Approfondimento per l’esame di Stato 2012-2013
Simone Agostini
DISTOPIA NELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA
Enter the nightmare, this future does implore, Hijack your city-state: a prison, nothing more. Rounded up like cattle , you're forced in to the trains, Nothing that you've ever known will bring you so much pain. If you tr y to resist me you'll find me inhumane , But if you just submit you'll live your life a slave . Your love, your ser vitude will medicate your pain, With our technology, we'll always keep you safe . The nightmare unfolds before my eyes But I will resist ‘til the end of time . Dy stopia - Ic ed Ea r th
Sommario
E x e c u t i o n , d i Yu e M i n j u n
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1984 1 La Trama 1984 è probabilmente il testo distopico più famoso. È stato scritto nel 1948 (anno le cui ultime due cifre, se invertite, danno l’anno di ambientazione – e il titolo – dell’opera) e pubblicato l’anno seguente da George Orwell. Il romanzo narra le vicende di un uomo, Winston Smith, che si confronta con una realtà molto peculiare, salvo poi scoprire di essere egli stesso l’elemento peculiare e destabilizzatore di un ordine costituito estremamente forte. Il testo è diviso in tre parti, ognuna delle quali è dotata di una centralità tematica. Nella prima parte si parla principalmente del lavoro compiuto da Winston Smith all’interno del Ministero della Verità, un’istituzione dedicata al monopolio che il Partito esercita sui fatti. L'occupazione di Smith consiste nel “rettificare” articoli di giornale secondo delle direttive del Partito, rigorosamente proposte in neolingua (anche se non in modo completo). Ciò s’inserisce coerentemente con l’operato del Ministero della Verità, il cui sforzo è volto all’alterazione sistematica e periodica dei documenti storici in modo da plasmare la storia e rafforzare il potere – di tipo totalitario – del Partito. Sempre in questa prima parte del testo ha origine l’elemento che fa da filo conduttore della storia: Winston Smith inizia infatti a scrivere un diario il 4 aprile 1984 (sebbene non sia sicuro della data, dal momento che anch’essa potrebbe essere stata alterata dal Partito). Proprio con l’inizio della stesura di tale diario inizia un lungo percorso coscienziale che il protagonista prosegue in gran parte del libro: Winston è un eretico, uno psicocriminale, e il diario è l’atto ufficiale della sua presa di coscienza. La seconda parte parla della storia d’amore vissuta da Winston con Julia, una dipendente del Ministero della Verità che come lui, seppure per motivi molto diversi, mal sopporta le ingerenze del Partito nella sua vita privata. La storia d’amore si svolge nella segretezza e assume connotati diversi per i due amanti. Se per Julia l’unico interesse è la libertà di esprimere la propria passione, per il più anziano Winston l’amore ha anche un intrinseco significato di ribellione al Partito e di riconquista di un’umanità perduta. Gli amanti s’incontrano in luoghi sempre diversi per sfuggire al controllo del Partito, finché non trovano una stanza in affitto miracolosamente priva di teleschermi (strumenti posti ovunque, atti a comunicare con il popolo e, nel frattempo, registrare ciò che hanno di fronte) al secondo piano del negozio di un rigattiere. Nel frattempo la silente ribellione di Winston (e di Julia) porta i due a comunicare i propri sentimenti di ribellione a O’Brien, un membro del Partito Interno (la casta più elevata del Partito) che sono convinti far parte di un’associazione ribellistica comandata dal misterioso Emmanuel Goldstein. O’Brien ammette di far parte di tale associazione e fornisce loro dei materiali il cui studio è necessario all’iniziazione alla setta. Una volta tornati nella stanza in affitto, tuttavia, i due vengono arrestati da un’unità della psicolpolizia , della quale il capo si rivela essere il rigattiere. La terza ed ultima parte del testo parla della prigionia di Wilson e del suo trattamento all’interno del Ministero dell’Amore, deputato all’ordine pubblico. Wilson viene imprigionato all’interno del Ministero e seguito proprio da O’Brien, rivelatosi un agente del Ministero dell’Amore in incognito, in un percorso di riconversione all’ortodossia della dottrina promossa dal Partito. Come lo stesso O’Brien rivela, le misure di riconversione di Wilson erano state attuate ancora prima che lui stesso avesse capito di essere un ribelle. 1 Tut t e l e ci t az i oni di quest o c api t ol o f anno ri fe ri m ent o a 1984 di G. Or wel l (1949), ove non espr essam ent e ri fe ri t o al t rim ent i .
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All’interno del Ministero il metodico susseguirsi di torture ed indottrinamento culmina con l’apoteosi finale nella “stanza 101”, dove viene utilizzata come arma suprema di dominio il terrore. Il processo “catartico” di Winston ha buon fine, ed egli viene reintegrato nella società, un ingranaggio di nuovo perfetto all’interno dell’enorme macchina che è il Partito.
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Il contesto socio-politico
La mappa del mondo di 1984 Il mondo è nel libro suddiviso in tre superstati : L’Oceania (dove si svolge la trama), l’Estasia e l’Eurasia. Orwell, estremamente attento alle considerazioni storiografiche del proprio tempo, aveva compreso come l’ordine di grandezza dello “Stato nazionale” fosse inadeguato alle necessità politiche del proprio secolo: la risposta novecentesca subcontinentale operata da URSS e Stati Uniti viene ripresa nel romanzo dalle realtà ultracontinentali del mondo di 1984. L’ordine di grandezza di questi Stati è esagerato ed analogo alla situazione della Russia zarista non modernizzata: di fatto, ognuno di essi è uno stato “pachidermico”. Tale eccesso in dimensioni si traduce in una necessaria debolezza a livello strutturale che impedisce ad ognuno di questi tre stati di prevalere sugli altri, anche a causa dei mutevoli rapporti di alleanza che pongono costantemente due superstati contro un altro. Ciò si traduce in un costante stato di guerra che contribuisce a mantenere più facilmente l’ordine interno dei tre superstati e a scaricare verso l’esterno le tensioni sociali. Secondo il documento dato da O’Brien a Wilson Smith, il fantomatico trattato di Goldstein chiamato Teoria e prassi del collettivismo oligarchico (che tuttavia è passibile di non essere altro che una macchinazione del Partito), Oceania, Estasia ed Eurasia sono governate da sistemi oligarchici chiamati rispettivamente Socialismo Inglese (IngSoc), Culto della Morte o Annullamento dell’Io e Neobolscevismo. I tre sistemi sono essenzialmente simili, e le strutture sociali sono identiche. L’oligarchia del Socialismo Inglese, in particolare, è costituita da una polarizzazione tra il ceto dei membri del Partito e i prolet, i proletari. A sua volta il Partito si distingue in Partito Esterno, composto da tutti i funzionari statali, e Partito Interno, composto da una piccolissima élite di dirigenti cui fanno riferimento tutti i membri del Partito Esterno e le istituzioni. Le istituzioni sono solo quattro, ma vanno ad incidere su ogni aspetto della vita umana: il Ministero della Verità agisce plasmando la cultura e l’informazione alle esigenze del Partito Interno, il Ministero della Pace si occupa della politica estera, e quindi di mantenere costante lo stato di guerra e “l’impegno bellico” da parte delle industrie, il Ministero dell’Abbondanza agisce su tutti gli aspetti economici, mentre il 5
Ministero dell’Amore si occupa dell’ordine interno (coordinando anche l’organo di polizia politica, la psicopolizia ) e agisce a livello della mentalità popolare.
