Il lamento della pace nell'età della guerra

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Pubblicato su Zona SISMica - Settembre 2015

Simone Agostini

Il Lamento della Pace nell’età della guerra Come l’evoluzione della guerra ha compromesso la salute

6 August 2014, Shijaiyah, Gaza Strip. b y Boris Niehaus (www.1just.de) - Own work.

Il primo novembre del 1911 l’aviatore Guido Gavotti lanciava un ordigno esplosivo (grande come un'arancia, si disse) dal suo aeroplano su Ain Zara ed altri tre sull’oasi di Tagiura, in Libia. I turchi denunciarono il bombardamento di un ospedale. 1 Nel contesto della guerra italo-turca del 19111912 si verificò il primo bombardamento aereo della storia. Ancora, nel 1935, quando la guerra aveva già compiuto la transizione a totale, noi registriamo un altro record: Marcel Junod, delegato del Comitato Internazionale della Croce Rossa, descrisse così la sua visita alla Dessiè bombardata: “Non si tratta che di una povera città di terra e di paglia perduta nella boscaglia etiopica, ma è la prima volta che degli aerei, con un’incursione densa e prolungata si accaniscono nel distruggere ciecamente case, focolari, famiglie”. 2 1

A. del Boca, Gli Italiani in Libia, Laterza 1986/1988, Anche qui: http://www.npr.org/sections/thetwoway/2011/03/21/134735395/100-years-ago-the-first-aerial-bomb-fell-over-libya 2 M. Junod, Le troisième combattant. De l’Yperite en Abyssinie à la bombe atomique d’Hiroshima, 1947 Per approfondimenti sulla discontinuità a livello politico, sociale e antropologico della Grande Guerra si rinvia a Il potere dell’Ancien Régime fino alla prima guerra mondiale di Arno Mayer (Laterza, 1999)


Il Lamento della Pace nell’età della guerra

Simone Agostini

Il 30 dicembre 1935 il bombardamento di un’ambulanza svedese della Croce Rossa Internazionale uccise 28 persone tra personale paramedico e pazienti, e ne ferì 50. 3 Questi due episodi sono accomunati, oltre al fatto di essere firmati made in Italy, dall’essere rappresentativi di una nuova era nella storia bellica. Un’era che non è finita e che potrebbe tuttora coinvolgere ognuno di noi in prima persona: l’era del dio Ares.

UN CAMBIAMENTO DI VALORI E DI DEI La guerra è cambiata dall’epoca di Gavotti. L’avvento della Grande Guerra segna, di fatto, una seconda importante rivoluzione della storia bellica, dopo la rivoluzione oplitica. Con la rivoluzione oplitica i combattenti smisero i panni dei guerrieri e diventarono semplici cittadini coscritti (dei civili che ogni tanto mettono l’uniforme): dei militari e, successivamente, soldati professionisti. Fin dalle prime testimonianze storiche pervenuteci, a fare da padrone in guerra era il valore individuale del guerriero omerico (come Diomede, forse ancora più che Achille), colto in quella furia distruttiva che sarebbe propria di Ares, dio del massacro, dell’atrocità e della meschinità. Da questa concezione della guerra si ha un radicale cambiamento con la rivoluzione oplitica: non è più la lancia che identifica il combattente, ma lo scudo (l’hoplon), la fondamentale unità della falange. Alla furia e alla forza, dunque, si sostituiscono disciplina e astuzia. L’eroe che rappresenta questo nuovo approccio è sempre omerico, ma è il più moderno tra i guerrieri dell’Iliade: Ulisse, in fondo, è colui che segna la vittoria di un nuovo sistema di fare guerra, l’unico in grado di spezzare gli equilibri. Atena inizia quindi a soppiantare Ares come divinità della guerra, invocata dagli opliti per la sua intelligenza, la Jacques Louis David, Comb at de Mars contre Minerve, 1771 4 Olio su tela, 114x140 cm, Louvre, Parigi sua abilità strategica e la sua astuzia. Quello che succede nella Prima Guerra Mondiale è una sorta di reazione - a distanza di millenni rispetto a questo cambiamento. 3

