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a cura di Diego Sileo e Giacomo Zaza
PAC Padiglione d’Arte Contemporanea via Palestro 14 — Milano pacmilano.it
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PERFORMANCE
Fino a esaurimento posti (max 150) Singolo € 4 ⁄ cumulativo € 8 validi dalle 18.30 Mostra aperta fino alle 22.30, ultimo ingresso 21.30 Susana Pilar Delahante Matienzo
▶ martedì 05.07 ore 19 Carlos Martiel
▶ mercoledì 06.07 ore 19 Grethell Rasúa
▶ giovedì 07.07 ore 19
APPUNTAMENTI CUBANI al pac
Singolo € 4 ⁄ cumulativo € 8 validi dalle 18.30 Mostra aperta fino alle 22.30, ultimo ingresso 21.30
Ana Mendieta, Nature Inside proiezione (8’23”) + talk con Raquel Cecilia Mendieta ▶ venerdì 08.07 ore 19 ⁄ PAC Juan Carlos Alom, habana solo e diario proiezione (28’) + talk con l’artista in collaborazione con Micamera ▶ martedì 12.07 ore 19 ⁄ PAC L’architettura d’arte a cuba incontro con Vittorio Garatti e Jacopo Gardella ▶ martedì 06.09 ore 19 ⁄ PAC
CUBA IN CIT TÀ Glexis Novoa, Il Canto del Cigno proiezione (53’3” v.o. sott.) + talk con l’artista in collaborazione con Fondazione Cineteca Italiana di Milano c/o Cineteca Spazio Oberdan € 5,50 con biglietto mostra ▶ lunedì 11.07 ore 21 Il MenU della Poesia visita guidata alla mostra + cena-spettacolo interattiva in collaborazione con Teatro Elfo Puccini e Olinda € 26,50 con biglietto mostra. Prenotazioni: biglietteria@elfo.org ▶ venerdì 15.07 ore 19 ⁄ PAC + ore 21 ⁄ Bistrōlinda Teatro Elfo Puccini EDUARDO PONJUÁN ⁄ MUDEC via Tortona, 56 ▶ 05.07—12.09 LUIS GóMEZ ARMENTEROS ⁄ Edicola Radetzky viale Gorizia (Darsena) ▶ 03.07—31.07
VISITE GUIDATE, WORKSHOP e FILM
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INFOrmazioni
T 02 88446359 pacmilano.it
PRENOTA ZIONI VISITE GUIDATE E AT TIVITÀ
T 339 5713185 didattica.marte@gmail.com da lunedì a venerdì ore 10—12 e 14—16
ORARI
opening week 05—08.07 ore 9.30—22.30 dal 09.07 da martedì a domenica ore 9.30—19.30 giovedì ore 9.30—22.30 a luglio e settembre martedì ore 9.30—22.30 chiuso lunedì tranne 15.08 e 12.09 ore 9.30—19.30 aperto fino a mezzanotte ⁄ € 4 16.07 Vent’anni dalla riapertura del PAC 27.07 Anniversario dell’attentato al PAC 13.08 Buon Compleanno Fidel ultimo ingresso 1 ora prima della chiusura
BIGLIET TI
intero € 8 ridotto € 6,50 ridotto speciale € 4 famiglia: 1 o 2 adulti € 6,50 + ragazzi da 6 a 14 anni € 4 prevendita + € 1,5 vivaticket.it call center Vivaticket 892 234
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Cuba. Tatuare la storia, a cura di Diego Sileo e Giacomo Zaza, è la più ampia mostra a oggi realizzata sull’arte contemporanea cubana, con 31 artisti cubani tra i più noti e influenti nel panorama internazionale, attivi dalla fine degli anni settanta in poi, più della metà dei quali oggi vive e lavora a L’Avana. La mostra accompagna il visitatore in un percorso attraverso l’arte contemporanea dell’isola e traccia linee guida utili alla comprensione della cultura artistica – e non solo – di un Paese che, nonostante le sue piccole dimensioni, è riuscito a influenzare in modo determinante la storia del ventesimo secolo, sopravvivendo tra ostilità e bisogni e fronteggiando grandi cambiamenti. Tatuare, nel senso di lasciare un segno indelebile, come il segno indelebile che la storia di Cuba ha lasciato nel mondo. Non il tattoo come lo concepiscono gli europei, ma piuttosto quello tipico della cultura latina: il disegno sul corpo come segno di appartenenza, un marchio dotato di una valenza che oltrepassa l’estetica. Il termine tatuaggio rimanda anche all’immagine del corpo e alla corporeità, alle sue forme ma anche ai suoi umori: in mostra la presenza del corpo è molto forte sia attraverso le azioni dei performer, per i quali il corpo costituisce il principale mezzo espressivo, sia come soggetto da fotografare, riprendere, disegnare. The exhibition Cuba. Tattooing History, curated by Diego Sileo and Giacomo Zaza, is the most extensive exhibition created to date on contemporary Cuban art with 31 of the best known and most influential Cuban artists in the international artistic panorama active since the end of the 1970s. Today, more than half of them live and work in Havana. The exhibition accompanies visitors in their discovery of contemporary Cuban art, and offers practical guidelines to aid our understanding of the artistic culture – and not only the one – of a country that, albeit small, managed to significantly influence twentieth-century history. Moreover, its fascination has outlived the end of political ideologies. Tattooing means leaving an indelible mark, like the indelible mark that Cuba has left on the world. Not the tattoo as conceived by Europeans, but rather the one typical of the Latin culture: an illustration on the body as a sign of belonging, a brand with value that transcends aesthetics. The word tattoo refers to the image of the body and to corporeality, to its shapes but also to its moods. And indeed there is a strong presence of the body at this exhibition, through performers for whom the body is the principal means of expression, and as a subject to be photographed, referred back to, and portrayed.
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cuba . tatuare l a storia cuba . tat tooing History
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juan carlos alom
L’Avana, 1964. Attualmente vive e lavora a L’Avana. Havana, 1964. Lives and works in Havana.
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Il lavoro di Alom è un viaggio fotografico e filmico nella vita quotidiana dell’isola: le sue credenze, superstizioni, desideri e chimere. Nel 2000 viene selezionato tra i 10 fotografi del millennio in America Latina, dal “Time Magazine”. Le sue opere fotografiche occupano gran parte della balconata del PAC con tre differenti serie. Nella prima, Las plantas medicinales florecen de nuevo, dedicata alle piante officinali di Cuba, le immagini mostrano una flora rigogliosa, in un ambiente ricco di biodiversità come quello tropicale. La seconda serie si concentra invece sul Período especial, gli anni di grave crisi economica seguiti alla caduta dell’Unione Sovietica, che ha trasformato radicalmente la società cubana, costringendola a fare i conti con la mancanza di vari prodotti, a partire da tutti i derivati del petrolio. La serie El libro oscuro, dai toni dark e intimisti, chiude la sezione dedicata all’artista. Per completare la conoscenza dell’opera di Alom, il 12 luglio alle ore 19 al PAC sarà possibile assistere alla proiezione dei suoi film Habana Solo e Diario, alla presenza dell’artista e in collaborazione con Micamera. In Habana Solo, Alom chiede a tutti i musicisti di strada de L’Avana di suonargli un assolo, in un racconto di luci e ombre, pieni e vuoti, musica e silenzi. In Diario invece l’artista si ispira al Diario de campaña di José Martí (intellettuale, giornalista e poeta cubano), scritto nel 1895 all’inizio della guerra d’indipendenza cubana dal governo spagnolo. Alom’s work is a photographic and filmic journey through the everyday life of the island: its beliefs, superstitions, desires, and chimeras. In 2000 Time Magazine selected him as one of the ten leading Latin American photographers of the millennium. Alom is fascinated by the cognitive process of places, people, situations which he comes into contact with through his projects. His photographic
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works occupy most of the balcony at PAC with three different series. The first of these is Las plantas medicinales florecen de nuevo dedicated to Cuba’s officinal plants: the images show a luxuriant flora, in an environment as rich in biodiversity as the tropical one is. The second series instead focuses on Período especial, the years of economic collapse following the fall of the Soviet Union that radically transformed Cuban society, which found itself having to deal with the problem of scarcity, starting from all the oil by-products. The El libro oscuro series, featuring dark and intimist tones, closes the section dedicated to the artist with a series of tableaux. For visitors interested in knowing more about Alom’s work, at 7 p.m. on July 12, the films Habana Solo and Diario will be screened at PAC with the author in attendance. In the former film Alom asks all of Havana’s street musicians to play a solo in a tale of lights and shadows, fulls and voids, music and silence. The latter film is inspired by the Diario de campaña of José Martí (Cuban intellectual, journalist and poet), written in 1895 at the beginning of the Cuban War of Independence from the Spanish Government.
foto / photo Roberto Marchese
Opere in mostra—Works on show dalle serie / from the series Las plantas medicinales florecen de nuevo, 2012; El libro oscuro, 1996; Período especial, 1989-1994
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Tania Bruguera è un’artista interdisciplinare: vive l’arte come attivismo politico, unito all’analisi dei rapporti tra potere e media. Il suo lavoro si sviluppa a partire da un discorso sulla società plurale e sull’esercizio della libertà di espressione contro ogni forma di censura e imposizione sociale. Il comportamento e la trasmissione d’informazioni sono costanti fonti d’ispirazione per le sue opere. Le limitazioni della comunicazione, inconsce o indotte, e i rapporti che intercorrono tra il linguaggio e il corpo, costituiscono una parte importante della sua azione artistica, definita come Arte de Conducta. Per Bruguera l’arte è un’esperienza (sia fisica sia psicologica) libera da divieti e restrizioni, un luogo dove esprimere il proprio pensiero e il proprio giudizio anche se solo in un lasso di tempo specifico, in un posto determinato o per un particolare gruppo di persone. Spesso il suo lavoro si basa su azioni e/o testi che si propongono di parafrasare e interpretare la condizione effimera di qualsiasi “verità” politica. Nel 2002 Tania Bruguera fonda la Cátedra Arte de Conducta all’ISA (L’Avana), un progetto pedagogico internazionale che dirige fino al 2009. Nel 2011 crea l’associazione Arte Útil come piattaforma di incontro e ampliamento dei suoi progetti e nel 2016 fonda “Instar”, il primo centro di “artivismo” politico a L’Avana. Per la mostra Cuba. Tatuare la Storia l’artista presenta un’opera inedita, realizzata in esclusiva per il PAC, sul tema della censura a Cuba. Tania Bruguera is an interdisciplinary artist: she experiences art as a form of political activism, joined with an analysis of the relationships between power and media. Her work develops starting from an idea of a plural society and as the exercise of freedom of expression against every form of censorship and social imposition. The behavior and transmission of
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ALOM—Bruguera
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information are constant sources of inspiration for this artist’s works. The limitations of communication, whether unconscious or induced, and the relationships between language and body, constitute an important part of her artistic action, called Arte de Conducta. For Bruguera art is an experience (both physical and psychological) free from prohibitions and restrictions, a place in which to express one’s thoughts and opinions even if only in a specific time lapse, in a specific place, or for a specific group of people. Often her work is based on living actions and/or on fragile materials, as if to paraphrase and interpret the ephemeral condition of any political “truth.” In 2002 Tania Bruguera founded the Cátedra Arte de Conducta at ISA, Havana’s Art Institute, an international pedagogical project that she has directed since 2009. In 2011 she created the association Arte Útil as a platform of encounter and expansion of her projects, and in 2016 she founded Instar, the first centre of political “activism” in Havana. For Cuba.Tattooing History the artist presents an unpublished work, made exclusively for PAC, on the theme of censorship in Cuba.
foto/photo Akisa Omulepu, 2016
Opere in mostra—Works on show Letter-piece: The effort to normalize censorship in Cuba, 2016
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tania bruguera
L’Avana, 1968. Dal 1997 vive tra New York e L’Avana. Havana, 1968. Since 1997 she has lived between New York and Havana.
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marÍa magdalena campos-pons
Matanzas, Cuba, 1959. Attualmente vive e lavora a Boston, USA. Matanzas, Cuba, 1959. Lives and works in Boston, USA.
