L’indagine tra i ristoratori della rete Amodo
Maurizio Urso, la sapienza di un cuoco
L’estate italiana Cateringross, acceleratore di idee
sala&cucina n. 70 giugno 2023Poste Italiane SpaCN/BOEdizioni Catering srl –Via Margotti, 8 –40033 Casalecchio di Reno (BO)contiene I.P.costo copia euro 3,50
La sostenibilità per noi è l’agire aziendale nel suo complesso
Giugno 2023
Giovanni Zucchi
Mario Benhur Tondini presidente Edizioni Catering srl
Imprenditore nel settore della distribuzione alimentare, gestisce con il fratello Oscar l’azienda di famiglia a Cavriana (MN), dove ha svolto anche l’incarico di sindaco.
Le competenze maturate sul piano professionale e su quello amministrativo lo hanno portato alla convinzione che il principio della condivisione sia la miglior modalità di crescita. Molte sue iniziative, anche all’interno del gruppo Cateringross (che detiene la titolarità della casa editrice), di cui è consigliere d’amministrazione, vanno in questa direzione. A questo affianca una forte sensibilità per ogni azione che dia valore al suo territorio.
benhurtondini@salaecucina.it
Marina Caccialanza Redazione
Milanese, un passato come traduttrice, da diversi anni giornalista e redattrice per riviste del settore alimentare rivolte al mondo dell’artigianato e all’industria, in particolare nel campo della ristorazione, del dettaglio specializzato e della ricerca. Contribuisce alla realizzazione di importanti libri di comunicazione gastronomica in Italia e all’estero diretti ai professionisti e ai consumatori. Collabora con le redazioni di sala&cucina, Ecod e Trenta Editore.
marina.caccialanza@salaecucina.it
Giulia Zampieri Redazione
Ricorda con esattezza il profumo del primo pane preparato all’età di sette anni.
Forse il suo primo traguardo e, soprattutto, l’inizio di una grande passione: per le cose semplici, per la genuinità, per gli alimenti che crescono e prendono forma. Dopo la Laurea in Scienze Gastronomiche, la specializzazione in comunicazione enogastronomica, e un periodo di alternanza nelle cucine, ha chiara la missione: scrivere per comunicare. Come? Utilizzando gli strumenti di oggi e la curiosità di sempre. Gionalista pubblicista, collabora anche con la guida di Identità Golose.
giuliazampieri@salaecucina.it
Luigi Franchi Direttore responsabile
Prima fotografo di cibo e territori, poi comunicatore, autore di numerosi libri di enogastronomia e di turismo enogastronomico. e infine giornalista di enogastronomia. Tra le sue principali pubblicazioni, scritte e/o coordinate: La prima edizione della Guida al turismo del vino in Italia, per conto del Movimento Turismo del Vino, (1997), I parchi e il turismo enogastronomico (2004), Il marketing delle Strade del Vino edizioni Agra – Rai Eri (2005), Atlante Alimentare Piacentino, con Valentina Bernardelli (2007), “cuo chi, due anime in cucina”, con Alessandra Locatelli, GL.Editore (2009), Dalle Terre Traverse al Po, GL.Editore (2010), ideatore e coautore dei Maestri del lievito madre, Edizioni Catering (2014), coautore della guida online dedicata alla ristorazione Meglio Prenotare, Edizioni Catering, Le interviste (2018) editore Mediavalue. Co-direttore di Food & Book, festival nazionale di editoria enogastronomica luigifranchi@salaecucina.it
Simona Vitali Redazione
Laureata in filosofia, ha lavorato nella comunicazione e organizzazione di grandi eventi a Parma. Ha ricevuto una prima inconsapevole educazione al gusto per il cibo grazie all’ indimenticato oste dell’Osteria di Felino (PR), il nonno materno Massimino. Con gli studi umanistici è poi arrivata una seconda, consapevole, educazione al gusto per l’utilizzo delle parole secondo il loro significato. Poi sono seguiti un corso di Alta Formazione alla scuola Holden e un master in Filosofia del cibo e del vino. Della ristorazione l’affascina il pensiero e la componente umana. Della formazione di settore segue movimenti ed evoluzioni.
s.vitali@salaecucina.it
Gabriele Adani
Grafico
Modenese, appassionato di arte figurativa, fotografia e linguaggi di comunicazione visiva.
Nel 1992 inizia il suo percorso professionale presso una casa editrice. Lavora poi in uno studio grafico e fonda una piccola agenzia di comunicazione in cui ricopre il ruolo di direttore creativo per 18 anni. Viaggiatore, utilizza i frequenti viaggi a Londra e nel Sud Est asiatico per arricchire il suo bagaglio culturale e placare la sua innata curiosità per le altre culture.
Dal 2019 lavora in proprio, occupandosi di fotografia, grafica e consulenze nel campo della comunicazione.
grafica@salaecucina.it
3 | giugno 2023
La redazione
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IL MONDO DELLA FRITTURA
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frittura italiana
7 LA LETTERA APERTA
Lavorare nel settore della ristorazione e del turismo non può essere un ripiego | Luigi Franchi
9 L' EDITORIALE
Trasparenza, condivisione, armonia | Benhur Tondini
10 IL CONFRONTO
Giovanni Zucchi | Luigi Franchi
15 I CUOCHI
La FIC e sala&cucina | Rocco Cristiano Pozzulo
17 LA NEUROVENDITA
“A ogni tavolo la sua storia” | Lorenzo Dornetti
19 L’OLIO AL CENTRO
Cosa sta succedendo con i prezzi dell’olio | Luigi Caricato
21 L’OSPITALITÀ
Cosa abbiamo imparato dalla questione parity rate? | Martina Manescalchi
23 LA DIGITAL TRANSFORMATION
Come digitalizzare la cantina e risparmiare tempo e denaro | Claudia Ferrero
25 SCIENZA E NUTRIZIONE
Cercare l’equilibrio (parte prima) | Ferdinando A. Giannone
26 LA RISTORAZIONE
La sapienza di un cuoco | Simona Vitali
29 LA RIFLESSIONE
L’estate italiana | Giulia Zampieri
32 L'ANALISI
L’indagine tra i ristoratori della rete Amodo | Luigi Franchi
36 LA RISTORAZIONE
Quando si fa onore a una nazione intera | Simona Vitali
40 LA DISTRIBUZIONE
Cateringross, acceleratore di idee | Guido Parri
44 IL PRODOTTO
Dove ti porta un’ostrica | Luigi Franchi
48 IL BAR
La Strega Bar | Luigi Franchi
50 LA PIZZERIA
Cajò, quella freschezza come di mozzarella! | Simona Vitali
54 LE PERSONE
L’aceto di uva intera secondo Joško Sirk de La Subida | Bruno Damini
57 IL TERRITORIO E LA RISTORAZIONE
Ristorazione a Sud: dove sta andando? | Antonella Petitti
61 I LIBRI
Andavamo a cena a Saperi e Sapori nel delta del Po
Il mestolo della rivincita | Luigi Franchi
63 LA FORMAZIONE
MEatSchool: l’Academy dedicata alla carne bovina | Luigi Franchi
64 IL RISTORANTE
Trattoria al mare, e sei in Paradiso | Marina Caccialanza
66 LA PIZZERIA
Dalla Costa d’Amalfi alla Fortezza, di nome e di fatto | Marina Caccialanza
70 LE AZIENDE
Pasta Armando, la scelta gourmet | Marina Caccialanza
72 LE AZIENDE
Creuza de Ma’, terra e mare di Liguria | Marina Caccialanza
74 LE AZIENDE
Riso Nuvola: dal campo al MAP lungo le vie del riso | Marina Caccialanza
76 LE AZIENDE
Contital, professionalità sostenibile | Marina Caccialanza
78 LE AZIENDE
Koch, il valore della famiglia | Marina Caccialanza
Giovanni Zucchi
N° 70 giugno 2023
EDITORE
Edizioni Catering srl
Via Margotti, 8 40033 Casalecchio di Reno (BO) Tel. 051 751087 – Fax 051 751011 info@salaecucina.it - www.salaecucina.it
PRESIDENTE
Benhur Mario Tondini benhurtondini@salaecucina.it
DIRETTORE RESPONSABILE
Luigi Franchi luigifranchi@salaecucina.it
COLLABORATORI ESTERNI
Luigi Caricato, Bruno Damini, Lorenzo Dornetti, Claudia Ferrero, Ferdinando Giannone, Martina Manescalchi, Elena Monteverdi, Guido Parri, Antonella Petitti
FOTOGRAFIE
Deposit Photo, Archivio sala&cucina, archivio Zur Kaiserkron, archivio I Carusi, Sigla.com
* L’editore è a disposizione per eventuali crediti fotografici di cui si ignora la fonte
RIVISTA PARTNER di AMODO
PUBBLICITÀ
Tel. 331 6872138 marketing@salaecucina.it www.salaecucina.it
PROGETTO GRAFICO
Gabriele Adani - www.gabrieleadani.it
STAMPA
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Ristoranti, trattorie e pizzerie 20.700 – Bar, pub e birrerie 4.000 – Hotel 3.100 – Grossisti e distributori f&b 1.100
Costo copia mensile: 3,50 euro
abbonamento annuo 30,00 euro
Per abbonarsi: info@salaecucina.it
Giugno 2023 sala&cucina giugno 2023 Poste Italiane Spa CN/BO Edizioni Catering Via Margotti, 40033 Casalecchio Reno (BO) contiene I.P. costo copia euro 3,50
La sostenibilità per noi è l’agire aziendale nel suo complesso
Maurizio Urso, la sapienza di un cuoco
L’indagine tra i ristoratori della rete Amodo L’estate italiana Cateringross, acceleratore di idee
LA RETE DEI RISTORANTI ETICI 2022 Sommario 5 | giugno 2023
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Luigi Franchi direttore responsabile
L’Italia ha un valore reale: è bella e fragile. Entrambe le situazioni hanno bisogno di cure. La bellezza va alimentata, i borghi, le coste, le montagne della nostra penisola vanno tenute in ordine, per noi che le abitiamo ma anche per le migliaia e migliaia di persone che guardano all’Italia come a un sogno che si può vivere.
Quello che pensano di noi nel mondo deve essere uno sprone per sentirci orgogliosi di essere italiani, di vivere in mezzo a tanta bellezza, deve diventare un autentico patrimonio.
La fragilità, purtroppo, è l’altra faccia della medaglia. Lo vediamo troppo spesso (mentre sto scrivendo è in corso il disastro in Emilia-Romagna) ed è venuto il momento di abbandonare i proclami per fare, ciascuno, la propria parte.
C’è un settore, quello della ristorazione e del turismo, che va riordinato molto in fretta, con programmi di formazione che siano all’altezza di questo Paese e non arcaici come quelli che, ancora oggi, si utilizzano negli istituti alberghieri.
Non serve dare nomi nuovi e altisonanti alle scuole come, ad esempio, liceo del made in Italy. Serve, piuttosto, rinnovare il corpo docente, fare cultura certo ma anche aumentare i laboratori e le ore che vi si trascorrono, capire come utilizzare le materie prime, conoscerne le potenzialità più che la storia, quest’ultima troppo spesso è una favola che ci raccontiamo.
Nell’ospitalità è necessario formare i ragazzi e le ragazze a un mestiere degno, non occasionale, non stagionale, non riempitivo per avere un po’ di soldi in tasca. Una professione dove fare carriera non deve più essere considerata una chimera. Far capire loro l’importanza di conoscere altre lingue, altre geografie, altri popoli che gli permettano di affrontare la vita, con tutte le incertezze ma anche le opportunità che questo comporta.
Non servono le classificazioni in stelle per gli hotel in Italia; oggi è proprio questa classificazione che svolge una funzione di freno allo sviluppo del turismo perché un quattro stelle è diverso da città a città e non si riesce mai a capire se abbiamo fatto la scelta giusta per i nostri desideri.
Non servono forse più neppure i parametri di giudizio delle guide dei ristoranti; sono ormai troppe le cose che non vengono prese in considerazione dalle guide rispetto
Lavorare nel settore della ristorazione e del turismo non può essere un ripiego
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ai motivi reali che spingono le persone a scegliere il ristorante dove trascorrere in pace qualche ora.
Ma soprattutto è necessario, indispensabile, cambiare registro nel proporre un lavoro ai giovani che vogliono cercarlo in questi ambiti. Occorre dirlo che fare lo chef significa assumersi una responsabilità e non solo apparire sui media. Così come è importante esaltare la bellezza di questa professione, l’importanza che riveste fare un buon servizio di sala, il contributo che le persone che lavorano bene nella ristorazione e nel turismo portano all’economia di questo Paese. Il loro è un impegno civico essenziale!
Se cambiamo la narrazione, anche noi giornalisti specializzati, daremo un grande aiuto affinché lavorare nella ristorazione e nel turismo non sia un semplice ripiego!
luigifranchi@salaecucina.it
La lettera aperta
7 | giugno 2023
IL CLIENTE NON AVRÀ PIÙ DUBBI SU DOVE VIVERE UN’EMOZIONE!
Immagina di fargli festeggiare una Pasqua alternativa, con gli amici del cuore, in un locale che ha sempre solleticato la sua fantasia: il tuo. Le battute con i suoi amici, le loro risate… tutto intorno a lui sembra trasmettere allegria e voglia di stare insieme.
Quasi contemporaneamente si fermano, si scambiano uno sguardo che ti fa capire che hanno scelto il locale giusto per stare bene. Il piatto che gustano è un’esplosione di sapore.
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Benhur Tondini presidente sala&cucina
“Per intraprendere un discorso di sviluppo e valorizzazione del rapporto reciproco sarebbe necessaria una cultura condivisa con i distributori basata su dati e conoscenza di come cambiano le abitudini dei segmenti e dei clienti.
Condividere queste informazioni è importantissimo. Da parte nostra dobbiamo essere trasparenti sugli andamenti di mercato, evitare speculazioni di prezzo, creare prodotti di servizio che un distributore può introdurre e vedere se funzionano. L’armonia si raggiunge quando si fanno passi insieme”.
Con quest’affermazione Giovanni Zucchi chiude l’intervista ospitata sulle pagine di sala&cucina; delineando un moderno rapporto tra distributori e aziende produttrici per il canale del fuoricasa.
Trasparenza, condivisione, armonia: parole che solitamente non si utilizzano nei rapporti commerciali e che qui, invece, sono il fulcro del lungo ragionamento fatto. Cosa voglio dire con questo? Che sta cambiando ogni cosa in questo mondo, che ogni azione, per avere successo, deve tenere conto anche dell’umanità, che i rapporti di lavoro, di qualsiasi natura, sono efficaci se si basano anche, e soprattutto, su basi che tengano in considerazione il coinvolgimento attivo delle persone. Ne abbiamo già parlato, la linea di questa rivista è improntata da tempo su questa visione delle cose. Nella ristorazione, ormai lo sappiamo, il problema più grande che si sta ponendo e che diventerà drammatico se non si cambia registro, è la carenza di personale. È un tema complesso perché tutto il settore ha regole complicate ma se, oltre agli sgravi fiscali, non mettiamo mano ad una diversa organizzazione del lavoro, dove termini come coinvolgimento, trasparenza, fiducia vadano presto a sostituire, nei fatti, parole come sacrificio, fatica, umiltà con cui si cerca oggi il personale, non riusciremo a dare continuità al settore. E anche tra distributori e aziende produttrici occorre adottare un passo diverso. Oggi è indispensabile, per i distributori, la loro forza vendita, conoscere in ogni dettaglio i prodotti da proporre alla ristorazione,
Trasparenza, condivisione, armonia
così come è indispensabile per i produttori sapere le tendenze in atto nel mangiare fuori casa. La salute, il benessere, la sostenibilità non sono termini che si pronunciano a vuoto: sono il futuro prossimo, sono la garanzia che ogni persona cercherà, d’ora in avanti, nel consumare cibo fuori casa. Sarà così perché si mangerà sempre più spesso nei locali pubblici, per mille motivi questo è un processo irreversibile. E noi distributori dovremo avere la capacità e la bravura di stare aggiornati, di avere, per condividerle con gli chef, i maître di sala, i ristoratori imprenditori, informazioni corrette su ciò che proponiamo loro di acquistare. Torna fuori, con prepotenza, il tema della formazione ma dovrà essere una formazione rinnovata, non basta più la giornata dove il produttore presenta una nuova referenza alla forza vendita del distributore. Quelle giornate, quelle ore dovranno vedere insieme gli chef, la forza vendita, il produttore a ragionare, a sperimentare, ad assaggiare quel determinato ingrediente, quel piatto, capirne le potenzialità, in termini di gusto, servizio e food cost. Il tutto in armonia!
benhurtondini@salaecucina.it
L’editoriale
9 | giugno 2023
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Il confronto Giovanni Zucchi
La sostenibilità per noi è l’agire aziendale nel suo complesso
Autore: Luigi Franchi
Giovanni Zucchi
I serbatoi della cantina dell'olio
10 |
2023
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giugno
Anno 1810. L’energia elettrica era agli albori, i paesi italiani di sera vivevano nel buio e le fabbriche sorgevano, principalmente, in luoghi dove scorrevano fiumi. Per questo motivi i fratelli Zucchi, dopo San Fiorano e Sant’Angelo Lodigiano, si stabilirono a Pizzighettone (CR) nei pressi del fiume Adda. Sono passati 213 anni da allora e l’azienda Zucchi esiste ancora, alla sesta generazione di famiglia, con quasi 400 milioni di euro di fatturato e 160 dipendenti.
Con Giovanni Zucchi, amministratore delegato di Oleificio Zucchi, percorriamo la vita e la contemporaneità di quest’azienda che, oggi, fa della sostenibilità, in maniera concreta, una ragione della propria storia.
Oleificio Zucchi ha una storia molto lunga e, come tutte le storie così intense, ha accumulato dei valori importanti: me li racconta?
“L’azienda è nata nel 1810, quando il commerciante di prodotti agricoli Carlo Vitale Zucchi sposa Rosalinda Sfoglio, la figlia di un torchiaro di semi di lino. Il lino, insieme all’uva che in queste zone era diffusa, era una coltura molto praticata, sia da foraggio che da tessuto. La produzione di olio di lino era, quindi, molto importante. L’azienda, fondata nel basso lodigiano, arriva a fine ‘800 a Pizzighettone e, in quel contesto, il paese fu elettrificato grazie proprio agli Zucchi. Con quelle risorse i due fratelli si separarono e uno si trasferì a Cremona in un contesto di prima industria vera e propria. Siamo nel 1920, e da lì, attraverso il passaggio di tre/quattro siti produttivi, arriviamo a oggi con un’azienda che fattura quasi 400 milioni di euro, 160 dipendenti e due grandi aree di sviluppo: la produzione per l’industria alimentare e l’imbottigliato per retail e fuoricasa. In questo lasso di tempo ci sono state anche delle crisi da cui siamo sempre usciti grazie ad un’attenta focalizzazione sul merito e senza dare per scontato il ruolo di imprenditori per naturale vocazione familiare. Noi siamo storicamente conosciuti come pagatori molto puntuali - per papà, che è mancato da pochi mesi, è sempre stato un punto di orgoglio - e abbiamo un’etica degli affari che, a volte, ci ha portati a uscire da mercati troppo spregiudicati per i nostri valori. Abbiamo trasformata e resa più attuale, negli anni più recenti, questa etica attraverso il concetto della sostenibilità con un approccio globale sul tema. Abbiamo anche svolto un ruolo di impegno civico nel settore oleario, portando contributi e idee al settore, non guardando solo al beneficio della nostra azienda, scegliendo politiche industriali di acquisto e vendita oggettivamente differenti dalla concorrenza. A questo aggiungiamo una politica di servizio che ci viene riconosciuta dal mercato e di innovazione di prodotto; siamo stati i primi a lanciare la confezione da 10 litri sul mercato che ha avuto un impatto molto importante e, ultima ma non ultima, la creazione del Fritturista, l’olio di semi di girasole alto oleico da frittura che stiamo presentando in queste settimane: un olio che vanta il 25% di resa in più, ha una maggior resistenza all’ossidazione e almeno il 50% in meno di odore in frittura”.
Lei, nel 2014, ha scritto un libro dal titolo molto provocatorio: l’olio non cresce sugli alberi. Come è cambiato, negli ultimi anni, il mondo dell’olio, c’è più cultura, più consapevolezza delle differenze, del mercato?
“Dipende da che lato guardiamo questa cosa. Nel libro parlo di blend, un concetto che non abbiamo inventato noi, che in Italia esiste da almeno un secolo ma del quale siamo stati i primi, que-
11 | giugno 2023
sto si, a parlarne diffusamente. Oggi tutti parlano di blend, i frantoiani, i concorsi, le riviste specializzate; se andiamo ad otto anni fa, all’epoca dell’uscita del libro, non c’era tutta questa attenzione e posso dire che quel messaggio è passato. Se invece guardiamo il presente dal lato consumatore siamo ancora un po’ indietro anche se, anche qui, alcune cose sono cambiate come, ad esempio, la scelta di comprare 100% italiano sia in GDO sia, soprattutto, sul mercato diretto che sta dando vita anche al fenomeno dell’oleo-turismo. Rimangono tuttavia sempre vivi, anzi aumentano nel tempo, una sorta di auto-illusione sulla provenienza dell’olio e alcuni falsi miti in materia olearia come ad esempio: solo l’olio di pasta gialla è quello di altissima qualità, l’olio che pizzica non va bene e via di questo passo”.
Abbiamo, inoltre, un settore che ha un’età media dei produttori troppo elevata e questo comporta dei rischi per il futuro oleicolo italiano…
“Non è solo l’età che rende faticoso adottare nuovi modelli di coltivazione moderni e propri del settore frutticolo a cui l’olivo appartiene. La pianta dell’olivo, in Italia, genera un paesaggio bellissimo che va tutelato, ma almeno una parte di questo patrimonio deve essere trasformata in reddito altrimenti il rischio che gli olivicoltori diventino guardia-parchi è molto alto. Diventa necessario un cambiamento nel settore, le aziende sono troppo piccole e andrebbe avviato un processo di accorpamento anche delle estensioni degli uliveti. Per cambiare però andrebbero ottimizzate le risorse e sciolte le tante ambiguità che oggi accompagnano il comparto”.
Voi avete puntato molto sulle certificazioni: che importanza rivestono per la vendita?
“Abbiamo avuto grandissime soddisfazioni, per quanto
riguarda le certificazioni, dall’agroindustria e dai grandi gruppi strutturati. Per il consumatore le certificazioni rappresentano ancora qualcosa di un po’ lontano. Le certificazioni private sono ignorate mentre si fidano della certificazione pubblica: una SQN, sistema di qualità nazionale, come per il vino sarebbe vantaggiosa anche per l’olio”.