L’elemento chiave: la psiche Le contraddizioni che caratterizzano le istituzioni, nel loro rapporto tra nome ed attività svolte, riflettono due fondamentali concetti sostanziali rispetto alla realtà sociale del mondo di Orwell: il bipensiero e la neolingua. Per bipensiero Orwell intende un condizionamento psicologico volto a plasmare la razionalità degli individui secondo le necessità del Partito. Per fare ciò, Orwell individua nella psiche l’elemento chiave che fa da cerniera tra modelli di razionalità e la realtà: agendo sugli elementi più isterici e squilibrati della natura umana si può dunque passare da una concezione della realtà (o della verità) a quella opposta senza che ci sia la parvenza di contraddizione. Tale capacità di sostenere un’idea e il suo esatto opposto senza alterare il proprio grado di convinzione è in primo luogo dovuta ad un processo consistente nel dimenticare l’avvenuto cambio di opinione. Nel testo, in particolare, riferimento pregnante al bipensiero è la formula matematica 2+2=4. In uno dei primi scritti di Smith sul diario vi è il celebre “La libertà è libertà di scrivere che 2+2=4”. O’Brien, in una delle sedute nel Ministero dell’Amore, indottrina Smith in modo che questi veda il risultato dell’operazione 2+2 non come dovuto a ciò che pensa, ma piuttosto a ciò che il Partito vuole che sia in quel particolare momento. Sotto questo processo mentale non è dunque irragionevole, per il membro ortodosso del Partito, pensare che una guerra contro un superstato sia appena cominciata e allo stesso tempo che essa sia in atto da sempre. Il secondo elemento che caratterizza e fonda la nuova realtà sociale di 1984 è la neolingua, una nuova lingua in fase di progettazione. Il suo uso è, nel racconto, limitato agli ambienti ministeriali e alle comunicazioni interne al Partito, nonostante sempre più persone tendano, “nei loro discorsi di ogni giorno, a fare un uso sempre più ampio di parole e strutture grammaticali della neolingua” (1984, Appendice: i principi della neolingua). La neolingua nel 1984 non è ancora utilizzata da nessuno come unico mezzo di comunicazione, ma è auspicio del Partito che entro circa 70 anni tale lingua possa andare a sostituire l’ archeolingua (corrispondente alla lingua corrente). L’obiettivo della neolingua è quello di rimuovere ogni ombra di significato dal linguaggio. La caratteristica principale della neolingua, infatti, è il restringimento del lessico non solo in una prospettiva di semplificazione linguistica, ma anche (e soprattutto) nell’ottica di rendere impossibile e irragionevole la formulazione di qualsiasi pensiero contrario al Partito. Inoltre, la pronuncia della lingua è volutamente resa meccanica e poco musicale, in modo da promuovere il dialogo condotto in stato d’incoscienza e nella mancanza d’inflessioni, enfasi, personalità. Ciò contribuisce a definire l’ultimo concetto di ortodossia (in neolingua goodthink , buonpensiero), fondamentale per la promozione del consenso al Partito. “Ortodossia vuol dire non pensare - non aver bisogno di pensare. Ortodossia è inconscio.” È dunque nell’inconscio, nella più pura ed incontrollabile forma della psiche umana, che l’ortodossia si sviluppa. Il vero seguace ortodosso del Partito non è colui che condivide in toto le idee da esso proposte e le fa sue, ma colui che non pensa, o meglio, colui che non ha bisogno di pensare perché una forma di totalitarismo si occupa di fare questo lavoro per lui (si confronti, a questo proposito, tale conclusione con quelle di Hannah Arendt sul suddito ideale del regime totalitario). 6
Psiche e Terrore Il sistema sociale di 1984 è un regime di tipo totalitario nella sua forma più pura e completa. Esso associa infatti a delle dinamiche di massa e all’ingerenza in tutti gli aspetti della vita la presenza costante della paura. L’azione del regime totalitario orwelliano si focalizza, come è stato detto nel capitolo precedente, principalmente sulla psiche, ed in particolare sulla dimensione dell’inconscio. L’inconscio è, infatti, difficilmente imbrigliabile con le strutture razionali, ed è anche più facilmente soggetto alle istanze di seduzione, persuasione e dissuasione (più emozionanti – e per questo motivanti – della fredda dialettica intellettuale, e soprattutto applicabili ugualmente a tutti gli strati sociali). Il romanzo, affrontando gli eventi sotto la prospettiva di un dissidente del regime, finisce con il concentrarsi su questi elementi fornendone un’analisi obiettiva delle forme e delle peculiarità, in un contesto – quello di un regime totalitario perfetto (dopo si proverà a definirne le caratteristiche principali) - nel quale questo tipo di azione sulle persone fa parte della consuetudine. La persuasione segue perfettamente le dinamiche sottolineate da Gustave Le Bon 2 : nella loro versione massificata, così come nelle sue forme precedenti (seppur in maniera inferiore), le folle inglobano tutte le differenze dei singoli che le compongono in un’unica anima collettiva , che si mobilita sempre all’ unanimità, pur nella sua incostanza (“La folla è facilmente carnefice, ma non meno facilmente martire”) e nella sua natura incosciente (“la folla è sprovvista dell’attitudine a dominare i suoi riflessi” , “nulla può essere premeditato dalle folle ”), che si traduce quindi in eccitabilità, irritabilità, impulsività. Per ovviare al problema dell’incostanza è dunque necessario che vi sia una mobilitazione lucida delle masse: per fare un paragone in termini fisici, le masse costituiscono l’intensità di un vettore (ma solo in questo caso!), mentre è necessario un intervento esterno di mobilitazione che ne determini la direzione ed il verso. Per mobilitare le masse ci sono vari metodi, che riconducono in genere alle categorie della seduzione e della persuasione, che agiscono in gran parte nell’ambito dell’incoscienza, eccitando e provocando reazioni “a caldo”. Alla base di questa mobilitazione “accalorata” delle folle c'è spesso un’ideologia (che costituisce uno dei più chiari punti di raccordo tra 1984 e le esperienze totalitarie del Novecento). Nel romanzo tali azioni di persuasione e seduzione delle masse sono riscontrabili nelle grandi manifestazioni volte alla creazione di un’identità di massa (appunto, un ’anima collettiva ) estremamente emozionata, persuasa