Sala&Cucina Magazine_Luglio 2023

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Iginio Massari e Mario Zanetti: due visionari dei giorni nostri

Davide Oldani, nuovo presidente dell’associazione Le Soste

Una giornata con Paul Bartolotta

La lettera al governo di un cameriere: Matteo Zappile

Il Parmigiano Reggiano è un alimento completamente naturale

Luglio
sala&cucina n. 71 luglio 2023Poste Italiane SpaCN/BOEdizioni Catering srl –Via Margotti, 8 –40033 Casalecchio di Reno (BO)contiene I.P.costo copia euro 3,50
2023
Paolo Gennari

La redazione

Mario Benhur Tondini presidente Edizioni Catering srl

Imprenditore nel settore della distribuzione alimentare, gestisce con il fratello Oscar l’azienda di famiglia a Cavriana (MN), dove ha svolto anche l’incarico di sindaco.

Le competenze maturate sul piano professionale e su quello amministrativo lo hanno portato alla convinzione che il principio della condivisione sia la miglior modalità di crescita. Molte sue iniziative, anche all’interno del gruppo Cateringross (che detiene la titolarità della casa editrice), di cui è consigliere d’amministrazione, vanno in questa direzione. A questo affianca una forte sensibilità per ogni azione che dia valore al suo territorio.

benhurtondini@salaecucina.it

Marina Caccialanza Redazione

Milanese, un passato come traduttrice, da diversi anni giornalista e redattrice per riviste del settore alimentare rivolte al mondo dell’artigianato e all’industria, in particolare nel campo della ristorazione, del dettaglio specializzato e della ricerca. Contribuisce alla realizzazione di importanti libri di comunicazione gastronomica in Italia e all’estero diretti ai professionisti e ai consumatori. Collabora con le redazioni di sala&cucina, Ecod e Trenta Editore.

marina.caccialanza@salaecucina.it

Giulia Zampieri Redazione

Ricorda con esattezza il profumo del primo pane preparato all’età di sette anni.

Forse il suo primo traguardo e, soprattutto, l’inizio di una grande passione: per le cose semplici, per la genuinità, per gli alimenti che crescono e prendono forma. Dopo la Laurea in Scienze Gastronomiche, la specializzazione in comunicazione enogastronomica, e un periodo di alternanza nelle cucine, ha chiara la missione: scrivere per comunicare. Come? Utilizzando gli strumenti di oggi e la curiosità di sempre. Gionalista pubblicista, collabora anche con la guida di Identità Golose.

giuliazampieri@salaecucina.it

Luigi Franchi Direttore responsabile

Prima fotografo di cibo e territori, poi comunicatore, autore di numerosi libri di enogastronomia e di turismo enogastronomico. e infine giornalista di enogastronomia. Tra le sue principali pubblicazioni, scritte e/o coordinate: La prima edizione della Guida al turismo del vino in Italia, per conto del Movimento Turismo del Vino, (1997), I parchi e il turismo enogastronomico (2004), Il marketing delle Strade del Vino edizioni Agra – Rai Eri (2005), Atlante Alimentare Piacentino, con Valentina Bernardelli (2007), “cuo chi, due anime in cucina”, con Alessandra Locatelli, GL.Editore (2009), Dalle Terre Traverse al Po, GL.Editore (2010), ideatore e coautore dei Maestri del lievito madre, Edizioni Catering (2014), coautore della guida online dedicata alla ristorazione Meglio Prenotare, Edizioni Catering, Le interviste (2018) editore Mediavalue. Co-direttore di Food & Book, festival nazionale di editoria enogastronomica luigifranchi@salaecucina.it

Simona Vitali Redazione

Laureata in filosofia, ha lavorato nella comunicazione e organizzazione di grandi eventi a Parma. Ha ricevuto una prima inconsapevole educazione al gusto per il cibo grazie all’ indimenticato oste dell’Osteria di Felino (PR), il nonno materno Massimino. Con gli studi umanistici è poi arrivata una seconda, consapevole, educazione al gusto per l’utilizzo delle parole secondo il loro significato. Poi sono seguiti un corso di Alta Formazione alla scuola Holden e un master in Filosofia del cibo e del vino. Della ristorazione l’affascina il pensiero e la componente umana. Della formazione di settore segue movimenti ed evoluzioni.

s.vitali@salaecucina.it

Gabriele Adani

Grafico

Modenese, appassionato di arte figurativa, fotografia e linguaggi di comunicazione visiva.

Nel 1992 inizia il suo percorso professionale presso una casa editrice. Lavora poi in uno studio grafico e fonda una piccola agenzia di comunicazione in cui ricopre il ruolo di direttore creativo per 18 anni. Viaggiatore, utilizza i frequenti viaggi a Londra e nel Sud Est asiatico per arricchire il suo bagaglio culturale e placare la sua innata curiosità per le altre culture.

Dal 2019 lavora in proprio, occupandosi di fotografia, grafica e consulenze nel campo della comunicazione.

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3 | luglio 2023

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Sommario

7 LA LETTERA APERTA

La lettera al governo di un cameriere: Matteo Zappile | Luigi Franchi

9 L' EDITORIALE

Parlare di cibo | Benhur Tondini

10 IL CONFRONTO

Il Parmigiano Reggiano è un alimento completamente naturale | Luigi Franchi

15 I CUOCHI

Quale futuro per le nostre scuole? | Rocco Cristiano Pozzulo

17 LA NEUROVENDITA

Cervello, neurotrasmettitori e comportamenti in sala | Lorenzo Dornetti

19 L’OLIO AL CENTRO

Una cucina a trazione salutista e oliocentrica | Luigi Caricato

21 L’OSPITALITÀ

Social CRM Come utilizzare i canali social per conoscere meglio

l’ospite e migliorare la guest experience | Martina Manescalchi

23 LA DIGITAL TRANSFORMATION

Il segreto di un check-in impeccabile | Claudia Ferrero

25 SCIENZA E NUTRIZIONE

Che grasso vuoi? | Ferdinando A. Giannone

26 LA RISTORAZIONE

Iginio Massari e Mario Zanetti: due visionari dei giorni nostri | Simona Vitali

29 LA RISTORAZIONE

Una giornata con Paul Bartolotta | Giulia Zampieri

32 LA RISTORAZIONE

Davide Oldani, nuovo presidente dell’associazione Le Soste | Luigi Franchi

36 LA RIFLESSIONE

L’italiano non è la lingua migliore del mondo | Giulia Zampieri

39 LA FORMAZIONE

Non c’è tempo da perdere | Simona Vitali

44 L'INTERVISTA

La scienza nell’evoluzione della cucina contemporanea | Luigi Franchi

48 LA SALA

Mirco Plebani | Luigi Franchi

51 IL PRODOTTO

C’è pane carasau e pane carasau | Simona Vitali

54 IL VINO

Dornach, tra circolarità e sviluppo | Giulia Zampieri

56 L'ANALISI

Il report Booking.com sui viaggi sostenibili | Luigi Franchi

59 LE PERSONE

Primo de Lanzarote: un vermut canario con l’anima torinese | Bruno Damini

62 IL TERRITORIO E LA RISTORAZIONE

Gli agrumi nella cucina del Sud | Antonella Petitti

66 LA PRODUZIONE

Pomodori pelati Big Chef | Guido Parri

67 I LIBRI

Italian D&B | Luigi Franchi

68 AMODO LA RETE DEI RISTORANTI ETICI

Augusta, cucina e cicchetto | Luigi Franchi

70 IL RISTORANTE

Masseria Salamina: relax, storia e buon cibo | Marina Caccialanza

72 LA PIZZERIA

Asporto o gourmet, è un affare di famiglia | Marina Caccialanza

74 LA TRATTORIA

Da Gigi, nel verde e con gusto | Marina Caccialanza

77 LA PRODUZIONE

Unika® Golden Age: la linea dedicata alla carne marezzata, solo dai migliori tagli anatomici | Guido Parri

79 LA DISTRIBUZIONE

Ingros Rendena diventa SDG soluzioni di gusto | Guido Parri

81 LA DISTRIBUZIONE

RZ Service cambia sede | ELENA MONTEVERDI

82 LA DISTRIBUZIONE

Goodilia.com, un marketplace per il food & beverage | Guido Parri

Paolo Gennari

N° 71 luglio 2023

EDITORE

Edizioni Catering srl Via Margotti, 8 40033 Casalecchio di Reno (BO) Tel. 051 751087 – Fax 051 751011 info@salaecucina.it - www.salaecucina.it

PRESIDENTE

Benhur Mario Tondini benhurtondini@salaecucina.it

DIRETTORE RESPONSABILE

Luigi Franchi luigifranchi@salaecucina.it

COLLABORATORI ESTERNI

Luigi Caricato, Bruno Damini, Lorenzo Dornetti, Martina Manescalchi, Elena Monteverdi, Guido Parri,Antonella Petitti

FOTOGRAFIE

Archivio sala&cucina, archivio Booking.com, Giuseppe De Vita, Deposit Photo, Maurizio Galimberti.

* L’editore è a disposizione per eventuali crediti fotografici di cui si ignora la fonte

RIVISTA PARTNER di AMODO

PUBBLICITÀ

Tel. 331 6872138 marketing@salaecucina.it www.salaecucina.it

PROGETTO GRAFICO

Gabriele Adani - www.gabrieleadani.it

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Luglio 2023 sala&cucina 71 luglio 2023 Poste Italiane Spa CN/BO Edizioni Catering Via Margotti, 40033 Casalecchio Reno (BO) contiene I.P. costo copia euro 3,50
Davide Oldani, nuovo presidente dell’associazione Le Soste Iginio Massari e Mario Zanetti: due visionari dei giorni nostri Una giornata con Paul Bartolotta La lettera al governo di un cameriere: Matteo Zappile Il Parmigiano Reggiano è un alimento completamente naturale
LA RETE DEI RISTORANTI ETICI 2022
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La foto di copertina è di Ivano Zinelli
| luglio 2023

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Nei giorni scorsi è accaduto un fatto singolare: un cameriere ha scritto al governo spiegando ai politici di turno le condizioni in cui versa il settore.

Non era mai successo e il fatto in sé desta la nostra stima a Matteo Zappile, cameriere fortunato come lui stesso si definisce rispetto a tanti, troppi suoi colleghi che fanno questo lavoro per uno stipendio da fame o perché non hanno trovato di meglio.

La lettera è stata inviata a Giorgia Meloni e a Daniela Santanché, la ministra del turismo in altre faccende impegnata in queste ore (frode fiscale, tfr non pagati, crollo in borsa delle azioni delle sue aziende).

Maître al ristorante Pagliaccio di Roma, due stelle Michelin tra i più rispettati in Europa, Matteo Zappile non dà la colpa “al reddito di cittadinanza o ai giovani che non vogliono lavorare”.

Scrive, invece, di condizioni di lavoro inadeguate in una società che vorrebbe definirsi moderna.

“Ho accettato e fatto sacrifici dall’età di 13 anni — scrive Matteo Zappile — oggi ne ho 39 e orgogliosamente faccio il cameriere e sono docente e collaboratore per diverse scuole di settore in Italia”. Un’introduzione che non fa pensare al durissimo attacco che viene subito dopo: “Siamo stanchi, siamo stanchi di questo lavoro fatto così, siamo stanchi di come veniamo trattati dallo Stato, siamo stanchi della considerazione che avete del comparto e del settore, siamo stanchi della pressione fiscale per il settore Horeca, siamo stanchi dei programmi didattici delle scuole alberghiere fermi agli anni 70, stanchi che i datori di lavoro devono aver paura di assumere una donna che poi si mette in maternità lasciando in difficoltà l’azienda, siamo stanchi della mancanza di fondi per la formazione, siamo stanchi della considerazione zero che avete per chi fa muovere miliardi di euro di fatturato per questo nostro Bel Paese”.

Poi parla dei giovani, del futuro della ristorazione: “la richiesta è sempre la stessa: più tempo, maître! Vogliamo più tempo” dice l’autore della lettera. Il tempo è una condizione Imprescindibile per ogni persona che è uscita dal Covid. Matteo Zappile chiede di dare uno sguardo all’estero perché “se solo imparassimo dai Paesi scandinavi di come si tratta lo staff di questo comparto, oggi avremmo di sicuro personale sorridente e fiero di lavorare per far felice clienti da ogni parte del mondo. Il Lavoro c’è ma non a queste condizioni”.

E conclude: “Si lo so, mille parole al vento tra ministeri e caselle fantasma, ma sono troppo innamorato del mio la-

La lettera al governo di un cameriere: Matteo Zappile

voro per non provarle tutte, per non prendermi 10 minuti dal mio servizio e scrivere a tutti voi, nulla cambierà, nulla succederà e alla fine io come il resto dei miei illustri colleghi saremo costretti ad andare all’estero per avere una vita dignitosa facendo il nostro lavoro.”.

Una conclusione amara e purtroppo realistica se non si cambieranno in fretta le condizioni di lavoro in questo settore. Un settore complicatissimo, che cambia da città a città, dalle zone turistiche ai comuni rurali, con problematiche diverse a Roma rispetto a Peschici sul Gargano, per fare un esempio.

Però il tempo per riorganizzare l’intero comparto è agli sgoccioli, quindi è necessario fare come ha fatto Matteo Zappile ma farlo tutti, scrivere cento, mille, diecimila lettere al governo.

Nel contempo educare i clienti, farli passare dalla parte della ristorazione, fargli capire che questo sistema di ristorazione non potrà reggere a lungo e, con esso, se ne andrà un bene prezioso per le persone e per il Paese: quello di garantire un’economia basata sul piacere, un’educazione corretta all’alimentazione, un turismo internazionale che sceglie l’Italia non solo per la bellezza dei luoghi e l’arte, migliaia e migliaia di posti di lavoro.

luigifranchi@salaecucina.it
La lettera aperta
7 | luglio 2023
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Arriva l’estate e i media di ogni tipo riempiono pagine e pagine di notizie su cosa e come mangiare, su come conservare il cibo, su cosa comprare e quando. Un diluvio di notizie che diventano contradditorie tra loro se messe in fila una dietro l’altra.

Alcuni titoli giusto per darvi un’idea: Inaspettato il motivo per cui non dovremmo conservare pentole con cibo in frigo; I cibi e le bevande che spengono la passione secondo la nutrizionista; Dal gusto “swicy” al cibo come farmaco: 10 trend alimentari in ascesa; Ripensare la cucina casalinga; Alimentazione sana, cosa mangiare? I consigli per la dieta; Estate e alimentazione: dieci consigli utili; Come migliorare il sonno con l’alimentazione: i cibi da consumare a cena; Meglio non mangiare carboidrati la sera. Verità o falso mito?; Estate senza glutine, istruzioni per l’uso.

Sono solo una decina in mezz’ora trascorsa al computer e ognuno di questi articoli dice cose diverse. Come si fa a districarsi? Cosa occorre fare per rendere il cibo un piacere e non una sofferenza, anche intellettuale?

Non ho risposte a questo quesito ma ho dalla mia la fortuna di lavorarci ogni giorno con il cibo, di sceglierlo, di portarlo a destinazione presso i ristoranti e una delle cose che ho capito subito lavorando con il cibo è che bisogna portargli rispetto.

Solo così il cibo assolverà alla sua funzione primaria; nutrire le persone, preservarle dalle malattie; infondere piacere.

Rispettare il cibo vuol dire molte cose. La prima delle quali è che il cibo ha un costo irrisorio nella nostra società. Risparmiare sul cibo e spendere 1200 euro per un cellulare è una delle follie del nostro tempo. Comprare al supermercato i prodotti di fascia medio bassa per spendere meno è danneggiare il nostro organismo. L’altra cosa è conservarlo nel migliore dei modi. Con il nostro lavoro stiamo attentissimi quando consegniamo ai ristoranti; ci accertiamo di arrivare quando il ristorante non è nel pieno dell’attività per riporre le consegne salvaguardando la catena del freddo, mettendole al posto giusto nei loro magazzini.

Parlare di cibo

Ancora… consigliamo agli chef le materie prime più adatte al loro menu, cercando soluzioni che evitino spreco, informando che, ad esempio, un pesce surgelato non lo si sceglie in base al prezzo ma in base alla provenienza e all’indice di glassatura (quanta acqua in % si utilizza per conservare il prodotto) che rappresenta un peso nella confezione, peso che lo chef paga come se fosse pesce anziché liquido.

Ci preoccupiamo di non avere prodotti scaduti nei nostri magazzini facendo acquisti e stoccaggi oculati, per non sprecare e per non gettare via soldi.

Vogliamo, infine, che i nostri agenti di vendita conoscano molto bene il settore, le problematiche, trasferiscano il food-cost di un prodotto allo chef e al ristoratore.

In questo modo facciamo cultura del cibo, senza affidarci ai vuoti che occupano le notizie sui media come quelle appena descritte all’inizio di questo articolo.

Il mondo del cibo è sulla bocca di tutti noi almeno una volta al giorno. Tutti parliamo di cibo ma in molti non sanno neppure cos’è. Cambiare la narrazione diventa un compito morale!

benhurtondini@salaecucina.it
L’editoriale
9 | luglio 2023
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Il Parmigiano Reggiano è un alimento completamente naturale
Autore: Luigi Franchi
Il confronto Paolo Gennari www.caseificiogennari.it Clicca e leggi l’articolo sul web 10 | luglio 2023
Paolo Gennari

“Tutti aiutano tutti e ognuno sa fare il lavoro degli altri”. Parole pubblicate su Repubblica, in una bella descrizione del caseificio Gennari, produttori di Parmigiano Reggiano dal 1953.

Ci ha incuriosito quella frase che sa di emilianità, di una regione dove la solidarietà tra le persone resta ancora un valore, e allora siamo venuti a vedere con i nostri occhi, a Collecchio, in provincia di Parma, per raccontare come si vive a contatto diretto con una produzione che occupa ogni giorno dell’anno, Natale compreso. Lo facciamo con Paolo Gennari, terza generazione di questa famiglia di produttori.

Cominciamo dalla storia visto che questo è il settantesimo anno di attività del caseificio, 25.517 giorni ininterrotti di produzione…

“La storia della nostra azienda ha molto a che fare con l’amore. Mio papà e mia mamma, Sergio e Maria, si sono sposati il 31 dicembre 1952 e il loro viaggio di nozze è stato andare nel piccolissimo caseificio che avevano preso in affitto alla Corte dei Paveri, a Collecchio. All’alba del primo dell’anno 1953 erano a preparare la cagliata per le tre forme che producevano giornalmente. Vent’anni dopo, nel 1974, le forme erano diventate 12 al giorno, ma per arrivare lì i sacrifici che hanno fatto sono inimmaginabili se raccontati oggi. La mamma, da piccolo, mi raccontava che per fare gas al camioncino mio papà doveva riuscire a vendere tutte le uova che le galline producevano nel loro orticello. La loro è stata davvero una scelta di vita, non avevano nessuna esperienza se non il fatto che mio padre, fin da adolescente, amava bazzicare per i caseifici, ammirava il miracolo che i casari compivano ogni giorno. Erano i tempi in cui se volevi fare l’aiuto-casaro ne avevi davanti una cinquantina prima di te per quel posto così ambito. Oggi è quasi un’illusione trovarne uno. Nel frattempo i miei fratelli Pietro e Tino e mia sorella Rosangela iniziano a lavorare in caseificio. Io ero ancora uno studente ma, nel 1988, mio papà viene a mancare e tocca a me prendere il suo posto. La vita ti sorprende sempre all’improvviso, magari stavo pensando ad altro, non lo so. Il mio arrivo combacia con una ristrutturazione del caseificio, per renderlo più adeguato ai tempi, siamo nei primi anni ‘90 e mi trovo a fare le mie prime forme. Nel 1997 passiamo da 24 a 40 forme giornaliere di Parmigiano Reggiano, per arrivare, nel 2014 ad allargare il caseificio portando, a 100 forme. Il resto è sotto ai tuoi occhi”:

Uno dei vostri punti di forza è il controllo dell’intera filiera, con l’allevamento delle vacche da latte, come funziona?

“Negli anni ’80 mio padre partecipa a una stalla sociale che poi noi abbiamo rilevato. Oggi abbiamo 1800 vacche che ci danno, ogni giorno, il latte per le nostre forme, oltre a quello che raccogliamo dai nostri conferenti storici nel raggio di 30 km e al latte per fare un Parmigiano Reggiano biologico. Il controllo della filiera e del latte è fondamentale per fare sempre un ottimo prodotto. Se, ad esempio, il latte dei conferitori in certi giorni non va bene lo paghiamo ugualmente ma non lo utilizziamo. Come funziona? È vero ciò che ha scritto Repubblica che tutti aiutano tutti in questa azienda ma qualche suddivisione di compiti è necessaria. Mio fratello Tino si occupa dell’azienda agricola che si sviluppa su 2.000 biolche di terra e dell’allevamento. Io mi occupo, con mio

11 | luglio 2023

nipote Andrea, della produzione e del commerciale, l’altra mia nipote, Laura, dello spaccio aziendale che abbiamo trasformato negli anni in una vera e propria boutique gastronomica con prodotti di assoluta eccellenza. Tornando all’allevamento abbiamo le tre razze – Frisona, Bruna e Vacca rossa – che ci consentono di diversificare la produzione del Parmigiano Reggiano. Per questa impostazione aziendale di controllo dell’intera filiera siamo anche stati premiati dal Consorzio”.

Cosa determina la qualità assoluta di un Parmigiano Reggiano?

“L’esperienza del casaro innanzitutto. Non ti puoi improvvisare. Partendo da una grande materia prima naturale, il latte, devi trattarlo in maniera corretta: la temperatura esterna, il tempo, cambiano le sue caratteristiche organolettiche, i fermenti ne risentono subito e il casaro deve adattarsi, cuocendo più lentamente per non far raggrumare la cagliata, ad esempio. Dietro a ogni forma c’è una grande artigianalità”.

Voi stagionate il Parmigiano Reggiano fino a 100 mesi. Questa è una tendenza che sta coinvolgendo anche altri caseifici. Ma le stagionature così spinte incontrano il mercato?

“La risposta è si, le persone sono attratte da queste stagionature così estreme, permette loro di giocare con gli abbinamenti e trovare sapori inusuali. Il nostro caseificio è stato il primo a proporre queste stagionature spinte. A fine secolo osservavo il mondo del vino che stava puntando moltissimo sui millesimati, noi abbiamo cominciato a puntare sulle riserve. Il primo anno mettemmo da parte 50 forme per farle arrivare a 36 mesi vendendole successivamente al prezzo di un 24 mesi. L’anno successivo le forme erano diventate 150, per portarle a 48 mesi. Poi a 60 e via di questo passo. Ovviamente non potevamo più venderle sotto

costo. L’immobilizzazione di capitali rischiava di pesare troppo, questo è, del resto, il problema del Parmigiano Reggiano: i magazzini di stagionatura, con le loro scalere in legno di abete, sono delle autentiche architetture gastronomiche, bellissime da vedere per le persone che ci vengono a trovare, ma è altrettanto vero che si tratta di capitale fermo per lunghi anni. Ci vuole forza per fare questo lavoro, forza economica e forza spirituale perché ti assorbe ogni giorno della vita: quando è morto prima mio padre e poi, nel 2010, mio fratello Pietro ti lascio immaginare con quale stato d’animo quelle mattine io e mia madre abbiamo realizzato le forme. Torniamo alle stagionature estreme: il principale cliente per quel tipo di Parmigiano Reggiano è l’alta ristorazione. Peter Brunel, lo chef che ha il suo ristorante ad Arco (TN) realizza un risotto con il nostro Parmigiano Reggiano da 200 mesi che conferisce un sapore eccezionale”.

Praticamente avete lavorato sul brand Gennari: è una cosa atipica in questo settore. Invece voi avete puntato molto sui marchi, Oro Nero ne è un esempio…

“Esatto, è stata una scelta che continua ad essere il mood della nostra azienda. Oro Nero è nato da una sfida: eravamo in fiera a Tuttofood a Milano e un signore che fa banchettistica mi chiede un Parmigiano Reggiano da 10 chili. Gli rispondo che non si può fare perché il disciplinare non lo consente. Lui mi provoca dicendo che non lo so fare. Tornato a casa mi sono messo a pensarci e ho realizzato, con latte intero, una forma che ricorda come gusto un Parmigiano Reggiano di sei/sette mesi di stagionatura, ideale come aperitivo. L’ho ricoperto di nero, con un colore alimentare, e l’ho proposto sui mercati. Un successo immediato. Oggi stiamo lavorando ad altre idee che si basano sulla stagionalità, per incuriosire e stimolare gli chef; abbiamo registra-

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Da sinistra - Tino, Laura, Andrea e Paolo Gennari

to due marchi antichi con i quali veniva ricordato il Parmigiano Reggiano: il Vernengo per richiamare le forme realizzate con latte invernale e il Maggengo, per le produzioni di primavera/estate”.

Hai parlato di ristorazione: è il vostro core-business principale? E il Parmigiano Reggiano come si deve comunicare al ristorante?