Il mondo delle DOP e delle IGP oggi vanta 49 oli in Italia ma solo quattro di questi rappresentano l’80% del mercato; ha un senso insistere numericamente sulle denominazioni quando queste sono troppo piccole e con un elevato costo di gestione?
“Parliamo di quello che ha funzionato meglio: la creazione delle IGP regionali, quelle con il nome della regione in etichetta. Queste consentono, per la massa critica e per la facile localizzazione, maggiore efficacia. Il tema qual è: rispetto ad esempio ai formaggi, la DOP dell’olio non nasce da una specifica tipologia di lavorazione o da alcune specifiche cultivar per cui la difficile caratterizzazione è stata un elemento di debolezza quindi credo, nella maggioranza dei casi e i fatti lo dimostrano, che l’IGP, nell’olio, sia uno strumento più adatto per la promozione del prodotto”.
Parliamo di sostenibilità: quale è la sua definizione concreta di questo termine?
“Per noi sostenibilità è l’azione di equilibrio tra tutti i soggetti della filiera e il contesto in cui questi soggetti operano. Noi abbiamo sempre creduto in questo tant’è vero che abbiamo un bilancio sociale dal 2005, siamo stati la prima azienda alimentare olearia a redigerlo. Cosa vuol dire fare quello che oggi si chiama bilancio di sostenibilità? Riempire le pagine di contenuti e risultati,
12 | giugno 2023
La cantina dell'olio
talmente tanti e rilevanti, che, a volte, non siamo nemmeno in grado di comunicare. Lo scorso anno il Sole 24 Ore ci ha premiati come il bilancio con più contenuti tra tutti quelli arrivati in redazione. La sostenibilità per noi è l’agire aziendale nel suo complesso, dalla produzione alla gestione finanziaria, ed è l’unico modo per renderla concreta e funzionale, altrimenti è puro green-washing”.
L’Italia è, storicamente, un Paese che con l’olio ha scritto la storia dell’alimentazione. Eppure non è ancora affermata la concezione qualitativa e organolettica dell’extravergine. Cosa occorre fare per affermare l’importanza di questo prodotto?
“Servono azioni radicali che andrebbero svolte in contemporanea, anche per modificare la stratificazione di norme nell’olio d’oliva che spesso sono un freno alla corretta promozione del prodotto. Innanzitutto, nonostante la presenza di ben di otto organismi di controllo, sarebbe fondamentale poter difendere la qualità con certezza. Infatti, nonostante l’Italia sia il paese che fa più controlli al mondo, ci sono aspetti normativi che non riescono a definire la qualità dell’extravergine e, di conseguenza, noi produttori, di qualsiasi dimensione, non riusciamo a promuoverla e difenderla.
È necessario introdurre alcuni parametri legati alla freschezza del prodotto perché sono gli unici, ad oggi, a esprimere una tendenza inequivocabile verso la qualità. Andrebbe poi integrato il modello del panel-test che sconta alcuni limiti soggettivi. Infine ci vorrebbe la possibilità di scrivere in etichetta di cosa sa il prodotto, come per il vino. Per l’olio è, di fatto, vietato e questo è un autogol clamoroso”.
Il blending è la sua specializzazione: come si diventa blend-master?
“Fare il blend-master significa avere ottime capacità sensoriali, oltre a ottime relazioni umane. Il blend-master deve viaggiare, conoscere produttori, frantoiani, persone comuni per capire quali sono le percezioni che essi hanno dell’olio. Ci vuole un po’ di conoscenza di chimica per saper leggere ciò che il naso e la bocca non dicono. Deve conoscere il mercato perché il blend-master non è un assaggiatore, è un cercatore che crea ciò che il consu-
matore desidera o ciò che un ristoratore vuole per la sua cucina e la sua sala”.
Cosa ne pensa della carta degli oli nei ristoranti?
“Ha un senso se non è una semplice ragione di stile. La carta degli oli, per funzionare, deve essere l’occasione per attivare l’ospite, permettergli di giocare con il piatto, portarsi a casa la bottiglia come accade, oggi, con il vino”.
Spesso si paragona il vino all’olio come forma di comunicazione: lei è d’accordo?
“Esistono grandi differenze, a partire dal fatto che il vino è un facilitatore di relazioni. Inoltre sull’etichetta del vino c’è scritto di cosa sa e, di conseguenza, genera una sorta di match tra la promessa del produttore e il giudizio del consumatore. Quindi all’olio rispetto al vino, pur avendo alcune premesse di gusto simili, mancano alcuni elementi fondanti per un paragone efficace”.
Cosa fare per superare il concetto che l’olio è solo un costo per il ristoratore?
“Ci vorrebbe un percorso di reciproco avvicinamento. Da parte nostra offrendo prodotti che abbiano una rilevante valenza funzionale come il ristoratore si aspetta. Dall’altra parte l’olio può diventare elemento di coinvolgimento dell’ospite del ristorante che impara, giocando, a comprarsi anche la bottiglia”.
Il ruolo dei distributori di food service è strategico per le vendite nel canale horeca: in una fase, come quella attuale, dove la ristorazione sta cambiando pelle come dovrebbe essere impostato il rapporto tra produttore e distributore?
“Per intraprendere un discorso di sviluppo e valorizzazione del rapporto reciproco sarebbe necessaria una cultura condivisa con i distributori basata su dati e conoscenza di come cambiano le abitudini dei segmenti e dei clienti. Condividere queste informazioni è importantissimo. Da parte nostra dobbiamo essere trasparenti sugli andamenti di mercato, evitare speculazioni di prezzo, creare prodotti di servizio che un distributore può introdurre e vedere se funzionano. L’armonia si raggiunge quando si fanno passi insieme”.
Lo stabilimento Zucchi
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Ricetta di Fabio Potenzano
Rocco Cristiano Pozzulo Presidente nazionale FIC
Inauguriamo qui, con entusiasmo e questo primo articolo, la collaborazione tra Federazione Italiana Cuochi (FIC) e la prestigiosa rivista sala&cucina: un magazine divenuto nel tempo punto di riferimento dell’ospitalità e della cucina italiana. Questa collaborazione è il seguito naturale di un’altra prestigiosa partnership tra FIC e il gruppo Cateringross, sancita con l’accordo siglato a Rimini lo scorso febbraio, all’interno dell’assemblea del gruppo. Tale sinergia nasce dall’esigenza dei nostri chef-ristoratori e chef decisori di acquisto di trovare nei propri territori quelle peculiarità e quei servizi che danno valore aggiunto al moderno food service. Una comunione di intenti che si fonda su una simile organizzazione associativa, con dinamiche molto vicine. Importanti numeri contraddistinguono oggi la composizione federativa FIC sul territorio nazionale e all’estero, con oltre 94 Associazioni Provinciali, 20 Unioni Regionali e 14 Associazioni di Cuochi Italiani all’Estero, per un totale di oltre 15 mila associati. Numeri che si traducono in passione ed entusiasmo di fare parte di ciò che chiamiamo e reputiamo una “Grande Famiglia”, con un profondo radicamento in tutte le province italiane, che significa l’esaltazione del vero patrimonio della cucina italiana: le cucine tipiche regionali!
FIC si compone poi di Dipartimenti e Compartimenti, che guardano a tutti gli aspetti importanti della professione: dal Lavoro all’Alta Formazione, dai Giovani alle Lady Chef, dalla Pasticceria alla Nazionale Italiana Cuochi, vera punta di diamante in grado di rappresentare egregiamente il nostro Paese, non solo nelle competizioni internazionali con grandissimi risultati, ma anche in eventi e cene di gala di prestigio, interpretando al meglio le eccellenti materie prime delle nostre aziende partner.
Come non citare, poi, l’aspetto solidale di FIC, che incanala in una vera e propria organizzazione, il DSE (Dipartimento Solidarietà Emergenze), la generosità e il grande cuore dei cuochi italiani. Una struttura diramata su tutto il territorio nazionale, pronta
La FIC e sala&cucina
a intervenire in qualunque momento lo richiedano, purtroppo, eventi calamitosi ed emergenze, come le recenti alluvioni in Emilia Romagna o il terremoto anni fa nel Centro Italia. Cuochi in grado di entrare in azione, con cucine mobili, per preparare ogni giorno migliaia di pasti e donare un sorriso e un po’ di normalità alle popolazioni colpite e ai tanti volontari operativi sul posto.
Un cenno, infine, meritano gli eventi FIC, organizzati da noi o supportati. Appuntamento di prestigio internazionale sono certamente i Campionati della Cucina Italiana, che si svolgono ogni anno a Rimini con migliaia di iscritti e la partecipazione della Worldchefs, organizzazione mondiale di cui FIC fa parte attiva da anni. A questi si aggiungono la Festa nazionale del Cuoco, che si celebra itinerante ogni anno in ottobre, e Cibo Nostrum, la grande festa della cucina italiana, organizzata per anni a Taormina e che tornerà nel 2024. E poi, le grandi fiere a cui prende parte FIC, come Host o TuttoFood, mentre il Corporate Meeting lo celebriamo ogni anno con le numerose aziende partner che hanno scelto di sposare idee e progetti FIC. E tra i grandi protagonisti, oggi con entusiasmo, possiamo annoverare anche Cateringross.
I cuochi
15 | giugno 2023
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La neurovendita
Lorenzo Dornetti ceo Neurovendita
Se il menù è lo strumento principe di un ristorante, l’esperienza del cliente passa anche attraverso la capacità del ristoratore e del personale di sala di saper presentare le pietanze e teatralizzare l’intera esperienza di visita. A volte si tratta di azioni semplicissime, come un sorriso autentico al momento di salutare la clientela, così come la capacità del personale in sala di massimizzare l’esperienza del cliente attraverso le storie.
Le storie, generando una intensa attività cerebrale, hanno una enorme capacità di attrarre l’attenzione, di emozionare e di essere ricordate. E il mondo della ristorazione è un universo di storie: persone, luoghi, lavorazioni, passione, sfide, tradizioni, innovazione; e non parliamo dei soli ristoranti stellati o grandi vini. Una buona narrazione favorisce l’attenzione e il rilascio da parte del cervello di ossitocina, ormone legato a situazioni sociali particolarmente gradevoli e da alcuni definito “ormone della fiducia” per la sua capacità di generare empatia. Come emerso dagli studi di Paul Zak: “il racconto di una storia cambia il comportamento intervenendo sulla chimica del cervello”. Quale storia potrebbe interessare il consumatore? È questo un esempio di domanda da cui partire per definire alcune possibilità di racconto e far così leva sul fascino che i consumatori attribuiscono alle storie e il loro apprezzamento verso la possibilità di apprendere cose nuove (esiste infatti un meccanismo cerebrale che ricompensa questa acquisizione di conoscenza). Con l’obiettivo di valorizzare al massimo l’esperienza del cliente.
Se ad esempio ci raccontano dell’intenso profumo che è possibile sentire passeggiando in primavera in un determinato bosco si attivano, in chi ascolta, le aree cerebrali sensoriali dell’olfatto. Se ascoltiamo la storia delle difficoltà attraversate da un imprenditore per mantenere attiva l’azienda di famiglia, ci immedesimiamo in lui e sviluppiamo empatia.
Certo non è pensabile avere tutti sommelier, ma il personale di sala, tramite anche una maggiore interazione con chi opera in cucina, deve arrivare a conoscere
tutto del piatto. Non deve essere più ammessa la frase “chiedo in cucina”. Un utile esercizio è riunire il personale, scegliere un piatto dal menù o dalla lista delle bevande e provare a raccontare una storia in grado di valorizzare la pietanza.
Durante la raccolta delle ordinazioni c’è un piccolo “trucchetto” di neuromarketing che può permettere ai camerieri di attivare più facilmente il principio del piacere. Come emerso dalle ricerche di Rick van Baaren, infatti, i camerieri che ripetono al cliente l’ordinazione parola per parola, esattamente come ricevuta, arrivano a ottenere mance più alte anche del 70%.
Abituiamoci pertanto a comunicare con le storie, consapevoli che il cliente non sceglie solo il piatto ma quel che raccontiamo di quel piatto.
“A ogni tavolo la sua storia”
17 | giugno 2023
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Luigi Caricato oleologo
I prezzi dell’olio salgono. Salgono, fino a diventare impraticabili. L’olivagione 2022-2023 se la ricorderanno in tanti per penuria di prodotto. L’Italia, come ben si sa, è sempre sottodimensionata rispetto al proprio fabbisogno, il quale si attesta intorno a un milione di tonnellate annue. Questa volta di prodotto italiano ne abbiamo a disposizione solo 200 mila ton. Siamo stati storicamente sempre deficitari. Abbiamo sempre prodotto poco, ma adesso ancor meno del solito. La Spagna, abituata da decenni a dominare incontrastata la scena mondiale – a volte raggiungendo anche un milione e 800 mila tonnellate – supererà con qualche difficoltà quota 700 mila. Lo scenario in cui ci si muove complica moltissimo i mercati: mancando l’olio, il poco disponibile ha prezzi elevatissimi. Sul portale di informazione Olio Officina ogni settimana quattro broker riportano le quotazioni del prodotto sfuso italiano e di altri Paesi. Prezzi, a scanso di equivoci, che coinvolgono gli imbottigliatori: ci si riferisce agli oli acquistati in autobotti. Ad oggi si registrano quotazioni massime per l’extra vergine italiano pugliese superiori ai 7 euro, Iva esclusa. Anche i prezzi di Spagna e Grecia volano alti, si attestano, rispettivamente, intorno a euro 6,30 e 6,20. Stessa situazione per Tunisia e Marocco, con punte di 6,10 e 6,25. Sono prezzi mai registrati finora. Questi numeri li riporto non certo per tediarvi, ma per chiarire il contesto inusuale in cui ci si sta muovendo. Da un lato alcune aziende sono arrivate perfino a sospendere le forniture, dall’altro i consumatori si sentono spaesati, non abituati a prezzi tanto elevati. Una situazione così complessa ci insegna però qualcosa: a partire da questo stato eccezionale di crisi possiamo ripensare in modo diverso l’olio extra vergine di oliva. È l’occasione per restituire il valore che il prodotto ha perduto nel corso degli anni, visto l’infausto e immeritato ruolo di commodity in cui era stato confinato dalla grande distribuzione. Gli stessi operatori del settore Horeca si sono dimostrati poco inclini ad assegnare il giusto valore agli extra vergini: in molti ancora non credono alle potenzialità che si possono sviluppare. Ed è un grande limite, a maggior ragione oggi, in un contesto come quello attuale, con
Cosa sta succedendo con i prezzi dell’olio
oli dalla qualità nutrizionale e sensoriale nettamente superiore rispetto al passato, e con extra vergini, peraltro, dal design accattivante e nel medesimo tempo più funzionale e sostenibile. Non è un caso che gli acquisti del canale ristorativo si siano finora concentrati soprattutto sulle confezioni di grande formato destinate perlopiù agli usi in cottura in cucina, dove l’olio è solo ingrediente e, occorrendone in gran quantità, si tende a risparmiare con scelte a volte discutibili. Si continuano invece a trascurare gli oli in bottiglie di piccolo formato, da tenere in sala, a disposizione del cliente. Una collocazione che stenta a imporsi proprio perché si ritiene trascurabile l’idea di proporre l’olio quale saluto di benvenuto, in attesa di visionare il menu. È arrivato invece il tempo di inventare un format nuovo, rimodulando la presentazione e l’offerta degli oli ai clienti. Introducendo un “carrello” e una “carta degli oli”, per esempio. L’occasione dell’innalzamento dei prezzi per penuria di materia prima può essere la giusta spinta motivazionale per indurre a cambiare modello e approccio, recuperando parte delle notevoli potenzialità inespresse o poco valorizzate.
al centro
e leggi l’articolo sul web 19 | giugno 2023
L’olio
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Martina Manescalchi Consulente e formatore Teamwork Hospitality
Niente come l’affaire parity rate ha concretamente insegnato agli albergatori quanto sia importante integrare tutte le attività dell’hotel al servizio di una strategia integrata e di obiettivi comuni. Nell’agosto 2017 il Senato della Repubblica italiana ha approvato il cosiddetto ddl Concorrenza. Con il via libera del Senato, dunque, il Parlamento ha approvato in via definitiva il provvedimento. In pratica, il disegno di legge approvato dal Governo nell’aprile 2015, è diventato legge. Da allora gli hotel hanno avuto diritto a tutti gli effetti, come già accadeva in Francia, Germania e altri paesi europei, di offrire la loro tariffa svincolati dalla parity rate imposta dalle OTA. La parity rate era, di fatto già morta. Con l’approvazione della legge è stata definitivamente sepolta, con grande entusiasmo da parte degli albergatori.
Un grande risultato che però avrebbe dovuto rappresentare uno stimolante punto di partenza, non certo un punto di arrivo. E che sta a dimostrare che il Revenue management va ben oltre la semplice gestione del prezzo. Nel giro di poche ore, infatti, si è letto di tutto. Dalla sconfitta delle OTA a una nuova era di rivincita per il mondo dell’hotellerie fino a prenotazioni online in crescita esponenziale. In realtà non basta (e infatti, a distanza di tempo, possiamo dire che non sia bastata) la modifica di una norma per cambiare le regole di mercato. Di conseguenza, agli hotel non è bastato abbassare il prezzo sui propri siti web. La visibilità che le OTA hanno acquisito nel corso degli anni, non è infatti stata scalfita da una semplice disparità di prezzo. Senza tenere conto del fatto che non le OTA stesse non hanno esitato a prendere provvedimenti per rendere i propri portali, che già registravano performance di tutto rispetto, ancora più attraenti agli occhi dei turisti proprio tenendo conto delle nuove regole. Non sottovalutiamo il fatto che le OTA godono di grande credibilità da parte dei turisti e, nove volte su dieci, grazie agli ingenti investimenti in campagne online, sono posizionati ai primi posti tra i risultati di ricerca sul web. L’hotel indipendente (ma anche la piccola catena) è in grado di provare a fronteggiare il fenomeno curando la SEO, l’advertising e l’autorevolezza del sito? E anche ammesso che lo fosse, è poi in grado di
Cosa abbiamo imparato dalla questione parity rate?
trattenere gli utenti sul proprio sito e di portarli alla prenotazione in maniera altrettanto semplice, veloce e accattivante? Mettiamo che l’utente, grazie ad attività di web marketing all’avanguardia o a un evento assolutamente fortuito, riesca ad arrivare sul sito e a leggere le proposte tariffarie messe a disposizione, riuscirà poi a navigare e a trovare tutte le informazioni con facilità e da tutti i dispositivi? Se anche la risposta dovesse essere affermativa, la criticità successiva è rappresentata dal booking engine, che deve essere flessibile, veloce e intuitivo.
A distanza di tempo, niente come l’abolizione della parity rate, vista come panacea di tutti i mali, ci ha insegnato che la sola gestione del prezzo non è sufficiente e che per migliorare le performance e conoscere meglio gli ospiti è indispensabile mettere in comunicazione i vari reparti fra di loro. Il prezzo finale non è che il risultato del confronto di numerosi dati e attività. E il prezzo non può essere giusto senza queste sinergie.
L'ospitalità
21 | giugno 2023
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La digital trasformation
Claudia Ferrero Digital Strategist & Evangelist
Se da una parte il Covid e la pandemia hanno piegato ristorazione e turismo, dall’altra parte hanno dato la spinta a un profondo e importante passo in avanti per questi settori: la digitalizzazione, in particolar modo, ha avuto una forte accelerazione nei pubblici esercizi durante la pandemia.
Poiché la cantina di un ristorante gioca un ruolo importante non solo per la soddisfazione del cliente ma soprattutto perché eventuali decisioni errate possono compromettere i risultati economici dell’attività, ecco che digitalizzare questo asset può davvero fare la differenza.
In questo articolo sveliamo quindi come una gestione moderna della cantina permetta di risparmiare tempo e denaro.
Innanzitutto, una cantina digitale consente ai ristoratori di tenere traccia di tutte le bottiglie di vino presenti nel loro ristorante. Questo può sembrare una banalità, ma visualizzare l’inventario delle bottiglie disponibili, inclusi i dettagli come il prezzo, la provenienza e l’anno di produzione con un semplice click è fondamentale.
In questo modo, i ristoratori possono prendere decisioni informate sulle bottiglie da acquistare e sulle offerte da promuovere ai propri clienti.
Inoltre, una cantina digitale consente ai ristoratori di tenere traccia delle scorte e dei consumi di vino. Questo è particolarmente importante per i ristoranti che desiderano ridurre gli sprechi e ottimizzare i loro costi. Con una cantina digitale, i ristoratori possono facilmente identificare i vini che vendono meglio e quelli che rimangono invenduti.
In questo modo, possono prendere decisioni informate sulle scorte da tenere e sulla quantità di bottiglie da ordinare per ridurre al minimo gli sprechi.
Una cantina digitale consente anche ai ristoratori di offrire una migliore esperienza ai propri clienti. Con una cantina digitale, i ristoratori possono fornire ai clienti informazioni dettagliate sulle bottiglie disponibili, come la descrizione del sapore, gli abbinamenti di cibo e le recensioni dei clienti.
Come digitalizzare la cantina e risparmiare tempo e denaro
Ciò aiuta i clienti a prendere decisioni sull’acquisto di vino e aumenta la loro soddisfazione complessiva durante il pasto anche se il ristorante non dispone di sommelier.
Digitalizzare la cantina consente oltretutto di gestire la carta del vino in modo più efficiente. In base alle nuove aggiunte o alle bottiglie che si esauriscono i ristoranti possono aggiornare il menu del vino in maniera automatica.
In questo modo, i clienti possono sempre vedere un menu aggiornato e i ristoratori eviteranno la frustrazione dei clienti per la mancanza di un vino specifico.
A tutti questi vantaggi, si aggiunge anche la possibilità della soluzione “conto vendita” che abbatte l’immobilizzazione di capitale.
In un momento in cui le marginalità sono molto risicate a causa dei rincari e dell’inflazione, dotarsi di strumenti come questi consentirebbe una svolta decisiva sulla gestione del locale.