all’ortodossia e sedotta dalla facilità del mantenimento dello status quo. Si noti che il sentimento collettivo di appartenenza ad una determinata realtà è ad oggi il più facile – ma non necessariamente il più giusto – produttore di coesione sociale e d’identità. Proprio le masse costituiscono uno dei due principali attori della dissuasione nei confronti di se stesse: in questo apparente paradosso è bene andare a definire il concetto di conformismo. Secondo Erich Fromm 3 all’interno della massa l’individuo compie una reazione istintiva simile alla mimesi che viene praticata da molti esseri viventi in natura, allineando i propri sentimenti, le proprie emozioni e la propria volontà a “tutti gli altri”. La perdita d’identità dell’individuo all’interno della folla genera un panico risolvibile solo con una fuga dalla libertà: viene ricreata un’altra identità che coincide con il riconoscimento di se stessi all’interno della massa e con la continua ricerca di approvazione della stessa. In questo senso, la massa costituisce un motivo di dissuasione nei confronti dei dissidenti che non si conformano alla massa, che non si lasciano inquadrare ed irreggimentare 2 G. Le Bon, La psi col ogi a del l e f ol l e , 1895 3 E. F rom m , Fuga dall a l i bert à , 1941
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all’interno delle maglie del pensiero unanime. Emblematici di questi processi di mobilitazione delle masse in 1984 sono la Settimana dell’Odio e i Due Minuti d’Odio , grandi manifestazioni popolari organizzate dal Partito volte a scaricare la rabbia e le tensioni sociali verso l’esterno o verso minoranze emarginate, le quali sovente subiscono vere e proprie forme di pogrom. Il secondo elemento di dissuasione che si può riscontare in 1984 è l’azione congiunta della psicopolizia e del Ministero dell’Amore, che operano in modo da cancellare ogni tipo di dissidenza. A tale azione si aggiungono anche i cittadini, cui è richiesta la denuncia di comportamenti da considerarsi sovversivi: i bambini vengono persino istruiti fin da piccoli ad essere pronti a denunciare i propri genitori. Winston Smith viene controllato dalla psicopolizia e, una volta colto in flagrante nel suo psicoreato, viene imprigionato nel Ministero dell’Amore , dove subisce numerose forme di tortura. Inizialmente vengono eseguite torture di tipo fisico, come la fame, i pestaggi, le scosse elettriche e lo straziamento delle carni; successivamente, le torture vengono gradualmente associate a processi di indottrinamento sempre più radicali, fino alla totale conversione di Winston. “Il dolore fisico non è sempre abbastanza, ma per ognuno qui c’è qualcosa di insopportabile – qualcosa che non può essere contemplato” In questo lungo processo di tortura e riconversione la paura viene utilizzata nelle sue diverse forme per arrecare dolore, ma è chiaro che esista una gerarchia di sofferenze: all’orrore ed al dolore fisico viene contrapposto e messo in risalto il terrore psicologico, tanto che nella temutissima stanza 101, come ultima forma di tortura, viene scelto di porre di fronte a Winston la sua più grande fobia: i topi. Se Winston e Julia avevano pensato, nonostante le torture, di poter mantenere vivo perlomeno in coscienza il sentimento che li legava, di fronte alle proprie paure più grandi e insensate entrambi capitolano e si tradiscono a vicenda pur di avere la vita risparmiata dai loro incubi peggiori. In questo passo del romanzo, forse il più emotivamente toccante, viene enfatizzata in modo drammatico la fragilità della psiche umana: su di essa un potere coercitivo può esprimere un controllo estremo, persino superiore a quello ottenibile dal dolore fisico, dal momento che l’inconscio è in grado di condizionare e minare le fondamenta stesse sulle quali è edificato il sacro tempio della coscienza personale. Se l’orrore e il dolore fisico assoggettano i corpi, il terrore e l’azione sulla psiche ne assoggettano anche l’anima. 4 È dunque questa la caratteristica che differenzia il sistema totalitario di 1984 da quelli che la nostra storia ha conosciuto: esso riesce ad assoggettare le persone sotto ogni aspetto della loro vita, finanche la loro più profonda intimità. A confronto, nel caso di totalitarismi come il nazionalsocialismo tedesco ed il comunismo sovietico, ed in modo ancora più evidente in forme di governo come il fascismo italiano, sarebbe più corretto parlare di totalitarismi esigenziali, dato che l’elemento coscienziale non era subordinato al potere né alla sua ideologia (o non-ideologia, nel caso del fascismo italiano) nel modo tanto completo descritto in 1984. In effetti, nella storiografia tradizionale si tende a definire il solo regime mussoliniano come totalitarismo esigenziale (nonostante il termine “totalitarismo” fosse nato proprio in 4 È i ncr edi bi l e pensa re quant o si a luci d a l ’anal i si di Al ex is de Tocquevi l l e quando scri ve, ben pri m a del l ’a ff erm a rsi del l a m assi fi caz i one ed in ant i ci po di quasi c ent o anni sui re gi m i t ot al i t ari (i l se gu ent e t est o è inf at ti t rat t o da La de mocrazi a i n Ameri ca del 1840), “ I pri nci pi avevano, per così di re, mat eri al i zzat o l a vi ol enza, l e repubbl i che democrat i che dei nost ri gi orni l ’hanno resa del tut t o spi rit ual e, come la vol ont à umana che essa vuol e cost ri ngere. Sott o i l governo assol ut o di uno sol o, i l di spoti smo, per arri vare al l ’ani ma, col pi va grossol anam ent e i l corpo; e l ’ani ma, sf uggendo a quei col pi , s’el evava gl ori osa al di sopra di esso; ma nel l e repubbl i che de mocrat i che, la t i ranni de non proc ede af f at t o in quest o modo: essa t rascura i l corpo e va drit t a al l ’ani ma.”
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questo contesto!), mentre il nazionalsocialismo e lo stalinismo vengono definiti come totalitarismi a tutti gli effetti. Il motivo di questa scelta non è una scarsa considerazione delle caratteristiche proprie del totalitarismo che di fatto il regime tedesco e quello sovietico non hanno assunto (per esempio, in nessuno dei due casi era attivo un avanzato sistema di biopotere), ma piuttosto la speranza che questi due exempla di regime totalitario rimangano per sempre dei riferimenti estremi, mai piÚ superabili nella prassi politica.