“Rispondo subito alla seconda domanda. È fondamentale far capire che il Parmigiano Reggiano è interamente senza conservanti. Oggi questa è la cosa che trasferisce più valore alle persone: mangiare un alimento completamente naturale. Poi è necessario che il Consorzio, nelle sue politiche promozionali, coinvolga sempre di più i ristoratori, magari con la realizzazione di una guida dei ristoranti che hanno il Parmigiano Reggiano in carta o poter mettere il marchio del prodotto sui menu. Per quanto riguarda il nostro caseificio il rapporto con gli chef è costante, da anni collaboriamo con i più grandi chef italiani, da loro e con loro nascono sempre idee e sollecitazioni. Noi serviamo i ristoranti Bulgari con Niko Romito, con Eataly siamo dovunque abbia aperto. Grazie al fatto che proprio tu avevi invitato Arrigo Cipriani in un evento ho potuto conoscerlo di persona e ora siamo in tutti i suoi ristoranti nel mondo. Questo è frutto non del lavoro di un’agenzia di comunicazione che non abbiamo ma dell’importanza delle relazioni, del metterci la faccia sempre. Di garantire che tutto quello che esce dal caseificio è fatto con competenza e passione. È anche in questo modo che è nata l’amicizia con Fabio Fazio e del nostro Parmigiano Reggiano nei dolci di Lavoratti, l’azienda di cui è socio”.

Avete rapporti diretti con il mondo della ristorazione o il ruolo del distributore è importante?

“Sono prevalentemente rapporti diretti. Con i distributori siamo disposti a ragionare se parliamo di qualità e

di territorio prima che di prezzo”.

Qualche anno fa hai lanciato un’idea: Parmigiano Reggiano Experience. Poi è arrivato il Covid e immagino non abbiate più fatto nulla. Ma è ancora un progetto in essere?

“Si, facciamo funzionare questa experience a nostro modo perché non possiamo dedicarci ogni giorno a questo, ma il progetto funziona e, lavorando insieme un giorno intero, si creano rapporti duraturi. Come funziona? Ospitiamo un paio di persone dall’alba e, insieme, viviamo tutte le fasi produttive della preparazione della forma fino a quando viene tolta dalla fasciera e messa a riposare. Quella stessa forma diventerà di loro proprietà al termine della stagionatura”.

Oltre ai marchi di cui abbiamo parlato quali altri prodotti innovativi avete ideato in questi ultimi tempi?

“Sta avendo un grande successo il Tosone, ovvero la pasta del Parmigiano Reggiano quando non diventa DOP, un prodotto fresco che sta piacendo moltissimo. Poi i cubetti e le scaglie di Parmigiano Reggiano nella scatola rotonda, ideale nei minibar delle camere d’hotel, dove l’abbiamo messa ed è un ottimo veicolatore del brand Gennari”.

L’ultima domanda: quale futuro può avere il Parmigiano Reggiano?

“Abbiamo una fortuna: realizziamo un prodotto che si mangia! Non è una scarpa o un abito che si può sostituire. Però dobbiamo avere una vision chiara: vendere in ogni parte del mondo, portare il bello e il buono ovunque, facendo ricerca per migliorare, diversificarsi gli uni dagli altri per dare ogni volta una sensazione e un’esperienza diversa. Solo così avremo davanti un futuro per questo formaggio straordinario”.

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Anche quest’anno l’ultimo squillo di campanella ha segnato per migliaia di studenti in tutta Italia la fine del ritmo scolastico, scandito fino a qualche giorno fa da appelli, interrogazioni, spiegazioni, verifiche. Come presidente della Federazione Italiana Cuochi, nonché insegnante all’ “IPSSEOA Alberghiero“ di Potenza, ne approfitto non solo per augurare a tutti gli allievi buone vacanze, ma anche per esprimere alcune opinioni personali, proprio sul fronte della scuola, che dovrebbe preparare e formare i professionisti del futuro.

Si parla sempre più spesso, infatti, della reale efficienza degli Istituti Alberghieri italiani e del livello di preparazione che riescono a impartire ai nostri ragazzi, oltre che delle capacità e competenze dei docenti. Soprattutto, ci si sofferma sulla consapevolezza che gli alunni dovrebbero apprendere di quanti sacrifici e di quante sfide ci siano nel mondo della ristorazione, una volta entrati nel mercato del lavoro. Sono molti, infatti, coloro che già ai primi anni di esperienza diretta abbandonano, facendo da esempio negativo ad altri giovani, con un conseguente calo fisiologico di iscritti e di classi negli Istituti di settore. Il problema, però, a mio avviso, è un po’ più articolato e investe anche altre scuole e altri indirizzi di studio. In Italia, secondo recenti statistiche e per una serie di motivi sia economici che sociali, si fanno sempre meno figli. Dunque, nel tempo diminuiscono gli studenti e sono sempre di più le scuole che chiudono. Difatti si è riscontrato che dal 2014 a oggi più di 2.600 tra classi materne ed elementari sono state soppresse, di cui il 44% delle chiusure è al Sud. Di questo passo, secondo la “Fondazione – L’albero della vita” e “Associazione TuttoScuola”, nei prossimi cinque anni chiuderanno altre 1.200 scuole in Italia. Cifre preoccupanti, che vedono maggiormente colpite le periferie più disagiate. Non nascondiamoci dietro ad un dito: all’aggravarsi delle condizioni di maggiore povertà (vedi le crisi economiche causate dalla emergenza sanitaria, i rincari spropositati di una guerra insensata e ancora altri fat-

Quale futuro per le nostre scuole?

tori), si sono aggiunte le facoltà emotive, decisionali e relazionali del giovane studente, che si trova a dover immaginare il proprio futuro di fronte a questo scenario non proprio brillante.

Per cui, è vero che non si trovano più cuochi e camerieri, ma è altrettanto vero che c’è una grossa carenza di panettieri, idraulici, falegnami, tornitori, operai specializzati e anche di laureati, come medici o ingegneri, che il più delle volte scelgono l’opzione di lavorare all’estero con carriere più immediate, più remunerate e, spesso, anche più rispettate che nel nostro Paese. La Federazione Italiana Cuochi ormai da molti anni si è attivata nei confronti del mondo della scuola, facendo da “ponte” verso quello lavorativo, con un recupero di credibilità ed interesse da parte dei giovani verso la nostra professione, ma è altrettanto indispensabile continuare ad investire sulla scuola con programmi formativi e di orientamento, perché la “povertà educativa”, seppur meno evidente di quella economica, ha importanti conseguenze, specialmente sociali, etiche e morali, fenomeni ed aspetti che purtroppo stanno peggiorando negli anni, con ripercussioni sulla popolazione. E le cronache di tutti i giorni ne sono tristi testimoni.

I cuochi Clicca e leggi l’articolo sul web 15 | luglio 2023

Esiste un segreto per regalare al cliente un’esperienza wow in sala! Il vissuto del cliente dipende da quanto il comportamento del personale di sala determina la variazione di due neurotrasmettitori. Sono dopamina e ossitocina. I neurotrasmettitori sono coinvolti nei circuiti del piacere. La dopamina è legata all’emozione della sorpresa e della gioia. L’ossitocina si sviluppa nei legami affettivi. Queste 2 molecole quando crescono nel cervello, determinano un senso di benessere.

Per aumentare i livelli dopamina nel cervello dei nostri clienti possiamo usare il “principio di scartamento”. Una mole immensa di studi dimostrano che l’atto di scartare “qualcosa” aumenta la dopamina. Il picco avviene quando il cervello apre la confezione dell’oggetto. L’atto di togliere la carta e il fiocco stimola la sostanza alla base della felicità. Come possiamo applicarla al mondo della ristorazione? Pensa ad esempio ad una busta da aprire sul tavolo che racconta in una lettera la filosofia del locale. Alcuni si spingono ad inserire il menù o la proposta del giorno, oggi in QR-code, direttamente in una busta che si apre per stimolare il senso di curiosità. Il personale di sala può stimolare questo gesto di scartamento.

“Per scoprire il nostro nuovo menù, vi invito ad aprire la nostra busta delle sorprese”. “Oltre al menù, al centro del tavolo, trovate un piccolo pacchettino, lì abbiamo messo la proposta del giorno”. Queste frasi stimolano ulteriormente il comportamento di scartamento con il conseguente aumento di dopamina.

Per aumentare i livelli di ossitocina, una tecnica straordinaria è quella del “dono”. Tutti gli studi confermano che ricevere un “dono”, aumenta in maniera significativa la quantità di ossitocina nel sistema nervoso. Se l’ossitocina aumenta, cresce la sensazione interiore di benessere e la voglia di entrare in relazione con gli altri. Qualcuno ha chiamato poeticamente questa sostanza, “ormone della gentilezza e dell’amore”. Alti livelli di ossitocina generano nel cliente un’ottima “prima impressione”. Per predisporre positivamente chi è appena entrato nel tuo ristorante basta un’azione semplice: donare. Gli studi hanno dimostrato che per il cervello non importa il valore economico del regalo. Conta semplicemente riceverlo. L’applicazione pratica è offrire al cliente un calice di vino o una piccola entrée, esplicitando chiaramente che si tratta di cadeaux “gratuito”. Spesso, infatti, se non si esplicita che il bicchiere o la tapas è offerta dalla casa, si corre il rischio di ottenere l’effetto contrario. Il clien-

Cervello, neurotrasmettitori e comportamenti in sala

te si irrigidisce. Se invece chi è in sala enfatizza che si tratta di un regalo, allora tutto cambia. “Nell’attesa del tavolo che stiamo predisponendo vi offro un calice del nostro prosecco”. “Questo è un piccolo pensiero dalla cucina, mentre scegliete cosa ordinare, un regalo del nostro chef”. Queste frasi chiariscono che si tratta di un omaggio per accogliere il cliente. L’ossitocina cresce e tutto va in discesa. La prima impressione è positiva. Il cliente si sente accolto. Quindi è più benevolo nei giudizi, più propenso a godersi l’esperienza, perfino più disposto a tollerare errori ed imprecisioni.

I due principi si possono unire. Regalare alla fine del pasto qualcosa da scartare assicura un picco di dopamina ed ossitocina all’unisono. In alcune occasioni importanti si può pensare ad un regalo per i clienti più fidelizzati del locale. In tutti gli altri casi basta un regalo simbolico. Immaginate di regalare al cliente una “polaroid” scattata dal personale in un momento della cena. Per potenziare l’effetto, mettete la polaroid in una busta con una dedica che costringa le persone ad aprire la busta scartandola. Questa piccola attenzione avrebbe un impatto pazzesco sul cervello del cliente, generando conseguenze sulla fidelizzazione e sulle recensioni. Ricevere un regalo non rende gentili e gioiose le persone per educazione, ma per l’attivazione di una reazione biologica iscritta nei circuiti cerebrali. Parola di Neurovendita!

La neurovendita
17 | luglio 2023
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L’INGREDIENTE CHE FA LA DIFFERENZA

IL TUO SEGRETO IN CUCINA

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L’olio al centro

Avete mai provato a creare un nuovo format di ristorante basato su pochi ed essenziali concetti chiave? Ne cito solo due: salute e benessere, il tutto a partire da una cucina a trazione salutista. Il tema l’avevo già in parte affrontato, ma ci ritorno volentieri, anche perché al riguardo c’è molta confusione e in parte pure molta pigrizia e inoperosità. Si pensa, erroneamente, che sia sufficiente curare la sola scelta degli ingredienti e che questi siano di qualità e magari anche certificati biologici, che è poi un criterio in linea con le tendenze attuali, e va pur bene. In realtà occorre avviare una radicale rimodulazione del nostro approccio abituale al cibo, anche perché le nostre consuete convenzioni non bastano, non sono più sufficienti. Occorre andare oltre e immaginare qualcosa di nuovo. Si pensi solo a quanto sia stato rivoluzionario introdurre negli anni Ottanta le produzioni da agricoltura biologica certificate. Pensando al successo delle catene distributive specializzate nel biologico, si comprende bene quanto sia ancora possibile concepire nuove soluzioni nell’ambito della ristorazione: progettare qualcosa di inedito e inconsueto che si fondi sul concetto di cucina a trazione salutista. Un concetto che non può essere relegato alla sola sfera del biologico, ma che deve necessariamente andare oltre, individuando altre sfere d’azione. Il tema della cucina a trazione salutista è stato affrontato nel corso della sesta edizione del Forum Olio & Ristorazione lo scorso 29 maggio a Milano. A parlarne, con lo chef Giuseppe Capano, l’imprenditrice olearia Francesca Petrini, la quale, proprio a partire dalle sue produzioni di extra vergini biologici ha avuto il merito di essere andata oltre il concetto stesso di “biologico”, creando oli “addizionati” che aggiungono e integrano qualcosa in più rispetto a quanto già presente di buono, in natura, negli oli da olive. L’obiettivo è ampliare il contenuto di sostanze preziose per l’organismo, anche a partire da un prodotto di per sé già ricco di suo. Ecco allora, con il “Petrini Plus”, l’aggiunta sinergica delle vitamine D3, K1 e B6, utili, in linea generale (ma non solo) nel prevenire l’osteoporosi, oppure, con il “Raffaello 1483”, l’aggiunta di vitamine D, B6 e B12, in grado quest’ultime di agire sul benessere psicofisico delle persone. Ora, qualcuno potrà chiedersi se sia saggio o meno introdurre tali tipologie di oli in un ristorante, se abbia un senso e una utilità, o se

Una cucina a trazione salutista e oliocentrica

Clicca e leggi l’articolo sul web

siano piuttosto da confinare nel segmento delle farmacie e delle erboristerie, dove già sono reperibili. Ciò che è certo, è che le tendenze di consumo non vanno solo accolte quando sono già state acquisite da tutti, ma, per essere competitivi e originali, se non addirittura unici, occorre precorrere i tempi, pur con tutti i rischi, ovviamente, che ricadono sui pionieri. Oggi il consumo “fuori casa”, al di là del periodo pandemico, vanta numeri importanti. Chi ha l’argutezza di soddisfare le esigenze di un pubblico sempre più numeroso che non si accontenta più di mangiare bene e sano, ma vuole anche assumere alimenti arricchiti e superfood, la scelta di creare un format specifico, o comunque di prevedere nel menu lo spazio per una serie di proposte di una cucina a trazione salutista e oliocentrica non è poi così campata in aria. Occorre solo il coraggio di sperimentare, tutto qui. Si tenga conto del fatto che due enti internazionali - l’Efsa per l’Unione europea, e l’Fda per gli Stati Uniti d’America - hanno concesso da tempo l’utilizzo di claim salutistici da riportare sulle etichette degli oli extra vergini: ciò è il segno evidente che la salute viene di fatto collocata al centro delle scelte dei consumatori. Peccato soltanto che non si trovino tracce di tali claim sulle etichette degli oli in commercio, e che nemmeno la ristorazione cavalchi simili opportunità. Vedremo, nel frattempo, come si svilupperà di qui in avanti questa possibile opzione.

19 | luglio 2023

Consulente e formatore

Insieme ai clienti, è importante ascoltare anche i dipendenti. I clienti diranno cosa vogliono, ma probabilmente saranno i dipendenti, specie quelli che sono a più stretto contatto con gli ospiti, a trovare il modo di soddisfare le loro esigenze. I dipendenti motivati e con maggiore predisposizione al rapporto con il pubblico sono le persone più adatte alla cura e alla gestione di questi strumenti. Purtroppo, molto spesso si intraprendono strategie social dimenticando le ragioni principali di questo tipo di attività. Deve essere tenuto in considerazione il motivo che sta dietro ad una campagna social. Per esempio, si potrebbe puntare a coinvolgere nuove nicchie di mercato, o a incrementare le vendite o fidelizzare maggiormente i clienti. Gli utenti social vogliono contenuti e stimoli sempre nuovi.

Che fare, invece, se un cliente lascia un commento negativo sulla pagina? Le regole generali di policy aziendale sono applicabili ai social media? Quali i parametri da usare per misurare l’andamento dell’attività? Quali informazioni volete dai vostri clienti? Che immagine volete fornire della vostra struttura? È il momento di pianificare una strategia coerente e dettagliata da linee guida condivise e conosciute da tutto il team. Niente deve essere lasciato al caso.

C’è un tipo di cliente che si sta cercando di raggiungere? Chi sono e dove si trovano questi clienti? All’interno, è importante capire chi, tra i dipendenti, possa essere la persona adatta a realizzare gli obiettivi con successo e trasformare la tattica in strategia.

Per scegliere i canali giusti non esiste una regola universale e la comunicazione non è una scienza esatta. Quando si hanno poco tempo e scarse risorse a disposizione, meglio scegliere un solo canale. Ma è importante aggiornarlo e cercare di utilizzarlo nel migliore dei modi. Niente restituisce un’immagine di trascuratezza e scarsa attenzione al cliente come, per esempio, una pagina Facebook non aggiornata e con commenti ai quali nessuno abbia dato risposta.

Ogni social è dotato delle proprie risorse di monitoraggio. Consultarle periodicamente, incrociando con i dati di Google Analytics e con il numero di conversioni e visite al sito è importante. Controllare se gli argomenti preferiti sui social siano gli stessi che gli utenti consultano con maggiore frequenza anche sul sito e quali sono i post che hanno riscosso maggior successo. Monitorare i dati

Social CRM.

demografici, età, sesso e provenienza dei contatti. Come impostare o portare avanti una strategia, se non conosciamo i nostri contatti?Su orari e tempistiche di pubblicazione è stato detto di tutto. Non c’è società di ricerca statistica che non abbia detto la sua in merito. Dalla newsletter fissa il giovedì ai post su Facebook a metà mattina. Due sono però le cose di cui tener conto: la prima riguarda la rivoluzione mobile, la seconda ha a che fare con le preferenze e le provenienze dei followers. La diffusione capillare di dispositivi mobili e l’aumento costante del loro utilizzo hanno cambiato in modo significativo le abitudini di interazione, compresi gli orari di connessione, sempre più liquidi, per cui diventa difficilissimo fare delle statistiche in questo senso, in un mondo iperconnesso.

Per quanto riguarda le preferenze del pubblico, vale sempre la regola d’oro dell’ascolto: saranno gli utenti a dettare i tempi, gli orari e i contenuti, se sapremo ascoltarli. Cosa dicono le statistiche? Niente come l’analisi delle attività potrà aiutare a impostare una strategia. Da dove vengono i followers? Conviene probabilmente targettizzare i post per lingua e provenienza e decidere di conseguenza orari di pubblicazione mirati e differenti. In generale, per essere competitivi e non scomparire nel mare magnum delle informazioni che scorrono sui social, è d’obbligo almeno pubblicare con frequenza.

L'ospitalità Clicca e leggi l’articolo sul web 21 | luglio 2023
Come utilizzare i canali social per conoscere meglio l’ospite e migliorare la guest experience
Tartare di fesa marinata BlackAngus CON INSALATA DI FINOCCHI E ARANCE Carpaccio di affumicatoBlackAngus CON ANELLO DI CROSTINO ALL’AGLIO E PUNTE DI ASPARAGI AL BURRO BERNARDINI GASTONE SRL _ CENAIA CRESPINA (PISA) ITALIA _ TEL. 050 644100 _ INFO@BERNARDINIGASTONE.IT _ WWW.BERNARDINIGASTONE.IT

La digital trasformation

Molti credono ancora che il processo di check-in inizi quando l’ospite arriva alla reception.

Oggi non è più così: ci sono diversi momenti di contatto che rivelano molto prima all’ospite il livello di attenzione e di professionalità dell’hotel e che pertanto possono influenzare tutto il resto del suo soggiorno.

Ecco perché curare questi momenti può rendere il checkin un processo davvero impeccabile.

Il segreto è racchiuso in una piccola lista di controllo per ogni momento cruciale, ovvero:

Prima dell’arrivo

• Mailing: le e-mail di follow up alle conferme di prenotazione devono essere curate e includere non solo tutte le politiche di check-in ma rispondere alle domande più frequenti, come la disponibilità per un arrivo anticipato o una partenza posticipata.

• Automatizzazione: meglio inviare tutte le comunicazioni prima dell’arrivo automaticamente, per comunicare il “messaggio giusto, momento giusto” senza che lo staff debba perdere troppo tempo per questa funzione.

• SOP: creare delle procedure operative standard ha l’obiettivo non solo di rendere più chiare le procedure stesse agli operatori ma soprattutto di migliorare il livello e lo standard di servizio all’ospite.

• Formazione: i collaboratori devono essere formati sia sulla tecnologia sia sulla parte emozionale del check-in, per creare quel tocco speciale all’arrivo. Spesso questo aspetto è poco curato per mancanza di tempo o di metodo, ma va assolutamente curato.

• Upsell: che sia prima o all’arrivo, molti ospiti sono interessati a offerte di servizi superiori ma spesso non ricevono nessuna proposta. Quindi è fondamentale cogliere questi momenti per proporre offerte pertinenti, in linea con le esigenze dell’ospite.

Durante il soggiorno

• Monitoraggio: occorre invitare l’ospite ad inviare messaggi per qualsiasi richiesta o comunicazione, per verificare che tutto si stia svolgendo nei migliori dei modi. Stimolare questo scambio di informazioni eviterà di incappare in situazioni complicate o tardive che difficilmente potranno essere risolte.

• Miglioramento: il check-in è l’occasione ideale per arricchire i profili degli ospiti con nuove informa-

Il segreto di un check-in impeccabile

zioni. Anche piccoli dettagli possono diventare indicatori importanti delle loro preferenze e rendere il soggiorno speciale. E’ quindi importante sensibilizzare lo staff a non dare nulla per scontato in questi momenti.

Post-soggiorno

• Tecnologia: per anticipare le esigenze non ci vuole solo un ascolto attivo, occorre avere una grande quantità di dati a portata di mano. Per questo dotarsi di un buon CRM, collegato alle operazioni dell’hotel è senz’altro la strategia più efficace.

• Feedback : è la risorsa essenziale per migliorare le operazioni dell’hotel. Le recensioni vanno raccolte, verificate, commentate e condivise con lo staff ciclicamente.

• RevPAR : con la giusta tecnologia e il supporto operativo si possono aumentare le entrate per camera disponibile e contestualmente aumentare la soddisfazione degli ospiti. La flessibilità è un grande valore aggiunto pertanto l’aggiunta di un “check-in in qualsiasi momento” esteso o addirittura 24 ore su 24 come upsell è sempre gradito.

La lista di controllo per padroneggiare il check-in dovrebbe evolversi nel tempo, insieme ai cambiamenti nelle aspettative degli ospiti e ai nuovi strumenti tecnologici. Con questo in mente, è opportuno rivisitare di conseguenza anche tutta la formazione, le procedure per assicurarsi un’accoglienza impeccabile sempre e ovunque.

23 | luglio 2023
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Scienza e nutrizione

In questo numero cercherò di raccontarvi come spesso ad alcune domande semplici non esiste una risposta univoca, dal punto di vista scientifico/nutrizionale, ma è necessario cercare di aumentare la consapevolezza dell’interlocutore su quell’argomento (n.b. a volte serve un sermone) così da trovare insieme una risposta. Una di queste domande potrebbe essere: qual è l’olio migliore da utilizzare in cucina? Capite che in questo caso la risposta potrebbe essere più complicata del previsto e soprattutto contenere un’altra domanda: tu che risultato finale, enogastronomico-nutrizionale, vuoi ottenere? Ma soprattutto sarebbe utile parlare di grassi piuttosto che solo di olio. Partiamo dal raccontare che le materie grasse utilizzabili in cucina e pasticceria si possono trovare disponibili, a temperatura ambiente (T.A. ≈20 °C), in forma solida (grasso) oppure liquida (olio); e che questa caratteristica è legata principalmente alla quantità e alla tipologia di acidi grassi saturi (n.b. solidi, stabili ma “cattivi”) contenuti e alla conseguente temperatura di fusione. Ecco che esistono allora “grassi solidi” (ricchi di grassi saturi) come burro vaccino, ghee, burro di cacao, burro/olio di cocco, burro di karitè, grasso di palma, strutto, sugna, lardo, margarina (n.b. la situazione si complica), etc. e “olii liquidi” (ricchi di grassi insaturi) come olio di oliva, di arachidi, di mais, di soia, di girasole, di canola, di vinaccioli, di riso, di lino, di sesamo, etc. In più la presenza di acqua (e.s. <20% nel burro vaccino o nelle margarine, 0% nel ghee o nel burro di cacao) in alcuni prodotti ne caratterizza sia aspetti tecnologici sia utilizzo, così come la presenza di un gusto/sapore intrinseco nel prodotto (e.s. sapore di olive, di latte, di strutto, etc. VS neutralità). Adesso cerchiamo di semplificare alcune cose dal punto di vista nutrizionale: i grassi saturi sono “rigidi” e solidi a temperatura ambiente e possono, se introdotti in quantità elevate, essere pericolosi per la salute ma sono anche più resistenti alle ossidazioni e stabili a temperature elevate; i grassi insaturi sono “fluidi” e liquidi a temperatura ambientee vengono considerati i più utili per la salute umana ma sono meno resistenti alle ossidazioni e poco stabili a temperature elevate; i grassi insaturi a loro volta si dividono in mono-insaturi (n.b. acido oleico) e poli-insaturi dove i primi sono sia più resistenti all’ossidazione sia più stabili a temperature elevate sia più “sani” in generale mentre i secondi risultano facilmente ossidabili e instabili alle alte temperature. Ma proviamo a fare degli esempi (n.b. sono solo esempi

Che grasso vuoi?

didattici) per capire come dall’etichetta nutrizionale di un prodotto grasso potremmo avere delle indicazioni:

- burro vaccino (grassi tot. 82%, saturi 50%, mono-insaturi 24%, poli-insaturi 4%);

- burro di cacao (grassi tot. 100%, saturi 62%, mono-insaturi 33%, poli-insaturi 3%);

- strutto (grassi tot. 99,0%, saturi 43%, mono-insaturi 43%, poli-insaturi 12%);

- olio extravergine di oliva (grassi tot. 99,9%, saturi 15%, mono-insaturi 75%, poli-insaturi 8%);

- olio di girasole alto oleico (grassi tot. 99,9%, saturi 9%, mono-insaturi 78%, poli-insaturi 10%);

- olio di mais (grassi tot. 99,9%, saturi 15%, mono-insaturi 30%, poli-insaturi 55%).