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Attraverso installazioni multimediali e numerose serie fotografiche, María Magdalena Campos-Pons incorpora nella propria opera le esperienze dell’esodo e della migrazione che hanno segnato la sua vita. L’artista ha lasciato Cuba nel 1990 e si è trasferita con suo marito, il musicista e compositore Neil Leonard, a Boston negli Stati Uniti. L’esperienza dell’esilio e dell’appartenenza alle culture afrocubane e afro-discendenti, l’assimilazione e la memoria delle tradizioni popolari diventano tematiche centrali nel suo lavoro. Attraverso l’utilizzo della fotografia e del video, l’artista indaga il ruolo della donna afrocubana, le simbologie religiose (in particolare quelle legate al panteismo Yoruba, ereditato dai suoi genitori) e il corpo come “luogo” sacro e magico. Inoltre, l’impiego della Polaroid rende le sue immagini più surreali e poetiche. Secondo l’artista “le identità possono essere dolorose, restrittive e pericolose”, e la sua “ricerca d’identità”, dice, “è quella di avvolgere l’altro, capirlo e condividere con lui uno spazio di similitudini”. Una ricerca che dà valore alle differenze, al dialogo e all’apertura verso l’Altro. Nelle opere fotografiche esposte al PAC – Red Composition, Untitled e Finding Balance – Campos-Pons appare con trecce di capelli unite a filamenti di perle africane, rosse e bianche, in allusione ai colori di Elegguá, la custode dell’energia vitale primordiale; oppure come una regina rinascimentale che indossa un kimono imperiale e una corona-gabbia in testa, al centro di un’ampia composizione abitata da grovigli di stoffa e piccole gabbie di legno (metafore della vita in un luogo, dell’appartenenza e del viaggio). By way of multimedia installations and numerous photography series María Magdalena Campos-Pons incorporates into her works the experiences of exodus and migration that have influenced her life. The artist left Cuba in 1990 and moved to Boston in
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the United States together with her husband, the musician and composer Neil Leonard. The experiences of exile, belonging to the Afro-Cuban culture, Afro-Cuban descent, assimilation, and the memory of popular traditions are the major themes of her work. The artist uses photography and video to examine the role of Afro-Cuban women, religious symbols (especially those linked to Yoruba pantheism, inherited from her parents), and the body as a sacred and magical “place.” Moreover, her use of a Polaroid makes her images more surreal and poetic. According to the artist “identities can be painful, restrictive, and dangerous,” and her “search for identity,” she remarks, “means encompassing the other, understanding and sharing with the other a space of similes.” Her research points to the importance of differences, dialogue, and openness towards the Other. In the photographs displayed at PAC - Red Composition, Untitled and Finding Balance, Campos-Pons can be seen wearing braids decorated with rows of red and white African beads, alluding to the colours of Elegguá, the keeper of primordial vital energy; or as a Renaissance queen wearing an imperial kimono and a cage-crown on her head, at the center of a large composition filled with tangles of cloth and small wooden cages (metaphors of life in one place, of belonging, and of the journey).
foto / photo Riccardo Gay
Opere in mostra—Works on show Finding Balance, 2015; Red Composition, 1997; Untitled, 1995
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Javier Castro dal 2004 utilizza il video e la fotografia per rivolgere il proprio sguardo e la sua ricerca artistica alla vita difficile e precaria della società cubana. La sua opera passa da tematiche come la violenza e la sopravvivenza, alle derive linguistiche e alla frustrazione della gente comune. Si sofferma sull’impoverimento psicologico e sociale, causa anche della marginalità della popolazione. I suoi video, privi di spettacolarizzazione e virtuosismi scenici, sono registrazioni brevi e dirette che non giudicano i soggetti ripresi ma si limitano a documentarli. Il video in mostra, Reconstruyendo al héroe, trasferisce il tema dell’eroe – in riferimento ad Antonio Maceo, paladino della lotta d’indipendenza contro gli spagnoli – nella realtà cruda della cronaca quotidiana cubana. Anche se Castro si ispira qui a un eroe di umili origini, mulatto, diverso dalla figura dell’eroe intellettuale, il suo video non ne celebra i caratteri, anzi compone un racconto frammentato e dimesso in allusione alle ventisei ferite di guerra subite da Maceo. Ventisei sono le brevi testimonianze rilasciate da madri afrocubane riguardo alle aggressioni subite dai loro figli. Le vittime non sono visibili, sono soltanto “raffigurate” dalle madri. A volte la testimonianza è prolifica, altre volte concisa, scandita da informazioni essenziali (il luogo, la pistola, l’azione violenta). Castro contrappone all’immagine eroica di Maceo l’anti-eroe, appartenente a una qualsiasi struttura sociale cubana. In mostra al PAC anche un’opera realizzata a quattro mani con l’artista Luis Gárciga, Reflejos de un lago en el camino. Since 2004 Javier Castro has used video and photography to examine and conduct research into the hard, precarious life of Cuban society. His work ranges from themes like violence and subsistence to the language and frustrations of ordinary people. The artist ponders the psychological and social impoverishment that is also the reason for the people’s
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Opere in mostra—Works on show Javier Castro, Luis Gárciga, Reflejos de un lago en el camino, 2007; Reconstruyendo al héroe, 2006
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marginalization. His videos, devoid of spectacularization, of scenic virtuosity are short, direct recordings that don’t judge the subjects filmed but just document them. The video shown at PAC, entitled Reconstruyendo al héroe, transfers the theme of the hero – in reference to Antonio Maceo, a champion in the fight for independence against the Spanish – into the crude reality of the daily Cuban chronicles. Although Castro is inspired by a hero of humble origins, unlike the figure of the intellectual hero, his video does not celebrate the hero’s traits, but rather puts together a fragmented and demure story alluding to the twenty-seven war wounds Maceo was subjected to. There are twenty-seven short testimonies given by Afro-Cuban mothers concerning attacks on their children. The victims aren’t visible, they are only “represented” by their mothers. At times the testimony is prolific, at other times it is concise, marked by essential facts (place, gun, violent action). Castro offsets the heroic image of Maceo with that of the anti-hero, belonging to any Cuban social structure. Also on display at PAC is a work made jointly with the artist Luis Gárciga, Reflejos de un lago en el camino.
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javier castro
L’Avana, 1984. Attualmente vive e lavora a Miami. Havana, 1984. Lives and works in Miami.
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Celia Irina González Álvarez - L’Avana, 1985. Attualmente vive e lavora tra L’Avana e Quito, Equador. Yunior Aguiar Perdomo - L’Avana, 1984. Attualmente vive e lavora tra L’Avana e Huntly, Scozia. Celia Irina González Álvarez - Havana, 1985. Lives and works between Havana and Quito, Ecuador. Yunior Aguiar Perdomo - Havana, 1984. Lives and works between Havana and Huntly, Scotland.
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Diventano un duo artistico dal 2004, ancor prima di laurearsi all’Istituto Superiore di Arte (ISA) de L’Avana. Con il loro lavoro mettono in discussione e in evidenza i paradossi e le contraddizioni della legislazione cubana, che li porta a volte a intraprendere provocazioni estreme. È il caso dell’opera Estado Civil, per la quale si sono sposati e hanno divorziato per ben sei volte. I due artisti riflettono sulla possibilitàimpossibilità d’azione dei cubani nel loro vissuto quotidiano, utilizzando la legge in una maniera bizzarra e al limite del possibile, senza però trasgredirla. Quella che emerge nelle loro opere è una condizione in cui il popolo cubano vive da tempo e che lo caratterizza: l’ingegno di “poter fare”, per sopravvivere, in condizioni difficili e di povertà, al limite della legalità. Come racconta Celia González, sono diversi i fini per cui si è utilizzato il matrimonio e il divorzio a Cuba, da quelli lucrativi a quelli territoriali, ma anche come possibilità di via d’uscita legale dal Paese. In mostra al PAC sono esposte due opere: Colonias Epífitas e Así no se da el café. La prima consiste nella catalogazione delle case di chi è fuggito dall’isola, case coloniali abitate inizialmente da ricchi possidenti, abbandonate e rese ancora più spettrali dai mobili e dagli effetti personali lasciati dai proprietari in fuga. Il secondo lavoro si riferisce alla produzione e commercializzazione del caffè a Cuba, attraverso testimonianze personali di parenti degli artisti e documenti ufficiali riguardanti il monopolio nazionale imposto dal 1968 e il più attuale ritorno all’attività privata. Nella loro ricerca i due artisti analizzano leggi e regole per trovare il punto di incontro tra giusto e sbagliato, in un contesto che spesso sembra surreale. They became an artistic duo in 2004, even before graduating from the Art Institute
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(ISA) of Havana, using their method to call into question and make evident the paradoxes and contradictions of Cuban legislation, which often leads them to engage in extreme provocations. Estado Civil is an example of this; it is a work for which they were married and got divorced some six times. The two artists ponder the possibilities of and limits to the actions of Cubans in their everyday life, exploiting the laws in a bizarre way and at the very limit of what is possible, without ever breaking them, however. What emerges in their work is the condition in which the Cuban people have been living for a long time, and that characterizes them: their skill at “coping” in order to survive, in harsh conditions and in poverty, at the very edge of what is legal. As Celia Gonzáles tells us, marriage and divorce are used for different ends in Cuba, ranging from lucrative to territorial, but also as a way to leave the country legally. Two of the artists’ works are showcased at PAC: Colonias Epífitas and Así no se da el café. The first consists of a catalogue of the houses of those who have fled the island, colonial houses initially inhabited by their rich owners, abandoned and made even more ghostly by the furniture and the personal belongings left by their fleeing inhabitants. The second work refers to the production and commercialization of coffee in Cuba via the personal testimonies of artists and official documents concerning the national monopoly imposed from 1968 onwards, and the more current return to private activity. In their exploration the two artists analyze laws and rules to find where right and wrong meet within a context that often seems surreal.
Opere in mostra—Works on show Así no se da el café, 2013; Colonias Epífitas, 2012-2013 (Courtesy The Farber Collection)
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Le fotografie, le performance e le installazioni di Susana Pilar Delahante Matienzo esprimono sia le questioni legate alla cultura afrocubana, sia il tema sociale della violenza fisica inflitta alle donne. Sono uno spazio dove manifestare gli impulsi umani e i sintomi traumatici o patologici. Ogni opera rimarca il confronto con una realtà messa in ombra. Pase, acceso ilimitado è una serie di dieci fotografie, nelle quali l’immagine dell’artista si sovrappone alle immagini dei cadeveri di donne di colore, vittime di violenza. L’opera dà voce alla sofferenza e alla morte come esperienze vissute sul proprio corpo. Nell’installazione video El deseo, invece, sei schermi posti uno sopra l’altro in verticale trasmettono l’immagine delle braccia alzate, con le mani in procinto di afferrare qualcosa, metafora del desiderio inarrestabile di possedere. Il gesto, ripetuto nella sequenza, comunica una perenne ricerca di qualcosa, l’incontentabilità umana, accentuata dalla moltiplicazione del movimento perenne delle braccia. In occasione della mostra, l’artista realizza una performance dal titolo El tanque nella quale, come in un atto sacrificale, lascia che la madre trasformi il suo aspetto in quello di una donna occidentale stirandole i capelli con un pettine di ferro rovente, scaldato su carboni ardenti: un metodo casalingo e anche pericoloso che le donne afrocubane utilizzano per assomigliare sempre più ai canoni occidentali di bellezza imposti dalla globalizzazione, adottati dal mercato, dalla moda, dal cinema e in modo sempre più diffuso dal web. Alla fine di questo processo, l’artista si versa in maniera improvvisa sulla testa un barile pieno d’acqua fredda, per far tornare i capelli al loro stato originale. Susana Pilar Delahante Matienzo’s photographs, performances, and installations focus on Afro-Cuban culture and the social issue of physical violence inflicted on women. They provide a space in which to manifest human impulses
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Opere in mostra—Works on show El deseo, 2014; Pase, acceso ilimitado, 2003
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L’Avana,1984. Attualmente vive e lavora a L’Avana. Havana,1984. Lives and works in Havana.
and traumatic or pathological symptoms. Each work underscores a comparison with reality that is swept under the carpet. Pase, acceso ilimitado is a series of photographs in which the image of the artist overlaps with the images of the dead bodies of black women who have been the victims of violence. The work gives a voice to suffering and death as experiences that involve the body. In the video installation El deseo, instead, six screens arranged vertically one above the other transmit the image of arms held aloft, with hands ready to grab something, a metaphor of the unstoppable desire to possess. The gesture, which is repeated in the sequence, communicates an endless search for something, the human being’s insatiableness, accentuated by the multiplication of the endless movement of the arms. On the occasion of the exhibition, the artist has created a performance entitled El tanque. Akin to a sacrificial act, she allows her mother to transform her into a Western beauty by ironing her hair with a red-hot iron comb, heated over burning coals. This is a domestic practice, and it is also a dangerous method that Afro-Cuban women use to try to resemble the Western canons of beauty imposed by globalization, and adopted by the market, fashion, cinema, and increasingly by the Web. At the end, the artist abruptly pours a pitcher full of cold water over her head so that her hair returns to its original state.