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I L TOTALITARISMO COME DISTOPIA NELLA STORIA 5 Come già visto in precedenza 1984 porta con sé una descrizione estremamente lucida delle caratteristiche topiche del totalitarismo: in questa sezione ci si concentrerà su tali caratteristiche utilizzando come riferimento il lavoro di Hannah Arendt Le origini del totalitarismo, edito nel 1951. È interessante notare come il lavoro della Arendt fu il primo ad equiparare il sistema politico staliniano a quello (da poco scomparso) hitleriano, in un periodo nel quale l’influenza di Stalin come salvatore del mondo dal Nazismo e come profeta della Rivoluzione era al suo apice. Hannah Arendt e George Orwell sono accomunati , dunque, dalla loro posizione impopolare tra gli intellettuali di sinistra perché critica del regime staliniano. È anche suggestivo pensare come le due opere 1984 e Le origini del totalitarismo, pubblicate a soli due anni di distanza, siano state prodotte di fronte alla stessa realtà storica. Di fronte a questa suggestiva coincidenza è interessante pensare che entrambi i testi siano un sintomo di insofferenza nei confronti di un particolare ambiente culturale (quello di sinistra) che nel suo dover essere “contro” a tutti i costi non si è accorto della deriva ideologica e politica che lo ha portato a fare compromessi con la stessa tentazione del male che stava combattendo. Dunque, se all’apparenza Orwell ed Arendt agirono in contesti e forme diverse, è possibile trovare un elemento di continuità nel tentativo di definire più precisamente le caratteristiche e le forme del totalitarismo novecentesco: in questo senso si può dire che l’espressione più lampante di distopia nella storia contemporanea è il totalitarismo . Innanzitutto, il totalitarismo opera uno scarto rispetto alla politica tradizionale. Il totalitarismo storico si differenzia dalle altre forme di oppressione politica precedenti quali il dispotismo, la tirannide e la dittatura perché: “dovunque è giunto al potere, esso ha creato istituzioni assolutamente nuove e distrutto tutte le tradizioni sociali, giuridiche e politiche del paese. […] ha trasformato le classi in masse, ha sostituito il sistema dei partiti non con la dittatura del partito unico, ma con un movimento di massa, trasferito il centro del potere dall’esercito alla polizia e perseguito una politica estera apertamente diretta al dominio del mondo.” A riguardo di quest’affermazione occorre operare una precisazione, forse non più ovvia al giorno d’oggi: la polizia politica, pur avendo un ruolo di primo piano nella politica interna del regime totalitario, non andò mai a sostituire l’esercito, ma solo a raccoglierne l’eredità di organo al centro dell’attenzione del potere politico. Questo passaggio coincide, di fatto, con l’introduzione nella storia del concetto di fronte interno e della sua acquisizione di primato rispetto al fronte tradizionale. Sulle polizie politiche De Grand scrive 6 : “Lo studio di Robert Gellately sulla polizia nazista ha rivelato che il numero degli agenti della Gestapo era relativamente modesto. L’Ovra italiana ebbe una consistenza simile ed alto grado di efficienza. Tale efficienza, in entrambi i casi, si basava spesso su una rete di delatori di palazzo o di quartiere, che fornivano volontariamente informazioni sui loro 5 Tut t e l e ci t az i oni di quest o c api t ol o f anno ri fe ri m ent o a L e ori gi ni del tot al it ari smo di H. Arendt (1951), ed i n part i col a re al Capi t ol o XIII : Ideol ogi a e Terrore , ove non espress am ent e ri f eri t o al t ri m ent i . 6 A.J . De Grand, Il consenso al f asci smo ed al nazi smo , ri port at o al l e pagg. 361- 363 di L eggere l a St ori a
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vicini e colleghi.” Come si è visto in precedenza, questo discorso può essere esteso anche alla psicopolizia di 1984, alle diverse polizie politiche sovietiche (delle quali le più note sono certamente Ceka e KGB) e a quella forma ibrida tra polizia politica ed esercito di occupazione che erano le Einsatzgruppen . Tutte questi corpi di polizia rispondono, in effetti, alla considerazione di De Grand. A proposito dell’uso della polizia, la Arendt propone un’interessante analisi dei concetti di colpevolezza ed innocenza . La loro distinzione, come è infatti sensibile in 1984, non ha assolutamente senso all’interno di un regime totalitario: nella terribile e perfetta logica dell’ideologia dominante (su questa forma di logica sarà opportuno ritornare) non è l’avere compiuto un crimine che determina il grado di pericolosità di una persona, ma la sua stessa natura, le sue caratteristiche fisiche, ciò che pensa, il fatto che pensa. Inoltre, se normalmente si tende a definire un condannato, ed in misura inferiore il suo boia, come colpevoli, all’interno del regime totalitario sia la vittima che il carnefice sono innocenti. Nel primo caso la colpevolezza non fa riferimento a delle azioni illecite compiute da singoli, ma è relativa ad una colpevolezza di gruppo (come nel caso gli ebrei) del quale ogni membro dovrà indistintamente pagare. Una persona può, dunque, essere innocua e condannabile allo stesso tempo. Nel secondo caso, invece, gli ordini vengono dall’alto, e sempre in alto si scaricano le responsabilità: sempre più “in alto”, fino ad arrivare all’ideologia, che rappresenta una necessità (morale, storica, biologica). O’Brien ed Eichmann sono in questo uguali: non colpevoli, perché eseguono ciò che viene detto dall’alto. In particolare, il perfetto servitore del regime totalitario è colui, come Eichmann, che si identifica nel sistema tanto da lasciare che la propria coscienza venga diretta dal potere (in questo caso riprende il concetto orwelliano di ortodossia come il “non dover pensare”) invece che da se stesso. Egli è convinto di non essere responsabile di ciò che fa, dal momento che gli ordini provengono “dall’alto”. Eppure, se la responsabilità legale delle sue azioni può essere scaricata sempre più in alto (e dunque è soggetta al vaglio di un’interpretazione, dal momento che nel caso di Eichmann si è passati da un sistema di leggi ad un altro), non ci sono dubbi che al funzionario tedesco sia da attribuire una responsabilità morale. Eichmann, convinto di salvare se stesso perché mero ingranaggio di un’infernale macchina che senza di lui avrebbe comunque perpetrato gli orrori per cui è nota, si è dunque dimenticato che tale sistema funzionava principalmente grazie a tanta gente come lui, tante persone “a posto con la propria coscienza” semplicemente perché la avevano venduta al regime in cambio della deresponsabilizzazione legale. Si è detto che l’ ideologia rappresenta una necessità biologica, morale, storica, così come che essa dispone di una logica perfetta (e perciò anche della necessità logica). Non esiste imprevedibilità per l’ideologia: essa dà una spiegazione totale del passato, una completa valutazione del presente e un’attendibile previsione del futuro : per questo spesso pretende di essere scientifica. Il motivo per cui l’ideologia può permettersi di fare quest’operazione sta nel fatto che essa è indipendente dalla esperienza (povero Winston, come può la sua memoria giocare scherzi tanto brutti da convincerlo che gli aeroplani esistessero prima della Rivoluzione?), ed addirittura fa riferimento ad una realtà più vera, una realtà che se non coincide con l’ideologia è sicuramente sbagliata. “Una volta stabilita la premessa, il punto di partenza, il pensiero ideologico rifiuta gli insegnamenti della realtà.” Di fronte all’insensatezza che il regime totalitario produce ogni giorno il pensiero 11