Quindi se cerco un “grasso neutro” da utilizzare in padella per rosolare e/o arrostire posso scegliere tra burro di cacao o girasole alto oleico, ricordandomi che entrambi sono stabili a temperature elevate (180 °C) ma che il contenuto di saturi del cacao ne influenza la consistenza a temperatura ambiente e la “pericolosità” per la salute; avrei potuto utilizzare anche l’olio extravergine di oliva ma questo in base alle olive di partenza e all’annata ha un suo sapore che potrebbe condizionare il risultato finale voluto; e lo stesso vale per lo strutto che pur essendo stabile a temperature elevate porta con sé un suo sapore e una sua consistenza che possono derivare anche dall’alimentazione dei suini; il burro vaccino potrebbe non essere la soluzione ideale poiché contiene una percentuale importante di acqua (e una quota, anche se minima ≈1%, di proteine e zuccheri) e si porta dietro un suo sapore che deriva anche dall’alimentazione delle vacche, allora nettamente meglio il ghee (0% di acqua, proteine e zuccheri); infine vi sconsiglio di utilizzare l’olio di mais o olii simili in cottura (anche al forno e in pasticceria) poiché sono ricchi di grassi poli-insaturi e quindi sono molto instabili ad alte temperature, meglio se proprio, proprio dobbiamo usarli aggiungerli a crudo. Quindi che grasso vuoi?

25 | luglio 2023
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Iginio Massari e Mario Zanetti: due visionari dei giorni nostri

Cosa succede quando due visionari si incontrano?

Succede che mettano insieme il meglio delle proprie specificità per fare qualcosa di grande insieme.

Questa è la storia di un’affinità elettiva scattata fra due professionisti veri: il Maestro Iginio Massari, indiscusso portabandiera dell’alta pasticceria italiana nel mondo e presidente A.P.E.I., Ambasciatori Pasticceri dell’Eccellenza Italiana, e Mario Zanetti, presidente di Costa Crociere, una delle più grandi compagnie di crociere al mondo.Ad accomunarli una puntigliosa concezione di eccellenza come percorso di miglioramento continuo, senza mai pensare di essere arrivati.

Si sono incontrati sulla strada dell’alta pasticceria che per l’uno rappresenta la più naturale delle espressioni da portare anche negli ambiti più impensati e per l’altro una scommessa grandissima da vincere dentro il laboratori delle proprie navi, dove tutto è certamente meno facile che a terra, ma - come vedremoassolutamente possibile.

La pasticceria
L’alta pasticceria italiana gravitata nel mondo attraverso il mare
Iginio Massari, presidente A.P.E.I. Mario Zanetti, presidente di Costa Crociere Clicca e leggi l’articolo sul web

Riccardo Bellaera e la svolta della pasticceria in Costa Crociere

Capire su chi scommettere e riporvi la propria fiducia: è proprio questo di cui è stato capace il presidente Zanetti quando ha deciso di assecondare la visione tanto nuova quanto inusuale di pasticceria di bordo del Maestro Pasticcere Riccardo Bellaera, a suo tempo allievo di Massari (tutt’oggi suo mentore), che in Costa Crociere ha il ruolo di Corporate Chef Pastry & Baker, cioè colui che detta la linea su pasticceria, pane e pizza dell’intera flotta della compagnia.

Una figura capace che ha portato nella pasticceria di bordo una vera e propria rivoluzione , perpetratasi inesorabile per almeno otto anni, tra l’introduzione di materie prime di altissima qualità, l’investire in alta tecnologia e il far crescere i collaboratori attraverso percorsi di formazione.

Tutto questo si è reso possibile perché Zanetti, il presidente, ci ha creduto. Ha creduto a quell’ambizione di Riccardo Bellaera di portare l’estremo rigore dell’Alta pasticceria nel dessert al piatto, che oggi rappresenta il fiore all’occhiello di Costa Crociere.

Nel frattempo il Maestro Massari fonda A.P.E.I. (Ambasciatori Pasticceri dell’Eccellenza Italiana), “un’associazione – ci spiega - voluta con forza, ricca di diverse figure come lo erano le grandi cucine degli albori”, in cui ha riunito sotto lo stesso cappello ben 60 Maestri della pasticceria e del mondo dolce - compresa la cioccolateria e la gelateria. E pure una figura così sorprendentemente atipica come Riccardo Bellaera, che sulle navi da crociera riesce a “realizzare - come dice il Maestro - dessert migliori di quelli di certi stellati”, lavorando su grandi numeri in qualità assoluta, sia in termini di gusto che di estetica. Solo su Costa Toscana, nave ammiraglia della flotta, vengono preparati cinque dessert al piatto per i

ristoranti della nave (due a pranzo e tre a cena - di cui sempre uno a firma Massari/Bellaera) per un totale di 12.000 al giorno e 20.000 monoporzioni per il buffet. Un impegno straordinario che ha fatto meritare più riconoscimenti a Bellaera, fra cui la prestigiosa stella di “World Pastry Stars”, di cui sono stati insigniti i pasticceri più famosi del mondo.

Costa Crociere con A.P.E.I.:

l’alta pasticceria nel mondo, via mare

A quel punto Iginio Massari e Mario Zanetti pensano bene di mettere sul piatto i propri punti di forza: una vera cultura del dolce, che attinge da conoscenze più ampie e trasversali, e la possibilità di raggiungere una miriade di destinazioni nel mondo e ospitare sulla nave crocieristi di ogni provenienza. Tutto è nato da uno scambio tra Iginio Massari, Riccardo Bellaera e Fausto Morabito, segretario A.P.E.I., ideatore e organizzatore di Panettone senza confini: “Perché non portare il concorso a bordo? - si sono chiesti. Da lì il passo è stato breve“Perché non diventare, in senso più ampio, ambasciatori dell’alta pasticceria italiana nel mondo via mare?” Nascono così le crociere tematiche che vedono il Maestro presente, in alcuni momenti dell’anno, sulle Ammiraglie di Costa Crociere insieme ai Maestri Pasticceri di A.P.E.I., primo severo giudice di Panettone senza confini con i migliori lievitisti, dove anche il pubblico viene coinvolto in assaggi e votazioni. Ma ci sono anche edizioni speciali, come il recente Massari racconta Iginio, in cui Il Maestro alterna il racconto di sé alla guida di workshop, ambite occasioni per i crocieristi di mettersi alla prova nella realizzazione di alcune sue ricette: dalla mitica crema pasticcera alla mousse al cioccolato fino alla farcitura di una torta all’italiana.

Una appresentanza dei Maestri Pasticceri A.P.E.I.: Riccardo Bellaera, Iginio Massari, Achille Zoia, Denis Buosi, Stefania Mantero, Emanuele Valsecchi, Maurizio Colenghi, Alessandro Servida, Salvatore Varriale
27 | luglio 2023
Riccardo Bellaera riceve la stella di World Pastry Stars nel 2021

Mario Zanetti, presidente di Costa Crociere

Acuto osservatore, testa tutto in prima persona e ascolta, sa ascoltare molto.

Fa della multietnicità un motivo di grande rispetto: “I miei colleghi - ci spiega Mario Zanetti - sono di 70 nazionalità diverse. Qui si celebra ogni festività: dal Natale alla fine del Ramadan fino al giorno di Indipendenza delle Filippine. Come scelta aziendale vogliamo che questo diventi il linguaggio da usare con chiunque. La contaminazione di culture che avviene a bordo di una nave credo che sia una fortuna che non tutte le aziende hanno. Per mestiere noi siamo quelli che vedono il mare come elemento che unisce, anziché un elemento che separa”.

E prosegue: “Nel mondo del turismo la crociera si caratterizza per una pluralità di esperienze: c’è la parte di viaggio quindi l’arrivare dal mare in molte destinazioni e il mettere insieme molte destinazioni, c’è la parte dell’ospitalità a 360°, dalla gastronomia all’entertainment fino a un concetto di life style. E infine c’è la parte di scoperta delle destinazioni, per cui cerchiamo di disegnare visite perché si capisca l’essenza di quei luoghi, andando oltre le attrazioni più turistiche. La nostra ambizione è che si possano fare esperienze che non è così semplice trovare, per di più tutte insieme, in una prospettiva particolarissima che colleghi mare e terra, facendo in modo che si inizi a vivere già a bordo la destinazione che si sta per raggiungere, tra storie, curiosità e Destination menù dal giorno prima di arrivo”.

“Ci sono poi le partnership importanti – sottolinea il presidente – come quella con Iginio Massari e A.P.E.I. con cui stiamo disegnando un’esperienza di pasticceria unica, che ci consente di fare passi ulteriori verso quella qualità che vogliamo venga percepita come elemento distintivo, pur nel rispetto delle quantità, perché si possa

dire che si mangia bene e quanto si vuole. Non ultima la parte del coinvolgimento degli ospiti, ad opera dei Maestri A.P.E.I., in workshop, prove di tasting in occasione di crociere tematiche come l’ultima Massari racconta Iginio, che traccia la linea per le crociere future”.

Durante la pandemia il presidente ha voluto che si mettesse nero su bianco il modo di vedere questo mestiere nel Manifesto per un turismo di valore, sostenibile e inclusivo, dove per “valore” si intende trovare interessi comuni, e non uno prevalente su altri, che possano essere condivisi; per “sostenibile” si intendono le veramente tante iniziative messe in campo, dalle azioni antispreco attuate dalla compagnia stessa alla sensibilizzazione dei crocieristi. Non ultimo l’impegno di raggiungere emissioni zero prima del 2050, la data indicata dalla normativa europea sul clima. Con “inclusività” si intende riconoscere il positivo apporto della contaminazione di culture”. Di inclusivo c'è anche l’assenza di barriere architettoniche che rende l’esperienza della crociera possibile anche per chi ha disabilità a vario titolo.

Ora, il suddetto manifesto ha inteso porsi come un avvio di un percorso attraverso cui raccogliere le sottoscrizioni di istituzioni, associazioni, aziende del settore e stakeholder per “fare sistema”, tutti insieme.

Poniamo infine un’ultima domanda al presidente su quale sia la sua priorità. Senza esitare un attimo ri-

Spaccati di workshop nel Lab di Costa Toscana. Iginio Massari con Fausto Morabito, segretario A.P.E.I. e ideatore di Panettone senza confini
28 | luglio 2023
Emanuele Valsecchi al lavoro insieme ai colleghi

sponde: “La mia priorità è costruire le condizioni perché ognuno dei miei colleghi possa esprimere il proprio talento e avere un impatto. Se riuscirò in questo avrò fatto il mio lavoro”.

“Mario Zanetti mi ha veramente stupito – dice di lui Iginio Massari – per la sua capacità di capire e interpretare le necessità degli ospiti della nave - che peraltro non manca di perlustrare testando le diverse esperienze in prima persona - e la sua apertura a tutte le soluzioni. Era tantissimo tempo che non incontravo un uomo di cultura così avanzata e così disponibile ad ascoltare tutti. Mi ha fatto pensare al Giappone, dove i presidenti di qualsiasi grande società usano fare così”.

Iginio Massari, presidente A.P.E.I.

Curioso per natura, scrive - per amore della scritturamemorie, fiabe, poesia. Di questa si è innamorato sin da bambino quando, andando a scuola in bicicletta in compagnia di amico facevano a gara a chi inventava le più belle rime possibili.

Instancabile esploratore dell’universo dei simboli e dei significati, che si preoccupa di imprimere in ciò che fa: è qui che va cercata la profondità dell’uomo Iginio Massari.

Fermarsi a un’esperienza di gusto ed estetica restituisce solo un’immagine parziale del Maestro, che è figura ben più strutturata.

Recentemente è stato presentato il dolce ufficiale di Bergamo Brescia Capitale della cultura 2023, Battito - l’incontro della dolcezza, voluto dai consorzi artigiani dei pasticceri delle due città, di cui Iginio Massari è presidente onorario. Ebbene l’intuizione di ispirarsi a due dolci caratteristici quali il Bossolà, tipico dolce di Brescia e la Tùrta del Donizét di Bergamo è del Maestro, perché “due sono le città – ci tiene a specificarlo – e due sono le identità che vanno mantenute”. Ne è uscito un lievitato dalla classica forma del ciambellone bresciano ma con un cuore bergamasco farcito di albicocche e ananas candite.  Che Iginio Massari sia molto esigente, puntiglioso, pignolo, lo abbiamo colto in molti: le sue stroncature pubbliche non sono una novità per chiunque si cimenti sotto il suo occhio intransigente, che sa essere anche amabilmente benevolo per una rara sensibilità che gli fa leggere le persone negli occhi. E pure ironico, pronto alla battuta. Gli abbiamo chiesto di farci l’identikit del Pasticcere, con la p maiuscola

Non poteva che partire dalle radici: “Capacità e conoscenza – mette in chiaro subito il Maestro, raccomandandosi di conoscere la matematica e di saper parlare almeno tre lingue -. È poi fondamentale che quando realizza un dolce sappia interpretare quello che piace agli altri. Se non è capace di fare questo si accontenterà di un piccolo gruppo di estimatori con cui condividere il suo palato. E questo è sbagliato a livello professionale. Stessa cosa vale per il cuoco. Inoltre il Pasticcere con la p maiuscola non deve essere solo bravo. Fare cose buone e non saper

comunicarle è come non farle”.

Da tempo Iginio Massari si batte perché anche in Italia come in Francia venga istituito un titolo riconosciuto dal Governo italiano o da un Ministero come il MOF, Meilleur Ouvrier de France, e che sia riservato a tutte le categorie artigianali. “Serve per migliorare l’immagine professionale della mia categoria - dice Massari – e soprattutto quella dell’Italia artigianale nel mondo”.

Ai Maestri pasticceri di A.P.E.I. continua a ricordare che bisogna essere uno stimolo reciproco a crescere come professionisti, anche attraverso comuni momenti di analisi di prodotto: “ Non c’è un prodotto perfetto – lo specifica a chiare lettere - tutto è migliorabile. Nel mio laboratorio ogni sei mesi riassaggiamo tutte le nostre creazioni e facciamo modifiche”.

Le immagini più belle di Massari sono quelle in cui si concede alle persone, indistintamente, e lo fa travasando in pillole il proprio sapere, come nei workshop sempre affollatissimi organizzati su Costa Toscana di recente. Un certosino percorso democratico di educazione alla qualità in cui svela accorgimenti, curiosità, come il fatto che la vaniglia è il più potente aroma naturale e che sprigiona la propria parte aromatica nel latte in ebollizione (al di sopra dei 60°) o che l’addensante più adatto per una crema pasticcera liscia e morbida è l’amido di riso (non la farina, come secondo tradizione)... Iginio Massari non si nega mai.

Un tema forte, quello del rispetto e della considerazione per gli altri indipendentemente dalla provenienza geografica o dallo status sociale, attraversa i protagonisti di questa storia.

Con ogni probabilità è questo il vero punto di incontro e di intesa fra loro.

29 | luglio 2023
Massari racconta Iginio

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Una giornata con Paul Bartolotta

Tra piani economici, progetti e la volontà di mantenere fede alla cucina e ai sapori italiani

Che effetto fa parlare della nostra cucina a 8000 chilometri dall’Italia, precisamente a Milwaukee, in Wisconsin, sfogliando un menu scritto in perfetto italiano, affacciati al lago Michigan?

Qualcuno avrà già capito da queste indicazioni chi è l’interlocutore, il protagonista di questo racconto: Paul Bartolotta. Paul è una delle figure di riferimento della nostra cucina all’estero tanto da detenere il titolo, conferitogli dal presidente della Repubblica, di autentico ambasciatore. L’effetto di questa conversazione è… sorpresa assoluta, per un punto d’osservazione diverso, ma consapevole, sulla nostra cucina.

Un seme piantato in famiglia

La storia di Paul è tracciata da un’iperbole crescente, che inizia ai tempi della scuola alberghiera e dei primi impieghi, da giovanissimo, come lavapiatti e aiuto cuoco. Anzi, volendo essere precisi, bisognerebbe fare un ulteriore passo indietro e spulciare nei cassetti di famiglia per trovare il vero seme di questa storia, messo a dimora negli anni ’60 in una casa italo-americana a Milwaukee.

Era in quei tempi che i Bartolotta si recavano nei mercati italiani locali per acquistare salumi, formaggi, pesce e altre eccellenze italiane. Nelle mura domestiche replicavano accuratamente le ricette inondando la casa, e la strada, di profumi invitantissimi.

Ci racconta Paul: “In famiglia, in particolare attraverso la figura di nostro padre Salvatore, si è sempre tenuto alla cultura di origine, al concetto di ospitalità, al cibo e all’educazione. A volte non è stato semplice gestire questa dicotomia culturale”.

Ci sarebbero tanti aneddoti da raccontare sulla sua infanzia, contraddistinta da sapori e consistenze diverse da quelle a cui erano abituati i conterranei americani. Piatti deliziosi sfilavano ogni giorno sul grande tavolo in legno attorno a cui si radunava la famiglia; oggi quel tavolo sosta all’ingresso dell’azienda Bar-

Autrice: Giulia Zampieri
La ristorazione
Paul Bartolotta

tolotta’s Restaurants a fianco a decine di uffici che contengono campioni per le mise en place, tovagliati, menu, grafiche di eventi, grafici di andamento e deadline. Una realtà completa e complessa, che si presta a festeggiare il trentesimo compleanno.

“Il primo ristorante l’ho aperto con mio fratello Joe, purtroppo mancato nel 2019. Mio fratello è stato essenziale per la nascita dell’azienda, ma soprattutto lo era per noi. Assieme abbiamo aperto il primo Bartolotta, un vero e proprio ristorante italiano, tappezzato da foto di famiglia. Proponiamo menù regionali, studiati, ricercati, realizzati con la maggior parte delle materie prime provenienti dall’Italia. Il nostro obiettivo è essere fedeli al gusto d’origine”.

Il sogno americano… fatto di concretezza

Paul è stato anzitutto cuoco, poi ristoratore, e oggi a tutti gli effetti un imprenditore su larga scala. La costellazione di attività che sottostanno a Bartolotta’s Restaurants è impressionante: 17 tra ristoranti e strutture di catering pluripremiati, tra cui Bacchus - A Bartolotta Restaurant, Bartolotta’s Lake Park Bistro e Harbour House. A cui si aggiungono numeri da capogiro, come gli oltre 600 dipendenti (erano quasi un migliaio prima del Covid) inseriti in un sistema organizzativo studiato al millimetro, con figure altamente professionali, specifiche per ogni comparto. Non mi riferisco solo all’ambiente ristorante, quindi al personale di cucina e sala: l’ossatura dell’azienda è composta anche da professionisti di grafica, marketing, business plan, allestimenti… ogni segmento è governato internamente in modo specifico, trasversale, e lavora allineato agli altri.

“Ogni volta che si deve intervenire in un aspetto di un’attività ci sono internamente le risorse predisposte ad elaborare idee e progetti. Qui siamo soliti lavorare

d’anticipo: non apriamo un locale e poi vediamo cosa ne sarà - come spesso accade in Italia - predisponiamo già tutto sulla base delle analisi, dei dati, delle risorse. Ti parlerò di cucina perché io parto da lì… e arrivo lì. Far mangiare bene le persone e accoglierle nel modo giusto è l’obiettivo in ogni mio ristorante. Ma c’è anche l’aspetto della sostenibilità economica, delle tempistiche, della coerenza. O si rispettano questi punti o non si può fare una ristorazione seria. E aggiungo che bisogna, per fare impresa nella ristorazione, conoscere le regole per non fallire, per esempio avendo il polso sul ritorno dell’investimento”.

Chiediamo a Paul se è possibile pensare di fare gli imprenditori della ristorazione partendo dalla casacca da chef.

“La ristorazione viene considerata rischiosa perché il fallimento è facile. La verità è che fare ristorazione non è un gioco, è un business. Molti chef nascono come artisti ma non hanno le basi per dare solidità economica a un’attività. Riprendo un concetto che mi ha trasferito mio padre: la vera libertà artistica nasce dalla libertà

Ristorante Bartolotta dal 1993 Interior
31 | luglio 2023
Gli interni del ristorante Harbor House

economica. L’arte, altrimenti non è sostenibile, perché non si ha la libertà di esprimersi”.

Un pensiero anacronistico in Italia, in cui tanti ancora sbandierano il lavoro fatto per passione, inadeguato sul piano retributivo e della gestione. La passione è il fulcro, in questo settore, ne siamo convinti, ma non è solo con questo talento che si può rendere vincente un progetto.

La teoria del gusto

“Non ha il sapore che avrebbe in Italia”. Quanti italiani che si recano all’estero pronunciano queste parole? Paul ha una risposta che dovrebbe far pensare anche a chi la cucina italiana la fa in Italia.

“Giovanni Marangelli è stato il mio mentore. Lui mi ha insegnato La teoria del gusto, in altre parole il bilanciamento degli ingredienti. Le colonne di questa teoria sono la temperatura e il tempo di cucina. Questi due fattori diversamente combinati si traducono in sapore.

Giovanni, il mio chef, quand’ero ragazzo mi ha messo al suo fianco per sei mesi senza cucinare nulla. Preparavo gli ingredienti, predisponevo tutto ma non toccavo padella (se non per lavarla!). Dovevo osservarlo e assaggiare i piatti una volta pronti. Un giorno, dopo appunto sei mesi, al momento del servizio è uscito nel retro della cucina senza presenziare ai fornelli. Mi disse che per lui ero pronto, che la gente in sala aspettava i miei piatti. Quando iniziai mi resi conto che avevo appreso tutto osservandolo e assaggiando. Grazie a Giovanni ho fatto mio il codice del sapore, cioè l’elemento più importante di tutti. Mi piace sottolinearlo perché oggi in molti piatti ci sono tecnica, elaborazione, presentazione… ma manca il sapore. Anche in alcuni ristoranti italiani è così. I piatti bellissimi ma senza odore e che non solleticano la pancia sono piatti freddi, non recano emozioni durature”. Le altre due grandi figure che hanno segnato la crescita professionale di Paul sono Gianluigi Morini e Valentino Marcatillii, i punti fermi al San Domenico New York ma soprattutto mentori di vita.

Gli chiedo, a questo punto, che direzione dovrebbe pren-

dere la cucina italiana.

“Il futuro per la cucina italiana dovrebbe essere adeguarsi ai cambiamenti, migliorare la tecnica ma senza perdere i profumi e i sapori di origine. Ti faccio un esempio pratico: in uno dei miei tanti viaggi in Italia ho incontrato, con stupore, la pasta ligure con patate e fagiolini. Poi, in Emilia, i tortelli con le patate. Abbiamo rielaborato questi due piatti proponendo ai nostri clienti un tortello di patate e porro, pesto, burro e un Parmigiano Reggiano. È un piatto ligure? Emiliano? Nessuno dei due, è un piatto italiano perché il suo sapore è italiano. È questo che mi auspico riesca a capire la cucina italiana: non bisogna imporre limiti, è importante definire la propria cucina - cioè affermarla come tradizionale, rivisitata, creativa - ma rimettere al centro il sapore e l’identità italiana”.

In un’intera giornata di racconti Paul non ha mai fatto riferimento ai tanti riconoscimenti ottenuti, né alla sua fama televisiva. Non ha parlato dei due premi James Beard, delle tre stelle dal New York Times ottenute con il San Domenico NY all’età di 24 anni, né delle più recenti apparizioni nei programmi di cucina. Invece, ha rievocato i lunghi viaggi in Italia (ben 15 esperienze in cucina, dalla Sicilia alle Alpi, che gli sono servite ad acquisire conoscenze su ricette e materie prime). Mi ha parlato a lungo del San Domenico, del rapporto con i grandi nomi della cucina francese come Bocuse, Vergé, Troisgros e Taillevent, di cui ha sempre ammirato l’organizzazione. Prima di tutte le parole che ho riportato e tradotto qui sopra però, mi ha introdotta alla sua vita mostrandomi uno scatto in bianco e nero, custodito nel suo ufficio. Vi erano ritratti Paracucchi, Gualtiero Marchesi, Gianni Morini, Romano Franceschini e molti altri grandi nomi della nostra storia di ristorazione… una foto che racconta come le cucine, e le relazioni che ne derivano, non solo possano generare sapori autentici, ma siano in grado di spostarsi nel tempo e per migliaia di chilometri.

