Umberto Carmignani
Simone Bongiovanni
IL VIAGGIO DELL ’ EROE SIMBOLI E ARCHETIPI DELLA RICERCA INTERIORE
LA CITTà DELLA LUCE EDIZIONI
Umberto Carmignani
Simone Bongiovanni
IL VIAGGIO DELL ’ EROE SIMBOLI E ARCHETIPI DELLA RICERCA INTERIORE
LA CITTà DELLA LUCE EDIZIONI
© 2013 La Città della Luce Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma delle convenzioni internazionali. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. La Città della Luce Edizioni via Porcozzone, 17 60010 – Passo Ripe (AN) Direttore editoriale: Umberto Carmignani Redazione: Simone Bongiovanni Progetto grafico e impaginazione: Lorenzo Baldini, Simone Bongiovanni Ha collaborato: Andrea Magnani
In copertina: San Giorgio e il drago, Paolo Uccello, olio su tela, 1456 ca., National Gallery, Londra
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Sommario INTRODUZIONE Platone e la dottrina delle idee Archetipi in psicologia Adattamento sociale e stereotipo L’attivazione e la gestione degli archetipi L’ombra La proiezione
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IL VIAGGIO DELL’EROE I Preparativi per il viaggio (0-28 anni) Il Viaggio vero e proprio (28-56 anni) Il Ritorno (56-84 anni) Il Drago, la Fanciulla, il Tesoro, il Regno Gli assi evolutivi dell’energia archetipica
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INNOCENTE L’innocenza originaria La fiducia La dipendenza Il sacrificio dell’innocente La paura La ferita primaria I meccanismi di difesa La sicurezza L’empatia
17 18 18 19 19 20 21 22 23 24
ORFANO La separazione L’autonomia e l’indipendenza La consapevolezza della ferita La rabbia Il lamento, la depressione, la forza Il lavoro e il denaro
25 26 26 27 27 28 29
GUERRIERO Difendere il proprio spazio La libertà Diventare uomini e donne L’aggressività Il Guerriero della Luce e il Guerriero dell’Oscurità
31 32 32 33 34 34
ANGELO CUSTODE L’amore per se stessi L’amore per gli altri: la relazione d’aiuto Perdonare e chiedere perdono Il ricatto emotivo e il senso di colpa Il sacrificio La famiglia di origine
36 37 37 38 39 39 41
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AMANTE I desideri e la legge di attrazione La forza dell’Eros La relazione Lo scambio equo Lasciarsi andare
43 44 44 45 46 46
CERCATORE La ricerca del significato Dis-identificazione e distacco L’auto-distruzione
48 49 49 50
CREATORE L’ispirazione creativa Il progetto L’immaginazione
51 52 52 53
DISTRUTTORE La perdita La sofferenza Lasciar andare La distruzione
54 55 55 56 57
MAGO La connessione con il mondo invisibile Trasformare la realtà La materia e l’energia Il potere della parola e della preghiera La magia nera
58 59 59 60 61 61
SOVRANO La responsabilità della propria vita Mantenere l’ordine La gestione del tempo e delle risorse La gestione del potere
62 63 63 63 64
SAGGIO La ricerca della verità La consapevolezza Verità assoluta e verità relativa Il distacco come libertà dal desiderio
65 66 66 67 68
FOLLE L’umorismo La libertà dal giudizio degli altri e la rottura di ogni conformismo Godersi la vita Il ritorno all’innocenza
69 70 70 70 71
QUESTIONARIO DEGLI ARCHETIPI Risultati del questionario
72 75
COSTELLAZIONI ARCHETIPICHE
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ASTROLOGIA ARCHETIPICA
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Introduzione
La parola “archetipo” significa “immagine originaria, modello originario” (dal greco archè, origine, principio, e typos, modello, marchio, esemplare) e si contrappone a “stereotipo” (stereos in greco significa solido, rigido, tridimensionale) che significa “copia”, “duplicazione”, “riproduzione”. L’archetipo è il principio primo, universale, completo e perfetto, di cui gli stereotipi sono un parziale imitazione; si distingue anche dal prototipo, che è semplicemente il primo elemento (realizzato sulla base di un archetipo, o di un progetto) di una serie di riproduzioni.
