LABYRINTHOS La complessità della Città Vecchia di Taranto in un edificio sul Mar Piccolo
Tesi di Laurea magistrale a ciclo unico in Architettura Anno accademico 2019/2020
Università degli Studi di Firenze DIDA | Scuola di Architettura
Laureanda: Simona Scarnera Relatore: Prof. Arch. Stefano Lambardi Correlatore: Arch. Marianna Coglievina
Indice
_Introduzione
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_Taranto, la cittĂ dei due mari
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_Le origini, tra mito e storia
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_L’anno Mille, distruzione e rinascita
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_Labyrinthos, una cittĂ complessa
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_Il mito, diverse chiavi di lettura
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_La visione positiva
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_Il progetto
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_Elaborati grafici
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_Bibliografia
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Vista dall’alto della città di Taranto 7
Introduzione
E se il destino avverso mi terrà lontano, allora cercherò le dolci acque del Galeso caro alle pecore avvolte nelle pelli, e gli ubertosi campi che un dì furono di Falanto lo Spartano. Quell’angolo di mondo più d’ogni altro m’allieta. Quinto Orazio Flacco Così Orazio ricorda la città di Taranto, un luogo unico per la sua conformazione geografica, per la sua storia, cultura e tradizioni. L’isola della Città Vecchia di Taranto è posta nel punto di raccordo dei due mari che bagnano la città ed è in questo luogo che si inserisce il progetto in esame, precisamente ad uno degli estremi dell’isola rivolto verso il Mar Piccolo. L’area presa in analisi si trova a margine dell’insediamento, in prossimità di uno degli ingressi alla città, il ponte di Porta Napoli, più comunemente noto come Ponte di Pietra, ed è una delle tante zone della Città Vecchia in stato di abbandono, dove gli edifici sono fatiscenti e degradati. 8
L’intervento consiste dunque nella demolizione di una parte dell’isolato tra via Cariati e via Garibaldi, e la conseguente ricostruzione, con una particolare attenzione alle misure del luogo e alle forme planimetriche della città. La scelta del tema del labirinto nasce proprio dalla ricerca di queste forme: il tessuto dell’isola infatti è denso e intricato e la sua edificazione risale all’anno Mille quando la città fu ricostruita in seguito ad un attacco saraceno: essa fu riedificata secondo criteri nuovi, generando una città labirintica dove solo gli abitanti del luogo riuscissero ad orientarsi. Il labirinto, normalmente inteso come figura infernale, diventa in questo caso una figura conoscitiva e in ogni caso positiva che lascia spazio a innumerevoli possibilità diverse e che protegge dal mondo esterno.
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Vista del Mar Piccolo da Via Garibaldi 11
Vista del lungomare di Via Garibaldi 12
Taranto, la città dei due mari
Con la sua posizione strategica, protetta e allo stesso tempo dominante sul golfo, Taranto è sempre stata contesa nell’arco dei secoli dalle popolazioni che si sono susseguite nel Mar Mediterraneo. Una città bagnata dalle acque di due mari: il Mar Piccolo, un’insenatura naturale interna al Golfo di Taranto rinfrescata da sorgenti di acqua dolce chiamate citri, e il Mar Grande, ovvero la parte di Mar Ionio su cui si affaccia la città. La vocazione marinara della città rappresenta la sua ricchezza più grande, dalla pesca alle coltivazioni di mitili presenti nel Mar Piccolo, dalla vastità del porto mercantile ai cantieri navali della Marina Militare, dal lungomare panoramico che costeggia la zona centrale della città alle coste caraibiche della sua litoranea. Ma è proprio nel cuore bel borgo antico, sull’isola della Città Vecchia che si coglie la poesia di questo luogo: da una parte la vastità del Mar Grande che si perde fino all’orizzonte, dove il sole tramonta tuffandosi nel mare aperto, e dall’altra i due seni del Mar Piccolo che custodiscono una biodiversità unica nel suo genere, dove il sole sorge ogni giorno rischiarando il versante orientale dell’isola. 13