L'Oeuf Mollet del Lake Park Bistro
32 | luglio 2023
Gli interni del Bacchus

La ristorazione

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Autore: Luigi Franchi

Davide Oldani, nuovo presidente dell’associazione Le Soste

Le Soste è l’associazione che, da 40 anni, riunisce i migliori ristoranti di cucina italiana nel nostro Paese e anche fuori dai suoi confini. Espressione dell’eccellenza in tutte le forme e le professioni della ristorazione: dalla gestione alla cucina, dalla sala alla sommellerie.

Nata nel 1982 da cinque ristoratori che si erano dati appuntamento in via Bonvesin de la Riva a Milano, da Gualtiero Marchesi, per una cena tra amici e a fine serata si confrontarono in assoluta libertà sulla ristorazione. I loro nomi, oltre a Gualtiero Marchesi? Antonio Santini, Dal Pescatore di Canneto sull’Oglio (MN); Gaetano Martini, il Cigno di Mantova; Roberto Ferrari, Il Bersagliere di Goito (MN); Andreas Hellrigl, Andrea di Merano (BZ); Rinaldo Krcivoj, Antica Trattoria Boschetti di Tricesimo (UD).

Da quell’incontro nacquero Le Soste! Da subito fu la collaborazione e l’arte a contraddistinguere l’associazione. Il primo strumento di promozione furono i biglietti da visita che, in una facciata riportavano il nome del singolo ristorante, nell’altra gli indirizzi degli altri cinque; fu forse uno dei primi esempi di collaborazione fattiva in un mondo, quello della ristorazione, dove regnava l’individualismo.

Poi venne il simbolo: Il logo di Le Soste, ideato dall’allora Presidente dell’Accademia di Brera Emilio Tadini, sintetizza il prestigio dell’Associazione e di tutti i suoi membri. Il segno grafico richiama nella sua essenzialità una freccia a forma di “S”, simile all’insegna delle antiche stazioni di posta. Una scultura che trovate all’ingresso di ogni ristorante aderente all’associazione.

In quarant’anni i ristoranti de Le Soste hanno superato il numero di 100. Per essere accolti bisogna avere una parola amica da parte di almeno due ristoranti associati.

Le Soste nel 2023

Dopo aver festeggiato, con la cena di gala all’Hotel Gallia di Milano nel maggio 2022, i primi quarant’anni di attività, si è aperto nell’associazione un confronto sul futuro della ristorazione e delle iniziative da realizzare per dare ulteriore valore al settore, dopo il lungo periodo pandemico. Un confronto che ha portato anche al rinnovo delle cariche istituzionali, con l’elezione di un nuovo consiglio e di un nuovo presidente che succede a Claudio Sadler

Un cambio di guardia definito dallo statuto dell’associazione che ha portato alla presidenza Davide Oldani, chef patron di D’O a Cornaredo (MI).

Il D’O è nato nel 2003, quest’anno compie vent’anni, sotto l’egida di cucina Pop inventata dallo stesso Oldani. In quegli anni ha rappresentato l’autentica innovazione in una ristorazione che si stava un po’ barcamenando tra avanguardia (imitatori di Ferran Adrià) e altro. Davide Oldani, invece, sceglie un percorso chiaro, ben raccontato, dove il profitto doveva esserci ma i prezzi, altrettanto, dovevano essere corretti.

“La mia cucina POP è nata dal desiderio di amalgamare l’essenziale con il ben fatto, il buono con l’accessibile, l’innovazione con la tradizione. Sono convinto che la grande cucina italiana sia grande - oltre che per varietà e gusto - anche per la possibilità che offre di essere costantemente reinterpretata: io l’ho fatto con semplicità, dando valore a tutti gli ingredienti e facendo della stagionalità e dell’alta qualità dei prodotti due punti fermi” ci racconta aprendo questa breve intervista.

Ora il D’O vanta due stelle Michelin, Davide Oldani nel frattempo ha insegnato il suo modello d’im-

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presa ad Harvard, ha disegnato gli arredi, i bicchieri, le posate e i piatti per il suo ristorante e tra le parole più amate ha il noi e il rispetto.

Una volta hai detto che l’esperienza più importante che ti ha lasciato Gualtiero Marchesi è la libertà. Puoi raccontare meglio questa riflessione?

“Come sai ho fatto esperienze con Alain Ducasse (che di Davide Oldani dice: il suo è un messaggio universale con l’obiettivo di rendere accessibile l’alta cucina di lavorare in accordo con la natura, di proporre una cucina più sana ndr), Albert Roux e Pierre Hermé ma con il signor Marchesi (per me è sempre stato il signor e non lo chef per l’eleganza, lo stile, la sua dolcezza) è stata davvero una vera scuola di vita, l’insegnamento per capire chi eri, cosa volevi fare, cosa stavi sognando di essere per poi cercare di diventarlo. Ci lasciava liberi, sapeva che dovevamo esserlo per crescere, camminare da soli mettendo in pratica il suo insegnamento. Lui ha fatto da parafulmine per tanti di noi quando eravamo giovani, gli errori e i colpi che arrivavano li caricava tutti su di sé. Quello che mi ha insegnato è che la libertà è anche sacrificio, ma dentro una cornice grande come l’orizzonte”.

Ti ho fatto questa domanda in un’intervista di qualche mese fa e ho riportato qui la risposta di allora perché deve essere una bella emozione diventare presidente dell’associazione che fu fondata proprio dal tuo mentore…

“È proprio così. Ricordo quando entravo nel ristorante del signor Marchesi per iniziare la mia giornata lavorativa e lo sguardo cadeva sulla scultura di Emilio Tadini che mi ha sempre affascinato. Guardando quell’opera mi veniva in mente sempre il bello e mi faceva pensare, sperare, che un giorno anch’io avrei potuto contribuire a questo. Ma non avrei mai immaginato di diventare il presidente di un’associazione così prestigiosa”.

Quali sono le nuove idee che porterai?

“Che porteremo, vorrai dire! L’associazione Le Soste è nata con una particolare caratteristica: quella di condividere. Con questo spirito ha superato i quarant’anni e con lo stesso spirito, io, i due vicepresidenti, Antonio Santini e Massimo Bottura, tutto il consiglio vogliamo proseguire. Il compito fondamentale è far star bene gli associati e prendere a cuore ogni singola idea che arriva da ognuno di noi, discuterla, migliorarla e darle corpo per far crescere un concetto di ristorazione che rappresenti nel migliore dei modi il nostro Paese”. Le Soste sta a indicare un modo di viaggiare. Cosa ne pensi?

“Viaggiare e confrontarsi con gli altri paesi significa crescere, sempre. Mi piacerebbe ampliare l’associazione a molti altri ristoranti anche all’estero per favorire il confronto. Del resto il simbolo de Le Soste indica una strada da percorrere e non un arrivo, pertanto questo è uno degli obiettivi futuri”.

Quando esce la nuova guida de Le Soste?

“Stiamo ripensando il progetto per dare alla guida una forte componente di sostenibilità e durabilità nel tempo: i volumi saranno numerati, ogni lettore avrà l’impressione di scorrere le pagine di un’opera d’arte tascabile, tesoro di storie, luoghi e sapori. La copertina sarà curata da Maurizio Galimberti, fotografo di fama internazionale, che contribuirà al volume con un’opera inedita e una nota introduttiva.

Con questa nuova edizione 2024 della guida vogliamo rendere omaggio all’opera d’arte che da così tanti anni è un sinonimo di eccellenza. Il segno di Tadini è il filo conduttore della lunga storia dell’Associazione; la nuova direzione della guida si è impegnata a esaltare il suo valore, dando una nuova veste grafica alla copertina.

L’obiettivo è quello di dare un’impronta inedita al libro, che possa durare negli anni a venire”.

I nostri migliori auguri Davide!

35 | luglio 2023
Davide Oldani

La riflessione

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L’italiano non è la lingua migliore del mondo

Una riflessione su cos’è desiderabile

nella nostra ristorazione e su quali sono, invece, gli aspetti migliorabili

Per sessanta giorni non sono entrata in un ristorante italiano (in Italia). Cosa mi è mancato?

Partirei da qui per parlare di come ci si sente - o non ci si sente - nei ristoranti italiani oggi.

La prima nostalgia che si affaccia, a mio avviso, riguarda i sapori Con questo non diamo per scontato che in tutti i ristoranti italiani circolino sapori che generano desiderio di ritrovamento, anzi. Non tutti sanno stimolare a distanza quella sensazione atavica, quella voglia prorompente di voler percorrere migliaia di chilometri per rientrare a casa, recarsi in quel ristorante, e affondare la forchetta nel piatto preferito e goderne. Questo perché anche in Italia, oggi, capita di rimanere delusi dalla sostanza. Da alcune cucine escono piatti esteticamente perfetti, ammalianti, bilanciati a livello cromatico, ma che dietro non nascondono piacere, quindi sapore.

Da qui il primo invito a riflettere sulla “pancia” dei menù dei nostri ristoranti e il suggerimento di leggere, nelle pagine precedenti, cosa è emerso dalla conversazione con Paul Bartolotta. Un personaggio che, proprio sul sapore italiano (se così possiamo definirlo), ha molto da dire. Altre considerazioni a seguire.

Non sarà mica solo la pasta

Non attingo dai dati da un sondaggio ma ritengo piuttosto evidente che il cibo che dà più sintomi da astinenza sia la pasta. È una costante che ricorre sia quando si incontrano connazionali fuori confine sia quando si parla con qualcuno che non conosce ma vorrebbe conoscere la cucina italiana. Dalla secca alla pasta fresca, dallo spaghettino al raviolo con il ripieno di stagione: qualsiasi sia la forma e lo stile, trovare (o ritrovare) la pasta nel menu è una piacevolissima sensazione per molti.

Per gli italiani poi, ritrovare una cottura attenta e un condimento consono, senza abbondante panna come sovente capita all’estero, è gioia.

Convincersi che la pasta sia un diffuso e inamovibile oggetto del desiderio italiano, anche per gli stranieri che vengono in Italia, dovrebbe indurre quei ristoratori che l’hanno abolita dal proprio ristorante, e puntano a fare una cucina italiana, a ripensarci. Penso a un’intervista pubblicata su questo magazine mesi fa, a Claudio di Bernardo; il restaurant manager del Grand Hotel di Rimini affermava come le paste tradizionali italiane siano la voce del menu che tutti si aspettano di trovare in un ristorante italiano. Perché dunque depennare, in tronco, la pasta?

Sarebbe curioso indagare anche le differenze per regione italiana, capire quali siano gli altri piatti e prodotti più desiderati dagli italiani lontani da casa, o dagli stranieri che ci fanno vista.

Ci sono poi due elementi che, per nostra sbagliata abitudine, diamo per scontati in un ristorante, e invece hanno un grande impatto sull’immaginario della cucina italiana e del ristorante italiano

Mi riferisco a un buon olio extra vergine di oliva, che sia ingrediente nel piatto o servito a parte, e il pane.

Partendo dal primo: è folle che alcuni ristoratori italiani reputino l’olio extra vergine di oliva, anche quello riposto sopra al tavolo, come un elemento accessorio. No, è un valore aggiunto e come tale deve essere scelto e proposto, come ben ci racconta ogni mese Luigi Caricato nella rubrica che trovate nelle prime pagine della rivista. L’olio diventa esperienza gastronomica e si dà l’occasione di far conoscere le produzioni del nostro Paese.

In quanto al pane, vi pongo una domanda. Qual è il modo migliore per identificare il ristorante italiano attraverso il pane? È allestire un cestino con una moltitudine di pani colorati, con spezie come curcuma e curry, o potrebbe essere più pragmatico servire un pane ben fatto, digeribile, leggero, croccante, profumato, da mettere al centro o da tagliare con cura davanti al cliente?

Chi viene in Italia per provare la cucina italiana sarebbe disposto a pagarlo, quel pane, pur di trovare identità e un prodotto sensibilmente diverso dal pane industriale nel sacchetto di plastica.

Il servizio

Ora, invece, parliamo di servizio. In due mesi di lontananza dalla ristorazione italiana ho personalmente avvertito delle mancanze, ma ho pure incontrato delle consuetudini straniere molto gradite. Una delle abitudini che, per esempio, sussistono in America è presentarsi appena il cliente prende posto al tavolo.

“Piacere sono Marco… Giovanni, Giulia, Francesca” cambia di molto la percezione iniziale.

Ci si sente nelle mani di qualcuno di cui oltre a conoscere il volto si conosce il nome. Quella persona da lì alla fine del pasto diventa riferimento, dialogo, intrattenimento.

Qui, in Italia, seppur spesso si dia molta confidenza all’ospite, è piuttosto raro.

L’altro elemento estremamente interessante riguarda le accortezze al momento del servizio al tavolo. Nei ristoranti e nei locali italiani spesso mentre vengono conse-

37 | luglio 2023

gnati i piatti o le bevande si assiste ad uno sgradevole sbracciamento, con tanto di contorsioni, per capire quale dei commensali abbia ordinato cosa. Fanno eccezione a questo bieco costume (in genere) i ristoranti gastronomici, in cui le attenzioni durante la raccolta dell’ordine sono più spiccate. Le strategie per ricordare chi ha ordinato un piatto e chi ha ordinato l’altro, o chi ha ordinato un vino e chi ha ordinato l’altro, senza doverlo chiedere al cliente pochi minuti dopo, sono le più varie ma sono tutte estremamente percorribili anche nei nostri ristoranti. Se in generale frequentando alcune insegne americane ho incontrato una maggiore organizzazione, posso affermare che il savoir faire della sala italiana può davvero fare la differenza in termini di accoglienza. Non parlo solo di movenze e personalizzazione del servizio. Parlo di suggerimenti disinteressati sul vino o sul piatto da scegliere, di consigli sugli abbinamenti, sulla sequenza dei piatti per apprezzare appieno il menu senza accavallare i sapori. E ancora, le informazioni essenziali ma fondamentali sui produttori che mettono la firma sulle materie prime. In altre parole sono la nostra cultura e la conoscenza del gusto possono fare la differenza.

L’ambiente

Potremmo stare a discutere per ore sulla direzione che stanno prendendo architettura e design nella ristorazione. Di quanto lo stile nordico e industriale siano entrati nei nostri locali negli ultimi anni. Potremmo parlare di quanto alcune sale dei ristoranti gourmet abbiano indossato un abito freddo, poco accogliente, anche anonimo, omologato a indirizzi con lo stesso profilo e la stessa tipologia di clientela.

Ma c’è una parola che vale la pena mettere al centro quando si parla di ambiente e atmosfera nei ristoranti italiani. È un termine abusato e di cui si apprende di rado il significato: autentico.

Arredare un locale in modo genuino, allestire la sala con trovate originali, non necessariamente eccentriche, cre-

are insomma un’atmosfera vera, per noi italiani non è difficile. Il problema è quando incappiamo in oggetti scialbi, plastiche malconce, carte dei vini disordinate, tavoli preparati come si faceva negli anni ’90, senza che la scelta sia intenzionale: lì si vede l’Italia seduta su se stessa, che non si prende cura.

Non è dappertutto così, chiaramente. I locali che hanno cambiato il passo, nell’aspetto e nel servizio, ci sono e incontreranno sempre più l’interesse del pubblico italiano e straniero.

Ho in mente un luogo mentre scrivo. È in un centro storico di montagna, nascosto dietro un arco incorniciato da una pianta. C’è un portone in legno, una botte che sorregge un vaso di fiori e, subito dietro, il menù. L’ingresso del ristorante Boivin di Levico è di quelli che mette curiosità e fa venire il felice sospetto che lì ci sia un posto autentico. Quando si entra… solo conferme. Le sale ricordano una cantina che oggi non c’è più, con i muri spessi che mantengono una temperatura gradevolissima. L’ambiente è caldo, sincero; i suoni, delicati e di sottofondo, fanno venire voglia di sedersi a tavola e stare bene. Nessuno tra il personale pecca in gentilezza; i tavoli sono minimali ma curati, e così i piatti. In sala, per pura curiosità, mi sono guardata attorno e ho aguzzato le orecchie: si parlava italiano, inglese e tedesco.

La magia che si è creata attorno alla cucina italiana nei decenni scorsi ci si sta ritorcendo contro. Se pensiamo che l’Italia, “solo” per le sue doti - di biodiversità agronomica, di trasformazione gastronomica, e via dicendo - possa rimanere un punto di riferimento nel mondo sbagliamo. Alcuni ristoranti stanno lavorando male, davvero male. Stanno rendendo il nostro modo di vivere, intendere e raccontare il cibo incomprensibile, non riconoscibile. Forse dobbiamo ritrovare la nostra lingua e iniziare a parlare quella degli altri. Senza dimenticarci di prendere spunto dalle grammatiche migliori della nostra.

Non c’è tempo da perdere

Il contributo della formazione professionale di IAL

Mentre si rincorrono su e giù per l’Italia tavole rotonde scollegate fra loro per “aggredire” il pressante problema della carenza di personale, con una grande probabilità di risultare infruttuose giusto perché sono sparse; mentre ci sono scuole alberghiere che corrono da sole, perché non si riconoscono in chi le dovrebbe rappresentare; mentre insomma stiamo perdendo ancora una volta tempo prezioso a discapito chi sta rischiando di rimetterci parzialmente o per intero la propria attività, volgiamo uno sguardo ristoratore su una realtà seria e radicata, IAL (Innovazione Apprendimento Lavoro), che da anni si occupa di una formazione professionale ma non solo. A conferma di questo possiamo aggiungere che gode della massima attenzione di non pochi cuochi dell’alta ristorazione e vede pure l’intraprendenza dei ragazzi nel dar vita a iniziative di successo. Volendo poi dare ulteriore testimonianza possiamo provare che in quelle scuole si impara a cucinare bene e si acquisisce quell’eleganza nel servizio che è tanto apprezzata , diversamente dal livello registrato in certe scuole alberghiere in occasione di pranzi o eventi a cui abbiamo preso parte: piatti obsoleti e servizio con il tovagliolo sul braccio, ergo docenti che il mondo del lavoro non lo hanno esperito e che non vogliono saperne di aggiornarsi, ribellandosi ai dirigenti che pure sarebbero propensi al cambiamento.

La rete IAL

A fronte di questo scenario ben vengano quindi realtà dinamiche come IAL (Innovazione Apprendimento Lavoro), la più grande rete di Srl con la qualifica di impresa sociale, operante sul territorio nazionale nel campo della formazione professionale (IeFP), della formazione continua e dei servizi per il lavoro.

ACCOGLIENZA
Autrice: Simona Vitali La formazione
Lo chef Alessandro Bellingeri insieme agli studenti di cucina di Serramazzoni in occasione di Ritorno al futuro
39 | luglio 2023
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Fondato dalla CISL nel 1955 per qualificare e specializzare i lavoratori occupati con il vantaggio di essere strettamente a contatto con il mercato del lavoro e le sue esigenze e con l’impegno ben preciso di promuovere la centralità della persona, valorizzandone il talento e le potenzialità, lo IAL ha saputo tener testa ai cambiamenti che si sono susseguiti nel tempo, arrivando ad estendere il proprio raggio di azione alla formazione professionale (IeFP).

Sono 13 le imprese sociali regionali in tutto lo Stivale (+ una società estera IAL CISL Germania), peraltro specializzate in diversi settori, fra cui la ristorazione per chef e maître - ciò che interessa a noi – che ha preso piede in ben tre regioni: Emilia Romagna, Lombardia e Friuli Venezia Giulia.

Il modello IAL Emilia Romagna

Abbiamo voluto incontrare il presidente di IAL Emilia Romagna, Ciro Donnarumma, figura pragmatica e molto diretta per quel suo ruolo di segretario organizzativo di CISL Emilia Romagna rivestito precedentemente, perché ci raccontasse di questo IAL che ha il merito di aver saputo costruire un modello formativo convincente.

“Sono più di 50 anni – ci tiene a sottolineare il presidente - che IAL Emilia Romagna opera nel campo della formazione. Nel mare agitato di mezzo secolo, con tutti gli accadimenti che si sono susseguiti, ha saputo resistere sopravvivendo a momenti non semplici e adeguandosi al nuovo. Questo grazie anche a figure illuminate come il presidente che mi ha preceduto, Francesco Falcone”

Nato come associazione, dal 2011 questo ente si è trasformato, come tutte le altre IAL regionali, in Srl impresa sociale (una forma societaria abbastanza recente nell’ordinamento italiano) che ne ha rafforzato ancora di più la percezione di organizzazione unica, centralizzata

su Bologna, uniformando ulteriormente il comportamento di tutte le sedi della regione. Per avere un ordine di grandezza sono 200 i dipendenti di IAL Emilia Romagna e il fatturato si attesta intorno ai 15 milioni di euro. Da oltre 20 anni è accreditato dalla Regione Emilia Romagna per lo svolgimento della formazione professionale in tutti gli ambiti, a partire dall’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) dei giovani ed è pure accreditato presso tutti i più importanti Fondi Interprofessionali per la formazione continua, grazie anche alle certificazioni di qualità possedute.

Sono cinque le sedi in Emilia Romagna, tra Piacenza , Serramazzoni (MO), Ferrara, Cesenatico e Riccione specializzate nel settore della ristorazione.

Il percorso di formazione

Per accedere al percorso di formazione professionale occorre aver frequentato, con successo o meno, un primo anno orientativo presso un istituto scolastico. Questo consente allo studente di intraprendere un successivo triennio di studi che contempla due step:

- il conseguimento, dopo due anni, della qualifica di operatore della ristorazione (riconosciuta a livello nazionale ed europeo) per lavorare presso alberghi, ristoranti e bar

- l’acquisizione del diploma professionale, in un successivo anno che è di specializzazione, per apprendere tecniche avanzate di cucina o di sala/bar e progettazione eventi banqueting. Proprio nel corso di quest’anno c’è una bella opportunità per i ragazzi di prendere parte ad un progetto di mobilità internazionale, in un’ottica di scambio con altre scuole europee.

IAL Emilia Romagna vanta infatti la vice presidenza in Eurhodip, Associazione internazionale a sostegno dell’educazione e formazione nel settore dell’ospitalità e del turismo.

Ciro Donnarumma, presidente IAL Emilia Romagna

Punti di forza

Il vantaggio competitivo di questo modello di formazione lo si può cogliere dalla somma di più aspetti:

- c’è conoscenza e lucidità circa le esigenze delle imprese, oltre a un confronto quotidiano con i lavoratori, proprio per la radice sindacale di questa rete formativa

- la formazione è incentrata sulla didattica del fare (840 ore di laboratorio nel biennio e 350 nell’anno di specializzazione) e sulla simulazione di situazioni reali

- i docenti sono professionisti provenienti dal mondo del lavoro

- i laboratori sono attrezzati e dotati di moderne tecnologie

- Il monte ore stage si attesta sulle 800 ore nel biennio e sulle 500 ore nell’anno di specializzazione.

Le esperienze di stage dei ragazzi vengono supervisionate da un tutor che ne verifica l’effettiva utilità. Il ristoratore deve entrare nell’ottica di un percorso in cui si impegna, per la sua parte, a far fare un’esperienza formativa al ragazzo. Se il rapporto è costruttivo può anche avere un seguito.

- ci sono poi ottime esperienze di ristoranti didattici aperti (che sono altra cosa da quelli a uso interno), come nel caso delle sedi di Riccione e Cesenatico, che rimangono aperti al pubblico anche d’estate.

È orgoglioso il presidente di raccontarci casi di successo, distribuiti su tutte le sedi, che ripagano l’impegno ad oltranza di prendersi cura dei ragazzi nella loro globalità di persone che devono fiorire, crescere e, perché no, anche cambiare se questa è la spinta interiore. Perché questo è l’approccio. Ma noi siamo preparati, non a caso abbiamo voluto sondare questa rete formativa. Giusto lo scorso anno abbiamo preso parte a una speciale saggio di fine anno in quel di Serramazzoni.

A chiusura di un periodo durissimo, quello della pande-

mia, la direzione della scuola ha pensato di fare un’iniezione di ottimismo agli studenti con un’esperienza forte, impattante, che consentisse di entrare in contatto con ex allievi che si sono affermati nel mestiere e di poterli affiancare per preparare insieme la cena di fine anno, denominata Ritorno al futuro.

Un’atmosfera magnifica e lo stupore da parte nostra di scoprire nomi che hanno fatto strada, come Richard Abu Zaki - chef patron dello stellato Retroscena Restaurant di Porto San Giorgio (FM), nonché di altri tre ristoranti, che definisce lo IAL “una casa da dove tu parti, che ti immette nelle migliori strutture e tu lì dimostri se hai le capacità per poterci stare”.

Ma potremmo parlare anche di Adam Zabolotnyi: “Arrivo dall’Ucraina – racconta – è da tanto che volevo studiare in questa scuola, che è nel paesino vicino alla casa di mia nonna e che tutti dicevano essere di una qualità altissima, però non potevo perché non mi davano il permesso di soggiorno. La prima volta che sono entrato in questa cucina così grande non sapevo dove guardare: c’era proprio tutto quello che desideravo”.

Oggi, in un italiano buono dice con soddisfazione: “Finalmente ho trovato il mio posto! Troppo, troppo sicuro!”. Fortunato chi lo ha assunto!