ideologico riesce a non vedere contraddizioni (con un bell’esercizio di bipensiero), perché ciò che fa è imporre un supersenso sulla realtà, un universo che vede solo relazioni logiche, necessarie e prevedibili. Secondo Hannah Arendt l’aggressività dei regimi totalitari nei confronti dei fattori che disturbano la perfezione del supersenso (l’esistenza di esseri inferiori, la presenza di coscienze non uniformate) non è causata da brama di potere o di profitto, quanto piuttosto dalla necessità di dimostrare che la propria ideologia è quella che ha ragione. Lo scopo dell’ideologia, infine, non è necessariamente quello di migliorare le condizioni esistenziali di qualcuno o imporre misure politiche in senso utilitaristico (che varierebbero in base al contesto), ma quello di creare una nuova umanità. Questa missione di palingenesi spiega il senso che ha togliere truppe dal fronte orientale mentre si sta perdendo la guerra per potenziare l’attività dei campi di sterminio polacchi, o spendere risorse ingenti per il funzionamento dei mastodontici apparati dei quattro Ministeri. Tuttavia, ricorda la Arendt in un altro suo lavoro 7 , “L’azione 8 , la sola attività che metta in rapporto diretto gli uomini senza la mediazione di cose materiali, corrisponde alla condizione umana della pluralità, al fatto che gli uomini, e non l’Uomo, vivono sulla terra ed abitano il mondo . Anche se tutti gli aspetti della nostra esistenza sono in qualche modo connessi alla politica, questa pluralità è specificamente la condizione – non solo la condicio sine qua non , ma la condicio per quam – di ogni vita politica.” A difesa della pluralità e della realtà, costantemente minacciate dall’ideologia unificatrice e super sensata, la filosofa propone infine un imperativo: “A chi dice che l’idea vale più della realtà bisogna rispondere che non c’è nulla che valga più della più insignificante realtà” Finora si è parlato di come il regime totalitario agisca su un universo massificato utilizzando principalmente il terrore come strumento di imperium, spesso preferendolo alle più complicate e dispendiose forme di azione, come la seduzione di massa. Eppure, scrive Hannah Arendt, il terrore può imperare con assolutezza solo su individui isolati l’uno dall’altro . Uno dei primi scopi del regime totalitario è quindi creare isolamento. Per isolamento s’intende una situazione nella quale una persona perde ogni rapporto di tipo politico (e non relazioni di tipo sociale, su questo se ne discuterà in seguito) con gli altri: isolamento vuole dunque dire anche impotenza. Questo isolamento consente innanzitutto di alienare l’uomo rispetto alla sua attitudine politica: il terrore agisce con più veemenza e radicalità contro chi è impotente perfino di fronte ai soprusi. Spesso si confonde l’azione della tirannide con il terrore totalitario, dal momento che entrambi distruggono la capacità degli uomini di fare politica: ciò è corretto finché si parla di togliere la libertà agli uomini, ma mentre la prima forma sostituisce alla libertà un vuoto (un deserto) nel quale le relazioni politiche sono inibite dalla reciproca diffidenza e dall’arbitrato, la seconda estirpa ogni presupposto di libertà e di senso della politica, comprimendo gli uomini fino a renderli indifferenziati, e dunque elimina ogni presupposto di pluralismo e di differenza (condizioni necessarie della libertà politica, così come della democrazia). La politica, e con essa le relazioni di tipo politico, non hanno più senso in questo caso. Se l’azione del singolo è inquietante perché imprevedibile e non inquadrabile (dal momento 7 H. Ar endt , Vi t a act i va (1964), ri port at o i n Il nuovo prot agoni st i e t est i del l a fi l osofi a – vol . 3B (2007) di N. Abbagnano, a cu ra di G. F orne ro, a pag. 711. 8 l ’az i one i n quest i one è quel l a pol it i ca, che si di ffer enzi a dal l ’ at ti vi t à l avor at i va e dal l ’op era re “ cre at i vo”, non nat ur al e, e che con quest i el em ent i cost i t ui sc e l a vi t a a ct i va, l ’agi re um ano.
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che ogni azione dipende dalla contingenza e, soprattutto, si unisce a quelle degli altri). L’azione della massa, invece, è facilmente prevedibile perché unanime, e quindi non suscettibile di altre influenze se non dell’azione mobilizzatrice. Si noti che l’uomo isolato all’interno di un contesto di massa non costituisce un ossimoro, dal momento che l’isolamento politico si ha solo in un contesto senza possibilità di individualismo, di differenza, di politeismo (in senso laico) di valori, di pluralismo. Una volta isolato, però, un individuo dispone anche di una attività relativa alla sfera privata, come per esempio la capacità di fare esperienze, di creare, di pensare. Ciò non può essere tollerato da un regime totalitario puro (qui si nota la differenza tra totalitarismi puri ed esigenziali), che deve distruggere anche queste forme di iniziativa alternative a quella pratica. In questo contesto subentra anche l’ estraneazione, volta a sopprimere tale tipo di iniziative. Tale azione non è strettamente necessaria per mantenere il potere (dato che, in effetti, per l’efficace funzionamento del terrore sono sofficienti l’isolamento e, vedremo, lo sradicamento), ma è un’ estrema conseguenza della necessità del potere totalitario di dimostrare a se stesso ed ai dissidenti che l’ideologia adottata è quella giusta: come già detto, questa necessità si traduce in alterazione della realtà per confermare l’ideologia. L’estraneazione è dunque l’evoluzione dell’isolamento nella distruzione della libertà nella vita del singolo. Ad essa sono connessi i concetti di sradicamento e di superfluità: il primo fa riferimento alla mancanza di riconoscimento da parte della comunità di un singolo o di un gruppo come parte integrante della stessa, il secondo indica una situazione di non-appartenenza al mondo. Nei regimi totalitari sono presenti entrambe le forme di condizione, sebbene sia molto più comune il solo sradicamento: in effetti, esso si ha ovunque vi sia un regime di massa (questo è forse ancora più chiaro nella società attuale), dal momento che l’estrema massificazione rende impossibile la presenza di “altri” con cui confrontarsi e dai quali, eventualmente, venire riconosciuti. La massa è infatti un liquido dove non esistono poli, vertici definiti ove è possibile riconoscere in un’entità una individualità, una