Platone e la dottrina delle idee Il termine “archetipo” viene introdotto dai filosofi greci per riferirsi ai principi universali, ai modelli preesistenti della realtà: in particolare Plotino (III sec. d.C.) e Proclo (V sec. d.C.) si riferiscono agli archetipi come alle idee universali presenti nella mente di Dio e da cui è derivata la Creazione (concetto poi fatto priprio dalla dottrina cristiana di Sant’Agostino). Questo concetto di archetipo lo ritroviamo secoli dopo nell’empirismo inglese di Berkeley e Locke, in contrapposizione con l’essenza della realtà empirica. Il concetto di archetipo deriva direttamente da quello di idea platonica: nella sua dottrina delle idee Platone parla dell’Iperuranio, un luogo metafisico (oltre la materia) in cui risiedono i concetti nella loro purezza, astrazione. Si tratta di principi universali immutabili, non soggetti quindi al divenire e al mutamento come gli oggetti empirici, i quali si pongono rispetto alle idee in un rapporto di imitazione o somiglianza. Per Platone le idee esistono a prescindere dalla realtà, e sono accessibili a quattro livelli: a livello dell’essere, perché gli oggetti immanenti partecipano delle idee per somiglianza o imitazione (un cavallo “reale” cerca di assomigliare all’idea di cavallo, e ciascun cavallo assomiglia all’idea di cavallo a modo proprio); a livello della conoscenza, dal momento che noi possiamo riconoscere gli oggetti solo in base alle idee a cui li associamo (per sapere che quello è un cavallo devo attingere all’idea di cavallo); a livello di valore, in quanto un oggetto è tanto più perfetto quanto più si avvicina all’idea, e tanto meno perfetto quante più peculiarità ha; ed infine l’idea è un principio unificatore della molteplicità (ci sono molti cavalli, ma una sola idea di cavallo).
Archetipi in psicologia Il termine archetipo acquisisce un nuovo valore grazie a Carl Gustav Jung: partendo dall’analisi dei sogni dei suoi pazienti, Jung riscontra come certe immagini, concetti e situazioni vissute in sogno e non riguardanti l’esperienza personale, siano in qualche modo innate nella mente umana, o meglio, derivino da un inconscio collettivo, condiviso, ereditato assieme al patrimonio genetico. Gli archetipi sono quindi l’eredità psicologica inconscia: a differenza di Freud, che riteneva l’inconscio un contenitore vuoto alla nascita, che veniva man mano riempito di materiale psichico inaccettabile dalla coscienza, per Jung l’inconscio personale contiene già delle “forme a priori”, che fanno parte dell’inconscio
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collettivo, e che permettono di trascendere da se stessi, attraverso la funzione simbolica, e di procedere nel processo di individuazione. Gli archetipi “strutturali” dell’inconscio sono: • la Persona: rappresenta la maschera sociale, l’adeguamento a regole e convenzioni condivise, la modalità di inserimento nel gruppo sociale; • l’Ombra: corrisponde agli istinti primordiali, le pulsioni sgradevoli e da reprimere (in qualche modo corrisponde all’Es freudiano); • Animus e Anima: rappresentano rispettivamente la parte maschile presente nella donna e la parte femminile presente nell’uomo, che permettono la relazione (sotto forma di proiezione) con l’altro sesso; è la parte complementare della Persona che non viene espressa direttamente, ma attua un processo di integrazione attraverso la relazione; • il Sè: il centro unificatore della personalità, il punto di raccolta delle funzioni consce e inconsce. Jung riconosce anche altri archetipi, di ordine culturale, religioso, mitologico: la Grande Madre, il Vecchio Saggio, fino ad arrivare a considerare Dio stesso un