La piena dignità della formazione professionale

“Lavorare sempre sulla qualità – riflette Daniele Calzolari, direttore della progettazione IAL Emilia Romagna, che pure abbiamo avuto il piacere di conoscere rilevandone la grande esperienza - è l’unico antidoto contro chi cerca di dequalificare le scuole professionali. Lavorare in modo che l’iscrizione per il ragazzo sia una scelta (“Voglio andare in quella scuola”) non un ripiego diventa un motivo distintivo. Se tu lavori bene i ragazzi arrivano grazie al passaparola. Questo è l’impegno a cui stiamo dedicando tutte le nostre energie”.

“Ho trovato il mio posto”
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La scienza nell’evoluzione della cucina contemporanea

Un dialogo con il professor Davide Cassi

Davide Cassi è professore di Fisica della Materia presso l’Università di Parma, dove ha fondato e dirige il Laboratorio di Fisica Gastronomica e lo spin-off Future Cooking Lab È stato il primo presidente del primo Corso di Laurea in Scienze Gastronomiche dell’Università italiana.

Da oltre 30 anni studia la cucina e la gastronomia da un punto di vista scientifico e collabora con i migliori chef e pasticceri del mondo, mettendo a punto nuovi prodotti e nuove tecniche di cucina basate sulla ricerca scientifica.

Nel 2002, insieme allo chef Ettore Bocchia, ha introdotto l’idea di cucina molecolare, definita nel libro Il gelato estemporaneo ed altre invenzioni gastronomiche (2005), primo manuale sul tema a livello mondiale (tradotto in spagnolo con il titolo “La ciencia en los fogones”), in cui viene presentato il Manifesto della cucina molecolare italiana.

Per la sua attività di ricerca su scienza e gastronomia gli sono stati conferiti il Premio Internazionale Caterina de’ Medici, il Premio Tarlati e il Grand Prix de la Science de l’Alimentation de l’Académie Internationale de la Gastronomie.

Oggi, oltre ad essere il responsabile del Future Cooking Lab e insegnare all’Università di Parma, tiene lezioni all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e un corso all’Università di Barcellona.

Autore: Luigi Franchi
Le interviste
Davide Cassi
44 | luglio 2023

Abbiamo avuto il piacere di conversare con lui sul palco di Testo… e pretesto, l’evento culturale del comune di Fidenza di cui questa rivista è stata partner. Ma cominciamo con un incipit che lo rappresenta: “La vera rivoluzione non consiste nell’osservare la cucina dal punto scientifico, ma nel vedere la scienza dal punto di vista gastronomico”.

Cosa intende con questa frase?

“Questa frase è di molti anni fa, quando scrissi il mio primo libro. Fino ad allora si parlava di scienza in cucina ma solo per spiegare la scienza agli studenti, con numerosi esempi che arrivano dalla cucina. È una prassi abituale ancora oggi ma la logica che pratichiamo noi è diversa; quando mi trovo davanti ai fornelli per costruire un piatto devo avere in mente dove voglio arrivare e cosa devo ottenere, quindi si parte da questo per vedere come la scienza mi può aiutare. Si tratta di un pensiero completamente diverso, dove metto in campo processi e conoscenze diverse. Da lì è nato un nuovo modello di divulgazione che ha trovato in Spagna i primi sostenitori. Faccio un esempio: voi prendete un libro di chimica degli alimenti e trovate i capitoli suddivisi in acqua, vitamine, proteine, grassi, carboidrati, in pratica le tabelle che trovate nelle etichette. Sapere, ad esempio, quanti carboidrati ci sono in un

ingrediente è difficilissimo perché la loro composizione è molto complessa. Invece mi serve sapere qual è la loro funzione quando io creo una ricetta. Cambia tutto leggendo le cose in questo modo, nel vedere la scienza dal punto di vista gastronomico”.

La tecnica in cucina è sempre servita solo a risparmiare lavoro al cuoco ma adesso, almeno da quello che ho visto nel vostro Laboratorio all’università, ha molte più funzioni, mi può fare qualche esempio di quello su cui state sperimentando?

“Indubbiamente la tecnica ha avuto e ha tuttora questa funzione di far risparmiare tempo al cuoco. In questa settimana, ad esempio, ho dovuto ordinare un setaccio meccanico dove butti le polveri e, in pochissimo tempo, vengono tutte setacciate. Immagina quante ore risparmiate di un lavoro meccanico e privo di soddisfazione. La tecnica però ha un secondo approdo molto importante che è quello di fare le cose meglio. Se io tempero un cioccolato a mano non otterrò mai il risultato perfetto di una temperatrice. Ci sono decine di esempi che si possono fare. Per esempio la mostarda artigianale non sarà mai buona come quella fatta con la tecnologia che equilibra la densità dello sciroppo, il grado zuccherino. O ancora la macinatura del caffè; se voi macinate i chicchi con un macinino di

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casa vi viene fuori una quantità di polveri di dimensioni diverse che restano poi sul fondo della tazzina, se invece lo macinate con un macinino professionale riuscite a regolare al micron queste polveri e su un chilo di caffè mi lasciano soltanto 450 milligrammi di polvere fine. La scoperta più importante degli ultimi anni è stato il sifone, in Germania ha risolto il problema di mettere la panna montata dappertutto, nel caffè, nella Sacher-torte. Non si poteva montare la panna se non con difficoltà notevoli, con il sifone si monta in un minuto e si può conservare dentro al sifone in frigo agevolando così il lavoro dei baristi. Inoltre la panna non è montata dentro al sifone, lo diventa nel momento in cui lo azioniamo. Fantastico non trovi? Quanto risparmio di tempo, di stress e di denaro. Ma è quando Ferran Adrià ha scoperto l’uso del sifone in cucina che ha cambiato la vita a quell’oggetto e alla cucina stessa. Nel 1994 inventa la minestra di verdure in texturas, una sorta di minestrone destrutturato dove, giunto alla barbabietola, si chiese come poteva trattarla. Prova a metterla nel sifone e ne esce una cosa impresentabile. Riprova aggiungendo un po’ di colla di pesce e da lì comincia la rivoluzione della cucina contemporanea”.

Nel vostro laboratorio cosa fate esattamente?

“Prendiamo macchine tecnologiche pensate per fare

solo determinate cose e le usiamo per fare tutt’altro. Un altro esempio, spruzzare il limone sulla sogliola, un gesto che facciamo tutti ed è bruttissimo perché dove cade brucia la bocca. Se invece prendete limone, acqua, lecitina di soia e le mettete in un mini-pimer avrete un’aria di limone da mettere sul pesce ottenendo un effetto delicatissimo. Se però devo farlo per cento persone impazzisco, allora cosa abbiamo fatto? Prendo un acquario, collego la pompa dello stesso e ho fatto cento litri di aria in due minuti”.

Andiamo avanti: quando iniziate una ricerca, una sperimentazione, che sensazione si prova e dopo quanto tempo si ottiene il risultato, positivo o negativo che sia?

“Ci sono delle volte che hai una botta di fortuna, ti viene per caso quel risultato. Altre volte puoi andare avanti per anni. Poi ci vuole un’altra attitudine, oltre alla curiosità iniziale, che purtroppo adesso non si trova quasi più: la capacità di osservare. Tornando a ciò che facciamo in laboratorio, attualmente stiamo sperimentando un’essenza di caffè, una crema concentratissima di caffè amaro che si sta rivelando adattissima come abbinamento con i formaggi. Inizialmente con il torrefattore pensavamo a tutt’altro: a una crema di caffè dal sapore di Nutella. Questo per spiegare come

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la sperimentazione percorra strade sconosciute fin dall’inizio. Il ruolo della scienza è "guarda che si può fare questo per creare un piatto", ad esempio, e non il contrario: cioè il cuoco che ha un’idea e lo scienziato la realizza. Così non può funzionare”.

Parliamo di salute: nell’immaginario esiste un pensiero, abbastanza radicato, che la ricerca, insieme alla chimica o alla fisica, applicata agli alimenti non sia poi così salutare. Come si fa a sgombrare il campo da questo equivoco?

“È in effetti un equivoco e si dovrebbe comunicare di più ciò che stiamo facendo. Con lo chef Ettore Bocchia, vent’anni fa, per fare un esempio, abbiamo fatte le prime salse alla lecitina di soia senza uova ottenendo le prime maionesi senza colesterolo. In questo momento stiamo notando una transizione fortissima verso il vegetale, al punto che un’azienda come Barry Callebaut sta producendo un cioccolato vegano, dove al posto del latte come copertura ha messo del vegetale. E noi dobbiamo essere sempre attenti al nuovo. Spostarsi sul vegetale implica ricerca e tecnologia molto complicate. Noi siamo riusciti a realizzare i biscotti vegani, senza burro e senza uova ma non è stato facile. Altro tema, legato in parte alla salute e molto di più alla sostenibilità. Stiamo sperimentando tecniche innovative legate

alla sostenibilità nell’ittico. Ci sono aziende che, anche grazie ai nostri primi esperimenti, hanno messo in commercio il pesce già cotto per la ristorazione. Cuocere il pesce in acqua significa consumare un sacco di calore, buttando via l’acqua calda utilizzata si spreca moltissima energia. Tutti i rimasugli di pesce sono poi immondizia. Abbiamo provato cotture in bassa temperatura e i risultati sono eccellenti, non si spreca più nulla. Viviamo in un momento storico dove trasferire conoscenza diventa essenziale”.

47 | luglio 2023

La sala

Autore: Luigi Franchi

Mirco Plebani

La bellezza naturale del servizio di sala

In Versilia, esattamente a Marina di Pietrasanta, c’è un ristorante affacciato sul mare che si chiama Franco Mare. Viene aperto nel 2005 dalla famiglia Stefanini, già attiva nel comparto balneare, e raggiunge la dovuta fama nel 2021 quando, con la cucina dello chef Alessandro Ferrarini, riceve la stella Michelin.

Con lui i fratelli proprietari Nicola e Davide Stefanini, Massimiliano Martino, maître, Robben Gevaert, sommelier, e un giovane ragazzo in sala, nel ruolo di secondo maître, Mirco Plebani

È di lui che vi parleremo in questo articolo, della sua naturalissima vocazione all’empatia, del suo garbato modo di essere, gentile e competente.

Mirco Plebani proviene da una famiglia di ragionieri e anche lui ha fatto quegli studi ma c’è un ma…

Mirco aveva nel cuore la passione per la cucina, l’aveva coltivata stando spesso con i nonni da bambino: il nonno paterno e la nonna materna passano ore in cucina e i profumi, i gesti, l’atmosfera che anche lui viveva era contagiosa.

Mirco Plebani
48 | luglio 2023
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Mirco, raccontaci la tua storia professionale dall’inizio…

“Sono nato a Tradate (VA) dove mi sono diplomato in ragioneria. Dopo i primi quattro mesi in ufficio decido di inviare curriculum a caso nei ristoranti della zona. Mi chiamano al Panorama Golf Club di Varese dove, grazie al titolare, scopro che la mia vera passione non era la cucina ma la sala, l’accoglienza. Con lui imparo molte regole di questa professione e seguo anche diversi eventi in prima persona dove saper accogliere era una regola di vita. Resto qualche tempo ma volevo vedere altri luoghi, capire tutto del funzionamento della ristorazione. Mi sposto quindi in Svizzera, a Locarno, in un grotto dove ho iniziato anche a imparare la lingua tedesca. Poi a St. Moritz, all’hotel Laudanella, dove presto servizio in uno dei ristoranti interni, si faceva cucina thailandese molto ricercata. Qui completo la mia formazione e prendo rapido possesso della lingua tedesca”.

Come sei arrivato da Franco Mare?

“A Varese, al Golf Club, lavoravo insieme allo chef Alessandro Ferrarini. Con lui è nata un’amicizia solida che non si è mai allentata, nonostante i percorsi diversi. Gli avevo telefonato per scambiare due chiacchiere e fu lui a dirmi che si trovava molto bene da Franco Mare. Perché non vieni a trovarmi, mi disse. Sono arrivato qui per quell’invito”.

Cosa ti piace di più di questo ristorante?

“La cosa che mi ha affascinato fin da subito è stata la location; mi ispira, ogni giorno, tranquillità, relax, piacere. Ogni mattina quando vengo al lavoro i sentimenti sono quelli. Poi mi sono innamorato di una ragazza del posto e, infine, della cucina di Alessandro, ne sposo il talento e voglio molto bene alla vita che ci ha fatto ritrovare. Non ultimo l’insegnamento quotidiano che ricevo dal maître Massimiliano Martino, le sue notizie sulla storia della ristorazione da quando ha iniziato negli anni ’80 del secolo scorso, la sua bravura nel servizio al tavolo, con il flambé che ho iniziato a praticare con il grande piacere che questo procura agli ospiti. Tenere vive alcune cose del passato nel servizio di sala contribuisce a renderlo importante e attrattivo”.

Infatti, osservandoti quando sono venuto a cena ho notato proprio questa cosa: la tua bravura e la tua grande carica empatica. Mentre pulivi un pesce al sale si capiva che quei gesti avrebbero soddisfatto gli ospiti che avevano ordinato quella pietanza. Cosa ti da più soddisfazione in questa professione?

“Per ora ho due cose che mi hanno dato grandi soddisfazioni da quando sono qui. La prima è la stella Michelin giunta a ridosso del mio arrivo e mi piace pensare che anche il mio contributo alla sala abbia determinato quel giudizio degli ispettori Michelin. La seconda, la più importante, è stato vedere i miei genitori, entrambi ragionieri, venire qui e comprendere la

mia scelta che loro non avevano inizialmente accettato. Quella è davvero la soddisfazione più grande!”

Come si impara questo lavoro? Quanto conta frequentare l’istituto alberghiero oggi?

“Sarebbe importante ma ci sono troppe cose che non vanno bene. Lo vedo ogni volta che mi capita di essere in commissione d’esame. Di base i ragazzi approcciano questo mondo con il pensiero: non so cosa fare, scelgo l’alberghiero. All’interno della scuola poi trovano una didattica superata dalla società. Quando poi vanno in stage non c’è un criterio oggettivo per trovare la struttura migliore per ogni ragazzo e quindi si ritrovano magari in un bar o in un locale dove non apprendi nulla. Infine pesa la poca considerazione che la politica nutre nei confronti dell’intera categoria. Tutto questo sta portando ai problemi attuali: mancanza di personale qualificato, costi gestionali insostenibili. Per questo sono arrivato alla considerazione che, per fare bene questa professione, devi avere dentro una sorta di naturalità verso l’accoglienza delle persone, deve piacerti. Un po’

come Messi per il calcio, impari facendo ma lo stimolo devi averlo dentro in maniera naturale”.

Una visione originale la tua, ma cosa bisogna cambiare per rendere attrattiva questa professione, a tuo parere?

“Valorizzare di più il lavoro di sala, con corsi formativi specifici e improntati all’oggi; puntare sulla televisione; conoscere il nome di chi lavora in sala. Queste sono alcune delle cose necessarie e urgenti da fare”.

Cosa hai ricavato dalla partecipazione ad Emergente Sala?

“Una partecipazione nata per caso. Me ne aveva parlato Alessandro, lo chef. Ero un po’ titubante ma vedendo lui così convinto mi sono candidato e ho fatto bene. Ho visto ragazzi come me difendere con passione questa professione, mi sono confrontato con loro, insieme abbiamo vissuto un percorso di crescita ulteriore”.

Come vivi questa società così precaria?

“La vivo con la paura del futuro. Sto cercando di fare il possibile per togliere un po’ a me per dare ai miei figli quando ci saranno, alla mia compagna. Voglio creare le condizioni per dar lor un po’ di sicurezza in più”.

Cosa ti fa piacere in una serata di lavoro?

“Mi rende appagato vedere il cliente che si alza entusiasta della serata che ha vissuto, ricevere i complimenti personali dalla maggioranza dei tavoli che quella sera erano serviti da me”.

Quanti anni hai?

“27, 28 a ottobre”.

50 | luglio 2023

C’è pane carasau e pane carasau

L’importanza di comparare diverse produzioni

I prodotti che appaiono semplici, perché all’occhio poco strutturati, non di rado comportano una preparazione laboriosa e per nulla scontata, come nel caso del pane carasau. Non deve infatti trarre in inganno quella sfoglia talmente sottile e croccante – come eterea – da essersi guadagnata l’appellativo di ‘carta da musica’ (perché scrocchia sotto i denti) di contro ad altri tipi di pane che, per via di dati oggettivi come volume ed alveoli, si impongono maggiormente all’attenzione.

Una sfoglia di pane è divenuta prodotto identitario per un’intera regione, al punto da essere inserita nell’elenco dei Prodotti Alimentari Tradizionali (PAT) della Sardegna, con un disciplinare che ne ha fissato le condizioni: semola di grano duro rimacinata di produzione sarda, acqua, lievito naturale (lievito madre o lievito di birra) e sale marino sardo, sono i quattro ingredienti specifici di cui deve essere composta.

Che sia chiaro però che anche per questo prodotto non si può parlare di uniformazione di gusto: un pane carasau non vale l’altro, da produzione a produzione cambia. Più o meno fragrante, certamente per la tipologia degli ingredienti selezionati (come il lievito madre o il lievito di birra) e la qualità degli stessi, la presenza o meno di quella croccantezza perfetta che lo dovrebbe sempre caratterizzare. Anche lo spessore della sfoglia può variare (siamo nell’ordine di 1/2 millimetri) determinandone più o meno friabilità. Così come la cottura, che originariamente era solo nel forno a legna.

Il prodotto
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Variabili queste che incidono sul risultato finale, per cui è il caso di dire che c’è pane carasau e pane carasau Chi è per la qualità dovrebbe adottare l’esercizio della comparazione, per la gioia di scoprire prodotti di sempre migliore qualità, dando meno peso alle guide specifiche di prodotto e più al proprio palato, l’unico giudice a cui dover rispondere.

Il pane dei pastori

Di origini antichissime - pare addirittura che già fosse presente nell’isola nell’era nuragica - nella storia più recente il pane carasau affonda le sue radici nella zona più montuosa della Sardegna, la Barbagia, precisamente nella provincia di Nuoro, dove le mogli dei pastori avevano escogitato di preparare loro questo pane dall’importante apporto energetico (alta concentrazione di carboidrati) che si sarebbe conservato per un lungo tempo durante la transumanza. Questo grazie a una doppia cottura, che di fatto è l’ultima fase del ciclo di preparazione del carasau, in gergo chiamata carasatura (tostatura) cioè una seconda ripassata in forno per togliere la più parte di acqua e far sì che non si creasse mollica, che lo rendeva secco e meglio conservabile.

Le sfoglie così ottenute fungevano dapprima da piatti su cui i pastori usavano consumare prima altro cibo (la ricotta e altri formaggi prevalentemente) per poi essere mangiate a fine pasto.

Un rito di famiglia e di vicinato

L’usanza di preparare questo pane nelle famiglie della zona si è perpetrata come una sorta di rito - scandito come vedremo da diversi passaggi - che si ripeteva a cadenze stabilite, con il coinvolgimento di familiari e vicini di casa, principalmente donne, a cui in cambio veniva dato cibo o soltanto restituito il favore. I vecchi di oggi

raccontano come sia stato naturale crescere dentro la cultura del pane carasau. Sin da bambini la mamma chiedeva loro di aiutarla e così loro hanno fatto con i propri figli. Nella stessa misura in cui hanno imparato a mangiarlo hanno imparato a farlo.

Ogni volta ne venivano preparati grandi quantitativi, poi puntualmente riposti e custoditi in cassapanche.

“Sa cotta”, l’originario processo di lavorazione del pane carasau

La conoscenza dell’impegno che comportano le produzioni in generale, e quelle più complesse in particolare, dovrebbe renderci più rispettosi di quel che portiamo alla bocca e di chi ci ha messo mano.

Quanto al pane carasau ci basti sapere che è sempre stato considerato e trattato come sacro, e per questo accompagnato durante la sua preparazione da preghiere e gesti scaramantici.

Si iniziava al sorgere del sole con l’impasto, in grandi contenitori di legno, con semola di grano duro, lievito madre e acqua (operazione denominata s’inthurta), seguiva poi un’energica e lunga lavorazione dell’impasto fino a renderlo liscio ed elastico (cariare). È qui che si determinavano la buona riuscita e la durata o meno del pane.

L’impasto veniva poi posto in contenitori di terracotta e ricoperto da teli di lana perché riposasse (fase della lie-

Illadare, stesura dei panetti in dischi finissimi
52 | luglio 2023
Cochere, la prima infornata di una tunda

vitazione, chiamata pesare, che significa alzare). Iniziata la lievitazione si procedeva con il ricavare dall’impasto panetti regolari, infarinati e riposti in canestri ricoperti da teli di lino o lana, perché continuasse la lievitazione (orire o sestare). Si passava poi alla stesura dei panetti, con l’aiuto di piccoli mattarelli e dei polpastrelli, fino ad ottenere dischi di pochissimi millimetri (illadare) poi depositati fra le pieghe di panni di lana lunghi anche 10 metri, creando pile di una decina di dischi o tundas. A questo punto poteva avere inizio la fase della cottura, avendo preriscaldato il forno a legna, alimentato solo con legno di quercia o olivastro. Quando la temperatura si aggirava intorno ai 450/500° si poteva procedere con la prima infornata di una tunda che si gonfiava rapidamente come una palla (cochere). Questa, una volta sfornata, doveva essere sottoposta tramite un coltello ad un’operazione chirurgica di separazione delle due facce che la componevano. Ne uscivano due dischi con una parte liscia (esterno palla) e una parte ruvida (interno palla). Fase certamente delicata perché si maneggiava un prodotto bollente su cui era necessario intervenire in velocità (fresare o calpire), prima che la palla si sgonfiasse e le pareti si attaccassero fra loro. Dopo la separazione si procedeva con il ripassare i dischi in forno per la seconda volta (carasare), per un tempo variabile a seconda dei gusti e delle zone di produzione. Di fatto la sfoglia di pane doveva diventare dorata con qualche puntino bruno in superficie e risultare croccante.

Oggi

La ricetta del pane carasau è ad oggi sostanzialmente immutata. Ci sono ancora donne che amano realizzare il pane carasau in casa, seguendo gli stessi identici pas saggi di cui abbiamo parlato. Tuttavia ha preso piede una fiorente produzione com merciale, che vede protagonisti piccoli o grandi pani fici, più marcatamente artigianali o meno, per cui c’è ancora chi lavora a mano ma c’è pure chi impasta a mac china, così come chi utilizza il forno a legna e chi quello elettrico o a gas.

Per chi approccia l’isola, dal bar al ristorante, il pane ca rasau è un incontro costante, immancabile come snack per un aperitivo, nel cestino del pane dell’osteria e del ristorante di livello e pure in forma di pietanza. Senza volere quindi si entra in contatto con tanti pani carasau diversi, per piccole o grandi differenze. Una sorta di eser cizio obbligato da cui, se si pone un poco di attenzione, si possono ricavare interessanti spunti e magari anche indirizzi giusti sul dove approvvigionarsi.

Nel recente tour della Sardegna, che ci ha visto incon trare spessissimo il pane carasau, ci è piaciuto prendere nota di questi “incontri”, per tirare qualche somma una volta tornati sulla terraferma.

Tiu Maro’

Fra le diverse sensazioni ce n’era una persistente: il ricordo nitido di un carasau assaggiato ad Alghero, dove abbiamo fatto una breve tappa, per devianza di mestiere, ad una libreria indipendente, Cyrano, che ci aveva colpito nelle parole di Massimo Onofri nel suo libro Passaggio in Sardegna

In quell’occasione, essendo l’ora dell’aperitivo, ci siamo presi un buon calice di bianco, che ci è stato servito con stuzzichini e qualche cialda dell’immancabile pane carasau: fragrante, con un gusto che rimandava direttamente al grano, croccante e scioglievole dalla sottigliezza. Non ne abbiamo chiesto immediatamente conto, lo abbiamo fatto dopo, una volta rientrati a casa.

Prontamente i gestori ci hanno risposto che il pane carasau che propongono fa parte di una selezione di prodotti di qualità della Sardegna pensati per l’HO.RE.CA, Tiu Marò, brand che esiste da molti anni sul mercato, grazie all’impegno dell’azienda distributrice Marongiu Catering di Sennori (SS).

A questo punto contattiamo il titolare, Franco Marongiu, che ci parla di “un pane fatto bene, a mano, con farine selezionate, che ha il pregio di rimanere - aspetto questo interessantissimo - croccante anche in quelle zone dove l’umidità del mare si fa sentire e già tagliato a misura di cestino”.

E aggiunge “Il problema è che se ne mangia troppo! Tra l’altro abbiamo fatto realizzare anche dispenser da collocare nei ristoranti e negli alberghi, perché se gli ospiti hanno gradito possano pure acquistarlo direttamente”.