https://www.youtube.com/watch?v=eSIkJWuI8H8 Mussolini, data la grande reazione mediatica in tutta Europa, scrisse un telegramma al generale Graziani (n . 029): "Approvo ma [...] evitare le istituzioni internazionali della Croce Rossa." Graziani, come riporta del Boca 1, scrisse a riguardo: "La rappresaglia deve essere effettuata senza misericordia su tutti i paesi del Lasta [...] Bisogna distruggere i paesi stessi perché le genti si convincano della ineluttabile necessità di abband onare questi capi [...] lo scopo si può raggiungere con l'impiego di tutti i mezzi di distruzione dell'aviazione per giornate e giornate di seguito essenzialmente adoperando gas asfissianti." 4 Non è un caso che già nell’Iliade sia proprio Atena a sconfiggere e costringere alla fuga Ares, così come è proprio Ulisse a mettere costantemente in ombra la ben più prestante figura del compagno Diomede.


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Con il primo conflitto mondiale qualcosa sembra essere cambiato all’improvviso, come se si fosse avviato un processo di abbandono di Atena, del confronto leale e arguto, in favore di una brutalizzazione e di una crescente predilezione per la violenza – anche gratuita. In poche parole, un ritorno di Ares. Il fatto che negli ultimi cento anni si sia verificata un’evoluzione nel senso della de professionalizzazione è l’elemento più evidente della discontinuità che la Grande Guerra ha introdotto: quello che era un fatto limitato all’ambito professionale – quello del soldato – si è progressivamente esteso alla popolazione civile. La popolazione civile (e il cosiddetto fronte interno) ha assunto quindi un ruolo sempre più importante nelle dinamiche belliche. Il suo coinvolgimento, inizialmente limitato alle retro vie e caratterizzato da generiche privazioni e sacrifici, è cresciuto mano a mano che si riduceva la distinzione, sempre più aleatoria e temporanea, tra linea del fronte e le retrovie. I bombardamenti aerei, in particolare, hanno reso i fronti estremamente fluidi, con attacchi portati su obiettivi civili. Non solo: alle guerre internazionali si sono sovrapposte le guerre civili, dando origine ad una vera e propria guerra senza quartiere. 5 Può essere osservato come questa evoluzione arrivi fino ai giorni nostri: i dati ci dicono che, se nella prima guerra mondiale il numero di civili morti registrato raggiunse uno sconvolgente 5%, già con il successivo conflitto mondiale si era raggiunto un 50%, mentre oggi il 95% dei decessi nelle guerre è civile. La popolazione civile nel contesto bellico è il più chiaro esempio di estremizzazione di quella materialschlacht (“guerra dei materiali”) introdotta con la Grande Guerra: è cresciuta sempre più una consapevolezza di come l’uomo, in questa guerra di consumo dei materiali, non sia altro che uno dei tanti pezzi: a basso costo, poco specializzato, facilmente sostituibile, forse il più expendable.

I (BIS)TRATTATI: L’ASSISTENZA SANITARIA SOTTO ATTACCO Una delle principali reazioni alla totalizzazione della guerra è il tentativo di normalizzare la guerra, di sottoporla a dei paletti, di limitare i conflitti. Anche qui la nostra storia potrebbe iniziare in Italia, nella piovosa giornata in cui si combatté la battaglia di Solferino e San Martino (1859). Dalla terra intrisa di sangue e pioggia nacque la consapevolezza che era necessario fornire assistenza ai militari feriti in guerra: dopo questa esperienza venne fondato il primo Comitato della Croce Rossa Internazionale che s’impegnò a dare una regolamentazione alla guerra (Convenzione di Ginevra, 1864). Uno dei più semplici principi ratificati in questa prima convenzione fu l’assicurazione di protezione internazionale per gli operatori, gli edifici e i mezzi recanti i simboli della Croce Rossa.