eccezionalità, una irrinunciabilità: se in questo contesto è difficile parlare di possibilità di riconoscimento e garanzia da parte degli altri, si può dire che esso sia la situazione migliore per l’azione di un potere di tipo totalitario. Il motivo di questo fatto è che il regime totalitario – ed il terrore con esso - hanno un’azione più efficace su persone isolate da un contesto (da esso sradicate, appunto), dal momento che la decontestualizzazione favorisce una generalizzazione, che può stare a significare anche semplificazione di quello che normalmente si penserebbe come un universo a sé. Se Winston è lasciato da solo, non è riconosciuto dagli altri come singolo dotato di estrema eccezionalità, né viene considerato per quello che è ma per quello che dovrebbe essere, è di certo più semplice per il Partito operare su e contro di lui, inerme. Una tipica situazione di sradicamento che evolve nella superfluità , invece, è il processo che porta gli apolidi, gli ebrei ed i rifugiati in primo luogo ad essere emarginati e non riconosciuti all’interno di una società, privati di diritti politici e poi, a causa dell’azione politica dell’ideologia (o meglio, degli “esecutori dell’ideologia”: gli ortodossi, coloro che fanno ciò che viene detto dall’alto, come Eichmann ed O’Brien), resi una nullità da razionalizzare. Un Nichts da associare, quindi, ai Ver nichtungslagern. “Se è vero che sei un uomo, Winston, tu sei l’ultimo uomo. La tua specie si è estinta e noi ne siamo gli eredi. Non capisci che sei solo? Tu sei fuori dalla storia, tu non esisti” 9 9 G. Orwel l , 1984 (1949)
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L’ UTOPIA COME TENTAZIONE ALLA DISTOPIA 10 1984 ci mostra come il biopotere fosse già sentito alla fine degli anni Quaranta come un elemento di assoluto pericolo per gli individui nel loro impari confronto con il regime totalitario. Il Partito, infatti, adotta misure contro il concepimento (tra le quali anche ostentazioni plateali di rifiuto della sessualità, si pensi alla Lega Antisesso) e impone un rigido controllo delle nascite, a causa del quale ogni figlio viene concepito sotto stretta autorizzazione del Partito – con un partner scelto casualmente. Al dominio sulle nascite il Partito associa una forte burocrazia, atta a “imbrigliare” i cittadini all’interno delle maglie della burocrazia, e un processo di educazione/indottrinamento delle quali si fa carico per intero, esautorando la figura dei genitori. In questo modo i ragazzi si riconoscono e si identificano in primo luogo nello Stato, senza passare per realtà più particolaristiche come quelle familiari. Non è incredibile, dunque, che in una situazione del genere i figli siano capaci di denunciare i propri genitori, ma che anzi vengano incoraggiati a farlo. Queste due primitive forme di biopotere si possono trovare anche nella storia: i Giovani Comunisti, komsomol (analoghi alla ben più nota Hitlerjugend), agivano in modo del tutto simile alla Lega Antisesso, pur non essendo esplicitamente celibi, attraverso la dissuasione dal coinvolgimento romantico nelle relazioni. Ciò avrebbe infatti precluso una totale dedicazione alla causa del Partito comunista. È interessante il fatto che, siccome i komsomol erano caratterizzati dall’indossare fazzoletti rossi attorno al collo, Orwell li parodizzò facendo indossare ai membri della Lega Antisesso delle fasce rosse attorno alla vita. Altri esempi di forme di biopotere che sono state adottate sono la condanna della sessualità operata da Vladimir Lenin (che nel 1918 si tradurrà in persecuzione, deportazione e fucilazione di tutte le persone ree di prostituzione) e, nel caso del nazionalsocialismo, il programma Lebensborn e il progetto Aktion T4. A questi elementi si può anche aggiungere l’ordine concentrazionario sviluppatosi in Europa negli anni Trenta sul modello dei campi di prigionia per internati militari: essi non erano infatti solo delle prigioni, erano anche dei “ laboratori di una nuova umanità ” 11 . Attraverso il controllo della vita biologica degli internati (costretti a lavorare fino allo sfinimento o a contribuire al massacro dei propri compagni) il sistema concentrazionario opera un primo passo verso una vita politica nella quale si registra un indiscusso primato della scienza e della tecnica. É infatti indubbio che oggi la scienza stia creando un netto divario tra due tipi di umanità, le quali sono distinte dall’accesso, o meno, a certe opportunità che il progresso nella scienza e lo sviluppo della tecnica a questa associata creano. Non è un caso, in questo senso, che nei campi di concentramento vengano eseguiti esperimenti a carattere pseudo-scientifico non solo per scopi militari o per le necessità di sterminare certi gruppi di esseri umani, ma anche per “contribuire al progresso scientifico”. È in questo contesto che aberranti storie trovano luogo, come quelle che circondano le unità mediche naziste operanti in certi campi di concentramento (spesso coordinate dall’attività di Karl Brandt, medico personale di Hitler) o l’Unità 731 giapponese (ma anche alcuni tipi di tortura subiti da Winston). Il biopotere rappresenta anche la sconfitta di quella che Hannah Arendt aveva proposto 10 Tut t e l e ci t az i oni di quest o c api t ol o f anno ri fe ri m ent o a Il pri nci pi o responsabi l it à di H. J onas (1979), e i n part i col a re al Capi t ol o VI: L a cri t i ca del l ’ut opi a e l ’et i ca del l a responsabil i t à , ove non espr essam ent e ri fe ri t o al t rim ent i . 11 H. Arendt , L e ori gi ni del tot al it ari smo (1951)
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come elemento utile per la fine del totalitarismo: “Il dominio totalitario, al pari della tirannide, racchiude in sé i germi della propria distruzione” 1 2 Il riferimento della Arendt era alla nascita: essa è imprevedibile e libera, con essa viene potenzialmente in vita un nuovo mondo, attraverso di essa si possono superare gli assiomi delle ideologie dai quali i regimi totalitari credono di potere dedurre la realtà. Una volta inserito il concetto di biopotere nell’azione totalitaria non c’è davvero più scampo: alla luce di ciò che emerso da Auschwitz, alla realizzazione di quanto si è stati vicini alla fine, uomini come Hans Jonas si sono chiesti se è possibile ancora credere in un Dio dopo tutto questo. 