritagliarsi il tempo per fare dell’altro? Ci tengo a specificare: è inopinabile che questo sia un settore che merita dedizione, impegno, tempo, ma non deve rappresentare un buco nero, una scatola chiusa

Il menu plastificato

in cui non si fa entrare nient’altro. Oggi una fetta di ristorazione ci sta dimostrando che una gestione appassionata ma più umana, più equa, di queste professioni, è possibile. Una gestione che lasci spazio anche ad altri interessi, che dia la possibilità di vivere una vita anche fuori dal contesto di lavoro. Se si riconduce la propria esistenza a un solo ambiente, a un solo “argomento”, si rischia di perdere linfa e stimoli, e magari di sviluppare una repulsione proprio verso quel lavoro e quel contesto. “Dobbiamo dire che la parola passione oggi ha acquisi| novembre 2023

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to un valore più ampio” - continua Anna Maria. “Molti definiscono passione un forte interesse per qualcosa. In cucina, in sala, negli alberghi, l’utilizzo della parola passione è dilagato tanto negli ultimi anni. Talmente tanto che a volte si può avere l’impressione che sia vuoto di significato”. Concordo con Anna Maria. Ci darebbero ragione i numeri. Se potessimo contare quante volte compare il termine passione nei claim delle attività di ristorazione, nelle brochure, nelle interviste, a volte persino nei curriculum vitae, saremmo senza dubbio di fronte a un quantitativo esorbitante. E qual è l’inevitabile conseguenza? Non c’è più valore.

Questo è già un invito per chi vuole dimostrarsi originale nel comunicare al pubblico il proprio impegno: ci sono centinaia di altri modi per raccontare ciò che si fa e perché lo si fa.

L’altra faccia della passione Oggi c’è una narrativa controversa che inquadra la cucina e il lavoro del cuoco. La analizza ancora, puntualmente, Anna Maria: “Pensiamo ai programmi televisivi che riguardano la cucina e all’antitesi che esprimono. Sembra che l’obiettivo sia raggiungibile solo se si passa da corridoi difficili, per esempio l’umiliazione, il sacrificio oltre

Mise en place anni '70

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Vecchie Insegne

misura, la sottomissione gerarchica. È un modo di raccontare l’ambizione, e il percorso per raggiungerla, estremamente negativo. Oltretutto riconduce il tema della cucina a uno spazio assolutamente personale, non comunitario, non di condivisione”. Come sottolinea Anna Maria, quello veicolato dai media è un percorso che spesso genera repulsione, più che attrazione. Archiviato il fenomeno mediatico, estinto il cosiddetto fenomeno - Masterchef, cosa resta? È davvero diventato un impiego attrattivo quello del cuoco? Si è riusciti a trasferire un’immagine positiva, arricchente di queste professioni? “È sicuramente impopolare ciò che dico ma di fatto il cuoco di oggi è un soggetto molto narcisista. C’è un accentramento dei temi e dei messaggi, un’idolatria spropositata. Le cucine sono diventate nell’ultimo ventennio racconti personali più che contenitori di gesti per gli altri. È il contrario di ciò che ha espresso la cultura culinaria nei secoli scorsi, in cui si cucinava per gli altri dando valore al prodotto, alla commemorazione, alla dimensione culturale del cibo. Fare con passione prima era far per l’altro. Oggi frequentemente è fare per raccontare qualcosa di sé”.

Un altro fatto (grave): la non corrispondenza Se nella ristorazione di alta fascia e nelle cucine d’au-

tore non è così raro trovare questa tendenza accentratrice, con la passione che diventa più un fine personale che un interesse verso il piacere altrui, anche in altre forme di ristorazione più semplici - la trattoria, l’osteria - ci può essere un’interpretazione sbagliata del termine passione. Peggio: una mancata corrispondenza con i fatti. Penso ad alcune insegne in cui si entra, si prende posto, si sfoglia il menu. Nella prima pagina compare “una storia di passione dal 1970”. Poi si iniziano a raccogliere i dettagli in prossimità: il menu è rilegato in malo modo, sgualcito nella copertina e rivestito in plastica. Sul tavolo poggia un cestino del pane assemblato alla bell’e buona. La tovaglia è plastificata e unta. Il cameriere risponde frettolosamente, seccato e non ci sono opzioni per intolleranti e allergici. “Passione in un’attività di ristorazione deve far rima con la parola attenzione. Quando ci si dichiara appassionati si sottintende che ci sia occhio, cura, accudimento, in quel locale. Badate bene non è necessario avere il tovagliato in lino o chissà quali adorni di fiori sul tavolo. Sono sufficienti le attenzioni, nel piatto e nel servizio. La musica che rispetta le conversazioni, i gesti del personale, la seduta adeguata, il pane buono e invitante… sono queste le cose che danno il senso della passione. È così che si racconta un luogo e una professione vissuta con intensità emotiva, trasporto”.

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L’analisi

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Autore: Luigi Franchi

Lo stato dell’arte dei consumi fuori casa Diverse analisi per tracciare il mercato nel 2023 L’estate appena trascorsa ha segnato alcune tendenze nei consumi fuori casa che necessitano di essere spiegate con la logica dei numeri e con le parole di Bruna Boroni, direttore away from home di Tradelab, la società che monitora costantemente il mercato del fuori casa italiano. “Sappiamo che è un mercato interessante per la crescita costante che ha avuto in questo terzo millennio, arrivando agli 85 miliardi di fatturato nel 2019. Poi c’è stata una fortissima battuta d’arresto causata dalla pandemia di Covid-19 dove il mercato è crollato di circa 50 miliardi e uno straordinario 2022 dove si è tornati, in termini di viste e fatturato ai livelli del 2019. Questo 2023, che ha visto un’estate con alti e bassi, vede, fino ad oggi, il numero di visite assestarsi su un +0,7% e un valore economico che segna un +5% rispetto al 2022, con una crescita dello scontrino medio per visita (bar, ristoranti, pizzerie) che è passata da 9,9 euro a 10,2 euro, con un +3,10%. Un risultato sicuramente rassicurante ma inferiore alle 28

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aspettative che ci eravamo fatti rispetto al 2022” afferma Bruna Boroni di Tradelab.

Quanto incide l’inflazione L’inflazione si sente anche in questo mercato, verso il 2019 siamo a un +15%, mentre ora si attesta su un +6%. Questo, insieme ad altri fattori, ha determinato il periodo più difficile del mercato nei mesi estivi: a luglio un -5,5%, ad agosto un -9,3%, a settembre un -2,5%. I motivi veri di questo rallentamento sono stati senza dubbio una serie di fattori negativi: l’aumento dei prezzi, l’inflazione ma soprattutto un numero elevato di italiani che, a differenza dello scorso anno, hanno fatto vacanze all’estero. Stiamo parlando di circa 1,4 milioni di persone che hanno scelto destinazioni estere spostando circa 275 milioni di euro. Di contro sono arrivati più stranieri a riequilibrare la bilancia del mercato: 6 milioni di stranieri che hanno portato 600 milioni di euro di consumi fuori casa. Questo ha determinato una chiusura del bilancio estivo a un -5% il numero di visite e un -1,6% di valore di mercato, sempre in confronto allo scorso anno. Di conseguenza l’anno chiuderà, con ogni probabilità, a 96,5 miliardi, con un +0,4% a visite e un +4% a valore.

mento permanente del budget familiare quale spesa per consumo aumenterebbero? Per il 67% i viaggi, per il 51% i ristoranti, bar, winebar, per il 31% abbigliamento, per il 23% tecnologia”. Mentre c’è una forte potenza attrattiva dei consumi fuoricasa, di contro c’è anche l’insidia delle esperienze negative, come è capitato a chiunque, pertanto se vogliamo che i dati sopraelencati restino tali dobbiamo fare attenzione: i più critici sono le persone tra i 25 e i 44 anni, i laureati, le persone con medio-buona disponibilità economica. Cosa cercano queste persone nell’esperienza di consumo fuoricasa? “Innanzitutto la qualità e l’originalità dei cibi e delle bevande come fattore decisivo, seguito dall’empatia e preparazione del personale e solo al terzo posto un buon rapporto prezzo-qualità. Per i più alto-spendenti, tra le giovani generazioni, riveste particolare importanza la qualità del servizio, l’atmosfera che si vive nel locale. Nel dettaglio il 34% ci dice cibo e bevande, il 66% ci dice che sono un mix di esperienze a determinare il successo di

Come si evolve il mercato Nel breve periodo il 73% degli italiani considera il consumo fuoricasa un momento di benessere a cui, nonostante la crisi, nessuno di noi è disposto a rinunciare. “Nel lungo-medio periodo abbiamo chiesto agli italiani – spiega Bruna Boroni - se beneficiassero di un incre-

Bruna Boroni

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Dall'interno

Sala con Albero Genealogico Gastronomico

un locale” prosegue Bruna Boroni. La risposta di questo mercato non può, quindi, essere il prezzo basso; la complessità del settore è ben diversa da quella della grande distribuzione, dove si va avanti con promozioni e tagli di prezzo, e il low-cost contrasta con la richiesta di qualità e belle esperienze. Tutti gli operatori della filiera away from home devono essere consapevoli di questi dati e fare, ognuno, la propria parte. La sfida, in un mercato resiliente ma che deve costantemente attrarre i propri clienti, passa attraverso il prodotto, e qui entrano in gioco le aziende produttrici, che deve essere sempre più diverso da quello che si consuma in casa; sempre più italiano perché il tema dell’italianità è diventato importante nel post-Covid; un prodotto che deve unire piacere e salute perché gli italiani sono sempre più attenti a quello che consumano ma che non deve essere punitivo dal momento che il ristorante è il luogo prescelto per la convivialità. Inoltre c’è il tema della presentazione: se vado fuoricasa voglio che il piatto mi sia servito in un certo modo, con un adeguato story-telling. Quindi, se qualcuno pensa che il menu digitale possa sostituire i nostri amati camerieri si sbaglia di grosso.

di Host, racconta della crescita del ’senso di comunità anche fuori casa tra le persone: il 72% degli intervistati si aspetta che i ristoranti siano sempre più inclusivi e soddisfino anche chi ha diete o esigenze alimentari differenti. Un obiettivo raggiungibile con un miglior utilizzo della tecnologia (indicata come utile dal 56% degli intervistati). Infine una riflessione sull’innovazione in cucina, ovvero della contaminazione positiva tra e diverse visioni culinarie: in questo caso è emerso che la ristorazione in Italia è vissuta, dal 36% degli intervistati, come troppo tradizionale rispetto all’estero dove la contaminazione delle cucine è decisamente più forte e il 48% delle persone vorrebbe più innovazione su sapori e ricettazioni.

Il report di Deloitte Foodservice Market Monitor

Un altro rapporto, di Circana, presentato in occasione

Frontiere evolutive per il foodservice è l’interessante report di Deloitte che evidenzia, secondo le dichiarazioni di Tommaso Nastasi, partner e value creation service leader di Deloitte Italia, come “La pandemia ha modificato i gusti dei consumatori che sono sempre più attenti ai temi legati alla sostenibilità, mostrando maggior interesse verso le soluzioni Plant-Based e ai prezzi, per via della forte inflazione registrata nel 2022. Anche la diffusione del lavoro ibrido ha sensibilmente modificato le abitudini dei consumatori, che prediligono consumare pasti fuori casa nell’orario serale piuttosto che a pranzo. Infine, la ripresa del turismo ha dato un notevole contributo alla ripresa del mercato della ristorazione, aumentando i flussi di visitatori, più propensi a spendere. Per adeguarsi alle mutate preferenze dei consumatori, gli operatori stanno adattando la loro value proposition sia in termini di innovazione di prodotti, per esempio introducendo più opzioni vegetariane e Plant-Based, che di customer experience, attraverso l’uso di strumenti digitali”.

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Il tema della comunicazione Tutti gli operatori della filiera devono comunicare, anche attraverso il fuoricasa, tutti quei temi che oggi sono particolarmente importanti, a cominciare dalla sostenibilità che vale per il prodotto ma ancora di più per il punto di consumo. Saranno privilegiati quei luoghi dove il gestore, o il proprietario, si impegnano ad avere cura del locale, sia dal punto di vista estetico sia sostenibile. Per i giovani, in particolare, il punto di consumo, quel bar, quel ristorante, diventano il luogo dove è possibile costruire relazioni.

La tradizione?



La pasticceria

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Autrice: Simona Vitali

Achille Zoia

Le stagioni portano con sé inevitabilmente consuetudini, così dall’autunno all’inverno assistiamo da un po’ d’anni a questa parte a un’iperproduzione di panettoni e a una colorita pioggia di concorsi a tema che, nel tentativo di superarsi l’un altro, vengono caricati di aggettivi superlativi, dove il più diffuso è “mondiale”, bastevoli a far entrare il consumatore in uno stato confusionale. Ma come “Non era quello il campione del mondo? E questo da dove salta fuori?”. Hanno ragione anche loro dal momento che il mondo è uno solo, e pure molto esteso, e non sarà certo un piccolo nugolo di partecipanti ad un concorso a rappresentarlo! Quando si arriva a simili punti è chiaro che la parola d’ordine sia ridimensionare, ricondurre a ragionevolezza gli eccessi. Può essere un utile esercizio in questo caso tornare a chi ha segnato uno scatto evolutivo per il panettone artigianale, aprendo le danze al panettone moderno. Quello sì che è stato un traguardo, un punto segnato per tutti, dal momento che chi ha fatto questo passo non lo ha tenuto per sé ma lo ha condiviso, per la crescita dell’intero settore. Se c’è un pasticcere, un maestro pasticcere, amato all’unisono dai colleghi, da nord a sud dell’Italia, quello è Achille Zoia. Sono in tanti, fra i volti oggi più noti, ad aver fatto propri l’approccio tecnico-scientifico da lui messo a punto e pure le sue ricette. Il tutto trasmesso instancabilmente in 40 anni di consulenze

Cosa significa crescere professionalmente

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in giro per lo Stivale e 25 anni di corsi tenuti in Cast Alimenti. In quanti sono passati dal suo sguardo rigoroso!

I pomeriggi, quelli belli Abbiamo trascorso un intero pomeriggio in compagnia della mente vivida del maestro Zoia, dei suoi ricordi scanditi come i minuti di un orologio, del qui e ora fatto di meravigliosi impasti che ancora oggi cura personalmente per la Boutique del dolce, la sua storica pasticceria (ora gestita dalla figlia e dal genero) che ha sede a Concorezzo (MB) e Cologno Monzese (MI), le lettere di gratitudine dei suoi allievi (i giovani che vogliono imparare sono la sua vera passione), le caricature accettate di buon grado e le sue epiche battute, sinonimo di grande acume, a stemperare il rigore di un mestiere che non concede sconti. E poi foto pazzesche, introvabili, che lo ritraggono in situazioni importanti e insieme al compagno di avventure di una vita e amico fraterno, Iginio Massari. E che sia chiaro che ciascuno dei due ha camminato Sa sinistra Achille Zoia con Iginio Massari, agli albori della loro amicizia

con le proprie gambe, delineando un percorso personale fatto di intuizioni che non di rado hanno trovato convergenza in iniziative comuni. Non è ben definito se il concetto di professionalità debba necessariamente includere anche la clausola della non ostentazione, ma di certo quest’ultima conferisce a chi esercita un mestiere una sorta di stile ed eleganza facilmente identificabili, proprio perché sempre più rari. Ed è a partire da queste basi che Achille Zoia ha costruito un solido percorso professionale, di cui vale la pena ripercorrere le tappe più significative, per comprendere come abbia improntato il suo approccio alla pasticceria, in particolare agli impasti di cui è divenuto indiscusso maestro (per alcuni mago, alla stregua di un piccolo chimico).