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Ángel delgado
L’Avana, 1965. Attualmente vive e lavora tra L’Avana e Las Vegas. Havana, 1965. Lives and works between Havana and Las Vegas.
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Le sue opere utilizzano diversi linguaggi artistici, passando dalla performance all’installazione, dalla pittura alla scultura, fino all’utilizzo della fotografia e del video. Il suo lavoro affronta tematiche che riguardano questioni legate a limitazioni personali e sociali, restrizioni e proibizioni, imposizione di norme dettate da istituti e apparati di controllo dell’individuo che generano paure e che limitano la libertà dell’essere umano. In mostra le foto della famosa performance La esperanza es lo último que se está perdiendo, avvenuta il 4 maggio del 1990, che documentano l’artista nell’atto di defecare su una copia del “Granma”, il giornale ufficiale del Partito Comunista cubano. L’azione, considerata “scandalo pubblico”, è costata a Delgado sei mesi di prigionia. Questo trauma influenzerà la sua produzione successiva e porterà l’artista a realizzare opere servendosi di materiali semplici, i pochi a disposizione di un detenuto. È il caso dell’opera Pañuelos esposta al PAC, una serie di fazzoletti di stoffa su cui l’artista stampa chiari elementi iconografici riferiti alla repressione della libertà per poi intervenire con disegni di personaggi allusivi e simbolici. Delgado’s works employ different artistic languages, which include performance, installation, painting, sculpture, photography, and video. His work deals with themes that concern issues related to personal and social limitations, restrictions, and prohibitions, the imposition of rules established by institutions and systems meant to control the individual, generating fears and limiting the human being’s freedom. On display are the photographs of the celebrated performance entitled La esperanza es lo último que se está perdiendo, held on May 4, 1990,
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documenting the artist in the act of defecating on a copy of Granma, the official newspaper of the Cuban Communist Party. This action was a “public scandal,” and it cost Delgado six months in prison. The trauma of the experience influenced the artist’s subsequent output, for which he used simple materials, the few made available to a prisoner. Pañuelos, on display at PAC, is a series of cloth handkerchiefs on which the artist printed evident iconographic elements having to do with the repression of freedom, and then adding to them drawings of allusive and symbolic characters.
Opere in mostra—Works on show Pañuelos, 2007-2010; La esperanza es lo último que se está perdiendo (1) e (2) , 1990
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Video, installazione, scultura, performance, ceramica sono i linguaggi che l’artista utilizza per tracciare un discorso nel quale la nozione di realtà diventa un’esperienza relativa. L’opera che Díaz espone in mostra, Barreras Ideológicas, è anche la prima che incontriamo: un’installazione site-specific appositamente realizzata per il cortile del PAC. Addentrandosi nella struttura, l’impressione è quella di trovarsi in un labirinto, una prigione. Il titolo ci aiuta a comprendere il senso. Quelle tra cui camminiamo sono barriere, impedimenti che, come tutte le cose, vanno viste però da diverse prospettive. Osservate dall’alto, infatti, le strutture formano delle enormi lettere che compongono la parola IDEAS. Le barriere ideologiche sono dunque gabbie, che diventano però stimolo per la nascita di nuove idee. La seconda opera di Díaz, Aliento, consiste in un frigorifero anni cinquanta proveniente dal suo studio cubano. Finito chissà come a L’Avana (dove, a partire dal 1959, non è possibile importare alcun prodotto dagli Stati Uniti), il frigorifero è stato trovato da Díaz quando ha affittato l’appartamento. Colpito dalla presenza quasi aliena di questo oggetto in quel contesto, l’artista ha voluto farne una sorta di capsula del tempo, nella quale conservare ciò che resta di altri beni d’importazione utilizzati dal proprietario della casa: le sigarette marca Hollywood, che pur essendo americane sono facilmente reperibili sull’isola tramite il contrabbando. Video, installation, sculpture, performance, and ceramics are the languages that this artist uses to trace a discourse in which the notion of reality becomes a relative experience. The work Díaz is exhibiting here, which is also the first one the visitor sees, is the site-specific installation Barreras Ideológicas, specially made for the PAC courtyard. Entering the installation we have the impression of being inside a
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labyrinth, or a prison. The title helps us to understand: we are walking in between barriers, obstacles that like everything must be seen from different points of view. Observed from above, the structures form huge letters that spell the word IDEAS. The ideological barriers are thus cages, which become a stimulus for the birth of new ideas, however. The atrium instead houses the work Aliento, a 1950s fridge from the Cuban artist’s studio. After somehow ending up in Havana (since 1959 there had been an embargo on products from the United States), Díaz came across the fridge when he rented the apartment. Taken aback by the object, a foreign one in that context, the artist turned it into a sort of time capsule in which to store other goods smuggled in and used by the owner of the apartment: Hollywood brand cigarettes which, albeit American, are easily found on the island thanks to the black market.
foto / photo Roberto Marchese
Opere in mostra—Works on show Barreras Ideológicas, 2016; Aliento, 2015
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humberto dÍaz
Cienfuegos, Cuba, 1975. Attualmente vive e lavora a L’Avana. Cienfuegos, 1975. Lives and works in Havana.
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carlos garaicoa
L’Avana, 1967. Attualmente vive e lavora tra Madrid e Cuba. Havana, 1967. Lives and works between Madrid and Cuba.
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Dall’inizio degli anni novanta, Garaicoa utilizza fotografia, performance, disegno, scultura, installazione, testi e video. Anche se fa riferimento ad altre metropoli internazionali, gran parte del suo lavoro critica le politiche architettoniche adottate a L’Avana dopo la rivoluzione del 1959, dedicate a nuovi progetti di architettura popolare, che hanno trascurato i vecchi edifici in evidente bisogno di conservazione. In mostra troviamo l’opera Deleuze & Guattari Fixing the Rhizome, ispirata al lavoro dello psicologo Pierre-Félix Guattari e del filosofo Gilles Deleuze. Dal loro sodalizio intellettuale nacque il libro L’Anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, pubblicato nel 1972, nel quale i due rifiutano la psicanalisi – che ritengono asservita al modello capitalistico e concentrata a reprimere i desideri umani, intrinsecamente rivoluzionari – e difendono la schizofrenia, vista come un tentativo rivoluzionario, per quanto fallimentare. Una teoria elaborata da due intellettuali senz’altro eterodossi – Pierre-Félix Guattari fu espulso dal partito comunista francese – nella quale Garaicoa ha visto similitudini con la storia cubana. Chiude la mostra l’opera Sloppy Joe’s Bar Dream..., con la quale Garaicoa ricostruisce, come un archeologo, un simbolo della vita cubana, lo Sloppy Joe’s Bar, un famoso locale de L’Avana tra gli anni trenta e quaranta, frequentato anche da Hemingway, che è stato chiuso dopo la vittoria della Rivoluzione (1959). From the early 1990s, Garaicoa uses photography, performance, drawing, sculpture, texts, and videos. Though he refers to other international metropolises, much of his work criticizes the architectural policies adopted in Havana after the Revolution in 1959; these were dedicated to new social housing, which
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neglected the old buildings evidently in need of restoration. Exhibited here is the work Deleuze & Guattari Fixing the Rhizome inspired by the joint collaboration between the psychologist Pierre-Félix Guattari and the philosopher Gilles Deleuze. The result of their intellectual partnership was the book Anti-Oedipus: Capitalism and Schizophrenia, published in 1972. In this work the two men reject psychoanalysis – which they believe is enslaved to the capitalist model and focused on repressing intrinsically subversive human desires – and they defend schizophrenia, which they see as a revolutionary attempt, albeit one that is destined to fail. A theory developed by two heterodox intellectuals – Pierre Félix Guattari was expelled by the French Communist Party – in which Garaicoa sees parellels with Cuban history. The exhibition ends with Sloppy Joe’s Bar Dream...; akin to an archaeologist Garaicoa reconstructs a slice of Cuban life: Sloppy Joe’s Bar. This was a famous café in Havana in the 1930s and 1940s, with Hemingway among its patrons. It closed after the victory of the Cuban Revolution (1959).
foto / photo © Oak Taylor-Smith
Opere in mostra—Works on show Deleuze & Guattari Fixing the Rhizome, 2008; Sloppy Joe’s Bar Dream…, 1995
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Attraverso i suoi video Luis Gárciga osserva le esperienze della vita ordinaria cubana nel tentativo di trasmettere una rappresentazione di tutto ciò che è incerto e intangibile, stando attento a unire la ricerca riflessiva e mentale all’emozione. La sua opera si concentra sulla relazione che esiste tra l’arte e l’indagine della realtà, analizzando alcune zone collettive circostanti. Spinto anche da un interesse antropologico, l’artista documenta l’incertezza che governa la popolazione e la vita quotidiana cubana. L’illusione, il desiderio, la paura, l’attesa, il diverso e il possibile, sono alcuni dei tratti di un volto sociale traumatico e traumatizzato. Gárciga produce video e installazioni con videomapping, una tecnica che gli consente di documentare direttamente il quotidiano e indagare i contesti mettendo in luce le problematiche della nazione. La metafora e l’ironia, miscelate a elementi tratti dalla vita ordinaria, lasciano aperta la discussione sui processi sociali. Nell’opera Destinos posibles, per esempio, l’artista si mette nei panni di un tassista e offre viaggi gratis in cambio di racconti: nello specifico chiede ai passeggeri qual è la loro meta, che può essere un luogo oppure un obiettivo lavorativo. Tra sogno e realtà, illusione e disillusione, quello che ne esce è uno spaccato delle aspettative e prospettive del popolo cubano, un ritratto collettivo, ma anche individuale, molto interessante e atipico. In mostra al PAC anche un’opera realizzata a quattro mani con l’artista Javier Castro, Reflejos de un lago en el camino. Through his videos Luis Gárciga observes the everyday experiences of Cuban life in an attempt to convey a representation of everything that is uncertain and intangible, mindful of combining reflexive and mental search with emotion. His work focuses on the relationship that exists between art and
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Opere in mostra—Works on show Destinos posibles, 2008-2009; Javer Castro e Luis Gárciga, Reflejos de un lago en el camino, 2007
garaicoa —gÁrciga
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the study of reality, analyzing several surrounding community areas. Spurred by his interest in anthropology, the artist documents the uncertainty that governs the Cuban people’s everyday lives. Illusions, desires, fears, expectations, the different and the possible, these are the many aspects of a traumatic and traumatized society. Gárciga uses videomapping to produce videos and installations; this technique allows him to document the everyday directly and investigate the various contexts by casting light on the country’s problems. Metaphor and irony, combined with elements taken from everyday life, pave the way for a debate on social processes. In Destinos Posibles, for instance, the artist plays the part of a+ taxi driver and offers free trips in exchange for stories. Suspended between dream and reality, illusion and disillusionment, what emerges is a clear view of the expectations and prospects of the Cuban people, a group portrait, but also an atypical and interesting individual one. Also on display at PAC is a work jointly made with the artist Javier Castro, Reflejos de un lago en el camino.
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luis gÁrciga
L’Avana, 1971. Attualmente vive e lavora tra L’Avana e Città del Messico. Havana, 1971. Lives and works between Havana and Mexico City.
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luis gÓmez armenteros
L’Avana, 1968. Attualmente vive e lavora a L’Avana. Havana, 1968. Works and lives in Havana.