archetipo. Erich Neumann approfondisce in chiave evolutiva il concetto di archetipo, andando a confrontare natura e cultura, ontogenesi (cioè lo sviluppo biologico, fisiologico) e filogenesi (cioè la specificazione in classi, in gruppi differenziati). Così come il corpo è composto da organi fisici, la psiche è composta da organi psichici, gli archetipi. Essi sono dei modelli originari di essere, di pensare, di sentire e di agire: ciascuno con le sue caratteristiche e funzioni, con delle specifiche qualità e dei specifici difetti, una specifica personalità. Come gli organi fisici hanno ciascuno con una determinata funzione biologica, sono collegati gli uni gli altri e non potrebbero esistere al di fuori dell’organismo (e altrettanto l’organismo non potrebbe funzionare senza ciascun organo), così anche gli archetipi come organi psichici hanno ognuno una determinata funzione nello sviluppo e nel funzionamento della personalità e della coscienza, sono in collegamento tra loro, e ciascuno di essi è indispensabile. Ugualmente, alcuni organi sono muscoli involontari, agiscono e funzionano senza un controllo cosciente e ne diamo per scontata la regolarità; così gli archetipi si sviluppano e agiscono nell’inconscio, senza che ce ne accorgiamo e sono comunque tutti attivi, sempre. Come si possono ammalare gli organi fisici, così si possono ammalare gli organi psichici; ed è sufficiente che un organo/archetipo non funzioni bene che tutto il sistema ne risente. James Hillman, allievo di Jung, porta a un’evoluzione ulteriore la teoria degli archetipi, andando a delineare una psicologia archetipica che si stacca dalla terapia stretta, ma va a collegarsi con le forme culturali e immaginative dell’arte, della poesia, della mitologia, della narrativa. Gli archetipi sono considerati nella loro manifestazione fenomenica, nel percorso che ciascuno compie dentro la propria anima. Se di guarigione si può parlare, essa arriva attraverso il riconoscimento di quegli archetipi che agiscono nelle persone, nel mondo. La psicologia archetipica punta a guarire le idee, il mondo, più che l’individuo, attraverso il mito. La psicologia archetipica considera strettamente collegate la mitologia e la psicologia: infatti la mitologia è una psicologia dell’antichità, e la psicologia è una mitologia dell’epoca moderna. Gli archetipi possono essere quindi associati agli dei e dee della mitologia, ossia potenti forze istintive che spingono a determinati comportamenti, che esigono espressione nella vita esteriore. Il pantheon delle varie divinità archetipiche di ogni cultura può ben rappresentare il quadro di tutte le qualità e i difetti umani, andando a costituire la struttura di base della psiche dell’umanità. Se la Psiche, essendo composta di più parti, è connessa al politeismo, cioè a una pluralità di dei, lo Spirito è connesso con il monoteismo, l’unico Dio al di sopra tutto, lo Spirito Universale, del quale i vari dei non sono altro che le molteplici facce. Quindi bisogna fare attenzione a non confondere la concezione monoteistica di un unico Dio superiore a tutto, con solo uno degli dei all’interno della concezione politeistica (come potrebbe essere Zeus, che nella mitologia greca è considerato il capo degli Dei). I miti sono racconti sulle relazioni tra gli umani e gli Dei, parlano di temi universali ed eterni, comuni a tutta l’umanità e a tutti i tempi, mentre la psicologia per spiegare tali relazioni usa teorie e termini moderni come istinti, pulsioni, complessi, ecc. I miti e gli archetipi sono delle chiavi di fondamentale importanza per comprendere la nostra vita, per penetrare il mistero di come siamo e di come è la vita.