Piccoli inediti nella storia di un professionista Ha solo 12 anni Achille quando inizia la sua esperienza nel mondo dolce, prima con il padre, poi insieme allo


I giovani, la vera passione di Achille Zoia

zio nella prestigiosa pasticceria Baracca di Milano. La sua formazione prosegue nelle più grandi pasticcerie di Milano (Tarchiati, Porati, Frontini...) per poi rientrare a casa e prendere le redini dell’attività di famiglia. Si sposa e inizia a farsi strada l’idea di trovare spazi più adeguati per un’attività che è in crescita. Conosce il proprietario di un panificio industriale nei paraggi della sua pasticceria che sta spostando altrove la produzione e gli mette a disposizione il suo laboratorio per entrare in società. Il sodalizio si interrompe dopo un triennio e Zoia si ritrova, con moglie e tre figli, senza la possibilità economica di aprire una sua pasticceria. Parlando con un rappresentante della Van Den Berg Pasticceria (una delle divisioni alimentari di Unilever) si propone per lavorare come tecnico alimentare per quell’azienda. Viene convocato e, dopo una serie di test, confermato nel ruolo di tecnico (altrove denominato anche dimostratore). Dopo un periodo di formazione di 3/4 mesi all’interno dell’azienda dove, come è solito dire, gli insegnano a “vedere l’erba dalla parte delle radici”, lo affiancano a un tecnico esperto per poi fargli intraprendere la sua strada. “Entrando nel merito delle dimostrazioni - ci racconta - decido di aumentare la quantità dei miei impasti, che secondo le regole dell’azienda si doveva attestare attorno al kg, dal momento che i miei interlocutori non sono più il singolo pasticcere ma aziende con una 15/20 collaboratori. Questa mia iniziativa viene talmente gradita che in azienda arrivano lettere in cui i clienti esprimono la loro soddisfazione. Un giorno il Ceo in persona, di cui c’era una certa soggezione, viene a complimentarsi con me per i positivi riscontri che l’azienda sta ricevendo e, al tempo stesso, mi ricorda che io sto trasgredendo. Prontamente gli porto le mie motivazioni. In tutta riposta mi invita a cena a casa sua la sera stessa. Immaginabile la reazione dei colleghi, per non parlare degli ispettori a cui eravamo sottoposti. Altre volte sono stato invitato a cena

da lui. Nel frattempo guadagno sempre più terreno fino a diventare il primo dei dimostratori. Intanto Iginio Massari, che a quell’epoca è alla Star ed è un signor dimostratore, nel senso che si è ritagliato un suo autorevole spazio anche lì arrivando a dialogare con il proprietario come se fosse suo fratello, a forza di imbattersi in aziende che gli dicono ‘Noi siamo già con Zoia’ matura l’idea di farmi diventare suo collega, ottenendo l’ok dalla proprietà per propormi l’assunzione. Io accetto ma tribolo non poco a licenziarmi: ci impiego un anno. Mi ritengo fortunato ad aver fatto questo passaggio perché è da lì che Iginio è diventato mio grande amico. L’amicizia maturata con lui, con Maria e tutta la famiglia mi ha gratificato per tutta la vita. Siamo ancora come fratelli”. Nel 1971 Iginio apre la pasticceria Vittorio Veneto a Brescia. Qualche anno dopo, nel 1974, è la volta di Achille con la Boutique del dolce a Concorezzo (MB).

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La svolta professionale di Achille Zoia “Se non avessi avuto l’opportunità di lavorare come tecnico alla Van Den Berg – lo dice a chiare lettere Achille Zoia – sarei certamente potuto diventare un bravo pasticcere (considerando anche le esperienze pregresse in importanti pasticcerie milanesi) ma senza le nozioni che ho adesso. Essendo sempre a contatto, in quel contesto, con figure in grado di dare spiegazioni scientifiche e di dimostrare che ogni azione provoca una reazione (quindi il perché di ogni processo), ho capito cosa volesse dire produrre con simili riferimenti e tutta la vita l’ho dedicata allo studio. Mi sono sempre fatto accompagnare da grandi professionisti. Non mi sono mai spacciato per quello che non sono. Anche in CAST Alimenti non ho mai fatto un corso senza avere al mio fianco una figura di supporto scientifico. Perché si può diventare bravi a fare una sfoglia senza sapere cosa si stia facendo. E non conoscere il motivo per cui una frolla sia friabile... non parliamo poi della complessità del processo di lievitazione...”


L’evoluzione del panettone Non sono poche le creazioni rivoluzionarie di Achille Zoia, per quella sua innata vocazione a sperimentare e ad avventurarsi in terreni difficili, ma quando ti conforta la conoscenza puoi arrivare a risultati insperati. Grazie a lui è avvenuta quella che è universalmente conosciuta come l’evoluzione del panettone, o se vogliamo la nascita del panettone moderno, il citatissimo Panettone Paradiso “nato per causa di forza maggiore” come ci racconta Zoia, sul finire degli anni ’70, una data cha da sola la dice lunga... “Davanti alla mia pasticceria – racconta Zoia – avevo un salumiere che vendeva panettoni Besana a tonnellate. Quando ho aperto l’attività ho pensato che avrei potuto fare qualcosa di più buono. Ho così realizzato 60 panettoni, tipo Milano, vendendone però solo 40. Il secondo anno mi è toccata la stessa sorte. Ho detto così a me stesso che di panettone Milano non ne avrei più fatto. Ho iniziato quindi a fare prove. È nato un panettone più ricco del Milano (un tripudio di zucchero e burro, con gherigli di noce spezzettati, uvetta passa extra e gocce di cioccolato fondente) ricoperto da mandorciocco nocciolato (una golosa glassa di zucchero, mandorle, nocciole e poco cacao), che inizialmente viene chiamato panettone di Concorezzo (MB) poi, con l’apertura di un nuovo punto vendita a Cologno Monzese, diventa panettone Paradiso, giusto per quella ricchezza di ingredienti che richiama la torta Paradiso”. Dicevamo che la grande maestria di Achille Zoia si esprime nei lievitati. Fra i suoi accorgimenti ce n’è uno che è stato subito poco compreso e poi è diventato pratica abituale, ed è il fatto di aggiungere ad ogni kg di farina un grammo di lievito di birra, nonostante la presenza di lievito naturale. All’epoca qualcuno diceva “Ma chi è Zoia, quello che fa il panettone con il lievito di birra?”. Tre anni fa i francesi hanno legalizzato che tre grammi di lievito di birra su un kg di farina non interagiscono assolutamente con il lievito naturale. “Serve soltanto ad attivare la lievitazione, tanto poi il lievito naturale nella sua

trasformazione lo annienta” spiega il maestro pasticcere. Vogliamo citare un’altra delle sue sorprendenti invenzioni l: il babà in 15 secondi. “Premesso che – spiega Zoia - per l’originale occorre una giornata (e in questo Iginio Massari è davvero imbattibile), a me è venuto in mente di fare un impasto liquido, mettendo tutti gli ingredienti nel carter per amalgamarli velocemente e poi trasferire il tutto in un sac à poche, riempire gli stampi e via in forno”. E aggiunge ridendo:” Quando in CAST Alimenti me l’han visto fare si sono tutti spaventati!”.

Cresci, l’arte della pasta lievitata A segnare una sorta di spartiacque fra l’industria e l’artigianalità nella produzione di pasta lievitata arriva a un certo punto un libro, Cresci, che Zoia scrive a quattro mani insieme a Massari, svelando con grande generosità i segreti dei lievitati, tra nozioni scientifiche, preziose ricette e splendide foto. Un piccolo capolavoro, ancora di grande attualità, che ha meritato il prestigioso premio “The world cup book” presso la Fiera francese di Perigeux ed è stato tradotto anche in inglese e ristampato tre volte. “Con Iginio abbiamo inteso fare quello che la Van Den Berg ha fatto con me: aprire la coscienza delle persone insegnando loro una metodologia di lavoro con le innovazioni delle nuove ricette”. Lo stesso titolo del libro nelle intenzioni degli autori intende richiamare due significati: “lievita” ma anche “evolviti” una sorta di sprone ad aumentare la propria competenza. “Da quando è uscito Cresci – confessa Zoia – ho iniziato a fare il panettone Paradiso anche in giro per l’Italia. Questo ha contribuito a farne esplodere la nomea. Ancora oggi mi occupo personalmente di realizzarlo per la Boutique del dolce. Il lievito lo curo io e non mi fermo a tenerlo a una temperatura preconcetta (28°) ma arrivo a portarlo anche 32°,33°,34°perché possa sviluppare tutti i profumi possibili”. Che dire? Di un simile professionista si andrebbe avanti a scrivere a oltranza ma ce n’è a sufficienza perché, proprio a partire da questa lezione di professionalità vera, meditiamo e ripensiamo agli eccessi a cui assisteremo da qui a Natale.

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Il vino

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Autrice: Giulia Zampieri

Daniele Piccinin Di suoli vivi, rispetto territoriale e Durella, in Lessinia Questa rubrica dedicata al vino, pur avendo accolto vignaioli con diverse storie e collocazioni geografiche, pare attraversata da un filo rosso comune. Un aspetto che lega tutti gli intervistati è il focus delle conversazioni: non si è parlato solo di bottiglie, annate, note di degustazione. È venuto spontaneo concentrarsi su altre tematiche: sul pensiero in campo, sulla natura, la circolarità, la sostenibilità delle produzioni. Questo è un grande indicatore narrativo. Ci ricorda che, se lo si vive come si dovrebbe, il vino è un prodotto agricolo e culturale, prima che una bevanda che crea brio e accompagna il pasto. Ne abbiamo parlato anche con Daniele Piccinin, un nome noto del panorama vitivinicolo veronese.

Chi è Daniele Daniele Piccinin è vignaiolo dal 2006. La sua azienda, Muni, è nata a San Giovanni Ilarione, in Lessinia, in una fascia territoriale particolarmente vocata alla coltivazione della vite, sia per l’altitudine lieve (tra i 300 e i 500 metri) che per l’esposizione verso sud/sud-est. Alla prima vendemmia le uve raccolte erano Durella, una varietà locale, e Chardonnay. Daniele, però, nasconde un passato da cuoco e ristoratore. E da qui parte la nostra conversazione.


Daniele Piccinin

“Il cibo e il vino hanno parecchie cose in comune. Una delle più evidenti è il coinvolgimento dei sensi. Ho lavorato in cucina, poi in sala, ed è lì che sono stato affascinato dalla viticoltura. La nostra sfera sensoriale va sempre allenata ed è senz’altro questo che tiene insieme i due mondi, il cibo e il vino, dentro e fuori un ristorante. Se si lavora con uno spesso è facile anche rimanere sedotti dall’altro”. Essere stato dall’altra parte lo aiuta anche a gestire in modo accorto, e prioritario, le relazioni con la ristorazione. “Abbiamo sviluppato un bisogno negli ultimi anni. Ossia di conoscere quanto più possibile le persone che acquistano i nostri vini. C’è proprio l’esigenza di dare loro una corrispondenza narrativa, di scoprire cosa fanno nei loro locali, di farci conoscere a nostra volta, di mettersi in contatto. Il mondo del vino è cambiato negli ultimissimi anni. Se fino a qualche anno fa il vino convenzionale era entrato in contrapposizione con quello naturale, non sempre di ottima fattura, oggi le persone, il pubblico professionale, ma anche i clienti dei locali, scelgono prodotti buoni, privi di difetti, che esprimano una certa personalità e abbiano dietro una storia tangibile. Ecco allora che andare lì, proprio lì a conoscere chi propone i tuoi vini, diventa fondamentale”.

Rompere il concetto di monocoltura Daniele e la sua azienda hanno sempre manifestato il desiderio di contrastare la monocoltura. Ci piace anche chiamarla agricoltura per sfruttamento. “Penso che l’uomo debba dedicarsi ad un’agricoltura in grado di rigenerare, di mantenere vivo il suolo. Anzi, ci immaginiamo di lasciarlo più vivo di come l’abbiamo trovato. Il nocciolo della questione è: è possibile applicare questo modello su larga scala? La mia risposta è sì, a fronte di costi inevitabilmente più elevati. La strada da percorrere è quella della riduzione dei consumi, questo ridurrebbe molto il bisogno delle monocolture. La sovralimentazione, l’eccesso dei consumi, è un fenomeno da contrastare con decisione”. Ma parliamo ancora di suolo, un cruccio per Daniele e la sua azienda. “Bisogna tenerlo vivo, per questo studiamo e preserviamo gli organismi che popolano i nostri vigneti. Prima dell’avvento della tecnologia avveniva esattamente così, grazie alla rotazione delle colture e all’assenza di trattamenti. Non si stressava il terreno, non lo si deturpava, ci si prendeva cura della sua ricchezza e biodiversità. Dovrebbe andare esattamente così, è il nostro modello di riferimento”. | novembre 2023

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Essere vignaiolo Abbiamo chiesto a Daniele cosa significhi essere vignaiolo. “Bella domanda. Per me significa essere integralmente dediti alla vigna. Lo definirei un innamoramento mutevole, che si evolve e consolida nel tempo. Ogni vendemmia passata è un’esperienza, un tesoretto. Ogni vendemmia che arriva è un’emozione nuova. È importante però non vederne solo l’aspetto puramente romantico. È fondamentale fare archivio, avere un proprio database che contenga parametri precisi, misurabili, di come si sono comportati uva e mosto, di come si siano evoluti nel tempo i vini. Nel nostro caso il campo della sperimentazione è ampissimo, specie con la Durella, una varietà locale che vinifichiamo sia per il bianco fermo (in purezza e non)

che per la bolla. È un’uva dal potenziale elevato. Non mi nascondo: sto cercando ancora di capirla. Il mio obiettivo è attraverso lo studio ricavarne il massimo godimento”. Stando al posizionamento nei locali e all’apprezzamento del pubblico Daniele potrebbe già ritenersi soddisfatto. Ma c’è qualcosa, un motore che spinge, che lo induce a voler perfezionare i propri vini e a voler capire fino a dove possono arrivare. La questione etica, i propositi, però, non passano mai in secondo piano. Infatti, ci saluta così: “I miei vini sono sottili, eleganti, stretti, ricalcano le caratteristiche del suolo e delle uve. Questo perché il mio essere vignaiolo sarà sempre legato a un concetto di rispetto territoriale: vini vivi perché così sono anche i terreni da cui provengono”.

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Gli eventi

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Autrice: Simona Vitali

Pane Nostrum, il Salone nazionale de i lievitati

Quando un format è meglio di un documento programmatico

Gioele Ponzanetti

In un periodo storico in cui si crea e si distrugge con pari facilità, senza sforzarsi troppo di conservare e magari dare ulteriore slancio all’esistente, ci piace rilevare che persiste ciò che riesce a rimanere aderente ai tempi che cambiano, con il pregio di sapersi ri-tarare ogni volta. Sono 20 anni che a Senigallia si tiene Pane Nostrum, evento nato ad opera di Confcommercio Marche Centrali e CIA di Ancona come festa di piazza, dov’era protagonista il profumo del pane appena sfornato, e trasformatosi innumerevoli volte nel corso del tempo fino ad assumere, da un paio di edizioni, l’attuale veste di manifestazione professionale, Salone nazionale dei lievitati (dicitura che va ad integrarsi a Pane Nostrum) che ha trovato il supporto anche da parte di: comune di Senigallia, Regione Marche, Camera di Commercio Unica delle Marche. Una tre giorni dedicata a pane, pizza e pasticceria in cui dare risposte concrete a temi di attualità ad opera di esperti di settore (dai tecnici fino agli accademici), con precisa volontà di agire da contraltare rispetto alla leggerezza di un’informazione che serpeggia dall’avvento del digitale, dove le fake news sono all’ordine del giorno.