Lavorare bene paga: chi è per la qualità riconosce chi la pratica e ci si imbatte senza bisogno di segnalazioni spe-

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Dornach, tra circolarità e sviluppo

Patrick Uccelli, viticoltore altoatesino, ci parla di biodinamica e cambiamento

Ho conosciuto Patrick Uccelli in una uggiosa mattina di metà aprile, all’ingresso della sua azienda, in via Dornach, a Salorno, nord di Bolzano. Di ciò che ha detto quella mattina ricordo tutto, in particolare una confessione: “Questo è uno dei momenti della vigna che preferisco. Mi emoziona guardare in controluce le gemme, sono vita. Guarda cosa fa la natura”.

Patrick ha un trasporto per le dinamiche naturali tenace ma misurato. Lo si capisce dal profilo delle bottiglie (estremamente semplici), dal modo di raccontare il vino e gli altri prodotti, dall’etica che c’è dietro alla sua azienda. Da quindici anni la conduce con la moglie Karoline; sono sempre stati nel piccolo, concentrati a rafforzare alcuni concetti essenziali che vi racconteremo in questo articolo. Dal 2021 stanno attuando un importante progetto di ampliamento con l’introduzione anche della mescita, ma è davvero interessante appurare che le attenzioni di Patrick e line, quelle fondanti, non si spostano di un centimetro dal sentiero percorso finora.

Il pensiero

Quali attenzioni? L’azienda Dornach fa agricoltura biodinamica e punta a un moto circolare in tutte le sue attività.

“Cerchiamo di autoprodurre il più possibile per consolidare una vera identità agricola. L’ambizione è che tutto, tutto ciò che ci è possibile produrre, derivi dall’azienda. Faccio un’ osservazione: se acquistassimo altrove i fertilizzanti, anche quelli consentiti per il regime biologico, altereremmo il biota che abita i nostri terreni. Utilizzando, invece, lo stallatico derivato dagli animali dell’azienda, unito alle nostre vinacce, valorizziamo le espressioni del nostro territorio. La natura in cui si inserisce l’uomo deve essere un cerchio che si chiude”.

Patrick si è affacciato a questo settore negli anni 2000 sviluppando un pensiero e un modo di rapportarsi agli eventi della natura che, per certi versi, sono rassicuranti. E potrebbero davvero stimolare anche chi desidera approcciare all’attività rurale.

54 | luglio 2023
Il vino Clicca e leggi l’articolo sul web

“Quando ho iniziato questo mestiere ho capito subito che non potevo essere dalla parte di chi si lamenta. A ben guardare potremmo lamentarci sempre di ciò che accade in natura. Una stagione è secca, l’altra è troppo piovosa, l’altra ancora è segnata da attacchi che non vorremmo. L’unico modo per rapportarsi e fare del proprio meglio è ragionare in funzione di ciò che accade e poi agire con il buon senso”.

Dornach ha come attività principale quella vinicola

Proprio per il discorso sulla circolarità - cioè che ogni cosa è legata all’altra - non si possono definire accessorie le altre attività, ma complementari. Hanno l’allevamento di bovini, avicoli, asini, capre e pecore. Le ultime, quando è stagione, fanno pascolo in alpeggio; lo stesso per i bovini e i vitelli che in estate vanno al pascolo. L’autoproduzione riguarda anche gli ortaggi e la frutta, mentre le erbe e le insalate spontanee vengono raccolte dai campi. Considerare chi lavora nei campi estraneo al mondo e ai sistemi di connessione e promozione moderna è un altro grave errore. Patrick, a tal proposito, aggiunge proprio un commento sul mondo della comunicazione.

“Questo è un lavoro di esperienza, impegno e sacrifici. Vedo spesso concentrare gli sforzi sulle operazioni di marketing e storytelling. È importante raccontare, lo diciamo anche noi e cerchiamo di farlo con semplicità, ma prima bisogna che ci sia qualcosa di vero da mettere sul piatto. Un pensiero concreto, rispettato e rispettabile. Un significato vero nelle azioni di un’azienda e di un progetto”.

I vini Dornach

La varietà dell’uva non è il fine… ma il mezzo. È un concetto semplice quanto non così scontato, che Patrick difende a spada tratta. “Non sono un appassionato delle varietà. In un certo senso metto le varietà a disposizione della tipologia di vino che ho in mente. Pensare che un’uva si esprima in modo uniforme, solo perché è della stessa varietà, è un errore. Il raccolto di una stessa varietà è una commistione di geologie e tratta diversi, per cui a quel punto mi servo delle varietà per produrre qualcosa di unico e mai uguale a se stesso”.

In totale Dornach dispone di circa sette ettari che comprendono Pinot Bianco, Pinot Grigio, Pinot Nero, Chardonnay, Manzoni Bianco e Gewustraminer. A questi vitigni si aggiungono dal 2013 i Piwi. Per anni i vini sono stati ripartiti in modo originale, con i numeri e trovate grafiche per distinguere le selezioni dai vini da beva. Molti di voi le ricorderanno.

Oggi Patrick può raccontarci una nuova organizzazione “Abbiamo da poco definito tre categorie che prendono il nome dai nostri figli. Louis, Aurélie, Cécile. L’ultima categoria include solo i vini ottenuti dai Piwi, ovvero dai

vitigni resistenti, su cui noi crediamo da tanto tempo. Questa piccola rivoluzione interna è servita per facilitare il ristoratore nel racconto dei nostri prodotti”.

Opportuna, a questo punto, la domanda sul rapporto con i ristoranti.

“Credo che il rapporto tra ristoratore e viticoltore debba essere molto di più di un mero scambio. Ci dev’essere progettualità e visione comune per dare un significato all’acquisto e al servizio. Idealmente i miei vini dovrebbero arrivare solo da chi è allineato al nostro pensiero. Non è facile, ma se posso dare un suggerimento ai ristoratori e ai viticoltori… conosciamoci, conosciamo le persone che acquistano il vino e quelle che lo producono!

Non è facile, le distanze e gli impegni non aiutano, ma almeno documentiamoci”.

Un progetto che cambia

L’evoluzione di Dornach è avvenuta con calma. Ora a fianco all’attività agricola ed enologica c’è quella di mescita e poi, progressivamente ci sarà un ampliamento con l’introduzione del fronte gastronomico.

Patrick ci racconta quanto più che essere una scelta di business sia una scelta fisiologica:

“Quando si lavora su sè stessi è normale che si senta il bisogno di trovare completamento, di evolvere anche in ciò che si fa. Inoltre, quando si ha a cuore qualcosa, come noi abbiamo a cuore questa attività, il fare diventa coinvolgente al punto da generare sviluppo”.

Tenuta Dornach Patrick Uccelli Via Dorna, 12, 39040 Salorno BZ Tel. 338 697 3946 www.ansitzdornach.it
55 | luglio 2023
Karoline e Patrick Uccelli

sui viaggi sostenibili

Nei mesi scorsi Booking.com ha pubblicato una nuova ricerca, con approfondimenti raccolti su oltre 33.000 viaggiatori in 35 Paesi e territori, dove viene messo in evidenza il dilemma davanti a cui si trovano le persone nel momento in cui sono costrette a scegliere fra tagliare i costi o provare a fare scelte più sostenibili per i propri viaggi. In un momento di generale incertezza globale, viaggiare in modo più sostenibile continua a essere una priorità, come dimostrano più dei tre quarti (79%) delle persone che pensano che sia necessario agire ora e fare scelte più sostenibili per salvare il pianeta per le generazioni future.

I media continuano a essere un fattore chiave per il 61% delle persone, che dicono che le recenti notizie sui cambiamenti climatici le hanno incoraggiate a essere più sostenibili, ma si parla sempre più anche del dilemma nel decidere quando, dove e come viaggiare in modo più consapevole. Mentre più della metà (61%) pensa che la situazione ambientale peggiorerà nei prossimi sei mesi, l’81% crede che anche l’attuale crisi riguardante il costo della vita peggiorerà, lasciando le persone nel dubbio su come riconciliare ciò che è importante per loro con le esigenze pratiche della vita quotidiana.

Due aspetti da conciliare in un clima d’instabilità globale

Il clima economico è cambiato drasticamente dall’anno scorso e oggi gli argomenti che preoccupano di più le persone sono la crisi del costo della vita e la crisi climatica. Oltre i tre quarti (78%) dei viaggiatori affermano di voler viaggiare in modo più sostenibile nei prossimi 12 mesi, mentre l‘84% pensa che la crisi energetica globale e l’aumento del costo della vita stiano influenzando le spese che hanno in programma. Per alcuni viaggiatori i due aspetti si escludono a vicenda. Con l’aumento dell’inflazione, quasi la metà dei viaggiatori è obbligata a dover scegliere tra sostenibilità e prezzi, e il 50% ritiene che le opzioni di viaggio più sostenibili siano troppo costose (+40% rispetto ai dati del 2022 di Booking.com). Per questi intervistati, la sostenibilità nei viaggi può sembrare una questione non urgente rispetto alle bollette da pagare e alla crisi energetica. Allo stesso tempo però, con il ritorno dei viaggi e un’attenzione più forte verso le scelte consapevoli, il 36% dei viaggiatori di oggi sarebbe disposto a pagare di più per le opzioni di viaggio con una certificazione sostenibile, per avere la certezza di generare un impatto positivo. Un numero crescente di persone si trova a dover affrontare questa situazione difficile e quindi cerca opzioni di viaggio più sostenibili che però offrano vantaggi, evidenziando la necessità di trovare un compromesso tra fare scelte consapevoli, risparmiare denaro e il bisogno di incentivi. Poco più della metà (51%) delle persone vogliono sconti e incentivi economici per scegliere opzioni più amiche dell’ambiente

L’analisi
Autore: Redazione Booking.com
Booking.com
Il report
56 | luglio 2023
Clicca e leggi l’articolo sul web

(+45% rispetto al 2022), mentre il 35% sarebbero incoraggiate a viaggiare in modo più sostenibile se ricevessero punti fedeltà per scegliere opzioni più sostenibili, da utilizzare per ottenere vantaggi gratuiti o sconti extra sui siti di prenotazione di viaggi.

L'urgenza di agire subito

In un momento di incertezza generale a livello globale, con le problematiche legate al cambiamento climatico e all'aumento del costo della vita, viaggiare in modo più sostenibile continua a essere un obiettivo primario per i viaggiatori.

Abbattere le barriere per guidare il cambiamento

Non sono solo i prezzi a rappresentare un ostacolo ai viaggi più sostenibili. Le barriere, infatti, sembrano più alte che mai e vanno dall’avere dati limitati alla scarsa disponibilità di opzioni, e gli ultimi 12 mesi hanno mostrato cambiamenti significativi. Più della metà (53%) dei viaggiatori ritiene che non ci siano abbastanza opzioni di viaggio sostenibili, mentre il 75% vorrebbe che le compagnie di viaggio offrissero scelte più sostenibili (dato in crescita rispetto al 71% del 2022). Nonostante le buone intenzioni, il 45% dei viaggiatori non sa dove trovare opzioni più sostenibili. Per esempio, il 77% cerca esperienze autentiche che siano rappresentative della cultura locale, ma il 41% non sa come o dove trovare questi tour e quelle attività che possono contribuire alla comunità locale.

Adottare micro-abitudini sostenibili in vacanza

Nonostante le barriere esistenti e l’inasprimento delle spese, è chiaro che c’è un enorme interesse per soluzioni più sostenibili, come dimostrano i quattro viaggiatori su cinque (89%) che confermano che viaggiare in modo più sostenibile è importante per loro. I viaggiatori affermano che stanno convertendo l’intenzione in azione compiendo piccoli passi attivi a casa e durante i viaggi, per promuovere un futuro più sostenibile. Tra i dati attuali più incoraggianti rientrano il 73% di persone che usano borse della spesa riutilizzabili, l’80% che fa la raccolta differenziata e il 54% che usa una borraccia per l’acqua, oltre all’aumento significativo nell’ultimo anno dei viaggiatori

Il 78% dichiara di voler viaggiare in modo più sostenibile nei prossimi 12 mesi

Il 79% crede che le persone debbano agire adesso e fare scelte sostenibili per preservare il pianeta per le generazioni future

che hanno continuato a seguire queste buone abitudini quotidiane anche in vacanza.

• Il 70% delle persone spegne l’aria condizionata quando non si trova fisicamente nell’alloggio prenotato (+37% rispetto al 2022)

• Il 65% riutilizza lo stesso asciugamano più volte (+33% rispetto al 2022)

• Il 54% usa una borraccia riutilizzabile per l’acqua (+34% rispetto al 2022)

Quasi i tre quarti degli intervistati (74%) affermano di spegnere le luci e gli elettrodomestici negli alloggi quando non ci sono, mentre più della metà (58%) ora fa la raccolta differenziata in viaggio. Un aspetto ancora più promettente è come i viaggiatori si stiano attivando per fare scelte consapevoli in vacanza che vadano oltre queste micro-abitudini quotidiane. Quando si tratta dei trasporti, il 47% organizza le proprie visite turistiche in modo da poter camminare, andare in bicicletta o prendere i mezzi pubblici, mentre il 45% viaggia al di fuori dell’alta stagione per evitare la folla, entrambi dati in aumento del 34% rispetto al 2022. I viaggiatori concordano anche sul fare acquisti in negozi locali durante la propria vacanza,

L’ 84%

pensa che la crisi energetica globale e l'aumento del costo della vita stiano influenzando i loro piani di spesa

Con l'aumento dell'inflazione, i viaggiatori sono frenati dall'idea di dover scegliere tra sostenibilità e spesa. Per queste persone, sostenibilità e viaggi insieme possono sembrare non urgenti quando sono preoccupate per le bollette e la crisi energetica.

Dall'altro lato, altri sono tornati a viaggiare come prima e con un'attenzione più urgente alle scelte consapevoli:

Il 50% Il

ritiene che le opzioni di viaggio più sostenibili siano troppo costose

sarebbe disposto a pagare di più per le opzioni di viaggio con una certificazione ambientale

Le 3 percentuali più alte 80% 75% 72%

India

Vietnam

Kenya

Belgium & Japan

Croatia

Il 45% vorrebbe ricevere consigli su come viaggiare in modo più sostenibile e con un budget limitato

Israel

Le 3 percentuali più basse

(aumento rispetto del 74% rispetto al 2022) L’ 89% conferma di considerare importante viaggiare in modo più sostenibile Le 4 percentuali più alte 99% 97% 96% 96% 65% Israel 65% Belgium 62% Netherlands 55% Denmark Le 4 percentuali più basse India Philippines Kenya Vietnam 4
12 mesi primo piano
2023 India 66% Average 49% Indonesia 32% Il 50% ritiene che le opzioni di viaggio più sostenibili siano troppo costose (in aumento del 10% rispetto al 2022)
cambiato ultimi
oggi costo della vita e
22% 20% 19%3
6
36%
57 | luglio 2023

con il 47% intenzionato a supportare i piccoli negozi indipendenti.

Fiducia, verità e il settore dei viaggi

Con la crescente ansia climatica, i viaggiatori stanno diventando consumatori sempre più responsabili da molti punti di vista, dagli alloggi ai trasporti scelti. Come dimostrano i due terzi (76%) dei viaggiatori desiderosi di lasciare i luoghi che visitano meglio di come li hanno trovati. Le persone adottano sempre più un approccio rigenerativo al viaggio e cercano vacanze che abbiano il massimo impatto positivo, oltre a garanzie credibili al momento della prenotazione per l’intera esperienza di viaggio. Ad esempio, ora i viaggiatori possono filtrare facilmente i risultati di ricerca delle auto a noleggio per trovare rapidamente veicoli 100% elettrici e ibridi in 111 Paesi. Oppure possono scegliere una delle oltre 500.000 opzioni più sostenibili per il prossimo soggiorno, indipendentemente dal tipo di alloggio. Quasi due terzi (65%) si sentirebbero meglio a soggiornare in un alloggio specifico se sapessero che ha una certificazione o l’icona che li identifica come più sostenibili, mentre il 60% vuole filtrare le opzioni disponibili per vedere quelle con una certificazione sostenibile la prossima volta che prenotano. Per rispondere a tali necessità, il settore dei viaggi deve adattarsi per soddisfare le mutevoli aspettative di questi consumatori più consapevoli, per accogliere il terzo (30%) delle persone che cercano sempre marchi che promuovano la sostenibilità, così come il 73% di chi vuole sapere di più sul motivo per cui alcune opzioni sono riconosciute come più sostenibili (per esempio quelle che usano l’illuminazione a LED ad efficienza energetica o servizi igienici a basso consumo idrico). Tuttavia, più di una persona su quattro (58%) oggi non si fida del fatto che le opzioni di viaggio indicate come sostenibili lo siano veramente, quindi il settore dei viaggi ha ancora enormi passi da fare per conquistare la fiducia dei consumatori.

Aiutare tutti a trovare più facilmente le soluzioni di viaggio più sostenibili

Da quando Booking.com ha festeggiato un anno del suo Programma Viaggi Sostenibili nel novembre 2022, le nuove funzionalità e gli sviluppi includono:

• Ora i viaggiatori possono trovare e prenotare opzioni più ecologiche per i taxi in 95 città in tutto il mondo, semplicemente cercando la dicitura “Auto 100% elettrica” nei risultati di ricerca.

• Per trasparenza sull’impatto dei propri voli, oltre a poter confrontare le emissioni di CO2 per diverse opzioni, i clienti vedranno presto delle etichette che indicano quando una determinata rotta o un vettore offrono un’opzione con emissioni inferiori.

• I biglietti per i trasporti pubblici sono disponibili dopo aver effettuato la prenotazione di un alloggio in 47 città in tutto il mondo, tra cui Londra, Amsterdam, Bangkok e Melbourne.

Il 65% si sentirebbe meglio a soggiornare in una struttura se sapesse che ha una certificazione sostenibile

Il 60% vuole poter filtrare le strutture in base a quelle con una certificazione sostenibile la prossima volta che effettua una prenotazione

Il 73% è interessato a saperne di più sui motivi per cui determinate opzioni sono considerate più sostenibili

In risposta a queste esigenze, il settore dei viaggi deve adattarsi per soddisfare le mutevoli aspettative di questi viaggiatori più consapevoli e fare passi da gigante per conquistare la loro fiducia:

Il 58% non si fida del fatto che le opzioni di viaggio indicate come sostenibili siano poi davvero più sostenibili

Il 55% apprezza quando i marchi offrono prodotti o servizi più sostenibili, ma non sempre questo influenza la loro decisione

Il 30%

è sempre alla ricerca di marchi che promuovono la sostenibilità

Il 6% acquista solo prodotti e servizi di marchi che promuovono la sostenibilità

• “Nonostante il ritorno dei viaggi, l’aumento del costo della vita e l’ansia climatica hanno portato a una maggiore domanda di opzioni più economiche e rispettose del pianeta”, ha affermato Glenn Fogel, CEO di Booking.com. “I viaggi possono davvero essere una forza positiva e i viaggiatori stessi stanno dimostrando di essere gli artefici del cambiamento già oggi, adottando abitudini di viaggio più sostenibili e cercando esperienze responsabili. Stiamo ascoltando queste esigenze e, insieme ai nostri partner dell’intero settore, stiamo guidando un cambiamento positivo ed esaminando tutti gli elementi dei viaggi per supportare i viaggiatori e avere un impatto positivo sulle comunità e sugli ecosistemi locali. Viaggiare in modo più sostenibile è un investimento per il mondo intero e per questo ci impegniamo a rendere più facile per tutti farlo in modo più consapevole e responsabile, indipendentemente da dove si trovino nel loro percorso verso la sostenibilità”. verità dei responsabili in crescente clima, scelte di conseguenza, credibile delle l'intera

61% 13% Croatia India
India Denmark & Japan 49% 2% India Indonesia 58% 23% 1 0 13 58 | luglio 2023

Le persone

Autore: Bruno Damini

Ferrán Adriá si è congratulato per l'originalità del suo vermut. Per Martín Berasategui è il migliore mai assaggiato e ne rifornisce i suoi ristoranti pluristellati. Davide Musci, il suo creatore, sta cercando un distributore in Italia che sappia valorizzare il suo “Primo de Lanzarote” da Malvasia Volcánica collocandolo nei luoghi giusti, in piccole quantità.

Davide Musci ha lavorato a lungo nel mondo della comunicazione e della TV seguendo le orme del fratello che lavorava a Roma con Alan Friedman. Prima come cameramen poi come coproduttore fornisce gli approfondimenti, dai TG ai talk show, a canali come La 7, Sky Tg 24. Per rompere l’ansia quotidiana per le dirette apre un ristorante di cucina piemontese al Testaccio, il “Satollo”, che gli costa sacrifici economici e fisici: da 10 ore allunga le giornate lavorative a 15 ore. Nonostante sia alla prima esperienza nel mondo della ristorazione il locale ha subito successo.

La gastronomia è sempre stata una passione coltivata in famiglia dalla madre Marinella e dal padre Domenico. Quest’ultimo, in particolare, è stato un imprenditore e un eclettico intellettuale, scrittore, storico dell’alimentazione piemontese, pittore e scultore di vaglia.

Dopo quattro anni di superlavoro al ristorante, nel 2012 Davide con la sua compagna decidono di offrire al figlio appena nato un’esistenza meno frenetica emigrando a Lanzarote, isola che li aveva stregati in sette anni di vacanze estive, con i suoi paesaggi lunari, dove si può percepire la forza dell’oceano, dei venti Alisei e il “magnetismo” dei vulcani sparsi su tutta la sua superficie.

I terreni sui fianchi dei vulcani sono ricoperti di lapilli e cenere vulcanica, metà dell’isola è emersa dal mare con l’eruzione del vulcano Tinguaton nel 1730, e i contadini con immensi sforzi vi hanno piantato

Primo de Lanzarote: un vermut canario con l’anima torinese
Davide Musci
59 | luglio 2023
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e coltivato la vite. È una viticoltura eroica, resa ancora più difficile dal fatto che non ci sono sorgenti. L’endemica scarsità di pioggia (fino a 150 mm all’anno) e la vicinanza con l’Africa fanno sì che sia un miracolo che a Lanzarote si possa coltivare la vite sfruttando l’umidità portata dall’Atlantico dalla benefica azione degli Alisei assorbita dai lapilli vulcanici grazie all’escursione termica notturna in grandi buche che proteggono le vigne. La popolazione locale ha imparato a fare così anche nelle case dotate di cortili che raccolgono l’umidità notturna. Particolari sono le forme di allevamento della vite: la tradizionale hoyos e la moderna zanjas. Entrambe richiedono un grande lavoro di costruzione e manutenzione, con costi elevati che si riflettono sul prezzo del vino. Il primo metodo consiste nello scavo di una fossa dove si piantano da una a tre viti proteggendole con muretti semicircolari alti 50-70 cm. Negli impianti più vecchi (anche di 2-300 anni) la profondità e l’ampiezza delle fosse sono maggiori (talvolta senza la protezione dei muri), il che comporta una limitata quantità di piante per ettaro. Alcune fosse ospitano anche tre o quattro esemplari e possono produrre fino a 80 kg di uva. Come tutte le varietà presenti alle Canarie, sono viti pre-fillosseriche, a piede franco, coltivate a piccolo alberello. Lo spettacolo dei vigneti sull’isola di Lanzarote è unico nel suo genere. Davide ne rimane affascinato fin da subito perché l’uomo ha disegnato un paesaggio unico con questo metodo di coltivazione. Su quell’isola la coppia deve reinventarsi completamente la vita. Lui comincia a lavorare in un hotel preparando le colazioni e gestisce case vacanza. Sogna di produrre di-

stillati con le vinacce dei vitigni autoctoni presenti sull’isola, poi arriva l’illuminazione: un piemontese a Lanzarote potrebbe produrre vermouth. Sull’isola nessuno lo faceva mentre in Spagna ne consumano tantissimo, a Madrid in modo particolare. Ci sono bar solo di vermut, così lo chiamano gli spagnoli. La capitale di questa bevanda è Reus, in Costa Daurada, a sud della Catalogna, a pochissimi chilometri da Tarragona, dove il vermut fa parte dei riti quotidiani.

Lui comincia i primi esperimenti per mettere a punto una ricetta personale utilizzando uve di Malvasía Volcánica, la regina delle varietà locali da cui si ricava un bianco secco con una gradazione intorno ai 12.50. Il vermut è un vino aromatizzato cui si aggiunge la macerazione alcolica di alcune botaniche tipiche dell’isola per dare al prodotto una propria identità. Per dotarlo di una nota citrica utilizza la scorza fresca d’arancia delle Canarie. China, genziana, rabarbaro provengono da altri paesi, soprattutto l’Assenzio maggiore (Artemisia absinthium) arriva dal Piemonte. La storia racconta che il vèrmot, come lo chiamano i piemontesi, fu industrializzato nel 1786 da Antonio Benedetto Carpano a Torino che ne scelse il nome riadattando il termine  Wermut con cui in tedesco viene denominata l’Artemisa Maggiore, da cui le varie coniugazioni, vermouth in francese, vermut o vermutte.