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Nel suo lavoro utilizza diversi mezzi espressivi, istallazione, video, fotografia e pittura, con l’intento di mettere a confronto le relazioni di potere. Nell’opera Un Sueño Sufí (Un sogno sufi), realizzata direttamente sulla parete della prima sala del PAC, l’artista incide a mano, scava e graffia nel muro una domanda forte e sofferta “Do you want to by my misery?”(Vuoi comprare la mia miseria?). Una domanda rivolta al visitatore e al mondo, non a caso la scelta della lingua inglese. È chiaro qui il riferimento alla mercificazione dell’arte, di oggetti e persone. La seconda opera dell’artista presente in mostra è Ya nada nos pertenece (Nulla ci appartiene): il senso nichilista di questa frase è stato scelto per accentuare il dramma che propone, sentimento e certezza della perdita di tutto, segreta passione per il disastro. Rappresenta le mani dell’uomo come segno elementare di creazione, ma anche simbolo di interiorità e destino. La scelta di rappresentarle dal lato dei palmi rende complice lo spettatore e lo coinvolge, mostrandogli questa dualità di eterno ed effimero. La decisione di realizzare opere sitespecific è una strategia dell’artista per decostruire la struttura dell’arte. Nell’ottica di una mostra diffusa nella città, un’altra opera di Gómez, Miserere, è stata realizzata all’interno dell’Edicola Radetzky, il nuovo micro-spazio per l’arte contemporanea in viale Gorizia (Darsena) a Milano. In his work this artist uses different media, such as installation, video, photography and painting, his purpose being to compare relations of power. The artist chooses the strategy of creating site-specific works to deconstruct the structure of art. For the work Un Sueño Sufí, created directly on the wall of the first exhibition’s room, the artist carves by hand, digging
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and scratching into the wall the strong, painful question: “Do you want to buy my misery?” The question is addressed to the visitor, the world, and the choice of the English language is no accident. The reference to the commoditization of art, objects, people is clear. The artist’s second work is Ya nada nos pertenece: the nihilistic sense of these words was chosen to stress the drama it suggests, the feeling and certainty that all is lost, a secret passion for disaster. It represents that hands of man as the elementary sign of creation, but also as a symbol of interiority and destiny. But deciding to show them from the palm side up it makes the viewer an accomplice, involving him/her, and expressing the dual nature of the eternal and the ephemeral. From the point of view of an exhibition that spreads around the city, another work by Gómez, Miserere, was created inside the Radetzky “edicola”, the new space for contemporary art in viale Gorizia (Darsena), Milan.
Opere in mostra—Works on show Un Sueño Sufí, 2011; Ya nada nos pertenece, 1991
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Dalla fine degli anni novanta Antonio Gómez Margolles, discostandosi lentamente da una ricerca pittorica iniziale, sperimenta un uso singolare della fotografia e della installazione digitale interattiva, passando attraverso varie fasi ed esprimendo una costante messa in discussione dell’essere umano. In mostra al PAC la serie La LIegada al Fracaso appare come un viaggio emozionale che recupera “l’occhio fotografico” analogico e restituisce una visione del mondo cubano con toni malinconici e romantici. Margolles realizza un tipo di fotografia fatalistica, che ritrae la realtà decadente cubana e ne trascende il volto: “cercando invano o fittiziamente di evitare l’inevitabile, queste immagini sono la parabola che unisce o prova a dare un senso all’alienazione dei sentimenti” (Margolles). In questa sequenza di foto in bianco e nero, l’artista vuole rendere omaggio alla tecnica fotografica “tradizionale” ormai anacronistica, che gli permette di rendere con maggiore intensità le immagini ritratte come interni, paesaggi lontani o dettagli, immagini apparentemente contemplative che in realtà trasmettono una profonda sensazione di non appartenenza. È la fuga dal reale tipica dell’artista romantico, che si rifugia nel passato e nel suo ricordo illusorio per fuggire a un presente non gradito. Queste immagini rappresentano per l’artista un momento storico che compromette la società e con essa anche la sua produzione artistica, un periodo che ci fa sentire la nostalgia per un passato recente e allo stesso tempo lontano e nel quale la maggior parte delle volte si ha la sensazione di un irrimediabile “… arrivo al fallimento” (Llegada al fracaso). In the late 1990s, Antonio Gómez Margolles slowly moved away from his initial pictorial research and began to experiment with a unique use of photography and interactive digital installation, going through several phases and expressing a constant analysis of the human being. Exhibited at PAC, the series La LIegada al
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foto / photo Roberto Marchese
Opere in mostra—Works on show La Llegada al Fracaso, 2012-2014
gÓmez armenteros—gÓmez margolles
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Fracaso (2012-14) appears to be an emotional journey that recuperates the analogical “photographic eye” and restores a vision of the Cuban world with melancholy and romantic tones. Margolles creates a fantastic type of photography, which depicts the decadent Cuban reality and transcends its face: “Seeking in vain or fictitiously to avoid the inevitable, these images are the parabola that joins or tries to give meaning to the alienation of the sentiments” (Margolles). In this sequence of black and white photos, the artist seeks to pay homage to the by now anachronistic “traditional” photography technique that allows him to render with greater intensity the images portrayed as interiors, distant landscapes, or details, images that are apparently contemplative but that actually convey a profound sensation of non-belonging. This flight from reality is typical of the romantic artist, who takes refuge in the past and in his illusory memory to escape a present he does not want. These images represent for the artist a historical moment that compromises society and along with it artistic production as well; it is a period that makes us feel both nostalgia about the recent past and distant from it, and in which most of the time we have the feeling of something irremediable “…the advent of failure” (Llegada al fracaso).
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antonio gÓmez margolles
L’Avana, 1972. Attualmente vive e lavora a L’Avana. Havana, 1972. Lives and works in Havana.
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felix gonzalez-Torres
Guáimaro, Cuba, 1957 - Miami, 1996. Guáimaro, Cuba, 1957 - Miami, 1996.
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È considerato tra i più importanti e conosciuti artisti cubani del XX secolo. Diplomatosi al Colegio San Jorge di Porto Rico nel 1976, inizia gli studi artistici all’Universidad de Puerto Rico e partecipa attivamente alla scena artistica locale. Nel 1979 si trasferisce a New York con una borsa di studio per il Pratt Institute di Brooklyn. L’anno seguente partecipa al Whitney Independent Study Program, dove viene introdotto alla teoria postmoderna che influirà profondamente sul suo sviluppo artistico. Nel 1987 entra a far parte di un collettivo di artisti, il Group Material, e nello stesso anno completa il master all’International Center of Photography, New York University. In seguito insegna alla New York University e per un periodo al California Institute of the Arts a Valencia, Stati Uniti. Durante la sua carriera, il coinvolgimento di Gonzalez-Torres in cause sociali e politiche come uomo e artista apertamente gay alimentano il suo interesse per la sovrapposizione tra vita pubblica e privata. Le sue prime personali a New York vengono allestite nel 1988 alla Intar Latin American Gallery e alla Rastovski Gallery. L’anno seguente espone un cartellone commemorativo del ventesimo anniversario della rivolta di Stonewall a Sheridan Square, New York. Nel 1992 il Museum of Modern Art (MoMA) di New York lo invita a partecipare alla serie Projects, per la quale crea un poster con la foto di un letto matrimoniale vuoto, ma con i segni di chi l’ha occupato, esposto in diversi luoghi della città. Gonzalez-Torres muore per complicazioni dovute all’AIDS il 9 gennaio 1996. In mostra al PAC: “Untitled” (Line of Long Life), “Untitled” (Blu Cross), “Untitled” (Fear), “Untitled” (rue St. Denis), “Untitled” (Ross and Harry). Gonzalez-Torres is considered one of the most important and famous Cuban artists of the twentieth century. After earning a degree at the Colegio San Jorge of Puerto Rico in 1976, he began to study art at the Universidad de Puerto Rico and actively participated in the local art scene. In 1979 he moved to New York with a
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scholarship at Pratt Institute in Brooklyn. The following year he took part in the Whitney Independent Study Program, where he was introduced to the postmodern theory that would profoundly influence his artistic development. In 1987 he became a member of a group of artists called Group Material, and that same year he completed his M.A. at the International Center of Photography/ New York University. After that he taught at New York University and for a period of time also at the California Institute of the Arts in Valencia, United States. Throughout his career, Gonzalez-Torres’s involvement in social and political causes as an openly homosexual man nurtured his interest in the overlapping of public and private life. His first solo shows in New York were set up in 1988 at the Intar Latin American Gallery and at the Rastovski Gallery. The following year he exhibited a poster commemorating the twentieth anniversary of the Stonewall riots in Sheridan Square, New York. In 1992 the Museum of Modern Art (MoMA) in New York invited him to participate in the series Projects, for which he created a poster with the photograph of an empty double bed, but with the signs of the person who had been lying in it, exhibited in different parts of the city. Gonzalez-Torres died of AIDS-related complications on 9 January 1996. The following works are exhibited at PAC: “Untitled” (Line of Long Life), “Untitled” (Blu Cross), “Untitled” (Fear), “Untitled” (rue St. Denis), “Untitled” (Ross and Harry).
foto / photo Annamaria La Mastra
Opere in mostra—Works on show “Untitled” (rue St. Denis), 1992; “Untitled” (Fear), 1991; “Untitled” (Line of Long Life), 1991; “Untitled” (Ross and Harry), 1991; “Untitled” (Blue Cross), 1990 © The Felix Gonzalez-Torres Foundation Courtesy of Andrea Rosen Gallery, New York
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Il lavoro di Hernández si concentra sull’immagine e la sua capacità di essere veicolo di molti significati. L’artista utilizza la fotografia e il video per indagare il contesto sociale nel quale vive, partendo però dalla sua personale esperienza, cercando di raccontare ciò che è nascosto, non detto, sconosciuto. In mostra il suo video La culpa nunca cae al suelo e una serie fotografica Acerca de las bajas pasiones. Per un anno intero, Ricardo Miguel Hernández ha spiato una spia. Ogni quartiere de L’Avana, infatti, ha una persona delegata dal governo a sorvegliare la cittadinanza e denunciare eventuali individui o comportamenti sospetti. Scoperto che una di queste spie risiedeva proprio nel suo palazzo, l’artista ha deciso di ribaltare i ruoli e, armatosi di macchina fotografica, ne ha documentato l’andirivieni attraverso lo spioncino della porta. Nel video, invece, usa degli attori per raccontare quello che realmente ha raccolto tramite delle interviste fatte a persone che sono state denunciate dalle spie e quindi interrogate. Ricardo Miguel Hernández’s work focuses on the image and its capacity as a vehicle for multiple meanings. Hernandez uses photography and the video to explore the social context in which he lives, starting from his personal experience, however, trying to tell what is hidden, left unsaid, unknown. The show presents his video La culpa nunca cae al suelo and a series of photographs entitled Acerca de las bajas pasiones. For a whole year, Ricardo Miguel Hernández spied on a spy. Every neighborhood in Havana has a person paid by the government who watches over the citizens and reports any suspicious activities. When the artist found out that one of these government informers was living in his building, he decided to switch roles and, armed with
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gonzalez-Torres — hernÁndez
L’Avana, 1984. Attualmente vive e lavora a L’Avana. Havana, 1984. Works and lives in Havana.
a camera, he recorded the coming and going through a peephole in the door. In the video he uses actors to tell the information that really was gathered by interviewing people who were reported by the spies and then interrogated.
foto / photo Roberto Marchese
Opere in mostra—Works on show Acerca de las bajas pasiones, 2014-2015; La culpa nunca cae al suelo, 2014
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ricardo miguel hernÁndez
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kcho alexis Lev ya Machado - Isla de la Juventud, Cuba 1970. Attualmente vive e lavora a L’Avana. alexis Lev ya Machado - Isla de la Juventud, Cuba 1970. Lives and works in Havana.
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Oggetti, disegni, grandi installazioni ambientali: le sue opere ci riportano continuamente all’identità, alla memoria, alla storia di Cuba. La barca, la zattera e i materiali assemblati per la fuga sono utilizzati come dispositivi per un viaggio reale e nello stesso tempo simbolico. Il tema del mare è il leitmotiv principale, sempre in riferimento all’isola di Cuba. Il mare è per lui sia un orizzonte che un limite. Parlando di Cuba l’artista afferma: “la nostra storia è fatta di sangue e acqua del mare”. Kcho predilige il materiale di recupero perché possiede un vissuto, porta con sé una narrazione e alcuni caratteri della vita cubana: “... utilizzo materiale di recupero perché nella vita quotidiana cubana c’è molto riciclaggio, non ci possiamo permettere di buttare niente, siamo stati educati così. Le mie opere e le mie installazioni hanno una vita precedente all’opera... una vita che continua”. In mostra al PAC, Estelas en la mar mi abrigo y mi sosten (Mariana) è una composizione antropomorfa costituita da un cappotto nero come corpo e una barca come testa: un assemblaggio che diventa lo spettro dei balseros cubani (emigrati che scappano sfidando il mare con imbarcazioni precarie), ricordo dei morti nelle traversate verso la “terra promessa” americana. Lo stesso tema lo ritroviamo nell’opera su carta che riproduce una sorta di visionario feticcio del mare, tra incubo e realtà. Objects, drawings, large-scale sitespecific installations: his works constantly hark back to the identity, memory, and history of Cuba. The boat, the raft, the materials assembled for the flight are used as devices for a journey that is real and at the same time symbolic. The theme of the sea is the major leitmotif, always in reference to the island of Cuba. For this artist the sea is both a horizon and a limit.