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Un’operazione lucida, un chirurgico innesto su una kermesse che solo un’associazione di categoria come Confcommercio delle Marche Centrali, avvezza a una grande operatività su temi ben più impegnativi, ha saputo condurre magistralmente con l’intento ben preciso di contribuire ad elevare il grado di conoscenza tanto di consumatori quanto degli stessi professionisti chiamati a raccolta. “Questo ventesimo anno ha segnato per noi un vero e proprio punto di svolta - ci ha spiegato Massimiliano Polacco, direttore generale Confcommercio Marche e Marche Centrali, visibilmente soddisfatto perché ci siamo presentati con un programma completo, in grado di offrire qualsiasi risposta sul mondo dell’arte bianca e, per quanto ci sia ancora molta strada da fare, abbiamo il desiderio di far diventare Pane Nostrum un luogo di confronto, dibattito e discussione per tutto il mondo della panificazione, pasticceria e pizzeria; senza dimenticare ovviamente la ristorazione, dove ormai l’arte bianca è parte integrante di quasi tutte le brigate. Lo sforzo comune sarà quello di dare sempre maggiore continuità a questa iniziativa, realizzando un momento culturale e di crescita professionale per tutti coloro che avranno la voglia di confrontarsi con altri colleghi da tutta Italia”. Vincente anche la scelta del Foro Annonario di Senigallia che per la sua originale conformazione ha consentito, senza interferenza alcuna, di creare ben quattro aree tematiche: l’area Masterclass con corsi e laboratori di approfondimento tenuti da esperti e rivolti a professionisti

del settore dell’arte bianca, il Salotto dei Maestri con interessanti convegni di settore, presentazione di progetti innovativi ed eventi editoriali, la Temporary Bakery che si è spinta oltre i consueti demo e show cooking, rappresentando un vero e proprio momento formativo, oltre lo show cooking stesso, per un pubblico accorso numeroso e molto coinvolto. Sono 50.000 le presenze registrate nell’arco della tre giorni. E il piacere - nostro innanzitutto – di conoscere, accanto a nomi di prestigio, professionisti emergenti che ci hanno stupito per la preparazione e la capacità di trasmettere nozioni, contribuendo a creare maggiore coscienza del reale valore di un prodotto artigianale di qualità. Sono 40 i professionisti che si sono avvicendati in contemporanea nel lungo weekend. E poi l’Area Fiera suddivisa in area B2C, il consueto spazio vendita dei prodotti finali di panificatori e pasticceri, e - novità di quest’anno - un’embrionale ma promettente area B2C dedicata a materie prime ed ingredienti, macchinari e attrezzature, arredamento, packaging e servizi. “Il nostro obiettivo - fa notare il presidente Confcommercio Marche e Marche Centrali, Giacomo Bramucci - è realizzare un momento di incontro e dibattito tra i vari attori che lavorano nel settore dell’arte bianca e i loro fornitori grazie alla nuova area B2B, alla quale nei prossimi anni vorremmo dare sempre più attenzione e rilevanza. Altro punto fondamentale, per noi, il motivare i giovani a entrare in questi settori, a intraprendere lo studio di queste professioni o attivarsi per aprire una propria attività in questo settore”.

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L’organizzazione di Pane Nostrum


Un programma intenso, ma soprattutto coerente, costruito con acume da Federica Polacco, responsabile Area Marketing e Territorio Confcommercio Marche Centrali, insieme a uno staff preparato, che non ha lasciato nulla al caso.

La forza del territorio Da tempo il territorio marchigiano ci sta sorprendendo per un concentrato di eccellenze. Qui si scende in campo, senza limitarsi a stare alla finestra. È noto, ma non ostentato, ad esempio l’impegno dello chef Moreno Cedroni che non è nuovo nell’impegno di portare il suo personale contributo al settore, in qualità di presidente FIPE Confcommercio Marche Centrali, non limitandosi a fare ospitate o interventi “di facciata” a convegni. Se tutti davvero si iniziasse a mettere sul piatto la propria esperienza forse si velocizzerebbe quel processo di cambiamento tanto agognato! Dicevamo che non sono mancati ospiti di rilievo a consacrare, con il proprio contributo, un’iniziativa giustamente ambiziosa. È interessante la riflessione che, all’indomani della kermesse, Antonio Lamberto Martino, divulgatore tra i maggiori esperti italiani di tecnica della panificazione, ha affidato spontaneamente alla propria pagina Instagram: “È un dato storico incontestabile che il pane è la prima forma tecnologica alimentare che l’essere umano abbia realizzato, oltre che la più complessa dell’umanità, visto che racchiude dietro d i sé il primo intreccio tra passaggi tecnici e biologici per raggiungere il suo completamento, e per farlo si è servito di un ponte che gli ha permesso di attraversare la transizione tra paleolitico e l’età nuova della pietra. Il grano è per tutto il genere umano il motivo stesso della sua stessa esistenza, senza questo dubito che avremmo raggiunto importanti traguardi come lo sbarco sulla luna o la mappatura del nostro genoma. Noi siamo umani tanto quanto il grano fa parte della nostra vita su questa Terra, siamo inscin-

dibili, indivisibili. L’uno non può esistere senza l’altro. L’evento Pane Nostrum, il salone nazionale dei lievitati, ha catturato perfettamente questa sua importanza, gli abitanti stessi sanno più che bene quanto il pane e il grano siano fondamenta e mezzo per affacciarsi nel futuro e lo fanno nel modo e nel tempo più giusti che l’umanità possa adottare, incontrandosi con il territorio circostante e da qui trarre i risultati migliori. A Senigallia ho trovato tutti gli elementi giusti che porteranno dritti alla nascita di un pane identitario di quel luogo, di quel preciso contesto territoriale. Gli ingredienti sono chiari: grano autoctono, mulini e panettieri del posto. Non ho mai fatto mistero del fatto che per me un’economia fiorente può esserci solo se il comparto alimentare si apre e si chiude nel raggio di poche centinaia di chilometri rispetto a dove si trova il consumatore finale. I senigalliesi questo l’hanno bene in mente, i marchigiani stessi ne sono consapevoli e questo loro pane territoriale, che mi auguro molto presto troverà vita tra le tavole di questa splendida regione, darà ragione a chi come me che diverse volte ha previsto il passo giusto da dover piantare verso il futuro. Grazie Senigallia, grazie Marche, grazie Confcommercio Marche Centrali”. Pane Nostrum, il Salone nazionale dei lievitati, traghetterà le Marche in un avvincente e più strutturato percorso di definizione identitaria. I più attenti lo hanno già capito.

Da sinistra Dott.ssa Catia Governatori, Dott. Marco Rotoni, Dott. Silvio Moretti, Dott. Giacomo Bramucci, Chef Moreno Cedroni, Dott.ssa Carla Tomasini, Dott. Paolo Lucci e Dott. Antonio Lamberto Martino.

Antonio Lamberto Martino

Da sinistra: Manuel Saraceno, Matteo Paparelli e Luca Facchini


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Autore: Guido Parri

Un nuovo logo per Nigro Catering “Dopo quindici anni abbiamo avvertito la necessità di un cambiamento nell’immagine della nostra azienda; in questo periodo è cambiato il mercato della ristorazione, sono cambiate le dinamiche sia produttive sia distributive del food service e, quindi, abbiamo voluto, con il nuovo logo aziendale, segnare questa svolta” afferma Federica Nigro, responsabile marketing della storica azienda Nigro Catering di Modica (RG), affermato e competente distributore di food service che, con i suoi 2.000 clienti professionali, copre tutta l’area della Sicilia Orientale. Il nuovo logo è estremamente lineare, solido, rappresentativo di un’azienda che si è sempre contraddistinta per serietà e organizzazione. “Mio padre, Carmelo, ci ha sempre insegnato una cosa: comportarsi onestamente, dare risposte immediate ai problemi, essere attento ai bisogni dei nostri clienti è la chiave per il successo di questa complicata professione e le sue parole ci hanno fatto crescere con la giusta consapevolezza delle cose” rimarca Salvatore Nigro che, oggi, in azienda, ricopre l’incarico di responsabile acquisti.

La partecipazione a RHS - Ristora Hotel Sicilia, la fiera di Catania dedicata al mondo horeca “Oltre al nuovo logo abbiamo deciso di partecipare a questa fiera che, sul nostro territorio, vuole rappresen-

tare un punto di incontro altamente professionale per gli operatori dell’ospitalità e della ristorazione”. Con queste parole Carmelo Nigro rilancia sulla necessità del cambiamento per un’azienda che, in questi anni, ha investito molto per restare sempre al passo con le nuove tendenze di mercato. “La manifestazione che si svolgerà dal 12 al 15 novembre a SiciliaFiera a Catania, ci vedrà presenti con uno stand molto ampio dove, insieme alle aziende partner per questo evento – Surgital, Olitalia, Agugiaro&Figna, Centro Carni Company e Unilever Food Solutions – organizzeremo show cooking, dimostrazioni di prodotto, accoglienza dei nostri ospiti nel modo migliore”. RHS - Ristora Hotel Sicilia è il più prestigioso salone specializzato del Sud Italia, da 19 anni il punto di riferimento per tutte le aziende del mondo Ho.Re.Ca che puntano alla crescita e alla qualità delle loro attività nei settori alberghiero, ristorazione e, più in generale, nel food and beverage in tutte le sue declinazioni. Duplice la missione di RHS: da un lato promuovere l’ospitalità, la ristorazione e il turismo attraverso iniziative professionali di vario interesse, capaci di coinvolgere tutti gli operatori dei rispettivi settori di attività, dall’altro presentare i migliori prodotti e servizi offerti dai marchi più prestigiosi per promuovere il costante aggiornamento delle imprese e massimizzare i loro profitti.


ACCOGLIENZA L'innovazione

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Autore: Luigi Franchi

Garum project L’innovazione è una tradizione ben riuscita! Questa famosa frase di Gualtiero Marchesi trova la sua conferma nel Garumproject, un prodotto naturale nato dall’intuizione, trasformatasi in meticolosa ricerca in collaborazione con NOI Techpark di Bolzano, di Mattia Baroni, chef del ristorante ristorante La-FuGa (acronimo anche di Laboratory for Future Gastronomy) dell’Hotel Bad Schörgau di Sarentino (BZ).

Il Garum contemporaneo Il garum, si sa, è una salsa fermentata a base di pesce, originaria dell’antica Roma, di cui parla diffusamente Apicio nel De Re Coquinaria. Come la descrive Apicio? Per il gusto particolare, per il valore nutrizionale e neutraceutico (diremmo oggi) che aiutando la digestione aumentava la capacità bellica dei legionari, per la capacità di utilizzare al meglio il loro sistema alimentare. Tre aspetti, escluso quello bellico, che sono rimasti nella testa dello chef Mattia Baroni che ha deciso di riprodurre, con le giuste varianti contemporanee, il garum nel suo Laboratory for Future Gastronomy. “Abbiamo puntato su questo nome antico – Garum – perché il nostro insaporitore, totalmente naturale, rispecchia i tre elementi citati da Apicio: il gusto, naturale, senza alterazioni della ricetta; il valore nutrizionale e nutraceutico, sempre dettato dalla naturalità del prodotto; l’utilizzo migliore del sistema alimentare, infatti, per le nostre cinque versioni, utilizziamo ciò che va sotto il nome di scarto ma che scarto non è, portando a zero, per i nostri prodotti, lo spreco alimentare”.

Chi è Mattia Baroni Ma andiamo con ordine raccontandovi brevemente la vita professionale di Mattia Baroni. Classe 1987, originario di Riva del Garda, diplomato in elettronica, si iscrive a ingegneria informatica ma capisce

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Salmerino alpino

Panna cotta di latte d'alpeggio

Caprese

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subito che la vita da nerd non è la sua, lui adora viaggiare e, con questa passione, si avvicina alla cucina per un motivo molto semplice; viaggiare costa e lavorare in cucina nei ristoranti dei luoghi che visita, oltre a fargli guadagnare qualcosa gli garantisce i pasti giornalieri. Impara tanto dalle cucine di mezzo mondo, Australia, Inghilterra, Svizzera tra i paesi visitati e ne trae una riflessione profonda: vuole fare il cuoco ma, allo stesso tempo, non vuole rassegnarsi a replicare ogni giorno le stesse pietanze. Comincia così la sua carriera di ricercatore e sperimentatore sul cibo. Al Bad Schörgau di Sarentino (BZ) trova la sua collocazione ideale, gestisce il ristorante dell’hotel, La-FuGa, acronimo anche di Laboratory for Future Gastronomy che lui realizza insieme a Gregor Werner, proprietario di questo particolarissimo hotel. “La nostra acqua sorgiva e le specialità gastronomiche fermentate sono gli ingredienti principali di un benessere maggiore. È così che esploriamo nuove vie verso una migliore qualità della vita” racconta Gregor.

Fermentare, sperimentare “Questo del Garum è il terzo progetto di ricerca che abbiamo messo in campo. Si tratta, senza ombra di smentita, di un progetto unico al mondo per le caratteristiche qualitative e sensoriali che ha. – racconta Mattia Baroni - Dopo una prima fase sperimentale di fermentazione in cui pensavamo di avere bisogno di più anni per realizzare l’idea, è arrivata la collaborazione con NOI Techpark, un hub dove lavoro e ricerca si concentrano sull’innovazione tecnologica nei settori di eccellenza dell’economia altoatesina e dove supportano start-up come la nostra, velocizzando il tutto. Cosa abbiamo fatto? Abbiamo voluto creare un prodotto che intensificasse il gusto dei cibi in modo naturale, sostituendo il brodo e il sale con Garum esaltando le componenti gustative del cibo. Detta così sembra perfino semplice, ma non lo è. Innanzitutto siamo partiti dall’utilizzo di tutti quei prodotti alimentari che vanno sotto la dicitura di spreco. Il 60% di questi prodotti non arriva neppure davanti agli occhi delle persone; un esempio? Ogni carota rotta o leggermente ammaccata non viene neppure esposta nei reparti frutta e verdura dei centri commerciali, eppure è ugualmente buona e si potrebbe mangiare. Bene, quella carota noi la utilizziamo per i nostri Garum. Così per tutti gli altri prodotti naturali, solo naturali che compongono le cinque referenze ad oggi prodotte: Garum di pesce realizzato con ritagli di pesce e, dato che l’Alto Adige non ha sbocco al mare, i fornitori sono produttori veneti; di manzo prodotto con rifili di manzo provenienti da diverse piccole macellerie locali dell’Alto Adige; di pollo fatto con galline ovaiole biologiche dell’Alto Adige ritirate in pensione; vegetale ottenuto da verdure biologiche dell’Alto Adige, che per motivi estetici non vengono utilizzate nella vendita al dettaglio; al latte prodotto con siero di latte dell’Alto Adige”.