Nasce così così il primo vermut prodotto nelle isole Canarie

Etichetta le prime 2.000 bottiglie come «Primo de Lanzarote», assommando due significati: in spagnolo primo

60 | luglio 2023

significa cugino ma è anche un intercalare di uso ricorrente, come “amico”, “fratello”, “compare”. Ma sta anche per primero, perché non c’era mai stato un vermouth prodotto a Lanzarote. E per lanciarlo in modo inequivocabile crea il claim “Encuentra tu Primo”, giocando sull’ambiguità semantica, perché nelle isole tutti sono più o meno primos, cugini di sangue o amici, primi fra primi. Musci usa vino che acquista da un coltivatore con una cantina familiare, al quale deve tantissimo. Non potendosi permettere l’acquisto di una cantina ha la fortuna di poter usare le loro attrezzature e una parte degli spazi per la lavorazione, dalla macerazione fino all’imbottigliamento. All’inizio di questo progetto visionario erano in tre soci, ora continua da solo e sta per associarsi a una cantina più grande e piuttosto prestigiosa.

Adesso produce circa 9.000 bottiglie di vermut bianco e rosso e punta a un mercato molto attento alla qualità.

Il primo grande riconoscimento ai suoi sforzi è arrivato a Madrid Fusion quando lo chef più titolato di Spagna, Martin Berasategui, gli disse che si trattava del miglior vermut che avesse mai provato e cominciò a comprarglielo per i suoi ristoranti pluri-stellati Michelin. Anche Ferrán Adriá si è congratulato per l’originalità del suo vermut.

Ora Davide, nella prospettiva di aumentare la produzione, si augura di trovare un distributore anche per l’Italia, qualcuno che sappia valorizzare il prodotto e offrirlo a chi possa apprezzarlo appieno, sempre con l’idea di continuare a soddisfare per prima la richiesta a Lanzarote e con la consapevolezza di non potere corrispondere ai

grandi numeri della GDO. Il prezzo di vendita al pubblico del “Primo” a Lanzarote è dai 16 ai 18 Euro; nelle altre isole delle Canarie dai 17 ai 19 Euro, mentre in Spagna, gravato dei costi di trasporto, finisce per superare i 20 € anche se lui evita di andare oltre per non essere fuori mercato. Considerando il tanto lavoro che c’è dietro e i costi delle materie prime, un litro di vino sull’isola costa intorno ai quattro euro, spezie, erbe aromatiche, bottiglia, etichetta e tappo sono altri 3 Euro; aggiungendo i costi della distribuzione i margini sono piuttosto ridotti, ma in questo processo anche la soddisfazione ha un forte peso.

Avd Central 99, Tias. Lanzarote

Telefono 0034 928 944 966

Commerciale 0034 660300545

www.primodelanzarote.com

vermut@primodelanzarote.com

Ferran Adrià con Davide Musci Vermut PRIMO de Lanzarote
61 | luglio 2023

Il territorio e la ristorazione

Gli agrumi nella cucina del Sud

Versatili, salutari e aromatici trovano sempre più spazio nei piatti contemporanei

Sono tra i frutti più utilizzati nelle cucine meridionali, merito delle tante eccellenze che impreziosiscono il territorio. Dalla Basilicata alla Sicilia, passando per la Puglia, la Campania e la Calabria, le varietà e le denominazioni si rincorrono in una geografia che segna il paesaggio e la cucina locale. Quella di ieri e quella di oggi, perché l’utilizzo degli agrumi in cucina non è un’abitudine recente, seppure si sia rafforzata con il tempo, la conoscenza e le tecnologie. Il loro utilizzo, in effetti, è cresciuto, superando il limite che li vedeva relegati in pasticceria.

L’introduzione degli agrumi nel Sud Italia

Il valore nutraceutico degli agrumi era chiaro già alla fine del XVIII secolo, quando sulle navi commerciali se ne caricavano grandi quantità per prevenire lo scorbuto, patologia causata da carenza di acido ascorbico.

Neutralizzare lo stress ossidativo e, di conseguenza, molte patologie umane legate all’invecchiamento:

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questo uno dei motivi principali per cui la vitamina C è essenziale per il nostro benessere.

È risaputo che l’origine degli agrumi è da ricercarsi in India, ma la storia del loro cammino e della loro evoluzione è molto lunga. Raggiunsero il Mediterraneo e l’Italia del Sud grazie agli Arabi, man mano si diffusero anche nelle altre regioni che oggi vantano ecotipi eccellenti.

La pratica di piantare agrumeti cominciò durante la loro dominazione in Sicilia, favorita dal clima locale e dalla fertilità del suolo. Da allora le superfici crebbero e si specializzarono, proprio come avvenne nelle altre regioni del Sud in base alle peculiarità dei singoli territori.

Le varietà più utilizzate in cucina

Se in un primo momento gli agrumi sono stati riservati alla realizzazione di bibite e di dolci, man mano che la ristorazione è cresciuta sono entrati in cucina molto più prepotentemente.

Ecco alcune delle varietà che trovano maggiormente spazio sui banchi da lavoro degli chef: Arancia Staccia di Tursi: si coltiva nel fondovalle dei fiumi Agri e Sinni, in Basilicata. Una leggenda narra che i Saraceni avevano l’abitudine di mangiarla sbucciata, tagliata a fette, coperta da cannella e cipolla, condita con un filo d’olio. Le bucce, invece, venivano raccolte dagli abitanti e bollite con lo zucchero. Lo sciroppo, chiamato giuleppo, veniva utilizzato per condire le costolette di maiale fritte nel lardo.

Arancia del Gargano IGP: dolce e succosa, matura tra aprile ed agosto e viene coltivata nel tratto costiero del Promontorio foggiano. Protagonista dei traffici commer-

ciali con Venezia nel Seicento, era menzionata e amata anche da Gabriele D’Annunzio.

Limone Costa di Amalfi IGP: la varietà è lo Sfusato Amalfitano, nome dovuto alla sua forma affusolata. Si caratterizza per una buccia medio spessa ricca di oli essenziali e terpeni ed è di dimensione medio grande. Il suo sapore semidolce gli consente di trovare largo spazio anche nella cucina tradizionale. Diffusa l’abitudine dei bar di servire il caffè espresso con una buccia di limone al suo interno.

Limone di Sorrento IGP: come il vicino Sfusato, anche questo ha una buccia spessa e di grandi dimensioni. Coltivato esclusivamente nei comuni della Costa di Sorrento, caratterizza il paesaggio per i tradizionali pergolati sorrentini costruiti in legno di castagno.

Bergamotto di Reggio Calabria DOP: 100 chilometri di costa jonica Reggina, sulla punta più a sud dello stivale, prospiciente allo stretto di Messina. È in quest’area dal clima tropicale temperato umido che cresce questo agrume. Qui si produce il 95% della produzione mondiale di bergamotto. Oggi impiegato soprattutto in profumeria, ha un passato in cucina come testimonia il menù di magro offerto nell’aprile del 1538 all’imperatore Carlo V, di passaggio per Roma.

Arancio biondo di Trebisacce: coltivato nel comune dell’Alto Jonio, questo agrume gode da una parte dell’influenza del mare e dall’altra del Massiccio del Pollino. Un frutto ovoidale che pesa in media 180 grammi, si caratterizza per il fatto che può rimanere sulla pianta fino a primavera inoltrata e inizio estate.

Arancia di Ribera DOP: assieme alla più nota arancia rossa di Sicilia, quella di Ribera impreziosisce le denomi-

63 | luglio 2023

nazioni siciliane. La sua coltivazione si estende lungo 14 comuni della provincia di Agrigento e i suoi frutti sono disponibili da inizio novembre a fine maggio. Polpa bionda e senza semi, la DOP comprende ben tre varietà.

Limone dell’Etna IGP: sono 16 i comuni pedemontani che rappresentano il suo areale di coltivazione. Le due cultivar sono Monachello e Femminello ed entrambe, grazie ad un’antica tecnica, che risale ad oltre 300 anni fa, riescono a produrre sia limoni estivi che invernali.

Limone di Siracusa DOP: coltivato tra il mare e l’entroterra nei dintorni di Siracusa, mai oltre i 210 metri. Si caratterizza per una elevata quantità di succo ed il disciplinare di produzione dispone il divieto assoluto di applicare cere e fungicidi prima del confezionamento, dunque, il frutto certificato è sempre commestibile in ogni sua parte.

La lista avrebbe potuto essere più lunga, la biodiversità agrumicola nell’Italia meridionale è entusiasmante. Un patrimonio sostenuto proprio da un rinnovato desiderio della ristorazione di dare rilievo alle tipicità locali.

Gli agrumi nella cucina contemporanea

Perfetti per le marinature e per aromatizzare, sdoganati nelle insalate e nei risotti, gli agrumi si sono rivelati particolarmente versatili in una infinità di altri modi. Interessante l’utilizzo nel pane di una sorta di farina ottenuta dagli agrumi, al fine di arricchirlo di buone fibre. E se le marmellate presenziano negli antipasti accanto ai formaggi, le zeste fanno bella mostra di sé nei primi piatti, il succo supporta carne e pesce, integrandosi anche nella

realizzazione di innumerevoli dolci.

Tra i classici celebri, tra gli altri, gli spaghetti al limone della Costiera amalfitana, così come appassiona l’abbinamento limone e alici negli antipasti. Negli ultimi anni, inoltre, da quando è cominciato il boom delle birre artigianali realizzate con i prodotti tipici, le aromatizzazioni con gli agrumi si sono moltiplicate grazie al consenso dei consumatori.

Il Birrificio Sorrento è nato proprio partendo da due birre agli agrumi: una con bucce fresche di limoni di Sorrento IGP e l’altra con bucce fresche di arance di Sorrento. Medesima scelta per Birra del Gargano che elegge l’arancia del Gargano IGP per la Blanche e per la birra scura di ispirazione anglosassone Porto Galla. Esperienze similari anche per il Birrificio dell’Etna in Sicilia che ha realizzato una American Pale Ale con le scorze del limone dell’Etna. Molti altri, anche nel segmento industriale, hanno scelto il succo per realizzare le proprie Radler.

Impossibile non citare, per il fine pasto, un intramontabile classico: il limoncello. Tradizionale, ma sempre verde, resta un simbolo (assieme alle granite) in tutte le zone costiere dove si coltivano agrumi.

64 | luglio 2023
Il limone di Roccaimperiale

La produzione

Pomodori pelati Big Chef

Il pomodoro pelato è un must della Dieta Mediterranea ed è un elemento ormai indispensabile nelle cucine di ogni ristorante e pizzeria del mondo, in particolare nel nostro Paese.

Raccolti quando l’estate li porta al massimo della loro maturazione vengono pelati delicatamente a vapore e prontamente confezionati per mantenere inalterato tutto il sapore e il profumo del pomodoro fresco. Polposi e consistenti, sono immersi integri in una salsa cremosa. Particolarmente versatili in cucina, utilizzabili insieme alla loro salsina, interi, tagliati a pezzi o a filetti, si prestano a cotture sia brevi che lunghe.

Un po’ di storia

Un ortaggio che, come ormai si sa, che è arrivato in Italia dopo la scoperta dell’America ma che, per lungo tempo, non è stato utilizzato come ingrediente in cucina. Si è ipotizzato che le prime varietà introdotte in Europa contenessero solanina in quantità così elevata da risultare indigeste. Per questo fu utilizzato come pianta ornamentale o medicinale e a scopo di studio negli orti botanici con una diffusione assai limitata. Solo successive selezioni varietali portarono il pomodoro alla sua completa commestibilità. Fu nel ’700 che ebbe inizio il periodo della “sperimentazione” gastronomica che sfocerà nell’800 nella diffusione più ampia che noi oggi conosciamo.

Il pomodoro pelato in cucina e in pizzeria

La versatilità dei pomodori pelati ne fa uno degli ingredienti salvavita per molti chef e pizzaioli. In pizzeria il

e leggi l’articolo sul web

suo consumo è ormai illimitato, ammontano infatti a circa 260 milioni i chilogrammi di salsa di pomodoro che ogni anno vengono usati in Italia per la preparazione della pizza.

Nella ristorazione, invece, viene utilizzato su centinaia di ricette ma la sua vera natura la offre in un semplice spaghetto pomodoro e basilico, una delle ricette più ‘difficili’ da eseguire nella sua perfezione.

Per questo Cateringross ha scelto di avere un prodotto a proprio marchio nella gamma del ‘rosso’, come comunemente si chiama: il pomodoro pelato Big Chef, in due versioni e in latte da 2,5 kg, ideali per l’utilizzo professionale.

Il pomodoro pelato Big Chef ha tutte le caratteristiche richieste a un ottimo ingrediente gastronomico: è italiano, raccolto nel pieno dell’estate, confezionato immediatamente e consegnato al ristorante seguendo efficacemente tutta la logistica. Con un prezzo assolutamente concorrenziale pur garantendo una qualità assoluta.

Big Chef, un amico in cucina

Il marchio Big Chef, di proprietà esclusiva del gruppo Cateringross, ha una storia decennale e racchiude tutte le specialità grocery che servono in una cucina professionale. Attraverso la rete degli associati Cateringross il professionista della ristorazione può contare su un servizio esclusivo che lo mette al riparo da concorrenza di prezzo e di qualità: due condizioni essenziali per competere su un mercato, quello del fuoricasa, che ripartirà nel volgere dei prossimi mesi su basi completamente nuove.

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Consistenza, profumo, gusto ineguagliabili 65 | luglio 2023

SCEGLI I POMODORI PELATI BIG CHEF

Autenticità e sapore inimitabili

Prodotti indispensabili per la tua cucina

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www.cateringross.net

I libri

Autore: Luigi Franchi

L’idea di questa guida di Vincenzo D’Antonio è semplice ma geniale. Risponde ai bisogni di quei turisti che fanno dell’enogastronomia italiana un vero motivo di viaggio ma che, a volte, si fermano davanti alla difficoltà di trovare il giusto posto per dormire dopo una bella serata a cena.

Con Italian D&B il problema è risolto: si dorme nello stesso luogo della cena e ci si può lasciar andare a una buona bottiglia di vino senza rischi.

Italian D&B sta per dinner & bed, mangiare e dormire e riunisce 100 indirizzi da ogni regione testati direttamente da Vincenzo D’Antonio. Si tratta di locali stellati e di locande e osterie. La selezione è data semplicemente dalla qualità delle persone che gestiscono questi luoghi, una qualità che si esprime in competenza e passione, in naturale talento in cucina o in sala, nella capacità di creare quell’atmosfera che ti fa dire: qui si sta bene davvero.

Ma non è finita qui! Nella guida, edita da Cinquesensi Editore e di conseguenza una garanzia ulteriore, ci sono anche indirizzi dove andare a degustare i prodotti tradizionali e i vini dei luoghi prescelti, ma anche bere un ottimo caffè nel bar adatto. Vincenzo D’Antonio ha fatto davvero un lavoro di fino, con il suo linguaggio, a volte aulico, stimola la voglia di visitare questi 100 luoghi e chiediamo a lui come gli è venuta l’idea di questa guida.

“Non è una guida, tengo a precisarlo. Non ci sono punteggi, non ci sono simboli. C’è semplicemente il desiderio di raccontare un’Italia a volte nascosta agli occhi dei più. È l’Italia più ammirata quella che ho scelto di descrivere in cento brevi racconti. Non ci sono ristoranti d’hotel, sono invece i ristoranti che offrono il pernottamento, strutture che al massimo hanno 24 stanze a disposizione ma, nell’80% dei casi ne hanno meno di dieci, a volte solo una. Come mi è venuta l’idea? Ho sempre pensato quanto mi scocciasse l’idea di andare a cena e non vivere la serata in modo completamente rilassato. Pensavo: quanto sarebbe più bello alzarmi dal tavolo, aver bevuto una buona bottiglia, non correre nessun rischio, non addormentarsi al volante, non essere fermato per fare l’alcool-test. Dormire qui sarebbe la soluzione ideale. E sapevo che quello è il pensiero di tante persone, potenziali acquirenti del libro”. Un anno di lavoro non appena finito il lockdown e via, a scoprire, sperimentare, scrivere in attesa di un editore intelligente.

“Ho trovato in Sara Vitali, di Cinquesensi Editore, la casa editrice che pubblica anche i Quaderni della Fondazione Gualtiero Marchesi, la persona giusta. Sensibile al bello, capace di giudicare la qualità di un prodotto editoriale, rapida nelle decisioni. Proprio quello che ci voleva per questo libro” spiega Vincenzo D’Antonio.

Un’ultima nota: molti dei locali citati fanno anche parte di Amodo, la rete dei ristoranti etici. Una garanzia ulteriore.

Italian D&B 100
ristoranti di qualità con camere di charme
Italian D&B 100
ristoranti di qualità con camere di charme
67 | luglio 2023
Vincenzo D'Antonio e Franco Pepe
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Amodo, la rete dei ristoranti etici

Autore: Luigi Franchi

Augusta, cucina e cicchetto Una storia di famiglia

Cosa porta due fratelli – Gianluca e Gianpaolo Raschi – titolare di un ristorante affermato e stellato ad aprire un bistrot nel centro storico di Rimini?

Lo abbiamo chiesto direttamente a loro, separatamente, prima ancora di varcare la soglia di Augusta, cucina e cicchetto e la risposta sembrava uscita da un registratore tanto risultava identica, ma era vera, sincera, piena di un entusiasmo tipico di un giovane alle prime armi (e non è il loro caso, vista l’esperienza accumulata in questi anni): “La memoria, il ricordo di una bontà gastronomica che altrimenti sarebbe, con il tempo, scomparsa, quella di nostra nonna, Augusta. E la voglia di tornare a divertirsi facendo questo lavoro”.

Augusta, la moglie di Guido

Guido era il nonno di Gianluca e Gianpaolo. A lui è dedicato il ristorante, stellato dal 2008, che i fratelli Raschi gestiscono sulla spiaggia di Miramare. All’inizio era una baracchina con il bar, la cucina, l’affitto degli ombrelloni e degli sdrai. Un inizio datato 1946, appena finita la guerra, con il bisogno degli italiani di dimenticare gli orrori, tornare a vivere, a sorridere. In quella baracchina Guido e sua moglie Augusta hanno visto nascere migliaia di amori e hanno regalato gioia a migliaia di palati. Augusta era una cuoca eccezionale, con poco o nulla faceva nascere ricette di un sapore irraggiungibile. Gianluca e Gianpaolo sono cresciuti con quel gusto in bocca e nella mente. Non lo hanno mai dimenticato e, nonostante abbiano fatto di quella baracchina un raffinato ristorante sulla spiaggia di Miramare evidentemente la memoria non gli dava tregua. “È proprio così. Dovevamo fare qualcosa che non

Gianluca e Gianpaolo Raschi con Augusta
68 | luglio 2023
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potevamo realizzare qui da Guido” ci rispondono. Da quel momento parte l’idea, il nome lo avevano già in mente: Augusta. Non poteva chiamarsi in altro modo.

La ricerca del locale ha portato via un po’ di tempo ma anche qui l’idea era chiara: andare nel cuore della città, nel centro storico di Rimini, una dimensione completamente diversa dal mare, dalla spiaggia.

“Volevamo valorizzare un luogo che, molte volte, non è considerato dai turisti. Fino a pochi anni fa il turista che veniva a Rimini non immaginava neppure che vi fosse una città con così tanta storia alle spalle. – ci dicono – E volevamo creare le condizioni dove vivere un’esperienza di casa. Come andare a trovare la nonna che ti accoglie con un bicchiere di vino e un piatto di minestra, ti abbraccia e ti fa sentire a casa spalancandoti la porta del giardino”.

Ebbene, ci sono riusciti!

Augusta, cucina e cicchetto

Questo è il nome completo del locale. Un ristorante-bistrot dove tutto sa di memoria, di divertimento, di bellezza. A cominciare dai piatti dipinti appesi a una parete che erano il premio per chi vinceva le gare in spiaggia di mangiatori di spaghetti senza le mani.

Sembra preistoria ma fino agli anni ’80 del secolo scorso erano gare molto ambite.

Un grandissimo specchio allarga lo spazio interno di Augusta, i tavoli sono ben distanziati tra loro, gli spazi estremamente curati ma la bellezza dà il meglio di sé nel giardino interno. Un luogo, anche questo, della memoria legata al cibo. Infatti, come rivela Oreste Delucca nel suo volume Toponomastica riminese: “la strada si chiamava Via delle Ghiacciaie perché quella intorno alla Cattedrale di Santa Colomba era la zona delle grandi vasche rotonde dotate di sistema di scolo che

venivano riempite di neve ghiacciata ed erano utilizzate per conservare per mesi gli alimenti deperibili: pesce, carne, verdure prima che nascesse il frigorifero”.

Una mappa napoleonica ne contiene quattro e la parete curva che si trova nel giardino di Augusta ne è testimonianza. Come è testimonianza il muro che racchiude una parte del giardino che è originario dell’epoca malatestiana.

In quel giardino, in estate, Gianluca e, quando non è da Guido, Gianpaolo, propongono i piatti della loro adoratissima nonna Augusta. Piatti rimasti impressi nella loro memoria che tornano in vita attraverso la formula dei cicchetti, 12 assaggi dalla cucina in quattro giri – alici marinate, canestrini gratinati, lumachine di mare, strozzapreti alle canocchie, fritto di calamari sono alcune delle proposte – oppure alla carta con i sardoncini, lo spaghettone alle vongole di nonna Augusta, seppia e piselli, fritto misto.

Un mangiare tradizionale di un sapore unico!

“Utilizziamo solo pesce locale e valorizziamo il più possibile prodotti che raccontino il bello e il buono del nostro territorio” spiegano i due fratelli. Quel bello e quel buono che hanno segnato la vita di Artusi, l’uomo che ha dato identità alla cucina italiana. Del resto abitava a Forlimpopoli, a pochi chilometri da Rimini.

69 | luglio 2023
scopri Augusta su Amodo, la rete dei ristoranti etici

Autore: Luigi

Autrice: Marina Caccialanza

Masseria Salamina: relax, storia e buon cibo

Nel cuore della Puglia più autentica per vivere un’esperienza sensoriale completa, immersi nella natura

Masseria Salamina nasce nel 1989 come azienda agricola e agriturismo. A pochi chilometri da Fasano in provincia di Brindisi, è un luogo affascinante che racchiude tra le sue mura secoli di storia e di vocazione all’agricoltura e li comunica presentandosi in una veste contemporanea orientata verso l’accoglienza e la convivialità.

La famiglia De Miccolis, titolare della struttura, si occupa di tutte le attività che vi si svolgono e che non si limitano all’accoglienza e alla ristorazione ma comprendono degustazioni guidate dei prodotti dell’azienda agricola, vocata al biologico, corsi di cucina amatoriali, laboratori didattici per far conoscere all’ospite le tradizioni e la cultura del territorio ed escursioni nella zona. Una vera e propria esperienza immersi nel contesto agricolo e storico del luogo.

Qui, su 25 ettari dei 60 totali di terreno dell’azienda, si coltiva l’olivo e si produce olio extravergine di oliva; grazie alla ricchezza produttiva della zona si produce vino, si realizzano conserve di pomodoro, di ortaggi e di frutta, mandorle e prodotti cosmetici a base di olio evo; si mantiene la biodiversità delle colture e si sviluppa una ricettività sostenibile.

Completano l’offerta 20 camere accoglienti ricavate dagli ampi spazi un tempo dedicati alle stalle e

Franchi Il ristorante
70 | luglio 2023
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ristrutturati con ogni comodità moderna, e un ristorante dal menù studiato per raccontare la storia del luogo, per trasmettere i valori delle sue genti avvolti dall’atmosfera magica della masseria: la sala interna era l’antico frantoio, la corte esterna il cuore pulsante del complesso architettonico, il patio un angolo raccolto e confortevole. Ovunque aleggiano i profumi del Mediterraneo, la lavanda, l’origano, in un’atmosfera d’altri tempi che conquista col suo fascino discreto, elegante.

“I nostri clienti sono prevalentemente stranieri – racconta Chiara De Miccolis – provenienti da tutto il mondo, dagli Stati Uniti, dall’Australia, dall’Europa naturalmente. La Puglia è una meta molto conosciuta all’estero e apprezzata perché qui ritrovano quell’atmosfera antica, rilassante e densa di storia e cultura che fa del nostro Paese un luogo iconico. Si respira il made in Italy circondati dalla natura, nel sole e col mare vicino. A loro piace soprattutto conoscere la gastronomia del posto e italiana in generale. La cucina, la dieta mediterranea, le specialità tipiche sono un’attrattiva. Naturalmente, Masseria Salamina è una meta molto richiesta anche dagli italiani per matrimoni o eventi aziendali, perché il luogo si presta, gli spazi sono particolarmente adatti, e siamo specializzati in questo tipo di attività, ma lo straniero in vacanza e in cerca di atmosfera non manca mai qui da noi e, da aprile a novembre, siamo sempre a disposizione per accompagnarli in questo viaggio sensoriale e culturale”.

A pochi chilometri dal mare, immersi nella campagna ricca di vigneti e oliveti, con le colline alle spalle e il mare all’orizzonte, Masseria Salamina è in posizione strategica.

Come molte masserie del sud Italia, Masseria Salamina

è stata un tempo una residenza nobiliare e le vestigia ancora si vedono e si riconoscono nelle sale affrescate, nell’architettura di pregio: vi si riconosce la tradizione storica della zona e la cultura del luogo.