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Questa estensione in senso geografico della guerra corrisponde ad un’estensione temporale della guerra. Dall’iniziale concetto di evento (o una somma di eventi: per antonomasia, le battaglie) la guerra è divenuta uno stato, una prospettiva di durevole rapporto tra entità. “Questo ha portato ad una ridefinizione complessiva delle politiche estere, per le quali le guerre non assumono un valore strumentale, ma spesso sostantivo” (U. Curi). La guerra non è mai più finita: dalla Guerra dei Trent’Anni del Novecento (e questa definizione è in particolare vera per gli italiani che, di fatto, vissero il periodo che va dal 1911 al 1945 in un praticamente perenne stato di guerra) si è passati alla guerra fredda, da lì alla guerra al (del?) terrore. Potremmo chiamare questo processo un’infinitizzazione della guerra: ora la guerra è in-finita, senza fine ma anche senza fines, senza confini, senza fronti. La guerra è ovunque, e sempre.


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Queste normative vennero poi integrate da successivi trattati che andarono a costituire la base per le Convenzioni di Ginevra del 1949, tuttora valide e vincolanti per i paesi firmatari. L’esistenza di un diritto internazionale umanitario, tuttavia, si rivela incapace di far fronte a numerose violazioni. Al giorno d’oggi vengono routinariamente condotte azioni che violano il diritto bellico, come i bombardamenti a tappeto, l’utilizzo di armi illegali (come le armi al fosforo bianco6 o le barrel bombs7 ), gli attacchi ai civili. Gli attori che perpetrano queste azioni (sia stati che realtà sub- o extrastatali) lo fanno con una percezione d’impunità dovuta all’incapacità degli organismi internazionali, ONU in primis, a far applicare il diritto internazionale e a disegnare misure efficaci e condivise per sanzionare i criminali. Alla base di questa impasse della comunità internazionale si sovrappongono numerosi fattori, come la struttura stessa dell’ONU e in particolare quella del Consiglio di Sicurezza, 8 legata ancora ad una realtà geopolitica - quella della Guerra Fredda- ormai superata, l’utilizzo sistematico del diritto di veto (che concede, di fatto, impunità ai 5 paesi membri fissi e ai loro protetti), la possibil ità per molti paesi di sconfessare delle condanne provenienti da organismi internazionali . 9 Alla luce di ciò non può affatto sorprendere la dura sentenza 10 dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), António Guterres, secondo il quale “c’è una apparentemente totale incapacità della comunità internazionale di collaborare per fermare le guerre e costruire e preservare la pace.” La comunità internazionale, in particolare, si sta rivelando impotente di fronte ad un’ignominiosa tendenza sempre più diffusa, cioè quella di colpire i luoghi e le persone coinvolte nell’assistenza sanitaria durante le guerre. In tempi recenti, molti ospedali nel mondo sono stati attaccati da gruppi armati che hanno terrorizzato, rapito o ucciso pazienti e personale sanitario in Afghanistan, Bahrain, Cambogia, Croazia, Gaza e Cisgiordania, Nigeria, Repubblica Centrale Africana, Siria, Somalia, Sud Sudan, Ucraina, Yemen e molti altri paesi.

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Corriere della sera dell’11 Novembre 2007, USA spararono armi chimiche su Falluja http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2005/11_Novembre/07/falluja.shtml 7 MSF, Aleppo’s reality: daily life under barrel bombs, Marzo 2015 https://www.doctorswithoutborders.org/sites/usa/files/attachments/aleppos_reality_daily_life_under_barrel_bombs.pdf 8 Circa le proposte di riforma del Consiglio di Sicurezza, si veda qui: http://www.esteri.it/mae/it/politica_estera/organizzazioni_internazionali/onu/la_riforma.html 9 Internazionale, L’Onu condanna Israele e Hamas per i possibili crimini di guerra a Gaza, 22 Giugno 2015 http://www.internazionale.it/notizie/2015/06/22/onu-israele-hamas-crimini-di-guerra-gaza 10 UNHCR, Worldwide displacement hits all-time high as war and persecution increase, 18 Giugno 2015 http://www.unhcr.org/558193896.html


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Aleppo Syria, 2012 b y Boris Niehaus (www.1just.de) - Own work.