23 | giugno 2023
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Scienza e nutrizione
Ferdinando A. Giannone
Biologo e Nutrizionista
Co-founder ARNAFOOD LAB
Ogni singola materia prima che si utilizza in cucina ha sicuramente una sua intrinseca caratteristica principale, tuttavia gli ingredienti possono essere anche analizzati da svariati punti di vista e quindi se ne potrà descrivere diversi aspetti, tutti tra loro collegati ma diversi. A tal proposito ritengo che possa essere molto utile e stimolante tenere in considerazione le diverse peculiarità degli ingredienti quando si realizzano nuovi piatti e/o menù. Questo perché alcuni (anzi diversi) di questi attributi assegnati agli ingredienti se analizzati con attenzione e se associati in modo consapevole sono sicuramente di aiuto per cercare di realizzare nuove creazioni che presentano un migliore equilibrio, compreso quello nutrizionale. Ma proviamo a fare alcuni esempi per comprendere al meglio come questo “esercizio di categorizzazione” potrebbe essere di aiuto nella costruzione di nuovi piatti e/o menù: la zucca è un vegetale (≈95% di acqua) caratterizzato dal colore arancione e dal sapore dolce ovvero è un frutto che si presenta da crudo con una consistenza croccante ma scarsamente acquosa e fresca, mentre risulta morbido e fondente da cotto oltre che naturalmente cremoso se frullato; il melone è anch’esso un vegetale (≈95% di acqua) ossia un frutto caratterizzato dal sapore tipicamente dolce e dal colore arancione, che si presenta da crudo croccante, fresco e acquoso ma che modifica queste sue caratteristiche dopo cottura tanto da permetterne anche la trasformazione in crema (n.b. poco vellutata); il Parmigiano Reggiano è un formaggio stagionato (<30% di acqua), concentrato e asciutto, dalla consistenza altamente friabile e granulosa (proteine >30%), con un deciso sapore umami (sapidità dovuta al glutammato) e caratterizzato al palato dalla presenza importante di grassi (≈30%) che soprattutto a caldo o in cottura ne contraddistingue l’elevata cremosità; il Prosciutto di Parma è un salume stagionato (≈50% di acqua) dalla consistenza morbida e lievemente grassa al palato (<15%), tenace al morso (contenuto proteico >25%), dal gusto salato (sale >4,5%) e dal colore tra il rosa intenso e il rosso.
Cercare l’equilibrio
(parte prima)
Proviamo adesso a fare un esercizio, cercando di immaginare alcuni possibili abbinamenti e/o trasformazioni per questi 4 ingredienti che a 2 a 2 hanno caratteristiche simili tra loro:
Zucca e Melone si possono utilizzare da crudi oppure cotti (concentrazione del sapore eliminando acqua) anche come elementi principali accostati ad acidità e/o freschezza (es. limone o semi di coriandolo o yogurt), piccantezza (es. zenzero o senape o pimento), sapidità (es. salsa di soia o Prosciutto o Parmigiano) e sfumatura amare (es. cioccolata fondente o radicchio o caffè);
Parmigiano e Prosciutto si dovrebbero preferire da crudi evitando cotture aggressive e/o troppo disidratanti (il contenuto di sale è già importante così come quello di grassi mentre l’acqua è limitata) che ne possono modificare consistenza e sapore, quindi meglio usarli come elementi di condimento o contrasto per bilanciare e/o arricchire gli ingredienti principali del piatto, caratterizzati ad esempio dalla dolcezza come zucca, melone o patate.
Da questo piccolo esercizio si evince che è sempre molto utile prestare attenzione nei piatti e/o nei menù anche alle proporzioni tra i diversi elementi. Vi prometto che torneremo su questo argomento al quale tengo particolarmente, ma vi chiedo di iniziare ad esercitarvi magari analizzando alcuni dei vostri piatti.
25 | giugno 2023
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La ristorazione
Autrice: Simona Vitali
La sapienza di un cuoco
Maurizio Urso e la cucina del benessere
Mangiare sano sta diventando la priorità. Questo è il monito che giunge nitido dall’autorevole Rapporto Ristorazione 2023 di FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), che registra in modo certosino i tempi che cambiano. A pensarla così inizia ad esserci una fetta importante di consumatori: il 42%! Solo due anni fa la percentuale si aggirava intorno 32%. Sta esplodendo una nuova esigenza, dettata principalmente dalle innumerevoli problematiche di salute piccole e grandi in aumento o soltanto dall’emergere di una nuova coscienza in termini di prevenzione.
In tutto questo noi scegliamo la poesia andando a interpellare un cuoco, Maurizio Urso, che da 30 anni della sua cucina del benessere vero, in accompagnamento al gusto però (e qui sta la maestria), ha fatto la sua bandiera. Non senza essere non compreso, a volte deriso, e giungendo a fare bene e basta senza esplicitare come lo stesse facendo, perché non sarebbe stato capito (il pensiero sarebbe erroneamente corso a una cucina povera, di poco gusto).
Capita a chi precorre i tempi, neanche fosse un astronauta. Intanto lui ha maturato un vantaggio competitivo per cui adesso è più che mai utile sapere del suo percorso.
Conoscenze di cuochi in giovane età destinate a ritornare nel tempo, luoghi di lavoro che fanno di nuovo capolino durante il percorso di crescita e arricchimento professionale… come se il vento soffiasse in una direzione ben precisa. La storia professionale di Maurizio Urso è come l’intreccio di una trama di senso che, vista a ritroso, sembra il dispiegarsi di un disegno.
C’è una data, Maurizio, che ha segna il tuo percorso professionale?
“È il 1993 quando, alla ricerca di lavoro, vengo a sapere che a Limone sul Garda, presso il Park Hotel Imperial, un cinque stelle lusso che già a quell’epoca aveva al suo interno un Centro Tao, una Natural Medical SPA (prima in Italia), stavano cercando un capo partita. Quando incontro lo chef, Ernesto Maiorca, scopro di conoscerlo: avevo lavorato con lui al Savoy di Siracusa. Poi le nostre strade si erano separate, lui è andato all’estero dove ha cominciato a interessarsi di cucina macrobiotica, avendo conosciuto Renè Levi, allievo del fondatore George Osawa, e una volta rientrato era approdato all’Imperial.
Maurizio Urso e i suoi ragazzi
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“Unisciti a noi – mi ha detto, riconoscendomi, lo chef –qui facciamo cucina macrobiotica e cucina mediterranea, opportunamente distinte”. Vedendomi un po’ spaventato aggiunge: “Non ti preoccupare, intanto partiamo dalla cucina mediterranea. E così è stato finché non mi chiede di iniziare a fare qualcosa anche per la cucina macrobiotica, in questo contesto vocato al benessere dove, tra le altre cose, c’era anche un innesto di medicina naturale. E subito mi ha affibbiato quattro libri con un monito: ‘Studia!’. L’impostazione era molto seria: facevamo un briefing mensile col direttore scientifico del centro e due briefing settimanali con lo chef, molto preparato. Ci spiegava i piatti, le quantità, le cotture! Per ammorbidire i cereali in cottura, ad esempio, utilizzavamo le alghe, che li arricchivano di ferro e sali minerali. Le alghe, che lo chef ci faceva notare essere l’alimento più ricco di ferro sul pianeta, quelle le avevamo in quantità anche per zuppe e insalate. Le dulse, alghe rosse sono ottime in insalata. E il miglio, che oggi tanto sta tornando alla ribalta, ci veniva spiegato che doveva avere una cottura lenta, a partire dall’acqua fredda perché, diceva lo chef: “deve fiorire, aprirsi bene”. Inutile dire che questo nuovo mi prendeva al punto che, vista la mia voglia di crescere, lo chef mi fa mettere mano in entrambe le cucine, la mediterranea e la macrobiotica. Quando lascia per un nuovo incarico gli subentro io. In quel periodo approfitto per seguire corsi. Intanto nel mio piccolo inizio ad elaborare una cucina che associ la mediterranea e la macrobiotica, che definisco cucina del benessere, senza addentrarmi a spiegarla però perché sarei stato cassato a priori, temendo che fosse troppo scarna, e la applico a Villa Politi dove, al mio ritorno in Sicilia, mi chiamano come chef”.
Cosa intendi per mangiar bene?
“Avere nel piatto cibo che sia salutare, cioè che presenti tutti i nutrienti e cotture fatte tecnicamente bene, ma che sia pure gustoso, gradevole al palato. Perché ad esempio cuocere il pesce in padella con abbondanza di olio quando basta spennellarla e fare una cottura dolce, coprendo-
lo per farlo rimanere morbido? Non parliamo poi delle fritture, degli oli di qualità, dell’importanza di utilizzarli idealmente una volta sola e di non eccedere con il punto di fumo che inizia già a 120 ma non deve arrivare necessariamente a 180, ci si può fermare anche prima (dipende da ciò che facciamo, dal prodotto che abbiamo)”.
Ti trovi di fronte a un curioso bivio, ad un certo punto del tuo percorso. Raccontacelo…
“Mi si presenta l’opportunità di andare in Georgia per seguire una catena di ristoranti e già sto prendendo accordi quando arriva la chiamata da Gianfranco Vissani, conosciuto da poco. Guadagnare tanti soldi o cercare di crescere ancora? Questo mi sono chiesto ma non ho avuto tentennamenti. Inizia così un periodo intensivo di ben cinque anni, totalizzante, a fianco di un fuoriclasse che ha fatto della ricerca della materia prima eccellente il suo comandamento assoluto e delle peculiarità degli abbinamenti il suo unicum, avendo “il palato nel cervello”, come mi piace dire”.
Ma non è ancora finita, ci sono passaggi, forse i più salienti, che andranno consacrando la tua cucina del benessere e che meritano di essere raccontati e condivisi. Così che si capisca cosa significa specializzarsi sul serio e non riempirsi la bocca di parole…
“È il 2014 quando di nuovo in Sicilia continuo a proporre la mia cucina (mediterranea +macrobiotica) contestualizzata nel territorio dove mi faccio ispirare dalla storia, le dominazioni, i tempi dei Monsù da cui estrapolo spunti. Una sera viene a cena da me un giornalista, che resta colpito dagli effetti della mia cucina sulla sua persona. Il giorno dopo mi chiama ‘sei uno dei pochi dove ho mangiato di gusto, mi sono alzato sazio e tuttavia ho dormito benissimo e stamattina sto bene. Sto organizzando insieme a docenti del dipartimento di Alimentazione, Agricoltura e Ambiente dell’Università e di Scienze Biomediche e biotecnologiche di Catania un corso di Medicina culinaria, ti interessa partecipare per ap-
27 | giugno 2023
profondire ulteriori aspetti?’ L’invito viene esteso a tutti i cuochi siciliani ma ci iscriviamo solo in 12. Il corso dura un anno. Mi sono arricchito tantissimo, i miei perché hanno trovato ulteriori risposte, consentendomi di perfezionare ancora di più la mia cucina del benessere”.
Di solito questi corsi generano contatti, collegamenti, aprono squarci di cielo. È accaduto anche a te? “Sì, è accaduto perché oggi i medici stanno iniziando a parlare con i cuochi, come nel mio caso che ho incontrato il dottor Salvatore Bonanno, direttore UOC di Radioterapia Asp Siracusa. Lui mi ha invitato, in qualità di esperto di cucina, a tenere dei corsi a futuri oncologi e cardiologi, perché gli spiegassi tecniche di cottura, associazioni alimentari... Da lì mi si è aperta un’altra porta: collaborare con la Fondazione Artoi (Fondazione ricerca terapie oncologiche integrate) che si dedica a studio e applicazione di trattamenti oncologici attraverso l’uso integrato di più opzioni terapeutiche, fra cui la nutrizione. Qui il dottor Massimo Bonucci, fondatore e presidente di Artoi, ha capito subito il senso della mia cucina. Perché anche il cibo cura. Il cibo è pure prevenzione ma per essere tale bisognerebbe fare educazione alimentare ai bimbi fin da piccoli. Mi viene spiegato il progetto di aprire due/tre ristoranti per città, in Italia, che propongano un menu del benessere per poter rispondere alla fatidica domanda “dottore, dove vado a mangiare per non stare male?”. Sottinteso che l’alternativa diventa rinunciare, stare a casa... Di fatto aderisco a questa iniziativa che oggi è approdata insieme a me nel Bio Relais I Carusi, a Noto, dove peraltro la mia filosofia si sposa perfettamente con quella della proprietaria, Simona Privitera, che in un contesto da favola, su di un appezzamento di sei ettari si dedica alla produzione di olii essenziali, infusi di erbe, olio extravergine di oliva e mandorle, senza dire dell’orto biologico. Il menu che io propongo al ristorante contempla un percorso degustazione benessere riconoscibile per il logo di Artoi. Chi viene per questo perché consigliato dall’oncologo capisce, non c’è bisogno che si scopra ulteriormente. Ho poi anche la
carta, progettata con la mia filosofia di cucina, da cui pure questo cliente può attingere, tranne che per alcuni piatti”.
Maurizio, il rapporto FIPE, parla chiaro: per una percentuale importante di persone, il 42%, la priorità sta diventando l’assunzione di cibo sano per migliorare la propria salute. Che effetto ti fa sentire parlare di questo, dopo trent’anni passati a lavorare sottotraccia?
“Mi fa dire finalmente ce l’ho fatta. Ci ho sempre creduto e ho investito in questa direzione. È importante però che la cucina del benessere non diventi una moda, cioè che venga approcciata in modo serio: fare attenzione a quello che compriamo, seri nello scegliere, lavorare, cucinare la materia prima e soprattutto studiare le associazioni alimentari corrette. È nelle libere associazioni di alimenti che “attentiamo” la salute delle persone, anche solo causando una cattiva digestione. Quando creo un piatto per il menu benessere se ho dubbi chiamo il medico o il nutrizionista con cui collaboro. Se, ad esempio gli dico che voglio fare un incontro tra terra e mare mi risponde che non va bene perché due proteine non stanno bene insieme (solo in rarissimi casi possono stare)”.
Gli accostamenti scenici, come è di moda dire: wow! e i giusti accostamenti. Che argomentone...
“Dei primi, fatti per stupire, se ne vedono troppi. Io credo che i passaggi in un piatto debbano essere tre o quattro ma gli accostamenti devono essere fatti a ragion veduta”.
Studiare genera sapienza, la sapienza ingabbia quanto a regole o alimenta creatività?
“Continuando a studiare la tua creatività viene sempre più stimolata e anche quella avanza”.
Ecco la sapienza di un cuoco, allo scoperto - è il caso di dire – nella sua maturità professionale.
Biorelais i Carusi
Scopri I carusi e il mondo di Simona Privitera
Simona Privitera intenta a produrre olii essenziali
Autrice: Giulia Zampieri
L’estate italiana
Come vivranno un'estate di grande frequentazione i ristoranti italiani?
Un'occasione per creare forte identità o solo per accogliere turisti in massa?
All’uscita della rivista mancheranno pochi giorni dall’inizio della stagione estiva. Per i ristoratori italiani, dal 2020 ad oggi, la bella stagione ha fatto registrare numeri in costante crescita, che tendono all’allineamento con il periodo pre-Covid, se pur con le molteplici difficoltà che svisceriamo ogni mese su questo magazine. Ma che previsioni ci sono per l’anno corrente? E con quali strategie si stanno preparando, o si dovrebbero preparare, le attività di ristorazione?
Distanze tra il 2022 e il 2023
Per analizzare lo scenario sono senz’altro utili i dati dello scorso anno divulgati da The Fork e le analisi del Rapporto Ristorazione Fipe 2023. Partendo dai primi: a giugno dello scorso anno la più importante piattaforma di prenotazione rimarcava due connotazioni estremamente positive dell’imminente estate per la ristorazione italiana, ovvero l’affermazione del buon cibo come leva fondamentale per l’organizzazione del viaggio e il budget per le esperienze gastronomiche in crescita. Sarà così anche quest’anno?
Incrociando il Rapporto FIPE 2023 si evince fin da subito che le previsioni per quest’anno dovranno essere ritoccate al ribasso, se pur la centralità del cibo nell’esperienza di viaggio rimanga una costante.
Si legge nel Rapporto: “Dalla crisi della domanda si è passati nel volgere di pochi mesi ad affrontare una crisi di costi. Dunque, pur avendo recuperato, magari non completamente, ma piuttosto solidamente i livelli dei consumi pre-Covid, l’impatto del forte aumento delle bollette (anche oltre il 200%) e, seppure meno intenso, delle materie prime, hanno messo a dura prova la tenuta dei conti economici delle aziende”.
L’altra grande considerazione necessaria per approdare ai mesi
La riflessione
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estivi riguarda il tema del personale che sta orientando in modo preoccupante l’intero comparto.
“Quello dei pubblici esercizi rimane un settore ad alto rischio: il turn over tra aperture e chiusure resta elevato così come sopra la media dell’economia generale rimane il tasso di mortalità delle imprese. Proprio questo mercato fortemente competitivo richiederebbe allora tanta più pianificazione, e non improvvisazione, elaborando modelli organizzativi che assorbano lavoro in modo più equilibrato e adatto al tempo che stiamo vivendo”.
Assorbire in modo più equilibrato il lavoro significa, come più volte ribadito nelle nostre pagine, rivoluzionare in molti casi la gestione, con una netta revisione dei contratti, delle ore di lavoro, delle marginalità di crescita per ciascun dipendente. In altre parole vuol dire accrescere il capitale umano. Il modo univoco a cui dovrebbe approcciare il ristoratore è cambiare il modus operandi nella propria impresa non per aumentare il personale in vista dell’estate, ma considerandolo l’unica strada percorribile per fare ristorazione da qui in avanti.
Il confronto con il ristoratore
Alla indiscutibile curva dei dati abbiamo affiancato l’esperienza diretta del ristoratore, scoprendo che percezione dall’interno non è lontana dai numeri, ma che ci sono importanti riflessioni da portare a galla. Di estate, tendenze, gravi mancanze, abbiamo parlato con Enrico Cerioni de La Lanterna di Fano
“Siamo di fronte a un netto allontanamento tra due fasce sensibilmente diverse della ristorazione. Mi riferisco alla fascia di ristorazione che punta su quantità, badando poco alla qualità, e alla fascia di ristorazione che lavora con criteri totalmente diversi mettendo al primo posto il livello del servizio e del cibo. Il divario è netto, per certi
versi inquietante, perché racconta due facce diametralmente opposte della nostra ristorazione. Due facce che mostriamo al pubblico italiano ma soprattutto a quello straniero”.
Le fasce a cui si riferisce Cirioni sono anche legate a una collocazione geografica (le eccezioni non mancano, naturalmente). Se lungo la costa dilaga la prima fascia, la seconda attecchisce più facilmente nei piccoli borghi, dove sempre di più si avviano piccole attività ristorazione con un ridotto numero di coperti (25/30), in cui prevale il forte carattere identitario legato al territorio e alle piccole produzioni, si perseguono una gestione più attenta del personale e una narrazione più accurata di materie prime e preparazioni.
Dall’altro lato, soprattutto lungo le riviere, la scoraggiante affermazione di locali in cui ci si limita a servire prodotti pronti, con personale spesso poco competente sia in sala che in cucina, e una gestione dall’alto nelle mani di chi è impegnato in altri settori e non conosce in modo approfondito il comparto dell’accoglienza. Questi ultimi sono locali in cui spesso le cucina italiana dà il peggio di sé, con forzature culinarie aberranti.
Enrico esprime considerazioni decise sul piano del personale, in linea con il Rapporto FIPE, da cui leggiamo: “Dal lato della qualità dell’occupazione, se il numero degli occupati ha recuperato, mancano all’appello quote di contratti a tempo indeterminato e fasce importantissime come giovani e donne, che hanno nel tempo qualificato il settore per capacità di inclusione e nuove energie. Rimettere al centro il lavoro di qualità e ripensare i modelli di business in termini di sostenibilità sono i due assi portanti di una strategia imprenditoriale per i prossimi anni che in questo 2022 potrebbe aver visto un momento di svolta”.
30 | giugno 2023
Camavitè, tavoli sugli scogli
Il proprietario de La Lanterna afferma come ci sia l’urgente necessità di semplificare l’aspetto burocratico del lavoro, di puntare sulla formazione reale e mirata, e di prendere ispirazione da altri Paesi nel mondo, come Stati Uniti e Francia, sul fronte della retribuzione e degli sgravi fiscali. Questi, va da sé, non sono interventi che si possono attuare da un giorno all’altro, e sicuramente il cambio rotta non si concretizzerà in queste settimane che precedono l’estate, ma è indispensabile apportare sostanziali modifiche o il destino della ristorazione vedrà una forbice qualitativa sempre più ampia.
In ultima Enrico ci racconta come vede i prossimi mesi: “C’è speranza e voglia per i mesi che abbiamo di fronte ma le prospettive economiche sono al ribasso. Lo scontrino medio decresce a causa dell’inflazione e questo comporta un assottigliamento dell’utile per i ristoranti. Questi problemi, uniti alla questione del personale, alzano di molto il rischio di chiusura per le attività di ristorazione. Dall’altro lato c’è la certezza che il turista straniero ama l’Italia e il cibo italiano. Ma anche in questo caso tutto è nelle mani dei ristoratori: dobbiamo essere bravi a implementare le strategie, a dare motivo reale di uscita ai visitatori. L’affermarsi di case di proprietà in Italia e la propensione a pernottare case vacanze e non strutture alberghiere potrebbe minare la spesa destinata alle uscite al ristorante, anche per il pubblico straniero”. In soldoni, i ristoranti italiani devo garantire al turista straniero sempre la miglior motivazione di uscita, offrendo esperienze inarrivabili.
Altri consigli
Oltre ad intervenire sui temi sopracitati - personale, qualità di cibo e servizio, formazione - ci sono altre accortezze che possono aiutare il ristoratore nei mesi a venire. Una è riconsiderare i propri canali di prenotazione: è sempre più forte il tramite app, quindi valutate il vostro attuale sistema ed eventualmente rendetelo più funzionale dando al cliente l’opportunità di prenotare in anticipo (tramite app o sito web). Ricordate di fornire informazioni accurate e di dare la possibilità al cliente di scegliere il tavolo migliore. L’altra riguarda l’utilizzo ormai dilagante delle recensioni come criterio di scelta. Non potete più redimervi dal rispondere e dal curare la vostra immagine online, fornendo foto, menu e servizi digitali. In molti casi, su quest’ultimo piano, i locali dei paesi stranieri vincono a mani basse rispetto a quelli italiani.
Enrico Cerioni
31 | giugno 2023
La famiglia Cerioni
Autore: Luigi Franchi
L’indagine tra i ristoratori della rete Amodo
Otto domande che tracciano il segno del cambiamento
L’indagine che vi presentiamo è stata realizzata tra aprile e maggio 2023 tra tutti i 108 ristoranti italiani aderenti ad Amodo, la rete dei ristoranti etici.
Si tratta di otto domande che intendono tracciare un quadro attuale della ristorazione in Italia coinvolgendo quei professionisti che fanno dell’etica del lavoro una vera e propria ragione di vita.
I risultati che se ne conseguono ci danno ragione nell’affermare che, quando si sceglie un ristorante, stanno cambiando le modalità: non solo mangiar bene, non solo essere ben accolti sono le motivazioni.
Perché le persone vengono nel tuo ristorante?
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A questa prima domanda dell’indagine si capisce subito l’importanza che assume la nascita di una rete come Amodo. Una rete nata in pieno Covid perché avvertivamo l’esigenza di distinguere i vari aspetti della ristorazione, era necessario affermare il concetto che esiste una ristorazione etica: dove non si fa del nero in cassa, dove le persone che vi sono occupate sono trattate in maniera corretta, dove la cura del proprio locale fosse la prima cosa che balzasse agli occhi degli ospiti.