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Adattamento sociale e stereotipo Anche la società e la cultura in cui nasciamo hanno un effetto potente su di noi: in primo luogo la famiglia di origine, che ci assegna una classe sociale, una nazionalità, una religione, che possono rinforzare alcuni archetipi, reprimerne altri e soprattutto creare stereotipi, ossia modelli comportamentali non originali. Gli stereotipi, le forze di adattamento sociale (oppure i condizionamenti) si sovrappongono agli archetipi e quindi si crea confusione tra gli originali e le copie: il processo evolutivo di crescita personale consiste nell’uscire dal mondo “esterno” degli stereotipi ed entrare nel mondo “interno” degli archetipi. Le nostre predisposizioni innate o archetipiche possono venire accolte o rifiutate dalla società, in primo luogo dai nostri genitori. Gli stereotipi sono le aspettative esterne della società alle quali ci viene chiesto di conformarci, quando già non lo facciamo di nostra spontanea iniziativa; in ogni caso ci portano a tradire i nostri archetipi interiori, le nostre predisposizioni innate. Se il divario tra quello che sentiamo dentro e quello che “gli altri” si aspettano da noi è eccessivo, perdiamo l’autenticità e l’autostima e ci creiamo una maschera, recitiamo dei ruoli che non rispecchiano nel profondo quello che siamo veramente. Ognuno è unico in quanto è una combinazione particolare di diversi ingredienti: il corpo e l’aspetto fisico, le nostre molteplici intelligenze (non solo quella logico-matematica), la nostra predisposizione spirituale e transpersonale, e soprattutto le nostre esperienze. Composti di archetipi, ognuno di noi è archetipo di se stesso, non deve conformarsi a nessun modello se non esprimere la propria intima, autentica e singolare natura.
L’attivazione e la gestione degli archetipi Ognuno di noi ha quindi al suo interno più archetipi, più dei, più sub-personalità, più “personaggi”, che vanno a costituire il puzzle della nostra anima, e che deve imparare a gestire nel modo più armonico. Ma prima di tutto dobbiamo conoscere gli archetipi attraverso un lavoro di osservazione e analisi, cercando di individuare quello o quelli dominanti, quelli più sviluppati e quelli che necessitano di essere coltivati maggiormente, quelli la cui influenza è più forte e quelle parti da noi rifiutate, non accettate e negate. Per conoscere e capire chi siamo ci può essere di grande aiuto conoscere e studiare gli dei della mitologia per capire in quale percentuale sono “miscelati” dentro di noi, a quali assomigliamo di più, quali ci risuonano di più, quelli che ci toccano di più quando durante la lettura, come in un lampo di intuizione, affermiamo: “si è vero, io sono così”. É importante rendersi conto che la conoscenza e lo studio della mitologia non è solo di tipo intellettuale e mentale ma è un sapere dell’anima, è un vero e proprio “cibo per l’anima”, in quanto ciascuno di noi ha bisogno di “ri-conoscersi” nella descrizione dei vari archetipi o dei. Gli archetipi sono forze istintive che, se non sono consapevolizzate, agiscono in modo inconscio, mentre la consapevolezza nel contempo li attiva e li gestisce: ciascuno di noi nasce infatti con alcuni archetipi già attivi, mentre altri sono ancora dormienti. Per attivare gli archetipi è necessario diventare prima di tutto consapevoli della loro esistenza, dobbiamo cioè concepirci e sentirci come se ci fossero più personalità al nostro interno. Se invece continuiamo a pensare che siamo fatti in un solo modo, monolitico, vuol dire che siamo identificati solo con una parte e non vediamo le altre parti, che altro non sono se non le potenzialità nascoste che aspettano di essere viste, scoperte, risvegliate. Per attivare gli archetipi che hanno più difficoltà ad esprimersi in noi, possiamo decidere consapevolmente di comportarci come indicato dalle loro caratteristiche, sforzandoci inizialmente di assumere gli atteggiamenti che vogliamo coltivare e sviluppare. Oppure possiamo vederli in azione attraverso esercizi di visualizzazione, cercando di immedesimarci in loro e percepirne le qualità; infine li possiamo invocare come veri e propri dei, pregarli, conversare con loro, offrire tributi, servirsi di un simulacro (un’immagine, una pietra o un cristallo). Lungo il cammino della vita, siamo come quei viaggiatori che si imbattevano nei templi dedicati alle divinità, in quanto le vicissitudini della vita quotidiana risuonano con situazioni archetipiche eterne, e ci attraggono davanti ad un determinato altare per poi proseguire e fermarsi a visitare un altro tempio. In ogni caso, capita anche che gli archetipi si attivino senza la nostra partecipazione cosciente, ma attraverso