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Speaking of Cuba the artist remarks: “Our history is made of blood and sea water.” Kcho prefers found material because it has had a life, bringing with it a narrative and certain characteristics of Cuban life. The artist “uses found material because in everyday Cuban life there is a great deal of recycling, we can’t afford to throw anything away, that’s the way we’ve been brought up. My works and my installations have a life that came before the work… a life that continues”. Exhibited at PAC, Estelas en la mar mi abrigo y mi sosten (Mariana) is an anthropomorphic composition consisting of a black coat as a body and a boat as a head: this assemblage is the ghost of the Cuban balseros (migrants in flight who defy the sea in makeshift boats), a memento of the dead in the crossings toward the American Promised Land. We find the same theme in the artist’s works on paper which reproduce a sort of fetishlike visionary of the sea, poised between nightmare and reality.
Opere in mostra—Works on show Estelas en la mar mi abrigo y mi sosten (Mariana), 1996; Untitled, 1996
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Attraverso l’uso di performance, video, sculture e installazioni, Labat affronta i temi del corpo e della cultura popolare, dell’identità e delle relazioni urbane, della politica e dei media. I suoi lavori danno vita a maschere allegoriche che fanno in modo che sia gli aspetti politici sia quelli storici perdano crudezza e intenzione ideologica e siano presentati in chiave fondamentalmente poetica. Labat ci dà la possibilità di leggere il lavoro di tutta la sua vita come una sola opera. In lui il corpo individuale e il corpo sociale condividono la stessa carne. Attraverso la sua arte analizza le forme sulle quali si instaurano le norme della morale che sostengono il potere. L’opera Dialectic è una rivisitazione di quella che l’artista ha realizzato nel 1978 sotto il primo murale americano di Diego Rivera, creato per l’Istituto d’Arte di San Francisco. Il murale era una chiara critica al capitalismo americano e Labat rinforzò la posizione di Rivera ponendo sotto la sua opera i simboli del comunismo: il colore rosso e, appoggiate precariamente al muro, una fila di pagnotte (“il comunismo è pane” è un’espressione tratta da una citazione di Marx). Nell’opera Todo(s) Incluido, una foto simbolica critica la politica “all inclusive” degli alberghi di lusso pensati per gli stranieri a Cuba. L’opera gioca con le parole tutto incluso e tutti inclusi, il pugno rivoluzionario indossa il braccialetto dell’albergo a sottolineare le molteplici contraddizioni dell’isola. Through the use of performance, video, sculpture, and installation, Labat deals with the themes of the body and popular culture, as well as of identity, urban relations, politics, and the media. His works create allegorical masks which ensure that both the political and historical aspects lose coarseness and ideological intention and are presented in an essentially poetic way. Labat gives us the chance to read the work of his whole life as a single work. The individual and
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Opere in mostra—Works on show Dialectic, 1978-2016; Todo(s) Incluido, 2015; Symbolic Reminders: Redimeid, 2015
KCHO—labat
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social bodies share the same flesh in him. He sounds out the shapes on which the rules of the morale supporting power are established in his art. Dialectic is the revisitation of a work the artist made in 1978, under the first American murales by Diego Rivera produced for the San Francisco Art Institute. The murales brims over with symbols, a clear critique of American Capitalism, and Labat reinforces Rivera’s position by placing beneath his work the symbols of Communism: the colour red, and a row of bread loaves. (“Communism is bread” is a quotation from C. Marx). In Todo(s) Incluido a symbolic photograph criticizes the “all-inclusive” packages of luxury hotels for holidaymakers in Cuba coming from around the world. “All inclusive” and “everyone included” is a play on words, and the revolutionary raised fist wears the hotel bracelet, evidencing the island’s multiple contradictions.
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tony labat
L’Avana, 1951. Attualmente vive e lavora a San Francisco. Havana, Cuba, 1951. Lives and works in San Francisco.
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ernesto leal
L’Avana, 1971. Attualmente vive e lavora a L’Avana. Havana, 1971. Works and lives in Havana.
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La ricerca artistica di Leal inizia negli anni ottanta quando prende parte alle azioni pubbliche del gruppo attivista cubano Arte Calle, composto da nove artisti e operativo tra il 1986 e il 1989. In aperto contrasto con la chiusura e la retorica tipiche dei contesti culturali e politici cubani. Successivamente Leal esplora la lingua parlata e il testo scritto: ne indaga l’uso corretto o improprio, l’appropriazione e lo stravolgimento da parte delle istituzioni che detengono il potere. Ossessionato dall’uso della lingua nella propaganda politica, lavora intorno alla “decostruzione” del messaggio comunicato dalle parole scritte per le strade cubane, dagli slogan e dalle citazioni degli eroi nazionali. Nell’opera Word Cloud, esposta al PAC, l’artista proietta sulle pareti la rappresentazione grafica delle parole più frequentemente ripetute nei libri e riviste d’arte tra il 2013 e il 2014: “No” e “Más” (mai) risultano quelle più ricorrenti. Nel video Diglosia Leal assembla invece parole riprese da contesti di propaganda politica e le unisce per formare nuove frasi: decontestualizzando il discorso ufficiale riesce a trasmettere ciò che, se fosse detto apertamente, sarebbe sicuramente censurato. La terza opera, Delegación cubana, consiste in un’installazione a cielo aperto realizzata appositamente per il PAC. L’idea nasce quando l’artista viene a sapere che i Musei Capitolini di Roma hanno deciso di coprire le statue nude della collezione per la visita del presidente iraniano Hassan Rouhani. Un gesto forte per un Paese occidentale e democratico come il nostro. Leal ne è profondamente colpito e decide di ripetere la stessa azione nel giardino del PAC su I Sette savi di Fausto Melotti, mettendo l’accento su tutte le forme di censura artistica. Leal’s artistic research began in the 1980s when he took part in the public actions of the Cuban activist group Arte Calle, made up of nine artists active between 1986 and 1989 in contrast with the closure and rhetoric so typical of Cuban cultural and political context. Later on, Leal began to
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explore spoken language and written text: he investigated their correct or incorrect use, their appropriation and distortion by the institutions in power. Concerned with the use of language in political propaganda, the artist focuses on the “deconstruction” of the message communicated by the written words along Cuba’s streets, by the slogans and the references to national heroes. In Word Cloud, showcased at PAC, the artist projects onto the walls the graphic representation of the words most frequently occurring in art books and magazines between 2013 and 2014: “No” and “Más” (Never) are the ones that most often appear. In the video Diglosia Leal instead assembles words taken from political propaganda contexts and joins them to form new phrases: by decontextualizing official discourse he manages to convey what would no doubt have been censored had it been pronounced openly. The third work, Delegacion cubana, is an outdoor installation made specially for PAC. The artist got the idea for it when he found out that the Capitoline Museums in Rome had covered up all the nude statues for the visit of Iranian President Hassan Rouhani. It was a powerful gesture for a Western, democratic country like Italy. Leal was deeply affected by it and decided to repeat the same action in the garden at PAC on Fausto Melotti’s I Sette savi di Fausto Melotti, thereby drawing attention to all forms of artistic censorship.
foto / photo Roberto Marchese
Opere in mostra—Works on show Delegación cubana, 2016; Word Cloud: Which are the most repeated words in Cuban art?, 2014; Diglosia, 2010
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La ricerca artistica di Leyva Novo è poeticamente intrisa di riflessione storica. La storia e i suoi orrori sono il tema fondante della sua opera profondamente concettuale. La sua pratica artistica si avvale di diversi mezzi espressivi, dal software utilizzato per realizzare alcune opere, alla trasformazione di elementii simbolici attraverso la bruciatura o la fusione, per la creazione di oggetti artistici e installazioni. In mostra sono esposte tre opere dell’artista. Ne El peso de la muerte, una serie di proiettili fusi e trasformati in pesi, da un grammo a un chilo, misurano la violenza latente dei proiettili non sparati. In No me guardes si me muero, l’artista brucia 25 tomi della collezione “Opere complete” dello scrittore José Martí, famoso a Cuba per essere stato uno dei fautori della guerra d’indipendenza dal dominio spagnolo: un atto di critica verso la strumentalizzazione postuma del pensiero di Martí, dove il fuoco viene utilizzato per purificare simbolicamente la collezione. In Páginas Escogidas, la historia día a día Leyva Novo seleziona una serie di articoli apparsi sul “Granma” (il giornale ufficiale del Partito Comunista cubano) dal 2007 al 2010, ne mantiene l’estetica ma ne cambia i contenuti. The artist’s research is poetically steeped in historical reflection. History and its horrors are the underlying theme of his profoundly conceptual works. Novo uses different media for his work, from software to the transformation of symbolic elements by burning or fusion, to the creation of artistic objects and installations. Three works by the artist are exhibited. In El peso de la muerte a series of bullets melted down and turned into weights weighing from one gram to one kilo measure the potential violence of bullets waiting to be fired. In No me guardes si me muero, the artist burns 25 tomes of the Complete Works of the writer José Martí, famous in Cuba for having been
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leal—leyva novo
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one of the advocates of the Cuban War of Independence against Spain: a critical act against the posthumous exploitation of Martí’s thinking; fire is used here to symbolically purify the collection. In Páginas Escogidas, la historia día a día Leyva Novo selects a series of articles that appeared in Granma (the official publication of the Cuban Communist Party) from 2007 to 2010, maintaining its aesthetics but not its contents.
foto / photo Juan Carlos Alom
Opere in mostra—Works on show El peso de la muerte, 2016; No me guardes si me muero, 2016; Páginas Escogidas, la historia día a día, 2007-2010
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reynier leyva novo
L’Avana, 1983. Attualmente vive e lavora a L’Avana. Havana, 1983. Lives and works in Havana.
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los carpinteros
Marco Antonio Castillo Valdes, Camagüey, Cuba, 1971 e Dagoberto Rodríguez Sánchez, Caibarién, Las Villas, Cuba, 1969. Attualmente vivono e lavorano tra L’Avana e Madrid. Marco Antonio Castillo Valdes, Camagüey, Cuba, 1971 and Dagoberto Rodríguez Sánchez, Caibarién, Las Villas, Cuba, 1969. They currently live and work between Havana and Madrid.
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Collettivo artistico fondato nel 1992 a L’Avana, Los Carpinteros progettano architetture e oggetti che esasperano la forma a discapito della finalità d’uso. Tra arte, architettura e design, le loro opere, a volte monumentali, sono create sempre secondo nuovi codici che estendono il concetto di scultura verso soluzioni installative aperte e relazionali, come ad esempio le biblioteche. Spesso il loro lavoro tridimensionale è completato da acquerelli e video. Le sculture appaiono sicuramente somiglianti all’oggetto che rappresentano, ma nello stesso tempo diverse: sono la metafora del fallimento della ragione. La serie Clavos, in mostra al PAC, è composta da chiodi giganti che dominano lo spazio. Il chiodo, simbolo del lavoro manuale non a caso proprio dei carpentieri (los carpinteros), diventa una presenza animata, che si contorce e assume forme zoomorfe, riconoscibile ma modificato nel suo significato. L’opera Cachita, parte del dittico Emelino e Cachita, anziché osannare le icone rivoluzionarie (Che Guevara e Camilo Cienfuegos), celebra i parenti degli artisti, coetanei della Rivoluzione. Le due fotografie in bianco nero invece, anch’esse esposte al PAC, fanno parte della serie Túneles Populares, un lavoro quasi antropologico che documenta gli ingressi dei tunnel, in diverse parti dell’isola, scavati come potenziali vie di fuga verso il mare, dopo l’inasprimento dell’embargo avvenuto durante il governo Reagan. A oggi non sappiamo se questi tunnel siano stati effettivamente utilizzati per questo fine. This artistic group was founded in 1992 in Havana. Based on art, architecture and design, Los Carpinteros design architecture and objects that take form to extremes regardless of end-use. Between art,
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architecture and design, which are at times large-scale, are always created according to new codes that extend the concept of sculpture toward open and relational installation solutions, for example, libraries. Their three-dimensional works are often completed by watercolours and videos. While their sculptures do resemble the object they represent, they are at the same time rather different: they are a metaphor of the failure of reason. Clavos, exhibited at PAC, consists of huge nails that dominate the space. The nail, specifically a symbol of the manual work of carpenters (los carpinteros), becomes an animated presence, which twists and assumes zoomorphic forms, recognizable but with a different meaning here. Cachita, which is part of the diptych Emelino y Cachita, rather than praising the revolutionary icons (Che Guevara and Camilo Cienfuegos), celebrates the artist’s relatives, who lived through the Revolution. Two black and white photographs also on display at PAC are part of the series Túneles Populares, an almost anthropological work that documents the entries through tunnels, located in different parts of the island, dug as potential escape routes toward the sea, after the Reagan government tightened the embargo against Cuba. At present we do not know whether the tunnels were ever actual used for this purpose.