1 3 Di fronte ad una situazione catastrofica, immerso nella passione di una realtà storica vissuta da troppo vicino (la madre, per esempio, morì ad Auschwitz), Hans Jonas iniziò il suo impegno nella filosofia politica, procedendo nella definizione di un nuovo principio etico profondamente diverso dai sistemi tradizionali. Il testo che verrà affrontato in questa sezione è appunto quello che è considerato il suo capolavoro: Il Principio Responsabilità. Ricerca di un’etica per una civiltà tecnologica, specialmente nella sua ultima parte. La responsabilità che Jonas porta in primo piano è sicuramente quella con la quale ci si pone di fronte alla realtà, ed assume quindi una posizione di riferimento per ogni tipo di analisi storico-politica. Essa è innanzitutto contrapposta all’ utopia che, per esempio, Bloch espresse come fondamento del suo Principio Speranza , testo con il quale Jonas entra in diretta polemica. “Per il momento va detto soltanto che nella zona in cui ci siamo addentrati con la nostra tecnica e nella quale dovremo muoverci d’ora innanzi, la parola d’ordine deve essere cautela e non esuberanza; la seduzione dell’utopia – il nostro tema attuale – è l’ultima cosa che deve offuscare la chiarezza che è richiesta a questo proposito. In ogni modo questo enunciato implica già che noi non crediamo alla possibilità dell’utopia.” Se le precedenti forme di utopia si pronunciavano sull’essere di un’utopia (o meglio, sul dover-essere, dunque una prospettiva che risiede in una dimensione deontologica), Jonas riconosce al marxismo la carica innovatrice della promessa di un avvento di certe prospettive. Tuttavia, nota il filosofo, ciò porta ad una considerazione dello status attuale delle cose (e dell’umanità stessa) come per natura expendable , sacrificabile in nome della realizzazione dell’utopia ( “La fede nell’utopia, qualora non sia più che non un semplice anelito – e questo costituisce il suo primo predicato nel realismo marxista – induce al fanatismo con tutta la sua inerente propensione alla spietatezza” ). Il prezzo per realizzare l’utopia, dunque, non è mai abbastanza alto, nemmeno se si parla di violenza. Inoltre, è inaccettabile che una élite, definitasi tale in base alle proprie stesse temerarie teorie, le imponga all’umanità con un atto che non può che essere definito giacobino. L’errore che sta alla base delle prospettive utopiche (nel caso specifico di Jonas solo quelle marxiste, ma lo stesso discorso può essere esteso senza nemmeno grandi sforzi anche a quelle fasciste e nazionalsocialiste, così come per quanto riguarda la varietà di socialismi reali) è stato in realtà già toccato anche dalla Arendt: l’uomo vivente in realtà non è mai rinunciabile, riducibile all’identificazione, inquadrabile. Invece, gli ideali utopici accostano ad un processo di banalizzazione della coscienza dei singoli l’idea che “l’uomo autentico” non sia ancora esistito (e che grazie alla realizzazione dell’utopia possa nascere). In realtà l’uomo autentico è proprio quello 12 i bi dem 13 Il ri f eri m ent o è a H. J onas, Il conc et t o di Di o dopo Auschwi t z (1984)
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caratterizzato da meschinità ed eroismo, felicità e tormento, innocenza e colpa: il vero uomo è proprio quello che si ha di fronte (“dalla testa al calcagno”), con tutte le sue ambiguità, e non è assolutamente l’angelo che l’irresponsabile tende a delineare. “L’uomo che abbia perso davvero quell’ambiguità, l’uomo utopico, può essere soltanto l’ homunculus della futurologia socio-tecnica, sottoposto in modo umiliante ai condizionamenti della buona condotta e del benessere, addestrato alla più totale conformità sociale” Fare politica secondo responsabilità vuole anche dire fare i conti con questi fatti, dunque. Per migliorare le condizioni dell’umanità è necessario liberarsi dall’esca dell’utopia, dalla “tentazione del bene” che ci vorrebbe far abbandonare il realismo in favore di un eccessivo e accecante ottimismo. Fare politica secondo responsabilità è anche fare politica contro il totalitarismo, fare una resistenza contro gli assolutismi delle ideologie, mettere la realtà prima dell’ideale. La critica all’utopia di Jonas non è solo una critica all’ideale, ma anche a quella “esagerazione della tecnica” che deresponsabilizza di fronte a ciò che è prodotto in nostro potere, a quel progresso in nome del quale ogni cosa è giustificata. Il “Prometeo scatenato” costituito dalla civiltà tecnologica ha progressivamente proceduto a minacciare la sopravvivenza nel globo: Jonas parla infatti di come noi “viviamo in una situazione apocalittica […] nell’imminenza di una catastrofe universale. […] se continuiamo a consumare energia e ad inquinare il pianeta agli attuali ritmi, che destino riserveremo ai nostri nipoti? ” L’uomo occidentale, dunque, dopo avere perseguito in modo irresponsabile l’ideale baconiano di dominio sulla natura , si trova di fronte un mondo disastrato, prodotto da una perdita di autocontrollo che pone in pericolo non solo la natura dall’uomo, ma anche l’uomo da se stesso. Il decreto del fallimento a livello politico, antropologico ed ecologico dell’utopia marxista, e con essa di tutte le prospettive tradizionali, ci porta inesorabilmente alla definizione di un sistema etico-politico nuovo, alla base del quale vi è un nuovo imperativo etico, distante dalla prospettiva individualistica kantiana e attento a considerare gli effetti prodotti dall’agire comune: “Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza indefinita di un’autentica vita umana sulla terra” Tale nuovo imperativo categorico, fondamentale all’interno della riflessione di Jonas, opera un allargamento di orizzonti rispetto all’imperativo kantiano in due sensi: spaziale, dal momento che viene considerata ora anche la dimensione non-umana; temporale, dato che impone la considerazione degli effetti a lungo termine delle proprie azioni - in particolare le azioni di rilevanza politica, che presuppongono corresponsabilità. Non basta più limitarsi ad essere a posto con la propria coscienza o al sicuro dalle possibili conseguenze dei propri atti, o ancora rifarsi ai vecchi principi dell’etica dell’intenzione. Da un grande potere derivano infatti grandi responsabilità 1 4 , ed esse non possono e non devono essere scansate. Il sistema etico introdotto dal nuovo imperativo categorico è quindi fondato sulla responsabilità di fronte al mondo ed al futuro. Jonas sottolinea l’importanza della cautela come atteggiamento privilegiato da adottare per seguire al meglio tale imperativo: essa è “il lato migliore del coraggio” (e anche il più difficile da mantenere, in effetti) che è richiesto all’individuo per essere responsabile. Tale atteggiamento consente di non imporre alcun irragionevole veto allo sviluppo della scienza e della tecnica a priori, ma di valutare caso per caso quale sia il modo migliore 14 La ci t azi one, ovvi am ent e, non si ri fe ri sce sol am ent e al m ondo di Spi derman (di S t an Le e )