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i passaggi cruciali della vita, o attraverso certi eventi o situazioni, come le esperienze di perdita, la morte di persone care, le delusioni amorose, ecc. È l’Io, che è il centro della personalità, l’osservatore, il direttore d’orchestra, che deve fare questo lavoro: di osservazione e analisi prima, di comando, controllo, gestione delle varie parti poi. In questo modo prima si conosce se stessi e poi si diventa padroni di se stessi, acquisendo la capacità di scegliere quale archetipo lasciar esprimere, in quale modo, in quale circostanza, quanto spazio concedergli in base alle situazioni esterne. Ciò che è importante comprendere è che non sono gli archetipi che devono dominare l’uomo ma l’uomo che deve “dominare” gli dei dentro di lui, nel senso di saperli gestire in modo armonioso, di dar voce ad ognuno senza reprimere nessuno. Gli archetipi sono forze molto più grandi e potenti di noi, e il nostro compito è quello di permettere loro di manifestarsi attraverso di noi, mantenendo tuttavia il potere di scegliere come regolarne l’espressione, senza farci travolgere o dominare. È questo che significa sviluppare l’autocontrollo, imparare a dominarsi, riuscire a stare fermi e centrati, a fare silenzio mentale nel maremoto delle forze psichiche che si agitano spesso come impazzite dentro di noi. È bello, oltre che utile, immaginare che all’interno di noi ci sia un’assemblea, dove i vari aspetti della nostra personalità siedono attorno ad un tavolo, e l’Io siede a capo tavola e presiede l’assemblea, decidendo quando e a chi spetti il turno di espressione. Se l’Io non è abbastanza forte da dirigere e mantenere l’ordine, si avranno conflitti interni che generano sofferenza, confusione, caos, vortici di pensieri contrastanti, rumori interiori, voci che non si riescono a distinguere, contraddizioni e ambivalenze nel comportamento. Se l’Io è debole viene sopraffatto dall’archetipo dominante in quel momento: l’Io deve conoscere bene i vari membri dell’assemblea e saper ascoltare le varie voci, i vari punti di vista, i vari bisogni e motivazioni. In questo modo possiamo riscoprire parti di noi rimosse che non eravamo nemmeno consapevoli di avere, potenzialità nascoste inaspettate. Inoltre l’Io non deve allearsi con un membro, né deve essere prevenuto favorendo solo alcuni a discapito degli altri, ma deve cercare di mantenere l’imparzialità e l’equidistanza, anche se inevitabilmente ci saranno in ognuno di noi archetipi prevalenti rispetto ad altri. L’importante è che faccia parlare uno per volta, che ascolti ogni punto di vista con calma e ordine, perché se nega la parola o censura alcuni archetipi, questi vengono rimossi e sepolti nell’inconscio, come se fossero buttati fuori dall’aula assembleare: riemergeranno in seguito attraverso sintomi fisici, che sono il modo più violento per la psiche di far sentire la sua voce all’Io. Sarebbe opportuno che ogni decisione che dobbiamo prendere, ogni scelta, anche la più banale, come che cosa fare la domenica, venga sottoposta alla discussione dell’assemblea nell’ordine del giorno. A seconda di chi prevale nella discussione, noi possiamo essere in un determinato modo in un certo contesto e comportarci diversamente in un altro contesto; possiamo avere la sensazione di essere persone diverse e di comportarci diversamente a seconda delle circostanze. L’Io deve quindi imparare a riconoscere le proprie voci interne e chi sta parlando, chi lo sta influenzando, e poi scegliere quale seguire, a quale dare la priorità, nella sua decisione contingente. Alla fine si tratta di imparare a scegliere consapevolmente fra le diverse possibilità e dare un ordine alle proprie priorità. L’Io è il centro, il comando della nostra