Come si usa? “Quando si tratta di sostituire latte, panna o zucchero. Consiglio dell’esperto: questo garum può anche essere mescolato con il burro. Permette di ridurre notevolmente la quantità di burro nelle pietanze mantenendone lo stesso gusto, per il Garum al latte. Oppure per salse scure, zuppe, risotti o pasta per quello di carne. In pratica potete sostituirlo con il brodo di manzo, anche se date le caratteristiche del prodotto questo garum è molto più salutare. O ancora, per il Garum di pesce, come un olio d’oliva. È perfetto per marinare e friggere”. Sono tanti i modi per utilizzarlo ed è un alimento che non contiene nessun additivo, è ricco di nutrimento e non ha bisogno di pastorizzazione; non necessita di particolari metodi di conservazione, ha una shelf-life dichiarata di due anni, ma può essere ancora più lunga e, una volta aperta la confezione, basta richiuderla per l’utilizzo successivo. Ogni confezione vale all’incirca per 50 porzioni. Il Garum project di Mattia Baroni ha vinto, alla recente edizione di ANUGA, il premio Innovazione dell’anno, e alla fiera Hotel di Bolzano il secondo posto al Sustainable Food & Drink Award. Per l’Alto Adige viene distribuito, in esclusiva, dall’azienda Foppa di Egna (BZ), un distributore dell’horeca che fa parte del gruppo Cateringross.

scopri le ricette di Garum project

Mattia Baroni

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ACCOGLIENZA La formazione

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Autrice: Simona Vitali

Dove apprendi e vieni retribuito DOLZ, il corso di specializzazione sulla pasticceria contemporanea a Levico Terme (TN) “Apprendere lavorando”: potrebbe essere questo il motto e, di sicuro, il tratto distintivo di Dolz, il corso di specializzazione post diploma (IFTS) in pasticceria contemporanea, nato ad opera dell’Istituto Formazione Professionale Alberghiero - Levico e del suo istrionico dirigente scolastico, Federico Samaden, sempre con lo sguardo oltre il qui ed ora. Qualcuno è a conoscenza, sul territorio nazionale, di simili corsi che contemplino per la parte pratica, un pacchetto di ore retribuite? È su questo aspetto che intendiamo soffermarci, per focalizzare subito ciò che rende unica sul territorio nazionale una simile proposta. Giusto per capire di cosa stiamo parlando, partiamo col dire che è stato strutturato un corso, realizzato in partnership con Associazione Artigiani Confartigianato Trentino, che durerà un anno e contemplerà una parte tecnica con i tre filoni di pasticceria, cioccolateria e gelateria e una parte gestionale. Quest’ultima perché gli studenti possano avere quell’ approccio a 360°che gli faccia comprendere anche cosa significhi aprire e gestire un’attività in proprio. Saranno 1400 le ore complessive: 400 laboratoriali scolastiche, 400 laboratoriali in azienda e, attenzione!, 600 di apprendistato retribuito, per via di quel sistema duale mutuato dalla cultura tedesca e già applicato con successo nei Paesi del Nord Europa, che da tempo il dirigente Samaden, nell’istituto di Levico, sta prediligendo sempre più rispetto al percorso più tradizionale. Il bacino di aziende non manca di certo, grazie alla disponibilità manifestata dall’Associazione Artigiani Confartigianato Trentino, con il proprio bacino di 120 imprese artigiane di gelateria e pasticceria del territorio provinciale. Per ciascun corsista verrà individuata la realtà più idonea presso cui esperire 400 ore di formazione per poi passare, rimanendo sotto la stessa azienda, alla sottoscrizione di un contratto di apprendistato (600 ore), che prevede appunto una retribuzione pari al 75% rispetto al CCNL nazionale. Insieme a Federico Samaden, ripercorriamo le motiva-

zioni profonde che hanno condotto lui e i collaboratori ad abbracciare con convinzione questo sistema duale: “ Siamo in una società in cui ogni giorno viene calpestata la dignità di migliaia di persone. Ogni processo formativo deve tenere conto di avere dietro un pensiero generativo, da cui poi scaturiscono eventuali tecniche didattiche. Ecco, noi siamo partiti da questa mancanza di dignità sempre più diffusa e abbiamo pensato che non si conquisti chiedendo e pretendendo ma rimboccandosi le maniche e costruendola, conquistandosela con il proprio lavoro. Quindi il tema del lavoro l’abbiamo messo al centro della nostra attenzione pedagogica, educativa e formativa, decidendo di lanciare e puntare tutto sul sistema duale. Noi crediamo fortemente che il sistema duale sia un modo per insegnare ai ragazzi a lavorare e quindi a conquistarsi la dignità, rimboccandosi le maniche”. Ancora una volta dal Trentino arriva quella capacità di interpretare i tempi che sa precedere le migliori intuizioni sul piano nazionale. Sono spunti da cui bisognerebbe attivarsi per andare in affondo. Guardare al vero sistema duale è questo. Tutto il resto, a cui si sta facendo riferimento nel nostro Paese è un ibrido, al momento ancora informe.

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Federico Samaden


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Amodo, la rete dei ristoranti etici

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Autrice: Giulia Zampieri

Octavin

Il coinvolgente modo di Luca Fracassi

Foto: Giulia Nutricati Nella scheda che racconta il ristorante Octavin al pubblico di Amodo - vedi QRCODE - compare, in prima battuta, la parola intellighenzia. Intelligenza, in italiano, perché in questo ristorante, ricavato da uno scantinato ubicato nel centro storico di Arezzo, c’è sempre una ragione sul perché si fanno le cose. Sul come si sceglie, agisce e trasforma. Luca Fracassi, lo chef e proprietario, è la voce che ci guida all’interno di questo ricco e coerente esempio di ristorazione contemporanea, abile nel gestire i temi attuali partendo da principi solidi. Un’organizzazione singolare “Come, sei solo in cucina?”. È inevitabile esordire così quando si inizia a parlare con Luca. Da tempo Luca guida l’intera cucina da solo, affiancato solo da un lavapiatti. “Sì, e la ragioni sono due” ribatte subito. “La prima è che vivo il ristorante e il mio spazio di cucina con un coinvolgimento totale. Li sento miei e voglio che le mie mani siano lì, impiegate in ogni preparazione e piatto. I piatti non saranno impeccabili, millimetrici, ma nella mia idea di cucina c’è questo: l’equilibrio, la costanza, ma anche quel pizzico tollerabile di artigianalità che rende il cibo più comprensibile e meno ineccepibile. La seconda ragione riguarda il tema del personale, che come sapete è carente. Per mandare avanti un locale bisogna trovare delle soluzioni pragmatiche e questa ci sta dando modo di lavorare con più serenità”. In sala ci sono, sin dalle prime ore, Sofia, la compagna di Luca, e Alessandro. “Serviamo al massimo quattordici coperti e chiudiamo le prenotazioni alle ore 15 per il servizio della sera. Questa scelta ci consente di mettere in atto un sistema organizzativo preciso ed efficace. Può sembrare difficile, un azzardo, ma è solo una questione di preparazione maniacale e dialogo tra sala e cucina”.


La scelta del vegetale Non è l’unica scelta ardita che si rintraccia da Octavin. L’altra riguarda il menu, ormai di impostazione vegetale. “A un certo punto ho maturato l’idea che la cucina non dovesse più essere un petto di piccione cotto in modo esemplare o un foie gras preparato alla perfezione, ma che ci fosse un altro campo di esplorazione da indagare” - ci confessa Luca. “I vegetali, con la loro irregolarità e stagionalità, danno continue opportunità. Oltretutto consentono di ridurre la centralità della materia prima nella scena di un ristorante. Mi spiego meglio: in un’osteria è giusto che il salume, il formaggio o la carne di qualità, acquistati da un produttore eccellente, vengano valorizzati. Credo che in un ristorante gastronomico l’esperienza debba essere di altro taglio, cioè si deve offrire all’ospite la possibilità di sperimentare l’elaborazione, l’interpretazione di ingredienti sì buoni, ma non necessariamente protagonisti. Il mondo vegetale va a braccetto con questo obiettivo: a parità di pratica in campo, i fagiolini appena raccolti non sono lontani anni luce da altri fagiolini appena raccolti in un campo vicino. Però possono essere diversi a seconda di come il cuoco decide di collocarli e lavorarli”. Luca ci lascia anche un altro pensiero. “Giustificare un certo tipo di spesa per un menu che non prevede carne e pesce non è semplice. È una questione culturale: se superiamo questo concetto, ossia che il menu interamente vegetale debba valere di meno, allora forse il trend della cucina vegetale diventerà davvero il futuro. Non ci sarà moda, trend, corrente culinaria che tenga. Sarà una questione di risorse,

di etica, e al tempo stesso di interesse gastronomico”. In questa sfida complicata, per consolidare il tema vegetale, naturalmente, gioca un ruolo cruciale anche l’incisività della cucina. “Io sono onnivoro e nei miei piatti cerco di conferire alcune sensazioni tattili e gustative che rievochino la carne. Significa che punto sulla succosità, sul morso, sull’accentuare tutto gli aspetti appetibili di una pietanza. Penso per esempio al nostro fondo d’arrosto, ossia un fondo preparato con sedano rapa, carota, e reidratato con oliveto spinoso, su cui adagiamo un tuorlo d’uovo. È una preparazione che nel profumo e nel sapore ricorda tantissimo il fondo di pollo, ma di carne non c’è traccia”.

L’altra nota cruciale: il rapporto con i luoghi Arezzo non è paragonabile a Firenze in quanto a presenze turistiche ma registra comunque discreti numeri di presenza. E Octavin, insignito della stella Michelin, è indubbiamente una delle insegne più quotate. Facciamo una riflessione anche su questo. “I turisti incidono circa per il 50% sulla clientela complessiva del nostro ristorante. Senz’altro ci accodiamo alle considerazioni di alcuni colleghi che, in quest’estate in cui si è tornati a registrare numeri pre-pandemia, hanno sollevato il problema della carenza dei servizi. Accade in città come Roma e anche nei centri più piccoli. C’è bisogno di più sinergia tra le strutture, di più servizi, di un trasporto più efficace se vogliamo rendere sempre attrattivo questo Paese e far viaggiare insieme la ristorazione e il turismo”.

Octavin scopri Octavin su Amodo, la rete dei ristoranti etici

Scalinata Camillo Berneri, 2 52100 Arezzo Te. 0575 343521 www.octavin.it | novembre 2023

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Fritturista. Numeri, non aria fritta! Il Fritturista è un prodotto professionale che garantisce alte performance in frittura sia in termini di utilizzo sia nella qualità del fritto. L’esclusiva formulazione è a base di olio di semi di girasole alto oleico ad alto contenuto di acido oleico addizionato con estratti naturali di tocoferoli e acido citrico. Scopri tutti i dettagli su: www.oleificiozucchi.com, sezione HORECA.


I convegni

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Autrice: Marina Caccialanza

Foto: Carlo Fico

Un incontro tra professionisti per esaminare lo stato dell’arte della formazione alberghiera e il futuro della ristorazione e come i produttori di strumenti per la cucina possano supportare con la loro progettazione tecnologica metodi e obiettivi finalizzati a migliorare le condizioni di sostenibilità in un mondo in continuo cambiamento. Una presa di coscienza tra difficoltà e aspirazioni, innovazione e cultura alimentare. Luigi Franchi, direttore di sala&cucina ha moderato nell’ambito di Host, il recente salone dell’ospitalità che si è svolto a Milano RhoFiera, un interessante dibattito che ha visto protagonisti esponenti di spicco del settore: Roberto Carcangiu, presidente APCI - Valentina Casotto, marketing manager Zwilling Ballarini Italia - Andrea Sinigaglia, direttore generale ALMA - Anna Maria Pellegrino, consigliere APCI e formatrice. Il tema della sostenibilità è stato lo spunto per il dibattito che ha analizzato diversi aspetti della questione, a partire dalla necessità, espressa dal management di Ballarini, di dare vita a un dialogo tra produttori di strumenti per la cucina e cuochi. Un dialogo indispensabile perché rappresenta un modo per confrontarsi e dare origine ad azioni comuni finalizzate allo stesso scopo: modulare il proprio compor-

La progettazione gastronomica come approccio multidisciplinare

Il ruolo del docente all’interno degli istituti alberghieri e delle scuole di cucina e il ruolo delle aziende come Hub di formazione verso tecnologie sostenibili. Se ne è parlato a Host

Da sin. Valentina Casotto, Roberto Carcangiu, Luigi Franchi, Anna Maria Pellegrino, Andrea Sinigaglia


tamento e accompagnare gli operatori del settore verso la transizione ecologica espressa nell’agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile. Franchi ha ricordato in quest’occasione come il tema dello spreco alimentare sia drammaticamente presente e quanto sia importante sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale. “I dati relativi allo spreco sono inaccettabili in una società moderna, come quella occidentale – ha affermato Luigi Franchi – ed è dovere di tutti impegnarsi per riuscire, se non a raggiungere l’obiettivo entro il 2030, almeno a porre le basi per migliorare. Il ruolo delle associazioni, delle scuole e delle aziende di attrezzature, in questo contesto, è quello di supportare la ristorazione a raggiungere più obiettivi di sostenibilità possibili”.

Il valore delle piccole azioni “Tutti abbiamo capito ormai – ha affermato Roberto Carcangiu – quanto sia importante dedicare attenzione a questo tema della sostenibilità. La società moderna deve poter soddisfare tre ruoli fondamentali: economico, sociale e ambientale. Come presidente di APCI ho il compito, tra l’altro, di responsabilizzare i miei colleghi cuochi sul valore delle piccole azioni che ognuno di noi può e deve compiere. Nel momento in cui i cuochi comprendono che una ricetta è frutto di un insieme di azioni, esprimono un pensiero progettuale. Questo comprende anche evitare lo spreco utilizzando le attrezzature più idonee”. Un impegno comune, dunque, dove divulgare buone pratiche e approfondire il corretto uso delle apparecchiature a disposizione diventano strumenti di miglioramento a vantaggio di tutti.

vent’anni fa quando abbiamo iniziato il nostro percorso. Allora si inseguiva il mito gastronomico e per i grandi chef il focus era la gastronomia e la perfezione del piatto, a costo di sprechi che oggi riterremmo inaccettabili. Oggi, il mondo è cambiato e la cultura della sostenibilità, o almeno quella dell’ambiente, è parte del progetto e noi formatori dobbiamo fare i conti con chi si iscrive e ha delle aspettative”. Ad alma gli studenti apprendono a gestire l’uso degli strumenti e un concetto di utilizzo utile delle tecnologie, il livello di precisione delle apparecchiature e a motivare un menù in base al calcolo del carbonio. È l’evoluzione della cucina, un driver per le nuove generazioni.

Progetti per costruire un futuro sostenibile

Il mondo della formazione alberghiera ha fatto passi da gigante negli ultimi anni. Specialmente in una realtà dalla visione lungimirante come la scuola di specializzazione di Alma, a Colorno, fiore all’occhiello del settore. Andrea Sinigaglia ha spiegato come sia cambiata l’utenza, gli obiettivi e la metodologia didattica: “Lo studente che si iscrive ad Alma oggi è molto diverso da quello di

Alma infatti sta portando avanti un progetto europeo in collaborazione con APCI, Fondazione Barilla e altre istituzioni europee allo scopo di esaminare la questione, Life Climate Smart Chefs, che vuole interpretare la tridimensionalità del problema perché, spiega Sinigaglia: “La sostenibilità deve essere tridimensionale o non serve: riguarda la persona, l’ambiente e l’economia. Spesso si dà spazio solo all’ambiente ma questo distorce la visione del problema che diventa puramente ideologico. Ci vuole tempo prima che un modello istitutivo e commerciale possa cambiare”. Il progetto mira a fissare uno standard replicabile attraverso la realizzazione di un corso di alta formazione per gli chef e lo sviluppo di un tool digitale per la progettazione di menu sostenibili. Obiettivi principali, aumentare la consapevolezza circa la relazione tra cibo e cambiamenti climatici e far leva sui cuochi come facilitatori attivi del cambiamento e promotori nell’UE di diete a basse emissioni, nutrienti e accessibili. Saranno 160 in tutta Europa gli chef educati secondo il programma orientato ai temi della sostenibilità e della sua applicabilità allo scopo di costruire uno strumento di misurazione, un algoritmo, per esempio in merito al consumo di energia.

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Il futuro è già oggi se lo sappiamo interpretare


Aziende interattive e formazione Cosa possono offrire alla formazione le aziende specializzate in tecnologie di cucina? Alla domanda risponde Valentina Casotto, Marketing Manager Zwilling Ballarini Italia: “Da 10 anni lavoriamo a fianco delle scuole di formazione alberghiera per aiutarli a tarare i programmi dei corsi, per fornire interventi adeguati alle diverse tipologie di scuola, pubblica o privata. È una grossa sfida, perché far combaciare i contenuti con i temi della sostenibilità significa attivare una costante ricerca, mai scontata. Come azienda siamo abituati a porci degli obiettivi alti ma per poter trasferire alle persone questi obiettivi dobbiamo riuscire a calare gli obiettivi stessi all’interno della realtà quotidiana. Quindi la carbon neutrality negli strumenti che produciamo è uno dei plus di lavoro; scegliere di produrre seguendo una tabella di energia rinnovabile o puntare sull’innovazione degli strumenti per la conservazione sottovuoto, per esempio, significa individuare le necessità e tradurle in strumenti di cottura o taglio in grado di esprimere questi plus”. Con questo obiettivo, Ballarini ha lanciato il progetto “Appuntamento nel futuro”, insieme ad APCI, per indagare sulle attuali difficoltà nella gestione di un’attività ristorativa sotto l’aspetto della sostenibilità.