Alcuni degli episodi più recenti fanno intuire come gli ospedali siano diventati degli obiettivi preferenziali da colpire. Nel dicembre del 2013 un’incursione armata in un ospedale è stata filmata da delle telecamere di sicurezza ed è stata postata su YouTube. 11 L’attacco ha provocato 52 morti e 167 feriti. In Siria la situazione è, se possibile, anche peggiore: gli ospedali sono colpiti sistematicamente da entrambe le fazioni in confitto, in un gioco di battaglia navale dove la casella che viene colpita è sempre la stessa. I deboli, gli indifesi, quelli che forse con la guerra non vogliono averci nulla a che fare. “Il conflitto in Siria è caratterizzato da diffuse violazioni dei diritti umani, crimini di guerra, una shockante mancanza di riguardo nei confronti delle vite dei civili da parte sia dello stato che dalle entità non -statali, come confermato da varie organizzazioni per i diritti umani. I civili non hanno solo sofferto ogni tipo di brutalità, inclusi attacchi indiscriminati, morti e feriti su larga scala, dislocamenti forzati, assedi e assenze di accesso ai beni primari, ma sono anche stati vittime di un uso sfacciato e strategico di violenza contro la sanità mirato ad indebolire la fazione opposta “. 12 In Siria il sistema sanitario è attualmente al collasso e gli operatori sanitari non sono in grado di venire incontro ai bisogni della popolazione locale. Dopo l’abbandono del personale internazionale di MSF in seguito al rapimento, il 2 gennaio 2014, di undici operatori, le realtà locali che si occupano di assistere la popolazione lo fanno operando perlopiù in condizioni di clandestinità e di precarietà, sotto la costante minaccia di attacchi. Negli 11

https://www.youtube.com/watch?v=vDCZ3vEt2Dg MSF, Medical Aid Besieged, Marzo 2015 http://www.msf.org/sites/msf.org/files/alepposyria_medical_aid_besieged_9march2015.pdf 12


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ultimi anni sono stati infatti installati numerosi ospedali da campo nascosti o migranti, oppure in sotterranei (si tratta di una vera e propria bunkerizzazione delle strutture mediche). 13 Gli stessi pazienti tendono ad evitare gli ospedali da campo, per paura di essere facili obiettivi dei bombardamenti. A buona ragione: secondo Physicians For Human Rights da marzo 2011 a dicembre 2014 sono stati condotti 224 attacchi in 175 diverse strutture ospedaliere. Nello stesso periodo sono state usate su alcune di esse almeno 30 barrel bombs, e sono stati registrati 599 operatori uccisi. 14

Raqqa national hospital, eastern Syria, June 20, 2013, Reuters

L’esperienza delle organizzazioni umanitarie in Siria, come in altri contesti , 15 ha posto inoltre all’attenzione dell’opinione pubblica il fondamentale nodo circa il prezzo della neutralità. La delegittimazione reciproca delle fazioni in conflitto va ad incidere anche sulla considerazione delle organizzazioni umanitarie che si prestano ad un servizio neutrale: queste sono spesso accusate di “aiutare il nemico” e per questo molto spesso vedono rifiutate le richieste di protezione delle missioni mediche o addirittura segnalati come “ospiti indesiderati” ed invitati ad andarsene. In barba, ovviamente, al diritto internazionale. Spesso le organizzazioni umanitarie vengono poste di fronte ad un dilemma che va a scuotere nel profondo il loro operato: scegliere di operare nel silenzio e, in una sorta di connivenza con le fazioni in guerra, raggiungere il maggior numero possibile di persone che necessitano di assistenza oppure scegliere di non rinunciare alla testimonianza e talvolta alla denuncia, rischiando di vedersi però preclusa la possibilità di fornire aiuto. 13