Le origini, tra mito e storia
La storia della cittĂ di Taranto ha inizio convenzionalmente nel 706 a.C. con la fondazione da parte degli spartani della colonia greca di Taras, antico nome della cittĂ , ma ci sono testimonianze archeologiche e poetiche, i nostoi, che risalgono a diversi secoli prima. Secondo le testimonianze storiche riportate da Strabone, storico greco del I secolo d.C., e da Aristotele nella Politica, la cittĂ di Taranto sarebbe stata fondata dai Parteni, figli illegittimi nati mentre i soldati spartani erano impegnati nella prima guerra messenica (743-724 a.C.). Privati dei diritti precedentemente riconosciuti, i Parteni si sarebbero ribellati insieme agli Iloti, schiavi di origine straniera, e sotto la guida di Falanto avrebbero lasciato la Grecia e colonizzato Satyrion, oggi Torre del Saturo, (promontorio sul litorale sud-orientale di Taranto) e tutta la regione circostante, combattendo contro Messapi, Iapigi e Cretesi che popolavano giĂ il territorio. Intorno alle origini di Taranto si sviluppa una tradizione mitica e leggendaria, ricca di elementi chiaramente fantastici, che allo stesso tempo si allinea alla narrazione storica della sua fondazione. 14
Nel mito narrato da Pausania, Falanto prima di partire alla volta della Magna Grecia, si sarebbe rivolto all’oracolo di Delfi, che avrebbe risposto: “Vi concedo di abitare Saturo e siate la rovina degli Iapigi, quando vedrai piovere dal ciel sereno, conquisterai territorio e città”. Dopo giorni di viaggio la moglie di Falanto, Etra (che in greco significa cielo sereno) in preda allo sconforto scoppiò in lacrime mentre il marito dormiva sul suo grembo. A quel punto Falanto, avvistando all’orizzonte la terra promessa, subito capì che la predizione dell’oracolo si era avverata. Altre versioni del mito narrano di Taras, eroe cretese figlio di Poseidone e Satiria, figlia di Minosse, che salvato da un delfino durante un naufragio, sarebbe approdato alla foce del fiume suo omonimo nel 2019 a.C.. A parlare di questa legenda è proprio Aristotele, sempre nella Politica, nella descrizione delle monete e dello stemma di Taranto che rappresentavano Taras in dorso ad un delfino. (Didracma in argento di Taranto, 376 - 372 a.C. circa) 15
Colonne doriche del Tempio di Poseidone 16
Taranto divenne in poco tempo una delle città più importanti e fiorenti della Magna Grecia, fino a raggiungere il suo apice nel V secolo a.C., in cui ne divenne capitale sia per numero di abitanti che per prosperità economica e culturale. L’acropoli della città sorgeva sull’attuale isola antica, allora penisola, ed era dedicata al dio Poseidone e al culto del mare; infatti all’estremità del settore sud-orientale dell’acropoli sorgeva un maestoso Tempio dorico dedicato proprio a Poseidone, distrutto dalle successive invasioni saracene, di cui oggi restano solo due colonne. La città continuò a crescere e prosperare fino al 272 a.C. con l’annessione all’Impero Romano che, riconoscendone l’importante posizione strategica nel Mediterraneo, ne potenziò le fortificazioni, tutelò i suoi monumenti, le leggi e l’autonomia amministrativa nominandola municipium. La dominazione romana durò fino al 436 d.C. quando la storia di Taranto si collega a quella del resto dell’Italia: i secoli delle invasioni barbariche che determinarono la definitiva decadenza della città. In quegli anni Taranto, con la sua posizione centrale nel Mediterraneo, divenne crocevia e punto di collegamento, di osservazione e di controllo tra Occidente e Oriente; il porto, con i due bacini interni del Mar Piccolo, divenne punto di sbarco e di concentramento per le truppe e le navi da guerra. 17
L’anno Mille, la distruzione e la rinascita