Le scuole sono pronte ad assimilare la transizione? Difficile dirlo. Il livello di dispersione scolastica negli istituti alberghieri è altissimo. Viviamo nell’era “post masterchef” e superato il fenomeno mediatico le iscrizioni crollano. Le scuole reggono grazie all’impegno enorme che i docenti assicurano, alla loro grande forza di volontà. Anna Maria Pellegrino testimonia: “La figura del cuoco appare non come quella di un professionista che si applica per trasmettere un’identità culturale importante ma come qualcuno a metà tra un narcisista e un edonista che usa il cibo per sé stesso e non per divulgarne il valore. I ragazzi di oggi stanno vivendo un’epoca di trasformazioni e contaminazioni, hanno perso le radici perché a casa nessuno più è in grado di trasmettere l’identità storica della cultura culina-

ria. Ci troviamo di fronte a una generazione che ha storie diverse da raccontare e vive all’interno di un sistema che non sa stare al passo, ma corre lento. È un sistema che ha imparato a fare i conti ma non ne ha fatto tesoro; ha dimenticato che accoglienza e sala sono fondamentali e ne ha perso il valore. Ci troviamo davanti a volontari che raccolgono l’entusiasmo della generazione Z ma possiedono gli strumenti della generazione X. Nelle scuole non c’è strumentazione che permetta di sviluppare un menu che vada oltre al consueto. È necessario dare vita a una nuova rivoluzione alimentare e cogliere da questi giovani l’entusiasmo e usarlo come strumento di docenza. Dobbiamo imparare da loro a fare squadra e lavorare a più mani”.

Verso il cambiamento, insieme Dare avvio a un dialogo, dunque, scuotere le coscienze. Emerge la necessita di lavorare in squadra, fare rete tra aziende, associazioni e scuole. Offrire agli chef del futuro i mezzi per dare attenzione alla sostenibilità. Valentina Casotto esprime quello che è il pensiero comune: “Abbiamo tradotto il progetto in una guida pratica allo scopo di tradurre concetti come sostenibilità ambientale, economica e sociale in un elenco di domande che sarebbe opportuno porsi nel momento in cui si sceglie un’attrezzatura di cottura in cucina. Domande che valgono per tutti: come è realizzato il prodotto? È stato pensato per essere durevole? Permette di avere requisiti defatiganti? Una serie di domande che vorremmo diffondere. Una guida e una presa di coscienza sui plus sostenibili dei prodotti e sul ruolo a cui le aziende sono chiamate oggi”. “Dimezzare lo spreco alimentare globale – ha concluso Luigi Franchi – è l’ultimo miglio verso la sostenibilità ma è molto complicato, per l’intera filiera. Dal produttore al distributore e fino all’utilizzatore serve una presa di coscienza che serva a inquadrare il problema in modo lineare. Ognuno di noi può contribuire con piccoli gesti quotidiani, altrimenti non riusciremo a raggiungere il nostro obiettivo: traghettare la società verso il futuro in maniera equa e consapevole, essere il cambiamento”.


Il territorio

Autrice: Simona Vitali

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I Morsi di Joy

Gli imprevedibili sbocchi dell’intraprendenza Da tempo il panzerotto è assurto alla gloria nazionale e non solo, ma non dobbiamo mai dimenticare che le sue origini sono pugliesi e non si può pensare di approcciare a questa terra senza farsi almeno una bella scorpacciata di panzerotti, meglio se più di una. La panzerottata identifica il carattere dei pugliesi con il loro senso di casa, famiglia, quel riunirsi per stare bene insieme. Ci ha stuzzicato, transitando da Ostuni, il box proposto da I Morsi di Joy che prevede la possibilità di scegliere due, quattro o sei pezzi tra le otto proposte in menù, da gustare sul posto o da asporto. È a partire da una ricetta di famiglia che Michele Caramia arriva a mettere a punto l’attuale formula che prevede la realizzazione di graziosi panzerottini (volutamente più piccoli della norma), il cui impasto realizzato con una speciale miscela da lui calibrata, viene steso più sottile dell’ordinario e funge da involucro di veri e propri piatti cucinati. Non più il cibo povero fatto con gli avanzi della pasta di pane dopo la cottura del pane stesso in campagna ma lo sfizio elegante, accattivante per gli occhi. “Il mio intento- spiega Michele - è di renderlo leggero, far sì che tra l’impasto e il condimento interno ci sia un equilibrio”. Ad oggi due sono i punti vendita de I morsi di Joy, tra Speziale e Ostuni. Un terzo, verrà aperto a Cisternino a metà 2024. “La nostra clientela va dai 28 anni in su ed è molto selezionata perché abbiamo posto una condizione di vendita che deve essere capita: solo pagamenti elettronici. Chi ha questa predisposizione dimostra un’apertura alla modernità e può capire meglio il mio prodotto”. È anche un’operazione di grande trasparenza, aggiungiamo noi. Ma I Morsi di Joy nasce come catering di panzerotti, come andremo scoprendo a breve. Ciò che sorprende di Michele Caramia è la determinazione nel voler tracciare un suo percorso, già dalla giovane età di 18 anni quando, partendo dal rilevare come in quella terra in cui le braci erano molto

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utilizzate mancasse un venditore locale, ha preso contatti con il paesino natale della madre in Aspromonte per approvvigionarsi di legna e braci da rivendere, sapendo di poter contare sulla qualità di un prodotto italiano (di contro a quello proveniente dal Sud Africa), per di più ad un prezzo accessibile. In soli due mesi si è preso una bella fetta di mercato (anche nelle strutture ricettive) e nel giro di un anno è diventato grossista per poi vendere l’attività, deciso a camminare ancora, con il desiderio di dare anche lui un contributo al suo territorio, questa volta sul fronte gastronomico (studi alberghieri), che ha voluto esperirlo in lungo e in largo, con quella voracità che è solo di chi vuole inglobare e crescere il più possibile senza perdere tempo. Da quel momento inizia così per lui un periodo intensivo che si protrae per una decina d’anni, in cui muovendosi da sud a nord fino e anche oltreconfine, si applica a quanti più mestieri possibili, da cameriere a rappresentante a rivenditore di olio pugliese in Svizzera (un’altra sfida perché lì consumano prettamente olio) fino al rientro a casa, dove trova l’opportunità di gestire - lui così appassionato di fornelli - un locale del centro di Ostuni con piccola cucina, che non tarda a trasformare in cucina vera e propria. Arriva poi il tempo della vicedirezione di una struttura in Calabria e anche quello dell’apertura di una casa vacanze a Speziale. E quest’ultimo passo lo lega definitivamente al suo territorio.

Come nasce I Morsi di Joy È il 2015 quando dà vita ad un’agenzia eventi, Nescha event (Nescha è il soprannome della nonna che aveva un panificio sulla punta dell’Aspromonte), dove ogni volta dà voce a una cantina, un caseificio, una realtà gastronomica locale.... finché nel 2019, durante un evento, non si

manifesta la necessità di dover supplire alla mancanza del produttore di panzerotti e Michele decide di chiamare in causa la madre, abile cuoca casalinga. “Fino a quel giorno - ci racconta - non avevo mai realizzato panzerotti, e giusto durante l’evento un’imprenditrice locale mi ha chiesto se avessi potuto replicare quest’esperienza anche nel suo locale. Io le ho risposto affermativamente, nonostante non ne avessi idea”. Da questo momento nasce lo “stand panzerotti”, postazione fissa due volte la settimana a bordo piscina del ristorante, con musica dal vivo. Ho quindi iniziato a fare in prima persona ciò che delegavo. Partendo dalla ricetta di mamma ho voluto dare un’identità precisa a quei panzerotti, mettendo mano innanzitutto alla miscela delle farine (farina 0, 00 e semola – di quest’ultima ho ridotto la percentuale rispetto all’ordinario) perché l’impasto rimanesse perfetto fino a fine evento (giusto equilibrio fra lievitazione, elasticità e croccantezza). Gli apprezzamenti non hanno tardato ad arrivare e, considerato il successo, io e la mia compagna abbiamo pensato di creare un brand, I Morsi di Joy, catering di panzerotti, con cui entrare sul mercato, andando così a delineare una nuova strada accanto a Nescha event. L’arrivo del covid ha bloccato entrambe le attività ma noi non ci siamo persi d’animo e abbiamo pensato di mettere sul mercato la nostra miscela di farine per panzerotti, creando in collaborazione con un mulino buste da ½ kg a marchio Morsi di Joy, appunto. Oggi tra catering e punti vendita posso dire di essere riuscito in una mia personale operazione di destagionalizzazione. Guardando avanti mi sono dato l’obiettivo di aprire una catena di negozi di panzerotti entro il 2027, non un franchising però, per poter meglio avere il controllo della qualità del prodotto. A questo aspetto tengo molto”.

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La storia

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Autrice: Alessia Cipolla

Ritratto di Marie-Antoine Carême - Wikimedia Commons, Fontaine P, Bibliothèque Sainte-Geneviève

Carême, il primo chef di Francia Un grande artista a servizio del suo tempo L’ascesa di Marie-Antoine Carême (1784-1833) fu straordinaria: da sguattero divenne il cuoco di re e personaggi famosi, attraversando il tumultuoso volgere dei due secoli come protagonista della scena gastronomica europea. Da pasticcere ampliò il suo sapere a tutto il menu; da brillante autodidatta divenne un uomo colto e scrittore prolifico con successi editoriali che durano fino a oggi. Instancabile lavoratore fino a morirne, sperimentò quotidianamente l’invenzione di nuove ricette e menu per tutta la sua vita, semplificando, codificando e trascrivendo i principi della “nuova” cucina ottocentesca, aprendo le porte alla Haute Cuisine, la grande cucina classica francese. Rimase affascinato dall’approccio scientista e illuminista settecentesco, rivoluzionando non solo la cucina e la grande pasticceria, ma anche l’organizzazione e l’igiene degli spazi di lavoro, gli 58

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Rovine di Paestum - Wikimedia Commons, Marie-Antoine Carême, Le pâtissier pittoresque, 2e ed., 1828, p. 38

Suédoises aux pommes - Wikimedia Commons, Illustration du Cuisinier parisien, 1842

strumenti di cucina e di servizio a tavola. A lui si deve l’utilizzo dell’uniforme da chef e del tipico cappello bianco cilindrico, la “toque blanche”, che modificò inserendo un cartoncino all’interno. Progettò nuovi stampi per dolci e padelle per filare lo zucchero ma anche oggetti per la tavola: tra questi gli hatelets, degli spiedini metallici, messi a ventaglio sulle portate, sormontati da decorazioni artistiche, talvolta edibili. In pieno spirito neoclassico si appassionò all’architettura di Palladio e Vignola, ispirandosi ai loro disegni per la produzione di leggendari dessert. Grazie alla sua fama, mise sotto i riflettori la figura dello chef non più relegato nei piani bassi delle cucine. Da perfetto uomo Romantico, lavorò per la sua rivalsa: fecero la sua fortuna le grandi creatività e manualità, unite a una assoluta dedizione al lavoro. Fu il primo a essere chiamato “chef”.

Gli inizi Quella di Carême è una vita ricchissima fatta di ricette, incontri e viaggi. A dieci anni, nel 1794, Marie-Antoine, poi Antonin, venne abbandonato dalla sua famiglia per indigenza, ma trovò lavoro in una griglieria in cambio di vitto e alloggio. A 15 anni iniziò a lavorare per monsieur Bailley, il più famoso pasticcere di Parigi, il quale gli insegnò i suoi segreti ma soprattutto a disegnare, suo grande talento. Fu in quel periodo che Carême iniziò a frequentare, nelle poche ore libere, la Bibliothéque National, studiando e ridisegnando ricostruzioni di templi, pagode, piramidi e antiche rovine che poi realizzava in zucchero, marzapane e altri elementi di pasticceria, come centrotavola o entremets dolci. Sviluppò, poi, l’idea di torte a più piani, le note “pieces montées”. Per primo

decorò i dolci con le meringhe, utilizzando una tasca da pasticciere; inventò poi il croquembouche una piramide di bignè farciti, alta fino a 1 metro.

Gastronomia diplomatica Aprì la sua prima pasticceria nel 1803, lavorando alla creazione di desserts straordinari per gusto e decorazione, e a banchetti memorabili soprattutto per il principe Charles-Maurice de Talleyrand, scaltro diplomatico e successivamente ministro di Napoleone, ma anche grande gourmand. Divenne, poi, il capo pasticciere di Talleyrand per 11 anni, obbligato dal principe a creare i menu per un anno senza ripetere alcun piatto e utilizzando solo prodotti di stagione. Estese, così, le sue competenze oltre la pasticceria, sulle portate principali, diventando, così, un grande chef. Tra il cuoco e il diplomatico si instaurò un forte legame lavorativo e un’amicizia che durò per tutta la vita. La sua notorietà lo portò a creare tavole memorabili e torte nuziali anche per la famiglia di Napoleone. Talleyrand sviluppò, poi, la “gastronomia diplomatica”. Il castello di Valençay, dove risiedeva, divenne il “tavolo dove si fa l’Europa”: l’arte culinaria di Carême e un nuovo stile gastronomico con ricette raffinate e scenografiche, create per stupire e sedurre favorirono le trattative diplomatiche più ardite. L’idea del nobile gourmet era di ripristinare le “grandes tables” e “les grandes manières” del passato, riportando la Francia alla fama per feste e ospitalità d’antan. Dopo la sconfitta di Napoleone nel 1815, Talleyrand assoldò Carême anche per il Congresso di Vienna, certo che la sua abilità avrebbe ammaliato i diplomatici presenti ai banchetti. E così fu. A Vienna si definì una nuova Europa, ma anche un nuovo assetto di gusti a | novembre 2023

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Château de Valençay

tavola, il cui perno fu il grande chef francese. Da questa permanenza viennese nacquero i vol-au-vent, detti anche bouchée.

suoi libri. Morì prematuramente all’età di 49 anni nel 1833. È sepolto nel cimitero di Montmartre.

I viaggi come cuoco di re

Tornato in Francia, Carême lavorò dal 1823 al 1829 per la famiglia del barone James Rothschild al quale dedicò numerosi piatti, come il Soufflé Rothschild, cucinati grazie all’uso dei primi nuovi forni ad aria calda. In quella casa conobbe Rossini, intitolandogli alcuni eleganti piatti come i “cannelloni alla Rossini” e il “consommé di coda di bue al tartufo”. Al termine di questa esperienza, decise di dedicarsi ai

Nel 1815 pubblicò “Le Patissier Royal Parisien”, dedicato a Talleyrand, un trattato di pasticceria moderna sul gusto e sulle composizioni gastronomiche con circa 70 incisioni di disegni fatti a mano dallo chef. “Le Pâtissier Pittoresque” del 1815 comprende 125 soggetti, sempre disegnati da Carême, con accurate spiegazioni su come costruire, colorare e montare gli elementi delle torte. È del 1822 il trattato “Maître d’Hotel Francais” dove descrive la “nuova” cucina ottocentesca e il tema della composizione dei menu, centrale per il servizio alla russa, riportando quelli realizzati in mezza Europa. Seguiranno “ Le Cuisinier Parisien” nel 1828, e nel 1833 “L’Art de la Cuisine Française au XIX° siècle” la sua opera più importante, in cinque volumi, pubblicati postumi, arricchiti da disegni di piatti, preparazioni e presentazioni magnifiche. Al suo interno, oltre a ricette spiegate in un linguaggio semplice e immediato, diretto a tutti, si trovano interessanti indicazioni sull’organizzazione della cucina, sull’igiene, sul ruolo delle donne e le regole dell’alta cucina francese, tutt’ora valide. Basta ricordare la classificazione delle quattro salse madri, la spagnola, la vellutata, l’allemande e la béchamel e i potages o minestre, presenti in gran numero nel testo. Alcune sono ricette classiche della cucina francese: il Salmis de Pintade, salmi di faraona servito con purè di patate, e la Lièvre à la Royale, a base di lepre selvatica.