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perché i prezzi che il progresso comporta siano i più bassi possibile. Tutto ciò è volto a ridimensionare l’estremismo con il quale si perseguono ciecamente gli obiettivi dell’ideale utopico, senza discutere troppo dei prezzi da pagare (e qui entrerebbe in gioco anche Kant e la sua versione dell’imperativo categorico, che impone di non considerare mai l’uomo come mezzo ma sempre come fine). “Il richiamo a fini “più modesti”, per quanto suoni stonato rispetto alla grandiosità dei mezzi, diventa una necessità prioritaria proprio a causa di quella grandiosità. In ogni caso ci si deve togliere di testa l’utopia, il fine immodesto par exellence, non tanto perché la sua esistenza è precaria, quanto piuttosto perché già il suo perseguimento provoca la catastrofe.” Per questo, lo spirito della responsabilità rifiuta i verdetti che le ideologie decretano sulla inevitabilità di certi processi . La critica dell’utopia è quindi anche la critica alla deresponsabilizzazione che l’asserzione di necessità storica portata dalle prospettive utopiche porta con sé (una utopia è per antonomasia ideologica). L’elemento distopico ha per Hans Jonas un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’umanità secondo il principio responsabilità. Innanzitutto, si noti come tutta la riflessione etica di Jonas nasca da una esperienza di realtà “distopica”, o come sia dai pericoli individuati nell’utopismo scientifico marxiano e blochiano che il filosofo trova spunti per una riflessione che va ben oltre la mera critica ad una particolare prospettiva politica. La paura, in effetti, assume per Jonas un ruolo fondamentale, tanto che al momento di spiegare ciò che caratterizza il principio speranza egli specifica: “Al principio speranza contrapponiamo il principio responsabilità e non il principio paura. Ma la paura […] fa parte della responsabilità altrettanto quanto la speranza […] la paura è oggi più necessaria che in qualsiasi altra epoca in cui, animati dalla fiducia nel buon andamento delle cose umane, si poteva considerarla con sufficienza una debolezza dei pusillanimi e dei nevrotici” Per paura, però, Jonas non intende il terrore paralizzante che distoglie dall’agire, ma quella che esorta a compierla. Tale paura si può individuare in particolare in due elementi: innanzitutto, essa può essere considerata come un sentimento di responsabilità nei confronti di un futuro ignoto che viene determinato anche dalle proprie azioni, ed è strettamente correlata alla cautela. Tuttavia, la paura è anche la questione originaria dalla quale scaturisce ogni responsabilità attiva: il pensiero di una catastrofe ambientale o di un altro scempio come la Shoah sono i motori che ci possono indirizzare verso una via di fuga ( “quanto più oscura la risposta, tanto più nitidamente delineata è la responsabilità” ). La distopia, o la considerazione di quanto una realtà sia indesiderabile, è dunque la causa della nascita dello spirito della responsabilità e, con essa, di una possibile prospettiva escatologica (chiaramente, in senso laico) rispetto alla situazione presente. In questo contesto va a delinearsi il concetto di “euristica della paura” , cioè una ricerca stimolata dallo stato d’animo della paura che porta alla definizione dei nuovi doveri di cui l’uomo tecnologico deve farsi carico per tutelare sé stesso ed il mondo da scelte non responsabili. “Il paradosso della nostra situazione consiste nella necessità di recuperare […] dalla previsione del negativo il positivo” Sulla base del principio dell’euristica della paura, è bene rinnovare ancora una volta l’attenzione su uno dei pericoli più grandi che si annidano nella nostra coscienza: le realtà distopiche analizzate in questo libro sono così distanti dalle nostre percezioni e così 17
simili tra loro solo all’apparenza. Verrebbe da pensare che, pur provenendo rispettivamente da un romanzo e da libri di storia, le situazioni rappresentate in 1984 e nei totalitarismi si assomigliano tra loro molto più di quanto ognuno di essi possa somigliare alla nostra realtà. Eppure tutte le distopie che sono state analizzate hanno in comune tra loro l’essere state concepite nella nostra realtà. È dunque sempre vivo il monito a temere il germe di totalitarismo che è in ognuno di noi, sia esso l’indifferenza o il desiderio di fuggire dalla libertà, il giustificazionismo o la pigrizia di chi non ha quel “coraggio della responsabilità” necessario a migliorare il mondo passo dopo passo, senza sconti rispetto ai duri prezzi che è necessario pagare né magie che rendano tutto perfetto all’improvviso. È dunque bene avere paura, vivere in un costante stato di allerta anche di fronte al pericolo che si annida in noi stessi. Solo, bisogna fare in modo che tale paura sia una paura benefica, e non una infruttuosa disperazione. “Lottate e studiate”, è l’imperativo lanciato ai propri figli da un internato nel campo di Fossoli: studiate per sviluppare un senso civico ed una coscienza di sé, un’identità; lottate perché ciò che si è visto non riaffiori mai più dalle più nere ombre della storia. Non si tratta di una battaglia persa in partenza, perché come scrisse Hölderlin 1 5 , “ma dov'è il pericolo, cresce anche ciò che dà salvezza”
15 C it at o anche da Hei d egger i n La quest i one del l a t ecni ca
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B IBLIOGRAFIA Testi utilizzati: • G. Orwell, 1984 , trad. it. di S. Manferlotti, Oscar Mondadori, Cles, 2012 1 6 • H. Arendt, Le origini del totalitarismo , 1951, Capitolo XIII: Ideologia e Terrore • H. Jonas Il principio responsabilità. Ricerca di un’etica per una civiltà tecnologica, 1979, Capitolo VI: La critica dell’utopia e l’etica della responsabilità • M. Manzoni, F. Occhipinti, F. Cereda, R. Innocenti , Leggere la Storia vol. 3A, Einaudi Scuola, Verona, 2007 • N. Abbagnano, G. Fornero, Il nuovo protagonisti e testi della filosofia vol. 3B, Pearson Paravia Bruno Mondadori, Varese, 2007 Siti internet utilizzati • Autori vari, “wikiquote.org”, 2003-2013, alle voci Friedrich Hölderlin e Rita Levi-Montalcini • Shimoda7, Prisoner of my own, “deviantART”, (http://fc00.deviantart.net/fs11/i/2006/241/b/b/prisoner_of_my_own_by_shimoda7.j pg) • Anna Shipstone, Landscape (http://www.artmajeur.com/files/spuggy/images/artworks/650x650/2868069_landsca pe_pencil_drawing.jpg) • Autori vari, “wikipedia.org”, 1984 fictious world map (http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/e/ec/1984_fictious_world_map.pn g) e Execution (http://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/5/5f/Chineseart_Executionpainting.jpg) Altro materiale: • Informazioni fornite dagli insegnanti e raccolte durante l’arco dell’anno scolastico • Iced Earth, Dystopia, Century Media Records, Camden (Eng), 2011 • Y. Minjun, Execution, 1995 • Apporto personale
“Non bisogna mai darsi per vinti. Io stessa dovrei “ringraziare” Mussolini e Hitler per avermi giudicata persona di razza inferiore e avermi così costretta a lavorare segregata nella mia camera da letto, dove avevo allestito un piccolo laboratorio e cominciato le ricerche che mi hanno portato al Nobel.” (R. L. Montalcini) 16 Ho scel t o di non adat t ar e l a t raduz i one propost a da S t efano Manfe rl ott i per l a seguent e fras e (ri po rt at a i n L’el ement o chi a ve: l a psi ch e ): “ In fact t her e wi l l be no t hou ght , as we underst and it now. Ort hodox y m eans not t hi nki n g - not needi n g to t hi nk. Ort hodox y i s unconsci ousness.” La t raduzi one propost a e ra l a segu ent e: “Ort odossi a vuol di re non pensar e, non av er bi sogno di pensar e. Ort odossi a e i nconsapevol ez z a sono l a st essa cos a.”
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