foto / photo Sueraya Shaheen
Opere in mostra—Works on show Clavo cuatro, Clavo cinco, Clavo seis, Clavo siete, Clavo ocho, 2015; Cachita, 2013; Túneles Populares I, 1999; Túneles Populares X, 1999
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Meira Marrero e José Toirac sono una coppia nella vita e nell’arte, lei antropologa, lui artista. Il loro lavoro si basa su una indagine di carattere archeologico che studia e recupera le immagini della cultura popolare cubana, spaziando attraverso l’impiego della pittura, dell’installazione oggettuale e del video per ricostruire una sorta di cronaca della storia di Cuba. Al PAC espongono Perfil (Profile), una raccolta di carte dei tarocchi che costruiscono, attraverso rimandi abbastanza espliciti, il ritratto di Fidel Castro, senza però mai nominarlo. Il lavoro riprende il motivo dei profili psicologici effettuati dalla polizia per catturare un ricercato. Ma contiene anche l’importante rimando al libro Cento ore con Fidel, scritto dal giornalista Ignacio Ramonet. La seconda opera in mostra, Con Permiso de la Historia, è una serie di fotografie in bianco e nero che rimette in scena alcune immagini scattate dal famoso fotografo Alberto Korda (autore del celebre ritratto a Che Guevara). Le singole immagini simulano alcune fotografie ufficiali del ritorno di Fidel Castro nella foresta della Sierra Maestra, scattate appunto da Korda nel 1962, tre anni dopo la Rivoluzione. Una documentazione volutamente postuma, al servizio della celebrazione eroica e della propaganda. Gli artisti sembrano qui rivivere il passato. Meira Marrero and José Toirac are a couple both in life and in art. She’s an anthropologist, he’s an artist. Their work is based on research of an archaeological nature, which analyzes and recuperates the images of popular Cuban culture, and includes the use of painting, object installation, and video, reconstructing a sort of chronicle of Cuban history. Perfil (Profile) is a collection of tarot
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los carpinteros —meira marrero & josé toirac
José Angel Toirac Batista, Guantánamo, Cuba, 1966 e Meira Marrero Díaz, L’Avana, 1969. Attualmente vivono e lavorano a L’Avana. José Angel Toirac Batista, Guantánamo, Cuba, 1966 and Meira Marrero Díaz, Havana, 1969. They currently live and work in Havana.
cards that assemble, via rather explicit references, the portrait of Fidel Castro, without ever naming him, however. The work contains the psychological profiles drawn up by the police to capture a wanted person. But it also contains an important reference to the book Cento ore con Fidel written by the reporter Ignacio Ramonet. Another work exhibited at PAC, Con Permiso de la Historia, consists of a series of black and white photographs that revive some of the pictures taken by the celebrated photographer Alberto Korda (famous for his portrait of Che Guevara). The individual images simulate some of the official photos of Fidel Castro’s return to the forest of the Sierra Maestra, taken by Korda in 1962, after the Revolution. This deliberately posthumous documentation panders to heroic celebration and propaganda. The artists thus seem to relive the past.
foto / photo Roberto Marchese
Opere in mostra—Works on show Perfil (Profile), 2007-2015; Con Permiso de la Historia, 1994
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meira marrero & josé toirac
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carlos martiel
L’Avana, 1989. Attualmente vive e lavora a New York. Havana, 1989. Lives and works in New York.
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Martiel lavora con la performance. Dal 2007 a oggi ha realizzato più di quaranta azioni, nelle quali affronta temi sociali e politici quali la privazione della libertà, portando al limite la sua capacità di sopportazione del dolore fisico. Per il PAC l’artista realizza una performance inedita, Trofeo: un’azione atta a sottolineare la similitudine con l’animale, vittima e trofeo. Martiel denuncia il trattamento di cattura, prigionia e schiavitù innescato dal colonialismo ai danni delle popolazioni precolombiane prima e latine successivamente. In mostra due video e due fotografie di sue performance precedenti. Nel primo video, El tanque, l’artista – in occasione di An Island Apart: Cuban Artists in Exile presso la Miller Gallery, Columbus, Stati Uniti – viene rinchiuso in due barili di metallo che gli vengono successivamente saldati intorno al corpo. El tanque (il barile) è il termine popolare con cui a Cuba si indica la prigione. Nel secondo video, Integración, performance realizzata in occasione della mostra Estado de excepción curata da Tania Bruguera, presso la Galería Habana alla 10 Bienal de La Habana, l’artista lecca il pavimento della galleria con gli occhi chiusi e ricoperti di escrementi. Nelle fotografie è documentata la performance Ascensión realizzata al MAAS | Mandragoras Art Space di New York, dove l’artista per cinque ore si fa cucire addosso frammenti di divisa militare mimetica nordamericana. Martiel works with performance. Since 2007 he has produced over forty actions in which he deals with social and political themes such as the loss of freedom, taking to an extreme his ability to withstand physical pain. For this exhibition as well, the artist has prepared a performance that has never been seen before: Trofeo is an action whose aim is to underscore a resemblance to the animal, which is both victim and trophy. Martiel denounces the capture, imprisonment, and slavery
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triggered by colonialism to the detriment of the Pre-Colombian populations first and the Latin ones later. Also on display are two videos and two photographs of previous performances. In the first video El tanque (The Barrel) – first seen on the occasion of An Island Apart: Cuban Artists in Exile at the Miller Gallery, Columbus, in the United States – the artist is enclosed inside two metal barrels which are then welded around his body. The title refers to the slang expression in Cuba for prison. In the second video Integración is a performance that was produced on the occasion of the exhibition Estado de excepción, curated by Tania Bruguera for the 10th Havana Biennial; in it Martiel licks the gallery floor with his eyes shut, whilst covered with excrement; the photographs document the performance Ascensión, staged at MAAS | Mandragoras Art Space in New York; for five hours Martiel had someone sew parts of a North American military uniform with a camouflage pattern onto his body.
Opere in mostra—Works on show El tanque, 2016; Ascensión, 2015; Integración, 2009
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Ana Mendieta è sicuramente una delle più famose artiste cubane del XX secolo. Lascia Cuba all’età di tredici anni nell’ambito dell’Operazione Peter Pan promossa dalla Diocesi cattolica di Miami e dalla CIA a favore dell’espatrio di minori da Cuba, dopo che il padre entra a far parte della controrivoluzione. Nel 1967 Ana Mendieta si iscrive all’Università dell’Iowa. Per un intero semestre studia l’arte primitiva e le culture indigene. In quegli anni il dibattito intellettuale e politico, il femminismo influenzano visibilmente i nuovi movimenti artistici in crescita quali la Land Art, la Body Art, l’Arte concettuale e la Minimal Art. Nel 1972, consegue il Bachelor of Arts, un Master of Arts in Pittura e un Master of Fine Arts in Intermedia studies. Nel corso della sua carriera, l’artista ha lavorato tra Cuba, Messico, Italia e Stati Uniti. Nel 1972 inizia a realizzare performance rituali, disegni, fotografie e sculture nelle quali immerge o inserisce il suo corpo nella natura partendo da un legame spirituale e fisico con la Terra. Appaiono già chiari i temi legati all’identità, al genere femminile, alla morte e alla vita, alla violenza e all’amore, al sesso, alla rinascita, allo sradicamento, sempre trascesi in un’organicità materica che si fa spirituale. Il 17 gennaio 1985 si sposa con l’artista Carl Andre. L’8 settembre 1985 Mendieta muore cadendo dal 34° piano del suo appartamento in Mercer Street, New York. In mostra al PAC i video Sweating Blood, Mirage e Alma, Silueta en Fuego, la serie di disegni a inchiostro su carta Untitled e le serie fotografiche Rape Scene e Body Prints. Ana Mendieta is no doubt one of the most famous twentieth-century Cuban artists. After her father joined the counterrevolution, Ana left her country at the age of thirteen as part of Operation Peter Pan promoted by the Catholic dioceses of Miami and the CIA in favor of the expatriation of minors from Cuba. In 1967 Ana Mendieta enrolled at the University of Iowa. For a whole semester she studied primitive art and native cultures. In those years the intellectual and political debate and feminism visibly influenced the new artistic
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martiel—mendieta
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movements that were making headway, such as Land Art, Body Art, Conceptual Art and Minimal Art. In 1972 Mendieta earned a Bachelor of Arts, and after that a Master of Arts in Painting and a Master of Fine Arts in Intermedia studies. Over the course of her career she worked in Cuba, Mexico, Italy, and the United States. In 1972 she began to produce ritual performances, drawings, photographs, and sculptures in which she immersed her body, or else she added it to nature based on a physical and spiritual link with the Earth. Already clearly evident were themes related to identity, female gender, life and death, violence and love, sex, rebirth, uprooting, always transcended in a material organicity that became spiritual. On 17 January 1985 she married the artist Carl Andre. On 8 September 1985 Mendieta died when she fell from the 34th floor of their apartment on Mercer Street, New York. Exhibited at PAC are the videos Sweating Blood, Mirage and Alma, Silueta en Fuego, the series of ink drawings on paper Untitled and the photographic series Untitled (Rape Scene) and Untitled (Body Prints).
Ana Mendieta, Nature Inside © 2015 Corazón Pictures, LLC
Opere in mostra—Works on show Rape Scene, 1973 (2001); Body Prints, 1974 (1997); Untitled, 1984; Untitled, 1984; Untitled (Silueta Series), 1978; Volcano (Silueta Series), 1978; Alma, Silueta en Fuego, 1975; Mirage, 1974; Sweating blood, 1973; Untitled, n.d. Courtesy Ana Mendieta Collection, LCC Galleria Raffaella Cortese, Milano e Galerie Lelong, New York
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ana mendieta
L’Avana, 1948 - New York, 1985. Havana, 1948 - New York, 1985.
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reinier nande
L’Avana, 1979. Attualmente vive e lavora a L’Avana. Havana, 1979. Lives and works in Havana.
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Il lavoro di Reinier Nande è caratterizzato da un continuo cambio di linguaggi e supporti mediatici: dall’installazione all’arte sonora, dall’animazione al video, dal disegno alla pittura. La sua ricerca indaga tematiche quali la verità e l’illusione, l’apparenza e la realtà. Attraverso le sue opere, Nande alimenta riflessioni sulla manipolazione dell’informazione, sulla sua diffusione e sul nostro personale modo di percepirla, spesso in maniera acritica e passiva, non tralasciando l’analisi dell’induzione del senso di colpa da parte dei poteri forti che la detengono agendo sulla nostra coscienza. Molte delle sue opere cercano un dialogo e un’interazione con l’osservatore, mettendolo di fronte a interferenze e dissociazioni, creando relazioni tra mondi paralleli, alterando la distinzione tra profondità e superficie, autenticità e artificiosità, reale e virtuale. L’opera esposta al PAC, Interferencia, precedentemente presentata alla Biennale de L’Avana, è un grande muro bianco sulla cui superficie si articola un collegamento di tubi, che creano un disegno simile al grafico di un’interferenza sonora. A seconda del lato a cui si accosta, il visitatore potrà sentire provenire dai tubi due voci diverse: una riconducibile al discorso di Raúl Castro, l’altra a quello di Barack Obama in occasione dell’apertura diplomatica tra Cuba e gli Stati Uniti. Nande utilizza la registrazione della conferenza dei due presidenti, tenuta a Panama nell’aprile 2015. Nell’opera, i due discorsi sono separati da un muro e producono un’interferenza audio che allude alla sostanziale incomunicabilità tra le voci dei due Paesi. The artist’s work is characterized by a continuous exchange between languages and media supports: from the installation to sound art, from animation to video, from drawing to painting. He explores the themes of truth and illusion, appearance and reality. Through his works Nande nurtures reflections on the manipulation of information, on its diffusion and on our personal way of
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perceiving it, often in a non-critical and passive way, without overlooking an analysis of the arousal of guilt feelings on the part of the powers-that-be, which thus act on our conscience. Many of the artist’s works seek a dialogue and an interaction with the viewer, placing him/her before interferences and dissociations, creating reactions between parallel worlds, altering the distinction between depth and surface, authenticity and artificiality, the real and the virtual. The work showcased at PAC, Interferencia, previously presented at the Havana Biennial, is a large white wall on whose surface connecting pipes are arranged to create a design similar to that of the graphic expression of a sound interference. Depending on where he/she stands, the visitor can hear two different voices coming from the pipes: one is related to the speech given by Raúl Castro, the other to that given by Barack Obama on the occasion of the resumption of diplomatic relations between Cuba and the United States. For his work Nande has used the recordings of the speeches given by the two presidents, held in Panama in 2015. In the work, the two speeches are separated by a wall and produce an audio interference alluding to the substantial lack of communication between the voices of the two countries.