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Da queste torte devi togliere, in alto, il numero delle risposte e, nell’ul5ma torta la scri7a Ciao Giulia test effe7uato
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Il 54,8% delle risposte a questa domanda confermano questa scelta, infatti gli ospiti del ristorante scelgono il luogo perché si respira un comportamento etico in tutte le fasi della permanenza. Il 23,8% perché riescono a passare del tempo buono e questa è una delle novità più rilevanti nate dopo il periodo pandemico; il ristorante diventa uno dei luoghi privilegiati del tempo libero e della socialità. Il 21,4% perché si mangia bene, al terzo posto delle risposte forse perché è scontato che
L’analisi
32 | giugno 2023
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https://docs.google.com/forms/d/ 1tibgbyfoo1_TJxff8Ownkw3GGgdBXuffxpfPmDG-1oY/edit#responses
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Hai una clientela fedele?
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tanza rivestono l’ospitalità e la cura, infatti il 31,7% sceglie come risposta l’ospitalità, il 26,8% la piacevolezza del locale, il 24,4% il comportamento etico del titolare e del personale. Da ultimo, per il 17,1%, il menu, che non significa aver mangiato male. Questo dato significa aver cambiato notevolmente i parametri di scelta, le motivazioni che si orientato verso quella che definiremmo esperienza complessiva; un cambia-
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Anche questa domanda era necessaria dopo due anni come quelli appena trascorsi. Il 45,2% risponde di si al 50% e il 33,3% di si all’80%. È un segnale preciso di quello che i ristoratori più attenti e sensibili hanno fatto negli anni scorsi con il delivery, soprattutto quello realizzato in proprio: sono stati d’aiuto, soprattutto psicologico alle persone. Consegnare un pasto degno di tale nome era una necessità per restare collegati con il mondo e questo sta ripagando adesso quei ri storatori che vi si sono dedicati con l’anima. Altri due dati, un 14,3% conferma una fedeltà del 20% e un 7,1% la definisce molto varia ma il dato significativo è che nessuno ha risposto all’affermazione che il Covid ha cambiato le regole del gioco e non si capiscono più le
Come prenotano?
Qui la risposta conferma ancora una certa tendenza analogica. Esiste ancora molto forte il timore che la prenotazione online non vada a buon fine, infatti il 69% prenota per telefono e il 28,6% online. Il rischio di una non risposta o forse il bisogno recondito di sentire la voce che ci accompagnerà durante la nostra presenza al ristorante sono ancora elementi importanti. Resta aperta la questione del no-show, ovvero di quei
Quando prenotano?
Soprattutto nei weekend le persone hanno capito che scegliere un ristorante all’ultimo minuto è un’impresa disperata. I ristoranti o le trattorie riconosciute per la qualità complessiva della proposta sono ormai sempre pieni. Infatti il 42,9% prenota almeno tre giorni prima, mentre il 40,5% una settimana per l’altra. Solo il 9,5% il giorno prima. Cosa significa? Un quadro positivo di un settore che, nonostante le crisi che stiamo tutti vivendo, è in buona salute. Il consumo fuori casa è una tendenza di questa società, lo stesso smart-working porta le persone a uscire dopo intere giornate trascorse in casa per lavorare. In generale sta calando vertiginosamente il tempo che le persone dedicano ai fornelli e lo stesso fenomeno che ha connotato il periodo del Covid, cioè la rinnovata voglia di cucinare, si sta ra-
za di più a fine pranzo o cena?
A questa domanda le risposte sono state abbastanza sorprendenti. Una chiara indicazione di quanta impor-
giormente?
A questa domanda troviamo la conferma della prima: per il 40,5% il comportamento etico dei titolari e del
33 | giugno 2023
personale. Per il 21,4% l’ospitalità e per il 19% il menu e la piacevolezza del locale. La fedeltà al locale fa emergere in maniera evidente quanto le persone abbiano desiderio di confrontarsi con le persone che, in quel momento, sono al loro servizio, di capirne i caratteri, i bisogni, le idee. Non si spiegherebbe altrimenti questa tendenza a vedere nel comportamento del personale il motivo principale degli apprezzamenti. Sapere cosa
occorrono regole precise per dare una soluzione al problema. Il 33,3% afferma una condizione: anche il cliente dovrebbe comportarsi in modo più etico.
Quest’ultima riflessione apre un terreno di confronto che si rivela assolutamente necessario. È ora di mettere la parola fine all’affermazione che il cliente ha sempre ragione. La ristorazione è un mondo complesso dove il cliente dovrebbe entrare per comprendere
Quando parli con i clienti qual è l’argo mento principale di conversazione?
Nelle risposte a questa domanda troviamo conferma a ciò che scriviamo sopra. Il 38,1% indica il tipo di cucina. Oggi le persone sono molto più attente e preparate di un tempo. Anche il rispetto della propria salute, mangiando fuori più spesso, diventa un elemento di cui tener conto ed è anche per questo che vogliono saperne di più sulla cucina. Un 23,8% vuole conoscere la storia del ristorante e un 21,4% le storie delle persone che vi lavorano; una curiosità positiva che deve portare i titolari dei ristoranti a dare la giusta riconoscibilità al personale. Non è più possibile che chi lavora in
Come reagisci di fronte a prenotazioni che non vengono rispettate?
Il no-show di cui parlavamo prima; un’autentica piaga in questo settore. Sembra impossibile che esistano persone così maleducate ma purtroppo è vero e sono tante. Capirne i motivi è un esercizio che non vale neppure la pena di fare. I ristoratori, per il 40,5% ribadiscono che
34 | giugno 2023
La ristorazione
Autrice: Simona Vitali
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Quando si fa onore a una nazione intera
Lo chef Filippo Sinisgalli e lo straordinario progetto de Il Palato Italiano
Ha costruito una solida professionalità mettendo insieme i giusti tasselli. Non serve nemmeno che scriviamo con quali ‘grandi’ abbia lavorato, ci preme di più tratteggiarne quell’identità ben precisa che si è forgiata tra la fermezza delle regole, retaggio del suo arruolamento in marina, e la genuinità dei valori di una famiglia che gli ha insegnato a fare secondo le sue possibilità, senza ostentazione.
Filippo Sinisgalli, oggi executive chef presso Zur Kaiserkron a Bolzano, ha molto da raccontare con Il Palato Italiano, che non esita a definire un terzo figlio (dopo le due naturali). Di quelli molto talentuosi – aggiungiamo noi - dall’intelligenza viva, vulcanica e con una versatilità sorprendente, arma vincente di questi tempi.
Il Palato Italiano, definito hub della cucina Made in Italy, è nei fatti un percorso incredibile - a tratti inverosimile ma assolutamente reale – che un fortunato incontro di belle teste ha saputo generare.
Ma restiamo focalizzati sullo chef per entrare nel cuore de Il Palato Italiano - che di fatto rappresenta la summa della sua esperienza professionale - svelandolo in tutte le sue parti o meglio in tutti i suoi tempi, sì perché è scandito da tempi.
Come abbiamo conosciuto lo chef Filippo Sinisgalli
Tracima di passione per il suo lavoro, Filippo Sinisgalli. Parlando con lui avverti un’energia che ti investe e contagia. Ogni argomento che si affronta ne apre almeno altri due.
Potremmo forse iniziare a raccontare dove ci siamo conosciuti e siamo anche in grado anche di indicare il momento in cui è scattata la scintilla nei suoi confronti. Ci siamo trovati entrambi presso l’Università
Filippo Sinisgalli con la brigata di cucina
Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza - in occasione di Innesti Creativi - nella giuria del concorso di cucina che vedeva in gara tre categorie di partecipanti: cuochi professionisti, istituti alberghieri e cuochi/e di casa (privati). Ebbene, il più grande motivo di riflessione è giunto da una giovane mamma in gara, che ha escogitato una pappa a base di verdure - farro risottato con crema di patate e gambe di broccoli - per la sua bimba che rifiutava i vegetali. Pappa che è stata adottata come piatto dall’intera famiglia, poi condiviso all’occorrenza con amici. Questo ha comportato l’assegnazione di un premio speciale, non previsto, e un bello slancio dello chef Sinisgalli, in veste di presidente di giuria: “In questo piatto c’è veramente un ingrediente importante: l’amore per un figlio, prendersi il tempo per preparargli qualcosa di appetitoso purché mangi. L’aspetto due giorni nella mia cucina, ci insegnerà a cucinare la sua ricetta!”.
E, da notizie pervenuteci, così è stato. Quando si dice partire dalle radici: quella bimba crescerà, diventerà una consumatrice, magari una cuoca o altro ancora, un adulto consapevole perché educato all’alimentazione corretta nel momento giusto della sua esistenza e a sua volta detterà la stessa linea.
Accompagnare il cliente attraverso un percorso gastronomico corretto
È proprio dall’educazione alimentare, sempre più urgente considerando la preoccupante confusione imperante in materia di cibo, che abbiamo ripreso il discorso con lo chef quando ci siamo incontrati di nuovo, questa volta presso il ristorante.
“Bisogna partire da quando i bambini cominciano a mangiare nelle mense della scuola: da lì ha inizio la loro auto-distruzione - ci racconta Filippo Sinisgalli, che nelle mense dove mangiava la sua bimba ci è andato, è voluto andare a vedere - Ci sono cose assurde: perché diamo da mangiare a dei bambini l’insalata Iceberg che non la digerisce neanche un ruminante quando in realtà la verdura del momen-
to potrebbe essere un’altra? Poi provate ad assaggiare cosa gli propinano e vedrete... Quanto a noi cuochi invece porto con me la riflessione che un giorno mi ha fatto un vecchio collega: “Ricordati - mi ha detto - che noi indossiamo le giacche dello stesso colore dei medici e che facciamo da mangiare per persone che si fidano di noi. Questo è un atto di fiducia che non possiamo tradire”. Quella riflessione l’ho fatta mia, la porto con me, me ne preoccupo anche a discapito del look del piatto. Bisogna che accompagniamo i nostri ospiti attraverso un percorso gastronomico corretto. Se uno deve mangiare un menù di tre /quattro portate è mio dovere pensare al bilanciamento di quel menù, che di quelle cene se ne dimentichi non appena l’ha terminata (cioè che non abbia problemi a seguire). Significa che sta bene, che non gli dà noia. Non si usano più le padelle, non si fanno più le cotture che consacrano la nostra identità. Il bagno termostatico, il sottovuoto fanno danni due volte: per la plastica e perché stiamo creando persone che non sanno più cucinare. E poi si uniforma il gusto: possibile che un pezzo di manzo cotto sottovuoto qui a Bolzano o in Sicilia sia la stessa identica cosa? C’è poi anche la fissa del km zero. Non si può cucinare solo col km zero! È uno dei falsi storici più grandi degli ultimi anni. Sa proprio di marketing. Non può esistere il km zero per quanto riguarda l’Italia: i ristoranti del sud hanno bisogno del nord e quelli del nord hanno bisogno del sud. È il nostro essere italiani che ci impone di non essere adepti del km zero. Io che sono uomo del sud che lavora a Bolzano posso fare a meno dei prodotti che hanno fatto sì che fossi cuoco? Certo che no”..
Mettere buone basi, prima di pensare di raccogliere
È inevitabile, a questo punto, affrontare la questione del personale, tasto dolente in questo momento storico in particolare. Nell’ambiente si conosce bene la vocazione di Filippo Sinisgalli a scoprire e alimentare talenti. Gli chiediamo di raccontarci come ap-
37 | giugno 2023
Ristorante Zur Kaiserkron,Bolzan.
proccia a questi ragazzi.
“ Con i miei ragazzi tengo un occhio aperto (severo) e un occhio chiuso (come un padre fa con un figlio).
Penso davvero che siano meglio di noi. Attenzione! Non voglio che questa passi come una frase fatta.
E ora mi spiego meglio: se anche hanno avuto più possibilità di noi, chi fra loro sceglie di fare questo mestiere in maniera seria, sottolineo in maniera seria, è perché lo vuole. Nel loro inconscio il fuoco della passione per la cucina deve esserci, io devo solamente soffiare su quel fuoco con pazienza. Io non formo nessuno, sto solo accompagnando perché chi fa questo mestiere dentro è già pronto per farlo. Di base hanno una grinta e una velocità di pensiero che io non avevo alla loro età. Per me questa è la benzina di tutti i giorni. Io vengo a lavorare ancora con il piacere di farlo. Però vanno create le giuste condizioni, se no non si va da nessuna parte. Con la proprietà ci siamo trovati allineati: niente nero negli stipendi dei ragazzi, dare il giusto giro tra riposo e lavoro e retribuzione nella giusta misura. A queste condizioni i miei ragazzi sono pronti a fare muro con me. Io per loro e loro per me, disposti a fare qualsiasi cosa. La maggior parte della mia vita io la passo con loro. Quando vanno in giro hanno uno stile riconoscibile, mentalità riconoscibile, sanno mangiare in maniera corretta”.
L’incredibile percorso de Il Palato italiano
“Il Palato italiano – ci racconta lo chef - nasce nel 2012 in modo molto ambizioso: rappresentare l’Italia all’estero nel settore della ristorazione, portando - tanto per cominciare - i nostri prodotti enogastronomici di qualità nel mondo, non come li trasportano tutti ma secondo le logiche di chi fa della logistica il proprio core business. Il riferimento va alla famiglia Bertani che con la propria azienda, Bertani autotraporti SPA, specializzata appunto nella ricerca di soluzioni nel campo della mobilità”. Sono le esperienze gastronomiche insoddisfacenti della nostra italianità, fatte all’estero in occasione di fiere, a innescare in Luciano Bertani, fondatore dell’azienda, la riflessione sulla possibilità di poter rappresentare il nostro Paese diversamente. Nasce così Enterprise srl, che opererà con l’insegna de Il Palato Italiano, sotto la guida dello chef Filippo Sinisgalli. Si inizia così ad entrare nel
merito della selezione di prodotti eccellenti nella consapevolezza di dover stare, come dice lo chef “un passo indietro – perché si è di fronte a qualcosa che non ha bisogno di essere lavorato più di tanto - e un passo di lato, perché va comunque accompagnato, saputo raccontare nella maniera giusta e quindi bisogna entrare in empatia con il produttore. Che poi magari il prodotto una volta te lo può dare e un’altra volta no. L’Italia è particolare anche per questo tipo di situazioni. Serve anche sapere aspettare, stare fermo un turno”.
La filosofia di cucina de Il Palato Italiano arriva
sugli yacht
“Ad un certo punto – prosegue lo chef - ci chiediamo: ‘Perché questi prodotti non li portiamo a bordo di magnifici yacht che girano il nostro mare e, soprattutto, perché non diamo istruzioni per l’uso corretto di questi prodotti?”
Da qui nasce la collaborazione con IBM e Cisco, rispettivamente per l’ingegnerizzazione e la TelePresence immersiva. Cioè si è creato un format che ci consentiva di portare la nostra filosofia di cucina ovunque.
Gli interessati installavano sugli yacht questo sistema, gli fornivamo i prodotti ovunque, ci collegavamo con loro e facevamo l’intero menu in TelePresence, guidando i cuoci di bordo nelle preparazioni.
Chef at home delle celebrity americane
Arriva poi il momento della folgorazione sulla via di Damasco: “Perché non venite in America? Le grosse celebrity non possono più uscire di casa. Se escono a cena sono perseguitate dai paparazzi”, ci chiedono. Nasce così Chef at home. È la fine del 2016.
“Sono stati anni bellissimi, perché abbiamo potuto portare a casa delle persone lo stile italiano. Li abbiamo potuti ospitare a casa loro, apparecchiare la loro tavola in stile italiano”.
Lo chef e la sua brigata facevano lunghe permanenze, stando anche un mese lontano da casa, tra Los Angeles e New York, cercando di concentrare le cene.
“Facevamo orari assurdi - ricorda Filippo Sinisgalli con gli occhi lucidi - perché gli appuntamenti erano concatenati e gli spostamenti in America sono lunghissimi, però
L'uovo
c’era la voglia di farlo. I miei ragazzi, in quei momenti, avevano la felicità stampata in viso. Anche se erano solo agli inizi erano guardati e approcciati da queste celebrity come delle persone fantastiche. Abbiamo cucinato per Susan Sardon, Whoopi Goldberg, Mike Phillips, Morgan Freeman, Alan Cumming, Neal Patrick Harris solo per citarne alcuni. Siamo tornati dall’America con commesse fra le mani come il compleanno di Susan Sarandon, una delle cene di apertura degli Oscar e alla Malpensa abbiamo trovato persone già con le mascherine. Entrati nel vivo della criticità di quel periodo, per non sciogliere questo nostro capitale umano che avevamo creato negli anni, chiedo alla famiglia Bertani se sia possibile anticipare la cassa integrazione ai ragazzi e di dare loro la possibilità di alloggiare a Bolzano, non potendosi pagare gli affitti. La situazione era molto delicata. Qui c’erano ragazzi, con me da sei anni, che erano già dei professionisti. Avevo bisogno di rassicurarli, di dirgli che c’era futuro.
Ovviamente alcuni pezzi li ho persi ma ho tenuto l’ossatura: in sette sono rimasti. Ci hanno creduto. A quel punto, io che ero casa con la mia famiglia, avevo sempre la preoccupazione accesa su di loro, soli in quelle stanze. Siamo rimasti in call per ore a catalogare ricette e quando potevamo scappavamo in cucina a cucinare per noi”.
Zur Kaiserkron: la sublimazione di un pensiero di cucina portato nel mondo
Filippo Sinisgalli ama camminare. In una delle tante pas-
seggiate, durante il lockdown, transitando dal centro di Bolzano si sofferma davanti a un ristorante chiuso, lo Zur Kaiserkron, nella cornice di un maestoso palazzo nobiliare, Palazzo Pock. Un luogo non qualsiasi come del resto il ristorante.
“Quel palazzo mi è piaciuto tanto, le sue molte finestre mi sembravano le tante cose che avevamo fatto con Il Palato Italiano. Era giunto il momento di mettere un cappello, un tetto al nostro progetto. Abbiamo quindi rilevato questo locale su cui siamo intervenuti strutturalmente per creare un ambiente in cui la gente iniziasse a prendersi il proprio tempo”.
Cos’è diventato quel ristorante lo lasciamo alle parole di Federica Bertani, executive vice president & chief marketing officer de Il Palato Italiano, nel QR code di approfondimento (sotto l’articolo) insieme a foto che rendono giustizia di uno studio accurato di ogni singolo particolare. Quanto alla cucina lo chef dice che è la sintesi di tutto quello che ci ha raccontato. Il piatto che ci viene posto di fronte, ricordiamocelo, è lo specchio di chi lo ha pensato, creato, servito ma anche di chi ci ha accolto. Racconta tutto fedelmente. E se viene il caso brilla. Eccome se brilla!
39 | giugno 2023
Scopri il ristorante Zur Kaiserkron
Autore: Guido Parri
Cateringross, acceleratore di idee
Il 20 maggio scorso l’assemblea dei 40 soci di Cateringross, il primo gruppo cooperativo operante nel food service, ha approvato all’unanimità il bilancio d’esercizio 2022 e la nuova direzione tecnica e collegiale del gruppo.
Il presidente, Andrea Marchi, ha aperto i lavori con una relazione ricca di contenuti, un’analisi del mercato della ristorazione che vede Cateringross collocarsi tra i maggiori players, grazie ai quarant’anni di storia che ne hanno rafforzato esperienza, solidità e patrimonializzazione.
La relazione di Andrea Marchi
Riassunta per ampi stralci la relazione mette in evidenza come “il 2022 si sia chiuso come un anno record per Cateringross che, al netto dell’inflazione, ha segnato un importante aumento dei volumi di merce trattata. Questo ha significato centrare sempre di più gli obiettivi del gruppo, non solo in termini di acquisto ma anche come modello d’impresa, di sviluppo del marketing, di capillarità territoriale grazie alle 40 imprese socie che coprono l’intero Paese, dall’Alto Adige alla Sicilia. Nei prossimi mesi seguiranno proposte di condivisione di modelli di business volti al miglioramento di tutti gli asset che compongono le nostre aziende. Infatti è solo con la condivisione di obiettivi prima e risultati poi che si migliora, sia a livello imprenditoriale, sia come gruppo. Alcuni risultati lo stanno a dimostrare: 24 milioni di euro nei nostri prodotti a marchio; una crescita delle vendite in attività diretta che passa dai 32 milioni del 2021 ai 46 milioni di euro del 2022, con una crescita, sul primo trimestre 2023, del 37%. A questo proposito vorrei citare le prime tre aziende che, nel 2022, hanno raggiunto e superato gli obiettivi. Nell’attività di vendita diretta, che rappresenta il nostro modello di condivisione di strategia, Nigro Catering, Faic, Cecioni per incremento a valore sull’anno precedente; Pellegrino, Di Cosmo e Petrazzuolo in percentuale sull’anno precedente. Ma anche citare le prime tre che, nel 2022, hanno raggiunto fatturati complessivi molto importanti rispetto al 2021: Foppa, Faic e Di Cosmo per incremento a
La distribuzione
L’assemblea dei soci ha approvato un bilancio da record
Andrea Marchi, presidente Cateringross Stefano Pistollato, direzione commerciale Cateringrooss Fabio Molinari, responsabile di sede e servizi Cateringross
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Risultato 2022
valore; Ingros Rendena, Fassa Coop e Faic in percentuale. Ogni azienda è, per noi, importante nel momento in cui porta avanti, con l’appartenenza al gruppo, la copertura territoriale in base alla propria capacità distributiva”.
Andrea Marchi si è poi soffermato sul valore del mercato del fuori casa, attingendo ai dati di Tradelab: “Nel 2022 è stato superato il traguardo dei 90 miliardi per i consumi fuori casa e l’anno in corso fa ben sperare che si raggiungano i 100 miliardi. Questo significa che, per le aziende distributrici, si prospetta un mercato enorme, del valore di circa 34 miliardi. Riflettendo su questi numeri immagino quanta strada ci sia ancora da percorrere, quanto mercato ci sia a disposizione per il gruppo e per le aziende socie. È infatti evidente che questo mercato è stato ed è resiliente, i consumi fuori casa sono ormai parte integrante delle nostre vite. In 7 casi su 10 essi sono strettamente legati ai nostri stili di vita perché molta parte del nostro tempo, che sia libero o lavorativo, si svolge già fuori casa. In 3 casi su 10 invece il mangiar fuori è una precisa scelta: usciamo appositamente per cenare, consumare una colazione o un aperitivo. Occasioni di consumo che diventano riti sociali, fonti di micro-felicità. Lo stesso vale per il turismo, straniero o locale che sia. I turisti stranieri hanno un peso rilevante
nei consumi di cibo e bevande, circa 8 miliardi è la cifra destinata a soddisfare queste esigenze. E per il 2023 le stime preannunciano un anno record per quello che le presenze straniere potranno generare. Noi dobbiamo farci trovare pronti”.