vita e sceglie dalla posizione centrale: solo dal centro possiamo avere una visuale di 360° per cui poter vedere tutte le possibilità. La libertà di scelta e la conoscenza sono strettamente correlate: più si conosce, più si hanno alternative, più si ampia la gamma di possibilità, più l’arbitrio diventa libero. Il libero arbitrio è la libertà di scegliere, ma più so e più sono libero, meno so e più la scelta è obbligata, stretta, costretta; anzi a volte quando non vediamo via d’uscita ci sentiamo come se non avessimo nessuna libertà di scegliere, solo perché non conosciamo abbastanza. L’armonia e la pace regneranno all’interno di noi quando i vari membri dell’assemblea riusciranno a collaborare tra loro e troveranno espressione a turno nelle circostanze della vita a loro più appropriate. D’altra parte gli Dei dell’Olimpo erano spesso in conflitto tra loro e così all’interno di ciascuno di noi gli archetipi possono rivaleggiare fra loro o quello dominante può imporre la sua volontà, se manca un Io forte. La malattia psichica invece è l’incapacità dell’Io di gestire, controllare e dirigere le varie parti della psiche, ossia gli archetipi. Guarire significa recuperare l’integrità delle varie parti di sè, ossia ri-membrare, mettere insieme le varie membra, attraverso il ricordo e la memoria. L’Io deve essere sempre al centro e libero
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di scegliere quale archetipo azionare in base alle circostanze, mentre si ha squilibrio e sofferenza quando l’Io è identificato con un archetipo o la posizione centrale viene occupata da un determinato archetipo. Alla fine per diventare completi, ossia completare il puzzle della nostra anima, dobbiamo “integrare” tutte le qualità di ciascun archetipo e nello stesso tempo riconoscerne e poi superare tutti i difetti.
L’Ombra L’Ombra è un archetipo potente, è il contenitore di tutto quello che ci è mancato nel bene e di tutto quello che abbiamo ricevuto nel male. É quindi il nostro Alter Ego, il Nemico, l’Antagonista, quello che nei miti e nelle fiabe interpreta il ruolo del cattivo e che spesso viene rappresentato sotto forma di mostro, drago o demone. Ogni nostra sofferenza deriva dal venire sopraffatti dall’aspetto negativo di un archetipo (il lato Ombra) che dobbiamo imparare prima a vedere e riconoscere, e poi a dominare, contrastare, opporgli resistenza. Infatti, nessun dio era perfetto, e anche Zeus che era il capo aveva i suoi difetti. L’Ombra viene formata da un ostacolo che si frappone alla luce, da qualsiasi cosa che ostruisce il passaggio della luce. Ogni Archetipo ha il suo peculiare modo di rapportarsi con l’Ombra: come vedremo meglio più avanti, l’Innocente nega, l’Orfano rinuncia, il Guerriero razionalizza e separa, l’Angelo Custode si sacrifica facendo sentire in colpa gli altri. L’Ombra si forma principalmente in due modi: • attraverso la negazione, la repressione, la rimozione: quegli aspetti dell’archetipo che non vengono integrati e considerati, prima vengono spinti nell’inconscio e poi riemergono in forma distruttiva, violenta o strisciante quando meno ce lo aspettiamo; • attraverso l’eccessiva identificazione: avviene come nei fenomeni di “possessione” da parte di una divinità o di uno spirito, in cui vengono espressi sia l’aspetto ombra, sia l’aspetto luce; le persone “possedute” diventano unilaterali, rigide, fondamentaliste, fissate e intrappolate in uno schema, in quanto non riescono più a vedere il quadro d’insieme, la molteplicità delle possibilità. Nel primo caso gli archetipi devono essere liberati, risvegliati, riscoperti, riattivati; nel secondo caso devono essere ridimensionati, imbrigliati, controllati, cercando di resistere alla loro forza, disidentificandoci. La maggior parte della nostra Ombra deriva dalla repressione delle emozioni che scivolano nell’inconscio e diventano sempre più potenti perché non le viene permesso di esprimersi: l’Io deve imparare a riconoscere le emozioni negative ed esprimerle in qualche modo (catarsi, sport, arte, ecc.), perché solo così può contattare le emozioni positive che si trovano ad un livello più profondo. L’Ombra è la parte di noi che dobbiamo riconoscere e integrare poiché senza di essa non saremo completi.
