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Maurice von Greenfield: Il mondo nei menu
È più ambizioso essere l’enciclopedia vivente dei tre stelle Michelin del pianeta o il più grande collezionista di menu storici al mondo? Maurizio Campiverdi, capitano d’azienda, accademico della cucina, scrittore, ma soprattutto bon vivant, è riuscito in tutte e due le imprese. Fino al 2007 aveva visitato tutti i 286 tre stelle di ogni latitudine per poi smettere quando la crescente influenza del continente asiatico ha reso difficile seguirne la proliferazione.
Tanti i volumi che ha scritto in proposito, l’ultimo edito da Maretti Tre stelle Michelin – Enciclopedia dell’alta ristorazione mondiale, storia dei ristoranti tristellati dal 1933 al 2020; questi alcuni suoi titoli precedenti Mangiare da re nei migliori cinquanta ristoranti del mondo, Viaggiare da re e Dormire da re nei cento migliori alberghi del mondo, tutti e tre editi da Ponte Nuovo.
Numerosi scritti, saggi e curatele riguardano la passione per i menu. Tutto ha inizio negli anni Cinquanta quando, adolescente, ogni estate andava con la madre e l’autista a fare un giro in Francia. Lei era molto interessata ai grandi ristoranti, lui era affascinato dagli enormi menu dalla grafica pregevole. Cominciò a raccoglierli in quelle circostanze e da allora non ha mai smesso arrivando a definirsi mali- ziosamente come uno dei più celebri e riconosciuti i ladri di menu al mondo, anche se per ottenerli molto spesso gli è bastato offrire una mancia di una certa importanza al maître.
Quando il suo interesse giovanile cominciò a trasformarsi in collezionismo il padre lo esortò ad adottare uno pseudonimo per coltivare quel suo passatempo, riservando agli affari il nome di famiglia. Così Maurizio Campiverdi assunse il nom de plume franco-anglo-germanico Maurice von Greenfield
Per passare dai menu contemporanei a quelli storici dovette aspettare un’asta di Parker Barnett a New York nel corso della quale si assicurò dei pezzi molto interessanti, a scapito del suo più grande competitore, la New York Public Library, che allora deteneva la più grande collezionista di menu del mondo. Nelle sue mire c’era già l’obiettivo di spodestarla da questo primato.
Iniziava così un avventuroso percorso parallelo alla sua attività imprenditoriale: mentre trattava la compravendita di enormi partite di riso in ogni continente andava a caccia di rarità per la sua crescente raccolta.
Quando a Londra venne messa in vendita la collezione Mosimann, Sotheby’s lo informò. La sua fama di collezionista era già ben consolidata. Lo chef bistellato Anton Mosimann aveva cucinato per cinque primi ministri al No. 10 di Downing Street, per quattro generazioni della British Royal Family in occasione delle visite di capi di stato, fra cui quattro presidenti degli Stati Uniti. La sua era considerata la più importante collezione di menu d’Inghilterra. Campiverdi andò a Londra due giorni prima dell’asta per prendere visione dei cento lotti scoprendo che nel raccoglitore numero 88 c’era una busta che conteneva tre menu del Titanic provenienti dalla collezione del duca di Atholl che Mosimann aveva comprato una ventina d’anni prima. Nel corso dell’asta, stranamente, il battitore finì per favorire un concorrente interessato al solo lotto numero 88 e glielo aggiudicò senza dare il tempo a Campiverdi di rialzare la posta. Il nostro si aggiudicò alla fine tutti e 99 gli scatoloni che fece caricare su un camioncino che aspettava fuori facendolo partire subito in direzione dell’Italia. Certo, mancava il lotto numero 88, ma una mano previdente aveva trasferito in precedenza i tre menu del Titanic nella scatola numero 86…
La sua collezione è considerata da tempo la più importante del mondo con oltre 70.000 menu fra i quali dominano pezzi di rilievo storico con quotazioni significative sul mercato collezionistico.