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Dopo il 1815 Carême lasciò la Francia accettando di lavorare per il principe reggente inglese, in seguito re Giorgio IV e poi, dal 1818, in Russia per lo zar Alessandro I. Questa tappa portò molte nuove esperienze e novità gastronomiche dedicate allo zar come la “charlotte russe”, una torta farcita con crema bavarese, decorata con coccarde di panna montata e rivestita ai lati di biscotti “boudoirs”, o “Savoiardi”, invenzione dello chef francese. Ormai famoso, durante il viaggio di ritorno verso la Francia, si fermò in Austria, allora la capitale mondiale della pasticceria, dove venne accolto con tutti gli onori, e richiesto come Chef de Cuisine dall’ambasciatore britannico in Austria, Lord Charles Vane Stewart, affascinando la corte austriaca con la sua cucina. Lavorando a servizio delle case regnanti europee, diffuse la cultura francese a tavola in tutta Europa, rendendola unica.

A servizio dell’alta borghesia

Carême scrittore


Le persone

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Autore: Bruno Damini

Scaccomatto: lo chef Mario Ferrara ricomincia dagli Orti Lo chef Mario Ferrara. Foto Bruno Damini

Per le sue origini contadine lucane, tanti anni fa avevo definito Mario Ferrara un “cuoco montanaro con vista sul mare “, oggi invece è “con vista sugli orti “. Dopo 10 anni di training estivo negli antichi orti urbani di Via Orfeo a Bologna, Mario ha trasferito in pianta stabile la sua cucina nel ribattezzato Ristorante Scaccomatto agli Orti che finalmente riapre dopo un anno di radicale ristrutturazione degli spazi interni dove sono state ricavate due ampie sale, una nell’ex refettorio delle monache dell’istituto delle sordomute, che da molti decenni avevano interrotto le loro attività, l’altra nel salone che s’affaccia sulla sempre rinnovata sorpresa di un ampio spazio verde in pieno centro storico. Bolognese d’adozione, senza mai dimenticare le sue radici, Mario ha creato la trattoria Scaccomatto, in via Broccaindosso, 37 anni fa col fratello Enzo. Ora riparte dalla magia degli Orti affiancato dall’energia e dalle nuove idee del figlio Simone che dirige la sala che conta con lui sei addetti. Simone ha cominciato a lavorare col padre il 1° gennaio 2020 dopo importanti esperienze in Inghilterra. Qui si occupa anche della cantina, costantemente alla ricerca di piccoli produttori di qualità che possono essere messi in carta prezzi ragionevoli, con ricarichi contenuti. La carta dei vini è in continuo movimento arricchendosi via via di nuove proposte per una clientela che, in buona parte, fa affidamento ai consigli del giovane maître.

I nuovi spazi del ristorante Ma andiamo alla scoperta di spazi che conoscevamo già nelle condizioni originarie per accorgerci quanto sia stato ben confezionato il loro abito da festa. L’architetto Alessandro Fiandri ha progettato la ristrutturazione in un continuo confronto con Mario e Simone che sono stati supportati anche dalla consulenza di Leonardo Macchiavelli che si è occupato di trovare imprese e apportare idee. Tutto in assoluto rispetto della storicità del luogo e del genius loci che si è palesato fin dalla prima

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La sala che s'affaccia sugli orti. Foto Martina Ferrara

Cozze gratinate, salicornia e caramello di pomodoro. Foto Bruno Damini

volta che Mario ha visitato gli orti urbani di Via della Braina, quando interno ed esterno erano ormai inutilizzati da diversi decenni. Era e rimane un luogo con un’anima percepibile che trasmette un senso di pace e di benessere. Ora l’accesso al ristorante avviene da un portoncino in via della Braina che, nelle ore di attività, ha le due ante spalancate ed è segnalato da un lampioncino esterno e da una spiccata luminosità interna generata da lampade di raffinato design. Nella prima sala, che un tempo era il refettorio delle monache per le bambine sordomute lì ospitate, è stato riformulato in chiave moderna quel modello di convivialità con una quarantina di coperti. Di fronte a questi una scaffalatura a tutt’altezza con una nutrita proposta di bottiglie e a fianco l’ottima idea di creare lo chef’s table di Mario, attrezzato con piastre e lavandino, insomma un’isola-cucina intorno alla quale, su prenotazione in esclusiva, si potrà passare una serata a tu per tu con lui e con le sue preparazioni estemporanee, non certamente uno show cooking, questa è cucina, non show. Alla seconda sala dall’ampio soffitto a botte si arriva 62

fiancheggiando il bancone bar di fronte al quale sono collocati i frigoriferi-cantina. Ora il salone che si affaccia sugli orti, con le sue tinte pastello ha ritrovato di giorno una calda luminosità, di sera è illuminato da tre preziosi lampadari “Imperfetto” in ferro di Renzo Serafini. Anche il pavimento in seminato di marmo, cosiddetto “alla bolognese” è stato mirabilmente restaurato. I tavoli sono ben distanziati, con una potenzialità che può spaziare dai 40 ai 60 coperti, a seconda delle evenienze. L’arredo gioca tra una moderna razionalità e diversi inserti di modernariato. L’ampia cucina è ben dimensionata rispetto alle due sale e al grande spazio verde adiacente. Rispetto via Broccaindosso c’è la differenza che corre tra un intimo monolocale e un accogliente loft. La cucina qui è fresca e ben arieggiata e si muovono con Mario in perfetta armonia i cinque aiuti più Shekh, il loro storico jolly lavapiatti, che dal Bangladesh s’è portato in dote un volto sempre sorridente.

La cucina di Mario Ferrara Dopo la “visita guidata” arriviamo finalmente a scoprire se e come cambia la cucina di Mario Ferrara da uno Scaccomatto all’altro. Se lo si chiede a lui, allarga le braccia, apre un sorriso e dice: “Sono sempre io”, uno che cucina con rigore critico, senza presunzione, senza volere meravigliare, perché nella sua cucina tutto si amalgama, gusti, ricordi dell’infanzia, sapori che devono ancora nascere. Se costretto a scegliere fra carne e pesce, sempre di origini locali, in equilibrio con | novembre 2023


ingredienti “poveri” ma nobili, non ha dubbi privilegiando sempre in ogni preparazione le verdure di stagione, anche celebrandole da sole, perché appartengono alla sua storia personale, alla sua origine contadina lucana. Ogni suo piatto è perfettamente riconoscibile in coerenza con il suo progetto di ricerca gastronomica, in costante evoluzione e continuo, stimolante confronto creativo con i ragazzi in cucina, anche coi nuovi arrivati. Non c’è differenza di servizio fra le due sale. Mario sostiene che chi va da loro non solo non è obbligato a un menu degustazione o a fare un percorso completo dall’antipasto al dessert: chiunque avrà diritto di ordinare anche un solo piatto. Il menù di questi primi tempi d’apertura è volutamente “ridotto”, sia per ragioni di “rodaggio” che per continuare a garantire ai clienti preparazioni di giornata. A Scaccomatto sono sempre state piuttosto rare le preparazioni abbattute e messe sottovuoto. La cucina qui fa tesoro anche dei prodotti che offre il giardino-orto: l’uva, dalla quale viene ricavato un verjus con cui condire il pesce crudo, le foglie di fico dalla cui estrazione nasce un burro di fichi per gli spaghettini con la bottarga (che è sempre Mario a preparare, via via che trova l’ovario aprendo pesci di grandi dimensioni), poi le melagrane, i cachi. Tutto concorre a dare un’idea del posto in cui ci si trova. I prezzi rispetto a prima avranno solo un minimo ritocco, anche questo nel segno della continuità, pur considerando il forte investimento effettuato e gli aumentati costi di gestione. Un esempio? Il menù degustazione in quattro portate più il dolce viene proposto a 55 €. Non da ultimo viene anche la qualità di vita di chi lavora a Scaccomatto in sala e in cucina. Si sa che il lavoro in un ristorante è logorante, per quello, decidendo di aprire solo la sera dal lunedì al giovedì, a pranzo e cena venerdì e sabato e la domenica solo a pranzo, non effettuando giorni di chiusura, Mario e Simone hanno stabilito che tutti, dalla cucina alla sala, di poter godere di due giorni di riposo ogni settimana. La brigata di cucina è così ben formata da poter fare le veci dello chef anche nelle sue rare assenze.

Spaghettino, burro alle foglie di fico e bottarga; Melanzana alla parmigiana; Coda di bufala, gremolada sedano rapa e spinaci. Pinot Nero “5 Jours”, La Cantina di Cunéaz Nadir, Vigneron en Gressan (Aosta), e in chiusura, senza più spazio se non negli occhi: Ricotta, caramello del suo siero, cannella e cioccolato.

La cucina di Scaccomatto agli Orti. Foto Bruno Damini

Cosa accadrà allo storico Scaccomatto di via Broccaindosso? Si rigenererà come trattoria dall’animo lucano aperta a nuove “contaminazioni”. Prenderà le redini della cucina un cuoco che lavora al fianco di Mario da diversi anni., anche egli di origini lucane. Infine, la prova del nove di chi scrive, che conosce la cucina di Mario Ferrara da sempre: Battuta di fassona al coltello con tuorlo d’uovo marinato; Friggitelli ripieni di baccalà, coulis di peperoni e prezzemolo; Cozze gratinate, salicornia e caramello di pomodoro;

Mario e Simone Ferrara. Foto Bruno Damini

scopri Scaccomatto agli orti su Amodo, la rete dei ristoranti etici

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Il territorio e la ristorazione

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Autrice: Antonella Petitti

Giovani, virtuosi e affascinati dalle loro radici Ecco 10 tappe nuove (o imperdibili) tra gli indirizzi della buona ristorazione del Mezzogiorno d’Italia

Non è vero che vogliono tutto e subito. I giovani chef e ristoratori spesso hanno percorso molte strade prima di ritornare su quella di casa. E incarnano perfettamente i trend che stanno guidando la ristorazione italiana: sostenibilità, territorio e autenticità. Il Rapporto Annuale della Federazione Italiana Pubblici Esercizi di quest’anno evidenzia bene il passaggio dalla crisi pandemica a quella dei costi, in un settore in cui l’imprenditore è quasi sempre anche un lavoratore. Eppure, nonostante tutto, è al Sud che insiste la più alta incidenza delle imprese giovanili. Il primato spetta alla Campania (con il 16,9%) e alla Calabria (con il 16,4%) e si tratta dell’ennesima dimostrazione di quanto il settore sia attrattivo tra i giovani, proprio nelle aree del Paese dove è maggiore la difficoltà di trovare un lavoro. Ma i tanti casi virtuosi non raccontano di un ripiego, ma di una grande passione che consente loro di diventare ambasciatori straordinari del proprio territorio. Baccala in umido ai fiori dell orto Terra Arsa

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Etica, autenticità, ricerca: hanno questo in comune i dieci indirizzi che vi segnaliamo, alcuni di nuova apertura.

CAMPANIA Nella città che lo scorso anno ha sfiorato i tre milioni di visitatori merita una sosta il Capasanta. Aperto a Pompei (NA) poco più di un anno fa dallo chef Paolo Del Giudice. Classe 1993, dopo gli studi lavora con gli chef Claudio Sadler e Gennaro Esposito. Dopo un periodo milanese al Barmare il ritorno a casa e l’apertura di un ristorante dedicato alla cucina di mare con cocktail bar. Una tradizione che ispira un menù ricercato, a cui si accostano oltre ai vini anche i drink: apprezzatissimo è il gin tonic Acquasantissima, realizzato proprio con aggiunta di acqua di mare. Sempre nel 2022 ha preso vita a Pozzuoli, nell’area flegrea, Confini Restaurant. Con una suggestiva vista sul golfo, in cucina c’è il giovanissimo chef Giorgio Vanacore. Classe 1998, propone una cucina internazionale rivisitata in chiave campana, ne sono un esempio chiaro piatti come il ramen di pesce con tagliolini all’italiana, il gyoza al vapore alla Nerano o il ceviche di trippa. Alla guida tre giovani imprenditori: Antonio Ippolito, Giovanni Conturso e Carmine Ferrara. Partiti dall’idea che il cibo non abbia confini e che le commistioni siano un valore aggiunto, qui le tradizioni del mondo vengono sapientemente miscelate.

PUGLIA Foggia non è una città turistica, e non è nemmeno una città in cui è facile ritornare. Ma le radici, quando sono forti, vincono. È successo allo chef Lele Murani, 36 anni, il quale dopo aver lavorato per diverso tempo in giro per l’Italia ha aperto un’osteria nella sua terra d’origine. Terra Arsa è la sua scommessa, in parte vinta dopo oltre dieci anni di attività e l’ingresso tra le Osterie di Slow Food, che condivide con un gruppo di giovanissimi. Una cucina dove il vegetale la fa da padrone. Tutto stagionale e locale, a costo di cambiare più volte al giorno il menù. Orecchiette e troccoli, tantissimo orto ed erbe spontanee, La sala del ristorante A sud dell'anima

baccalà e qualche affaccio tra i pesci dell’Adriatico. Anche a Minervino Murge, in provincia di Barletta Andria Trani, c’è un ritorno a casa che è andato a rafforzare le fila della buona gastronomia. Si chiama A Sud dell’anima e vede in prima fila le storie della chef Nadia Tamburrano e Ivan D’Introna. Dal ristorante si scorge la Basilicata e si mangia un territorio buono, fatto di consapevolezza. Da Molfetta, dopo gli studi, Nadia ha lavorato a Los Angeles e poi in Sardegna, continuando a coccolare l’idea di ritornare in Puglia. Ci riesce nel 2018 e, da allora, la viva tradizione pugliese incontra la modernità di un’offerta gastronomica che ha superato i confini. Una cucina sostanzialmente d’entroterra che parte dai sapori della Murgia, ma dove non mancano viaggi avventurosi fuori area.

BASILICATA La pizza lucana: in teglia e realizzata con prodotti rigorosamente locali. È la pizza del giovane pizzaiolo Giovanni Spera, il quale da qualche anno ha dato nuova linfa alla pizzeria di famiglia nata nel 1998. Casarsa – Pizzeria Lucana oggi è un riferimento a Potenza, lì vi ha portato le esperienze fatte in giro per l’Italia e all’estero, in un momento storico in cui i giovani che si avvicinano al mondo della ristorazione e dell’accoglienza hanno compreso il valore della formazione. Da prodotto secondario della preparazione del pane ad eccellenza, la pizza nel ruoto è stata protagonista anche di un innovativo box che Giovanni ha lanciato durante il lockdown. Tutte le pizze raccontano una parte del territorio e delle sue eccellenze. Nei pressi dei Sassi di Matera, su una terrazza con vista, da qualche mese è possibile incontrare la cucina dello chef Mirko Quarto. Nato a Gravina, nella vicina provincia barese, ha vissuto un percorso professionale in brigate importanti, come quelle di Heinz Beck, di Felix Lo Basso e di Giovanni Solofra. Quid promette diversi percorsi degustativi tra Ricordi, Contrasti e Sensazioni. Ispirazioni tradizionali e territoriali che si trasformano con creatività e tecnica. Pancotto e cialledde come non si sono mai viste! Giorgio Vanacore


Giovanni Spera

Tubettini, crema di patate alle erbe, cozze, chorizo e polvere di patata viola QUID

SICILIA CALABRIA A Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro, dal mese scorso c’è un imperdibile indirizzo. All’interno del Palazzo Greco Stella, una struttura storica su tre piani, un bistrot, un american bar, un relais, una boutique, una biblioteca artistica e uno spazio espositivo, dove è possibile provare la cucina dello chef Luca Abruzzino. Una voce forte della cucina contemporanea calabrese, che si è consolidata con l’esperienza e con gli anni, nonostante abbia poco più di trent’anni. Assieme alla sua famiglia si prende cura dell’offerta gastronomica di questo palazzo ottocentesco dove si sta lavorando anche per l’apertura di un ristorante gourmet. Meno di trent’anni, invece, per lo chef Celestino Mauro. Tornato da pochi anni in Calabria, era ripartito nella sua terra di origine aprendo il suo Core a Castrovillari. Ma, dal mese scorso, si è spostato al Labels experience a Rende, sempre in provincia di Cosenza. Dall’aperitivo al brunch, fino alla cena, un locale di moderno e di nuova concezione, che si sposa perfettamente con la sua cucina ricercata che sa far viaggiare il commensale.