La proiezione L’Ombra e la Proiezione sono intrinsecamente legate. Se l’Ombra è composta da tutte quelle parti che non vogliamo vedere in noi, significa che le proietteremo sugli altri, che sono come schermi. Ognuno di noi è uno schermo bianco su cui gli altri proiettano qualcosa di loro. Tutto quello che diciamo ad un’altra persona lo diciamo a noi stessi con una percentuale che può variare 50-50, 20-80 ecc. Se nell’altro vedo qualcosa che mi piace significa che non riesco o voglio vederla ancora in me, perché ancora non riconosco le mie qualità, e quindi la devo ancora integrare. Se nell’altro vedo qualcosa che non mi piace significa che non riesco o voglio vederla ancora in me, perché ancora non riconosco i miei difetti, che devo prima accettare e poi trasformare. Se proviamo simpatia-attrazione-apprezzamento per qualcuno significa che stiamo proiettando dei lati positivi di noi che ancora non riconosciamo come nostri; se proviamo antipatia-repulsione-risentimento significa che stiamo proiettando dei nostri lati negativi che non vogliamo vedere in noi. L’aggancio proiettivo non è altro che appendere un nostro vestito (un nostro problema) sul manichino più adatto (che sono gli altri). Quindi in ogni relazione se qualcuno mi dice qualcosa, devo considerare che in parte l’osservazione è diretta a me, e riguarda un mio aspetto o comportamento o caratteristica; ma devo essere anche consapevole
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che un parte di quello che mi viene attribuito appartiene in realtà all’altro, che sta proiettando su di me i suoi contenuti. Basterebbe questa semplice presa di coscienza per ridurre i conflitti. Solo una volta che abbiamo ritirato tutte le nostre proiezioni perché abbiamo riconosciuto che tutto è dentro di noi, allora finalmente potremo vedere l’altro così come è veramente. Nel rapporto di aiuto, a volte il terapeuta può anche accettare temporaneamente una proiezione (ad esempio impersonando il padre o la madre del cliente), ma deve esserne consapevole: l’autorizzazione alla proiezione può venire da un’utilità terapeutica, ha uno scopo funzionale al rapporto, ma andrà inevitabilmente incontro a uno scioglimento (più o meno traumatico da parte del paziente). Dobbiamo rimuovere gli strati di proiezione uno sull’altro, e come quando si sbuccia la cipolla, ad ogni strato si piange: se assieme alla proiezione c’è anche un’emozione (paura, rabbia, ecc.) vuol dire che c’è una memoria, un ricordo di una situazione passata in cui non abbiamo espresso quell’emozione; le relazioni con gli altri che ci fanno da specchi fanno riemergere quel ricordo, ci danno la possibilità di elaborare quella prima esperienza. Restando nella metafora, anche per vedere il nostro corpo fisico abbiamo bisogno di uno specchio, perché i nostri sensi sono orientati all’esterno; il Terzo Occhio invece è la capacità di vedere noi stessi dall’esterno, è un punto superiore di consapevolezza di noi stessi.
Abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai! Il dramma per me è tutto qui, signore: nella coscienza che ho, che ciascuno di noi – veda- si crede uno ma non è vero: è tanti, signore, tanti, secondo tutte le possibilità d’essere che sono in noi: uno con questo, uno con quello, – diversissimi! E con l’illusione, intanto, d’essere sempre uno per tutti e sempre quest’uno che ci crediamo in ogni nostro atto. Non è vero! Non è vero! Ce ne accorgiamo bene, quando in qualcuno dei nostri atti, per un caso sciaguratissimo, restiamo all’improvviso come agganciati e sospesi: ci accorgiamo, voglio dire, di non essere tutti in quell’atto! E dov’è il copione? E’ in noi, signore. Il dramma è in noi; siamo noi; e siamo impazienti di rappresentarlo, così come dentro ci urge la passione! Luigi Pirandello Sei personaggi in cerca d’autore
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Materiale didattico prodotto dall’Associazione Culturale La Città della Luce via Porcozzone, 17 60010 Passo Ripe (AN)
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www.archetipi.org www.lacittadellaluce.org www.reiki.it