Nel 927 d.C. la città, ormai stremata dalle innumerevoli invasioni longobarde, gote e saracene, fu completamente rasa al suolo dai Saraceni guidati dal corsaro slavo Saian; gli unici superstiti furono quei pochi abitanti che da qualche anno si erano rifugiati nei boschi e nelle grotte dell’entroterra per sopravvivere all’avanzata delle truppe saracene nel Salento. Fu solo nel 963 che l’imperatore bizantino Niceforo II Foca ne decise la ricostruzione in un luogo più sicuro dalle invasioni, cioè dove sorgeva l’acropoli dell’antica città spartana: venne scavato un fossato nella zona sud-orientale, reso canale navigabile solo nel 1958; l’allora penisola divenne quindi un’isola artificiale: l’attuale isola della Città Vecchia. L’imperatore incaricò un architetto greco, suo omonimo, di ricostruire la città secondo criteri nuovi, pensando ad una città labirintica dove solo gli abitanti del luogo riuscissero ad orientarsi, con vicoli a misura d’uomo e spesso senza uscita, con archi e ripidi pendii, con corti e postierle, spazi stretti dove i raggi di sole sembrano solo una speranza (Lenormant F., Attraverso la Puglia e la Lucania, Parigi, 1883), spazi in cui 18
sarebbe stato più facile difendersi da un potenziale attacco nemico. La città inoltre si ripopola e la varietà di ceti, etnie e professioni la arricchisce rendendola moderna ed esotica agli occhi dei visitatori. Nacquero in questo periodo i pittaggi, ovvero i nomi dei piccoli quartieri in cui era divisa l’isola che prendevano il nome dalle famiglie nobili che li abitavano o dalle sacre icone che venivano poste in corrispondenza dei numerosi archi e nelle nicchie presenti nei muri. Da questo momento comincia la storia della Taranto moderna; purtroppo però non cessarono le invasioni, che per tutto il Medioevo e anche oltre, sconvolsero e trasformarono radicalmente la vita della città: Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Austriaci, fino ai Borboni dominarono nel corso degli anni il territorio tarantino, ma nonostante ciò l’assetto della Città Vecchia, nella maggior parte delle aree, è ancora quello originario degli inizi dell’anno Mille.
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Particolare delle rovine della Discesa Vasto 21
Labyrinthos, una città complessa
È piacevolissima e sentimentalissima la stessa luce veduta nelle città, dov’ella è frastagliata dalle ombre, dove lo scuro contrasta in molti luoghi col chiaro, dove la luce in molte parti degrada a poco a poco, come sui tetti, dove alcuni luoghi riposti nascondono la vista dell’astro luminoso. A questo piacere contribuisce la varietà, l’incertezza, il non veder tutto e il potersi perciò spaziare coll’immaginazione, riguardo a ciò che non si vede. È piacevolissima ancora, per le sopraddette cagioni, la vista di una moltitudine innumerabile, come delle stelle o di persone, un moto molteplice, incerto, confuso, irregolare, disordinato, un ondeggiamento vago, che l’animo non possa determinare né concepire definitamente e distintamente. Giacomo Leopardi, Zibaldone, p 1746-1747, 20 settembre 1821
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Così Leopardi descrive le città labirintiche, quelle città in cui perdersi tra i vicoli e gli scorci per poi ritrovarsi in spazi nascosti e celati; città definite dal contrasto di luci e ombre, di pieni e vuoti, città molteplici che cambiano a seconda del punto di vista del visitatore. L’intreccio dei vicoli che tagliano la città e che improvvisamente si aprono in scorci sul Golfo di Taranto, sono il punto di partenza della mia ricerca progettuale. La città Vecchia di Taranto, con la sua complessa stratigrafia data dalla sovrapposizione di varie epoche, è caratterizzata da questa trama vibrante di vicoli stretti e a misura d’uomo, di archi che sovrastano parti di vie su cui sono presenti gli stemmi delle famiglie nobiliari, di corti private e non che fungono da accesso agli edifici più prestigiosi, di slarghi che si aprono nella fitta trama di strade strette che distendono il tessuto urbano regalando attimi di sosta ai viaggiatori, di postierle ovvero quegli antichi luoghi dove un tempo veniva pestato il grano, di pendii e scalinate che costeggiano gli edifici e che rendono praticabili i dislivelli presenti nell’isola. Questa complessità è senza dubbio paragonabile a quella di un labirinto, chiuso e austero all’esterno e aperto e flessibile nei sui antri, con strette vie di accesso che conducono in ogni caso al centro di questa trama dove sono nascosti i suoi preziosi tesori.