Il mondo della pizza in Sicilia è vivace, soprattutto quello di Emanuele Serpa, imprenditore e pizzaiolo di Frumento. Una pizzeria ad Acireale aperta nel 2015, poi una a Catania e da pochissimo a Modica, in provincia di Ragusa. Un format di pizzeria artigianale attenta ai prodotti tipici e territoriali, che intende continuare a crescere. Interessante è l’attenzione verso cocktail e distillati che vengono proposti anche in abbinamento alle pizze. Recente anche la nascita di un nuovo format: Frumento mare, sempre ad Acireale. Un’osteria essenziale ed immediata, dove il pesce fresco è protagonista di piatti schietti. Tra i palazzi nobiliari e il mercato della Piscaria a Palermo, nell’antico quartiere della Civita di Catania, ha aperto da poco Basalto. Un ristorante gourmet inserito in una struttura ricettiva di lusso, ovviamente aperto anche all’esterno. Jonathan Mirabella, classe 1996, è il giovane chef alla guida dell’offerta gastronomica. Il menù propone i grandi classici della cucina siciliana, interpretandoli però in chiave del tutto personale. Una tradizione che si trasforma, attraverso tecniche contemporanee e tocchi di esotismo che sfruttano abbinamenti ammiccanti.

Involtini di pesce spada con gambero rosso, panato alle erbe con vellutata - BASALTO.


CARNE SALADA Autenticità e sapore inimitabili

Una eccellenza alimentare per la tua cucina Chiedili al tuo fornitore Cateringross www.cateringross.net


La produzione Clicca e leggi l’articolo sul web Autore: Guido Parri

La Carne Salada Salumi Reali Sono ormai 75 anni che la famiglia Gasperi produce, nel Salumificio Val Rendena di loro proprietà, la Carne Salada, il prodotto più tipico del Trentino. Era il 3 gennaio 1947 quando i fratelli Gasperi aprirono una salumeria-macelleria con vendita di latte proprio sotto casa. Quella salumeria è cresciuta diventando un preciso punto di riferimento per la salvaguardia delle produzioni tipiche di questa regione. Infatti, oltre alla Carne Salada, al Salumificio Val Rendena le produzioni spaziano dallo Speck ai salami stagionati, ma in questo articolo ci concentreremo sulla Carne Salada che il salumificio produce anche a marchio Salumi Reali per il gruppo Cateringross.

allevati allo stato semi-brado. Il processo produttivo prevede che, dopo averla pulita da parti tendinee in eccesso, sia avvolta in una miscela di sale, erbe e spezie aromatiche che, per osmosi, aiuterà la fuoriuscita dalle carni della salamoia naturale, elemento fondamentale nella produzione. Dopo due-tre settimane la carne avrà rilasciato gran parte della propria acqua e assorbito profumi e sapori di spezie ed erbe di montagna, e sarà pronta per il consumo: tenera, magra, delicatamente saporita e versatile. Infatti la Carne Salada oggi è oggetto di ricette che superano i confini amministrativi, trovando lo spazio che merita nelle cucine professionali di ogni parte d’Italia.

La Carne Salada, tra storia e produzione

La Carne Salada Salumi Reali

Siamo nel Cinquecento e in Trentino alcuni editti, emessi dai principi-vescovi che governavano la regione, imposero l’abbattimento di un capo su cinque che transitavano nei pascoli di alpeggio. Si arrivò, in tal modo, ad avere un eccesso di carne che non poteva andare sprecato. Per conservare la carne e mangiarla nei mesi successivi si pensò al sale come metodo di produzione e, da quel momento, prese forma la carne salada. A quei tempi non si utilizzavano parti specifiche, fu la sapienza dei macellai che individuò un metodo per realizzare la Carne Salada che abbiamo ancora oggi sul mercato, ottenuta dalla lavorazione delle parti pregiate del bovino adulto come la fesa, la sottofesa e il magatello. Il Salumificio Val Rendena utilizza solo la migliore fesa sul mercato, proveniente da bovini

È per questo che il gruppo Cateringross l’ha selezionata proprio dal Salumificio Val Rendena per inserirla nei prodotti a marchio Salumi Reali riservati ai clienti ristoratori forniti dalle 40 aziende del gruppo in tutta Italia. Intera, metà, quarto, intera insaccata, certificata Qualità Trentino, preaffettata a carpaccio in buste per il libero servizio e il take-away, preaffettata un po’ più spessa pronta per essere cotta. Sono davvero tanti, tutti con uno straordinario contenuto di servizio per i diversi utilizzi, i formati in cui viene commercializzata la carne salada e, per il Salumificio Val Rendena, lo storico rapporto con Cateringross rappresenta la possibilità di servire un ampio network di distributori del settore Horeca, importante canale di vendita per i salumi di qualità del suo assortimento.

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La pizzeria

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Autrice: Marina Caccialanza

La Grotta a Ventimiglia

Nel cuore di Ventimiglia, lungo la passeggiata Oberdan che costeggia il mare, sono tanti i luoghi dove sostare e assaporare l’atmosfera gustando un piatto tipico o facendo uno spuntino. La Grotta è un locale storico, la sua fondazione risale al dopoguerra e resta da allora uno dei luoghi più popolari per i residenti e per i tanti turisti di passaggio. Antonino Corigliano ne è il titolare da 18 anni e ha saputo mantenere e amplificare la fama del locale con i suoi piatti gustosi e con le sue pizze. Tutto ruota intorno al fuoco, cuore pulsante de La Grotta. Il fuoco che, al centro del locale, ben in vista, riscalda l’ambiente, anche in senso figurato, e diventa punto di riferimento e stimolo alla convivialità. Sul fuoco che sprigiona i suoi aromi si cuociono alla griglia le carni scoppiettanti – fiorentine, tomahawk, picana, agnello – e nel grande forno a legna le pizze, quasi una cinquantina in carta per accontentare tutti i gusti. “Facciamo cucina classica – racconta Antonino Corigliano – primi di pesce, piatti tradizionali, ma quello che facciamo ci teniamo a farlo bene e le nostre sale e il dehors con veranda – circa 280 coperti – è sempre al completo perché abbiamo una clientela vasta e composta di persone giovani e meno giovani. Le proposte classiche sono le preferite dalle persone mature, quelle dal gusto più intenso, particolare,

Ospitalità all’italiana, buon cibo e atmosfera conviviale. La Grotta a Ventimiglia è il ristorante per tutti, dove il piatto è genuino, sincero, gustoso perché frutto di esperienza e professionalità

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dai giovani che cercano esperienze nuove; sapori forti come la nostra pizza con mortadella e burrata o quella che noi chiamiamo ‘labbra di donna’ con carne trita, cipolla e nduja”. La pizza, infatti, è al centro della proposta. Antonino Corigliano ha studiato negli anni il suo impasto “perfetto”, l’ha trovato e insegnato al suo pizzaiolo che oggi lo replica con successo. Un impasto classico lievitato minimo 36 ore, che viene realizzato utilizzando la farina Rossa di 5 Stagioni, una scelta frutto di lunga esperienza. Una farina che consente la lavorazione con pochissimo lievito e che dà origine a una pizza croccante, leggera e molto digeribile. “All’impasto classico – continua Corigliano – ho affiancato un impasto che comprende canapa al suo interno: è una tendenza molto apprezzata, favorisce lo sviluppo di un sapore più rustico, intenso, particolarmente gradito; una pizza croccante come vuole lo stile moderno, una ricetta personalizzata, un piccolo segreto”. Ma il valore del menù de La Grotta è dato anche dalla continua ricerca della qualità nelle materie prime che vengono scelte in base alla stagionalità, prevalentemente sul territorio “quando ci sono i carciofi di Albenga, non mancano mai sulle nostre tavole – afferma Antonino – così come i porcini quando è il periodo giusto”. Sempre aperto, a pranzo e a cena, La Grotta è un locale per tutti, dove sentirsi a proprio agio coccolati dallo staff, 15 persone, e dove gustare in un’atmosfera conviviale il meglio della cucina italiana. È il ristorante pizzeria tipico della tradizione nostrana che unisce piacere della tavola e qualità all’atmosfera gioiosa. Il posto giusto per trovare

relax e appagamento. Con apparente semplicità, Antonino Corigliano offre la professionalità e l’impegno che caratterizzano gran parte della ristorazione italiana, quella senza stelle o eco

Ristorante Pizzeria La Grotta Passeggiata G. Oberdan, 23 18039 Ventimiglia IM

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La produzione

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Autrice: Marina Caccialanza

Dalla terra alla tavola

Una lunga storia di famiglia, una filosofia che ha scandito le tappe della crescita dell’azienda con un fine ben preciso: il massimo della qualità, il meglio dell’innovazione

Con un fatturato che supera i 300 milioni di euro e una movimentazione annuale di più di 35 milioni di chilogrammi di burro e formaggi, la Zarpellon si può considerare a buon diritto una delle realtà più importanti nel settore caseario a livello nazionale. La filosofia dell’azienda fondata nel 1935 da Giuseppe Zarpellon è da sempre quella di operare ponendo particolare attenzione alla qualità dei prodotti e all’innovazione dei processi, cercando di soddisfare le necessità crescenti e sempre più diversificate della clientela. Il core business è rappresentato dalla produzione di • Grana Padano Dop • Parmigiano Reggiano Dop • burro ma l’azienda è anche una delle maggiori importatrici di prodotti caseari da tutta Europa. Tra formaggi italiani ed esteri, la proposta di Zarpellon è molto vasta e comprende sia forme intere sia porzionate e confezionate nelle pezzature richieste:

• Montasio Dop • Asiago Dop • Provolone Valpadana • Pecorino Dop • Caciotta • Gorgonzola Dop • Emmenthal bavarese • Emmentaler Switzerland • Gouda • Brie • Fontal • Edamer • Maasdam Senza dimenticare, poi, i formaggi grattugiati e la mozzarella per pizza, disponibile in tre formati: filone, cubettata e julienne.

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I siti produttivi La sede commerciale e amministrativa della società si


trova a Romano d’Ezzelino (VI), ma il suo cuore pulsante è rappresentato dai due stabilimenti produttivi: il caseificio di Camisano Vicentino (VI), che lavora quotidianamente 180mila litri di latte (conferito da aziende agricole abilitate), per una produzione annua di circa 90mila forme di Grana Padano casello VI611, e la sede di Busseto (PR), dove viene trasformato un volume giornaliero di 37mila litri di latte, per una produzione annua di circa 30mila forme di Parmigiano Reggiano matricola 2398. Da queste lavorazioni derivano poi gli oltre 3 milioni di kg di burro prodotti ogni anno con la panna da affioramento.

Un’azienda in continuo sviluppo La costante crescita dell’azienda nel panorama nazionale ed estero impone continui investimenti, con un’attenzione particolare alla sostenibilità delle lavorazioni ed al loro impatto ambientale. Nel corso del 2022 è stato potenziato lo stabilimento produttivo di Camisano Vicentino (VI) con nuove linee di grattugia e confezionamento del Grana Padano, ed è stata ultimata anche l’espansione della linea di produzione del burro con panna da affioramento. Quest’anno, invece, è stata completata la nuova linea di lavorazione della mozzarella per pizza nei tre formati filone, cubetti e julienne. Inoltre, in tema di sostenibilità ambientale, nel 2023 è stato avviato e completato con ottimi risultati un particolare sistema di recupero del calore generato dal processo di raffreddamento del siero che permette di riscaldare il latte in entrata per prepararlo alla lavorazione

nelle caldere in rame per la produzione del Grana Padano, ottenendo così un importante risparmio energetico. A Busseto (PR), all’interno della zona di produzione del Parmigiano Reggiano Dop, è in via di realizzazione un ampliamento di ben 3.000 m2 che consentirà di aumentare la capacità produttiva dello stabilimento del 30%. Nel 2022, a Romano d’Ezzelino (VI) è stata installata una nuova linea di produzione di sacchetti e bustine di formaggio grattugiato nel pratico formato Doypack, una tipologia di imballaggio stand-up che può essere realizzato in mono-materiale, quindi con un minor utilizzo di materie plastiche, rendendole di fatto anche riciclabili. Quest’anno, invece, è stata sostituita e implementata la linea di confezionamento flow-pack. Questo tipo di confezione ha diversi vantaggi: richiede meno energia rispetto ai metodi di packaging più tradizionali, oltre a richiedere minori quantità di materiali per l’imballaggio; aumenta l’efficienza della produzione, riducendo i tempi di imballaggio e migliorando l’automazione del processo di confezionamento; hanno un minor impatto ambientale in quanto gli imballaggi utilizzati per confezionare i prodotti sono facilmente smaltibili e riciclabili rispetto ai packaging più spessi. Nel corso del 2023, poi, sono proseguiti i lavori di installazione del sistema fotovoltaico in tutte le aree utilizzabili degli stabilimenti di Camisano Vicentino (VI) e di Romano d’Ezzelino (VI), raggiungendo così una potenza totale di ben 1.400 kW. Sede Via San Giovanni Battista de la Salle 6, 36060 Romano d’Ezzelino (VI) info@zarpellon.it | www.zarpellon.it Stabilimento produttivo Grana Padano e burro Via Badia 131/A, 36043 Camisano Vicentino (VI) Stabilimento produttivo Parmigiano Reggiano Loc. Roncole Verdi 5, 43011 Busseto (PR)

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La produzione Clicca e leggi l’articolo sul web Autrice: Marina Caccialanza

L’importanza dell’abito Nel mondo della cucina professionale, l’abito “fa il monaco”. Identifica il ristorante, il suo stile, la personalità dello chef e del suo staff: è il biglietto da visita che introduce, è il sorriso che accoglie, è parte fondamentale dell’ospitalità. Camici e divise, grembiuli e bandane, giacche e gilet. Lo stile di un ristorante si riconosce anche dall’abbigliamento del suo staff - dallo chef al sommelier, dal cameriere al comis - e scegliere uno stile particolare, colori abbinati alla location, tessuti pregiati o tecnologici, fogge dedicate al format del locale è importante quando allestire la tavola con porcellane di pregio e servire piatti eccellenti. C’è un laboratorio a Modena dove tutto questo è reso possibile dall’impegno e dalla passione di due sorelle, Angela e Katia Cristoni, che aiutano i ristoratori a creare l’immagine del loro ristorante abbigliandone il personale nel modo più consono, sartoriale e personalizzato. Un valore aggiunto all’ottima cucina. “Quando abbiamo rilevato l’azienda 18 anni fa – racconta Angela Cristoni – era già una realtà sartoriale affermata e ci è piaciuta l’idea di rafforzarne l’identità e perseguirne gli scopi mantenendo altissima l’attenzione sulla qualità del prodotto, aggiungendo la nostra creatività alla

precisione e al metodo. In questi anni abbiamo cercato di acquisire tutte le competenze necessarie a svolgere il compito con professionalità perché se si parla di un grembiule sembra una cosa da nulla e invece dietro c’è un mondo, complesso e di fondamentale importanza”.