Cateringross, acceleratore di idee
Il bilancio appena approvato e che ha visto una redistribuzione degli utili tra i soci pari a un 1.534.000 euro, dimostra la solidità del gruppo che consente di affrontare con serenità il futuro.
Per questo l’assemblea ha accolto la proposta del Consiglio d’amministrazione di dar vita a una direzione tecnica collegiale avvalendosi di professionalità riconosciute dal mercato per serietà, capacità relazionali e di visione strategica.
“I nostri fornitori ci riconoscono una grande conoscenza del mercato e vogliono condividere con noi sviluppo e visione pluriennale, anche per rispondere meglio a queste richieste abbiamo deciso di dar vita a un nuovo modo di gestire la struttura, coinvolgendo tre figure che lavoreranno insieme per definire e raggiungere determinati obiettivi: a Stefano Pistollato viene demandata la direzione commerciale e lo sviluppo, a Fabio Molinari la responsabilità della sede e la crescita dei servizi erogati dal gruppo verso i soci, a Luigi Franchi la responsabilità della comunicazione e delle azioni di marketing, con una particolare attenzione alla strategia sui prodotti a marchio. Tre professionisti seri, capaci, pieni di volontà finalizzata alla crescita”.
Con la presentazione dei tre professionisti si è chiusa l’assemblea di Cateringross che ha dato un assenso positivo anche sul bilancio e le azioni svolte dalla controllata Edizioni Catering, proprietaria di questa rivista; bilancio che chiude con un segno positivo e azioni future presentate dal presidente Benhur Tondini e da Simona Vitali, componente della redazione di sala&cucina.
Luigi Franchi, responsabile comunicazione e marketing Cateringross
consuntivo al 31/12/2019 consuntivo al 31/12/2020 consuntivo al 31/12/2021 consuntivo al 31/12/2022 Risultato finale € 971.223 € 591.427 €1.110.088 € 1.547.273 4 41 | giugno 2023
FOODSERVICE RISTORAZIONE OPERATORI AZIENDE DI SERVIZIO DEGLI DELLA La prima rete distributiva italiana nel foodservice www.cateringross.net
AL GRANDI
Cateringross S.C. Via Margotti, 8 40033 Casalecchio di Reno Bologna -Tel. 0516167417 (GR) TEL. 0564 467005 (SO) TEL. 0342 996640 (TR) TEL. 0744 989765 (AN) TEL. 0731 60142 (BG) TEL. 035 670405 (FC) TEL. 0547 671511 (CA) TEL. 070 9165293 (FI) TEL. 055 8825914 (BR) TEL. 0831 332045 (IM) TEL. 0183 650433 (RN) TEL. 0541 968196 (CE) Tel. 0823 918122 (MB) Tel. 0362 302620 (BA) TEL. 080 6901781 (RM) TEL. 06 658661 (TN) TEL. 0462 761211 (CZ) TEL. 0968 93068 TASTE SUPPORTER (BZ) Tel. 0471 820095 (SO) TEL. 0342 354055 (PT) TEL. 0572 636682 (RC) TEL. 0965 636587 (TN) TEL. 0465 501569 (SA) TEL. 089 461693 (NA) TEL. 081 909380 (PN) TEL. 0434 91373 (VI) TEL. 0424 8188 (SS) TEL. 079 361750 (MO) TEL. 059 284736 (RM) TEL. 06 9060510 (RG) TEL. 0932 456176 (VB) TEL. 0324 243885 (LE) TEL. 0832 611439 (NA) TEL. 081 5630620 RZ Service (BS) TEL. 030 9826391 (AL) TEL. 0143 896216 (AQ) TEL. 0863 448052 (AR) TEL. 0575 984186 (MN) TEL. 0376 804071 (PA) TEL. 091 867 7106 (CZ) TEL. 0961 873682 (MI) TEL. 840 848 017
Il prodotto
Autore: Luigi Franchi
Dove ti porta un’ostrica
Tortolì, costa orientale della Sardegna
Arbatax è l’ultima tappa di un viaggio in Sardegna, l’abbiamo scelta per vedere le rocce di porfido rosso che spuntano dal mare. È uno spettacolo degno di un viaggio, a maggior ragione se, insieme agli scogli millenari, trovi un ragazzo che, ogni giorno, crea delle piramidi con i resti della cava che c’era un tempo; spettacolo nello spettacolo.
Non potevamo che chiudere la giornata con una cena pensata per quel luogo, un ristorante che si affacciasse sul mare.
L’incontro con Cristian Perria
Il ristorante era proprio nell’hotel, una cena alla carta servita egregiamente, un maître competente, nel menu troviamo scritto ostriche di Arbatax, ne prendiamo tre, poi altre tre tanto sono buone, carnose, sode e croccanti, dal gusto duraturo in bocca.
“Non sapevo che esistessero le ostriche ad Arbatax” dico al maître del ristorante La Bitta.
“Le coltivano alla Cooperativa Pescatori di Tortolì, qui vicino”, la risposta.
La scogliera di porfido rosso di Arbatax
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Il mattino seguente ci presentiamo alla sede della cooperativa, senza appuntamento, solo con una grande curiosità.
Ci accolgono due ragazzi che stanno mettendo in ordine e ci presentano un cuoco. Un cuoco in una cooperativa di pescatori? Un cuoco con uno strano accento francese?
“Mi chiamo Cristian Perria, sono di Cagliari ma la mia crescita professionale è avvenuta in Costa Azzurra. Sono tornato in Sardegna per un motivo sostanziale: ritrovare le mie origini gastronomiche e soprattutto portare in Sardegna l’esperienza acquisita all’estero”.
Ma perché proprio qui, in una cooperativa di pescatori?
“Qui gestisco il Chiosco di Ponente, un Oyster bar dove si consuma tutto il pesce freschissimo della cooperativa, le favolose ostriche di Tortolì, le vongole. C’è tutto quello che desidera uno chef in termini di materia prima e ci sono persone oneste e rispettabili che gestiscono la cooperativa”.
Il suo curriculum è quello di uno chef executive che ha conseguito fama mondiale, nonostante l’età ancora giovane, 35 anni.
Lyon Hotel e Nice Hotel & Spa Boscolo, Cafe de Turin a Nizza, prima ancora a La Marée, sul lungomare di Monte Carlo, ristorante noto per le tipologie di pescato che arriva da ben 25 paesi diversi, e poi lo Yacht club sempre di Monaco.
Nel 2012 diventa World Champion di apertura e presentazione di ostriche, (Champion de la Coupe du Monde des écaillers); l’unico italiano ad aver mai vinto questo concorso francese. Nel 2019 conquista il titolo di Campione d’Europa (Meilleur écailler européen) e diventa membro dell’associazione Toques Brûlés.
Nel 2021 diventa membro dell’associazione Disciples Escoffier, creata nel 1954, che accoglie allievi con un’e-
tica impeccabile e una solida esperienza professionale. Inoltre è stato giudice a numerosi concorsi di categoria in Francia, come l’Agecotel a Nizza e Shira a Lione. Da giugno 2022 è a Tortolì, con una proposta lavorativa concordata con la cooperativa che prevede una scommessa molto grande: mettersi a disposizione, pur con tutti i premi e le esperienze internazionali acquisite, di un semplice chiosco.
“Ho accettato, anzi ho scelto questa strada per essere a contatto con i pescatori, con una materia prima eccellente, con persone normali che scelgono di mangiare bene, in modo sano, e non per apparire, mettersi in mostra…”.
La scoperta delle ostriche di Arbatax che sono, in realtà, di Tortolì
“Se mi date cinque minuti vengo con voi”. Questo è stato il primo approccio con Luca Cacciatori, il presidente della Cooperativa Pescatori di Tortolì. Ci stavamo dirigendo verso la laguna dove ci aspettava la vice-presidente avvisata del nostro arrivo quando ci imbattemmo in Luca. Avevamo appena terminato di parlare con Cristian Pierra e la domanda al presidente fu ovvia.
“Come è arrivato da voi un cuoco con questo curriculum?”
“Quasi per caso. – ci racconta il presidente – L’estate scorsa si è presentato affermando il suo desiderio di ridare qualcosa alla sua terra, alla sua isola. Proviamo, gli dicemmo. Il suo stile di lavoro si è perfettamente integrato al nostro. Questa cooperativa ha una lunga storia, è nata nel 1944, dalla necessità. Una necessità, quella di allora, che si è trasformata, anno dopo anno, in comunità, in economia locale sostenibile, in un progetto di vicendevole collaborazione”.
Comincia con queste parole la nostra conoscenza di que-
Luca Cacciatori, presidente della cooperativa
45 | giugno 2023
Lo chef Cristian Pierra
sta realtà. Raccontiamo chi siamo, come siamo arrivati, leggendo su un menu delle ostriche di Arbatax, del nostro desiderio di saperne di più.
“Devo sgridare il maître di quel ristorante, le ostriche non sono di Arbatax, frazione di Tortolì. Sono di Tortolì. –spiega, sorridendo, Luca Cacciatori – Ci avevamo provato già qualche anno fa ad allevarle ma il risultato non era stato dei migliori, ci mancavano alcune conoscenze e il mercato non era ancora pronto”.
Mentre raggiungiamo la vicepresidente Luca ci racconta sommariamente la storia della cooperativa: “Fu costituita da 13 pescatori nel 1944, alcuni di loro erano ponzesi. I pescatori di Ponza arrivarono qui alla fine dell’Ottocento. Da sempre i pescatori di Tortolì sono stati dediti più che al mare aperto alla pesca nelle acque interne e questa laguna o stagno che dir si voglia è in concessione della cooperativa da quasi ottant’anni. Lo abbiamo difeso da tante minacce, dapprima la concessione in esclusiva ai pescatori che, per ottenerla negli anni ’50, si barricarono dentro, poi la costruzione di una cartiera che poteva scaricare nello stagno, infine, negli anni ’70, la costruzione di un cantiere di piattaforme off-shore per la ricerca petrolifera eliminò quasi del tutto il canale di Baccasara che, da più di un secolo, alimentava lo stagno. Aprimmo un altro canale e lo stagno riprese a dare pesce ma la maggior salinità cambiò l’ecosistema e al posto di anguille, muggini, cefali da bottarga si affermarono specie più marine quali triglie, saraghi, orate, spigole, cernie. Comunque lo stagno sopravvisse e con esso l’attività di pesca e gli allevamenti. Grazie alla determinazione della cooperativa”.
“E le ostriche?”
“Il presidente che mi ha preceduto, Fabrizio Selenu, e
che è venuto a mancare per un incidente stradale, riprovò a coltivarle, acquistando il seme dalla Normandia e facendolo evolvere nella nostra laguna che ha tutte le caratteristiche per dar vita a un prodotto eccezionale. Questa volta partimmo con il piede giusto creando la rete commerciale e coinvolgendo anche Agris, l’agenzia regionale per la ricerca, la sperimentazione e l’innovazione nei settori dell’agricoltura e della pesca. Tra poco dovrebbero arrivare i tecnici con cui potrete parlare” spiega il presidente che intanto ci presenta Donatella Contu, la vicepresidente, molto operativa: “Questo stagno è gestito dalla cooperativa fondata dai nostri nonni settantanove anni fa. 286 ettari di specchio d’acqua che, inizialmen-
Donatella Contu, vice presidente della cooperativa
te, era salmastra. Dal 2004 qui non piove quasi più e di conseguenza sono aumentati i picchi di salinità, oggi in laguna è del 38 per mille mentre il mare aperto è del 32 per mille. Inizialmente qui si coltivavano le cozze che, però, esigono un notevole apporto di acqua dolce. Anziché mettersi a piangere il presidente di allora, Fabrizio Selenu, partì per la Francia a incontrare gli ostricoltori, tornò con loro che analizzarono le acque e ci dissero che si potevano coltivare le ostriche, comprammo da loro il seme come tutti gli allevatori del mondo e iniziammo a produrre. Era il 2010 e la nostra cooperativa, a differenza di tanti, inizia la collaborazione con l’università e con Agris. Una collaborazione che ha portato al brevetto di un galleggiante che abbiamo solo noi e che ci permette una coltivazione molto più efficiente e meno faticosa come potete vedere anche voi”. In effetti questo strumento consente di far respirare all’ostrica di restare anche temporaneamente fuori dell’acqua per avere il sole che ammazza i parassiti, poi il lavaggio a pressione con acqua dolce per impedire al verme marino di bucarle.
un macchinario per tritare i gusci, ricchi di calcio, che verrà usato nei concimi per le galline e per le piante”.
Agris, l’agenzia della Regione Sardegna
La collaborazione della cooperativa con Agris ha dato vita a un laboratorio all’interno degli spazi della cooperativa dove trova spazio uno schiuditoio sperimentale per molluschi bivalve, il primo realmente operativo in Sardegna, con l’obiettivo di salvaguardare una specie, la vongola verace mediterranea Ruditapes decussatus, tipica degli ambienti lagunari dell’isola. Così come qui si svolge la riproduzione controllata del Muggine da bottarga.
“Le ostriche maturano dai dieci ai sedici mesi, abbiamo selezionato un’ostrica che va dai 65 agli 80 grammi. L’ostrica ha una decina di giorni di shelf life e deve essere chiusa e contenere acqua per affermarne la freschezza. Per le ostriche che vanno al canale ho.re.ca. abbiamo ideato un marchio – le Fabrizie – in onore del presidente che è mancato e a cui dobbiamo tutti molto. Nel 2022 ne abbiamo prodotte 150 tonnellate. Un’ultima cosa da sapere: l’ostrica cattura l’anidride carbonica per il proprio guscio e la trasforma in ossigeno. Noi stiamo aspettando
Nel laboratorio incontriamo Nicola Fois, Simone Serra, Marco Trentadue di Agris e Cecilia Satte dell’Università di sassari che ci raccontano come “un mix particolare di acqua dolce e salata, unita alla straordinaria conoscenza del mestiere da parte dei pescatori della cooperativa e alla lungimiranza di avviare una collaborazione con noi che ci occupiamo di ricerca ha dato vita a questa produzione di ostriche che, poco a poco, sta conquistando i palati degli chef e i mercati anche al di fuori dell’isola”.
47 | giugno 2023
Ostriche di Tortolì
Il Bar
Autore: Luigi Franchi
La Strega Bar
Personale dinamico, gentile e che ci sa fare (da Tripadvisor)
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Un venerdì sera, un aperitivo al termine della settimana, un bar strapieno di persone, con i posti all’aperto che invadono anche l’altro lato della strada, una musica gestita da un dj capace di cogliere i bisogni degli ospiti con una musica che fa venir voglia di cantare, brani noti, leggerezza, servizio preciso nonostante il caos.
Siamo in provincia, non si scimmiottano gli aperi-cena, qui la vita ha ancora qualche regola. Ci viene voglia di saperne di più e torniamo in quel bar qualche giorno dopo, al mattino, per chiacchierare con il proprietario: Enrico Rizzi, anni 45 o giù di lì.
Ho notato che i tuoi aperitivi non sono aperi-cena, con il banco pieno di schifezze dove tutti mettono le mani…
Non sono un latinista ma so da dove deriva il termine: dal latino aperitivus, che apre, quindi da noi non ci saranno mai cose che riempiono lo stomaco prima del pasto. Ci sono, è vero, alcuni piccoli accompagnamenti, ma di qualità: salumi DOP, Parmigiano Reggiano, tortine di verdure, ma solo per aprire e consegnate nel piatto al tavolo”.
Da quanto tempo fai questo mestiere?
“Il bar l’ho aperto il 5 maggio 2005, avevo 27 anni e mi ero stancato di fare un lavoro che non mi dava più soddisfazione. Vedevo mio fratello, che ha una gastronomia qui di fronte, vivere con grande piacere e ricerca il suo lavoro. È stata quella la molla che mi ha dato scegliere. Inizialmente il locale era parte del gruppo a cui appartiene tuttora la Latteria 56 (questo il nome della gastronomia), poi ho deciso di muovermi autonomamente”.
Siamo in centro a Fidenza, una cittadina dove l’emilianità si sente. Le persone qui socializzano velocemente. Il tuo bar si chiama Strega, un nome strano: perché?
“Perché, prima di noi, questi locali ospitavano una bigiotteria gestita da una donna che tutta Fidenza conosceva come la strega. Dal momento che dovevamo far capire la nostra localizzazione abbiamo scelto il nome che indicava il posto”.
Enrico Rizzi
La ta storia professionale da dove nasce?
“Dall’affiancamento a un torrefattore, Gianni Bonini di Lady Caffè a San Secondo Parmense, che lavorava insieme a Gianni Frasi, il noto torrefattore di Giamaica Caffè. Con lui ho iniziato il mio percorso, ho conosciuto un mondo del vino diverso da quello convenzionale, ho acquisito coraggio per affrontare questo universo. Da allora sono andato avanti da solo, leggendo molto, diventando sommelier professionista, facendo corsi di marketing”.
Come ti piace definirti oggi: barman, barista, bartender, mixology specialist?
“In questo momento mi definisco un curioso che vuole far star bene i frequentatori del mio locale. Mi piace pensare che quel cappuccino, quel bicchiere di vino, quel cocktail che propongo siano esattamente come se li aspettano. Questa è una cosa che insegno a tutti i miei dipendenti: non mandate mai fuori una cosa che non vi soddisfa, che non vorreste ricevere al tavolo”.
Questo mestiere, tra quelli dell’ospitalità, è quello con più variabili, dalla colazione al dopocena: c’è un momento che senti particolarmente tuo?
“Mi è sempre piaciuto il momento delle colazioni, la mia storia è molto legata al lavoro mattutino. Negli ultimi anni, però, la curiosità verso il mondo del vino, mi sta portando verso l’aperitivo serale, anche perché oggi ho dalla mia la fiducia delle persone che viene per bere qualcosa di diverso”.
Ero venuto nel tuo locale qualche anno fa, ti chiesi un Martini cocktail come aperitivo e mi confessasti che non lo sapevi fare: l’altra sera ho fatto la stessa richiesta e me ne hai portato uno perfetto: cosa hai fatto per la tua crescita professionale?
“Mi ricordo quell’episodio, il locale non era ancora pronto a fare quel passo. Infatti chiudevo anche presto per non affrontare l’ora dell’aperitivo. Sono stato sempre molto onesto, se non so fare è inutile fingere. Poi quello è il cocktail più difficile: due ingredienti ma tantissime variabili e personalizzazioni. Quell’accadimento, insieme ad altri, ha stimolato la mia volontà di imparare, mi ci sono dedicato molto e il risultato l’hai visto con i tuoi sensi l’altra sera: un locale strapieno, cocktail riusciti, gente felice”.
Hai un personale molto motivato, questa è la percezione che si ha come cliente. In questo momento dove è difficilissimo trovare personale qualificato qual è il tuo atteggiamento verso di loro?
“Io penso che il mio compito principale sia far star bene, oltre agli ospiti, i miei ragazzi. Se stanno bene loro tutto funzionerà alla perfezione. Non gli dico mai di no, qualsiasi loro esigenza cerco di soddisfarla: lavorano cinque giorni alla settimana anziché i soliti sei, doppi turni, due squadre distinte e specializzate, Facciamo corsi ma quel-
lo che conta di più è il loro coinvolgimento nelle decisioni. Le prendo io ma solo dopo averne parlato con loro, aver ascoltato il loro pensiero. Devo farli sta bene, è fondamentale”.
Nel periodo in cui il mondo era chiuso quali erano i pensieri?
“Confrontarsi con le persone, in quel periodo, è stato molto difficile ma avevo chiaro in testa di non fare cose per sopravvivere: no delivery, no aperture segrete, lavoriamo e utilizziamo il tempo per pensare ad aprire, quando si potrà, con una proposta diversa: una delle scelte è stato aprire, a fianco del locale, uno spazio che abbiamo chiamato Esempio”.
Cosa succede in quello spazio?
“Le iniziali del nome richiamano il mio, Enrico, e quello di mia moglie, Sara. È uno spazio mutifunzionale, aperto a chiunque voglia farci qualcosa. Finora abbiamo fatto serate con i produttori di vino, presentazioni di libri di fiabe per bambini e di libri a tema. Ad esempio possiamo farci una cena, oppure può essere lo spazio per un’artista”.
La scelta dei vini che proponi come avviene?
“Cerchiamo di non seguire sempre e solo i distributori, cerco zone vitivinicole diverse, produttori poco conosciuti, cerco chi lavora con rispetto delle uve, trattate con a tecnologia giusta. Cerco le storie da raccontare nel bicchiere e questo funziona; le persone hanno voglia di capire, di conoscere. È il bello di questo mestiere!”
La Strega Bar Via Cavour, 11 Fidenza (PR) Tel. 0524 81777 49 | giugno 2023
La pizzeria Clicca e leggi l’articolo sul web
Autrice: Simona Vitali
Cajò, quella freschezza come di
mozzarella
Un nuovo format nel cuore di Alghero
Avere la velleità di poter far degustare una mozzarella di bufala o un fiordilatte freschi di giornata su di un’isola come la Sardegna significa solo una cosa: imparare il mestiere e attrezzarsi per produrla in loco.
Non è difficile immaginare che il prodotto che arriva negli scaffali e quindi sulle tavole dalla terraferma abbia, complice il trasporto, almeno tre giorni di vita.
Ma la Sardegna non è vocata per questo tipo di produzione. E allora?
Se stiamo facendo queste riflessioni a voce alta non è per gioco ma per introdurci a una storia che ci porta diretti a raccontarvi di un nuovo format in cui, è il caso di dirlo, ci siamo imbattuti in una pausa pranzo settimanale, con la sola esigenza di fare uno spuntino.
Alghero
Siamo ad Alghero, che è quanto di meglio umanamente si possa desiderare: non il turistico commerciale di obsoleti souvenir, non lo sfarzo a cui viene facile pensare parlando di Sardegna ma soprattutto di nomi di luoghi noti. Si è guadagnata una canzone Alghero, che ancora canticchiamo, ed ora ci è chiaro: per la grande piacevolezza che sa restituire a chi la visita, con quell’irresistibile influenza ca-
talana che l’ha attraversata. Una perla appunto di giusti equilibri o meglio di giuste risposte al nostro animo così assetato di bello e di pace. Senza eccessi, però. In un luogo come questo ti devi aspettare che anche una libreria, la libreria Cyrano, non sia una semplice libreria ma pure un raffinato e popolato wine bar. E che chi vende e propone cose, mangerecce o meno, ci metta del suo, cercando di costruire una propria unicità.
La scoperta di Cajò, mozzarella & pizza
È l’ora di pranzo, fa caldo, e la voglia di un pasto non c’è. “Ci vorrebbe qualcosa di fresco e leggero” ci diciamo. Transitando lungo il corso che porta al mare scorgiamo in un borghetto laterale un’insegna, Cajò, mozzarella & pizza. “Un bel fiordilatte potrebbe essere un’idea” ci diciamo.