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Scorcio della CittĂ Vecchia 24
Il mito, diverse chiavi di lettura
Il labirinto viene tradizionalmente inteso come figura infernale e negativa; nella versione originale del mito narrata da Ovidio nelle Metamorfosi, è infatti descritto come un luogo oscuro e tenebroso dove il Minotauro, figura mostruosa metà uomo e metà toro, divora chiunque si avventuri negli antri della sua casa. La leggenda narra che Minosse, re di Creta, avesse chiesto al dio Poseidone di donargli un toro bianco per dimostrare la sua benevolenza e da sacrificare in suo onore; il dio esaudì le preghiere di Minosse inviandogli un maestoso e splendido esemplare, ma il re decise di tenerlo per sé sacrificando un’altra bestia. Poseidone allora decise di punire il re minoico facendo innamorare sua moglie Pasifae del toro. Ella fece costruire da Dedalo, artista di corte, una finta giovenca dentro la quale si sarebbe nascosta per farsi possedere dal toro. Da questa unione mostruosa nacque Asterione, nome umano del Minotauro, una bestia spaventosa con il corpo da uomo e testa, coda e pelliccia da toro. La natura violenta e bestiale di Asterione costrinse Minosse a rinchiuderlo in un labirinto progettato appositamente da Dedalo, che divenne casa e prigione del Minotauro. 25
Minosse, dopo la morte di suo figlio Androgeo, assassinato per mano degli ateniesi, li costrinse ad inviare ogni anno sette ragazzi e sette ragazze in sacrificio, che sarebbero stati dati in pasto al Minotauro. La storia si conclude poi con l’atto eroico di Teseo, figlio del re di Atene, che si offrì volontario per uccidere la bestia e liberare la città da questo triburo obbligatorio; con l’aiuto di Arianna, figlia di Minosse, che gli donò una spada e un filo da srotolare all’ingresso del labirinto per riuscire poi a ritrovare l’uscita, Teseo sconfisse il Minotauro. Il mito è ricco di allegorie che rimarcano la brutalità e la natura negativa del luogo; basti pensare al tradimento di Minosse nei confronti del dio, alla punizione divina di Poseidone, alla lussuria di Pasifae, alla genialità diabolica di Dedalo, alla natura bestiale e violenta del Minotauro, alla sottomissione della città di Atene e alla brutalità del sacrificio obbligatorio, all’inganno del filo di Arianna e alla violenza della spada di Teseo. In una versione del sopracitato mito scritta da Jorge Luis Borges nell’Aleph, invece il labirinto è descritto come una casa dove regna la quiete e dove tutti sono i benvenuti, dove la molteplicità e la ripetizione mai identica dei luoghi è una grande ricchezza.
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Non ho solo immaginato giuochi; ho anche meditato sulla casa. Tutte le parti della casa si ripetono, qualunque luogo di essa è un altro luogo. Non ci sono una cisterna, un cortile, una fontana; sono infinite le stalle, le fontane e le cisterne. La casa è grande come il mondo. […] Tutto esiste molte volte, infinite volte; soltanto due cose sembrano esistere una sola volta: in alto il sole; in basso Asterione. Borges J.L., L’Aleph, Feltrinelli, Milano 2018 Poi Borges continua descrivendo il Minotauro come una figura mite e come una vittima; non è lui infatti ad uccidere gli uomini che entrano nel labirinto ma è la paura di quest’ultimi per l’ignoto a fargli perdere il senno e a condurli a una morte lenta e spaventosa. Asterione è in attesa di qualcuno che lo liberi dalla solitudine, di un redentore e quando Teseo giunge finalmente a liberarlo egli non lotta ma si arrende al suo avversario. Questa chiave di lettura per alcuni versi assume una valenza positiva pur sottolineando i risvolti tragici del mito e le debolezze dell’uomo che non è capace di vivere la solitudine e si lascia sopraffare da sentimenti di paura e sconforto; il labirinto non è altro che un luogo che mette alla prova la forza spirituale di chi lo esplora: solo con la forza d’animo e con la temperanza si riescono a superare le sue insidie e a coglierne la mitica bellezza. 27
Pablo Picasso, Minotauro con cavallo morto davanti alla grotta, 1936, Musee du Quai Branly, Parigi 28
La visione positiva
La città moderna non ha confini, ma è spesso percorsa al suo interno da una pluralità di limiti. La città moderna è uno spazio atopico che, proprio per questo suo carattere spaesante, è stato sempre percepito come uno spazio labirintico. Rella F., Limina, Il pensiero e le cose, Feltrinelli, Milano 1994
In questo saggio Franco Rella ribadisce, descrive e apporta diversi esempi all’accezione positiva di labirinto che diventa una figura conoscitiva e che lascia spazio a innumerevoli possibilità diverse: come nel
Il castello di Kafka dove lo
smarrimento e l’impossibilità di arrivare alla meta non scoraggiano il protagonista ma lo spingono ad andare avanti; come il filosofo Benjamin che parla dello smarrimento nella grande città come un’arte tutta da imparare; come Durrenmatt che propone l’immagine del labirinto come un luogo di felicità che protegge dalla brutalità del mondo esterno, con la sua conformazione tutta aperta verso il suo interno.