La cucina: di ispirazione tradizionale, aspira all’eleganza contemporanea

Il ristorante è una caratteristica dall’identità definita. Aperto anche all’ospite esterno, principalmente a cena, propone una cucina orientata alla tradizione, realizzata con eleganza e contemporaneità. Le materie prime, di alta qualità, locali e stagionali, vengono lavorate dagli chef Piero Ferrara e Giovanni Palasciano con metodi, tecniche e creatività che puntano a valorizzarle. Mantenerne l’essenza e la tipicità è importante e l’ispirazione dei piatti è tradizionale ma non rustica, bensì curata e raffinata perché è altrettanto importante valorizzarne le peculiarità.

Spiega Chiara De Miccolis: “La nostra cucina vuole ricordare la tradizione amplificandone le caratteristiche. I piatti iconici pugliesi non possono mancare, gli stranieri soprattutto se li aspettano – come non proporre le orecchiette, per esempio – ma vengono elaborati per dare

loro un’identità precisa e, per questo, il menù cambia spesso nel rispetto delle stagioni, della disponibilità delle materie prime, che sono esclusivamente locali. Verdure dell’orto, formaggi e salumi di aziende agricole dei dintorni, tutto biologico perché è questa la nostra scelta di qualità. Facciamo in casa il pane, i gelati, i taralli, i dolci in un’ottica di genuinità e sostenibilità a cui non rinunciamo. È la nostra natura e la nostra personalità e vogliamo comunicarla ai nostri ospiti”.

E così la pasta fresca, gli impasti salati come i taralli o i panzerotti, le infinite varietà di verdure dell’orto dalle fave alle cicorie e ai legumi, l’immancabile pesce – non dimentichiamo che siamo a pochi chilometri dal mare –diventano oggetto di degustazione e cultura, di piacere della tavola e esperienza emozionale, insegnano a scandire il tempo seguendo i ritmi della natura, apprezzando la genuinità delle materie prime guidati dall’esperienza degli chef, dall’ospitalità di Chiara, alla scoperta di un territorio straordinario come la Puglia.

Masseria Salamina Via Case Sparse, 4 72015 Pezze di Greco (BR) Tel.  080 489 7307 www.masseriasalamina.com 71 | luglio 2023

Asporto

o gourmet, è un affare di famiglia

Francesco e Davide, padre e figlio, la stessa passione per la pizza che diventa simbolo di evoluzione e ricerca, espressione di un mestiere che cresce

La storia di Samarani Pizza a Orzinuovi (BS) inizia una ventina d’anni fa quando Francesco Samarani, pizzaiolo per vocazione di famiglia, apre la sua pizzeria d’asporto: pizza romana in pala, pizza classica alla napoletana e, infine, ispirata alla pizza in padellino, ecco la pizza gourmet. Pronta e consegnata, da 700 a 1200 pizze da asporto la settimana, a Orzinuovi è un’istituzione.

Un’attività ben consolidata e una passione che Francesco trasmette a suo figlio Davide che, non ancora trentenne, ha già ottenuto ottimi riscontri ai mondiali della pizza: 3° classificato per la pizza a metro, 3° classificato per la pizza fritta. “Sono tipologie di pizza che di solito non faccio al lavoro – dichiara Davide - ma mi piace la sfida, mi piace misurarmi con le mie capacità e divertirmi, volare con la fantasia e sperimentare cose nuove”. Un atteggiamento propositivo, quello di Davide, che di recente ha dato origine a un altro progetto e all’apertura di un locale di pizzeria gourmet a 500 metri dall’asporto di Francesco. Qui, l’ambiente offre una visione differente della pizza, alimento, prodotto e, infine, esperienza sensoriale completa. Si chiama Masa Experience e il nome stesso suggerisce un approccio più contemporaneo; una pizzeria da tavolo che segue la tendenza in rapida evoluzione di considerare la pizza qualcosa di più di un semplice cibo di consumo, pur se di qualità: è un piatto moderno, raffinato, studiato nei particolari, da gustare con lentezza, assaporando ogni momento. È una “experience”, appunto. È gourmet.

La pizzeria Clicca e leggi l’articolo sul web

Ma torniamo alla realtà quotidiana e alla pizza da asporto di papà Francesco che per realizzare i suoi 3 tipi di pizza impiega tecniche diverse e impasti studiati appositamente con l’uso delle tre farine classiche di 5 Stagioni, rossa, blu e verde. Per la pizza classica, lunga lievitazione e una maturazione di 24/48 ore; per le basi un impasto realizzato con biga al 50%. Spiega Davide: “In questo modo la pizza rimane friabile, leggera e profumata grazie al pre-fermento che lasciamo a maturare per 24 ore a temperatura controllata in modo che sviluppi gas e alcol che danno spinta e aroma al prodotto”.

Un prodotto di consumo? Sì, certo, ma di altissima qualità perché studiato e proposto nei minimi particolari come professionalità vuole. E Francesco Samarani è un professionista di lunga data tanto che, a Orzinuovi, in pieno centro della cittadina, Samarani Pizze è un punto di riferimento per le famiglie, per i giovani, per tutti.

“Abbiamo una clientela varia - spiega Davide - e ognuno può scegliere secondo le sue preferenze, dalla classica in pala alla gourmet, ed è una possibilità che non sempre si riscontra in una pizzeria da asporto. Cerchiamo, infatti, di seguire le tendenze del mercato, accontentare i gusti di tutti, di utilizzare prodotti il più possibile a km 0, di creare topping particolari, aumentare il livello qualitativo degli ingredienti”.

Se questo non bastasse, l’affiancamento di due generazioni di pizzaioli – Francesco e Davide – fornisce un’opportunità di valorizzazione. Davide rappresenta l’evoluzione, il passaggio di testimone delle idee e dei metodi, il perfezionamento di un mestiere che, oggi, è complesso e in continuo progresso per restare al passo coi tempi e con una clientela sempre più informata ed esigente. Un mestiere non privo di criticità, e se fare asporto vi pare banale e scontato, dovete ricredervi.

Davide Samarani spiega come praticare un asporto all’altezza delle aspettative del cliente richieda una metodologia ben progettata e attuata: “Innanzi tutto, è fondamentale trovare il giusto compromesso affinché la pizza arrivi a casa in perfette condizioni. A tavola è facile, sforni e servi, ma quando devi affrontare il trasporto e i tempi che ne conseguono è più complicato. È importante creare l’equilibrio perfetto, specialmente nel caso della pizza gourmet. Una pizza con tartare, tanto per fare un esempio, non la puoi chiudere nella scatola dove il calore la cuocerebbe. Allora devi ideare il topping adatto, calcolare il grado di umidità all’interno del contenitore, il calore, il tempo di consegna che non può essere sempre uguale o lo stesso se il cliente viene in pizzeria e ritira o se la consegna viene fatta dal nostro personale che, in questo caso, deve valutare anche il giro di consegne, il percorso e il tempo necessario”.

Dunque, il pizzaiolo competente deve saper valutare e ideare ricette ad hoc che, rispondendo ai canoni della tipologia di prodotto, tengano conto di condizioni soggette all’occasione. Una pizza gourmet che risponde a queste

esigenze secondo Davide è la pizza con Speck Alto Adige, crema di porcini, noci e burrata: il segreto sta nel fornire la burrata in una confezione a parte lasciando al cliente il compito di versarla sulla pizza al momento del consumo. Inoltre, la base realizzata con biga si mantiene croccante nel tempo. “La base è importante – afferma Davide Samarani – soprattutto in fase di asporto ma anche al tavolo perché, oggi, è frequente vedere gente seduta con davanti la pizza che indugia allo smartphone, magari scattando foto, e lascia trascorrere quel tempo, anche breve, che potrebbe compromettere la degustazione. Certi profumi, il contrasto caldo/freddo, dobbiamo tener conto anche di tutto ciò quando studiamo un nuovo impasto”.

È la nuova frontiera della pizza, che capisce l’importanza della ricerca e dello studio in un mestiere che un tempo era considerato “ultima spiaggia” e ora richiede professionalità e impegno “Se non comprendi i meccanismi non riesci a trasmettere al cliente il valore del tuo prodotto e sei fuori dal mercato. Se lavori come 50 anni fa, non ce la fai. Bisogna studiare molto, lo dico spesso ai ragazzi a cui insegno in accademia – conclude Davide”. È questo il messaggio da ascoltare, anche per fare un buon asporto, come quello di Francesco e Davide Samarani, padre e figlio, tradizione e innovazione costantemente in divenire.

Samarani Pizza

Via Giordano Bruno, 40 25034 Orzinuovi (BS) Tel. 334 792 9570
73 | luglio 2023
Davide Samarani

La

Autore: Luigi Franchi

Autrice: Marina Caccialanza

Da Gigi, nel verde e con gusto

Antica Pizzeria Trattoria da Gigi a Negrar (VR) è il luogo dove, immersi nel verde delle colline della

Valpolicella, si assaporano la terra e i suoi tesori gastronomici, in pieno relax

Immaginate un antico casale tra i vigneti, affacciato sulle colline della Valpolicella, a soli 200 metri sul livello del mare ma abbastanza per un clima gradevole in inverno e ventilato e fresco d’estate, sufficiente per godere della posizione, del panorama e dei tesori che il territorio circostante dona a piene mani.

Aggiungete la sapiente ristrutturazione che, nel 1979, ha permesso ricavare, mantenendo la struttura antica e caratteristica, spazi accoglienti e idonei all’attività.

Oggi l’Antica Pizzeria Trattoria da Gigi è un locale ben noto e frequentato, che assicura buona cucina, ottimi vini e, soprattutto, quell’accoglienza rilassata e festosa che la pace della campagna ispira e offre. Cinzia Begnini accoglie col sorriso e, da esperta sommelier, con un calice di benvenuto dalla cantina. Perché la tenuta è anche azienda agricola, la proprietà comprende l’intera collina coi suoi vigneti e vi si coltivano uve Valpolicella che, conferite alla cantina sociale della zona, danno origine alla produzione di vini eccellenti.

Ma, da Gigi, è soprattutto rinomata pizzeria e trattoria dove i piatti forti del menù sono le pizze e le carni alla brace. “Abbiamo scelto quello che ci piaceva di più – afferma Cinzia – siamo partiti dai nostri gusti personali e abbiamo costruito un menù che li esaltasse, ovvero i prodotti tipici della nostra campagna e delle zone circostanti, restando fedeli a quella schiettezza del territorio che tanto soddisfa il palato e sempre più riscuote il favore della nostra clientela, genuina come le specialità che portiamo in tavola”. La ristorazione è alla carta, ma si creano anche menù “su misura” per eventi speciali come battesimi,

trattoria
Gianni Cristiano
74 | luglio 2023
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cresime o compleanni, raramente qualche matrimonio perché, spiega Cinzia: “Abbiamo un volume di clientela molto ampio e non possiamo chiudere il locale ai clienti abituali per un solo evento che richiede tutta la capienza del locale, come un matrimonio; però facciamo tanti piccoli ricevimenti che riusciamo a collocare e gestire nelle 3 sale di cui disponiamo, sulla terrazza affacciata nel verde”.

Le carni alla brace sono la specialità del posto, il piatto forte: costate, T-bone, tagliate, e poi deliziosi filetti in salsa di Amarone, tartare, tutte carni di macelleria locale che accanto ai salumi tipici della Valpolicella come la soppressa, la pancetta, il lardo o la coppa affinata costituiscono l’attrattiva della cucina; non mancano i formaggi nostrani dei monti Lessini e i primi piatti che esaltano la cucina tipica del territorio. Irrinunciabili, per esempio, le fettuccine all’uovo col ragù di coniglio o impreziosite dal tartufo nero.

La linea gastronomica è orientata alla tradizione locale, sapientemente modulata ai canoni moderni per una cucina sincera e appagante quanto elegante e contemporanea, indirizzata a una clientela dinamica, di buon appetito, giovane e giovanile, per il 70% al di sotto dei sessant’anni. Un luogo per le famiglie, coi suoi spazi all’aperto e l’accoglienza cordiale, ai giovani perché vivace e con menù robusti e goderecci.

Fiore all’occhiello, la pizzeria, che l’esperienza ha saputo calibrare perfettamente allo stile culinario: impasto tradizionale con farina 00, lunga lievitazione, che Cinzia definisce: “Lo stesso impasto di quarant’anni fa e mai cambiato perché, perfetto per le nostre esigenze, si è rivelato prediletto dal pubblico, una costante irrinunciabile e di successo, un simbolo di costanza. Abbiamo costruito, negli anni, una carta composta di una quarantina di pizze e più, evoluta secondo la stagionalità che applichiamo da

sempre in cucina e si rivela anche nelle scelte dei topping per la pizza: in estate, mozzarella di bufala, pomodorini e basilico, in inverno speck dell’Alto Adige, funghi e tartufo. Il tartufo nero è spesso presente nei nostri piatti e utilizziamo la linea di Urbani Tartufi in ogni stagione: lo scorzone nero, d’estate, a lamelle sulle pizze e sulle fettuccine; in inverno, grattugiato o ricettato. Aggiunge un tocco d’identità ai piatti come, per esempio, a scaglie sulla tagliata col radicchio o sui tortelloni, una vera specialità”.

E per completare l’esperienza, i dessert fatti in casa e l’ampia proposta della cantina che offre i suoi classici dal Valpolicella Classico al Recioto, dal Ripasso all’Amarone, per soddisfare tutti i palati e rendere ancora più gradevole l’occasione. Insomma, non manca nulla tra le verdi colline della Valpolicella, dove sedersi a tavola è un rito di convivialità e un piacere da gustare in pieno relax.

Antica Pizzeria e Trattoria da Gigi Via Cà Coatto n°1 37024 Negrar ( VR ) Tel. 045 750 0199 www.pizzeriadagigi.com 75 | luglio 2023

La produzione

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Unika® Golden Age: la linea dedicata alla carne marezzata, solo dai migliori tagli anatomici

Unika®, il marchio di Centro Carni Company SpA promuove la linea Golden Age, carne bovina di altissima qualità frutto di una selezione delle migliori Frisone (vacche con più di 30 mesi), tra cui Simmenthal, Canadese e Holstein, scelte con cura e provenienti dai principali territori europei che si dedicano da generazioni all’allevamento dei bovini. L’alimentazione contraddistingue in buona parte il prodotto finale: il cereale conferisce gusto e contribuisce alla marezzatura e il risultato è un prodotto gustoso.

Unika® Golden Age si caratterizza da una buona qualità di grasso intramuscolare distribuita in modo uniforme e che conferma ancora una volta che una buona marezzatura è sinonimo di eccellenza. e che un buon grado di marezzatura contribuisce alla bontà del prodotto. Il brand ha selezionato per la ristorazione alcuni dei migliori tagli anatomici in primis la lombata intera fresca o frollata secondo metodo dry aged, passando per il filetto e ancora per il ribeye, taglio che si ricava dalla lombata ed è famoso per la sua spiccata tenerezza per l’accentuata marezzatura e copertura di grasso. La linea Golden Age è dedicata agli chef offrendo un prodotto in linea con i trend del momento. Questo tipo di prodotto ha, infatti, già riscosso grande successo in Europa e nel mercato orientale e, da alcuni anni, è arrivato anche in Italia dove

sta incontrando il favore di tutti gli amanti della carne.

«La linea Unika® Golden Age è nata a seguito di un’analisi di mercato e di conseguenti valutazioni condivise in azienda e direttamente con i clienti - dichiara Raffaele Pilotto, Direttore commerciale e marketing di Centro Carni Company SpA -. Vogliamo offrire al settore Horeca, e quindi al consumatore finale, un prodotto gourmet, capace di esaltare le caratteristiche delle diverse razze che utilizziamo per la nostra gamma, garantendo sicurezza, bontà e unicità».

Il marchio Unika® di Centro Carni Company deriva da una lunga tradizione nel disosso della carne bovina e dall’esperienza nella selezione delle materie prime, ed è stato creato per dare al settore della ristorazione un prodotto dalle elevate proprietà organolettiche, caratterizzato da uno standard qualitativo costante e custom-based.

Centro Carni Company ha realizzato anche per la linea Unika®, una cella all’interno della quale avviene una particolare frollatura, detta dry aging o frollatura a secco. Le lombate subiscono questo processo di frollatura in questo ambiente a temperatura e umidità controllate: il risultato è un prodotto stagionato correttamente e dal gusto deciso, la cui morbidezza viene accentuata.

Un prodotto tenero e gustoso caratterizzato dagli elevati standard qualitativi e da un buon grado di marezzatura, volti a soddisfare le richieste dei consumatori amanti della carne gustosa
77 | luglio 2023
una terra, una famiglia, una for ma Zarpellon Spa - Via S.G.B. De La Salle, 6 - 36060 Romano d’Ezzelino (VI) Tel. +39 0424 3993 - Fax +39 0424 399499 - info@zarpellon.it www.zarpellon.it

La distribuzione

Autore: Guido Parri

Ingros Rendena diventa SDG selezioni di gusto

Un nuovo nome, un nuovo logo, una nuova sede per esaltare il livello di servizio che l’azienda vuole perseguire nei prossimi anni.

Sta in questo la scelta della Famiglia Cooperativa Pinzolo di spostare gli spazi della controllata Ingros Rendena accanto al nuovo supermercato Pineta che ha aperto i battenti a fine giugno a Giustino (TN) in Via Pineta 13.

“Triplicare gli spazi significa, oltre ad avere una logistica molto più efficiente, aumentare anche il numero di referenze per raggiungere quell’assortimento completo che serve a un pubblico esercizio, sia esso hotel, ristorante, bar o pizzeria. Da noi adesso si potrà trovare tutto il necessario per le attività di ristorazione e sarà la nostra forza vendita a presentare questo assortimento, con i relativi prezzi e consigli per poi organizzare le consegne nel migliore dei modi”, afferma Angelo Ferrazza, responsabile commerciale di SDG selezioni di gusto

La nuova sede si sviluppa in 3.000 metri quadrati di

magazzino, suddivisi in 1200 per i prodotti grocery, 740 per il surgelato, 150 in celle per l’ortofrutta, 160 per i prodotti freschi, 50 per le carni.

“Il nuovo nome e il relativo logo erano necessari per valorizzare le scelte che la cooperativa ha fatto in questi mesi; scelte che vedranno anche un’espansione dei servizi pensati per voi, un’estensione delle zone servite oltre alla nostra bellissima valle. Vogliamo portare le competenze che abbiamo maturato in questi anni a un pubblico di professionisti più ampio e vogliamo che i nostri clienti storici, quelli che hanno sempre creduto in noi ricevano un servizio ancor più puntuale, mirato alle esigenze reali, frutto di una condivisione di crescita che ci ha sempre visti collaborare” continua Angelo Ferrazza illustrando gli obiettivi prefissati: aumentare il numero dei clienti da 500 a 700 entro l’anno, allargare le zone d’influenza, oltre alla Val Rendena, alla Val di Sole, Valle del Chiese, Bagolino (BS) e alle Giudicarie superiori.

Clicca e leggi l’articolo sul web 79 | luglio 2023
I nuovi magazzini di SDG

LA RETE DEI RISTORANTI ETICI

2023

LA RETE DEI RISTORANTI ETICI

È un progetto

che vuole dare valore ai ristoranti che abbiano l’etica del lavoro.

Per saperne di più amodo.salaecucina.it dove si può inviare la scheda di adesione

La distribuzione

Autrice: Elena Monteverdi

RZ Service cambia sede

Una struttura più ampia e funzionale per soddisfare al meglio le esigenze dei nostri clienti: è questo uno degli obiettivi che hanno portato RZ Service, azienda di distribuzione bresciana a spostare la sede da Corte Franca a Palazzolo sull’Oglio, sempre in provincia di Brescia.

Dal mese scorso si sono trasferiti nella nuova ampia struttura con magazzino e uffici a Palazzolo sull’Oglio. Immaginate cosa vuol dire spostare dalla A alla Z un’azienda di distribuzione alimentare!

La nuova sede

Adesso si trovano in un punto strategico tra Brescia e Bergamo, vicinissimo all’uscita dell’autostrada, perfetto per raggiungere tutte le località a cui forniscono i loro prodotti – le province di Brescia, Bergamo, Monza Brianza, Lodi, Piacenza, la zona di Crema - e per essere raggiunti da chi vuole far visita.

Lo spazio è triplicato: 6000 metri quadri, con sei uffici, una sala riunioni, una cucina dimostrativa per l’incontro con clienti e fornitori, una stanza dedicata alla forza vendita. E poi, naturalmente, gli spazi più ampi dedicati allo stoccaggio del secco, alle celle frigo e gelo. Si aggiungono

Clicca e leggi l’articolo sul web

alla lista la piattaforma Roat con cui consegnano il pesce fresco, e Maiora Group per le carni. Questo cambio di passo ha consentito di integrare l’assortimento con nuove interessantissime referenze e di ampliare l’organico!

L’organigramma di RZ Service

“La nostra struttura organizzativa si fa sempre più completa e specializzata per arrivare al cuore delle dinamiche che riguardano la gestione e la fornitura, quindi per garantire ai nostri clienti l’ascolto e la risoluzione di problemi e imprevisti in tempi rapidi.

Oggi possiamo contare su sette impiegati per la logistica, tre squadre di turnisti e magazzinieri, 14 autisti, quattro impiegati amministrazione, quattro buyers e a breve arriveranno un’altra impiegata amministrativa e una responsabile marketing, 24 agenti di commercio” racconta il patron Riccardo Zuccali

La vision

“Il nostro obiettivo da Corte Franca a Palazzolo sull’Oglio, non è cambiato. Ci proponiamo di diventare un punto di riferimento per la ristorazione nelle provincie da noi fornite: Brescia, Bergamo, Verona, Cremona, Lodi, Monza Brianza e Piacenza, offrendo un assortimento alimentare completo, che ospiti tante referenze in tutti i comparti. – spiega Zuccali – Il mercato si è finalmente aperto, sta iniziando a prendere coscienza di sé. Il periodo del Covid ha cambiato molte dinamiche e oggi a contare non è più solo il prezzo ma la qualità di servizio e prodotto”.

Il magazzino RZ Service La nuova area cucina

La distribuzione

Autore: Guido Parri

un marketplace per il food & beverage

Goodilia.com è un Marketplace dedicato al mondo della cucina e settore ristorazione che:

• Permette ai professionisti del settore Ho.Re.Ca. (pizzaioli, pasticceri, chef, panettieri e pastai) di acquistare prodotti all'ingrosso (B2B) tramite la loro partita IVA.

• Offre alle attività agroalimentari e artigianali la possibilità di aprire il proprio store online mediante un abbonamento annuale e l'acquisto di pacchetti di pagine per la pubblicazione di prodotti.

sembra sia l’unica voce importante di un alimento o un bene.

Acquista, Trasforma, Vendi e Stupis

• Offre una sezione dedicata ai prodotti retail (B2c), aperta a tutti gli utenti privati, per l'acquisto di prodotti finiti realizzati dai clienti Wholesale di Goodilia con le materie prime e semilavorati presenti nell' horeca Shop del sito.

• Supporta e promuove le attività e brand indipendenti del settore Agroalimentare Italiano che quotidianamente offrono prodotti realizzati artigianalmente. Piccole imprese spesso a carattere familiare, che sono parte di una nicchia di mercato che predilige produrre un prodotto di qualità dall’alto valore nutrizionale ed etico, rispetto ad un mercato globale in cui il “prezzo conveniente”

Ideato da PierPaolo Giannone di Pellegrino food service, un’azienda di distribuzione horeca operante nelle province di Lecce e Brindisi, con un chiaro obiettivo di business che lui stesso ci racconta: “Il nostro obiettivo è creare un marketplace online destinato all'agroalimentare italiano, con una sezione dedicata ai prodotti Horeca e una sezione dedicata ai prodotti retail. Il marketplace consentirà ai produttori di alimenti di vendere direttamente ai consumatori finali, con la possibilità di aprire un negozio online attraverso la piattaforma grazie ad abbonamenti annuali. Gli abbonamenti consentiranno ai produttori di usufruire di strumenti di report di vendite, generare coupon nonché pubblicare e promuovere prodotti da loro realizzati. Vogliamo creare un mercato virtuale di successo, che offra un'esperienza di acquisto unica e personalizzata ai clienti da un lato, dall' altro supportare la filiera del settore ho.re.ca e i piccoli produttori artigianali nel raggiungere nuovi clienti online. Tutto questo senza necessariamente dover investire grossi capitali in campagne marketing e per la realizzazione di un e-commerce”.

Goodilia.com,
MultiGood Store ano
Clicca e leggi l’articolo sul web 82 | luglio 2023

42 SOCI

che servono l’Italia, la Corsica, la Costa Azzurra, l’Austria, la Svizzera, La Slovenia

480 MEZZI DI TRASPORTO

che percorrono ogni provincia italiana per consegne in 24H

4 LINEE di prodotti a marchio

84.000 mq

di magazzini, celle frigorifere, u ci suddivisi tra 42 soci

OLTRE 500 AGENTI DI VENDITA

8.200 REFERENZE

65.000 PUBBLICI ESERCIZI

serviti quotidianamente

food e non food in allestimento

IL MAGAZINE

che raggiunge 89.000 operatori della ristorazione

Il primo gruppo cooperativo della distribuzione italiana nel food service con 42 aziende associate e più di 65.000 esercizi pubblici serviti in ogni regione.

www.cateringross.net

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