Intanto scorgiamo una vetrinetta dedicata ai formaggi. Al momento di ordinare andiamo a ruota libera: “I bocconcini di fiordilatte li avete? Se c’è, anche qualche fetta di pomodoro. Da lì a poco arriva un piatto con una montagnola di bocconcini che affondano l’uno nell’altro, come a creare una nuvola, circondati dal pomodoro. È sufficiente portarne uno alla bocca per coglierne una straordinaria morbidezza e ricchezza di latte al tempo stesso. “Ma questi sono freschissimi!” esclamiamo e ne abbiamo subito conferma: “Sì, lì abbiamo fatti un’ora fa” ci risponde la cameriera.
È improvviso il risveglio da quel torpore di chi è tutta la mattina che è in movimento e finalmente si rilassa al tavolo. Iniziamo così a fare domande a raffica intuendo che in questo piccolo angolo di Alghero valga la pena di indagare.
Un format curioso anche per dove è stato concepito
Inevitabilmente arriviamo a chiamare in causa anche chi
a questo progetto ha dato forma: Salvatore Micco, cuoco campano, con diverse esperienze in Italia e all’estero da raccontare ma un’unica grande folgorazione, la Sardegna, arrivata giusto con uno stage ai tempi della scuola alberghiera.
Da quel momento ha fatto in modo che quest’isola tornasse nel suo curriculum spesso nelle stagioni estive, finché poi non ha lanciato e avviato un ristorante qui e uno a Napoli, per poi venderli entrambi.
Poi tre anni fa, mentre si trovava a Napoli per sviluppare un progetto di pizza gluten free, è stato contattato da una cordata di imprenditori campani che avevano in mente di creare una proposta che prevedesse l’accostamento di prodotti campani e prodotti sardi. Pensavano certamente di proporre la pizza ma pure, e qui sta la particolarità, di produrre in loco mozzarella, a partire dalla cagliata. La parte sarda era da sviluppare così come l’apporto armonico delle due regioni. Compito di Salvatore che, dopo essersi preso il tempo per pensare, disegna il nuovo format che vuole essere frizzante, a partire dal nome: Cajò, coniato da Vitale Di Dio, uno dei soci, che fonde il suffisso “ca” che sta per cagliata con un “ajò” (andiamo) espressione dialettale sarda. E per Salvatore, che in prima persona dovrà coordinare l’intera attività, inizia un periodo di formazione in un ambito completamente nuovo per lui: un caseificio campano, dove apprende tutte le tecniche per produrre latticini.
È giugno 2021 quando Cajò apre i battenti con le sue proposte di pizze con lievitazione a 72 ore a opera di Emanuele, fratello di Salvatore, e autoproduzione - inizialmente per mano di Salvatore - di latticini sia per farcire i lievitati o da degustare così, tra mozzarelle e bocconcini di bufala, stracciatelle di bufala, burratine, mozzarelle e bocconcini di fiordilatte, provola affumicata, tutti adeguatamente associati a prodotti sardi (pecorini, salumi, birre...).
51 | giugno 2023
Salvatore Micco, chef e amministratore di Cajo'
La risposta di Alghero e dei turisti
Non era ancora trascorso un anno dall’apertura che gli algheresi avevano già adottato Cajò come punto di riferimento per le proprie serate e, cosa più bella, per i propri acquisti. “La domenica mattina è diventato usuale che vengano a farci visita per portarsi a casa mezzo chilo o un chilo di mozzarella di bufala freschissimi, piuttosto che altri prodotti. I turisti poi bisogna vederli: restano scioccati quando gli diciamo che sulla loro pizza abbiamo messo il fiordilatte che produciamo qui o nella caprese c’è la nostra mozzarella di bufala! Sia gli italiani che gli stranieri sono soliti dirci di portare Cajò nel loro paese di origine. Noi produciamo tutti i giorni e oltre ai privati riforniamo anche ristoranti, alberghi e pizzerie”. Il lavoro sta crescendo per questo abbiamo deciso di investire su un casaro in sostituzione della mia persona, Giovanni Esposito, che ha lavorato per diversi anni in un grande caseificio del napoletano”.
Giovanni Esposito, giovane ed entusiasta casaro per scelta
Giovanni è la gioia, la freschezza, lo porteresti a casa insieme alla mozzarella, Giovanni, ma è lì che deve restare, con la sua abilità e maestria. Lui, giovanissimo, e già sorprendente.
Avere assaggiato i suoi bocconcini fiordilatte significa voler capire, per sapere come riesca a realizzare un prodotto così. “Si parte – ci racconta Salvatore - dalla garanzia di un prodotto controllato, una cagliata che arriva da Napoli da un caseificio che esporta in tutto il mondo.
Arriva surgelata e viene portata al ph ottimale. La giusta tecnica di filatura, il fondamentale colpo l’occhio e la manualità di Giovanni portano a un prodotto finito che è una nuvola, galleggia sull’acqua per la leggerezza”.
“Per la mozzarella - prosegue Giovanni - attuo due diverse lavorazioni: una per la tavola, più umida, che rilasci più latte e risulti morbida, l’altra per la pizza, più asciutta e consistente. Poi ci sono le trecce e le treccine, facciamo
pure un prodotto affumicato con affumicatura naturale, e poi burro e mascarpone per i nostri dolci. È un piacere lavorare quando ti fanno stare bene. È vero, sono lontano dalla città che adoro e, ancora per poco, dalla mia ragazza ma in questo ambiente ho trovato una famiglia”.
Il futuro
Come è nostra abitudine raccogliamo confidenze sui progetti futuri ma non le sveliamo. Possiamo dire che non sono pochi e nemmeno piccoli. Tuttavia dal momento che copiare è molto più facile che pensare con la propria testa, teniamo il massimo riserbo e ci limitiamo a tifare per loro. Per l’entusiasmo contagioso di Salvatore, Emanuele, Giovanni e poi Iris, Paolo, Federico, Maria ed Emanuela. Tifiamo per la loro buona educazione, per quel gioire così tanto delle parole che ci siamo scambiati da aprirci letteralmente il cuore. Conquistati, da tanta bellezza!
Cajò Via Gioberti, 4 07041 Alghero (SS) Tel. 346 2267769
Giovanni Esposito
52 | giugno 2023
Emanuele Micco, responsabile reparto pizza
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L’aceto di uva intera secondo Joško Sirk de La Subida
Raggiungo Joško quando è appena tornato da un giro di alcuni giorni con la sua Triumph Bonneville. La passione per la moto ce l’ha da sempre, viaggiare in quelle condizioni di incertezza e libertà lo ha aiutato a vivere meglio. Ridendo, dice che in una casa dove padroni ormai sono i suoi figli, a volte si può prendere la moto e andare a fare un giro. E lo fa numerose volte durante l’anno. La Subida è la casa della Famiglia Sirk, a partire dalla Trattoria Al Cacciatore, che dal 2007 vanta una stella nella Guida Michelin. Nata dalla trasformazione dell’osteria di famiglia attuata con la moglie Loredana nei primi anni ottanta, affermatasi come prezioso punto di riferimento gastronomico del Collio, vede oggi in cucina Alessandro Gavagna e all’accoglienza in sala i figli Tanja e Mitja. La prima ha preso le redini dell’ospitalità e della ristorazione della Subida mentre il fratello fin da bambino è stato attratto dal mondo del vino dove si sta affermando con tutte le sue forze, sia come connoisseur che come produttore con la sua compagna Marta Venica. La terza figlia, Erika, ha scelto altri percorsi professionali a Milano. L’Osteria La Preda de La Subida si è aggiunta in seguito. A completare l’ospitalità c’è la magia del borgo esclusivo diffuso nel bosco retrostante, a diretto contatto con la natura. Ed è fra le casette del bosco che Joško ha costruito la sua cattedrale dell’aceto progettata dall’architetto Marcus Klaura, tutta in legno col pavimento in terra battuta, per conservare un microclima con umidità equilibrata e costante L’acetaia è il suo rifugio, un luogo di meditazione da alternare alle cavalcate in motocicletta. È nata, dice lui, «per pazzia e per amore, e la pazzia è la dote dei creativi, quelli che non stanno mai fer-
Da una grande Ribolla Gialla, per lenta fermentazione e lungo affinamento si ottiene un nobile esaltatore di sapori
Autore: Bruno Damini
Le persone
www.lasubida.it www.acetosirk.it
mi». Da dove nasce questa passione per l’aceto? «Perché per natura tendo a schierarmi con il perdente e l’aceto è un condimento che ha radici molto profonde nella nostra società ma negli ultimi cinquant’anni ha perso la dignità di prodotto di qualità». Da questa constatazione nasce il gusto di riabilitarlo o almeno di tenerne vive le tradizioni e le origini partendo da un assioma: «Se è vero, com’è vero, che un grande vino si fa da un grande uva, da questa grande uva io faccio il mio aceto. Mi ci vuole qualche anno, e in questo tempo devo accudirlo e coccolarlo come un bambino in fasce».
La scelta di fare aceto di uva
Al principio si occupava di aceto in modo amatoriale. Erano tempi in cui questo prodotto era soggetto ad accisa e la sua produzione vincolata ad autorizzazioni molto stringenti. Eliminato l’accisa e diventata libera la produzione lui ha preso la decisione di fare un solo tipo di aceto direttamente dal vitigno Ribolla Gialla per le migliori caratteristiche che quest’uva riesce a esprimere in maturazione, grazie a una buccia spessa che consente una lunga macerazione, procedimento fondamentale se si vuole un aceto artigianale ad acidificazione spontanea. La fermentazione naturale dura circa un anno, poi si aggiungono due anni di maturazione in botti già esaurite provenienti dal mondo del vino, sostanzialmente per affinare i tannini senza aggiungere una aromaticità spiccata tramite legno nuovo perché l’aceto – afferma Joško - va proposto così com’è, aspettando il terzo anno per l’imbottigliamento e la messa in vendita.
Il percorso dalla vigna è breve: il carro con l’uva arriva all’entrata dell’acetaia, i grappoli vengono solo diraspati e il mosto con le bucce viene messo nei tini dove avviene la fermentazione alcolica, dopodiché questa massa viene inserita nelle botti di fermentazione acetica. Si tratta di legni che contengono già aceto al quale si aggiunge via via la massa fermentata che è destinata a inacidire per opera dei batteri che trasformano l’alcol in acido. E ogni 15 giorni si elimina la madre filtrandola con un colino, via via che si forma. Contrariamente a certe credenze popolari, La madre, mycoderma aceti (dal greco μὑκης, fungo, e δ ρμα, pelle, e dal latino acetum), è una sostanza composta da cellulosa e da batteri acidi dell’aceto le cui cellule sono poco vitali, ha una consistenza dura e gelatinosa e tende ad accumularsi formando un tappo che impedisce all’aceto di ossigenarsi correttamente e di completare la propria maturazione a carico degli acetobatteri, i quali necessitano di ossigeno per metabolizzare l’alcol al meglio. Inoltre, la madre è portatrice di cattivi odori che possono essere trasmessi al prodotto. La madre è un sottoprodotto che va eliminato dalla produzione di aceti di buona qualità. Conviene infatti utilizzare il velo che in botte si viene a formare in sospensione sulla superficie del liquido con un corretto sviluppo di acetobatteri.
Pioniere anche in questo, Joško si ritrova ad essere l’unico produttore di aceto di uva del Friuli Venezia Giulia. Ed è interessante osservare come proprio in queste colline dove l’uva è destinata da secoli alla produzione di ottimi vini, sia scaturito con forza un ritorno alla cultura
55 | giugno 2023
La Subida
dell’acetificazione. Nel frattempo, la regione ha chiesto e ottenuto l’inserimento fra i “condimenti” nell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali dell’Osiet, un nome di compromesso fra aceto in italiano, asêt in friulano e ocet in sloveno, aceto ottenuto dall’acidificazione spontanea, inserimento decretato il 5 giugno 2009 dal Ministero delle Politiche Agricole.
Amici Acidi
Fin dall’inizio il nostro ha condiviso questo percorso di rinnovamento di un’antica tradizione assieme a quattro amici, anch’essi produttori di aceto per passione che di professione fanno tutt’altro: c’è chi produce miele, chi si occupa di ospitalità, chi produce vino e chi aceto tradizionale balsamico: Andreas Widmann (Baron Widmann), il compianto Andrea Paternoster (Mieli Thun), Andrea Bezzecchi (Acetaia San Giacomo), Mario Pojer (Pojer&Sandri), oltre ovviamente a Joško. Si sono pure dati un nome: Amici Acidi www.amiciacidi. it elaborando un “manifesto” a sostegno del proprio metodo che si basa su 3 regole principali:
1. Materia prima di qualità, non diluita e non scarto di altre lavorazioni
2. Rispetto per il tempo delle stagioni durante ogni pro-
cesso senza forzature meccaniche
3. Nessun intervento sulla temperatura per rispettare al massimo profumi e aromi originari che con l’ossidazione non fanno che evolversi e arricchirsi. Per loro l’aceto non è vino inacidito ma un prodotto nobile di alta qualità fermentato in maniera classica e non industriale.
L’aceto Sirk non è un comune condimento per insalate e carpioni o, meglio, non solo; la sua aromaticità persistente e la sua personalità complessa lo portano ad un utilizzo molto più ampio in cucina, da uova, frittate e minestre, a legumi, pesci e trippe, fino torte, frutti di bosco e sorbetti e, per facilitarne un uso più comune, omogeneo e misurato, c’è anche la versione spray. In cucina alla Subida ne fanno abitualmente uso, anche se in modo molto discreto, magari vaporizzandolo in quantità irrisorie che servono a rinfrescare le preparazioni senza aggredirle. In sostanza, l’aceto non serve a mangiare acido quanto piuttosto a togliere stucchevolezza magari a un piatto “grasso” riequilibrandone la freschezza, aggiungendo “brio”. Insomma, è un esaltatore di sapori, non un affossatore. Sfoglia
l’opuscolo “100 modi di usare l’aceto… fuori dall’insalatiera”
Joško nell'acetaia
Al centro, Loredana e Joško Sirk. A sinistra il cuoco Alessandro Gavagna e Tanja Sirk; a destra Mitja Sirk
Il territorio e la ristorazione
Autrice: Antonella Petitti
Ristorazione a Sud: dove sta andando?
In
generazionale
Nessun cliché, la ristorazione del Sud profuma davvero di famiglia, di orti e di tipicità. Ma l’aspetto rivoluzionario è che non si tratta più di un limite, ma di un valore aggiunto che consente di contenere i costi, non tralasciando più la formazione e il valore delle nuove tecnologie e della sperimentazione.
Ma quali sono i pilastri della ristorazione del Sud? Lo abbiamo chiesto a Carmine Fischetti del ristorante Oasis Sapori Antichi di Vallesaccarda (AV), ad Antonello Magistà del ristorante Pashà di Conversano (BA), a Caterina Ceraudo del ristorante Dattilo di Strongoli (KR) e a Natale Giunta del ristorante Castello a mare di Palermo.
F come famiglia
“La famiglia è un grande valore aggiunto, specie in questi tempi in cui c’è un po’ di smarrimento in questo settore, c’è chi scappa da questo lavoro perché lo impegna molto e la famiglia ti permette di resistere. Noi abbiamo in cucina mia sorella e mia nipote, in sala ci siamo ancora noi tre fratelli con mia cognata. Un nipote ha studiato sala e sta facendo esperienze importanti prima di tornare qui da noi”, racconta Carmine.
La famiglia Fischetti rappresenta uno spaccato della ristorazione di qualità che nasce da un sogno co-
realtà resta abbracciata ai suoi pilastri, ma lo sguardo è rivolto al ricambio
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mune. C’è davvero un’intera famiglia allargata nel ristorante Oasis Antichi Sapori, nell’Irpinia che si affaccia alla Puglia.
“C’è crisi di personale, professionalità e materie prime. Ma il Sud si difende bene sulla qualità, perché ancora abbiamo i contadini che vengono a portarci verdure fresche e riusciamo a produrre alcune cose direttamente. Oggi fare ristorazione è un atto rivoluzionario, coraggioso, si soffre perché le difficoltà sono giornaliere, i costi di gestione si sono alzati tantissimo. Dobbiamo essere bravi a contenerli, perché alzare il prezzo non è una soluzione”.
E la famiglia è stata anche alla base del percorso professionale della chef Caterina Ceraudo. Classe 1987, dal 2012 è alla guida della cucina di Dattilo. Ha studiato enologia per sostenere l’azienda vitivinicola calabrese di famiglia, ma poi la cucina l’ha rapita e si è formata alla scuola di Niko Romito.
“La famiglia ha contato moltissimo, direi tutto! Mio padre Roberto da sempre si è occupato del territorio valorizzando la nostra terra attraverso il vino e l’olio. Cerco di portare avanti questa tradizione di eccellenza. Un locale come il nostro ha il dovere di dare l’esempio, sia nel sostenere la crescita del territorio, sia nel concetto attuale di sostenibilità ambientale. La mia cucina può contare su un rapporto di fiducia e di sostegno con i produttori locali per creare un circolo virtuoso di valore ambientale, culturale ed economico”.
Il Pashà di Conversano, nato nel 2000 sopra al caffè di famiglia, non si sottrae ai racconti di famiglia. Il desiderio di fare ristorazione di Antonello Magistà si è compiuto quando, per forza di cose, ha portato in cucina sua madre Maria. Si è rivelata la migliore scelta possibile, ma anche un’opportunità per poter investire sulla propria at-
tività con maggiore tranquillità.
“La famiglia è un pilastro della ristorazione del Sud non solo per tradizione, ma anche perché consente continuità e sostenibilità economica. In questo momento la conduzione familiare è la forma più sicura per far bene, dare continuità e consentire ad un’azienda di ristorazione di resistere”.
T come tradizioni
Che vengano rivisitati, alleggeriti, o proposti in maniera autentica, i piatti tradizionali continuano a tenere banco sulle tavole del Sud. Non solo una scelta di radici, ma anche una chiara richiesta del mercato. E non si tratta di semplificare con spaghetti, pizza e parmigiana, la ristorazione meridionale ha messo in vetrina prodotti antichi e autentici poco noti al grande pubblico.
“Il nostro lavoro si basa sulla tradizione, perché ce n’è una grande richiesta. Ovviamente con una visione moderna, evitando zuccheri e grassi eccessivi. Abbiamo così tanta storia, che si intreccia con influenze e sapori lontani, che c’è voglia di vivere la cucina tradizionale con una rinnovata curiosità verso i suoi segreti. Anche nel mio ristorante romano, che pure potrebbe avere un respiro internazionale, mi chiedono la tradizione. Le terre del Sud hanno molto da raccontare, hanno una biodiversità e una vastità di ricette tipiche che non ci sono altrove”, sottolinea Natale Giunta.
Il suo quartier generale è a Palermo, nel ristorante Castello a mare, nel Parco archeologico del Castellammare, nel quartiere la Loggia. Il Castello è stato il più importante baluardo difensivo del porto di Palermo fino al XX secolo, edificato nel IX secolo, in epoca arabo-normanna. Oggi rappresenta per lo chef Natale Giunta un
Caterina Ceraudo
58 | giugno 2023
Antonello Magistà
simbolo di riscatto, per lui che ha saputo dire no al pizzo e, nonostante tutte le difficoltà, è voluto restare nella sua città.
Sulle tradizioni si unisce anche Caterina Ceraudo: “Sono le basi da cui partire. Nei miei menù parlo di Calabria e di territorio, di pesce, di carne ma anche di vegetale, quello del mio orto. Il Sud sicuramente ha degli elementi distintivi soprattutto sulle materie prime, sulle coltivazioni come l’olio e il grano, fonte per me di grande ispirazione. La cucina calabrese è talmente ricca di influssi, ingredienti, tecniche che ultimante si sta facendo riconoscere anche sulla scena internazionale. Io vedo in questo una grande potenzialità per tutto il territorio”.
A come accoglienza
Ogni ristorante ha il suo stile, ognuno la sua cucina. Ma l’accoglienza sembra il fil rouge che ancora resiste, in
un settore in cui il rapporto umano e la comunicazione giocano un ruolo di primaria importanza. Nonostante le difficoltà del mercato del lavoro, il Sud per DNA continua a rappresentare l’accoglienza per definizione.
“Siamo un popolo accogliente, l’ospite è ancora ospite, rischiamo di aprire casa nostra anche se si tratta di uno sconosciuto. A me è successo a Panarea, sono finito a pranzare da una signora perché non c’era nessuna attività aperta. Nel resto del mondo non succede, la Sicilia e il Sud sono anche questo. Ma dobbiamo fare in fretta e formare i nostri ragazzi, siamo un Paese dalle grandi potenzialità ma c’è bisogno di professionalità. Il settore della ristorazione può far crescere tanto, far guadagnare subito e dare tante soddisfazioni”, sottolinea Natale Giunta.
“La ristorazione del Sud ha la caratteristica di avere una forte riconoscibilità dei sapori e un servizio affettuoso e familiare, cosa che si sta perdendo. Il rapporto con il territorio in cui ci si trova è profondo, il piatto si identifica nel territorio e viceversa”, ribatte Carmine Fischetti
E a dar man forte ad un cambio generazionale che sta plasmando alcuni tratti della ristorazione meridionale, a favore di addetti ai lavori più professionali e consapevoli, ci sono i rientri dei giovani che fanno gavetta all’estero, ma scelgono di aprire le proprie attività nei piccoli borghi del Sud dove sono cresciuti.
“Si può parlare di una ristorazione del Sud perché stiamo assistendo ad un grande ritorno. Molti ragazzi stanno investendo nel proprio territorio e hanno portato una ventata di freschezza. Finalmente c’è un ricambio, senza voltare le spalle alla cucina tradizionale”, incalza Antonello Magistà, “le tecniche e le tecnologie consentono un nuovo corso pur partendo dai classici. Occasione per fare un tributo al territorio prendendone ispirazione”.
Natale Giunta
La famiglia Fischetti
Leggi la storia di Caterina Ceraudo
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I libri Autore: Luigi Franchi
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Andavamo a cena a Saperi e Sapori nel delta del Po
Un libro, quest’ultimo scritto da Salvatore Marchese per i tipi di Tarka, che racconta uno dei momenti più belli della ristorazione italiana: la manifestazione Saperi e Sapori che Igles Corelli ideò nel ferrarese dal 1990 al 1997.