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Produzione artigianale taylor made Remc Confezioni, questo il marchio, infatti disegna e produce artigianalmente abbigliamento da lavoro. La caratteristica che contraddistingue la produzione delle sorelle Cristoni è proprio quell’impronta artigianale che accompagna la realizzazione di ogni modello e ne fa quasi un pezzo unico, creato e progettato appositamente secondo le esigenze e le indicazioni del cliente. Perché l’abbigliamento da lavoro non è solo uno strumento, è un mezzo di comunicazione, è un’impronta che resta indelebile e concorre a definire il successo di un locale. Angela ne è convinta: “È un biglietto da visita fondamen-


tale. L’abbiamo scritto anche nella nostra brochure e sul nostro sito: un abbigliamento corretto ti dà per prima cosa un’idea della pulizia del luogo, ti comunica l’armonia nel lavoro e la mentalità di chi ci lavora. Vedere uno staff ben vestito e coordinato fa capire la cura e i dettagli che le persone mettono nel loro lavoro, e secondo noi dice molto”. E Katia aggiunge: “Crediamo sia molto importante comunicare col cliente anche attraverso la sensazione che l’aspetto trasmette: per esempio, sulla casacca dello chef c’è il nome e questo crea un rapporto più intimo col cliente, stabilisce una relazione. Sulla giacca del cameriere non c’è il nome; è un’abitudine e un fatto culturale: lo chef è una personalità ben individuata, il cameriere è un’entità talvolta quasi invisibile. Secondo noi sarebbe bello poter valorizzare la figura del personale di sala anche attraverso l’immagine trasmessa dall’abbigliamento. Se non mettendo il nome sulla giacca, almeno creando uno stile personalizzato e identificabile. In fondo, se ci troviamo bene in un ristorante è spesso merito dell’accoglienza che il cameriere ci riserva. Si merita tutta la nostra attenzione”.

Moda o mestiere? Angela e Katia Cristoni sono creatrici di moda, stiliste, sarte: non realizzano semplici divise da lavoro ma forniscono ai loro clienti abiti belli e confortevoli. Bellezza e praticità vanno di pari passo perché chi li indossa si possa sentire a proprio agio per comodità e per disinvoltura. Se sentirsi eleganti e di gradevole aspetto è una sensazione piacevole nella vita privata, perché non dovrebbe essere lo stesso quando si lavora? Spiega Angela: “In una cucina o nella sala di un ristorante, la divisa è un obbligo di legge. Ma cosa ci sia di obbligatorio in una divisa non è chiaro. Ebbene, noi cerchiamo di interpretare la legge – forniamo divise a norma – e al tempo spesso ci impegniamo a realizzare dei capi che facciano sentire bene chi li indossa. Ascoltiamo i nostri clienti, loro ci comunicano i loro desideri, e noi li interpretiamo. In un certo senso, lanciamo una moda perché nel realizzare una divisa utile e pratica seguiamo le tendenze e soddisfiamo i desideri: ogni anno la

moda presenta colori, tessuti, modelli e rifiniture e noi li intercettiamo e li adattiamo alle necessità dei lavoratori della ristorazione, liberamente. Per questo oltre ai classici bianco per la cucina e nero per la sala ci piace offrire alternative con le quali ogni ristorante possa identificarsi per cultura, per modo di lavorare, semplicemente per gusto personale”. Moda e mestiere, dunque, si incontrano: l’Angela stilista si unisce alla Katia esperta d’arte e le loro creatività danno origine a qualcosa di unico, con estro e fantasia ma anche con conoscenza e metodo per rispondere ai desideri del cliente. “Questa è una parte importante del nostro lavoro – affermano le due sorelle – perché il nostro lato ludico emerge, si sfoga e si trasforma in azione concreta”.

Progettazione e realizzazione Angela e Katia hanno ideato un metodo personale per realizzare divise da lavoro pratiche e ben adatte allo scopo e che facciano sentire il personale del ristorante bello ed elegante. “Sentirsi belli ed eleganti vuol dire avere un motivo in più per lavorare con gioia – spiegano le sorelle Cristoni – e per offrire questa sensazione ci basiamo innanzi tutto sull’osservazione di quello che ci circonda. Ogni anno la moda propone novità e anche nell’abbigliamento professionale è possibile interpretarle. Progettiamo i nuovi campionari in modo che si sposino con l’arredamento, che creino un’atmosfera particolare, seguano uno stile, un’immagine. Naturalmente non seguiamo i dettami della moda convenzionale perché ci sono bisogni speciali, dettati da esigenze tecniche, per esempio l’uso di tessuti a prova di candeggina, o facilmente stirabili. Non è un dettaglio perché i nostri abiti devono essere belli ma anche funzionali”. Ecco, gusto e funzionalità, bellezza e sicurezza: perché possano convivere ci vuole esperienza e competenza. Ancora di più, per un’azienda come Remc Confezioni, piccola, artigianale. O forse il suo successo è dovuto proprio alla sua dimensione intima che ne fa un gioiello, che permette di identificare e identificarsi in ogni collezione, in ogni cliente che si sente coccolato e valorizzato. È il tocco dell’artista, cuore e passione “su misura”.


Le aziende

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Autrice: Marina Caccialanza

La magia del cestino del pane All’inizio di ogni pasto nel vostro ristorante, c'è un gesto speciale che segna l'avvio di un'esperienza culinaria indimenticabile: il cestino del pane Un consumatore sempre più attento ai dettagli e una ristorazione in continua evoluzione sono i presupposti per la ricerca di materie prime e ingredienti che, partendo da sapori, colori, profumi e consistenze della nostra tradizione, permettono di innovare con suggestioni sempre nuove. Partendo da questo concetto, Ireks ha sviluppato la sua linea Food Service dedicata al pane perché il cestino del pane è molto più di un semplice accompagnamento. È il primo contatto che i clienti hanno con il gusto e l’atmosfera del ristorante. È il momento in cui si pregusta il pasto.

Il pane... l’elemento centrale della tavola Ma anche la pizza, sublime espressione della fantasia italiana! Ecco che, grazie agli ingredienti Ireks per il pane artigianale, ogni ristoratore può trasformare questo momento in una vera e propria magia. La selezione di ingredienti, infatti, gli permetterà di preparare pane fresco e fragrante che delizierà i suoi clienti. Non solo pane però. Nel mondo frenetico di oggi, ritrovare il gusto autentico e la tradizione dei prodotti da forno 76

fatti in casa è un tesoro da condividere. La linea Food Service non si ferma al solo pane. Oggi i clienti cercano esperienze culinarie uniche e innovative. Con i prodotti Ireks, è facile spaziare nella creatività e offrire ai propri ospiti una varietà di prodotti da forno fra cui: focaccine; focacce in teglia; pizze; grissini; sfoglie croccanti.

L’Arte di Creare Momenti Unici La cucina è molto più di una mera questione di nutrimento. È un’arte che crea ricordi e momenti indimenticabili. Con i prodotti Ireks, ogni pasto al ristorante si trasforma in un’esperienza culinaria magica. La scelta di ingredienti di alta qualità e la dedizione alla preparazione artigianale sono ciò che distingue la linea. L’obiettivo è aiutare il ristoratore a sorprendere e deliziare i suoi ospiti, rendendo ogni momento passato al suo ristorante unico e indimenticabile.

Argomenti strategici per la ristorazione con la R maiuscola Da questo ideale ben chiaro nasce la linea Food Servi| novembre 2023


ce di Ireks, che riunisce quattro prodotti con i quali il professionista attento può creare in maniera semplice e sicura i “propri prodotti da forno”: due basi - il pane & co. + il pane scuro & co. due ingredienti - il malto + il lievito naturale & malto. Il pane & co. è la base di grano tenero per la produzione di pane, snack, focacce e pizze. Il pane scuro & co. è la base con quattro cereali (frumento, orzo, mais, segale) e quattro malti (frumento, frumento tostato, segale, orzo) per la produzione di pane, panini, snack e focacce dal gusto deciso e dal colore scuro. Con pochissimi ingredienti, uniti alla fantasia di chi le usa, queste basi permettono di realizzare lavorazioni semplici e veloci in una infinita varietà di prodotti. Il malto dona la possibilità di arricchire di colore, aroma e gusto i prodotti finiti senza stravolgere le proprie ricette e lavorazioni. Aggiunto in quantità da 0,010 a 0,030 kg su 1 kg di farina, il malto dona carattere a qualsiasi prodotto da forno che si tratti di pizza, pane o focaccia: nella pizza migliora il colore della crosta con una particolare doratura, regala note di miele e caramello esaltando il gusto e aiutandolo a mantenersi più fresco nel tempo. Il lievito naturale & il malto è lievito di grano tenero e malto di frumento caramellato. È l’ingrediente perfetto per la produzione di focacce, pizze, pizze in teglia e focacce stirate: migliora la texture del prodotto finito garantendo un‘alveolatura aperta e una mollica soffice, favorisce una crosta croccante e dorata ed esalta aroma e gusto. Un vero “booster” in aiuto all’abilità del professionista.

Dal panificatore allo chef: i consigli per un risultato ottimale •

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Nella gestione di impasti con oltre il 50 % di acqua (0,5 l/kg di farina), è buona norma introdurre l’acqua in più fasi. Esempio: se dobbiamo aggiungere 0,7 l per 1 kg di farina, cominceremo con l’aggiunta di 0,5 l e, una volta formato l’impasto, aggiungeremo gradualmente i restanti 0,2 l. L’impasto è pronto quando si presenta liscio e omogeneo, di colore chiaro e lucente. Un buon modo per assicurarsi che l’impasto sia ben formato è quello di tirarne un lembo allargandolo: l’impasto è ben formato se la pasta risulta estensibile. Se si strappa oppure è appiccicoso o rugoso, occorrerà proseguire con l’impastamento. Durante le fasi di riposo e/o lievitazione è importante coprire gli impasti o le pastelle con un telo di plastica. Si evita così la formazione della “pelle” che impedisce di avere un prodotto ben lievitato e rende difficili le lavorazioni successive. Le ricette proposte sono tarate su una temperatura ambiente tra 25 e 30 °C. Per temperatura ambiente inferiore o superiore, è necessario rispettivamente allungare o accorciare il tempo di lievitazione.

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La pastella è pronta per essere infornata quando, esercitando una leggera pressione sulla superficie, questa non tende a ritornare nella sua posizione originaria. Se si inforna troppo presto (impasto troppo giovane), si possono formare sul panino spaccature non desiderate o perdite della forma. “Dare vapore” alle pastelle appena infornate è fondamentale perché mantengano la forma data durante la lavorazione. Se il forno non è dotato di vaporiera, si può inumidire abbondantemente la superficie delle pastelle con uno spruzzino ad acqua o, in alternativa, mettere nel forno un recipiente contenente acqua bollente. Un panino tradizionale è cotto quando la temperatura al cuore è superiore a 92 °C; un panino morbido quando la temperatura al cuore è superiore a 84 °C. Il calo peso in cottura è di circa il 10 % per un panino tradizionale, dell’8 % per un panino morbido. Per conservare il prodotto previa surgelazione, il primo passaggio è far raffreddare il pane a temperatura ambiente (ottimale raggiungere al cuore la temperatura di 37°C). A questo punto, lasciando tranquillamente il pane su teglia, procedere con l’abbattimento a -40° C per almeno 45 minuti. Una volta abbattuto, trasferire il pane in sacchetti di plastica con chiusura ermetica applicando su ogni sacchetto un’etichetta con data di produzione e tipologia di prodotto. Quindi stoccare a -18 °C per il tempo desiderato (comunque non oltre 15 gg). Per servire il pane lasciare prima scongelare per circa 30 minuti a temperatura ambiente poi infornare a 190°C con un po’ di vapore per 3 – 4 minuti (pezzatura 0,030 kg). scopri la ricetta scopri la ricetta dei grissini di Ireks dei panini morbidi di Ireks

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La produzione

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Autore: Guido Parri

La Filiera di Centro Carni Company: qualità e territorio le due parole chiave al cuore del progetto Con oltre 4 mila capi allevati ogni anno, circa 17 aziende del settore coinvolte e un maggiore controllo di tutte le fasi produttive, l’azienda padovana sigilla il suo impegno nella lavorazione della carne bovina con prodotti dedicati anche ai brand Unika e You&Meat. Territorio e qualità sono gli elementi chiave su cui punta La nostra filiera, il progetto di Centro Carni Company che garantisce carni di alta qualità sulle tavole degli italiani. Con oltre 40 anni di esperienza nella lavorazione della carne bovina, l’azienda veneta ha selezionato diciassette partner attivi principalmente nella sua regione e scelti per gli alti standard, dall’igiene degli ambienti al monitoraggio dello stato di salute degli animali, fino alla qualità della loro alimentazione. I bovini selezionati da Centro Carni Company, oltre 4.000 all’anno, provengono dall’Italia e dai Paesi dell’Unione Europea, e sono allevati per almeno quattro mesi nelle aziende partner, dove vengono applicate tecniche e alimentazione della tradizione italiana, arricchita dai controlli per il benessere degli animali. Il brand UNIKA® - marchio d’eccellenza di Centro Carni Company SpA dedicato alla ristorazione – aderisce al progetto La nostra filiera con la linea Aberdeen Angus Sired, che nasce dalla passione e dalla capacità d’inno-

vare di Centro Carni Company e comprende lombate in osso, fresche e dry aged, tagli e i burger. L’Aberdeen Angus è una delle carni più pregiate, succulenta e dal sapore deciso, proposta con il tocco dell’esperienza italiana. Dell’importanza della qualità e di una filiera controllata si è parlato anche nella tavola rotonda organizzata venerdì 29 settembre da Centro Carni Company a Cittadella (PD) “Qualità su misura: le sfide della filiera per il consumatore di domani”. Un evento a cui hanno preso parte circa 100 rappresentanti del settore per riflettere sullo stato di salute del mercato e approfondire le nuove abitudini d’acquisto del consumatore finale. “Una corretta comunicazione della filiera zootecnica è determinante nella formazione di consumatori informati e consapevoli, perché abbiamo a cuore il grande patrimonio zootecnico e gastronomico della nostra tradizione” ha sostenuto il direttore commerciale e marketing di Centro Carni Company Raffaele Pilotto, che ha fatto gli onori di casa.

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I libri

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Autrice: Giulia Zampieri

Visioni POP di Davide Oldani Completo! È questa l’esclamazione quando si giunge in fondo a Visioni POP, l’ultima pubblicazione firmata Davide Oldani nata per celebrare i vent’anni di D’O. Un libro ricco e gioioso che vale la pena gustarsi a prescindere che si sia o meno attori della ristorazione o appassionati di gastronomia. Di cibo e cucina si parla, naturalmente, lungo tutta la trama, ma c’è spazio soprattutto per i pensieri, anzi le visioni, che finora hanno accompagnato Oldani nel percorso umano e professionale. Un tratto lungo e non sempre in discesa, affrontato da maratoneta e a tratti anche da centrometrista, legato al ristorante di Cornaredo ma anche alle tante altre attività che l’hanno visto impegnato in questi anni, formazione in primis. Dal concetto di passione - il primo ad essere sviscerato nel libro, raccontata come il requisito essenziale per comprendere chi si è e cosa si vuole fare nella vita - alla determinazione con cui si rendono concreti i sogni, dal bisogno di equilibrio all’indispensabilità della chiarezza e della coerenza: ogni capitolo è scandito da una parola chiave dietro cui si celano scelte, fatti e aneddoti. Una formula narrativa precisa, quella delle visioni che diventano capitoli e parole in grassetto, pensata per ricalcare il modello infrangibile trasferito a Oldani dal Maestro Marchesi. Il modello esempio=insegnamento, vissuto come una missione quotidiana anche da Oldani stesso, che conferma “il desiderio è, con le azioni, di lasciare qualcosa agli altri”. Proseguendo la lettura tra pensieri, grafiche funzionali alla memorizzazione dei contenuti, citazioni e foto d’archivio o più recenti, si raggiunge il tema del far di conto, e poi del fare i conti con allievi talentuosi che a volte se ne vanno, altre ritornano. Poi si parla di creatività, cercandone una valida ed esaustiva definizione e della centralità della squadra; di tecnologie e nuove frontiere per la ristorazione. Vale la pena soffermarsi anche sulle battute finali, prova di quanto Oldani sia riconoscente a chi sposa le sue cause e le rende traguardi tangibili. “Ognuno i suoi piatti” è infatti la chiosa del libro dedicata ai suoi ragazzi, quelli che sono lì dentro, nel ristorante, ogni giorno, a rendere solide e durevoli le sue visioni POP.

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Visioni Pop Davide Oldani GRIBAUDO Ottobre, 2023 Collana: Passioni Pagine 180 Euro 16,00

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