The Telegraph, Syria: Medecins Sans Frontieres' secret hospital, 21 Agosto 2012 http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/middleeast/syria/9490764/Syria -Medecins-Sans-Frontieres-secrethospital.html 14 SAMS, Syrian Medical Voices from the Ground: The Ordeal of Syria’s Healthcare Professionals, Febbraio 2015 https://www.sams-usa.net/foundation/images/PDFs/Syrian%20Medical%20Voices%20from%2 0the%20Ground_F.pdf 15 PHM, War On The Wounded http://www.phmovement.org/en/node/1944


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DETERMINANTI DI PACE La crisi siriana è la cartina al tornasole di un’evidenza che non possiamo più ignorare: la guerra, in particolare nei suoi sviluppi più recenti, si configura come una delle più grandi realtà problematiche con le quali siamo e saremo sempre più portati a confrontarci. La guerra è la condizione in cui la salute è una prospettiva massimamente compromessa: “Essa produce maggiori morti e disabilità di qualsiasi altra grande malattia; distrugge famiglie, comunità e, a volte, intere nazioni e culture; devia le limitate risorse dalla salute e gli altri servizi e danneggia le infrastrutture che li supportano; infrange i diritti umani. La concezione della guerra - per la quale la violenza è il miglior modo di risolvere i conflitti - contribuisce ad aumentare la violenza domestica, la criminalità e molti altri tipi di soprusi. La guerra danneggia l’ambiente. In sintesi, la guerra è u na minaccia non solo per la salute ma anche per il vero tessuto della nostra civilizzazione “.16 E’ incredibile notare come guerra e salute siano intimamente legate. Non solo negli effetti dei conflitti: gli stessi determinanti sociali di salute sono anche determinanti di pace. Il rischio di conflitto è direttamente proporzionale, per esempio, al reddito medio pro -capite di una determinata zona. Un paese con un PIL pro capite di 250 dollari ha un rischio di conflitti nei prossimi 5 anni del 15% circa, e questa probabilità si dimezza se il reddito raggiunge i $600 procapite. Paesi con un PIL pro capite di $5000 o più hanno un rischio inferiore all’1%. Altri fattori che incrementano il rischio di guerra sono una scarsa salute pubblica, l’assenza di pari opportunità per le donne, delle forti diseguaglianze tra ricchi e poveri, la disoccupazione, una scarsa democrazia, l’assenza di una società civile, un’educazione insufficiente, la facilità di accedere ad armi leggere. 17 Questa relazione tra guerra e salute, forse più di tutti gli altri elementi, carica sulle spalle dei professionisti della salute la responsabilità di assumere una posizione critica nei confronti della guerra ed un impegno attivo nella costruzione di pace. Una pace intesa non come armistizio , ma come un costante lavoro per combattere i determinanti stessi dei conflitti. Lavorare per questo tipo di pace significa lavorare per la salute. Un primo, vero, concreto e grande passo in avanti può essere quello di dare un limite alla totalità della guerra e ripristinare la possibilità di fornire assistenza medica nei conflitti. Iniziare a rispettare una legge umanitaria universale è un primo passo per ridimensionare la guerra, farla tornare a dimensione di uomo. E da lì chissà, forse con un po’ di umanità in più tra i campi di battaglia anche Ares potrebbe perdere il suo fascino. E magari, un giorno, ci accorgeremo che tra i determinanti di pace (e di salute) ci siamo anche noi.

Ringrazio Noemi Streva e Marco Cola per il prezioso supporto che mi hanno fornito nella stesura di questo testo.

“The rivers of blood will keep running the coming night. I can hear they have tuned their instruments of death. Please. Do what you can. This, THIS cannot continue.” Mads Gilbert, Letter from Gaza by a Norwegian doctor (2014)

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Levy and Sidel (1997) riportati in Global Health Watch (2005) SIPRI (2006), de Soysa and Neumayer (2005), riportati in Global Health Watch 2 (2008)


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