L’evento prendeva le mosse dalla storia degli Estensi, i duchi illuminati di Ferrara, e dalla cucina rinascimentale; quindi grandi preparazioni sceniche nei luoghi che ospitavano l’evento, anche in quel di Ostellato, il paese della bassa che ospitava il ristorante Trigabolo, un luogo dove è nato il cambiamento della cucina italiana, che ha allevato il fior fiore degli chef sotto la guida di Giacinto Rossetti. Il libro è un rinvigorire di ricordi della manifestazione che, anno dopo anno, ha portato sul delta del Po il meglio della ristorazione mondiale di allora. Salvatore Marchese ne ha tracciato la storia con il semplice ricordo raccontato a suo figlio Francesco che lo ha trascritto al computer corredandolo di decine di ricette degli chef che si sono alternati. Un saggio prezioso che ci permette di mantenere viva l’attenzione su un periodo storico dove si è delineata la nuova cucina italiana. Un grazie a Tarka edizioni che è una delle migliori case editrici di gastronomia e storia della cucina esistenti in Italia.
Il mestolo della rivincita
Andavamo a cena a Saperi e Sapori nel delta del Po
Salvatore Marchese
Tarka edizioni
Pag. 217
Euro 19,50
www.tarka.it
Il mestolo della rivincita
Elena Camorani, Annalisa Beghelli
Indomiti
Pag. 120
euro 18,00
www.indomiti.org
L’associazione Il Giardino del Baobab di Reggio Emilia si occupa di diffondere la Comunicazione Facilitata Alfabetica – Tecnica Alternativa del Linguaggio®, che consente a ragazzi con disabilità di uscire dal silenzio ed esprimersi attraverso la scrittura.
Per questo motivo è nato, all’interno dell’associazione, il progetto editoriale Indomiti. Nel loro sito troviamo una definizione bellissima della parola: È colui che a nulla s’arrende. Da nulla è domato. Passa impavido tra le avversità e sorride. Nulla lo possiede, neppure la tristezza. Tutto gli arride, poiché fierezza e coraggio gli appartengono.
Elena è una ragazza indomita di 25 anni, affetta da autismo. Quando ne aveva 18, nel 2016, ha realizzato il sogno di creare sue ricette e raccoglierle in un ricettario, assistita dalla chef Licia Cagnoni. Un ricettario di vita, irriverente, ironico e intelligente: una rivincita contro chi non crede nell’indipendenza della mente.
“Dare colore e vita ai testi di Elena è stata per me un’esperienza speciale. La vitalità, la tenacia e la fantasia racchiuse nelle sue ricette e nei testi che le accompagnano sono quanto di più prezioso questo libro possa contenere” spiega Annalisa
Beghelli di FAI31 che ha coordinato tutto il lavoro editoriale. 50 ricette per una cucina a reazione è il sottotitolo ed Elena è esattamente questo. Non trovi appigli a non fartelo piacere, dice Elena nella pagina finale del libro.
61 | giugno 2023
Fritturista. Numeri, non aria fritta!
Il Fritturista è un prodotto professionale che garantisce alte performance in frittura sia in termini di utilizzo sia nella qualità del fritto.
L’esclusiva formulazione è a base di olio di semi di girasole alto oleico ad alto contenuto di acido oleico addizionato con estratti naturali di tocoferoli e acido citrico.
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Autore: Guido Parri
MEatSchool: l’Academy dedicata alla carne bovina
Centro Carni Company sostiene la scuola per formare le figure professionali e i consumatori di domani, attraverso percorsi specialistici, esperienziali e multilivello
Ci sono ambiti professionali nei quali la conoscenza del prodotto carne è indispensabile, con posizioni scoperte per le quali la ricerca di addetti resta una costante. Una di queste, per esempio, è la figura del macellaio, per la quale si è creata una situazione di richiesta di manodopera causata da uno scarso ricambio generazionale (dati ISMEA) con una difficoltà a reperire lavoratori adeguatamente formati.
Centro Carni Company Spa, azienda italiana che vanta un importante bagaglio di esperienza e conoscenza con oltre quarant’anni di esperienza nel settore della lavorazione della carne bovina, si è fatta dunque sostenitrice della MEatSCHOOL, l’Academy per la formazione, informazione e diffusione della cultura della carne bovina in Italia.
La MEatSCHOOL mette a disposizione aule formative e percorsi esperienziali adiacenti alla sede di Centro Carni Company a Tombolo (Pd) e studiati per rendere la persona protagonista del sapere. I corsi e le esperienze sono rivolti a coloro che operano o che vorrebbero operare nel settore della carne bovina, ma anche ai consumatori finali e ai meat lover, fornendo contenuti formativi di qualità e contribuendo allo sviluppo di conoscenze multilivello.
L’Academy opera grazie a una rete di collaborazioni e partnership e vanta percorsi specialistici per la costruzione di figure professionali da inserire nelle diverse aree della filiera produttiva delle carni bovine, dall’allevamento alla lavorazione del prodotto, dalle aree operation, alla gestione delle vendite. Ma l’Academy si rivolge anche a coloro che puntano ad aumentare le proprie competenze e professionalità, a chi già opera nel settore food-carni, a professionisti del settore ristorazione e industria che vogliono implementare le loro conoscenze, fino all’informazione sul consumatore finale attraverso un lavoro diretto.
Con 550 metri quadrati di spazi e tre sale modulabili con strumenti didattici all’avanguardia, la MEatSchool è strutturata per svolgere lezioni pratiche e di degustazione; la cucina, totalmente a vista, dotata di ogni necessità, permette show cooking e dimostrazioni pratiche di lavorazioni e cotture. Inoltre, all’interno dell’Academy è presente un percorso esperienziale in diversi step che rappresentano tutta la filiera della carne bovina, dall’allevamento alle modalità di macellazione passando per le razze con la possibilità di vedere e toccare dei veri manti bovini.
I prossimi corsi in programma:
martedì 20 giugno, dalle 19:00 alle 22:00 Vostre Maestà, La Costata e La Fiorentina. I tagli nobili: Costata e Fiorentina
giovedì 29 giugno, dalle 19:00 alle 22:00 Tagliati per il barbecue! Tagli di carne adatti alla cottura al Barbecue.
ACCOGLIENZA
La
formazione
63 | giugno 2023
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Autrice: Marina Caccialanza
Trattoria al mare, e sei in Paradiso…
Villaggio balneare, stabilimento termale, albergo e ristorante. Il Paradiso dei Giovani è il luogo della vacanza che tutti cercano e, oggi, punta sulla cucina tradizionale e la riscoperta dei sapori genuini
Abbiamo conosciuto Gianni Cristiano e il suo Paradiso dei Giovani qualche anno fa quando ci raccontava la bellezza del territorio di Margherita di Savoia, località turistica sulle spiagge pugliesi, e l’organizzazione accogliente e confortevole della sua struttura creata e gestita per essere un villaggio vacanze adatto a un turista moderno, che apprezza le comodità e la buona cucina, classica e gourmet. La struttura infatti dispone di ampi spazi e un’offerta ristorativa ben sviluppata, rivolta all’ospite dell’hotel e al cliente esterno.
Oggi Gianni Cristiano annuncia una piccola rivoluzione concettuale, un cambio di stile frutto di studio approfondito e ragionamento ben ponderato. Ha osservato e tratto delle conclusioni.
“Abbiamo studiato un progetto di trasformazione quasi radicale del nostro metodo di fare ristorazione – racconta Cristiano, e dalla sua voce trapela l’entusiasmo – insieme all’agente del nostro fornitore Erredi-Distribuzione, Ruggero Conteduca, profondo conoscitore del mercato e delle tendenze. Il progetto consiste nel riportare alla tradizione marinaresca la cucina del nostro ristorante. Negli ultimi anni siamo
Il ristorante
Gianni Cristiano
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stati, tutti quanti, coinvolti in una corsa smodata verso il cosiddetto ‘gourmet’, travolti da uno stile culinario che rincorreva mode e gusti che, in fondo, non ci appartengono. Questo atteggiamento ha spesso cancellato l’identità territoriale standardizzandola a poco a poco. A un certo punto ci siamo accorti che la gente era stanca di questa raffinatezza costruita. Abbiamo, infatti, scelto di fare un passo indietro, tornare alla cucina genuina, tradizionale, casereccia: spolverare e riproporre i vecchi menù, un po’ offuscati ma sempre validi, ridando loro brillantezza e vivacità. Abbiamo deciso, inoltre, di utilizzare materie prime locali abbandonando specialità dall’estero, a nostro vedere costose e superflue”.
Un cambio di rotta drastico
Basta con accostamenti insoliti, piatti destrutturati, ricette scomposte, aria di… e voli pindarici tra consistenze e temperature. Vuoi mettere una impepata di cozze fatta come Dio comanda, un ragù di polpo, uno spaghetto con le cozze, una zuppa di pesce.
Anche il nome del locale rispecchia questo ideale. Il nuovo ristorante de Il Paradiso dei Giovani diventa Trattoria al mare, un invito al piacere e al relax. Vi pare banale?
Ebbene non è così e Gianni Cristiano lo dimostra coi fatti, dopo le parole.
“Abbiamo studiato con attenzione e fatto dei test sul territorio – racconta – frequentando gli altri ristoranti, parlando con le persone, proponendo idee e ascoltando pareri, sperimentando il nostro metodo durante le recenti festività pasquali e del 25 aprile. E abbiamo potuto verificare che abbiamo ragione, almeno all’80%. Il riscontro della nostra clientela, infatti, è assolutamente favorevole e positivo”.
Una cucina genuina, semplice e gustosa, realizzata con i prodotti del territorio – e qui, si sa, il mare e non solo il mare, ne fornisce di eccellenti – secondo i canoni della ricettazione tradizionale, regionale, casereccia e saporita. Il piacere della tavola a tutto tondo, riconoscibile e identificabile, rassicurante e appagante come un tempo.
Un ritorno alle origini che non sa di vecchio, ma di nuovo. Il successo del progetto non finisce qui, perché a ogni azione corrisponde un effetto e Gianni Cristiano, che del mestiere di ristoratore ha lunga esperienza, ha scoperto che questa cucina concreta e genuina offre anche un risvolto economico interessante: “Questo riportare indietro la cucina ci permette anche di abbassare i costi di produzione del singolo piatto, scegliendo tra le materie prime eccellenti del posto e semplificando il processo di lavorazione, e di conseguenza abbassare lo scontrino medio del pasto: non tutti si possono permettere di spendere cifre alte per cenare al ristorante, non sempre almeno. Ci permette di contenere le spese per il personale perché non servono 5 chef per mettere in tavola un piatto, basta un cuoco esperto. Insomma, la cucina casereccia e nostrana, soddisfa il palato, preserva il portafoglio, evita gli sprechi, migliora l’efficienza dell’attività. E la gente è contenta, credo che siamo sulla buona strada”.
Trattoria al mare C.so Vittorio Emanuele, 288 76016 Margherita di Savoia (BT) Tel. 0883.654847 65 | giugno 2023
Autrice: Marina Caccialanza
La storia di La Fortezza, ristorante e pizzeria a Bellusco (MB), arriva da lontano. Giunge con il suo artefice una decina di anni fa dalla splendida Costiera Amalfitana, alimentata dalla tradizione gastronomica tramandata di generazione in generazione e forte dell’esperienza maturata presso l’azienda di famiglia, fortemente ancorata al mondo ristorazione.
Francesco Fortezza, da qui il nome del locale e sembra quasi un auspicio di tenacia e solidità, si trasferisce con la moglie Antonella nella lombarda Brianza e, tre anni fa, decide di allargare il suo raggio d’azione mettendo in pratica la sua conoscenza del mondo della cucina rilevando un locale a Bellusco.
“Il locale è molto grande – racconta Francesco – su due livelli, con sale e una veranda che accolgono da 50 a 120 coperti. Quando siamo arrivati era chiuso da alcuni anni, era vuoto e un po’ malandato, e abbiamo dovuto ristrutturarlo completamente. Si trova in una zona industriale, lontano dal centro abitato e subito abbiamo intuito le potenzialità del luogo ma anche i suoi limiti: chi viene da noi deve avere un buon motivo per arrivare fin qui; apparentemente l’unico vantaggio sembrerebbe essere l’ampio parcheggio”.
Francesco Fortezza capisce che l’impronta che intende dare al suo locale deve essere ben delineata, che per conquistare il suo cliente deve offrire quel valore aggiunto indispensabile a comunicare la fama del posto e fidelizzarlo.
Dalla Costa
Spiega con orgoglio: “Subito abbiamo impostato la cucina al meglio. Questo mi sono detto – voglio il meglio per il mio ristorante – e abbiamo puntato sulla qualità eccellente e sulla cura della preparazione. La cucina tipica della Costiera Amalfitana prende origine dalla tradizione campana ma si distingue per eleganza. È una cucina raffinata. Per questo abbiamo puntato su uno stile ricercato, anche nell’impiattamento. Conoscendo bene il mondo della ristorazione abbiamo subito improntato il menù verso scelte di alto livello. Poi mi sono reso conto che in questo contesto la pizza poteva essere un’ottima alternativa. La pizza sta vivendo quel fenomeno di popolarità e incremento che la ristorazione viveva 10/20 anni fa. E mi sono detto perché non introdurla. Ma anche qui, per La Fortezza, il meglio. Detto fatto”.
Francesco si guarda intorno, cerca pizzaioli all’altezza e poi decide di mettere le mani in pasta personalmente. “Ero già in contatto con alcuni maestri pizzaioli del mio paese, ragazzi e famiglie con una lunga storia e con il loro aiuto ho studiato e provato finché ho trovato l’impasto giusto per me, proprio quello che volevo: unico e personale, eccellente e speciale. Anche qui, volevo il meglio.”.
Sceglie la farina di 5 Stagioni, la Rossa classica, ma sperimenta e realizza il suo impasto personalizzato tanto che un giorno il tecnico del mulino, colui che prepara le miscele, assaggiando la sua pizza resta sbalordito dall’ottimo risultato.
Francesco svela il suo segreto: “Faccio un impasto con l’80% di idratazione, è difficile ma ci sono riuscito. Il mio maestro mi diceva sempre che la farina deve fare quello
d’Amalfi alla Fortezza, di nome e di fatto
Una storia di famiglia legata alla ristorazione, l’intraprendenza di una giovane coppia che si trasferisce in Lombardia, una pizzeria che evoca la tradizione costiera e la trasmette con uno sguardo al futuro e all’innovazione
66 | giugno 2023
La pizzeria Clicca e leggi l’articolo sul web
che voglio io e non il contrario. Una bella lotta ma dopo prove e esperimenti ho ottenuto il risultato che volevo. Il mio impasto è indiretto, con biga; utilizzo l’impastatrice tuffante da 80 kg e il primo giorno impasto la biga con 100% di farina e 40% di acqua, metto il lievito – poco – e lascio riposare. Il giorno successivo impasto nuovamente in macchina con il 42% di acqua e il sale. Il risultato è una pizza contemporanea che sta a metà strada tra una napoletana e una tipica della costiera, con un mezzo canotto e una consistenza più croccante. L’alta idratazione non consente l’uso della pala e la cottura avviene applicata alla base del forno a temperatura che non supera i 360° C contro i 400° C e più della napoletana classica. Anche il tempo di cottura è superiore, fino a due minuti. Con queste caratteristiche non possiamo vantare il marchio Stg ma la mia pizza può essere tagliata a spicchi e quando prendi lo spicchio in mano non si affloscia e lo puoi avvicinare alla bocca senza doverlo accompagnare, perché la consistenza biscottata lo permette. È una pizza dall’identità unica, con una sua personalità”.
I clienti che prima arrivavano attratti dalla cucina e dal suo menù oggi vengono anche per la pizza perché sanno che così non la troveranno altrove. Il condimento è all’altezza, la salsa di pomodoro è una ricetta dello chef realizzata con 4 tipi di pomodoro diversi: è perfetta!. In un solo anno le pizze triplicano, da 20 a 80 kg di impasto al giorno. Francesco produce anche il pane e lo serve a tavola o lo vende ai clienti. A mezzogiorno la media è di 150 coperti ma è la sera che il successo si misura, bisogna dare di più. Oggi i clienti arrivano anche dalle città
limitrofe, da Lecco, da Lodi, da Milano: fino a 400 pizze in una serata.
La proposta si arricchisce di menù costruiti su misura per la tavolata, percorsi di degustazione, specialità gustose come i fritti che conquistano i palati più esigenti perché asciutti, croccanti, le speciali pizze di scarola in monoporzione, un successo strepitoso, la pizza bianca al carpaccio, le focacce con mozzarella e provola: “Cerchiamo di non essere i tipici ristoratori legati al passato ma vogliamo dare una visione moderna e specializzata della cucina. Vogliamo incuriosire il cliente e conquistarlo con l’originalità delle nostre proposte, sempre di alto livello e di qualità superiore. In Costiera ci insegnano fin da piccoli a relazionarci con la gente, a lavorare sodo e aspirare al meglio. Io continuo a farlo insieme al mio staff, composto di una quindicina di persone: ce ne vorrebbero di più – afferma Fortezza – ma è sempre più difficile trovare personale, anche se il lavoro non manca, anche se faccio contratti equi e ottime condizioni. Certo gli orari sono pesanti ma è un mestiere fatto così, speriamo di trovare l’equilibrio giusto. Noi ci proviamo e la risposta è buona, siamo contenti”.
La Fortezza Via del Commercio, 4 20882 Bellusco (MB) Tel. 039 5987599 67 | giugno 2023
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Dalla tipica ricetta della Pinsa nasce la nuova linea delle schiacciatine "PanPinsa", realizzata con un originale mix di farine: farina di grano tenero, farina di soia e farina di riso. L’impasto viene prodotto esclusivamente con pasta madre, rifrescata giornalmente dagli anni ’60 e biga; caratterizzato da un’altissima idratazione, oltre il 90% di acqua sulla farina, che lo rende alveolato e soffice. A seguito di una lievitazione di almeno 48 ore, l’ impasto viene steso rigorosamente a mano come da tradizione e condito in superficie con olio evo. Il risultato finale è una schiacciatina molto digeribile dall'aspetto artigianale con un’alveolatura interna ben sviluppata, croccante fuori e soffice dentro, con una fragranza e un gusto davvero intensi. Sono pratiche e veloci da utilizzare: già cotte e pretagliate, basterà riscaldarle in piastra o in forno per pochi minuti e saranno pronte da farcire a piacere!
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Pasta Armando, la scelta gourmet
De Matteis Agroalimentare SpA nasce a Flumeri (Avellino) nel 1993, in prossimità delle principali aree di coltivazione del grano duro di Puglia, Campania e Basilicata. Con un fatturato di circa 230 milioni di euro nel 2022, 270 dipendenti e due stabilimenti – uno in Campania e uno in Umbria - è oggi uno dei principali player nel mercato della pasta secca in Italia e nel mondo.
Grazie all’impegno e alla passione delle due famiglie fondatrici, De Matteis e Grillo, infatti, l’impianto di molitura con annesso pastificio delle origini è divenuto nel tempo un insediamento industriale all’avanguardia. Tutt’oggi è fra le poche aziende del settore ad avere un molino di proprietà collegato direttamente al pastificio.
De Matteis Agroalimentare SpA ha progressivamente impostato la sua filosofia aziendale sul miglioramento
qualitativo dell’intera filiera del grano duro nazionale, sostenendo e valorizzando l’agricoltura italiana con il suo enorme patrimonio di cultura e tradizione.
La pasta che produce è l’espressione di un sistema produttivo integrato tra industria e agricoltura che si fonda su princìpi comuni e valori condivisi, tesi a garantire lo sviluppo del territorio e la salvaguardia dell’equilibrio tra uomo e natura.
Pasta Armando e la Filiera Armando
Pasta Armando rappresenta il fiore all’occhiello dell’azienda; è realizzata con il solo grano 100% italiano della filiera nata nel 2010 per volere e su intuizione del presidente cavaliere dal lavoro Armando Enzo De Matteis.
La Filiera Armando è stata una delle prime realtà di que-
Le aziende www.pastarmando.it Clicca e leggi l’articolo sul web 70 | giugno 2023
È il marchio del pastificio De Matteis che distingue la pasta di alta qualità, prodotta con il grano 100% Italiano della filiera Armando, nata nel 2010 e commercializzata in Italia e in circa 40 Paesi esteri
sto genere sul territorio ed è oggi unica nel panorama italiano perché prevede la firma di un accordo diretto con ogni singolo coltivatore.
Il ‘Patto Armando’ è quello che l’azienda stringe direttamente con alcuni agricoltori italiani e che si sostanzia in un vero e proprio contratto che si rinnova ogni anno, direttamente e singolarmente, con ciascuna azienda agricola e con gli stoccatori aderenti.
L’agricoltore si impegna a seminare le varietà di grano duro concordate con il pastificio De Matteis e a coltivarle nel rispetto di un rigoroso disciplinare finalizzato al raggiungimento di un elevato contenuto proteico (almeno 14,5%) e di un alto indice di glutine: due elementi essenziali per la produzione di una pasta di alta qualità, tenace e gustosa.
Il disciplinare regolamenta anche l’utilizzo dei fitosanitari e la tipologia, la quantità e le modalità con cui queste sostanze possono essere utilizzate nei campi: un accordo a tutela del prodotto, del consumatore finale e del territorio.
Dal canto suo l’azienda si impegna a fornire l’assistenza in campo di agronomi dedicati e ad acquistare il raccolto a un prezzo che aumenta proporzionalmente alla qualità del raccolto, con particolare riferimento all’indice proteico e al rispetto del disciplinare. L’agricoltore può così contare sulla certezza dei ricavi e su una maggiore redditività.
Pasta Armando per la ristorazione
La qualità di Pasta Armando nasce dalla cura con cui De Matteis Agroalimentare seleziona e lavora con i suoi fornitori, per ottenere la migliore materia prima. Grazie alla compresenza di mulino e pastificio, la qualità del prodotto è controllata in ogni passaggio, a partire dall’arrivo del grano in azienda fino alla realizzazione del prodotto finito.
La molitura, realizzata internamente, consente di ottenere una semola sempre fresca, adatta a realizzare un prodotto di alta qualità. La semola passa direttamente dal molino al pastificio dove è impastata con l’acqua delle sorgenti irpine. I maestri pastai controllano tutti i passaggi produttivi affinché sia conservata la qualità delle materie prime, preservandone le caratteristiche organolettiche.
Le differenti trafilature - al bronzo oppure al teflon - e tempi di essicazione controllati garantiscono un’alta qualità del prodotto.
La pasta è infine pronta per essere confezionata a seconda delle necessità del cliente: dai pack da 500g, destinati alla grande distribuzione e alta ristorazione, alle confezioni da 3 Kg per il foodservice.