Impossibile elencare tutte le rarità, a cominciare dal menu dei Savoia del 1907, primo anno in cui la casa reale ne decise la stesura in italiano, abbandonando il francese adottato presso tutte le corti europee. L’orgoglioso Dîner Parisienne del Capodanno 1870, durante l’assedio a Parigi poco prima della proclamazione della Comune, fotografa una situazione drammatica: gli animali dello zoo, e non solo, sono l’estrema risorsa alimentare degli insorti. Non ha menù dello yacht Elettra di Guglielmo Marconi ma quello dei festeggiamenti in onore dello scienziato italiano nel 1903 al Savage di Londra, club di gentiluomini viaggiatori presieduto anche dal futuro re
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Edoardo VII, figlio della regina Vittoria. Ci sono quelli della Marmite a Parigi, i cui menù erano firmati da artisti come Toulouse-Lautrec.
Nel 1978, il presidente della Repubblica Francese Valéry Giscard d’Estaing ricevette a Parigi il presidente USA Jimmy Carter. Una litografia originale di Marc Chagal in 99 esemplari rende prezioso il frontespizio di quel menu. Nel 1927, il capitano Charles Lindbergh venne festeggiato con un grande banchetto a New York di ritorno da Parigi dopo la celebre e solitaria trasvolata atlantica. Il menu è un volume di 24 pagine, di grande formato, ricco di fotografie e documenti. E ancora, il matrimonio fra il principe di Galles e Lady Diana Spencer, i menu del castello di Windsor, la collezione completa di quelli del Quirinale, menu fustellati con lettere impresse in oro zecchino o addirittura a sbalzo su lamine d’argento per il duemila cinquecentesimo anniversario dalla fondazione dell’impero persiano celebrato nel 1971 a Persepolis, e poi pranzi o cene ufficiali di dittatori, re e imperatori di regni che non esistono più.
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Merita un racconto a parte l’acquisizione dei menu per l’incoronazione dello Zar Alessandro III avvenuta a Mosca nel 1883, fra i suoi pezzi più importanti. Un giorno Campiverdi venne informato che il granduca Nikolaj Romanoff, erede al trono degli zar, voleva vendere i suoi menù imperiali per elargire il ricavato a un ente benefico a sostegno di profughi russi indigenti. Voleva venderli a un solo collezionista che fosse uomo di cultura e che gli risultasse simpatico. Il granduca abitava in un attico in avenue Hoche a Parigi e non dava certo la sensa- zione di avere bisogno di liquidità. Nel corso dell’incontro l’interrogò a lungo sulla storia dei Romanoff e sulla storia dei menu e del collezionismo. Alla fine gli disse: sono disposto a cederglieli. Altezza imperiale, se lei mi dice quanto richiede… E il granduca scrisse una cifra su un pezzo di carta. Corrispondeva esattamente al massimo che si era prefisso di pagare, qualcosa come 25.000 Euro di oggi. Gli disse che avrebbe fatto fare un bonifico sulla sua banca per poi andare a ritirare i menu quando sarebbe stato comodo. Al che lui rispose che aveva capito con chi aveva che fare, di prendere subito i menu e successivamente andare in banca facendolo avvertire a bonifico effettuato. Poi gli regalalò anche trenta menu di pranzi che si scambiava con il duca di Windsor, re Edoardo VIII, di grande interesse per un collezionista. Il menù ha certamente un grande passato, sul futuro immediato Campiverdi ha forti dubbi. I grandi ristoranti con tre stelle che ha visitato negli ultimi anni propongono poco più che dei pezzi di carta che non ha senso collezionare se non in ricordo di quei pranzi. Fra i menu più belli oggi ci sono quelli in seta del Gaddi’s di Hong Kong. Chi ha sempre fatto menu meravigliosi in Italia è Dal Pescatore a Canneto sull’Oglio, e lui ne possiede la collezione completa.
Quanto ai menu dei pranzi ufficiali non succede più che si dia l’incarico ad un artista, per fare qualcosa di originale. Il momento attuale è molto triste. Se dovesse dare un consiglio esorterebbe i ristoratori a un rilancio del menu perché si rendano conto che anche quello è il loro biglietto da visita.
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Autore: Guido Parri