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Gijs Van Vaerenbergh, Labyrinth, C-MINE Arts Centre, Genk, Belgio Domus 0999, 19 febbraio 2016 30
Il filosofo Friedrich Schlegel propone, trasformando il labirinto una volta per tutte in qualcosa di positivo, di sostituire la sua nomenclatura in arabesco: decorazione della cultura islamica formata da figure geometriche spezzate, aperte, che non copiano la natura divina ma la esaltano negandola. Nell’epoca moderna dunque il labirinto deve rappresentare le infinite possibilità, dove il reale è solo un caso particolare del possibile, dove l’arabesco delle forme geometriche è all’origine della fantasia umana, è la duplicità che unisce ciò che è, ciò che è stato e ciò che sarà possibile.
Chi entra in un labirinto sa che esiste una via d’uscita, ma non sa quale delle molte vie che gli si aprono innanzi di volta in volta vi conduca. Procede a tentoni. Quando trova una via bloccata torna indietro e ne prende un’altra. Talora la via che sembra più facile non è la più giusta; talora, quando crede di essere più vicino alla meta, ne è più lontano, e basta un passo falso per tornare al punto di partenza. Bisogna avere molta pazienza, non lasciarsi mai illudere dalle apparenze, fare, come si dice, un passo per volta, e di fronte ai bivi, quando non si è in grado di calcolare la ragione della scelta, ma si è costretti a rischiare, essere sempre pronti a tornare indietro. Bobbio N., Autobiografia, Editori Laterza, Bari 1997 31
Edifici presenti nell’area di progetto 33
Vicolo della cittĂ vecchia di Taranto 34
Il progetto
Ho scelto quest’area di progetto perché credo in una possibile riconversione di Taranto da città industriale a città a vocazione turistica, partendo proprio dalla Città Vecchia, in un processo di rivalutazione del suo territorio ricco di storia e cultura che oggi versa in condizioni di degrado e di abbandono totale. Il dissesto presente in questa parte di territorio è dato dall’abbandono da parte degli abitanti dell’isola, allora pescatori, che con la nascita dell’ILVA negli anni ‘60, lasciarono le loro abitazioni per trasferirsi nei quartieri limitrofi alla zona industriale. In particolare l’area presa in analisi si trova a margine dell’insediamento, tra il tessuto denso del borgo antico e la distesa d’acqua del Mar Piccolo, in prossimità di uno degli ingressi alla città. L’isolato dentro il quale si inserisce il mio progetto presenta edifici già restaurati nelle due teste, ma nella parte centrale gli edifici sono distrutti e abbandonati. L’intervento consiste dunque nella demolizione di questa parte dell’isolato e la conseguente ricostruzione di un nuovo edificio che segue le forme dell’edificio preesistente 35
Particolare della scala dello slargo di San Martino 36
cercando di integrarsi con i caratteri unici del borgo antico, con la misura del luogo e con le forme planimetriche della città. Il progetto si compone di due parti: la parte inferiore è formata da dieci blocchi che si sviluppano su tre livelli seguono la trama dei vicoli retrostanti e amalgamandosi alla conformazione della città antica; la parte superiore che invece è composta da una copertura percorribile distribuita su un unico piano che tiene insieme i blocchi sottostanti rendendo l’edificio un’unica struttura. queste due componenti sono differenziate anche matericamente: la parte inferiore è rivestita in pietra Leccese, materiale rustico di cui sono fatti molti dei palazzi del borgo, e la parte superiore invece e rivestita in lastre di marmo di Trani, più pregiato e rifinito. Nella parte inferiore la zona centrale si svuota in una piazza coperta che divide equamente i dieci blocchi: questa pausa nel ritmo della facciata è data dall’allineamento con lo slargo di San Martino, piazza poco distante dall’area di progetto, che rappresenta un vero punto di discontinuità nel tessuto urbano: lungo la sua terrazza panoramica a base quadrata infatti è presente una scalinata monumentale in cui si percorre un dislivello di circa 16 metri, che corrisponde all’altezza totale del mio progetto.