In particolare, il formato da 500 g mette a disposizione una linea trafilata al bronzo di 32 formati tra quotidiani, artigianali e speciali, ed è ideale per l’alta ristorazione. Questa soluzione permette di servire e conservare Pasta
Armando al meglio. Una scelta gourmet dalla perfetta tenuta in cottura per i ristoratori, come dimostra anche lo Chef Alessandro Borghese, che serve Pasta Armando nel suo famoso ristorante AB - Il Lusso della Semplicità. Nel 2021, infine, nasce la nuova linea di Pasta Armando Foodservice, realizzata esclusivamente con grano 100% italiano di alta qualità, con elevato tenore proteico (13%), trafilatura classica in teflon, perfetta per la doppia cottura, venduta in confezioni da 3 kg. Questa linea Include 30 formati - tra lunghe, corte, pastine - selezionati tra i più richiesti e consumati nella ristorazione commerciale.
71 | giugno 2023
Le aziende
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Creuza de Ma’, terra e mare di Liguria
www.creuzadema.org
Creuza de Ma’, il nome dell’azienda, evoca una caratteristica tipica del paesaggio ligure: la creuza, stretta strada lastricata di mattoni che si inerpica dal mare ai monti fra profumi mediterranei e alti muri di pietra, che costituiscono i confini di proprietà e poderi; strade così ripide e impervie, affascinanti e aspre. Dall’alto si vede l’azzurro del mare, lungo il tragitto il sole batte sui muri di pietra che nascondono limoni, rose e mimose.
Ma il mondo moderno esige rigore e regole, quindi l’azienda è stata improntata su una produzione efficiente e rispettosa dell’ambiente, i packaging e l’energia utilizzata sono green, riciclabili, compostabili, per vestire un prodotto di alta qualità.
L’impegno per assolvere tutte le rigorose norme della sicurezza alimentare sono sancite dalla certificazione BRC e tutta la filiera è controllata.
Il pesto, simbolo della terra
Il pesto nasce dalla originale ricetta e vede tra i sette ingredienti canonici ben quattro DOP: Il basilico, il pecori-
no, l’olio della riviera ligure, il parmigiano di montagna e non ultimo un aglio di Vessalico, oggi uno dei presidi Slow Food della Liguria.
Il risultato è una crema vellutata, verde chiaro, altamente profumata di basilisco (che ne costituisce la voce prima in ingredientistica), con un aroma equilibrato e dolce che deriva dalla miscela di basilico, olio 100% italiano e olio ligure, intensi formaggi e pinoli.
L’offerta del pesto è rivolta principalmente al mondo del Food Service con alcune importanti nicchie di alta gamma di negozi sparsi per il territorio nazionale e importanti gastronomie ed enoteche dalla Liguria al Veneto, fino a Roma e anche all’estero.
Il pesto viene declinato in molti formati, in confezioni di vetro o plastica e in porzioni surgelate monodose per un uso veloce, senza sprechi, confezionate in piccole vaschette che racchiudono tutta l’intensità di un pesto fatto al momento.
Accanto al pesto Creuza de Mà produce un’altra classica salsa genovese: la crema di noci, usata per condire pasta
La Liguria, il Pesto, le Acciughe: affascinati dal mare, dalla terra che lambisce e dalle sue specialità che ne sono simbolo ed eccellenza
Autrice: Marina Caccialanza 72 | giugno 2023
ripiena di verdure, come i classici pansotti del levante ligure.
L’acciuga, figlia del cielo e del mare
Il Mar Ligure è un mondo straordinario dove l’acciuga regna. Per questo Creuza de Mà ha scelto il Mar Ligure come fonte preziosa di pesca: lo stesso brand del prodotto rievoca appunto la zona FAO di Pesca: 37.1.3 indica l’alto Tirreno, mare profondo e pescoso in cui le acciughe nuotano inseguite dai predatori e vengono pescate con le lampare.
Del resto, narra la leggenda che le acciughe, al principio del mondo, fossero le stelle. Fu la luna, invidiosa della loro luminescenza, a cacciarle in mare. Ecco perché tornano in superficie, ogni volta attirate dal miraggio artificiale delle lampare. Vorrebbero ricongiungersi al cielo, ma finiscono nelle reti. I pescatori di acciughe, in qualche modo, sono pescatori di stelle.
La scelta dell’azienda è anche questa volta mirata all’eccellenza di un prodotto locale e stagionale che Creuza de Ma’ riesce a declinare e offrire durante tutto l’anno con la stessa intensità e qualità.
La tecnica della surgelazione veloce in IQF permette, infatti, di lavorare il pesce fresco e di stoccarlo per tutto l’anno conservando tutte le caratteristiche organolettiche di un pesce appena pescato.
Le ricette spaziano da l’acciuga classica aperta e impanata alla ripiena (acciughe ricotta e maggiorana fresca), a una sfiziosa versione di acciuga ripiena di una farcia che rievoca la ricetta del Brandacjun, tipica ricetta del ponente ligure a base di baccalà olive e pinoli, appetitosissime polpettine a base di acciuga o crocchetta di patate sempre racchiusa in una acciuga, e per i bambini più esigenti un morbido burger d’acciuga …e chi più ne ha, più ne metta.
Alla base di tutto, la ricerca
Come per il pesto, la ricerca della materia prima è di eccellenza e appartiene al territorio: la maggiorana biolo-
gica viene da un’azienda di Albenga, l’Aglio da Vessalico (comune in provincia di Imperia) dalla Valle Arroscia, in un concerto di sapori tutti…liguri appunto.
Il pesce che Creuza de Mà propone è pronto da cuocere in comode vaschette per la grande distribuzione e in cartoncini da 1 kg per la ristorazione; è un prodotto crudo, pronto da immergere in olio bollente per pochi minuti, esce asciutto dalla friggitrice grazie all’impiego di una panatura leggera e croccante che indora appena la superficie, senza appesantirla, né assorbire olio.
Gli impieghi sono molteplici, dall’aperitivo alla simpatica entrée pronta da servire al cliente appena seduto al ristorante, fino al piatto completo di un secondo importante, ovviamente sempre accompagnate da un vino bianco ligure che ne esalti la sapidità e la dolcezza allo stesso tempo, in compagnia di fresche insalatine o da intingere in gustose maionesi, per esempio allo zenzero o all’arancia: le acciughe costituiscono un must della cucina ligure, un ingrediente che chiunque frequenti questa terra si aspetta e predilige.
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Autrice: Marina Caccialanza
Riso Nuvola: dal campo al MAP lungo le vie del riso
Un percorso di conoscenza profonda, dei metodi di coltivazione, delle lavorazioni e delle rese. È questo che contraddistingue la qualità di Riso Nuvola insieme al grande rispetto per la materia prima, alla volontà di conservarne profumi e aromi per proporre un prodotto di eccezionale valore.
Nelle terre dei Gonzaga, vocate alla risicoltura per attitudine territoriale e storica, dove la cucina è vanto e tradizione, Riso Nuvola interpreta il riso nelle sue sfumature più varie, ne valorizza le peculiarità e, per meglio trasmetterne i valori e il pregio, dedica all’innovazione gran parte dei suoi sforzi perché mantenere il retaggio vuol dire anche rinnovarlo ogni giorno grazie all’uso consapevole e attentamente studiato delle tecnologie più all’avanguardia, secondo lo scorrere del tempo e l’avanzamento della ricerca scientifica.
Ogni tipologia di riso viene accuratamente valutata e scelta. Dal Vialone Nano, eccellenza del territorio, all’Ar-
borio e al Carnaroli, dal Parboiled al Basmati o Roma fino alla speciale varietà per Risotti caratterizzata da chicchi fini e cristallini, ogni fase della lavorazione è curata nei minimi particolari fino al confezionamento.
È proprio il metodo di confezionamento la novità rivoluzionaria di Riso Nuvola, ideata per mantenere al meglio le qualità del riso a vantaggio dell’operatore e del consumatore.
C’è, infatti, una particolarità in ogni confezione di Riso Nuvola: ogni sacchetto è testimone della crescita costante di un’azienda votata alla qualità e sostenuta dalla determinazione imprenditoriale che ogni giorno rinnova la volontà di fornire ai propri clienti solo il meglio.
La particolarità consiste nel confezionamento in atmosfera protetta (MAP Modified Atmosphere Packaging). Dove il metodo sottovuoto è ormai ampiamente riconosciuto come valido e utilizzato dalla maggior parte dei produttori di riso, Riso Nuvola fa un passo avanti e adotta l’inno-
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Dalla tradizione all’innovazione, Riso Nuvola interpreta il riso con sapienza e metodo, rispetto della biodiversità e apertura alle moderne tecnologie
Le aziende
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vazione tecnologica dell’atmosfera protetta. Infatti, il metodo di confezionamento di Riso Nuvola va oltre con un processo personalizzato e adeguato al prodotto allo scopo di mantenerne inalterate le peculiarità varietali e organolettiche unendole alle esigenze di impiego e servizio.
I vantaggi sono molteplici perché la conservazione in atmosfera protetta non stressa il prodotto mantenendolo in condizioni ambientali salutari e perfettamente garantite. Per il processo non vengono utilizzate bombole di gas premiscelati, come avviene comunemente, ma l’azienda dispone di macchine appositamente predisposte per la produzione di azoto puro al 99,8%, realizzato nei propri stabilimenti. Questo è un dettaglio che fa la differenza perché consente il riempimento di involucri di pezzatura fino 5 kg – ideali per l’utenza professionale per praticità e logistica – e una durata di conservabilità superiore alla media fino all’apertura della confezione che, in seguito, può essere riposta in ambiente refrigerato.
Ogni chicco che entra in un sacchetto Riso Nuvola è, dunque, il frutto di un percorso di conoscenza profonda, dei metodi di coltivazione, delle lavorazioni e delle rese e di un lavoro incessante di ricerca e sviluppo mirato a migliorare la fruibilità del prodotto e facilitarne l’utilizzo, che si tratti di consumatore finale o, specialmente, di operatori della ristorazione che necessitano di ulteriori garanzie e plus concreti.
Il valore della tradizione
Il fascino delle campagne intorno a Mantova, la natura e l’arte, il piacere della convivialità e le tradizioni, profondamente radicate, fanno parte della storia di Riso Nuvola. Non è un caso che il nome stesso derivi dal soprannome di colui che al territorio ha dato lustro e fama, il grande campione automobilistico Tazio Nuvolari, il “Mantovano volante” o “Nivola” come era chiamato. E non è un caso che proprio in questi luoghi uno dei piatti iconici della tradizione sia il Riso alla Pilota De.Co.
Il nome del piatto deriva dal dialetto dei braccianti che lavoravano nelle riserie, dette “pile” dove i “piloti” erano i lavoranti. Un lavoro duro e faticoso, quello delle riserie, che lasciava poco tempo alla preparazione di pasti; nasce
così un metodo di cottura che non necessita di attenzione continua: il riso alla pilota.
Riso Nuvola lo interpreta mirabilmente. Con l’impiego di Riso Nuvola in cucina si può eseguire la preparazione secondo la ricetta originale, oggi titolata con la De.Co (denominazione comunale di origine).
Riso alla pilota
Ingredienti per 8/10 porzioni
Kg 1 di Riso Vialone Nano Italiano
Kg 1 di Pistume (il pistume è ottenuto esclusivamente dalla lavorazione di carni di Suino Italiano, fresche non congelate, accuratamente mondate a coltello).
L 1,1 / 1,2 di acqua
g 80 di burro
g 80/100 di formaggio Grana Padano grattugiato
Sale grosso da cucina q.b.
Procedimento
• In un paiolo preferibilmente di rame stagnato o alluminio portare a forte ebollizione l’acqua e aggiungere il sale
• quando l’acqua bolle aggiungere il riso e tenerlo a fiamma medio-vivace, mescolando ogni tanto sul fondo per non farlo attaccare, per 4/5 minuti circa fino al completo assorbimento dell’acqua
• spostare il paiolo su un fornello più piccolo al minimo della fiamma per 15/20 minuti coprendo il recipiente con un coperchio, con l’accortezza di mettere un canovaccio tra il paiolo e il coperchio da non aprire prima del tempo sopraindicato
• scoprire il paiolo e dopo aver mescolato il riso con un cucchiaio di legno, ricoprire e far riposare ancora per una decina di minuti
• nel frattempo cuocere il pistume sminuzzato nel burro a fuoco abbastanza vivace finché sarà imbrunito, senza rosolarlo troppo, altrimenti perde tutta la sua fragranza
• a cottura ultimata condire il riso mescolandolo al pistume aggiungendo poco alla volta il grana grattugiato
Autrice: Marina Caccialanza
Contital, sostenibileprofessionalità
Se la conservazione dei cibi è importante per il consumatore, lo è ancora di più per il professionista del food che deve garantire la qualità del suo prodotto e preservarne le caratteristiche e il valore organolettico e igienico per fornire al suo cliente il massimo della sicurezza evidenziandone il pregio.
Contital risponde a questa esigenza con i suoi prodotti tecnicamente performanti e a elevato valore. Conservare ottimizzando gli spazi e garantire l’igienicità degli alimenti con prodotti ideati e realizzati utilizzando metodi di lavorazione rispettosi dell’ambiente che siano al tempo stesso pratici, leggeri e gradevoli all’aspetto, è lo scopo che Contital persegue e raggiunge con le sue vaschette in alluminio riciclato, con i piatti monouso, i rotoli di alluminio. Una gamma ampia che offre soluzioni ideali per tutti i professionisti della trasformazione alimentare.
Smoothwall, la soluzione perfetta
Fabio Maria Mezzo, national sales manager di Contital, tiene a sottolineare come le linee studiate per l’horeca siano strumenti indispensabili per un professionista, soluzioni di confezionamento all’avanguardia: “Gli Smoothwall, ideati per il food delivery e i ready meals e divenuti ormai accessori fondamentali, restano il nostro core business con un riscontro da parte della clientela molto soddisfacente. Sono contenitori realizzati sia in versione nuda che laccata (bianco/terracotta) e sono molto pratici poiché richiudibili con specifici coperchi in materiale riciclabile o termosaldabili con film per il confezionamento in atmosfera modificata (M.A.P).
Restano i nostri prodotti più apprezzati e richiesti, quelli che rappresentano lo zoccolo della produzione perché non forniscono soltanto un aspetto gradevole ma, quelli in versione laccata, garantiscono la massima conservazione anche per i prodotti a base acida per un lungo pe-
Le aziende
Nuovo design, maggiore resistenza, tecnica altamente performante, ma sempre la stessa sostenibilità e qualità
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Smoothwall laccato con coperchio 76 | giugno 2023
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web
riodo.”
La linea, che comprende numerosi formati e viene prodotta in diverse misure, include anche la gamma Eclipse di vaschette in alluminio laccato nero e oro. Queste ultime, caratterizzate da un packaging elegante e sostenibile al 100%, sono destinate all’alta ristorazione e sono state ideate per il delivery di piatti esclusivi. Su richiesta, inoltre, Contital può fornire stampi e laccature di diversi colori garantendo ai clienti soluzioni uniche e personalizzate.
Wrinklewall, contenitori in alluminio tradizionali con nuovo design e maggiore resistenza
Adatti per prodotti da forno dolci e salati, take-away, fast food, catering, ristoranti, cibi freschi e surgelati pronti da cuocere, i contenitori di alluminio wrinklewall sono proposti in una nuova versione con un nuovo design che garantisce il 10% di resistenza a parità di spessore. Afferma Fabio Maria Mezzo: “Questa tecnologia ci permette di proporre al mercato i modelli più utilizzati con una versione più evoluta e performante”.
I wrinklewall, così come tutti i prodotti realizzati da Contital, sono la soluzione perfetta per l’imballaggio dei prodotti pronti da cuocere o già cotti. Inoltre, grazie alla loro forma armoniosa e agli angoli smussati possono essere maneggiati facilmente e in totale sicurezza sugli scaffali, nei frigoriferi e durante il trasporto.
tecnologica
L’ultima novità proposta da Contital è il rotolo di alluminio goffrato. “Questi rotoli – spiega Fabio Maria Mezzo – sono realizzati con un sistema di macrogoffratura che a parità di peso permette all’operatore una maggiore maneggiabilità e resistenza”.
Infatti, i rotoli in alluminio goffrato consentono di avvolgere, proteggere e conservare meglio i cibi, preservandone freschezza e sicurezza grazie all’innovativa trama goffrata a nido d’ape ancora più resistente.
“La goffratura a nido d’ape – spiega Mezzo – riduce il rischio di strappi, rendendo il prodotto ideale per la cottura dei cibi in forno e la conservazione prolungata in frigo o congelatore. A parità di spessore consente all’operatore una resistenza superiore del 25%. Il gastronomo, quando usa il rotolo, ha la sensazione che sia più rigido perché non si danneggia, non si taglia ed è più facile da maneggiare. Ciò è dovuto alla tecnica di produzione detta macrogoffratura. In pratica, il mercato ha proposto il rotolo microgoffrato, noi lo facciamo macrogoffrato: basta avvolgere il prodotto o utilizzare il foglio per chiudere una vaschetta e la sigillatura è perfetta e durevole”.
I vantaggi dell’impiego del rotolo in alluminio macrogoffrato sono numerosi:
• è 100% riciclabile
• extra resistente (25% in più del foglio in alluminio liscio)
• protegge i cibi
• è extra avvolgente
• conserva il cibo in frigo e freezer
• può essere utilizzato per la cottura in forno.
I rotoli sono disponibili in sei formati in confezioni da 9/3 pezzi.
Le soluzioni Contital offrono il vantaggio della praticità e dell’innovazione mantenendo altissimi standard di sostenibilità ambientale, come tiene a sottolineare Fabio Maria Mezzo: “La sostenibilità è uno dei valori più importanti del prodotto Contital; l’alluminio, riciclabile all’infinito, igienicamente sicuro, leggero e maneggevole risponde perfettamente alle esigenze moderne. Il professionista è attento anche a questi aspetti e, per noi, è un dovere rispondere adeguatamente alle necessità del settore. L’alluminio offre vantaggi etici ed ecologici indiscutibili che non possiamo ignorare se vogliamo ridurre l’impatto ambientale mantenendo, però, tutte le performance tecnologiche di cui il moderno operatore della ristorazione e distribuzione ha bisogno”.
I rotoli goffrati, una novità altamente
Wrinklewall
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Eclipse Tray
Autrice: Marina Caccialanza
Koch, il valore della famiglia
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La storia di Koch inizia nel 1980 a Bolzano quando il cuoco Peter Gojer e sua moglie Ingrid decidono di mettere a frutto la loro esperienza nella ristorazione –Peter in cucina e Ingrid in sala – creando una linea di produzione di surgelati dedicata, all’inizio, alle specialità altoatesine e ampliata, poi, ad altre prelibatezze italiane e internazionali.
Il prodotto frozen, naturale, fatto e surgelato all’istante, rispecchia il loro ideale di genuinità e freschezza; è il prodotto giusto per trasmettere questi valori insieme alla cultura gastronomica.
Appassionato dell’arte culinaria e forte dell’esperienza maturata in Italia e all’estero, Peter Gojer conosce profondamente la cucina e intuisce le potenzialità di un settore, quello dei prodotti surgelati, in rapido svi-
luppo. Dal canto suo, Ingrid sa quanto sia importante selezionare e proporre nel modo giusto le prelibatezze che escono dalle sue mani esperte che lavorano materie prime accuratamente selezionate per dar vita a prodotti freschi, successivamente congelati, di qualità eccezionale.
Cucina e sala, produzione e vendita, il connubio perfetto che trova nell’unione familiare l’equilibrio e l’incentivo a crescere. Così come cresce la famiglia con 4 figli, due maschi e due femmine, che oggi fanno parte dell’azienda e contribuiscono ognuno con le proprie mansioni allo sviluppo dell’attività.
Dalla tipicità all’internazionalità
All’inizio sono le specialità altoatesine come caneder-
Le aziende
Nell’unione del nucleo familiare, alla guida dell’azienda fin dalla fondazione, risiede la forza di Koch, specializzata nella produzione di pasta e prodotti surgelati destinati a un vasto pubblico, dall’horeca al consumatore
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li, spätzle all’uovo, ravioli di ricotta e spinaci, lunette e strudel di mele i protagonisti di Koch – il nome non è scelto a caso, in tedesco significa “cuoco” e vuole identificare emblematicamente l’origine e il carattere dell’azienda – poi la gamma si allarga ai piatti tradizionali italiani, dalle lasagne agli gnocchi, i tortellini e molto altro, per abbracciare infine una varietà di prodotti il più completa possibile fino a un assortimento vasto di paste sfoglia, di dolci, sughi e proposte vegetariane.
Una gamma di prodotti sviluppati per anticipare e soddisfare le richieste di un bacino di consumatori sempre più eterogeneo ed esigente.
Seguendo un’ottica di espansione studiata e programmata, nel 1995 Koch rileva un’impresa specializzata in pasta e nel 2007 una di pasta ripiena mantenendo sempre inalterati, nell’attuazione del progetto, i valori che l’hanno, fin dall’inizio, ispirata: qualità delle materie prime impiegate, assenza di conservanti e additivi, perché sono questi – naturalità, genuinità e freschezza - il marchio di fabbrica di tutti i prodotti dell’azienda e tali restano.
Oggi Koch è un’azienda leader e di riferimento nella produzione di molte specialità tra le quali gnocchi di patate, pasta sfoglia, pasta per pizza e pasta ripiena.
L’azienda altoatesina ha creato collaborazioni con le più importanti Private Label; per loro e in funzione delle singole esigenze di ognuno, propone prodotti che vengono poi commercializzati con i rispettivi brand.
Molto forte nel settore dell’Horeca, l’azienda è presente anche nel commercio all’ingrosso e in quello al det-
taglio e nelle catene di distribuzione in Italia e all’estero con presenze in quasi tutta Europa, Stati Uniti e Giappone.
La forza della famiglia
L’identità aziendale di Koch rimane saldamente legata alla famiglia che l’ha creata. Espandersi e crescere non vuol dire rinnegare le proprie origini, tantomeno perdere la propria identità.
La famiglia è il valore più importante dell’azienda. Essa rappresenta il nucleo nel quale genitori e figli, nel corso degli anni, hanno condiviso gioie e difficoltà sostenendosi a vicenda per il bene dell’azienda, sempre al primo posto; nel rispetto delle regole per vivere in armonia senza alterare la propria identità, anzi, valorizzando le potenzialità di ogni suo componente. Non è sempre facile, ma l’unione della famiglia è il miglior sostegno.
Oggi l’azienda è cresciuta e segue un trend positivo costante, grazie all’esperienza acquisita, alla tecnologia adottata, all’apertura verso nuovi mercati ma, la famiglia resta il valore aggiunto della Koch. La famiglia è uno dei valori più importanti della vita che la famiglia Gojer ha saputo trasferire nell’azienda e ne costituisce la forza, è il suo DNA.
La famiglia Gojer ha saputo integrare i principi familiari nelle strategie e nella cultura d’impresa della Koch trasformandola in una realtà solida, affidabile e rispettata. La famiglia – una grande famiglia dal 1980, i Gojer della Koch - ne è l’essenza più profonda e il motore di uno sviluppo sostenibile nel tempo.
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