foto / photo Roberto Marchese
Opere in mostra—Works on show Interferencia, 2015
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Dalla fine degli anni ottanta, Glexis Novoa ha utilizzato differenti media, dalla pittura all’installazione, dalla performance ai più recenti disegni a grafite che realizza su parete o su elementi architettonici, usando il suo lavoro come strumento di critica sociale e politica. Per il PAC l’artista ha realizzato un’opera inedita e site-specific su una delle grandi pareti dello spazio espositivo: un minuzioso e quasi impercettibile disegno nel quale Novoa reinterpreta il paesaggio della città di Milano. Negli ultimi anni questi “micro-disegni” sono diventati il suo marchio di fabbrica. Inizialmente destinati alla tela, i suoi piccoli orizzonti, simili a miraggi, hanno popolato differenti supporti – il marmo, il cemento, le pareti, gli spazi espositivi – attirando l’osservatore in una realtà minuscola e immaginaria, nella quale l’artista incorpora architettura e urbanistica, sperimentando paesaggi urbani ibridi. Come nelle Città invisibili di Calvino, i disegni di Glexis Novoa vivono al confine tra arte e architettura, tra potere e politica, una raffinata combinazione di emozione, ideologia e memoria. In occasione della mostra, lunedì 11 luglio alle 21, presso la Cineteca Spazio Oberdan a Milano, l’artista presenta il suo film El canto del Cisne, un interessante documentario sulla storia della performance a Cuba, dalla fine degli anni settanta in poi. Since the late 1980s, Glexis Novoa has used different media, from painting to installation, and from performance to his most recent graphite drawings on walls or architectural elements, turning his work into a tool for social and political criticism. For PAC the artist has made an unpublished and site-specific work on one of the large walls of the exhibition space: a minutious and almost imperceptible drawing which reinterprets the landscape of the city of Milan.
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foto / photo Roberto Marchese
Opere in mostra—Works on show Intervento site-specific, 2016
nande—NOVOA
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In recent years these “micro-drawings” have become the artist’s trademark. At first destined to be made on canvas, his small horizons, similar to oases, have filled different types of support – marble, cement, walls, exhibition spaces – attracting the viewer to a minuscule and imaginary reality, in which the artist incorporates architecture and urban design, while experimenting with hybrid urban landscapes. Akin to Calvino’s Invisible Cities, Glexis Novoa’s drawings are poised between art and architecture, between power and politics, elegantly combining emotion, ideology, and memory. On the occasion of the exhibition, Monday July 11 at 9 p.m. at the Cineteca Spazio Oberdan in Milan the artist will present his film El canto del Cisne, a documentary on the history of performance in Cuba from the late 1970s onwards.
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Glexis Novoa
Holguín, Cuba 1964. Vive e lavora tra Cuba e Miami. Holguín, Cuba 1964. Lives and works between Cuba and Miami.
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marta marÍa pÉrez bravo
L’Avana, 1959. Attualmente vive e lavora a Città del Messico. Havana, 1959. Lives and works in Mexico City.
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Pioniera della fotografia artistica a Cuba, è tra le più acclamate artiste cubane contemporanee. Già dagli anni ottanta si allontana dal linguaggio fotografico più diffuso nell’isola, perlopiù documentale e giornalistico, per intraprendere un percorso di ricerca artistica. Il suo diventa un altro modo di fotografare, in bilico tra l’idea e la realtà, esplorando emozioni, paure, desideri, superstizioni, credenze e miti. L’artista utilizza unicamente la fotografia in bianco e nero, considerandola più adatta a trasmettere in modo diretto la scena che intende rappresentare, altamente magica e simbolica. Il suo corpo diventa lo strumento fondamentale attraverso il quale far rivivere i sentimenti umani e la precarietà dell’esistenza. Affascinata e incuriosita dai rituali religiosi e popolari afrocubani, inizia a inglobarli nelle sue opere fotografiche. Gli oggetti che introduce nelle scene, da lei precedentemente preparate, le servono per fissare questi scenari simbolici, quasi minimalisti, popolati da riferimenti alla religione afrocubana, alla Santeria, allo Spiritualismo, ma anche alla cultura popolare cubana e a quella cattolica. Al PAC sono esposte le serie fotografiche Para Concebir e Donde tengo mi confianza. Nella prima troviamo l’artista ritratta nel periodo della gravidanza: il focus è il suo ventre, sopra e intorno al quale compaiono oggetti che animano e compongono la scena fotografica, rimodellando la figura e l’idea della donna-madre. A pioneer of artistic photography in Cuba, she is among the most celebrated contemporary Cuban artists. As long ago as in the 1980s she took her distance from the most widespread photographic language in the island, which was mostly documentary and journalistic, to undertake her own personal artistic exploration. Her unique photographic technique, poised between the idea and reality, explores emotions,
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fears, desires, superstitions, beliefs, and myths. The artist solely uses black and white photography, considering it to be more suited to directly conveying the scene she intends to represent, which is highly magical and symbolic. Her body becomes a basic instrument through which to bring to life human feelings and the precariousness of existence. Intrigued and drawn to Afro-Cuban religious and popular rituals, she began to include them in her photographs. The objects she added to her scenes, which she prepared beforehand, helped her to fix these symbolic, almost minimalist scenarios, brimming over with references to Afro-Cuban religion, Spiritualism, but also Cuban and Catholic popular culture. On display at PAC are the photographic series Para Concebir and Donde tengo mi confianza. The former depicts the artist during her pregnancy: the focus is on her belly, appearing above and below which are objects that animate and compose the photographic scene appear, remodelling the figure and notion of the woman as mother.
Opere in mostra—Works on show Donde tengo mi confianza II, 1999; Donde tengo mi confianza III, 1999; Donde tengo mi confianza IV, 1999; Para Concebir, 1985
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Utilizzando diversi mezzi espressivi, dalla pittura all’installazione, l’opera di Ponjuán si avvicina a precetti filosofici e ispirazioni letterarie offrendo una duplice chiave di lettura tra visuale e narrativo. Vincitore del Premio Nazionale delle Arti Plastiche a Cuba nel 2013, per il PAC realizza Mambo hasta el infinito, un nome ironico per un’opera che scandirà il tempo della mostra attraverso un orologio a cucù. L’opera site-specific vuole essere il simbolo dell’ossessione per il tempo e il suo scorrere. Un orologio a cucù, nascosto in una parete del PAC, sorprenderà lo spettatore all’improvviso con il rapido apparire e altrettanto rapido sparire come un’illusione, una fugace apparizione. Ponjuán realizzerà una grande installazione anche presso il MUDEC - Museo delle Culture di Milano dal titolo Scratch, che condurrà lo spettatore a “un museo nel museo”: una serie di vetrine situate nell’Agorà contenenti oggetti quotidiani ed esposti come reliquie, come reperti antropologici. In questo senso l’installazione entra in dialogo con le collezioni etnografiche del nuovo museo milanese dedicato alle diverse testimonianze e culture del mondo. All’interno delle teche l’artista espone vari elementi: disegni, oggetti, icone, scelti personalmente proprio per il legame intimo che ha con loro o per il valore simbolico e semantico che posseggono. Ideato dai curatori della mostra al PAC, il progetto si avvale della collaborazione dei conservatori del MUDEC, e segna l’avvio di un rapporto sinergico tra le due istituzioni milanesi. In Eduardo Ponjuán’s work he uses various media, ranging from painting to installation. His research approaches philosophical precepts and literary inspirations, thus offering a twofold key to its interpretation, poised between the visual and the narrative. Winner of the National Prize of Plastic Arts in Cuba in 2013 for PAC the artist has produced Mambo hasta el infinito, an ironic title for a work that’s in
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foto / photo Roberto Marchese
Opere in mostra—Works on show Mambo hasta el infinito, 2016
pÉrez bravo—ponjuÁn
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the form of a cuckoo clock beating out the time of the exhibition. This site-specific work symbolizes the obsession with time and its passing. Hidden in a wall at PAC, the cuckoo clock takes the viewer by surprise with its sudden appearance and equally sudden disappearance, as though it were an illusion, a fleeting apparition. For Cuba.Tattooing History Ponjuán produces a large-scale installation at MUDEC – Museo delle Culture di Milano. The work is titled Scratch and leads the viewer to “a museum in the museum,” with a series of display cases located in MUDEC’s agora containing everyday objects displayed as though they were relics, anthropological finds. In this sense the work communicates with the Milanese museum’s ethnographic collection, dedicated to various testimonies and cultures of the world. Inside the display cases the artist shows various elements: drawings, objects, icons chosen personally based on his close relationship with them, or on their symbolic and semantic value. Conceived by the curators of the exhibition at PAC, the project represents a collaboration with the conservators of MUDEC and marks the start of a synergistic relationship between the two Milanese institutions.
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eduardo ponjuÁn
Pinar del Río, Cuba, 1956. Attualmente vive e lavora a L’Avana. Pinar del Río, Cuba, 1956. Lives and works in Havana.
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wilfredo prieto
Sancti Spíritus, Cuba, 1978. Attualmente vive e lavora a L’Avana. Sancti Spíritus, Cuba 1978. Lives and works in Havana.
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Prieto racconta la realtà e riflette sull’esistenza di realtà immateriali, utilizzando elementi e strumenti dal forte potenziale narrativo e simbolico. Tra gli artisti vincitori del concorso Artline Milano, una sua opera sarà realizzata nel Parco delle Sculture del nuovo quartiere Citylife: si tratta di due grossi massi rocciosi che si sfiorano, dal titolo poetico Beso (bacio), con un evidente rimando all’opera in mostra al PAC, Piedra con sangre. Qui troviamo un solo masso, piccolo e spaccato in due, dal quale fuoriesce una pozza di sangue. Quest’opera richiama altrettanti temi cari agli artisti cubani: l’importanza, quasi sacrale, della Natura, e le ferite (fisiche e non) provocate dalla rottura e dalla separazione. In mostra anche l’opera Héroe: una grande teca in vetro, un parallelepipedo dall’apparenza solida, stabile, ma vuoto. L’eroe è assente. La scultura è la rappresentazione simbolica dell’eroe contemporaneo. Tutti gli oggetti presenti nei suoi lavori sono oggetti comuni, semplici, a volte banali, prelevati dalla loro realtà, decontestualizzati e ricollocati in una nuova dimensione con un forte significato simbolico e allegorico. Prieto describes reality and ponders the existence of immaterial realities using elements and instruments with a strong narrative and symbolic potential. Among the winners of the Artline Milano contest, one of his works will be installed in the Sculpture Park of the new Citylife district: poetically titled Beso (Kiss), two large rock formations touch slightly, clearly referring to the work on display at PAC Piedra con sangre, a single mass split in half lying in a pool of blood. This work recalls some of the themes Cuban artists are especially drawn to: the almost sacred importance of Nature and the wounds (whether or not physical) caused by rupture and separation. Also on display is Héroe, a large glass display case shaped like a parallelepiped that is solid, stable, yet empty. The hero is absent. The
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sculpture is the symbolic representation of the contemporary hero. All the objects present in the artist’s works are everyday, simple, at times banal ones, separated from their reality, decontextualized, and relocated in a new dimension with a strong symbolic and allegorical meaning.