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Esternamente l’edificio si presenta completamente chiuso al piano terra e con stretti tagli nei piani superiori, ma internamente, negli affacci sui vicoli, si apre in grandi vetrate e corti che richiamano i caratteri ricorrenti della città ma anche l’idea di labirinto, austero all’esterno e aperto e flessibile nei sui antri. Le funzioni presenti all’interno dell’edificio sono molteplici e richiamano la varietà di funzioni che si mischiano da secoli all’interno della città. Esse si dividono in 4 tipologie ripetute nei blocchi della parte inferiore: 1.
la prima tipologia è caratterizzata da una grande vetrata arretrata rispetto
al corpo dell’edificio ed è composta al piano terra da servizi commerciali e nei due piani superiori da appartamenti duplex; 2.
la seconda è caratterizzata da una corte che raccorda due blocchi limitrofi
ed è composta da spazi dedicati alla pesca al piano terra, da un ristorante con accesso indipendente al primo piano e dal mercato al secondo piano; 3.
la terza tipologia è quella del mercato che si sviluppa sui tre livelli e che si
inserisce nei blocchi a base quadrata, con una corte al centro della sala ed una grande finestra panoramica sul Mar Piccolo; 4.
la quarta ed ultima è quella che funge da accesso monumentale all’ultimo
piano ed è caratterizzata da una grande apertura a tutta altezza allineata al blocco adiacente. 38
Lo spazio della copertura è un grande ambiente unico composto da quattro sale aperte, due da una parte e due dall’altra, con setti che si trovano in corrispondenza dei muri dei blocchi sottostanti; all’interno di queste sale sono presenti una zona museale e una biblioteca illuminate dalla luce proveniente dalle corti. Nella parte centrale, in corrispondenza della piazza coperta sottostante, è presente una sala conferenze. Ai due estremi di questo piano sono presenti da un lato la reception e dall’altro un caffè letterario con bookshop e servizi. Così come nell’arabesco descritto da Schlegel, nel progetto i muri si incastrano formando geometrie rigide e aperte l’una verso l’altra ma chiuse verso l’esterno, con i vicoli che talvolta si aprono nelle corti, talvolta si chiudono in strade senza uscita o ancora si aprono in suggestivi scorci verso il mare.
Cosa diciamo quando diciamo mare? Diciamo l’immenso mostro capace di divorarsi qualsiasi cosa o quell’onda che ci schiuma intorno ai piedi? L’acqua che puoi tenere nel cavo della mano o l’abisso che nessuno può vedere? Diciamo tutto in una parola sola o in una sola parola tutto nascondiamo? Sto qui, a un passo dal mare, e neanche riesco a capire, lui, dov’è. Il mare. Baricco A., Oceano Mare, Feltrinelli, Milano 2015 39
Elaborati grafici
Planimetria d’inquadramento 1:2000 40
Planimetria d’inquadramento 1:500 41
Pianta piano terra 42
Pianta piano primo 43
Pianta piano secondo 44
Pianta piano terzo 45
Prospetto Nord 46
Prospetto Sud 47
Sezione AA 48
Sezione BB 49
Sezione CC 50
Vista a volo d’uccello 51
Vista dal mare 52
Particolare del prospetto 53
Controcampo visto da Piazza Fontana 54
Scorcio dal vicolo sul retro 55
Vista sulla piazza coperta 56
Vista interna del mercato 57
Vista interna della copertura 58
Vista interna del museo 59
Vista interna della biblioteca 60
Sezione prospettica con dettagli tecnologici 61
Via Garibaldi vista dal mare 63
Bibliografia
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Letteratura filosofica Augé M., Nonluoghi, Elèuthera, Milano 2018 Bobbio N., Autobiografia, Editori Laterza, Bari 1997 Deleuze G., La piega, Liebniz e il Barocco, Einaudi, Torino 2004 Galimberti U., Psiche e Techne, L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano 2018 Nietzche F., La nascita della tragedia, Adelphi, Milano 1978 Rella F., Limina, Il pensiero e le cose, Feltrinelli, Milano 1994 Severino E., Cosa arcana e stupenda, L’Occidente e Leopardi, Rizzoli, Milano 2010 Zolla E., Che cos’è la tradizione, Adelphi, Milano 2011
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