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L’OLIO AL CENTRO

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PRODUZIONE

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Luigi Caricato oleologo

Quando si dice turismo dell’olio

Non basta dire turismo dell’olio, è necessario che chef e ristoratori si diano da fare in tanti modi. Anzi, in tutti i modi possibili e immaginabili, magari inventando qualcosa di nuovo, suscitando stupore e meraviglia, ed evitando di fare o dire le solite cose sull’olio. Un primo passo importante, intanto, consiste nel prestare maggiore attenzione alla ricerca e alla selezione degli oli extra vergini di oliva del territorio in cui si opera. Questa ricerca deve essere in grado di raccontare fedelmente il territorio, senza tradirlo. Cosa intendo per “non tradire il territorio” si può ben intuire. Intendo che non ritengo accettabile che non siano posti in bella vista gli oli in sala. Anche sui tavoli. E possibilmente tali extra vergini sarebbero da collocare anche su un apposito carrello degli oli, ma non un banale carrello, quanto qualcosa che sia concepito in chiave moderna, con un design adeguato. Occorre insomma

creare interesse e suscitare curiosità tra gli ospi-

ti. Se finora tali attenzioni non ci sono state, è perché l’olio è stato sempre concepito come un generico condimento e nulla più. È un errore cui rimediare, anche perché l’olio è molto di più. Già, perché proprio ora che si sta investendo, anche istituzionalmente, sul turismo oleario, occorrerà pur agire, inventare e far qualcosa. È dal gennaio 2020, a partire da un emendamento approvato con la Legge di Bilancio, che si può ufficialmente parlare di turismo dell’olio; e proprio per questo occorrerà dimostrarsi pronti e preparati. Ve l’immaginate un percorso turistico in cui non si prevedano tappe nei ristoranti? Impossibile. Allora diventa opportuno accogliere bene il turista, in modo che si vedano i chiari segni tangibili della presenza degli oli nel ristorante, ma non solo in sala, negli elementi dell’arredo, attraverso un carrello, una vetrinetta, e sicuramente sui tavoli, laddove possibile, ma anche nei quadri sulle pareti, e ovunque sia possibile; pure sullo stesso menu, non dimenticando di citare l’olio impiegato per ogni pietanza. È uno sforzo titanico in termini di costi? Non proprio. È vero, solitamente gli oli territoriali hanno costi più elevati (tanto più se sono certificati Dop o Igp) rispetto a oli più commerciali, ma si deve pur iniziare a separare gli oli destinati agli usi in cottura (che possono anche essere generici oli italiani o di provenienza estera) da quelli con i quali rifinire e perfezionare un piatto. È senza dubbio ne-

cessario ripensare il modo di utilizzare l’olio e di

presentarlo. Si può immaginare ‘l’olio di benvenuto’, o di ‘intrattenimento’, in attesa che l’ospite decida cosa ordinare. Per far questo è sufficiente allestire un piatto con cinque tocchetti di pane, magari con pani e oli differenti. La fantasia, in questi casi, si può scatenare. Porzioni piccole, ovviamente. Solo per far degustare e apprezzare. L’olio, oltretutto, lo si può anche vendere, visto che oggi le leggi lo consentono. Occorre però ripensare il ristorante in chiave moderna, inventando nuovi format. Un suggerimento, anzi due. Il primo: chiedere sempre la collaborazione, anche economica, dei produttori; pensando di investire in una progettualità condivisa. Il secondo suggerimento: perché non organizzare, in collaborazione con le aziende olearie del territorio, lezioni di cucina attraverso cui insegnare ad applicare l’olio in modo corretto?

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