foto / photo Abigail Enzaldo
Opere in mostra—Works on show Piedra con sangre, 2011; Héroe, 2011
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Analizzando contesti sociali, etici ed economici della società cubana, la ricerca artistica di Grethell Rasúa raggiunge livelli di convergenza assoluta tra ciò che è viscerale e ciò che è poetico, come pochi altri sono in grado di fare. Il suo percorso si è sviluppato attraverso l’uso di diversi linguaggi, dalla fotografia al video, dal disegno alla performance, la quale ha notevolmente caratterizzato la sua opera. In mostra due suoi progetti molto significativi. Nel primo, Con todo el gusto del mundo, l’artista passa casa per casa in un quartiere de L’Avana e propone un listino di piante aromatiche, chiedendo a chi sceglie una pianta di donare le proprie feci per poterle utilizzare come concime. L’opera apre una riflessione sul riutilizzo delle materie, anche quelle apparentemente inutilizzabili, a fronte della scarsità di risorse che pervade Cuba a causa dell’embargo economico. Nell’opera Con tu proprio sabor l’artista ricrea alcune teche nelle quali, come in una boutique di gioielli, espone oggetti creati personalmente, costituiti da materiali assemblati con liquidi e scarti corporei delle persone che li hanno commissionati (sperma, sangue, saliva, capelli, peli). Anche se può apparire una certa vocazione per l’approccio umanitario o addirittura feticistico, appare evidente la morbosità ironica delle situazioni di precarietà e miseria umana a Cuba. In occasione della mostra, Rasúa realizza una nuova performance, appositamente ideata per il PAC, Decreto mis ideales. Essa consiste nello scrivere sulla vetrata che si affaccia sul giardino del PAC un testo di speranza (“Il credo ottimista”), utilizzando un inchiostro realizzato con terra e acqua piovana portate da Cuba. By analyzing the social, ethical, and economic contexts of Cuban society, Grethell Rasúa’s artistic exploration reaches levels of absolute congruence between the visceral and the poetic, as few others are capable of doing. The artist has developed her trajectory through the use of different languages,
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Opere in mostra—Works on show Con todo el gusto del mundo, 2004-2016; Con tu proprio sabor, 2005-2006
prieto— rasÚa
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from photography to video, from design to performance, which has significantly characterized her oeuvre. Exhibited at PAC are two of her most significant projects. In the first, Con todo el gusto del mundo, the artist goes from house to house in a neighborhood of Havana with a price list for aromatic plants, asking each person willing to buy one to also donate their feces for its fertilization. The work forces us to think about the reuse of materials, even ones that apparently cannot be reused, in relation to the lack of resources in Cuba as a result of the economic embargo. In the work Con tu proprio sabor the artist recreates several display cases in which, akin to a jewellery shop, she exhibits objects created personally, made up of materials assembled with the bodily fluids and waste of the people who commissioned them (sperm, blood, saliva, hair, hairs). Although it may look like a certain vocation for a humanitarian or even fetishistic approach, the morbid irony of the uncertainty and the human misery in Cuba appears to be evident. On the occasion of the exhibition, Rasúa has created a new performance especially for PAC entitled Decreto mis ideales. The performance consists in writing a text filled with hope (“The Credo of the Optimist”) on the window overlooking the garden at PAC using ink made from soil and rainwater brought over from Cuba.
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grethell rasÚa
L’Avana, 1983. Attualmente vive e lavora a L’Avana. Havana, Cuba, 1983. Lives and works in Havana.
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rené francisco rodrĺguez
Holguín, Cuba 1960. Attualmente vive e lavora a L’Avana. Holguín, Cuba 1960. Lives and works in Havana.
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La ricerca artistica di René Francisco ruota intorno a temi politici e sociali. Il suo è un lavoro multimediale che comprende pittura e video associate all’attivismo nel vivere quotidiano. Peculiare è l'impegno sul disagio e sulla difficoltà di vivere in contesti urbani precari, in special modo nella capitale cubana, ad esempio nel quartiere periferico “Romerillo”. Nel 2003 l’artista ha scelto di devolvere i soldi di una borsa di studio per finanziare un progetto d’intervento nelle case disagiate del quartiere, mettendo a punto una riqualifica dello spazio domestico e realizzando i sogni di alcune donne anziane dei quartieri poveri ed emarginati de L’Avana. Partendo da un’inchiesta fatta tra gli abitanti del quartiere, René Francisco ha scelto le persone da assistere sulle quali concentrare l’intervento e il suo aiuto. In questo modo entra ad esempio in contatto con due donne anziane, Rosa e Nin, offre loro la riqualificazione dell’abitazione e le cure mediche necessarie. L’arte diventa quindi possibilità di realizzare i sogni di persone bisognose, che possiedono una ricchezza e una bellezza etica. Parlando del quartiere del Romerillo, l’artista dichiara: “Mi piacerebbe installare un sistema di fognature e anche ottenere un finanziamento e ricostruire la rete idrica e migliorare le comunicazioni. Migliorare tutto quello che riguarda l’igiene. Sembra impossibile lo so. Però questo è il mio lavoro. Vivo in una utopia artistica”. Al PAC sono in mostra tre video – A la ca(sz)a de Rosa, Agua Benita e Patio de Nin (esposto anche alla 52. Biennale di Venezia nel 2007) – che raccontano e documentano questi interventi di recupero René Francisco’s artistic research focuses on political and social themes. His multimedia work includes painting and video associated with activism in everyday life. He is particularly committed to the problems connected with poverty and the difficulties of living in precarious urban contexts, especially in the Cuban capital and
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specifically in the outer “Romerillo” district. In 2003 the artist chose to donate his earnings to setting up a scholarship to fund a project involving interventions in the district’s dilapidated housing, requalifying the domestic space and making the dreams of some of the elderly women living in the poorer marginalized areas of Havana come true. Starting from a survey taken among the inhabitants of the district, René Francisco chose which people he wanted to assist and where he wanted to focus his actions. He thus came into contact with two elderly women named Rosa and Nin, offering to renovate their homes and help them with their medical treatments. Art thus became a chance to fulfill the desires of the needy, whose beauty and wealth is ethical. The artist’s words about the Romerillo district are as follows: “I’d like to install a sewage system and also get funding to restore the water supply and improve communication. I want to improve everything that is related to hygiene. I know it seems impossible, but this is my work. I live in an artistic utopia.” PAC will screen three videos - A la ca(sz)a de Rosa, Agua Benita and Patio de Nin, (also screened at the 52nd Venice Biennale in 2007) – to describe and document these actions.
Opere in mostra—Works on show Agua Benita, 2008; Patio de Nin, 2007; A la ca(sz)a de Rosa, 2003
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Vincitore del Premio Nazionale delle Arti Plastiche a Cuba nel 2014, negli anni ottanta è stato protagonista del gruppo Puré e del progetto Pilón (1988-1989), così come del collettivo ENEMA, composto da un gruppo di suoi studenti dell’Istituto Superiore di Arte e attivo tra il 2000 e il 2003. È il creatore della Galería I-MEIL, un progetto di attivismo attraverso i social network. La pratica di Saavedra è quella di combinare il lavoro pittorico con performance, happening, installazioni e video. Ha esposto in mostre collettive e personali e tenuto residenze in tutto il mondo. Artista-satiro, castigatore implacabile dei mali sociali, proclamatore della libertà di pensiero, personalità fisica e passionale, ma anche e soprattutto artista concettuale, Saavedra utilizza ogni mezzo a sua disposizione, ma sempre subordinato all’idea. Il PAC gli dedica un’intera sala con l’opera La última cena, concepita nel 2004 ed esposta per la prima volta in Europa proprio a Milano, città del Cenacolo. L’installazione rappresenta un’insolita ultima cena, nella quale l’artista sostituisce gli apostoli con 12 televisori che trasmettono 12 diversi video e Cristo è rappresentato da un generatore di corrente che ne simboleggia la forza propulsiva. Sono esposti inoltre alcuni suoi video e interventi a parete realizzati al PAC, che tramite il semplice tratto, quasi infantile e primitivo, raccontano in modo figurato storie e paradossi cubani. Winner of the National Prize of Plastic Arts in Cuba in 2014, in the 1980s Saavedra has been a leading figure in the Puré group and the Pilón project (1988-89), as well as in the Enema group, consisting of a number of his students at the Instituto Superior de Arte active between 2000 and 2003. He is also the founder of the I-MEIL gallery, an activism project on the Web. Saavedra combines pictorial work with performances, happenings, installations
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and videos. He has exhibited in collective and personal shows and held residences all over the world. An artist-cum-satyr, an implacable castigator of society’s ills, proclaimer of freedom of thought, a physical and passionate personality, but also and above all a Conceptual artist, Saavedra uses every means at his disposal, but always subordinated to the idea. PAC dedicates to him an entire room. with the work La última cena (Last Supper) (2004), exhibited for the first time in Europe in Milan, the city that preserves Leonardo’s fresco. The installation represents an unusual Last Supper, in which the artist has replaced the apostles with 12 TV sets showing 12 different videos, while Christ is represented by an engine symbolizing its driving force. The room also presents some of the artist’s videos, as well as interventions on the museum walls: a simple, almost child-like and primitive line that the artists uses to tell stories and Cuban paradoxes.
foto / photo Roberto Marchese
Opere in mostra—Works on show La última cena, 2004-2016; Intervento su parete, 2016; El ideólogo, 2006; Yo pienso, 2005
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L’Avana, 1964. Attualmente vive e lavora a L’Avana. Havana, 1964. Lives and works in Havana.
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Antonio Eligio Fernández - L’Avana, 1958. Vive tra Canada, Stati Uniti e Cuba. Antonio Eligio Fernández - Havana, 1958. Lives between Canada, United States and Cuba.
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Tonel è artista, critico d’arte e curatore. Di recente ha insegnato disegno e pittura presso il Dipartimento di Storia dell’Arte e Teoria all’University of British Columbia, Canada. Nel suo lavoro – ampiamente articolato da disegni, installazioni, libri d’artista e incisioni – si sviluppa una particolare visione dell’essere umano e della società. Seguendo la tradizione dell’illustrazione caricaturale cubana, da Rafael Blanco a Santiago Armada (Chago), i suoi disegni, investono i temi del maschile e del femminile, dell’individuo e della collettività, della sovversione del machismo, associato alla Rivoluzione cubana. L’opera Aquí se escucha una música del cuerpo esposta al PAC, si pone come una parete di frontiera tra desideri e mete da raggiungere. Una parete di mattoni grigi in calcestruzzo, simile all’entrata di una casa (porta e finestra), con pezzi di vetro taglienti sulla sommità, attraversata da un lungo tavolo dove l’intimo, il familiare e il domestico si uniscono al provvisorio, all’effimero e al quotidiano. Alcuni oggetti decorativi cubani e una radio all’interno di un mattone forato sono la metafora del corpo sociale. Al lato dell’installazione, un blocco in calcestruzzo, su cui è dipinta la bandiera cubana, ribadisce i caratteri nazionali e la vita artigianale cubana. L’opera site-specific Autorretrato como intelectual orgánico. Homenaje a Gramsci è un omaggio alla personalità di Antonio Gramsci, per un ritorno all’idea di “un’intellettualità diffusa”, non separata “per mestiere e appartenenza di classe dal resto della società”. L’esperienza di Gramsci nell’opera si intreccia a tracce autobiografiche di Tonel. Tonel is an artist, an art critic, and a curator. He recently taught drawing and painting at the Department of Art History, Visual Art and Theory at the University of British Columbia, Canada. His work comprises drawings, installations, artist’s books, and prints, and it develops a unique vision of the human being and of society.
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Following the Cuban tradition of caricature drawing, from Raafael Blanco to Santiago Armada (Chago), Tonel’s drawings touch upon masculine and feminine themes, on the individual and the group, and on the subversion of male chauvinism associated with the Cuban Revolution. Aquí se escucha una música del cuerpo exhibited at PAC is like a frontier wall between desires and destinations to be reached. A grey concrete brick wall, similar to the entrance to a home (door and window), with glass shards lying at the top, crossed by a long table which conjoins the intimate, the familiar and the domestic merge with the temporary, the ephemeral, and the everyday. Several Cuban decorative objects and a radio inside a perforated brick, which airs radio shows in real time from the city of Milan, are the metaphor of social precariousness. Next to the installation is a concrete block on which is painted the Cuban flag emphasizing the national features and artisanal life of Cuba. The site-specific work entitled Autorretrato como intelectual orgánico. Homenaje a Gramsci pays homage to the figure Antonio Gramsci; it is a revisitation of the idea of “diffused intellectualness,” not separated “by trade and class from the rest of society.” In this work Gramsci’s experience is intertwined with traces from Tonel’s life.
Opere in mostra—Works on show Autorretrato como intelectual orgánico. Homenaje a Gramsci, 1997-2016; Aquí se escucha una música del cuerpo, 1994
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